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domenica 26 giugno 2016

LA PROVINCIA DI BERGAMO



La provincia di Bergamo è situata al centro della regione Lombardia, si estende su una superficie di 2.745,94 km² e con i suoi 242 comuni rappresenta la prima provincia lombarda per numero di suddivisioni comunali (e terza in Italia dopo Torino e Cuneo) e nona per popolazione.

La provincia di Bergamo venne istituita nel 1859 in seguito al decreto Rattazzi; succedeva all'omonima provincia del Regno Lombardo-Veneto, rispetto alla quale però veniva privata della val Camonica, ceduta alla provincia di Brescia.

Inizialmente era suddivisa nei tre circondari di Bergamo, di Clusone e di Treviglio, poi soppressi nel 1926-27 come il resto dei circondari italiani.

I confini provinciali rimasero immutati per lungo tempo: l'unica modifica si ebbe nel 1992, quando i comuni di Calolziocorte, Carenno, Erve, Monte Marenzo, Torre de' Busi e Vercurago passarono alla nuova provincia di Lecco.

Il lago d'Iseo ospita la seconda isola lacustre più vasta d'Europa, Monte Isola, affiancata dagli isolotti di Loreto e di San Paolo. Offre svariate possibilità di visite ed escursioni: alle terme di Trescore Balneario, ai pregiati vigneti della Val Calepio, alle piste della Valle Seriana e di Scalve e sul lago d'Endine.

Il 5 dicembre 1995 il Villaggio operaio di Crespi è entrato a far parte della Lista del Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. È uno degli esempi meglio conservati di villaggio operaio industriale che esistano al mondo. Contrariamente a siti analoghi, lo stabilimento è stato funzionante fino al dicembre 2003 e le case sono tuttora abitate.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, gran parte del territorio della provincia coincide con l'area della diocesi di Bergamo. Essa è suddivisa in 25 vicariati, e segue il rito romano. Le parrocchie di Caprino Bergamasco e Cisano Bergamasco, che appartengono al vicariato di Calolzio-Caprino, così come alcune parrocchie dei vicariati di Branzi-Santa Brigida e di San Giovanni Bianco-Sottochiesa, a motivo della loro storia seguono il rito ambrosiano, rito liturgico caratteristico dell'arcidiocesi di Milano. Il decanato di Treviglio, che comprende oltre al capoluogo Castel Rozzone, Fara Gera d'Adda, Canonica d'Adda e Pontirolo Nuovo, pur di rito romano fa parte dell'arcidiocesi di Milano. Alcuni comuni dell'alto Sebino (Lovere, Bossico, Costa Volpino e Rogno) nonché il comune di Palosco, appartengono alla diocesi di Brescia. Molti dei comuni più meridionali della provincia, tra cui Caravaggio, fanno parte invece della diocesi di Cremona.

Confina a nord con la provincia di Sondrio, a ovest con la città metropolitana di Milano, con la provincia di Lecco e per un piccolo tratto con la provincia di Monza e della Brianza, a sud con la provincia di Cremona e a est con la provincia di Brescia.
Il confine occidentale è segnato dallo spartiacque tra i bacini dell'Adda e del Lago di Como a nord e dal fiume Brembo a sud. Il confine settentrionale segue lo spartiacque principale delle Alpi Orobie. Il confine orientale segue prima lo spartiacque tra la Val di Scalve e la Val Camonica, quindi il Lago d'Iseo e il fiume Oglio. Il confine meridionale è sostanzialmente convenzionale.

La parte settentrionale della provincia è essenzialmente montuosa, occupa il 64% della superficie e qui si trovano le principali valli bergamasche: la Val Brembana (attraversata dal Brembo), la Val Seriana (Serio) e la Val Cavallina (Cherio). Altre valli più piccole sono la Valle Imagna, la Val di Scalve (Dezzo) e la Val Serina, in passato strategico punto di collegamento tra le valli Seriana e Brembana. È da ricordare per il suo interesse turistico anche la Val Taleggio, diramazione della Val Brembana.

Andando verso sud si trova una fascia collinare con una superficie del 12% che comprende la Val San Martino, i Colli di Bergamo e la Valcalepio, zona di produzione dei tipici vini bergamaschi. La zona collinare si estende per 70 km in larghezza, dall'Adda al lago di Iseo. La parte meridionale della provincia è compresa nella Pianura Padana di origine alluvionale che occupa una superficie del 24%, passando dall'alta fino alla media pianura che corrisponde alla fascia dei fontanili, questa zona viene comunemente chiamata Bassa Bergamasca.

Le vette più alte della provincia sono situate nelle Alpi Orobie, sul confine con la provincia di Sondrio. Le principali sono il Pizzo Coca (3.050 m), il Pizzo Redorta (3.038 m), il Pizzo del Diavolo della Malgina (2.924 m), il Pizzo del Diavolo di Tenda (2.914 m), il monte Torena (2.911 m), il massiccio della Presolana, che domina sul comune di Castione della Presolana. Gran parte delle Orobie è attraversata dal Sentiero delle Orobie.

Il territorio della provincia è interamente compreso nel bacino idrografico del fiume Po e vi tributa per mezzo dei suoi affluenti Adda e Oglio.

Appartengono al bacino dell'Adda il Brembo con i suoi affluenti Imagna ed Enna e il Serio che sfocia nell'Adda in territorio cremasco a differenza del Brembo che confluisce nell'Adda tra i comuni di Brembate e Canonica d'Adda. Il lembo di terra compreso tra Adda e Brembo è denominata isola bergamasca e la presenza dei due fiumi diede origine nell'Ottocento al villaggio industriale di Crespi d'Adda, che sfrutta la sua collocazione all'estremità sud dell'isola tra i due fiumi per generare energia.

Al bacino dell'Oglio tributano il Cherio, il Borlezza e il Dezzo che scorre nella Val di Scalve.

Nel territorio della provincia vi sono due laghi principali:

il Lago d'Iseo, al confine con la provincia di Brescia, attraversato dal fiume Oglio e su cui si affacciano i comuni di Costa Volpino, Lovere, Castro, Predore, Riva di Solto, Sarnico e Tavernola Bergamasca. Il lago comprende anche la seconda più grande isola lacustre d'Europa - dopo l'isola di Visingsö sul lago Vättern in Svezia - Monte Isola, che però fa parte della provincia di Brescia.
il Lago di Endine, in Val Cavallina, formato dal fiume Cherio e compreso tra i comuni di Endine Gaiano, Monasterolo del Castello, Ranzanico e Spinone al Lago.

In terra bergamasca hanno vissuto molte personalità di spicco che hanno contribuito a determinare l’indiscussa ricchezza culturale. Bergamo è il luogo natale di Gaetano Donizetti, fra i musicisti più eseguiti nel mondo ancora oggi. Anche la presenza di pittori come Lotto e Palma il Vecchio ha lasciato le sue tracce. Potrai scoprirle ammirando gli affreschi che decorano le chiese della città e della provincia.
L’inestimabile patrimonio d’arte si manifesta anche in minuscoli borghi.
I gioielli sul lago d’Iseo: Lovere con le pinacoteche, le chiese, le torri, i palazzi nobiliari, e Sarnico, da cui partire in battello per ammirare giardini e ville in stile liberty. Gemme che convivono con altre di tutt’altra natura, quella difensiva, come le Mura Veneziane ancora intatte e la rete di castelli disseminati in tutto il territorio.

Il territorio, suddiviso in 244 comuni, è ben coltivato nella pianura e nelle valli, dà notevoli produzioni di cereali, frutta, vino, ortaggi e, nelle parti più elevate, comprende boschi e pascoli. Molto sviluppato il settore industriale (grazie anche alle disponibilità idroelettriche, sfruttate in una ventina di bacini montani), con particolari concentrazioni nel capoluogo, nella sua area di influenza (centro siderurgico di Dalmine) e nella Val Seriana (cartiere, cementifici, industrie metallurgiche e tessili). Il forte esodo rurale, tuttavia, non ha trovato pieno assorbimento nelle attività secondarie e terziarie della provincia: si verifica, così, un intenso pendolarismo con la regione milanese, per cui la provincia di Bergamo rappresenta uno dei principali sbocchi di decentramento residenziale. Quanto al reddito prodotto, Bergamo mantiene una posizione al di sopra della media nazionale ed europea, confermandosi polo di sviluppo di importanza interregionale, soprattutto grazie a un costante aumento di competitività delle funzioni industriali. Numerose le località di soggiorno estivo e di sport invernali nelle Alpi Bergamasche.


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venerdì 12 giugno 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : BRESCIA



« Lieta del fato Brescia raccolsemi,
Brescia la forte, Brescia la ferrea,
Brescia lëonessa d'Italia
beverata nel sangue nemico. »
(Giosuè Carducci, Alla Vittoria, vv.37-40, 14 - 16 maggio 1877, Odi Barbare)
« D'un de' tuoi monti fertili di spade,
Niobe guerriera de le mie contrade,
Leonessa d'Italia,
Brescia grande e infelice. »
(Aleardo Aleardi, Canti Patrii, 1857)


Le origini di Brescia sconfinano nella leggenda: vi è chi fa risalire le origini di Brescia a Ercole, chi ne fa risalire la fondazione a Troe che, scappando da Troia in fiamme, giunge presso il luogo ove ora sorge Brescia e lì fonda Altilia, vale a dire l'altra Ilio e quindi l'altra Troia. Ma la leggenda che, secondo la storiografia, più probabilmente contiene un fondo di verità, è quella che si riferisce a Cidno, re dei Liguri, che nella tarda età del bronzo invase la pianura Padana e, giunto presso il colle Cidneo (al centro dell'attuale Brescia), ne fortificò la cima, nel punto in cui oggi sorge il Castello. Altri ancora sostengono che i primi abitanti del territorio bresciano furono gli Etruschi, che si stanziarono nella pianura cispadana.
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Alla città fu dato l'appellativo "Leonessa d'Italia" da Aleardo Aleardi, nei suoi Canti Patrii. La fortuna dell'espressione si deve però a Giosuè Carducci, che volle rendere omaggio a Brescia per la valorosa resistenza contro gli occupanti austriaci durante l'insurrezione delle dieci giornate, nell'ode Alla Vittoria. Tra le rovine del tempio di Vespasiano in Brescia, contenuta nelle Odi barbare.
Brescia è un comune italiano, capoluogo dell'omonima provincia in Lombardia.

È il secondo comune della regione per popolazione dopo Milano. La sua provincia è la sesta più popolata d'Italia dopo quelle di Roma, Milano, Napoli, Torino e Palermo. È la diciassettesima città più popolosa d'Italia e la sesta non capoluogo di regione.

Fondata oltre 3200 anni fa ai piedi delle Alpi, Brescia fu la capitale dei galli cenomani e in seguito divenne colonia romana con il nome di Brixia. Fece parte della Repubblica di Venezia, di fatto ancora oggi risente dell' influenza del Veneto. L'UNESCO ha dichiarato come patrimonio mondiale dell'umanità, facente parte del sito "Longobardi in Italia: i luoghi del potere" sia l'area monumentale del foro romano, sia il complesso monastico longobardo di San Salvatore-Santa Giulia, all'interno del quale si trova il Museo della città.

La città di Brescia è anche soprannominata "Leonessa d'Italia" per i dieci giorni di resistenza agli austriaci durante il Risorgimento Italiano (dal 23 marzo al 1º aprile 1849).

Dall'aspetto mosso del terreno su cui sorge Brescia, nasce il suo nome: Brixia ha origine da "brg, brig, brik" , termine celtico o ligure, o forse più antico, che indica luoghi elevati, alture.
Il primo insediamento testimoniato, risalente alla tarda età del bronzo (1200 a.C.), è ubicato sul colle Cidneo, così chiamato dal mitico Cidno, re dei Liguri, che lo fortificò. Divenne poi notevole centro come capoluogo dei Galli Cenomani, ma la sua storia come centro urbano organizzato inizia con l'occupazione e poi l'alleanza romana: nell'89 a.C. Brixia ottiene il "diritto latino" e nel 49 a.C. la piena cittadinanza romana; ma solo nel 27 a.C. si completa la pacifica romanizzazione della città, quando Ottaviano la eleva al rango di Colonia Civica Augusta, unica nell’Italia settentrionale.

Sono gli anni in cui il borgo diventa importante avamposto di rilevanza politica, militare ed economica: sono fiorenti, oltre all'agricoltura e al commercio, le attività estrattive del marmo e del ferro e quelle artigianali, fra le quali primeggia la lavora­zione dei metalli. Brixia assume sempre più importanza anche per la sua caratteristica di città di confine fra le province senatorie (al di qua delle Alpi) e quelle imperiali (transalpine).

Nel I sec. a.C. l’abitato riceve il suo primo assetto urbanistico; il tracciato della città segue il modello del castrum (l'accampa­mento militare romano): in un qua­drilatero di circa 800 per 840 metri le vie seguono un percorso rettilineo e si intersecano ortogonalmen­te formando le insulae (gli isolati); il decumanus maximus (la princi­pale via da est a ovest) era la por­zione interna alla città della via Emilia Gallica, collegante Milano e Verona e corrisponde all’attuale via Musei, mentre il cardus (da nord a sud) corrisponde all'attuale via Agostino Gallo. Entro i tre chilometri di cinta muraria i cittadini potevano muoversi e raggiungere il Foro (la piazza principale) che, con l'imperatore Vespasiano, nella seconda metà del I secolo d.C., diviene più imponente per il nuovo tempio, il Capitolium, la Curia (basilica civile, edificio pubblico nel quale si amministrava la giustizia) e il tea­tro; a sud-ovest si costruiscono le terme pubbliche, alle quali l'acqua giungeva attraverso un acquedotto lungo 25 km. proveniente da Lumezzane

L 'importanza economica e sociale raggiunta in età imperiale da Brixia, abitata da circa 6000 abitanti, è testimoniata anche da pregevoli resti di domus romane (abitazioni della classe aristocratica) che si affacciavano sulla via principale (il decumanus), rinvenuti nel chiostro e nel cortile di Santa Giulia, sotto la basilica di San Salvatore, nell’'Ortaglia del convento di Santa Giulia e nella zona dell'Istituto Artigianelli.

La decadenza di Brixia, dopo che per vari secoli era stata uno dei principali centri della Cisalpina, inizia verso la fine del III secolo d.C., oscurata, anche se dapprima economicamente non danneggiata, dalla crescente potenza di Mediolanum, divenuta sotto Diocleziano una delle capitali dell'Impero d'Occidente.

L’età tardo-antica (IV-V sec. d.C.) è caratterizzata dall’estensione delle mura ad occidente (oltre l’area che corrisponde alle attuali piazze della Vittoria e della Loggia) e dalla costruzione delle prime chiese dopo la legalizzazione del culto cristiano (313 d.C.). Le due cattedrali di Santa Maria Maggiore e di San Pietro de Dom (nel luogo dove attualmente si trovano il Duomo Vecchio ed il Duomo Nuovo) e il Battistero (oggi scomparso) definiscono una zona urbana importante posta più ad occidente dell’area sacra romana.

Nei secoli V e VI inizia il degrado delle strutture architettoniche ed urbanistiche; macerie, orti e capanne cancellano, dopo le invasioni dei barbari, il decoro degli edifici romani.

Con la dissoluzione dell'Impero Romano anche Brescia è invasa da tribù di barbari: nel 452 gli Unni, guidati da Attila, saccheggiano la città e i resti romani mostrano ancora i segni delle devastazioni e degli incendi.

Caduto definitivamente l'Impero Romano d'Occidente, a Brescia si avvicendano nel corso del VI secolo il dominio dei Goti e dei Bizanti­ni finché, nel 569, la città cade nelle mani dei Longobardi, divenendo poi uno dei loro ducati più importanti. La città conosce sotto questa dominazione un periodo di grande vitalità: rimane attivo il porto brixiano (che forse era sull'attuale via Mantova), attracco per le barche che trasportavano sale e merci lungo il Po; si insediano importanti centri civici e religiosi, quale il complesso monastico benedettino femminile di San Salvatore-Santa Giulia, sorto nel 753 per volere del re Desiderio e di sua moglie Ansa. Qui si rifugia e muore di dolore la loro figlia, la manzoniana Ermengarda, ripudiata dal re dei Franchi Carlo Magno.
Il successivo dominio dei Franchi durerà circa un secolo, fino all'888, e poi, al disgregarsi del Sacro Romano Impero di Carlo Magno, Brescia vivrà momenti bui, difficili, di contese sanguinose. Sono anche anni d’acceso dibattito e di rinnovamento religioso: predica contro la corruzione del clero, il monaco ribelle agostiniano Arnaldo da Brescia, giustiziato nel 1155.

Nel 1090 Brescia si erge a libero Comune, guelfo fra le ghibelline Bergamo e Cremona e perciò sempre tormentata da guerre di confine. Queste sono interrotte solo da pericoli comuni quali la calata di Federico I che, nel 1162, ordina l'abbattimento delle mura e delle torri della città. Nella lotta contro il Barbarossa partecipa alla Lega Lombarda, dimostra coraggio e tenacia, doti che manifesta ancora quando non cede all'assedio col quale Federico II la cinge senza successo per 66 giorni (3 agosto- 9 ottobre 1238).

È, quello comunale, un periodo di grande attività urbanistica: in due secoli avviene un radicale mutamento dell’assetto urbano. Si rinforzano e si ampliano le mura con una prima cinta fra il 1174 e il 1196 e una seconda, eretta fra il 1237 e il 1254, che resterà immutata nel tracciato fino all'Ottocento. Queste, circondando un’area urbana di circa due chilometri quadrati, racchiu­dono e difendono da briganti e invasori le casupole degli abitanti dei borghi e i numerosi conventi e le chiese coi loro campanili che erano stati eretti ben al di fuori dell'antico tracciato romano.

Dopo il 1220 si stabiliscono in città religiosi dell’ordine dei mendicanti (francescani, carmelitani, domenicani e agostiniani) che, appoggiati dal comune costruiscono nell’area urbana altri edifici sacri; esempi rilevanti sono la chiesa e il convento di San Francesco d’Assisi (1254-1265).

Artigiani e commercianti vivono in borghi locati a sud ovest del centro civico e religioso, attraversati da rivi d’acqua utilizzati come forza motrice, e occupano povere abitazioni di legno o case a schiera alte fino a sei piani. A piano terra si aprono le loro botteghe, mentre i piani alti terminano con le baldresche, solai aperti o logge, usate per stendervi le pelli o le lane ad asciugare (ancora oggi se ne possono riconoscere alcune nel quartiere del Carmine).

Nel 1172 il governo comunale apre, in un’area occupata da ortaglie e pascoli, il mercato nuovo (oggi piazza Tebaldo Brusato). Nel cuore della città, nella zona princi­pale, corrispondente all'attuale piazza Paolo VI, la forza economica e politica di Brescia sono riflesse in un’operazione edilizia di gran rilievo: l'edificazione del Broletto con la torre del Popolo (1223-27), uno dei più interessanti palazzi comunali lombardi. Viene eretta anche, sui resti della basilica iemale di Santa Maria Maggiore, la Rotonda (Duomo vecchio) esempio grandioso, seppure in forme semplici e severe, di cat­tedrale romanica dove si con­servano le spoglie di Berardo Maggi, vescovo e signore di Brescia che riesce fra il 1298 e il 1308 a sopire le lotte civili fra le fazioni interne che dilaniavano la vita politica della città. Dopo la sua morte, le ostilità fra guelfi e ghibellini riprendono e la città passa a vari potenti e signori quali i Visconti e i Malatesta. I primi governano fino al 1402 e costruiscono una struttura militare di servizio alla signoria, trasformano la città in una fortezza inespugnabile, sia dall'esterno, rinforzando le mura e armando la sommità del colle Cidneo con il Castello sviluppato attorno al Mastio trecentesco, sia creando all'interno la Cittadella Nuova, un vero e proprio sistema di difesa e controllo sulla città consistente in una doppia cortina muraria merlata e turrita lunga oltre un chilometro che, dalla sommità del colle Cidneo, sezionava in direzione nord-sud il corpo urbano fino a raggiungere la cortina muraria. Alla morte di Gian Galeazzo Visconti (1402) rie­splodono gli odi tra fazioni e il capitano Pandolfo Malatesta, al servizio della vedova di Gian Galeazzo, occupa militarmente Brescia che per 17 anni vive come fosse la capitale di un minuscolo stato indipendente. È un periodo di pace e di intensa attività culturale che culmina con la presenza di Gentile da Fabriano (1410 circa) chiamato ad affrescare la cappella del Broletto ampliato.

Nel 1426 Brescia entra a far parte del territorio della Repubblica Veneta, alla quale rimane legata fino al 1797. Episodio che turba i quattro secoli di stabilità della sudditan­za a Venezia è il terribile asse­dio delle truppe viscontee comandate da Niccolò Piccinino che dura dal 1438 fino al 1440. All'inizio quaranta bombarde battono per mesi le mura, prima che sia sferrato l'assalto decisivo, respinto però dai mille fanti e seicento cavalieri bresciani; narra la tradizione che il merito della loro vittoria si deve anche alla miracolosa apparizione dei Santi Faustino e Giovita, i patroni della città. Un monumento cinquecentesco a circa metà della via Brigida Avogadro, strada intitolata a un'eroina bresciana del periodo, ricorda il punto in cui i santi apparvero sugli spalti del Roverotto per aiutare i bresciani, alleati dei veneziani, ad arginare l'attacco sferrato dai Ronchi dai quindicimila soldati viscontei, mentre cinquecento loro cavalieri tentavano di sfondare a Canton Mombello. Anche il breve intervallo di dominazione francese segnò un momento tragico della storia bresciana con uno dei più feroci saccheggi che si ricordi.

Brixia fidelis scrivono i Veneti dal XV secolo accanto allo stemma della città che, ripresa nel 1516, viene fortificata: il Castello è circondato da una seconda cerchia di mura, viene eseguita la "spianata", cioè la distruzione, per ragioni militari, di ogni edificio esterno alle mura cittadine per un miglio; viene scavata una trincea per sepa­rare il Castello dai Ronchi ed è terminata nel 1610 la ricostruzione della cinta muraria esterna  rinforzata dai moderni baluardi di Canton Mombello e della Posterla.

Nei primi due secoli della dominazione veneta Brescia si trasforma da città medioevale in città che, pur al confine dei possedimenti, del potere della Serenissima è espressione di decoro e magnificenza.

Vengono ridistribuiti gli spazi urbani (con l’apertura, soprattutto, delle piazze della Loggia e del Mercato), si creano nuove vie (viene coperto il torrente Garza) lungo le quali si allineano ordinatamente le case con facciate affrescate; un grande ospedale unifica i numerosi ospizi e, nell’attuale zona di piazza della Vittoria, viene organizzato un complesso sistema di spazi commerciali.

All’inizio del XVI secolo Brescia conta circa 40.000 abitanti e, dopo l’interruzione dell’occupazione francese, riprende il fervore costruttivo, reso possibile anche dalle nuove aree edificabili disponibili dopo l’abbattimento della Cittadella viscontea, sbarramento che ostacolava i traffici urbani, sempre più intensi.

La Piazza della Loggia, di impronta rinascimentale lombardo-veneta, diventa il cuore civico e la validità del programma urbanistico realizzato dal comune fra il 1520 e il 1560 è dimostrata dal fatto che il centro, ridisegnato in quel quarantennio, assume l’aspetto che ancor oggi conserva. Le costruzioni che disegnano i lati della piazza (il palazzo della Loggia, i Monti di Pietà, i Portici e la Torre dell’orologio)  testimoniano il decoro monumentale, il clima di fervore umanistico del periodo quattrocentesco e lo splendore del rinascimento bresciano. Non sono da meno alcuni edifici ecclesiastici: primo fra tutti il gioiello di scultura rinascimentale rappresentato dal santuario di Santa Maria dei Miracoli, ma anche le chiese di San Giovanni Evangelista e di San Giuseppe o la cinquecentesca basilica di Santa Maria delle Grazie.

Laboriosità ed abilità caratterizzano anche la nobiltà locale; le grandi famiglie (i Martinengo, ma pure gli Averoldi, i Lechi, i Gambara e altri), che sanno approfittare del lungo periodo di stabilità politica per rendere più produttivi i loro possedimenti terrieri, testimoniano la loro potenza economica e la levatura culturale erigendo durante il periodo della Serenissima numerosi palazzi in città. Questi, articolati generalmente in tre corpi con pianta ad U, sono organizzati attorno ad un cortile porticato, con retrostante giardino; si accede al salone centrale nel rialzato piano nobile, allineato all’asse viario principale, salendo un ampio scalone. Protagonisti dell’intensa stagione edilizia rinascimentale e manierista sono Ludovico Beretta e Pietro Maria Bagnadore.

Il lungo periodo di pace porta ad un notevole sviluppo economico (con la produzione e lavorazione della lana, della seta e delle armi, immesse poi nelle vie commerciali che Venezia aveva aperto da tempo ), ed a  una buona fioritura delle scienze, delle lettere, dell'architettura, della scultura e, soprattutto, della pittura. Essa fu avviata dal caposcuola della pittura lombarda del Quattrocento, Vincenzo Foppa (1427 circa ­1515) ed il suo insegnamento fu accolto da tre maestri del Cinquecento bresciano: Romanino, Moretto e Savoldo non esenti dagli influssi esercitati da grandi pittori dell’area veneta, primo fra tutti Tiziano che dipinge per il nobile bresciano Altobello Averoldi uno dei suoi capolavori giovanili, il polittico Averoldi,  per la chiesa dei SS. Nazaro e  Celso (dove a tutt’oggi è conservato).

Nel Seicento l'alternarsi di carestie e pestilenze (tristemente famose quelle del 1630) dovute a fatti naturali e a scontri bellici falciano numerose vite e indeboliscono la floridezza economica di Brescia e del suo territorio.

Venezia inoltre non difende più la propria terraferma preoccupata maggiormente di salvaguardare i suoi possedimenti nel Mediterraneo, perennemente impegnata contro i Turchi. Verso la fine del XVII secolo la deca­denza di Venezia influisce anche su Brescia. La città, per la sua struttura fortificata, è un baluardo inespugnabile e le guerre non si combattono vicino, ma i maggiori danni sono provocati dal passaggio obbligato attraverso la Bassa e intorno al lago di Garda delle truppe straniere che si spostano fra i diversi campi di battaglia, impossessandosi di quanto trovano. Venezia deplora e condanna queste frequenti violenze e i  saccheggi, ma non interviene. Così fin dall'inizio del XVIII secolo cresce nei Bresciani la coscienza di non essere più tutelati dalla Serenissima, che non riesce ad evitare che i contendenti della guerra di successione spagnola (nella quale Venezia era neutrale) scelgano come teatro bellico per battaglie decisive proprio le terre bresciane.

Dopo gli interventi radicali dei secoli precedenti, che avevano ridisegnato il volto urbanistico ed architettonico di Brescia, il Seicento ed il Settecento si caratterizzano per una sistemazione, soprattutto architettonica, della città. L’attività pubblica si concentra su limitati e specifici obiettivi (costruzione della Casa di Dio e dell’attigua chiesa di San Carlo nell’attuale via Moretto, predisposizione della Fiera fuori dalle mura lungo la via per Milano). Poche sono le nuove importanti costruzioni, numerosi i rifacimenti e le trasformazioni (quello del Broletto il più importante) e l’erezione di nuove facciate per chiese e palazzi già esistenti, caratterizzate da una ricerca di soluzioni scenografiche e dall’uso della pietra bianca di Botticino

In questo clima di decadenza e spento fervore giunge a Brescia come vescovo, nel 1729, il Cardinale Angelo Maria Querini, monaco benedettino e già arcivescovo di Corfù, che segna fortemente la vita religiosa e culturale di quel tempo. Erige la Biblioteca Queriniana, che conserva ancora le decorazioni e le scaffalature originarie, e dà impulso ai lavori per la costruzione del Duomo nuovo, eretto sull’abbattuta  cattedrale di San Pietro, de Dom, che si protraevano stentatamente dall'inizio del Seicento.

La fabbrica del Duomo e quella della chiesa dei SS. Faustino e Giovita sono  i due cantieri più importanti del secolo, costruzioni ecclesiastiche che si discostano dal modello conformistico di chiesa a pianta longitudinale ad una solo navata con volta a botte e cappelle laterali codificata a Brescia dal Bagnadore (S.Afra e San Domenico) e dagli eloquenti esempi di architettura barocca e classicista rappresentati in città rispettivamente dalle chiese di San Barnaba (1632-75) e di Santa Maria della Pace (1720-46).

I palazzi aristocratici edificati dalla metà del Seicento riprendono l’impianto cinquecentesco, ma ricercano maggiori soluzioni scenografiche e teatrali, e sono caratterizzati da elementi (atri, portali, cancellate e giardini) finalizzati a creare giochi prospettici: l’esempio più rappresentativo e offerto dal Palazzo Suardi, nell’attuale via Trieste.

Caduta la Serenissima, arrivano i Francesi; nel marzo 1797 Brescia si unisce alla Repubblica Cisalpina seguendo il destino del Regno d 'Italia fino alla venuta degli Austriaci (1814) che la reggono col Regno del Lombardo Veneto fino al giugno 1859. La stagione napoleonica si dimostra particolarmente felice per la cultura bresciana: nasce l' Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti ed operano in città letterati e uomini di cultura della grandezza di Ugo Foscolo, Giovita Scalvini e Cesare Arici.

Durante la dominazione austriaca lo spirito risorgimentale culmina con l'insurrezione del 1848 e con le Dieci Giornate del 1849. I bresciani tengono testa per dieci memorabili giorni all’esercito austriaco fino a che il maresciallo Haynau ordina di distruggere ogni cosa e di massacrare all'arma bianca anche donne e bambini.

Per il grande coraggio dimostrato Brescia è diventata la "Leonessa d'Italia", un titolo attribuitole più tardi dai poeti Aleardo Aleardi e Giosuè Carducci.

Dal 1859 la storia di Brescia è quella dell'Italia unita, alla quale offre una classe politica di prestigio (Giuseppe Zanardelli ne è un esempio), di studiosi (soprattutto nel campo della pedagogia) e un efficiente esempio di solidità economica e sociale, attraverso un processo di industrializzazione tra i più sviluppati d'Italia.

Dal periodo neoclassico in avanti la città muta il suo aspetto connotandolo ai canoni della ”città moderna” illuminista. Nuove possibilità di riorganizzazione urbanistica e funzionale provengono da due importanti eventi operati in età napoleonica che accelerano il processo di innovazione: innanzitutto la confisca delle proprietà ecclesiastiche, che permette la riorganizzazione dei servizi collettivi (una scuola in San Barnaba, la cavallerizza in S. Antonio, caserme nei monasteri di S.Giulia, di S. Eufemia ancora oggi i chiostri sono occupati dal Distretto militare e dei SS. Pietro e Marcellino sul colle Cidneo) e, in secondo luogo, il progressivo smantellamento delle mura che perdono così l'originaria apparenza massiccia. Assumono poi, durante il dominio austriaco, la funzione non più di difesa della città, ma di cinta daziale, poichè le merci introdotte nel centro urbano erano  soggette a tassazione e il controllo avveniva attraverso le cinque porte di accesso.

In seguito al decreto napoleonico del 1804, che vietava la sepoltura dentro la città, si era iniziato a tumulare i defunti in un campo fuori dalle mura. Viene quindi affidato all’architetto bresciano Rodolfo Vantini (di qui il nome "Cimitero Vantiniano") il progetto di una monumentale città dei morti, la cui costruzione inizia nel 1815. L’insieme di portici, gallerie, monumenti, il grande faro (una colonna dorica scanalata, alta 60 metri, che poggia su di un basamento circolare ed è coronata da una lanterna) che caratterizza il cimitero è stato concepito dal Vantini come un contesto architettonico unitario e reso omogeneo dall'impostazione tipologica rigorosamente neoclassica e archeologizzante.

La “forma urbis” viene definitivamente modificata con la nuova rete viaria e la successiva urbanizzazione delle zone extra moenia che vengono solcate dalle nuove circonvallazioni estrerne; cambia per prima aspetto l’area attraversata dalla nuova via per Milano che si inurba rapidamente fra il nuovo cimitero vantiniano e porta San Giovanni (ora piazza Garibaldi). Pure le altre zone presso le porte si riqualificano, anche perché lì, vicino ai caselli daziali, si spostano i nuovi mercati: Mercato dei Grani; nell’attuale Piazzale Arnaldo, vicino alla porta Torlonga o Torrelunga poi Porta Venezia, e del vino presso la porta S. Alessandro. In tal modo si recuperano le zone del centro storico liberate dai mercati che lasciano spazio a piazze o a nuovi edifici, fra i quali il più importante resta il Teatro Grande (1808-1809).

Nel 1823 vengono intrapresi gli scavi archeologici che portano alla luce i resti del Capitolium e il 1830 segna la nascita del primo museo bresciano.

Nel 1853 anche Brescia è collegata alla rete ferroviaria; la stazione, ispirata all’architettura militare asburgica, è l'ultima traccia di Brescia come città del Lombardo Veneto.

Il dissolvimento dei limiti storici della città e l’espansione oltre le mura, ormai inesistenti, sono scanditi e controllati, sul finire del secolo, da un’attenta legislazione. L’amministrazione comunale vara normative per il risanamento del centro storico e l’inglobamento dei territori limitrofi, e stende piani regolatori per la costruzione di case operaie lungo i viali delle circonvallazioni e nella immediata periferia.

Già verso la fine dell'Ottocento la città aveva urbanizzato spazi nuovi per gli insediamenti civili e industriali. Nel primo quindicennio del XX secolo la popolazione di Brescia aumenta vistosamente: agli inizi degli anni Venti si contano circa 100.000 abitanti. E la città si espande ancora, spesso per iniziativa privata, non regolata da nuove normative che pianifichino l’urbanizzazione delle zone ad ovest e a sud della città. La gestione speculativa e la logica dell’appropriazione capitalistica del territorio, connotano i nuovi quartieri sorti nell’orbita delle industrie in decollo. La cultura storicista e l’eclettismo connotano le nuove costruzioni in città: anche gli immobili più prestigiosi, progettati dalle grandi imprese edilizie che operano fino agli anni trenta, non si avvalgono, come invece succede in altre città lombarde, di architetti originali che riescano a connotare stilisticamente gli edifici di un’epoca; nemmeno lo stile Liberty intacca il predominio di questo decoroso, ma non artistico. eclettismo.

Brescia diviene invece per le altre città un modello da riprendere in seguito alle demolizioni e alle realizzazioni frutto della politica urbanistica del fascismo. Con l'abbattimento del suggestivo quartiere medioevale che ha lasciato il posto a piazza della Vittoria, inaugurata nel 1932, il tessuto storico della città viene sconvolto, anche se la piazza rappresenta uno dei migliori esempi di ristrutturazione urbana dell’architetto Marcello Piacentini. In questa piazza  attualmente, ogni anno, a maggio, vengono punzonati i veicoli della Mille Miglia, la spettacolare rievocazione storica della più bella corsa del mondo riservata alle auto sportive, le cui edizioni si succedettero fra il 1927 e il 1957 .

La seconda guerra mondiale apre grandi ferite nella città, ma il dopoguerra vede l'espansione a macchia d'olio di Brescia: la popolazione conta gli attuali 200.000 abitanti. Risalgono al dopoguerra interventi pubblici di grande importanza che hanno ridisegnato le direzioni di riqualificazione di aree urbane; fra tutti l’apertura della galleria sotto il colle Cidneo (restaurata nel 2001), il prolungamento a nord verso il nuovo ospedale, la strada sui Ronchi, il cavalcavia Kennedy sui binari della ferrovia che ha favorito lo sviluppo del nuovo quartiere di Brescia Due, oggi caratterizzato da edifici originali esempi di architettura contemporanea.

La Brescia Repubblicana, insignita della Medaglia d'Argento per la Resistenza, visse il periodo della ricostruzione godendo dell'operosità tipica della popolazione. L'industria pesante venne riconvertita, la città - martoriata dai bombardamenti bellici - visse gli anni della ricostruzione sotto la guida del sindaco democristiano Bruno Boni, amministratore estremamente amato dai cittadini, che restò ininterrottamente in carica dal 1948 al 1975. Boni era definito per dileggio "Ciro l'asfaltatore", (lo slogan delle opposizioni fu "asfaltar no es gobernar") ma la sua opera intensa contribuì a creare strutture ed infrastrutture moderne ed efficienti. Alcuni suoi progetti non furono accettati (il tunnel sotto la Maddalena per togliere dalla città il traffico verso la Valtrompia, il canale navigabile di collegamento con Mantova), sebbene venissero presentati come opere di importanza strategica. Grazie ad uno dei vari progetti promossi da Boni, Brescia, prima città in Italia, si dotò del teleriscaldamento. Da tale sistema negli anni '90 è derivato un nuovo un sistema per produrre energia attraverso la combustione dei rifiuti. (Il termoutilizzatore di Brescia è stato considerato dall'Università Harvard il migliore al mondo, anche se gli ambientalisti contestano questo riconoscimento in quanto l'Ente premiatore, Wtert, della Columbia University, ha tra gli sponsor la Martin GmbH, Germany, produttrice dello stesso impianto).

In questo periodo a Brescia non venne meno la tradizione sociale, e alla figura di Boni si affianca quella di padre Ottorino Marcolini, fondatore della Cooperativa "La Famiglia", che realizzò interi quartieri residenziali alla periferia di Brescia. Anche il mondo della cooperazione sociale, capillare e proficuo, risente dello spirito di "cattolicesimo progressista" e trova conformazione, all'inizio degli anni ottanta, nel consorzio provinciale Sol.Co.

Il 28 maggio 1974, durante una manifestazione sindacale ed antifascista, ebbe luogo la drammatica Strage di Piazza della Loggia. Otto persone persero la vita e decine furono i feriti. Una stele commemorativa ricorda i caduti, sotto i portici di fronte alla Loggia, nel punto dove deflagrò l'ordigno nascosto in un bidone (una colonna, visibilmente rovinata, testimonia l'intensità dello scoppio). Il 16 dicembre 1976 un altro ordigno scoppia in Piazzale Arnaldo uccidendo una persona e ferendone altre 11.

Dopo il tracollo della prima Repubblica finì l'egemonia democristiana. La tendenza cattolico democratica dei bresciani trovò però espressione nella guida di giunte di centrosinistra (due guidate da Mino Martinazzoli e due guidate da Paolo Corsini, l'ultima in scadenza nel 2008). Tra i progetti più significativi di questi ultimi anni, la riforma del trasporto pubblico urbano (con la creazione delle LAM, linee ad alta mobilità) e soprattutto il discusso progetto per la Metropolitana.
Tra i più antichi e importanti personaggi legati alla città vi è Marco Nonio Macrino, generale romano, console di Marco Aurelio e proconsole delle province romane di Asia, Pannonia inferiore e Pannonia superiore. Rotari, nato a Brescia, fu re dei Longobardi dal 636 al 652, così come i suoi successori Rodoaldo e Desiderio, anch'essi bresciani di nascita.

In epoca medioevale sono da menzionare Arnaldo da Brescia, riformatore religioso, condannato e giustiziato per eresia, al quale sono stati intitolati una piazza cittadina nella quale è presente una sua rappresentazione scultorea e il liceo classico statale, e il giurista Albertano da Brescia.

Nel campo matematico sono presenti ben tre cittadini bresciani di rilievo, Niccolò Tartaglia, Benedetto Castelli(ai quali sono stati intitolati due istituti cittadini) ed il Monaco Olivetano Ramiro Rampinelli; nel campo pittorico vi sono stati due esponenti di spicco del Rinascimento come Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, e Girolamo di Romano, detto il Romanino. Da menzionare l'organaro Tommaso Vitani. Veronica Gàmbara (Pralboino, 30 novembre 1485 – Correggio, 13 giugno 1550) è stata una poetessa colta e raffinata. A cavallo tra il Settecento e Ottocento vi sono Lodovico Pavoni, fondatore della confraternita dei Pavoniani, e proclamato beato nel 2002 da Giovanni Paolo II, Giuseppe Zanardelli, che fu presidente del consiglio italiano e Tito Speri, patriota italiano. Della seconda metà dell'Ottocento ricordiamo Giovanni Battista Piamarta, fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth comunemente conosciuti come Piamartini, proclamato santo nel 2012 da Papa Benedetto XVI e l'imprenditore Achille Bertelli.

Di epoca contemporanea vi sono il beato Papa Paolo VI, Guido Carli che tra gli altri rivestì il ruolo di governatore della Banca d'Italia, presidente di Confindustria, senatore, Ministro del Tesoro e presidente dell'università LUISS di Roma, che dopo la sua morte prenderà il nome di LUISS Guido Carli, il banchiere Giovanni Bazoli e il filosofo Emanuele Severino, uno dei maggiori filosofi a livello internazionale. A Brescia sono inoltre nati il pianista Arturo Benedetti Michelangeli, il produttore cinematografico Mario Cecchi Gori, fondatore (assieme al figlio Vittorio) della Cecchi Gori Group ed ex presidente della Fiorentina, l'attore Renato Chiantoni, il direttore d'orchestra Riccardo Frizza, i cantanti L'Aura e Fausto Leali, il complesso musicale dei Timoria e il manager Vittorio Colao (amministratore delegato di Vodafone dal 2008). Bresciano d'adozione è stato il grande botanico ed ecologo Valerio Giacomini (era nato in Friuli ma fu portato a Brescia ancora bambino). Nate a Brescia le giornaliste Cristina Balotelli, inviata di guerra de Il Sole 24 ORE e Monica Gasparini di Mediaset, nonché le scrittrici Camilla Baresani e Paola Baratto.




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lunedì 23 febbraio 2015

VISITA A PALAZZO MARINO

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Palazzo Marino, opera dell'architetto perugino Galeazzo Alessi, è un palazzo nobiliare di Milano, sede dell'amministrazione comunale dal 19 settembre 1861. Già di proprietà di Tommaso Marino, ma ben presto pignorato per via dei suoi debiti e finito nelle mani del banchiere Emilio Omodei, venne acquistato dallo stato nel 1781, divenendo all'indomani dell'Unità d'Italia la sede centrale del Comune. Situato sul fronte orientale di piazza della Scala appare oggi nelle forme del restauro portato a termine da Luca Beltrami nel 1892.

Il palazzo venne commissionato dal banchiere e commerciante genovese Tommaso Marino come residenza nobiliare della ricca famiglia Marino. Esso venne costruito fra il 1557 ed il 1563 su progetto dell'architetto perugino Galeazzo Alessi, appositamente convocato a Milano proprio per l'occasione. Il palazzo si orientava originariamente verso piazza San Fedele.

Molti scultori della Fabbrica del Duomo parteciparono attivamente alla realizzazione degli intagli del palazzo. I milanesi tuttavia vedevano di cattivo occhio questo grandioso progetto, tanto che quando nel 1560 il conte Tommaso Marino aveva ottenuto il permesso di aprire una nuova strada che, partendo dall'ingresso principale del palazzo, si sarebbe congiunta fino a Piazza Mercanti, il malcontento popolare riuscì addirittura a bloccarne la realizzazione.

La costruzione del palazzo continuò con uno stile comparabile a quello delle più ricche corti dell'intera cristianità: nel cortile del palazzo furono raffigurate le Fatiche di Ercole e le Metamorfosi di Ovidio. Il Salone d'onore (oggi conosciuto come Salone dell'Alessi) aveva dipinto sul soffitto le Nozze di Amore e Psiche nel convito degli Dei e aveva realizzato gli stucchi sempre con storie di Amore e Psiche. Agli angoli del soffitto Aurelio Busso aveva dipinto le Quattro Stagioni. Sotto il cornicione le Muse, Bacco, Apollo e Mercurio affrescati da Ottavio Semino, alternate con bassorilievi con le storie di Perseo. Sugli ingressi erano stati collocati i busti di Marte e Minerva.

Una leggenda priva di fondamento vuole che il palazzo fosse voluto dal conte Tommaso Marino per ospitarvi la moglie, la bella Bettina Doria, anch'essa genovese e strettamente imparentata con Andrea Doria, grande ammiraglio e figura di spicco della Repubblica di Genova.

Alla morte di Tommaso Marino, la grande prosperità della famiglia subì un profondo tracollo, che sarebbe culminato nel 1577 col pignoramento da parte dell'amministrazione pubblica dello stesso palazzo, a saldo dei numerosi debiti contratti.

Durante questo lungo periodo il palazzo cominciò a deperire e nel 1626 vide la rimozione delle balaustre sovrastanti il cornicione perché pericolanti. Nel 1632 lo Stato, che stava affrontando la "famosa" peste, riuscì a vendere il palazzo agli eredi del banchiere Emilio Omodei, grande finanziatore del governo spagnolo. Gli Omodei non abitarono mai il palazzo che continuò ad essere chiamato dei Marino. Al piano terreno continuarono a svolgersi attività di carattere fiscale (gabelle e dazi), mentre il piano nobile veniva di volta in volta affittato a personaggi illustri.

Nel 1772, con la riforma fiscale di Maria Teresa d'Asburgo, arrivarono a svolgere i compiti fiscali i Fermieri e nel 1781, con l'abolizione della Ferma generale voluta da Pietro Verri, sarebbe stato lo stesso Verri ad adoperarsi perché il palazzo tornasse nelle mani dallo Stato come sede dei nuovi uffici finanziari e fiscali.

Il passaggio di proprietà avvenne il 14 luglio 1781 per la somma di 250.000 lire. L'acquisto permise una serie di restauri e il completamento della facciata verso via Case Rotte, condotta seguendo lo stile originale dell'Alessi sotto la rigida supervisione del Piermarini, che stava operando in quella zona diversi interventi. Nel palazzo trovarono dunque posto la Regia Camera dei Conti, la Regia Intendenza Generale, la Tesoreria, il Dazio Grande con i suoi uffici e la Cassa imperiale del Banco di Vienna.

Durante il Regno d'Italia cambiarono i nomi dei responsabili, ma gli uffici permasero con le stesse funzioni. Trovarono inoltre sede nel palazzo il Ministero delle Finanze, il Pubblico Tesoro e la Dogana. Con la Restaurazione al primo piano si sarebbero trasferiti i locali della corte, mentre al pian terreno la dogana, gli uffici della liquidazione, della tesoreria e della cassa centrale.

Nel 1848, dopo le Cinque giornate di Milano, il palazzo interruppe per alcuni mesi il proprio ufficio burocratico e divenne sede del Governo provvisorio della Lombardia. Liberata la Lombardia dagli Austriaci nel 1859, il palazzo passò dalla proprietà dello stato a quella del comune tramite una permuta tra Stato e Comune tra il palazzo del Broletto Nuovissimo e Palazzo Marino.

Il 19 settembre 1861 Palazzo Marino divenne ufficialmente sede del Comune, mentre le funzioni fiscali fino ad allora presenti nel palazzo si trasferirono nel Broletto.

L'acquisto del palazzo da parte del comune coincise con la demolizione dell'isolato posto tra il palazzo e la Scala e l'apertura della nuova piazza della Scala. Su questa piazza, impreziosita dal monumento a Leonardo da Vinci, si affacciava ora una sequenza di vecchi stabili, giudicati indegni di rappresentare la nuova Amministrazione Comunale e il nuovo volto italiano della Milano all'indomani dell'Unità d'Italia.

Anche gli interni del palazzo risultavano essere parecchio malandati, a cominciare dal grande Salone d'Onore. Nel 1872 Angelo Colla venne incaricato del restauro del salone, mentre contemporaneamente venne bandito un concorso per la nuova facciata su piazza della Scala. La crisi economica di quegli anni tuttavia provocò un rinvio dell'opera fino al 1888 quando venne approvato il progetto di Luca Beltrami, portato a compimento nel 1892.

A questo primo profondo restauro ne seguirà un secondo alla fine della Seconda guerra mondiale per ripristinare le parti abbattute dalle bombe del 1943. Particolarmente danneggiato risultò lo stesso Salone dell'Alessi. Gli stucchi originali della volta vennero sostituiti dalla rappresentazione dell'Aurora, del Giorno, del Crepuscolo, della Notte sopra le finestre. Ai lati delle finestre: Aria, Terra, Acqua e Fuoco scolpiti da Oliva, Supino, Brioschi, Ciminaghi, Gasparetti, Tavenari, Pepe, Ruy, Pellini, Wildt e Saponaro mentre le quattro stagioni ai quattro angoli del Salone d'Onore sono state ridipinte da P. Cortelezzi e G. Valerio.

Quest'ultimo restauro si concluse il 12 aprile 1954 sotto la direzione dell'ingegnere Buonomo.


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