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mercoledì 6 luglio 2016

LA PROVINCIA DI MONZA E DELLA BRIANZA

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La provincia di Monza e della Brianza è una provincia istituita l'11 giugno 2004, e divenuta operativa nel giugno 2009 con l'elezione del primo consiglio provinciale. La provincia di Monza e della Brianza è nata dallo scorporo di una porzione di territorio della allora provincia di Milano (ora Città Metropolitana).

Capoluogo della provincia è Monza, già residenza estiva del regno longobardo all'epoca di Teodolinda e Agilulfo e la popolazione complessiva dei 55 comuni inglobati è di oltre 858.000 abitanti. Con un'estensione di 405,49 km² è la terza provincia più piccola d'Italia, preceduta solo da quella di Prato e da quella di Trieste, ma la seconda, dopo la città metropolitana di Napoli, come densità di popolazione e la ventunesima su 110 come popolazione.

La superficie urbanizzata della provincia di Monza e della Brianza è più alta rispetto alla media delle province italiane: l'indice medio di consumo di suolo, calcolato come rapporto tra superficie urbanizzata e superficie totale, supera infatti il 53%, la più alta percentuale fra le province lombarde. I comuni più urbanizzati sono Lissone, Vedano al Lambro e Bovisio Masciago, che arrivano anche a superare l'80% di indice di consumo di suolo.

La provincia di Monza e della Brianza confina a nord con la provincia di Lecco e con la provincia di Como, a ovest con la provincia di Varese, a est con la provincia di Bergamo e con la città metropolitana di Milano, con cui confina anche a sud.

La provincia di Monza e della Brianza sorge nell'alta pianura lombarda occidentale, al margine meridionale della Brianza. Il suo territorio è attraversato principalmente dal fiume Lambro nel capoluogo, dal Seveso, dall'Adda e dal torrente Molgora nei comuni circostanti.

La provincia di Monza e della Brianza ha assunto proprio questa denominazione ufficiale, anziché quella di provincia di Monza o di Monza-Brianza, perché risulta essere una provincia composta. Infatti è costituita:da Monza e da una parte del monzese storico;
dai comuni della bassa Brianza, "quella ex milanese", cioè la maggioranza relativa dell'intero territorio della Brianza.
La nuova provincia è schematicamente suddivisibile in diverse zone:
Monza, terza città della Lombardia per numero di abitanti, e parte del monzese storico.
Bassa Brianza occidentale, corrispondente in parte alla valle del fiume Seveso;
Bassa Brianza centrale nord e sud, corrispondente in parte alla valle del fiume Lambro;
Bassa Brianza orientale, corrispondente in parte alla valle del torrente Molgora.

Sono compresi nella zona della bassa Brianza occidentale i comuni di Barlassina, Bovisio-Masciago, Ceriano Laghetto, Cesano Maderno, Cogliate, Lazzate, Lentate sul Seveso, Limbiate, Meda, Misinto, Seveso e Varedo.

Sono compresi nella zona della bassa Brianza centrale nord i comuni di Albiate, Besana in Brianza, Briosco, Carate Brianza, Correzzana, Giussano, Renate, Triuggio, Veduggio con Colzano e Verano Brianza.

Sono compresi nella zona della bassa Brianza centrale sud i comuni di Biassono, Desio, Lesmo, Lissone, Macherio, Muggiò, Nova Milanese, Sovico e Vedano al Lambro.

Il comune di Seregno, confinante fra l'altro con i comuni di Lissone e Desio, è appartenente alla bassa Brianza centrale sud, anche se alcuni lo attribuiscono alla bassa Brianza occidentale ed altri ancora alla bassa Brianza centrale nord.

Sono compresi nella zona della bassa Brianza orientale i comuni di Agrate Brianza, Aicurzio, Arcore, Bellusco, Bernareggio, Burago di Molgora, Busnago, Camparada, Caponago, Carnate, Cavenago di Brianza, Concorezzo, Cornate d'Adda, Mezzago, Ornago, Roncello, Ronco Briantino, Sulbiate, Usmate Velate e Vimercate.

La provincia di Monza e della Brianza ha indetto nell'anno 2011 un concorso artistico di idee per la realizzazione del proprio stemma. Nella seduta del Consiglio Provinciale di giovedì 13 ottobre 2011, con 22 preferenze su 29, è stato scelto il progetto presentato dal designer Lucio Brugiatelli. L'elemento simbolico rappresenta uno stemma araldico, il concept fa riferimento al significato di Brianza che deriva dal termine celtico «brig» (colle) e dalla conformazione della zona, ricca di fiumi. Il simbolo celtico di base è il Triscele, inscritto in uno scudetto, ed è stato scelto proprio per la forma geometrica che rappresenta in modo iconografico il territorio diviso dal percorso di fiumi. La giunta provinciale dal febbraio 2012, in seguito all'aggiornamento dello Statuto dell'Ente ed agli affinamenti tecnico-grafici necessari, ha ufficialmente utilizzato tale stemma.

Il vecchio logo identificativo adottato dalla provincia di Monza e della Brianza rappresentava un quadrato, come una finestra aperta sul territorio. Un simbolo aperto che ricorda le infrastrutture, la linearità della produzione industriale, il senso dell'ordine, della dinamicità della produttività. Il simbolo riassume in sé le principali radici identitarie che caratterizzano la Brianza: dal tema del paesaggio, al valore dell'associazionismo e del volontariato, fino al “saper fare” espresso dal mondo imprenditoriale.

Le principali parlate locali sono raggruppabili nel dialetto brianzolo (cui sono apparentati il dialetto di Monza o münsciasch ed i dialetti del monzese storico). Il dialetto brianzolo fa parte del ramo occidentale dei dialetti della lingua lombarda.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, il territorio della nuova provincia fa parte dell'arcidiocesi di Milano. Questa segue lo specifico rito ambrosiano, a cui aderisce anche la zona della Brianza, storicamente più legata a Milano. Mentre i comuni del "monzese storico": Monza, Brugherio, Villasanta ma anche Cornate d'Adda, Busnago e Roncello, in considerazione di vicende storiche complesse ed una spiccata volontà di autonomia e diversità nei confronti di Milano, seguono invece il rito romano. Le chiese e cappelle del Parco di Monza sono suddivise tra i due riti seguendo il tracciato di viale Cavriga, che unisce le due porte principali del Parco, quella di Monza e quella di Villasanta, a nord seguendo il rito ambrosiano e a sud quello romano: ciò è dovuto al fatto che solo la zona a sud del viale faceva originariamente parte del territorio comunale monzese, mentre la parte a nord vi fu aggiunta distaccandola dai comuni contigui su decreto di Napoleone in occasione della creazione del parco.

Il 3 ottobre 2009, con solenne celebrazione nel Duomo di Monza presieduta dal cardinale Dionigi Tettamanzi, all'epoca arcivescovo di Milano, il decano mons. Silvano Provasi ha annunciato il pronunciamento positivo della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti circa l'istanza di proclamazione del beato Luigi Talamoni quale patrono della nuova provincia di Monza e della Brianza.

Le più importanti arterie extraurbane sono la ex strada statale 35 dei Giovi e la strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga (Valsassina).

La ex SS35, il cui tratto brianzolo è comunemente noto come superstrada Milano-Meda, ora di competenza regionale e provinciale, attraversa la provincia da nord a sud, per collegare Milano con Como.

Anche la SS36 attraversa la provincia da nord a sud, nella sua parte centrale, collegando Milano con Monza, Lecco e Sondrio. Il suo tratto urbano era congestionato dal traffico extraurbano dei lavoratori pendolari, mentre oggi è fluido grazie al tunnel urbano sotterraneo che attraversa la zona occidentale di Monza.

La mancanza di una arteria principale che attraversi la provincia trasversalmente, da est a ovest, più a nord rispetto all'autostrada A4, congestiona inevitabilmente il traffico urbano dei comuni brianzoli.

La provincia di Monza e della Brianza momentaneamente è attraversata da 4 tratte autostradali che a breve diventeranno 5:
Autostrada A4 Italia.svg Autostrada A4 Milano-Venezia;
Autostrada A51 Italia.svg Tangenziale Est di Milano (A51);
Autostrada A52 Italia.svg Tangenziale Nord di Milano (A52);
Autostrada A58 Italia.svg Tangenziale est esterna di Milano (A58) in zona di Agrate Brianza, Caponago;
Autostrada A36 Italia.svg Autostrada Pedemontana Lombarda (A36) in zona occidentale vicinanze SS35 (in progettazione).

La provincia è attraversata da importanti tratte ferroviarie:
la ferrovia Milano-Asso con la diramazione per la Stazione di Camnago-Lentate, che l'attraversa da nord a sud nella sua parte occidentale;
la ferrovia Chiasso-Milano, che l'attraversa obliquamente da nord-ovest fino a Monza, al centro, collegando il capoluogo alle stazioni di Milano e Como e alla Svizzera;
la ferrovia Monza-Molteno-Lecco, che attraversa la provincia da nord a sud nella sua parte centrale, permettendo i collegamenti tra il capoluogo e le provincie di Como e Lecco;
la ferrovia Lecco-Milano, anch'essa diretta verso nord a partire da Monza, fino alla stazione di Lecco;
la ferrovia Novara-Seregno, che attraversa trasversalmente la parte occidentale della provincia, collegandola a Saronno;
la ferrovia Seregno-Bergamo, che l'attraverso trasversalmente e verso est, collegando anche il capoluogo a Bergamo.
Nel capoluogo è presente l'importante stazione di Monza, principale nodo di scambio tra le linee provinciali, oltre ad un altro scalo ferroviario, denominato Monza Sobborghi, posta sulla linea per Molteno. Altre importanti stazioni della provincia sono:
Camnago-Lentate,
Carnate-Usmate,
Cesano Maderno,
Seregno,
Seveso.
Le reti ferroviarie brianzole sono gestite sia da Ferrovienord che Rete Ferroviaria Italiana, e i treni regionali e suburbani sono gestiti da Trenord.

In particolare, coinvolgono la provincia di Monza le linee S2, S4, S7, S8, S9 e S11.
È in fase di costruzione la stazione di Monza Bettola della Linea Rossa M1 della metropolitana milanese, situata a pochissimi metri dal capoluogo brianzolo ma comunque sul territorio di Cinisello Balsamo e quindi fuori dalla provincia monzese.

La provincia di Monza e Brianza è collegata, tramite il sistema delle tangenziali milanesi, agli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa e tramite l'Autostrada A4 all'aeroporto di Orio al Serio.

Sul territorio provinciale esistono anche due elisuperfici:
Elisuperficie dell'Ospedale San Gerardo, utilizzata per il trasporto sanitario;
Elisuperficie di Lissone, l'unica attrezzata per gli atterraggi di emergenza.

La provincia di Monza e della Brianza, è sede di circoscrizione giudiziaria, con sede principale nel capoluogo.
A Monza, in piazza Garibaldi, nel Palazzo di Giustizia, trovano sede i Tribunali civile e penale e la Procura della Repubblica, mentre ulteriori uffici decentrati si trovano in via Vittorio Emanuele II, in via Borgazzi sono presenti gli uffici del Giudice di Pace.
In viale Campania, si trovano gli uffici amministrativi della sede distaccata della Procura monzese.
A Desio, è rimasta aperta fino al 2013, per sopperire agli scarsi spazi presenti a Monza, una sede distaccata del Tribunale, chiusa a partire dallo scorso 2014, dopo il riassetto delle sedi giudiziarie e la soppressione di alcune delle sedi decentrate.

La storia e la cultura della provincia di Monza e Brianza, sono ben raccontate nei numerosi musei sparsi sul territorio:
Museo del Duomo: si trova in una serie di ambienti sotterranei all'interno del Duomo. La raccolta comprende gran parte dei tesori risalenti all'epoca della regina Teodolinda, tra cui la Chioccia con i pulcini, la Croce di Agilulfo e la famosa Corona Ferrea utilizzata per incoronare Napoleone e i Re d'Italia.
Musei civici di Monza: le raccolte dei Musei civici di Monza sono attualmente collocate nei depositi della Villa Reale di Monza, in attesa di essere trasferite nella sede definitiva. Nelle raccolte sono confluite le opere della Pinacoteca Civica e del Museo dell'Arengario;
Museo etnologico di Monza e Brianza: all'interno di Villa Reale (Monza), è in attesa di essere ricomposto dopo il restauro della reggia;
Mulino Colombo;
Museo d'Arte Contemporanea: vi ha sede la pinacoteca civica inaugurata nel novembre del 2000. Frutto di una reinterpretazione del razionalismo già presente a Lissone e in Brianza, l'edificio mantiene e valorizza la parte più significativa dell'insediamento originario: all'avancorpo preesistente, riportato al suo passato splendore e svuotato per formare un unico volume destinato ad atrio d'ingresso, viene ad aggiungersi la nuova struttura architettonica retrostante. Il museo si articola su tre livelli fuori terra e un piano interrato e ospita la raccolta derivante dalle edizioni del Premio Lissone (1946-1967), oltre che ad una ricca collezione dell'artista Gino Meloni;
Museo degli attrezzi artigianali: all'interno di palazzo Vittorio Veneto, custodisce gelosamente al suo interno una collezione di antichi strumenti artigianali appartenuti agli aritigani lissonesi, per la realizzazione delle componenti del mobile e dell'arredamento;
Museo del ciclismo Ugo Agostoni, inaugurato in occasione della 69esima edizione della Coppa Agostoni;
Museo Civico "Carlo Verri", presso il Palazzo dei Verri, oggi anche sede municipale, vi è una ricca collezione storica di attrezzi, strumenti e opere del territorio;
Museo del territorio vimercatese, insediato nella Villa Sottocasa, presenta in modo interattivo documenti e reperti relativi al territorio del Vimercatese, collocato tra Monza e Trezzo sull'Adda.


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venerdì 1 luglio 2016

LA PROVINCIA DI MANTOVA

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La provincia di Mantova confina a nord-est con la Provincia di Verona, a est con Rovigo, a sud con Ferrara, Modena, Reggio Emilia e Parma, a ovest con Cremona e a nord-ovest con Brescia.

I confini amministrativi attuali della provincia hanno profonde radici storiche, corrispondendo in gran parte al Ducato di Mantova che fu uno Stato sovrano di diritto internazionale.

La Provincia di Mantova subentrò al napoleonico Dipartimento del Mincio con la nascita del Lombardo-Veneto nel 1815. In seguito alla Battaglia di Solferino e San Martino del 24 giugno 1859 le truppe franco-piemontesi conquistarono la Lombardia fino alla riva destra del Mincio, e il conseguente Armistizio di Villafranca dell'11 giugno 1859 tra la Francia e l'Austria definì i nuovi provvisori confini, spaccando in due il Mantovano che venne attraversato dal nuovo confine internazionale, considerando neutrale un lembo di terra esteso da Lazise a Borgoforte largo svariati chilometri.

Nel frattempo, su proposta del Ministro degli Interni Urbano Rattazzi, Vittorio Emanuele II emanò il Regio Decreto nº3702 del 23 ottobre 1859 sul Nuovo ordinamento comunale e provinciale del Regno (Decreto Rattazzi), e i comuni della Provincia di Mantova ricadenti a ovest del confine stabilito con l'armistizio di Villafranca furono giocoforza inseriti nelle province di Brescia e Cremona. L'Armistizio di Villafranca fu poi ratificato nel Trattato di Zurigo del 10 novembre 1859. Un atto di delimitazione dei confini tra le provincie italiane dell'Austria e il Regno di Piemonte-Sardegna avvenne a Peschiera il 16 giugno 1860. Con Legge nº106 del 26 luglio 1861 la frazione di Borghetto (Comune di Valeggio), situata sulla destra del fiume Mincio, è aggregata al Comune di Volta. Il Comune di Scorzarolo è soppresso, il territorio e l'abitato di Scorzarolo ricadenti nel Regno d'Italia vanno al Comune di Marcaria, la frazione di Ronchi e Balconcelli al Comune di Castellucchio.

Solo con la Pace di Vienna (1866) tra Italia e Austria quest'ultima acconsentì alla riunione del Regno Lombardo-Veneto al Regno d'Italia, nei limiti dei confini del Regno al momento della Pace, con i francesi che aggiunsero "sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate", sebbene nei fatti il governo italiano procedette senza attendere ad espandere la propria giurisdizione. Con plebiscito del 21 e 22 ottobre 1866 la Provincia di Mantova e le Venezie rientrano nel Regno d'Italia. Il Regio decreto 4 novembre 1866 nº3300 e la Legge 18 luglio 1867 nº3841 formalizzarono questo passaggio.

La provincia fu ricostituita il 22 febbraio 1868, data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'apposita Legge 9 febbraio 1868 n.4232, ristabilendo i confini della precedente Circoscrizione territoriale austriaca originari nel 1868, salvo una serie di piccoli aggiustamenti. La legge in oggetto comportò un'eccezionalità della provincia mantovana, che venne esplicitamente restaurata nella sua forma asburgica senza soluzione di continuità, e ciò sulla base dei fatti, dato che anche la Congregazione Provinciale austriaca era stata fino ad allora mantenuta. A partire dal 1º luglio, sulla base di quanto stabilito dal Regio Decreto 9 febbraio 1868 nº4236 e dal Regio Decreto 8 marzo 1868 nº4289, furono riattivati gli undici distretti austriaci nei loro confini del 1858, escludendo la ripartizione in circondari.

Lo stemma della Provincia, contenente i simboli di Mantova, Bozzolo e Castiglione delle Stiviere, riassume in sé l'unione di quelle tre aree e fu adottato al posto del precedente, dietro pressione di casa Savoia, la quale poco gradiva l'aquila gonzaghesca, troppo simile a quella austriaca.

Anche la Provincia di Mantova è stata duramente colpita dalle scosse del maggio 2012 con epicentro in Emilia. I comuni maggiormente danneggiati sono quelli dell'Oltrepò Mantovano appartenenti al cosiddetto "cratere sismico", in particolare Moglia, Gonzaga, Quistello, San Benedetto Po, Pegognaga, Poggio Rusco, San Giacomo delle Segnate e San Giovanni del Dosso. In questi comuni si sono avuti danni ingentissimi a edifici pubblici e religiosi, che in molti casi sono stati distrutti, ma anche all'edilizia residenziale e industriale. Seri danni si sono registrati anche a Mantova dove sono stati lesionati monumenti ed edifici di grande rilievo storico e artistico come Palazzo Te, Palazzo Ducale e il Palazzo della Ragione. Gravemente lesionata la cupola della Basilica Palatina di Santa Barbara dove è crollata la lanterna posta sulla cupola compromettendone la struttura.

Moglia risulta essere il comune più danneggiato soprattutto per quanto riguarda i danni all'edilizia abitativa che hanno portato, soprattutto a seguito delle scosse del 29 maggio, ad avere quasi mille sfollati. I danni maggiormente visibili riguardano chiesa e municipio che sono crollati sulla piazza antistante. Nella fase successiva all'emergenza risultavano essere 3000 gli sfollati nella Provincia. 21 Campi sfollati sono stati aperti in 14 comuni dei quali i più grandi erano quelli di Poggio Rusco (in cui erano presenti 2 Tendopoli e una struttura coperta per un totale di 350 posti) che ospitarono circa 400 persone, Moglia in cui venne allestito un campo gestito dalla protezione civile regionale che ospitò un massimo di 360 persone, Pegognaga che ospitò un massimo di 350 persone e San Giacomo delle Segnate dove nel campo gestito dalla Protezione civile delle varie Province lombarde sono state ospitate 300 persone. Il patrimonio artistico e monumentale dei comuni colpiti ha subito danni ingentissimi: secondo la sovrintendenza numerose sono le chiese a codice rosso tra cui la Chiesa di San Giovanni Battista a Moglia, la Chiesa di San Bartolomeo Apostolo a Quistello, le parrocchiali di Poggio Rusco, San Giovanni del Dosso, San Giacomo delle Segnate e Schivenoglia e infine il complesso Monastico di San Benedetto Po. I centri storici, esattamente come in Emilia, si sono trasformati in zone rosse e con gravi danni alle attività commerciali situate in essi. Per quanto riguarda l'economia locale i danni più ingenti in provincia si sono registrati all'agricoltura: 270 milioni di euro i danni all'agricoltura mantovana.Migliaia di forme di Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono cadute dalle scaffalature; ingenti danni anche a stalle, fienili e aziende agricole. Il comparto industriale è risultato meno colpito rispetto a quello emiliano e i danni maggiori si sono avuti nei comuni di Moglia, Gonzaga, Quistello e Poggio Rusco, comuni che ospitano zone industriali dove numerose aziende, a causa dei capannoni inagibili, sono state costrette a ricorrere alle tensostrutture. Le scosse hanno suscitato ripercussioni anche per quanto riguarda l'edilizia civile. Risultano circa 3500 le abitazioni danneggiate in Provincia di Mantova. La situazione più critica è nei comuni di Quistello, Moglia, Gonzaga, San Giacomo delle Segnate e Poggio Rusco che da soli contano la quasi totalità delle 1500 abitazioni dichiarate inagibili in tutta la provincia. Circa 28 edifici scolastici sono risultati inagibili; i comuni di Pegognaga, San Giacomo delle Segnate, Poggio Rusco e Moglia sono stati costretti a ricorrere all'utilizzo di strutture prefabbricate provvisorie. In questi ultimi due comuni si sono registrati disagi nelle procedure di appalto delle strutture che hanno rischiato di compromettere il regolare svolgimento dell'anno scolastico; tali disagi sono stati prontamente risolti da Regione e amministrazioni comunali. In Provincia di Mantova non si sono contati morti.

La provincia mantovana costituisce la propaggine sud-est della Lombardia, incuneata tra Veneto ed Emilia-Romagna, la cui forma sembra rassomigliante ad un triangolo rettangolo.

Il territorio della Provincia di Mantova è prevalentemente pianeggiante; a nord è presente una zona collinare costituita dall'anfiteatro morenico del Lago di Garda digradante verso la Pianura Padana. L'area orientale a sinistra del Po è caratterizzata da una zona pianeggiante dolcemente ondulata mentre la pianura a ridosso del Po, che sulla riva destra costituisce l'Oltrepò mantovano, è totalmente piatta.

La provincia è generalmente suddivisa in tre settori, marcati da lievi differenze culturali e linguistiche: l'Alto Mantovano, corrispondente alla zona nord posta al di sopra della linea immaginaria tra Asola e Goito; il Basso Mantovano, identificabile nella zona posta al di sotto della latitudine di attraversamento del Po; il Medio Mantovano, posto centralmente alle due zone precedenti.

Caratteristica geografica peculiare è la ricchezza di acque, diversi fiumi l'attraversano: il Po, il tratto finale dell'Oglio e del Chiese suo affluente, il tratto finale del Mincio, il tratto finale del Secchia, la parte nord-est della provincia rientra nel bacino del fiume Tione, affluente di destra del Tartaro che raccoglie le acque di risorgiva (detti fontanili) di quell'area. Il Mincio attorno a Mantova crea dei laghi (Laghi di Mantova), unici laghi di rilievo estesi interamente in Pianura Padana. Moltissimi sono i canali, dedicati all'irrigazione o alla bonifica.

L’Alto mantovano, che si estende dalla pianura alle colline dell’anfiteatro morenico del Garda, offre un paesaggio vario e, talvolta, di incomparabile bellezza. La fascia collinare con i suoi dolci declivi, i suoi vigneti e i percorsi a piedi, in bicicletta e a cavallo, propone un paesaggio dolce e di grande impatto.
Tutta questa zona presenta anche significativi esempi di architettura, specie medioevale (castelli, mura e borghi fortificati), e religiosa.

Il Medio mantovano, dove si trova Mantova, è un'area pianeggiante, attraversata dal Mincio e chiusa a sud dal Po. Dal punto di vista paesaggistico sono interessanti soprattutto le zone umide, quali le valli del Mincio fra Rivalta e le Grazie, i laghi di Mantova, la Vallazza e la Garzaia di  Valdaro, aree protette di grande rilevanza che rientrano nel Parco del Mincio, l’ente proposto alla salvaguardia oltre che delle sponde del fiume, anche delle zone circostanti, dal Garda al Po.

Il territorio dell’Oglio Po si caratterizza per la ricchezza delle acque e delle zone umide divenute zone protette dal Parco Oglio Sud, che pure è a cavallo fra le provincie di Mantova e Cremona.
Troviamo così la garzaia di Pomponesco e le torbiere di Marcarla, interessanti sia dal punto di vista naturalistico che paesaggistico. L’agricoltura e l’agroalimentare sono elementi importanti dell’economia della zona.

L’ Oltrepo mantovano è la zona della  provincia in destra Po  fino all’Emilia, che pure esercita un notevole influsso (dialetto, mentalità.  Il  territorio, estremamente fertile e ricco di produzioni agricole,  lega  la sua storia e  la sua economia al grande fiume, vero padre padrone, che spesso ha fatto sentire la sua forza con ricorrenti inondazioni. L’arginatura dell’alveo fluviale ha reso più sicure queste terre; l’ agricoltura ricca e specializzata produce  meloni, zucche, pere, angurie, cipolle. Notevole l’allevamento suinicolo e bovino.

Il 12,8% dei residenti in provincia, cioè 53.259, erano cittadini stranieri di ben 134 nazionalità e un apolide. La crescita della popolazione provinciale continua nel suo trend positivo pur non essendo più influenzata dagli effetti prodotti dal cosiddetto decreto flussi (Legge Bossi-Fini) con la quale molti stranieri furono regolarizzati nel biennio 2003-2004.
La comunità straniera più numerosa al 31/12/2010 si è rilevata essere quella indiana con 9.053 persone, seguita dalla comunità marocchina con 8.198 individui; con più di 6.000 componenti la comunità rumena e con più di 4.000 la cinese e l'albanese.

La provincia di Mantova è divisa in tre grossi gruppi dialettali: il dialetto mantovano puro (parlato a Mantova città e nella fascia centrale della provincia, appartenente all'Emiliano ma di transizione con il dialetto veronese e il dialetto alto mantovano), il dialetto alto mantovano (di natura prevalentemente lombardo orientale ma con evidenti influssi del mantovano cittadino, parlato nell'Alto Mantovano, ossia la zona settentrionale della provincia di Mantova), e il dialetto basso mantovano (di natura emiliana pura, di transizione con il ferrarese, il mirandolese e il guastallese, parlato nella zona meridionale della provincia, per l'appunto nell'Oltrepò mantovano).

Vicino al confine veronese (Ostiglia, Castel d'Ario) è percepibile la commistione col dialetto veronese (Monzambano, Roverbella, Castelbelforte, Casteldario ecc.). Abbastanza evidente è l'influenza del dialetto ferrarese sui comuni confinanti con tale provincia.

Nelle zone sud-orientali della provincia, al confine fra le provincie di Cremona e Mantova, si trova invece l'area dialettale del dialetto casalasco-viadanese, un idioma che per inflessioni, cadenze e modi di dire rappresenta un dialetto di transizione fra il dialetto mantovano, il dialetto cremonese e il dialetto parmigiano, fra i quali è incuneato. È parlato nei comuni di Gussola, Martignana di Po, Casalmaggiore, Rivarolo del Re ed Uniti, Sabbioneta, Viadana, Pomponesco e Dosolo.

La città di Mantova, sede della Corte dei Gonzaga, il cui dominio era esercitato sul territorio dell'attuale omonima provincia, fu una delle capitali politiche e culturali del Rinascimento italiano. L'illustre tradizione culturale, appannatasi dopo il Sacco di Mantova del 1630 e la fine del ducato gonzaghesco, è stata rinnovata da iniziative quali, dal 1997, Festivaletteratura e da importanti eventi espositivi come nel 2002 la Celeste Galeria su iniziativa del Centro Internazionale d'Arte e di Cultura di Palazzo Te, istituzione culturale creata nel 1990.

Il principale quotidiano provinciale, la Gazzetta di Mantova, può fregiarsi del titolo di più antico giornale d'Italia, essendo stato fondato nel 1664. La provincia di Mantova ha dato, altresì, i natali a uno dei più illustri editori italiani, Arnoldo Mondadori, nato a Poggio Rusco, che iniziò la sua attività tipografica ed editoriale a Ostiglia.

Fu a partire dal racconto storico "Un ricordo di Solferino", che Henry Dunant scrisse a seguito dell'esperienza vissuta a Solferino e a Castiglione delle Stiviere l'indomani della battaglia di Solferino e San Martino (24 giugno 1859), che prenderanno gradualmente forma la Croce Rossa Internazionale e la Convenzione di Ginevra.

Nella provincia di Mantova è diffuso il loghino, una costruzione rurale costituita dall'abitazione del contadino, con annessi il fienile e la stalla.

Lo sport più diffuso nella provincia è il calcio, del quale la squadra di maggior blasone è il Mantova Mantova che attualmente milita nel campionato di Lega Pro. Nel suo passato si annoverano 12 partecipazioni alla serie A, l'ultima delle quali nella stagione 1971-72. Partecipò altresì per 17 volte a campionati di serie B, l'ultimo nella stagione 2009/10.
Nella stagione 2012-2013 ha esordito in Seconda Divisione lo Sterilgarda Castiglione Sterilgarda Castiglione che vi rimase due anni. Guadagnò a maggio 2015 il ritorno in Lega Pro, ma vi rinunciò. Fino al 2015 ha militato nel campionato di Serie D la Castellana Castellana.
Altre squadre mantovane in passato hanno disputato campionati professionisti come il Suzzara Suzzara, che disputò anche due campionati di serie B nell'immediato secondo dopoguerra, e la Poggese Poggese che disputò un campionato di C2 nel 2001/02.

Importante la tradizione rugbystica con il Rugby Viadana e il Rugby Mantova. La squadra viadanese ha vinto lo scudetto nazionale nel campionato 2001-02, la Coppa Italia negli anni 2000, 2003, 2007 e 2013, una Supercoppa italiana nel 2007 e vanta numerose partecipazioni in Heineken cup la coppa campioni del rugby.

Nella specialità del tennis tavolo, straordinariamente rilevanti a livello nazionale e internazionale i risultati conseguiti dalla Sterilgarda Castel Goffredo che in campo maschile ha vinto 4 scudetti (2003/04/09/10) e che ha conquistato ben 13 vittorie del campionato di serie A con la squadra femminile iniziando dal 1996 una serie quasi ininterrotta conclusasi nel 2010. La Sterilgarda Castel Goffredo femminile divenne Campione d'Europa negli anni 2006 e 2007. Comunque il tennis tavolo mantovano aveva già raggiunto risultati di vertice negli anni sessanta del XX secolo, quando la squadra maschile di Asola conquistò lo scudetto nazionale nel 1964 e nel 1970.

Molto diffusa in provincia, soprattutto nell'Alto Mantovano, l'attività agonistica del tamburello, tanto che nell'anno 2012 sono state cinque, tra dodici, le formazioni mantovane partecipanti al campionato di serie A: AT Medole, Solferino, AT Ennio Guerra Castellaro, Cavrianese e Malavicina.
A partire dal 1947, quando la Polisportiva Castel Goffredo si aggiudicò il suo primo scudetto, il campionato di serie A di tamburello è stato vinto più volte da formazioni mantovane: Polisportiva Castel Goffredo (3), Medole Canova Martini (3), AT Ennio Guerra Castellaro (2), G. Carpani Goito (2), Ongari Marmirolo (2).

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LA PROVINCIA DI LODI

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La provincia di Lodi confina a nord con la città metropolitana di Milano, ad est con la provincia di Cremona, a sud con l'Emilia-Romagna (provincia di Piacenza), ad ovest con la provincia di Pavia e con l'exclave di San Colombano al Lambro (città metropolitana di Milano).

Fu istituita il 6 marzo 1992, a seguito dello scorporo di 61 comuni dalla allora provincia di Milano.

Nella provincia cinque comuni si fregiano del titolo di città: Lodi, Codogno, Casalpusterlengo, Lodi Vecchio e Sant'Angelo Lodigiano.

Sebbene istituita di recente, le origini storiche di questa provincia ben inserita in una tipologia ambientale omogenea di bassa pianura e delimitata da grandi fiumi, risalgono almeno a 2 millenni fa.

Il primo riconoscimento giuridico si ebbe nell'89 a.C. con Gneo Pompeo Strabone e nel 49 a.C. con Giulio Cesare che concesse la cittadinanza romana ai cittadini di Laus Pompeia. Il territorio era conosciuto come ager laudensis.

La Diocesi di Lodi sorgerà nel 374, garantendo anche nei tempi più calamitosi la coesione di tutto il territorio.

Nel Basso medioevo ci fu un'eccezionale opera di bonifica dei vasti luoghi paludosi del territorio attraverso uno splendido lavoro di ingegneria idraulica, che rese il Lodigiano una delle terre più fertili d'Europa.

Nei secoli successivi all'età dei Comuni, al territorio venne riconosciuta dai vari dominatori una certa libertà amministrativa (contado di Lodi). Fu però con l'avvento degli austriaci nel XVIII secolo che si ebbe il riconoscimento pieno del Lodigiano; il contado infatti assunse forma di provincia nel 1757, e ne assunse formalmente il nome nel 1786, con la riforma di Giuseppe II.

Dopo la tumultuosa parentesi napoleonica (con l'effimera costituzione del Dipartimento dell'Adda nel 1797, poi annesso al Dipartimento dell'Alto Po con capoluogo Cremona), nel 1816 fu ripristinata la Provincia, che acquisì anche il Territorio Cremasco e prese il nome di Provincia di Lodi e Crema.

La Provincia venne abolita nel settembre 1859 dal governo del regno di Sardegna, dopo soli tre mesi dalla conquista della Lombardia (Decreto Rattazzi). Da allora furono avanzate richieste al Governo per la ricostruzione della Provincia, ma il tutto inutilmente. Il territorio lodigiano fu degradato a circondario della provincia di Milano, anch'esso soppresso nel 1927.

Nel dopoguerra il Lodigiano, che nel ventennio fascista aveva subito un periodo di stasi, cerca di recuperare le tradizioni: alla fine degli anni quaranta sorge l'ATSIL, associazione di tutela e sviluppo del Lodigiano. Nel 1959 si prende la decisione di far nascere un consorzio tra i Comuni lodigiani pur nell'ambito della Provincia di Milano; questo consorzio verrà costituito il 4 maggio 1965 con decreto prefettizio.

L'ipotesi di una maggiore autonomia si ebbe a partire dal 1970, quando vengono istituite le regioni.

Il 6 marzo 1975 viene istituito il Circondario di Lodi da parte della Regione Lombardia. È il riconoscimento di fatto che, per la Regione, il territorio lodigiano ha i requisiti del livello provinciale.

Tra il 15 gennaio e il 16 gennaio 1992 la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica esprimono parere favorevole all'istituzione della Provincia di Lodi. Il 27 febbraio 1992 il Consiglio dei ministri ne delibera l'approvazione. Il giorno dopo arriva anche il consenso della Regione Lombardia.

Con decreto legislativo del 6 marzo 1992 il Presidente della Repubblica istituisce ufficialmente la Provincia di Lodi.

Nel 1992 a Codogno è stato indetto un referendum popolare sull'adesione alla nascitura Provincia di Lodi. L'89% dei cittadini ha votato "no", testimoniando la volontà dei codognesi a restare nella Provincia di Milano. Nonostante ciò, il referendum di Codogno, così come quello della vicina Fombio, non ha avuto un'applicazione, e la città è stata inserita all'interno della nuova Provincia. Altri comuni, come San Colombano al Lambro, Cerro al Lambro, San Zenone al Lambro e Dovera sono invece riusciti a vedere applicata la volontà popolare, restando nelle province di appartenenza (Milano e Cremona).

Il territorio lodigiano si estende per circa 780 km² ed è quasi interamente delimitato dalla riva destra dell'Adda, dalla sponda sinistra del Lambro e dalla riva sinistra del Po. Gli elementi tipici sono proprio i corsi d'acqua naturali e artificiali, e una regolare pianura inclinata leggermente da Nord a Sud-Est (declivio circa dell'1.5 per mille). Unica eccezione, il limitato rilievo delle colline di San Colombano al Lambro, che raggiungono l'elevazione massima di 144 metri sul livello del mare. Il terreno è tipicamente alluvionale, generalmente composto di arena o siliceo calcarea, o argilloso silicea e calcarea che unita a strato di carbonato di calcio, mista spesso ad allumina, forma la crosta vegetale o arabile.

Il territorio, a ridosso della grande metropoli di Milano, pur rimanendo a vocazione agroalimentare, ha una caratterizzazione socio-economica determinata dal pendolarismo, dall'artigianato e dalla piccola e media impresa.Forte è l'impiego nel settore dell'industria e soprattutto in quello dei servizi.

Accanto a Lodi, città capoluogo, che conta circa 45.000 abitanti, esistono due città (Codogno e Casalpusterlengo) attorno alle quali fervono le attività e gli interessi del Basso Lodigiano affacciato sul Po; ci sono poi le città di Sant'Angelo Lodigiano (tra il Lambro e la provincia di Pavia) e di Paullo (centro nevralgico dell'Alto Lodigiano a una decina di chilometri da Milano), l'antica cittadina di Laus Pompeia (odierna Lodi Vecchio) e la borgata collinare di San Colombano al Lambro. Verso tutte queste differenti realtà gravitano le popolazioni dei territori circostanti.

Il terreno è tipicamente alluvionale e la composizione del suolo, reso fertile dall’instancabile opera di bonifica intrapresa già dai monaci cistercesi, lo rende particolarmente adatto alle coltivazioni.

Queste caratteristiche hanno indirizzato lo sviluppo economico verso la filiera agro-alimentare cioè in direzione della trasformazione, lavorazione e vendita dei prodotti di origine agricola. Il Lodigiano è infatti uno dei più importanti centri italiani per l’agricoltura e per l’allevamento, tanto da costituire un polo di livello europeo nel settore zootecnico: alle porte di Lodi, sorge il Parco Tecnologico Padano, polo internazionale per lo studio della genetica degli alimenti e per il sostegno e l’innovazione del comparto agro-alimentare.


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LA PROVINCIA DI PAVIA

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La provincia di Pavia confina a nord con la città metropolitana di Milano, a est con la provincia di Lodi, con l'exclave di San Colombano al Lambro (città metropolitana di Milano) e con l'Emilia-Romagna (provincia di Piacenza), a sud-ovest, a ovest e nord-ovest con il Piemonte (provincia di Alessandria, provincia di Vercelli, e provincia di Novara).

Attraversata dai due maggiori fiumi italiani per portata, il Po e il Ticino, che confluiscono quasi nel suo centro, la provincia di Pavia appare, a seconda dei punti di vista, divisa o unita da questi fiumi. Superficialmente si direbbe divisa, e tale fu storicamente quando il suo destino fu deciso da forze esterne, per le quali un fiume poteva essere un comodo confine amministrativo o politico-militare. Al contrario, quando furono le forze locali a poter giocare un ruolo determinante, prevalse la tendenza all'unione delle terre lungo i fiumi, principali vie di comunicazione nella pianura, e motivo di coesione. Così i Romani, che divisero il territorio addirittura fra tre regioni diverse, non tennero in alcun conto le precedenti aggregazioni etniche, che - come diremo - appaiono organizzate lungo i fiumi. Nel Medioevo fu la città di Pavia ad aggregare di nuovo il territorio, ma nel XVIII secolo, nel dominio assoluto delle cancellerie europee, esso fu smembrato tra stati diversi, e Napoleone, padrone di tutte queste aree, non volle accondiscendere al desiderio delle popolazioni di essere riunite. Va dunque ascritto a merito del governo sabaudo, nel 1859, di aver riunito definitivamente il territorio pavese, anche a costo di modificare l'assetto amministrativo precedente.

Gli scarsi cenni, ricavabili dagli autori antichi e dalla toponomastica, sulle popolazioni che abitavano il territorio attorno alla confluenza del Ticino nel Po, ci consentono di avere un pur vago disegno del quadro etnografico fino al II secolo a.C.

Il popolo più importante era probabilmente quello dei Marici, citati da Plinio che ne fa, assieme ai Levi, i fondatori di Pavia (Ticinum). Entrambi erano di stirpe ligure: i Marici si distendevano lungo il Po nelle province di Pavia e Alessandria, i Levi lungo il Ticino. Proprio alla confluenza dei due fiumi questi popoli confinanti fondarono Pavia, probabilmente come loro mercato e luogo di incontro.

Più a ovest, a nord del Po, si trovavano i Libìci (Lebeci secondo Polibio), che occupavano la Lomellina occidentale e l'adiacente Vercellese. Non sembra avere invece consistenza storica il fantomatico popolo degli Iriati, nato dall'arbitraria correzione del nome degli Iluati, citati da Livio, per ottenere una suggestiva ma superflua connessione con il nome della città di Iria, Voghera.

I Romani giunsero nella provincia di Pavia nel III secolo a.C., al tempo delle guerre contro i Galli e i Cartaginesi. Nel 222 a.C. sconfissero gli Insubri a Clastidium, nell'Oltrepò Pavese, uno dei principali villaggi dei Marici loro alleati. Nel 218 a.C. furono sconfitti da Annibale presso il Ticino. La successiva colonizzazione ebbe come centro propulsore la vicina colonia latina di Piacenza, la cui centuriazione si distese su tutta la pianura dell'Oltrepò.

La fondazione, attorno al 120 a.C., della colonia di Tortona, determinò il passaggio all'area di influenza di tale città della parte occidentale dell'Oltrepò Pavese (Voghera). La colonizzazione di Pavia (187 a.C.) fu pure realizzata con la centuriazione della pianura a nord del Po e ad est del Ticino, mentre la parte a ovest del Ticino non conserva tracce di centuriazione (se non attorno a Vigevano, dove giungeva la colonizzazione di Novara), per cui è da ritenersi che nella Lomellina, come forse nella parte collinare dell'Oltrepò, più a lungo si mantenesse l'elemento indigeno. La zona a nord del Po, nella suddivisione dell'Italia in regioni operata da Augusto, fu attribuita alla Transpadana, mentre l'Oltrepò fu suddiviso tra l'Emilia e la Liguria lungo il confine tra le aree di influenza di Piacenza e Tortona.

Nel 572 Pavia fu conquistata dai Longobardi, che ne fecero la loro capitale. I Longobardi organizzarono le loro conquiste in ducati, ma la geografia amministrativa del territorio pavese in questo periodo non è nota. Il re Rotari nel 643 emise il celebre editto e si ebbe una rinascita religiosa, con la fondazione del Monastero di San Pietro in Ciel d'Oro.

Nella successiva età carolingia il territorio venne diviso in contee: nella provincia di Pavia furono istituite quelle di Pavia, di Lomello (da cui si originò la Lomellina), a nord del Po. Il territorio a sud del fiume apparteneva nella parte occidentale alla contea di Tortona, nella parte centrale e orientale (ecclesiasticamente nella diocesi di Piacenza) rimase forse nel territorio piacentino, come in epoca romana. La città era attraversata dalla "Roggia Carona, che permise con le sue acque la nascita di diverse attività artigianali.

Nel 996 è conte di Lomello Cuniberto; lascia la contea ai figli Aginulfo e Ottone I, che nel 1001 concentra nelle sue mani anche le cariche di Conte di Pavia e di Conte Palatino (la maggiore carica giudiziaria del Regno), con sede nel Sacro Palazzo (Palazzo Reale) di Pavia. Nel 1024, alla morte dell'Imperatore Enrico II, i Pavesi distrussero questo palazzo, e i Conti Palatini si ritirarono in Lomellina, loro dominio originario, dove resistettero alle pressioni del nascente comune pavese; furono infine sottomessi e costretti a stabilirsi in città. Nello stesso tempo il Comune di Pavia cominciò a estendere la propria influenza sull'Oltrepò, dove già il Vescovo e vari monasteri della città avevano la signoria su numerosi paesi.

La città di Pavia stava quindi nuovamente unificando il territorio di quei popoli che l'avevano fondata molti secoli prima. Questo stato di fatto fu ufficializzato nel 1164 da Federico I, che attribuì a Pavia l'intera Lomellina e gran parte dell'Oltrepò. Rimaneva indipendente la zona meridionale dell'attuale provincia. Per il possesso di queste terre Pavia dovette lottare a lungo con i Comuni vicini, specie con Piacenza, raggiungendo infine una certa stabilità di confini. Ma la più pericolosa nemica di Pavia fu senza dubbio Milano, che le contese a lungo il possesso della Lomellina.

I Pavesi esercitarono sul loro territorio un potere signorile, mantenendo per secoli una condizione di privilegio rispetto agli abitanti rurali. I nobili pavesi vi possedevano la maggior parte dei beni fondiari, e questa situazione ancora sussisteva nel XVIII secolo. Dal punto di vista amministrativo, l'area soggetta a Pavia era divisa in quattro zone molto disuguali, convergenti sulla città, secondo i punti cardinali, ovvero le porte da cui tali zone si raggiungevano:
a nord la Campagna Soprana (da porta Laudense);
a est la Campagna Sottana (da porta Oria);
a ovest la Lomellina (da porta Marica);
a sud l'Oltrepò con il Siccomario (da porta del Ponte).
Nei primi secoli del dominio pavese avvenne una sorta di osmosi tra le famiglie nobili di origine cittadina, che acquisivano terre, castelli e signorie nel territorio soggetto alla città, e le famiglie signorili locali di tale territorio, che si stabilivano in città, confondendosi con le prime. In tal modo si formò un'omogenea classe dominante, di famiglie che non mancavano d'avere un piede in città e uno nel contado, di qui una torre, di là un castello. In tal modo le lotte politiche interne alla città, che videro schierarsi le maggiori famiglie, ebbero immediata ripercussione nel dominio pavese.

Tra queste famiglie dobbiamo ricordare in particolare:
i Conti Palatini, da cui discesero i Langosco, gli Albonese, gli Sparvara e i Gambarana, capi della parte guelfa;
i Sannazzaro, anch'essi di parte guelfa;
i Beccaria, capi della parte ghibellina;
i Belcredi, di parte ghibellina;
i Giorgi, di parte ghibellina, ma spesso nel ruolo di pacieri.
La lotta si focalizzò sulle casate dei Langosco e dei Beccaria, che avevano i loro punti di forza rispettivamente in Lomellina e nell'Oltrepò. Alla fine però ebbero la meglio i Visconti di Milano, che presero la città nel 1359, dopo aver assoggettato tutto il territorio. Quando i domini viscontei furono elevati a Ducato con decreto imperiale (1395), il territorio pavese prese il nome di Contea di Pavia, ed era appannaggio del Duca di Milano o del suo erede.

Nel 1499 il territorio pavese, passato con Milano agli Sforza, ebbe dall'imperatore la qualifica di Principato, che lo poneva al secondo posto dopo il Milanese tra le province sforzesche. Nel 1535 passò con Milano alla Spagna. Nel 1564 il governo spagnolo, riconosciuta l'iniquità dei privilegi fiscali dei cittadini pavesi rispetto ai rurali, promosse la costituzione di congregazioni con la finalità principale di distribuire equamente tra le comunità il carico fiscale. Le congregazioni ebbero più in generale funzioni di coordinamento amministrativo e rappresentanza delle istanze locali di fronte al potere centrale.

Non erano elette direttamente dalla popolazione, ma formate dai rappresentanti dei comuni principali; erano quattro, una per ognuna delle zone in cui era diviso il Principato; al di sopra si poneva la Congregazione generale del Principato, formata da 21 rappresentanti (7 per l'Oltrepò, 7 per la Lomellina, 4 per la Campagna Sottana e 3 per la Campagna Soprana), da cui era eletta una giunta formata da cinque sindaci, i quattro a capo delle congregazioni locali e il Sindaco generale. Nel secolo XVII la congregazione della Lomellina si staccò da quella generale del Principato; quest'ultima ebbe 24 delegati (12 per l'Oltrepò e 6 per ciascuna delle Campagne pavesi), e altrettanti ne ebbe la Congregazione della Lomellina.

Il Principato di Pavia non aveva esattamente la stessa estensione dell'attuale Provincia. Comprendeva le seguenti zone:
la città di Pavia;
il Parco Vecchio, situato a nord della città, cinto da mura e comprendente la parte originaria dell'antico parco visconteo;
il Parco Nuovo, tra il Parco Vecchio e la Certosa;
il Vicariato di Settimo, cuneo del territorio milanese tra la Campagna Soprana e Sottana e il Parco Nuovo, amministrato da Pavia, comprendente Bornasco e Zeccone;
la Campagna Soprana, a nordovest dei territori precedenti, fino al Ticino;
la Campagna Sottana, a sudest dei medesimi, fino al Po;
l'Oltrepò, che a sud giungeva fino a una linea comprendente Rivanazzano, Torrazza Coste, Montalto Pavese, Rocca de' Giorgi e Canevino, e isolati a sud di tale linea Montesegale, Torre degli Alberi e Pizzocorno; inoltre comprendeva a nord del Po il Siccomario e Mezzana Bigli, e infine Sale, Piovera e Guazzora (attualmente in provincia di Alessandria);
aggregate al territorio pavese, le giurisdizioni situate a sud dell'Oltrepò nella Contea di Bobbio: Fortunago, Godiasco, Varzi, Cecima, Cella, Pregola, Zavattarello, e infine Trebecco e Bobbio (ora in provincia di Piacenza);
la Lomellina, cioè la zona tra Po e Ticino a ovest del Siccomario, che comprendeva anche Bastida Pancarana a sud del Po, e inoltre Valenza e Bassignana (attualmente in provincia di Alessandria).
Non comprendeva invece:
la provincia del Vigevanasco, formata da due gruppi di paesi attorno a Vigevano e Robbio;
il territorio di Landriano, Bascapè e Torrevecchia Pia, e quello di Vidigulfo e Siziano, appartenenti al milanese (Vicariato di Binasco e Pieve di San Giuliano); essi furono uniti al territorio pavese nel 1786;
la signoria di Bagnaria, feudo imperiale;
Monticelli Pavese, nel ducato di Piacenza.

Nel XVIII secolo avvenne lo smembramento del territorio pavese: nel 1707 la Lomellina, e nel 1744 l'Oltrepò con il Siccomario furono annessi al Piemonte, cui fu ceduto anche il Vigevanasco. La Lomellina, il Vigevanasco e l'Oltrepò Pavese divennero province piemontesi con capoluoghi rispettivamente Mortara, Vigevano, Voghera e Bobbio. La provincia di Lomellina aveva però perso Valenza, Bassignana e cinque piccole terre lungo il Tanaro, unite ad Alessandria. A Pavia rimase un piccolo territorio, appartenente alla Lombardia austriaca, col nome di Principato prima e di Provincia dal 1786. Nel periodo napoleonico (1797 - 1814) l'unione del territorio pavese non venne ripristinata.

È significativo come, essendo stato richiesto agli abitanti dell'Oltrepò con un referendum a quale territorio volessero essere uniti, e avendo essi risposto che volevano tornare con Pavia, la loro volontà sia stata semplicemente ignorata dal governo francese. La divisione pertanto continuò: Pavia con le Campagne fu annessa al Dipartimento d'Olona, la Lomellina e il Siccomario al Dipartimento dell'Agogna, che furono parte della Repubblica Italiana e del Regno d'Italia; l'Oltrepò, aggregato prima al Dipartimento di Marengo (Alessandria) e poi al Dipartimento di Genova, fece parte della Repubblica e poi Impero Francese. I confini furono rettificati, e fatti coincidere con linee naturali (in particolar modo il Po divenne confine di Stato: così l'Oltrepò perse Mezzana Bigli ma acquistò Bastida Pancarana).

Nel 1814, con il ritorno degli antichi regimi, le precedenti suddivisioni furono ripristinate, ma ben presto furono operate alcune modifiche per razionalizzare i confini. La provincia di Pavia, appartenente al Regno Lombardo-Veneto, fu ingrandita con i territori attorno ad Abbiategrasso (antiche pievi milanesi di Corbetta e Rosate), e inoltre con Monticelli Pavese ceduto dal Ducato di Parma e Piacenza (già dal 1786 alla provincia di Pavia era stato unito il Vicariato di Binasco ex milanese, e parte della pieve di San Giuliano). La Lomellina e il Vigevanasco (tranne Vinzaglio) furono uniti in una sola Provincia, appartenente alla divisione di Novara; l'Oltrepò invece fu diviso in due province, facenti capo a Voghera e a Bobbio, e appartenenti rispettivamente alle divisioni di Alessandria e Genova. L'Oltrepò perse Sale, Piovera e Guazzora, uniti alla provincia di Alessandria, ma acquistò Bagnaria, staccato da Tortona.

All'alba dell'unità d'Italia, nel 1859, l'amministrazione piemontese fu riformata (Decreto Rattazzi del 23 ottobre 1859): le province furono ridotte a circondari di nuove più ampie province coincidenti per lo più con le vecchie divisioni; i territori piemontesi dell'attuale provincia dunque erano destinati ad essere uniti alle province di Novara, Alessandria e Genova; ma l'annessione della Lombardia al regno di Sardegna permise di unire le tre ex province di Lomellina, Voghera e Bobbio alla provincia di Pavia. Quest'ultima peraltro restituì a Milano la zona di Abbiategrasso e Binasco, ma conservò a Pavia quella di Vidigulfo e Landriano.

Le variazioni non erano però finite: nel 1923 la città di Bobbio con buona parte del suo circondario comprendente anche i comuni di Trebecco, Caminata, furono unite alla provincia di Piacenza e in minor misura a quella di Genova; alcuni comuni tra cui Zavattarello, Ruino, Romagnese, ritornarono a Pavia due anni dopo. Dopo di allora si sono avute solo modifiche marginali.

Nel 1936 venne aggregato alla provincia di Pavia l'ex comune di Cantonale, già appartenente alla provincia di Milano.


È percorsa dai fiumi Ticino e Po, che si incontrano 4 km a sud del capoluogo e che la dividono in tre zone: il Pavese, totalmente in Pianura Padana, a nordest, la Lomellina, anche questa totalmente in Pianura Padana, a nordovest, tra Ticino e Po, e l'Oltrepò, in territorio appenninico, a sud. Il territorio del Siccomario, alla confluenza dei due fiumi, si troverebbe in Lomellina, ma, per motivi storici, è considerato parte del Pavese.

Un altro importante corso d'acqua della provincia è l'Olona. Si tratta di un colatore alimentato da rogge e risorgive che trae origine nelle campagne attorno a Bornasco, attraversa la campagna pavese e confluisce nel Po presso San Zenone. Tale corso d'acqua non è da confondersi con l'omonimo fiume che nasce nelle Prealpi Varesine, e confluisce a Milano nel Lambro Meridionale. Prima delle deviazioni operate dai Romani i due fiumi costituivano un unico corso d'acqua, da cui deriva l'omonimia mantenutasi sino ai giorni nostri.

Per un breve tratto interessa la provincia anche il fiume Lambro. Maggiore è il tratto compiuto nella provincia dal suo affluente colatore Lambro meridionale, derivato dall'Olona a Milano, riceve le acque in eccesso dei navigli, e scorre al confine tra le province di Pavia e di Lodi.

La Staffora è il maggior fiume dell'Oltrepò Pavese e confluisce nel Po, dopo un percorso di 58 km. Altri corsi d'acqua dell'Oltrepò sono i torrenti Coppa, Scuropasso, Tidone, Versa e Avagnone (che confluisce nel Trebbia).

Nella parte più meridionale dell'Oltrepò Pavese il confine è segnato in val Trebbia per una piccola porzione dal fiume Trebbia, il punto più a sud è posto nel comune di Brallo di Pregola accanto alla frazione emiliana di Ponte Organasco (Cerignale - provincia di Piacenza).

Nella Lomellina scorrono la Sesia, al confine con le province di Alessandria e Vercelli e, paralleli a questa e al Ticino, i piccoli fiumi Agogna e Terdoppio, provenienti dal Novarese.

La provincia è in gran parte pianeggiante. La pianura a nord del Po ha una base sabbiosa, specialmente in Lomellina, ove affiorano alcuni sabbioni (resti di antiche dune) un tempo assai più numerosi. Nell'Oltrepò la poca pianura presente è prevalentemente argillosa; a sud della limitata fascia pianeggiante l'Oltrepò presenta un'ampia area collinare facente parte della catena Appenninica che lentamente si innalza in modeste montagne (tutte sotto i 1000 m). Solo all'estremità meridionale, a sud di Varzi, quasi all'improvviso le montagne si fanno più impervie e raggiungono altitudini considerevoli con alcune delle maggiori vette dell'Appennino Ligure: il Monte Lesima (la maggiore elevazione della provincia con i suoi 1724 m), il Monte Chiappo (1700 m), la Cima Colletta (1494 m), il Monte Bogleglio (1492 m) e il Monte Penice (1460 m).

La Lomellina è la terra del riso per antonomasia, dal momento che sulla superficie di quasi 1065 chilometri quadrati vi è una concentrazione eccezionale di campi nei quali si coltiva il cerale più diffuso al mondo.

Tutti portiamo nella mente le fotografie in bianco e nero delle mondine che lavoravano nelle risaie con l'acqua fino alle ginocchia, intente ad intonare i loro celebri canti.

Molto tempo è passato ed oggi la Lomellina presenta punte d'eccellenza in diversi settori industriali, anche se la coltivazione del riso è tuttora la più significativa attività produttiva.

L'Oltrepò costituisce la zona più meridionale della provincia, incuneata tra il Piemonte e l'Emilia Romagna. Un territorio di circa 1100 chilometri quadrati che racchiude vaste pianure, colline e montagne.

L'Oltrepò è sinonimo di ottimi vini con le dolci colline costellate di ordinati filari di uve che donano i pregiati vini DOC rossi, bianchi e rosati.

Bellissime vallate, tra le quali le celebri Valle Staffora e Val Tidone, che mantengono vive le tradizioni del passato nell'equilibrio tra la protezione della natura e lo sviluppo industriale.



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martedì 28 giugno 2016

LA PROVINCIA DI LECCO

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La provincia di Lecco dal 2007 è compresa all'interno della regio Insubrica, di cui rappresenta l'appendice orientale, e della regione storica insubre.

Le prime tracce dell'uomo della provincia di Lecco sono i ritrovamenti della Valle del Curone tra i comuni di Montevecchia e Rovagnate, reperti attribuibili all'uomo di Neanderthal e risalenti addirittura a 62.000 anni fa.

Nell'Alto Medioevo divenne il centro di un importante sistema fortificato, posto a difesa di Mediolanum su cui gli archeologi hanno condotto importanti campagne di scavo sul Monte Barro, a Galbiate, a Garlate e a Civate. Feudo degli Attonidi nel X secolo a partire dal XII secolo il territorio lecchese fu gradatamente incorporato nel distretto del Comune di Milano, rimanendo suddiviso in due Comitati, quello di Lecco e quello della Martesana.

Dal 1528 al 1532 costituì un feudo direttamente dipendente dal Sacro Romano Impero affidato al conte Gian Giacomo Medici.

Nel 1797 la Repubblica Cisalpina istituì il dipartimento della Montagna, con capoluogo Lecco, che coincideva quasi completamente con l'attuale provincia. Ma il dipartimento ebbe vita breve, e il territorio venne aggregato l'anno successivo al dipartimento del Serio, con capoluogo Bergamo.

Con la proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 il Lecchese fu aggregato al nuovo dipartimento del Lario, poi divenuto la provincia di Como.

Anche sotto il Regno d'Italia il territorio fece parte della provincia di Como, costituendone un circondario, soppresso nel 1927.

Da allora datano i tentativi di ottenere una provincia staccata da quella di Como ma soltanto nel 1992 il risultato fu raggiunto con lo scorporo di numerosi comuni delle province di Como e Bergamo. Fino alla nascita della provincia di Lecco, 84 dei 90 comuni che inizialmente la costituirono erano situati appunto in territorio comasco. Sei (Calolziocorte, Vercurago, Monte Marenzo, Torre de' Busi, Erve e Carenno) si sono invece staccati dalla provincia bergamasca.

Lo stemma della Provincia è stato approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del 4 settembre 1996 con la seguente descrizione:
“Troncato semipartito; nel primo, di verde al fiore della Alpi di sei petali, di rosso; nel secondo, di argento, alla croce di rosso; nel terzo, al leone d’oro, rivoltato, con la testa di fronte. La presenza del leone rampante, su fondo azzurro, il colore del cielo e del lago, che risulta inserito anche nello stemma della città di Lecco, testimonia le doti congenite della sua gente: la forza, il coraggio e la fierezza”.
Per saperne di più sui “segni” dello stemma …

Nella parte superiore il segno noto come “Sole o fiore delle Alpi” riprende un antichissimo disegno che ricorre nell’iconografia popolare di una vasta area culturale comprendente le Alpi, la pianura padana ed altre regioni dell’Europa centrale; la continuità e la diffusione del segno concorrono alla sua legittimazione come “simbolo” qualificante. Si tratta di un’immagine antichissima che ha avuto successo sia per la sua carica metaforica legata ai culti solari, che per la bellezza e la relativa facilità di esecuzione del suo disegno.
Nella parte inferiore la “Croce Rossa” in campo argento rappresenta i colori e i fasti della famiglia Visconti di Milano, ancora oggi presente in Lecco con le vestigia del Ponte Vecchio e della Torre Viscontea.
Il “Leone rampante” su fondo azzurro, il colore del cielo e del lago, è stato inserito per evidenziare la forza, il coraggio e la fierezza.

Confina a nord e a ovest con la provincia di Como, a est e a nord con la provincia di Sondrio, a est con la provincia di Bergamo e a sud con la provincia di Monza e Brianza.

La Provincia di Lecco è stata istituita con D.P.R. 6 marzo 1992, n. 250. Le elezioni per la nomina del primo Presidente della Provincia di Lecco si sono tenute il 23 aprile (primo turno) e il 7 maggio 1995 (ballottaggio). La proclamazione del presidente, l'avvocato Mario Anghileri, è avvenuta il 9 maggio seguente.

La provincia di Lecco ha una superficie di soli 814,58 km². Ben più di 600 km² si trovano oltre il fiume Adda, nella Valsassina. I rimanenti sono situati nell'Oggionese, nel Casatese e nel Meratese. Inoltre vi sono 16 km² appartenenti al comune di Oliveto Lario che, anche se situati sull'altra sponda del Lago di Como, in Vallassina, rientrano nell'area prealpino lariana pre Lecchese. Nel territorio non è presente per niente la pianura. La Provincia è per più del 70% montuosa, mentre per il 30% è collinare. I principali rilievi montuosi sono:
a nord il Monte Legnone, alto 2609 m;
al centro lo spettacolare gruppo delle Grigne comprendente: la Grigna Settentrionale o Grignone alta 2409 m e la Grigna Meridionale o Grignetta con altitudine di 2184 m;
a ovest, oltre il lago il Monte Cornizzolo alto 1240 m e il Monte Rai alto 1259 m;
a est, il Monte Serrada o Resegone di Lecco alto 1875 m con la sua caratteristica forma che ricorda i denti di una sega;
al centro-sud il Monte Barro alto 922 m e compreso nel parco regionale del monte Barro.
La provincia è una zona molto lacustre, è bagnata infatti dal Lago di Como e contiene nel territorio il Lago di Annone, di Garlate e di Olginate. A ovest i comuni di Rogeno, Bosisio Parini e Cesana Brianza si affacciano sul Lago di Pusiano. Anche i fiumi sono numerosi, i principali: il fiume Adda a Lecco, il fiume Lambro a Costa Masnaga, Rogeno e Nibionno. Altri fiumi minori sono il Molgora, la Bevera, affluente del Lambro, il Pioverna che scorre in Valsassina e il Varrone che scorre nella Val Varrone.

In tutta la Provincia vi sono ancora numerose zone boschive, soprattutto nella Valsassina dove troviamo numerose foreste ad aghifoglie e fiori anche rari come le genziane. Sul fiume Lambro la vegetazione è ridotta a foreste di latifoglie, pioppi, querce e numerosi fiori. Le montagne, a parte sulle pendici si presentano comunque piuttosto spoglie con esclusivamente estese zone di prati adatti al pascolo. La fauna è cambiata parecchio da quella di alcuni secoli prima, ad esempio il cinghiale che prima era numeroso ora si è piuttosto ridotto e lo si trova sul Cornizzolo o in Valsassina. Sono presenti caprioli, volpi, lepri, falchi e poiane, aironi.

La popolazione della Provincia di Lecco è in continua crescita, non per un comune saldo naturale tra nati e morti, ma per l'alta immigrazione da altri comuni o da altri stati. Basti pensare che nel 2001 la popolazione era di 311.000 abitanti ed è ora di 341.000, ben 30.000 abitanti in più. I comuni sono 88, e solo sei di essi superano i 10.000 abitanti. La Provincia è quindi caratterizzata da un'altissima frammentazione amministrativa in Comuni, soprattutto nella Brianza Lecchese, dotati di un'estensione territoriale minima, in alcuni casi inferiore ai 2 km². Questo determina, tra l'altro, un marcato disordine urbanistico, in particolare nell'agglomerazione urbana monocentrica di Lecco.

Nella Provincia troviamo il Parco regionale della Valle del Lambro (Cesana Brianza, Bosisio Parini, Rogeno, Costa Masnaga, Nibionno), il Parco regionale di Montevecchia e della Valle di Curone, il Parco dell'Adda Nord, il Parco naturale del Monte Barro (Galbiate), la Riserva regionale del Lago di Sartirana e numerose zone che non essendo parchi, sono comunque posti ben tenuti e soprattutto ricchi di vegetazione e fauna. Tra le aree di interesse troviamo niente meno che il Lago di Como, che da Lecco dove prende l'omonima denominazione arriva a Colico, i vari laghi di Annone, Pusiano, Olginate, il piccolo lago di Sartirana, il Monte Barro, le Grigne, la Valsassina e la zona collinare della Brianza (Cassago Brianza, Casatenovo, Monticello Brianza). Molto conosciuto è anche il fiume Adda che forma una specie di piccolo canyon nel Meratese, caratterizzato dalla presenza lungo il suo corso dell'Ecomuseo Adda di Leonardo, dove in particolare si trova a Paderno d'Adda, il caratteristico Ponte San Michele in ferro, a Robbiate le dighe leonardesche e ad Imbersago il traghetto.

La straordinaria presenza di chiese, conventi, monasteri, abbazie, antiche cappelle, fanno della Provincia di Lecco, già nota per la bellezza del suo Lago e delle sue montagne, un territorio ricco di storia, arte e spiritualità.
Gli edifici romanici, inseriti in un ambiente suggestivo testimoniano la capacità dell'uomo medievale di esprimere una piena armonia tra architettura e natura, creando luoghi di grande bellezza.
Il tema del Romanico rappresenta infatti un filo rosso che conduce il visitatore attraverso i diversi contesti naturalistici e paesaggistici della provincia, alla scoperta di straordinarie testimonianze architettoniche e archeologiche, risalenti ai primi secoli dell’era cristiana.
Lungo la riva lecchese del Lago sono presenti diversi monumenti del romanico tra cui la Chiesetta di S. Giorgio a Mandello del Lario, posta su uno sperone roccioso a picco sul lago e infine la superba Abbazia di S. Nicolò a Piona, il cui antico nucleo risale all’età longobarda. Anche nelle valli si conservano tesori dell'arte romanica. Particolare menzione meritano, in Valsassina, la Chiesa di S. Margherita a Casargo, legata al culto dei santi eremiti lariani e, in Valle San Martino, la chiesa di S. Margherita a Monte Marenzo, per lo straordinario ciclo d’affreschi, oltre all’Oratorio di S. Stefano a Torre de’ Busi, annesso al complesso della chiesa di S. Michele.
Percorrendo l'estremità inferiore del Lago di Lecco, si prosegue lungo la vallata del fiume Adda che, fin dall'età alto-medievale, costituiva il confine tra feudi e dominazioni diverse. Le sue sponde sono infatti ricche di castelli, chiese e monasteri. Lo stesso complesso di S. Maria del Lavello a Calolziocorte si trova in posizione un tempo strategica tra lago, fiume e monti.
Partendo da Brivio, presidiato da un poderoso castello, si prosegue per Arlate di Calco, dove, in posizione dominante sull'Adda, si affaccia la Chiesa dei SS. Gottardo e Colombano, bell’esempio di romanico lombardo.
Tra il Parco dell'Adda e il Parco del Curone le colline della Brianza lecchese, conservano monumenti di epoca alto-medievale. Tra le testimonianze più interessanti troviamo il Battistero di S. Giovanni Battista a Oggiono, dalla pianta ottagonale, attiguo alla chiesa di S. Eufemia che conserva opere di Marco d'Oggiono, allievo di Leonardo da Vinci, l’antica chiesa dei SS. Nazaro e Celso a Garbagnate Monastero e infine la Basilica di S. Pietro al Monte a Civate.

La rete stradale, sebbene sprovvista di autostrade, è ben sviluppata.

Le strade statali che attraversano la Provincia sono:
la Strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga, superstrada che collega il capoluogo con Milano e Monza a sud e la Valtellina e la Svizzera a nord;
la Strada statale 342 Briantea, asse est-ovest che collega Bergamo e Como;
la Strada statale 639 dei Laghi di Pusiano e di Garlate che collega Lecco a Bergamo e Como;
la Strada statale 583 Lariana che collega Lecco a Bellagio.
Le principali strade provinciali sono:
la SP62 della Valsassina, la SP72 del Lago di Como;
la SP51 della Santa.
La rete ferroviaria è di 86 chilometri, suddivisa nelle linee:
Ferrovia Como-Lecco, tra Casletto-Rogeno e Lecco;
Lecco-Brescia, tra Lecco e Calolziocorte-Olginate;
Lecco-Milano, tra Osnago e Lecco, 23 km;
Milano-Monza-Molteno-Lecco, fino a Cassago-Nibionno-Bulciago;
Tirano-Lecco, tra Lecco e Colico, 39 km.
Di questi 22 km sono a doppio binario, i restanti sono a binario semplice. Inoltre, 62 km sono elettrificati.

A Lecco troviamo un polo universitario (distretto distaccato del Politecnico di Milano - Facoltà di Ingegneria). È in fase di realizzazione il nuovo Campus universitario nella sede del vecchio Ospedale civico presso l'area detta della "Piccola". Troviamo numerose scuole secondarie superiori (Licei e Istituti tecnici) sia nel capoluogo, che nella Brianza Lecchese (Oggiono, Merate, Casatenovo), che nell'Alto Lario Orientale (Colico) e nella Valle San Martino (Calolziocorte).

Nella Provincia di Lecco troviamo tre ospedali pubblici: Il nuovo ospedale A.Manzoni nel capoluogo, l'ospedale Umberto I di Bellano, sul lago di Como e l'ospedale San Leopoldo Mandic di Merate. Sul territorio sono però presenti numerose cliniche private, centri Asl, centri di ricerca, ecc.

Tutti i settori, primario, secondario e terziario sono molto sviluppati. Il primo, come d'altronde in quasi tutte le province italiane ha pochi addetti. Vengono prodotti soprattutto frutta e verdura, ma anche grano, frumento sebbene in minor parte. Sulle sponde del lago non è difficile incontrare inoltre uliveti e vigneti. Le risorse minerarie non sono numerose, anche se in Brianza e in Valsassina troviamo di frequente delle cave. L'allevamento di animali lo troviamo in tutto il territorio (bovino, ovino, avicolo, equino). Zone industriali si trovano in quasi tutti i comuni. Nel passato la provincia era molto ricca di industrie tessili tanto che parte dell'economia provinciale era gestita da esse. Il terziario, tra l'altro in costante espansione è dovuto in particolare modo ai servizi quali le banche. Il turismo non è molto sviluppato, tranne sul Lago di Como e nel capoluogo.

Nel territorio sono presenti la Comunità montana della Valsassina, Valvarrone, Val d'Esino e Riviera e la Comunità Montana Lario Orientale - Valle San Martino.

I dialetti parlati in Provincia di Lecco appartengono al gruppo lombardo occidentale o Insubre. In Valle San Martino si parla però un dialetto con influssi bergamaschi. Il dialetto Lecchese di città è una variante del Milanese, molto simile sia per la grammatica, che per la pronuncia ed il vocabolario. Esso è parlato nel circondario di Lecco. Nella Brianza Lecchese è più diffuso il Brianzolo (dialetto Lecchese-Comasco-Monzese). Nella Valsassina, la parlata locale è decisamente più gutturale, con delle varianti nell'abitato di Premana.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, la maggior parte del territorio della provincia di Lecco ricade nell'arcidiocesi di Milano e segue il rito ambrosiano. Vi sono tuttavia delle eccezioni particolari: alcune parrocchie che si affacciano sul lago di Como (Abbadia Lariana, Colico, Lierna, Mandello del Lario) sono di rito romano, e fanno parte della diocesi di Como; Oliveto Lario, invece, è un'entità amministrativa comunale che unisce tre località distinte: Vassena, Limonta ed Onno ed è diviso tra due diocesi diverse: la diocesi di Milano e quella di Como. Mentre Vassena fa parte della diocesi di Como e segue il rito romano, Onno e Limonta appartengono all'arcidiocesi di Milano e seguono il rito ambrosiano; le parrocchie di Civate e Varenna seguono il rito romano pur appartenendo alla diocesi di Milano; mentre le parrocchie di Calolziocorte, Carenno, Erve, Monte Marenzo, Torre de' Busi e Vercurago, pur essendo di rito ambrosiano appartengono al vicariato di Calolzio-Caprino, che fa capo alla diocesi di Bergamo.

La cucina tipica è costituita soprattutto da cibi come la salsiccia e la polenta (oncia o taragna, entrambe ricche di formaggio locale). Sul lago non mancano piatti a base di pesce, come il persico (risotto con pesce persico), gli agoni o il lavarello. Altri piatti tipici e sostanziosi sono la cassoeula e la trippa (che si consumano alla vigilia di Natale). Sempre in riva al lago, favorito dal clima mite, si ha la produzione di un olio d'oliva molto particolare. Per quanto riguarda i dolci, da ricordare la torta meascia, il paradell (dolce tipo frittella ricoperta di zucchero), i caviadini (biscotti di pasta frolla e zucchero a grani) e gli scapinàsch, ravioli dal ripieno dolce (uvette, ecc.), entrambi tipici della Valsassina. Enologicamente parlando, merita un cenno dovuto il nustranell, vino tipico della Val Curone. Dal 2008 i vini lecchesi, insieme a quelli comaschi, hanno ottenuto il riconoscimento della Indicazione Geografica Tipica "Terre Lariane"; il territorio enologico abbraccia le sponde del Lario a nord, spingendosi a sud fino alle colline di Montevecchia e della Valle del Curone.


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domenica 26 giugno 2016

LA PROVINCIA DI BERGAMO



La provincia di Bergamo è situata al centro della regione Lombardia, si estende su una superficie di 2.745,94 km² e con i suoi 242 comuni rappresenta la prima provincia lombarda per numero di suddivisioni comunali (e terza in Italia dopo Torino e Cuneo) e nona per popolazione.

La provincia di Bergamo venne istituita nel 1859 in seguito al decreto Rattazzi; succedeva all'omonima provincia del Regno Lombardo-Veneto, rispetto alla quale però veniva privata della val Camonica, ceduta alla provincia di Brescia.

Inizialmente era suddivisa nei tre circondari di Bergamo, di Clusone e di Treviglio, poi soppressi nel 1926-27 come il resto dei circondari italiani.

I confini provinciali rimasero immutati per lungo tempo: l'unica modifica si ebbe nel 1992, quando i comuni di Calolziocorte, Carenno, Erve, Monte Marenzo, Torre de' Busi e Vercurago passarono alla nuova provincia di Lecco.

Il lago d'Iseo ospita la seconda isola lacustre più vasta d'Europa, Monte Isola, affiancata dagli isolotti di Loreto e di San Paolo. Offre svariate possibilità di visite ed escursioni: alle terme di Trescore Balneario, ai pregiati vigneti della Val Calepio, alle piste della Valle Seriana e di Scalve e sul lago d'Endine.

Il 5 dicembre 1995 il Villaggio operaio di Crespi è entrato a far parte della Lista del Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. È uno degli esempi meglio conservati di villaggio operaio industriale che esistano al mondo. Contrariamente a siti analoghi, lo stabilimento è stato funzionante fino al dicembre 2003 e le case sono tuttora abitate.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, gran parte del territorio della provincia coincide con l'area della diocesi di Bergamo. Essa è suddivisa in 25 vicariati, e segue il rito romano. Le parrocchie di Caprino Bergamasco e Cisano Bergamasco, che appartengono al vicariato di Calolzio-Caprino, così come alcune parrocchie dei vicariati di Branzi-Santa Brigida e di San Giovanni Bianco-Sottochiesa, a motivo della loro storia seguono il rito ambrosiano, rito liturgico caratteristico dell'arcidiocesi di Milano. Il decanato di Treviglio, che comprende oltre al capoluogo Castel Rozzone, Fara Gera d'Adda, Canonica d'Adda e Pontirolo Nuovo, pur di rito romano fa parte dell'arcidiocesi di Milano. Alcuni comuni dell'alto Sebino (Lovere, Bossico, Costa Volpino e Rogno) nonché il comune di Palosco, appartengono alla diocesi di Brescia. Molti dei comuni più meridionali della provincia, tra cui Caravaggio, fanno parte invece della diocesi di Cremona.

Confina a nord con la provincia di Sondrio, a ovest con la città metropolitana di Milano, con la provincia di Lecco e per un piccolo tratto con la provincia di Monza e della Brianza, a sud con la provincia di Cremona e a est con la provincia di Brescia.
Il confine occidentale è segnato dallo spartiacque tra i bacini dell'Adda e del Lago di Como a nord e dal fiume Brembo a sud. Il confine settentrionale segue lo spartiacque principale delle Alpi Orobie. Il confine orientale segue prima lo spartiacque tra la Val di Scalve e la Val Camonica, quindi il Lago d'Iseo e il fiume Oglio. Il confine meridionale è sostanzialmente convenzionale.

La parte settentrionale della provincia è essenzialmente montuosa, occupa il 64% della superficie e qui si trovano le principali valli bergamasche: la Val Brembana (attraversata dal Brembo), la Val Seriana (Serio) e la Val Cavallina (Cherio). Altre valli più piccole sono la Valle Imagna, la Val di Scalve (Dezzo) e la Val Serina, in passato strategico punto di collegamento tra le valli Seriana e Brembana. È da ricordare per il suo interesse turistico anche la Val Taleggio, diramazione della Val Brembana.

Andando verso sud si trova una fascia collinare con una superficie del 12% che comprende la Val San Martino, i Colli di Bergamo e la Valcalepio, zona di produzione dei tipici vini bergamaschi. La zona collinare si estende per 70 km in larghezza, dall'Adda al lago di Iseo. La parte meridionale della provincia è compresa nella Pianura Padana di origine alluvionale che occupa una superficie del 24%, passando dall'alta fino alla media pianura che corrisponde alla fascia dei fontanili, questa zona viene comunemente chiamata Bassa Bergamasca.

Le vette più alte della provincia sono situate nelle Alpi Orobie, sul confine con la provincia di Sondrio. Le principali sono il Pizzo Coca (3.050 m), il Pizzo Redorta (3.038 m), il Pizzo del Diavolo della Malgina (2.924 m), il Pizzo del Diavolo di Tenda (2.914 m), il monte Torena (2.911 m), il massiccio della Presolana, che domina sul comune di Castione della Presolana. Gran parte delle Orobie è attraversata dal Sentiero delle Orobie.

Il territorio della provincia è interamente compreso nel bacino idrografico del fiume Po e vi tributa per mezzo dei suoi affluenti Adda e Oglio.

Appartengono al bacino dell'Adda il Brembo con i suoi affluenti Imagna ed Enna e il Serio che sfocia nell'Adda in territorio cremasco a differenza del Brembo che confluisce nell'Adda tra i comuni di Brembate e Canonica d'Adda. Il lembo di terra compreso tra Adda e Brembo è denominata isola bergamasca e la presenza dei due fiumi diede origine nell'Ottocento al villaggio industriale di Crespi d'Adda, che sfrutta la sua collocazione all'estremità sud dell'isola tra i due fiumi per generare energia.

Al bacino dell'Oglio tributano il Cherio, il Borlezza e il Dezzo che scorre nella Val di Scalve.

Nel territorio della provincia vi sono due laghi principali:

il Lago d'Iseo, al confine con la provincia di Brescia, attraversato dal fiume Oglio e su cui si affacciano i comuni di Costa Volpino, Lovere, Castro, Predore, Riva di Solto, Sarnico e Tavernola Bergamasca. Il lago comprende anche la seconda più grande isola lacustre d'Europa - dopo l'isola di Visingsö sul lago Vättern in Svezia - Monte Isola, che però fa parte della provincia di Brescia.
il Lago di Endine, in Val Cavallina, formato dal fiume Cherio e compreso tra i comuni di Endine Gaiano, Monasterolo del Castello, Ranzanico e Spinone al Lago.

In terra bergamasca hanno vissuto molte personalità di spicco che hanno contribuito a determinare l’indiscussa ricchezza culturale. Bergamo è il luogo natale di Gaetano Donizetti, fra i musicisti più eseguiti nel mondo ancora oggi. Anche la presenza di pittori come Lotto e Palma il Vecchio ha lasciato le sue tracce. Potrai scoprirle ammirando gli affreschi che decorano le chiese della città e della provincia.
L’inestimabile patrimonio d’arte si manifesta anche in minuscoli borghi.
I gioielli sul lago d’Iseo: Lovere con le pinacoteche, le chiese, le torri, i palazzi nobiliari, e Sarnico, da cui partire in battello per ammirare giardini e ville in stile liberty. Gemme che convivono con altre di tutt’altra natura, quella difensiva, come le Mura Veneziane ancora intatte e la rete di castelli disseminati in tutto il territorio.

Il territorio, suddiviso in 244 comuni, è ben coltivato nella pianura e nelle valli, dà notevoli produzioni di cereali, frutta, vino, ortaggi e, nelle parti più elevate, comprende boschi e pascoli. Molto sviluppato il settore industriale (grazie anche alle disponibilità idroelettriche, sfruttate in una ventina di bacini montani), con particolari concentrazioni nel capoluogo, nella sua area di influenza (centro siderurgico di Dalmine) e nella Val Seriana (cartiere, cementifici, industrie metallurgiche e tessili). Il forte esodo rurale, tuttavia, non ha trovato pieno assorbimento nelle attività secondarie e terziarie della provincia: si verifica, così, un intenso pendolarismo con la regione milanese, per cui la provincia di Bergamo rappresenta uno dei principali sbocchi di decentramento residenziale. Quanto al reddito prodotto, Bergamo mantiene una posizione al di sopra della media nazionale ed europea, confermandosi polo di sviluppo di importanza interregionale, soprattutto grazie a un costante aumento di competitività delle funzioni industriali. Numerose le località di soggiorno estivo e di sport invernali nelle Alpi Bergamasche.


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