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martedì 28 giugno 2016

LA PROVINCIA DI LECCO

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La provincia di Lecco dal 2007 è compresa all'interno della regio Insubrica, di cui rappresenta l'appendice orientale, e della regione storica insubre.

Le prime tracce dell'uomo della provincia di Lecco sono i ritrovamenti della Valle del Curone tra i comuni di Montevecchia e Rovagnate, reperti attribuibili all'uomo di Neanderthal e risalenti addirittura a 62.000 anni fa.

Nell'Alto Medioevo divenne il centro di un importante sistema fortificato, posto a difesa di Mediolanum su cui gli archeologi hanno condotto importanti campagne di scavo sul Monte Barro, a Galbiate, a Garlate e a Civate. Feudo degli Attonidi nel X secolo a partire dal XII secolo il territorio lecchese fu gradatamente incorporato nel distretto del Comune di Milano, rimanendo suddiviso in due Comitati, quello di Lecco e quello della Martesana.

Dal 1528 al 1532 costituì un feudo direttamente dipendente dal Sacro Romano Impero affidato al conte Gian Giacomo Medici.

Nel 1797 la Repubblica Cisalpina istituì il dipartimento della Montagna, con capoluogo Lecco, che coincideva quasi completamente con l'attuale provincia. Ma il dipartimento ebbe vita breve, e il territorio venne aggregato l'anno successivo al dipartimento del Serio, con capoluogo Bergamo.

Con la proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 il Lecchese fu aggregato al nuovo dipartimento del Lario, poi divenuto la provincia di Como.

Anche sotto il Regno d'Italia il territorio fece parte della provincia di Como, costituendone un circondario, soppresso nel 1927.

Da allora datano i tentativi di ottenere una provincia staccata da quella di Como ma soltanto nel 1992 il risultato fu raggiunto con lo scorporo di numerosi comuni delle province di Como e Bergamo. Fino alla nascita della provincia di Lecco, 84 dei 90 comuni che inizialmente la costituirono erano situati appunto in territorio comasco. Sei (Calolziocorte, Vercurago, Monte Marenzo, Torre de' Busi, Erve e Carenno) si sono invece staccati dalla provincia bergamasca.

Lo stemma della Provincia è stato approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del 4 settembre 1996 con la seguente descrizione:
“Troncato semipartito; nel primo, di verde al fiore della Alpi di sei petali, di rosso; nel secondo, di argento, alla croce di rosso; nel terzo, al leone d’oro, rivoltato, con la testa di fronte. La presenza del leone rampante, su fondo azzurro, il colore del cielo e del lago, che risulta inserito anche nello stemma della città di Lecco, testimonia le doti congenite della sua gente: la forza, il coraggio e la fierezza”.
Per saperne di più sui “segni” dello stemma …

Nella parte superiore il segno noto come “Sole o fiore delle Alpi” riprende un antichissimo disegno che ricorre nell’iconografia popolare di una vasta area culturale comprendente le Alpi, la pianura padana ed altre regioni dell’Europa centrale; la continuità e la diffusione del segno concorrono alla sua legittimazione come “simbolo” qualificante. Si tratta di un’immagine antichissima che ha avuto successo sia per la sua carica metaforica legata ai culti solari, che per la bellezza e la relativa facilità di esecuzione del suo disegno.
Nella parte inferiore la “Croce Rossa” in campo argento rappresenta i colori e i fasti della famiglia Visconti di Milano, ancora oggi presente in Lecco con le vestigia del Ponte Vecchio e della Torre Viscontea.
Il “Leone rampante” su fondo azzurro, il colore del cielo e del lago, è stato inserito per evidenziare la forza, il coraggio e la fierezza.

Confina a nord e a ovest con la provincia di Como, a est e a nord con la provincia di Sondrio, a est con la provincia di Bergamo e a sud con la provincia di Monza e Brianza.

La Provincia di Lecco è stata istituita con D.P.R. 6 marzo 1992, n. 250. Le elezioni per la nomina del primo Presidente della Provincia di Lecco si sono tenute il 23 aprile (primo turno) e il 7 maggio 1995 (ballottaggio). La proclamazione del presidente, l'avvocato Mario Anghileri, è avvenuta il 9 maggio seguente.

La provincia di Lecco ha una superficie di soli 814,58 km². Ben più di 600 km² si trovano oltre il fiume Adda, nella Valsassina. I rimanenti sono situati nell'Oggionese, nel Casatese e nel Meratese. Inoltre vi sono 16 km² appartenenti al comune di Oliveto Lario che, anche se situati sull'altra sponda del Lago di Como, in Vallassina, rientrano nell'area prealpino lariana pre Lecchese. Nel territorio non è presente per niente la pianura. La Provincia è per più del 70% montuosa, mentre per il 30% è collinare. I principali rilievi montuosi sono:
a nord il Monte Legnone, alto 2609 m;
al centro lo spettacolare gruppo delle Grigne comprendente: la Grigna Settentrionale o Grignone alta 2409 m e la Grigna Meridionale o Grignetta con altitudine di 2184 m;
a ovest, oltre il lago il Monte Cornizzolo alto 1240 m e il Monte Rai alto 1259 m;
a est, il Monte Serrada o Resegone di Lecco alto 1875 m con la sua caratteristica forma che ricorda i denti di una sega;
al centro-sud il Monte Barro alto 922 m e compreso nel parco regionale del monte Barro.
La provincia è una zona molto lacustre, è bagnata infatti dal Lago di Como e contiene nel territorio il Lago di Annone, di Garlate e di Olginate. A ovest i comuni di Rogeno, Bosisio Parini e Cesana Brianza si affacciano sul Lago di Pusiano. Anche i fiumi sono numerosi, i principali: il fiume Adda a Lecco, il fiume Lambro a Costa Masnaga, Rogeno e Nibionno. Altri fiumi minori sono il Molgora, la Bevera, affluente del Lambro, il Pioverna che scorre in Valsassina e il Varrone che scorre nella Val Varrone.

In tutta la Provincia vi sono ancora numerose zone boschive, soprattutto nella Valsassina dove troviamo numerose foreste ad aghifoglie e fiori anche rari come le genziane. Sul fiume Lambro la vegetazione è ridotta a foreste di latifoglie, pioppi, querce e numerosi fiori. Le montagne, a parte sulle pendici si presentano comunque piuttosto spoglie con esclusivamente estese zone di prati adatti al pascolo. La fauna è cambiata parecchio da quella di alcuni secoli prima, ad esempio il cinghiale che prima era numeroso ora si è piuttosto ridotto e lo si trova sul Cornizzolo o in Valsassina. Sono presenti caprioli, volpi, lepri, falchi e poiane, aironi.

La popolazione della Provincia di Lecco è in continua crescita, non per un comune saldo naturale tra nati e morti, ma per l'alta immigrazione da altri comuni o da altri stati. Basti pensare che nel 2001 la popolazione era di 311.000 abitanti ed è ora di 341.000, ben 30.000 abitanti in più. I comuni sono 88, e solo sei di essi superano i 10.000 abitanti. La Provincia è quindi caratterizzata da un'altissima frammentazione amministrativa in Comuni, soprattutto nella Brianza Lecchese, dotati di un'estensione territoriale minima, in alcuni casi inferiore ai 2 km². Questo determina, tra l'altro, un marcato disordine urbanistico, in particolare nell'agglomerazione urbana monocentrica di Lecco.

Nella Provincia troviamo il Parco regionale della Valle del Lambro (Cesana Brianza, Bosisio Parini, Rogeno, Costa Masnaga, Nibionno), il Parco regionale di Montevecchia e della Valle di Curone, il Parco dell'Adda Nord, il Parco naturale del Monte Barro (Galbiate), la Riserva regionale del Lago di Sartirana e numerose zone che non essendo parchi, sono comunque posti ben tenuti e soprattutto ricchi di vegetazione e fauna. Tra le aree di interesse troviamo niente meno che il Lago di Como, che da Lecco dove prende l'omonima denominazione arriva a Colico, i vari laghi di Annone, Pusiano, Olginate, il piccolo lago di Sartirana, il Monte Barro, le Grigne, la Valsassina e la zona collinare della Brianza (Cassago Brianza, Casatenovo, Monticello Brianza). Molto conosciuto è anche il fiume Adda che forma una specie di piccolo canyon nel Meratese, caratterizzato dalla presenza lungo il suo corso dell'Ecomuseo Adda di Leonardo, dove in particolare si trova a Paderno d'Adda, il caratteristico Ponte San Michele in ferro, a Robbiate le dighe leonardesche e ad Imbersago il traghetto.

La straordinaria presenza di chiese, conventi, monasteri, abbazie, antiche cappelle, fanno della Provincia di Lecco, già nota per la bellezza del suo Lago e delle sue montagne, un territorio ricco di storia, arte e spiritualità.
Gli edifici romanici, inseriti in un ambiente suggestivo testimoniano la capacità dell'uomo medievale di esprimere una piena armonia tra architettura e natura, creando luoghi di grande bellezza.
Il tema del Romanico rappresenta infatti un filo rosso che conduce il visitatore attraverso i diversi contesti naturalistici e paesaggistici della provincia, alla scoperta di straordinarie testimonianze architettoniche e archeologiche, risalenti ai primi secoli dell’era cristiana.
Lungo la riva lecchese del Lago sono presenti diversi monumenti del romanico tra cui la Chiesetta di S. Giorgio a Mandello del Lario, posta su uno sperone roccioso a picco sul lago e infine la superba Abbazia di S. Nicolò a Piona, il cui antico nucleo risale all’età longobarda. Anche nelle valli si conservano tesori dell'arte romanica. Particolare menzione meritano, in Valsassina, la Chiesa di S. Margherita a Casargo, legata al culto dei santi eremiti lariani e, in Valle San Martino, la chiesa di S. Margherita a Monte Marenzo, per lo straordinario ciclo d’affreschi, oltre all’Oratorio di S. Stefano a Torre de’ Busi, annesso al complesso della chiesa di S. Michele.
Percorrendo l'estremità inferiore del Lago di Lecco, si prosegue lungo la vallata del fiume Adda che, fin dall'età alto-medievale, costituiva il confine tra feudi e dominazioni diverse. Le sue sponde sono infatti ricche di castelli, chiese e monasteri. Lo stesso complesso di S. Maria del Lavello a Calolziocorte si trova in posizione un tempo strategica tra lago, fiume e monti.
Partendo da Brivio, presidiato da un poderoso castello, si prosegue per Arlate di Calco, dove, in posizione dominante sull'Adda, si affaccia la Chiesa dei SS. Gottardo e Colombano, bell’esempio di romanico lombardo.
Tra il Parco dell'Adda e il Parco del Curone le colline della Brianza lecchese, conservano monumenti di epoca alto-medievale. Tra le testimonianze più interessanti troviamo il Battistero di S. Giovanni Battista a Oggiono, dalla pianta ottagonale, attiguo alla chiesa di S. Eufemia che conserva opere di Marco d'Oggiono, allievo di Leonardo da Vinci, l’antica chiesa dei SS. Nazaro e Celso a Garbagnate Monastero e infine la Basilica di S. Pietro al Monte a Civate.

La rete stradale, sebbene sprovvista di autostrade, è ben sviluppata.

Le strade statali che attraversano la Provincia sono:
la Strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga, superstrada che collega il capoluogo con Milano e Monza a sud e la Valtellina e la Svizzera a nord;
la Strada statale 342 Briantea, asse est-ovest che collega Bergamo e Como;
la Strada statale 639 dei Laghi di Pusiano e di Garlate che collega Lecco a Bergamo e Como;
la Strada statale 583 Lariana che collega Lecco a Bellagio.
Le principali strade provinciali sono:
la SP62 della Valsassina, la SP72 del Lago di Como;
la SP51 della Santa.
La rete ferroviaria è di 86 chilometri, suddivisa nelle linee:
Ferrovia Como-Lecco, tra Casletto-Rogeno e Lecco;
Lecco-Brescia, tra Lecco e Calolziocorte-Olginate;
Lecco-Milano, tra Osnago e Lecco, 23 km;
Milano-Monza-Molteno-Lecco, fino a Cassago-Nibionno-Bulciago;
Tirano-Lecco, tra Lecco e Colico, 39 km.
Di questi 22 km sono a doppio binario, i restanti sono a binario semplice. Inoltre, 62 km sono elettrificati.

A Lecco troviamo un polo universitario (distretto distaccato del Politecnico di Milano - Facoltà di Ingegneria). È in fase di realizzazione il nuovo Campus universitario nella sede del vecchio Ospedale civico presso l'area detta della "Piccola". Troviamo numerose scuole secondarie superiori (Licei e Istituti tecnici) sia nel capoluogo, che nella Brianza Lecchese (Oggiono, Merate, Casatenovo), che nell'Alto Lario Orientale (Colico) e nella Valle San Martino (Calolziocorte).

Nella Provincia di Lecco troviamo tre ospedali pubblici: Il nuovo ospedale A.Manzoni nel capoluogo, l'ospedale Umberto I di Bellano, sul lago di Como e l'ospedale San Leopoldo Mandic di Merate. Sul territorio sono però presenti numerose cliniche private, centri Asl, centri di ricerca, ecc.

Tutti i settori, primario, secondario e terziario sono molto sviluppati. Il primo, come d'altronde in quasi tutte le province italiane ha pochi addetti. Vengono prodotti soprattutto frutta e verdura, ma anche grano, frumento sebbene in minor parte. Sulle sponde del lago non è difficile incontrare inoltre uliveti e vigneti. Le risorse minerarie non sono numerose, anche se in Brianza e in Valsassina troviamo di frequente delle cave. L'allevamento di animali lo troviamo in tutto il territorio (bovino, ovino, avicolo, equino). Zone industriali si trovano in quasi tutti i comuni. Nel passato la provincia era molto ricca di industrie tessili tanto che parte dell'economia provinciale era gestita da esse. Il terziario, tra l'altro in costante espansione è dovuto in particolare modo ai servizi quali le banche. Il turismo non è molto sviluppato, tranne sul Lago di Como e nel capoluogo.

Nel territorio sono presenti la Comunità montana della Valsassina, Valvarrone, Val d'Esino e Riviera e la Comunità Montana Lario Orientale - Valle San Martino.

I dialetti parlati in Provincia di Lecco appartengono al gruppo lombardo occidentale o Insubre. In Valle San Martino si parla però un dialetto con influssi bergamaschi. Il dialetto Lecchese di città è una variante del Milanese, molto simile sia per la grammatica, che per la pronuncia ed il vocabolario. Esso è parlato nel circondario di Lecco. Nella Brianza Lecchese è più diffuso il Brianzolo (dialetto Lecchese-Comasco-Monzese). Nella Valsassina, la parlata locale è decisamente più gutturale, con delle varianti nell'abitato di Premana.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, la maggior parte del territorio della provincia di Lecco ricade nell'arcidiocesi di Milano e segue il rito ambrosiano. Vi sono tuttavia delle eccezioni particolari: alcune parrocchie che si affacciano sul lago di Como (Abbadia Lariana, Colico, Lierna, Mandello del Lario) sono di rito romano, e fanno parte della diocesi di Como; Oliveto Lario, invece, è un'entità amministrativa comunale che unisce tre località distinte: Vassena, Limonta ed Onno ed è diviso tra due diocesi diverse: la diocesi di Milano e quella di Como. Mentre Vassena fa parte della diocesi di Como e segue il rito romano, Onno e Limonta appartengono all'arcidiocesi di Milano e seguono il rito ambrosiano; le parrocchie di Civate e Varenna seguono il rito romano pur appartenendo alla diocesi di Milano; mentre le parrocchie di Calolziocorte, Carenno, Erve, Monte Marenzo, Torre de' Busi e Vercurago, pur essendo di rito ambrosiano appartengono al vicariato di Calolzio-Caprino, che fa capo alla diocesi di Bergamo.

La cucina tipica è costituita soprattutto da cibi come la salsiccia e la polenta (oncia o taragna, entrambe ricche di formaggio locale). Sul lago non mancano piatti a base di pesce, come il persico (risotto con pesce persico), gli agoni o il lavarello. Altri piatti tipici e sostanziosi sono la cassoeula e la trippa (che si consumano alla vigilia di Natale). Sempre in riva al lago, favorito dal clima mite, si ha la produzione di un olio d'oliva molto particolare. Per quanto riguarda i dolci, da ricordare la torta meascia, il paradell (dolce tipo frittella ricoperta di zucchero), i caviadini (biscotti di pasta frolla e zucchero a grani) e gli scapinàsch, ravioli dal ripieno dolce (uvette, ecc.), entrambi tipici della Valsassina. Enologicamente parlando, merita un cenno dovuto il nustranell, vino tipico della Val Curone. Dal 2008 i vini lecchesi, insieme a quelli comaschi, hanno ottenuto il riconoscimento della Indicazione Geografica Tipica "Terre Lariane"; il territorio enologico abbraccia le sponde del Lario a nord, spingendosi a sud fino alle colline di Montevecchia e della Valle del Curone.


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venerdì 24 giugno 2016

LA PROVINCIA DI MILANO

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La provincia di Milano è stata una provincia italiana della Lombardia. Il 1º gennaio 2015 la città metropolitana di Milano è subentrata alla provincia omonima, succedendo ad essa in tutti i rapporti attivi e passivi.

La Provincia di Milano era situata nella Lombardia centro-occidentale, nel tratto di alta Pianura Padana compreso tra il fiume Ticino a Ovest e il fiume Adda a Est. Il territorio era attraversato, oltre che dall'Adda e dal Ticino, anche dall'Olona, dal Lambro, dal Seveso, dalla rete dei Navigli milanesi (Naviglio Grande, Naviglio Martesana, Naviglio Pavese) e da alcuni torrenti (Lura, Bozzente, Molgora, Arno).

A nord confinava con la provincia di Varese e la provincia di Monza e Brianza, a est con la provincia di Bergamo, a sud est con la provincia di Cremona e la provincia di Lodi, a sud ovest con la provincia di Pavia, a ovest con la provincia di Novara (Piemonte). Inoltre comprendeva il comune di San Colombano al Lambro, un'exclave compreso tra le province di Lodi e Pavia.

La provincia di Milano nacque nel 1786 dalla divisione della Lombardia austriaca in province. In età napoleonica, anno 1797, la provincia fu sostituita dal Dipartimento d'Olona. Nel 1816 fu ricreata come provincia del Regno Lombardo-Veneto, ma con l'esclusione del territorio di Pavia, organizzato in provincia autonoma.

La provincia fu istituita a titolo provvisorio dal Decreto Rattazzi nel 1859, mentre i suoi organi amministrativi e istituzionali entrarono in vigore nel 1860 a seguito della ratifica del trattato di Zurigo - che sancì il definitivo passaggio della Lombardia al Regno di Sardegna - e delle elezioni amministrative tenutesi in gennaio. Il territorio del nuovo ente riprendeva quello dell'omonima istituzione del Lombardo-Veneto, a cui furono aggiunte Abbiategrasso e Magenta, già in provincia di Pavia, e gran parte della soppressa provincia di Lodi e Crema.

Le prime elezioni provinciali furono indette il 2 gennaio 1860 e celebrate il 15 gennaio, applicando un sistema elettorale plurinominale o uninominale frazionato per mandamenti su base censuaria: il diritto di voto attivo fu riconosciuto solo all'un per cento della popolazione residente. I risultati furono proclamati il 25 gennaio in corrispondenza della nomina del primo Governatore (in tempi successivi divenuto Prefetto) nella persona del torinese Massimo D'Azeglio. Le elezioni videro un'affluenza pari a poco più di un terzo degli elettori aventi diritto di voto.

In quel periodo la provincia di Milano si estendeva su 2.992,5 km² ed era suddivisa in cinque circondari, frazionati a loro volta in 39 mandamenti e 498 comuni.

Nel 1927 vennero distaccati 37 comuni (fra cui Gallarate, Saronno e Sesto Calende), che passarono alla nuova provincia di Varese. Nel 1936 il comune di Cantonale venne soppresso e aggregato al comune di Chignolo Po, appartenente alla provincia di Pavia.

Nel 1995 dal territorio della Provincia di Milano fu distaccata e creata la nuova provincia di Lodi, lasciando così 189 comuni nella Provincia. Nel 2009 è divenuta operativa anche la nuova provincia di Monza e della Brianza, alla quale aderiscono 55 comuni precedentemente inclusi nella provincia di Milano, un'area ad alta densità abitativa e superficie di circa 405 km²: essa comprende la città di Monza, parte del Monzese e i comuni dell'area geografica riconducibile alla bassa Brianza non comasca e non lecchese ovvero una parte della Brianza già Milanese. Si possono considerare storicamente della bassa Brianza Milanese anche Comuni ancora in Provincia di Milano: Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Paderno Dugnano e Solaro; Basiano, Carugate, Cassano d'Adda, Grezzago, Pozzo d'Adda, Trezzano Rosa, Trezzo sull'Adda, Vaprio d'Adda.

Nel 2010 la Provincia di Milano ha celebrato il suo 150º anniversario con una serie di iniziative ufficiali ed un sito istituzionale dedicato.

Dal 1º gennaio 2015, in attuazione della legge del 7 aprile 2014 n. 56 recante "Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni", la Provincia di Milano ha cessato di esistere in favore della Città metropolitana di Milano.

La provincia di Milano si situava nell'area economica più importante d'Italia: con 338.011 imprese attive nel 2005 questa area concentra il 42,3% delle imprese lombarde ed il 6,6% delle imprese italiane attive ed operanti. Questo elemento le consente di generare un alto livello di produttività: con un PIL annuo pro capite di 30.629 euro conferma la sua leadership, poiché da sola concentra il 10,3% del PIL nazionale ed annualmente produce una ricchezza superiore ai 124 miliardi di Euro.

La presenza qualificata e differenziata di ogni comparto economico ha consentito a Milano di affrontare, con un buon vantaggio rispetto ad altre città italiane, le nuove sfide competitive e di confrontarsi con le principali città europee nella capacità di attrarre società e banche straniere: il numero di unità produttive facenti capo ad imprese partecipate da multinazionali estere ha superato in Lombardia la soglia delle mille unità, di cui oltre la metà localizzate in provincia di Milano, e qui hanno sede le maggiori banche italiane ed estere.

La provincia di Milano si trovava nell'area italiana più assimilabile alle grandi regioni sviluppate dell'Europa, sia per la complessa varietà delle attività che vi si svolgono, sia per il livello di ricchezza e benessere diffusi.

A partire dagli anni settanta, come è successo per tutti i centri urbani europei, la produzione industriale pesante ha lasciato spazio al settore dei servizi e alle attività terziarie, soprattutto quelle più qualificate e a più alto valore aggiunto, sviluppatesi in stretta connessione con le imprese produttive dell'area.

Nel corso degli anni 90, l'evoluzione tecnologica e la globalizzazione dell'economia hanno definitivamente modificato anche il suo tradizionale modello produttivo che oggi si basa su una fitta rete di imprese produttive di piccola e piccolissima dimensione, a cui si affianca un numero limitato di medio-grandi aziende.

Nell'area milanese si concentra il 15% delle imprese italiane attive nei settori hi-tech (manifatturieri e terziari) e ben il 31% dei relativi addetti.

Uno dei principali motori di sviluppo dell'area milanese è rappresentato dall'economia creativa, cioè quel ramo dell'economia che comprende alcuni particolari settori in grado di generare nuova ricchezza e proprietà intellettuale (brevetti, diritti d'autore, marchi di fabbrica, design registrato), che svolge un ruolo trainante anche per le attività produttive tradizionali.

Milano si pone anche come capitale del non-profit, in cui la vocazione agli affari si combina con le antiche tradizioni solidaristiche e mutualistiche della società civile lombarda. Nell'area milanese operano quasi 11.000 istituzioni. Il mondo del non-profit riveste un ruolo importante nel sistema economico e sociale locale, mobilitando risorse umane e finanziarie significative; il numero di addetti complessivo è pari al 10% del totale nazionale e a circa il 50% di quello della Lombardia.

La maggior parte delle aziende milanesi e dei relativi addetti opera nel settore dei servizi (69%). Il crescente livello di terziarizzazione dell'economia milanese ha ridotto la tradizionale vocazione del territorio al 28%.

L'agricoltura rappresenta il 2% dell'economia presente nell'area e, nonostante il numero limitato di addetti, continua a mantenere un ruolo importante: localizzata per lo più nella parte meridionale dell'area metropolitana, presenta caratteristiche di elevata meccanizzazione e produttività.

Quasi tutto il territorio della provincia di Milano faceva parte dell'arcidiocesi di Milano (ad eccezione di 7 comuni al confine con la provincia di Lodi, appartenenti alla diocesi di Lodi).

Il primo stemma adottato fu la croce rossa in campo bianco - cioè lo stesso stemma del Comune di Milano - sovrastato dalla corona ferrea con le due fronde di quercia e di alloro. Sino a quasi tutto il primo decennio del Novecento, venne utilizzato questo stemma e solo in quel periodo il Consiglio provinciale iniziò a porsi il problema di dotarsi di un nuovo emblema che, per la sua forma e per le sue caratteristiche, evidenziasse - anche da un punto di vista araldico - l’autonomia dell’ente Provincia, da quello del Comune. A conclusione di un lungo iter burocratico, con il Reale Decreto 22 ottobre 1914 veniva concesso alla Provincia di Milano il suo primo, vero stemma. Araldicamente si trattava di uno stemma inquartato che portava, nel suo interno, la riproduzione degli stemmi dei Comuni capoluoghi dei circondari di Abbiategrasso, Gallarate, Monza, Lodi e quello di Milano “sul tutto”.

Per quanto riguarda gli interventi tesi a migliorare la viabilità si segnala la costituzione - con atto notarile del 28 luglio 1951 - della Società per la Serravalle-Milano, primo esempio di società autostradale formata da soli enti pubblici e presieduta dal Presidente della Provincia. La necessità di collegare con mezzi rapidi la zona più industrializzata d’Italia con gli altri Paesi europei e degli altri continenti, portò la Deputazione a compiere attorno al problema uno studio che convinse la Provincia di Varese, le città prossime alla Malpensa e le Camere di Commercio di Varese e Milano, a costituire la società per azioni Aeroporto di Busto, diventata nel 1956 l’ormai nota SEA: Società Esercizi Aeroportuali.
Nel campo dell’istruzione e quindi - per quanto riguarda le competenze della Provincia - la riorganizzazione degli edifici scolastici esistenti e la costruzione di nuovi complessi, è da segnalare la deliberazione del Consiglio provinciale che il 7 maggio 1953 approvò la costruzione del nuovo liceo Leonardo da Vinci presso la Chiesa di San Pietro in Gessate (Via Corridoni). Inaugurato nel 1956, esso ospita anche la Sala Congressi della Provincia di Milano.

Gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso sono caratterizzati dal fenomeno dell’immigrazione proveniente dal sud del Paese. Sono gli anni del cosiddetto boom-industriale. Qualche dato che riguarda la realtà industriale: nel 1968 gli occupati in provincia di Milano erano circa 750.000 e oltre la metà di questi lavoravano in soli due settori, il metalmeccanico ed il chimico. Rappresentativi, anche se in misura ridotta, i settori tessile, edile e cartografico con circa 200.000 occupati. Nello stesso anno la popolazione sul territorio provinciale milanese assommava a 3.685.000 abitanti, confermando la crescita costante dei decenni precedenti, ma con un elevato grado di accrescimento nell’ultimo decennio determinato dal consistente movimento migratorio. Sono invece anni di crisi per l’agricoltura, alle prese con complessi problemi: dalla diminuzione della mano d’opera alla meccanizzazione, dalla insufficiente preparazione e qualificazione professionali all’abbandono di alcune colture tradizionali, all’intensificarsi dei processi di produzione.

Un altro importante motivo, iniziato alla fine della seconda guerra mondiale e comune un po’ a tutta l’agricoltura italiana: la non accettazione da parte delle giovani generazioni della tradizione familiare che una volta li inseriva senz’altra alternativa nella vita dei campi, in quanto appartenenti ad una famiglia contadina. Ha inciso quindi sul problema agricolo la notevole “fuga” dai campi dei giovani, esodo che è andato a soddisfare l’esigenza dell’industria in piena espansione. Nel periodo che stiamo considerando, l’estensione territoriale della Provincia di Milano comprendeva 249 comuni compresa quindi anche la zona del Lodigiano che diverrà Provincia solo negli anni ’90. In quegli anni il presidente della Provincia ricopriva sia la carica di presidente del Consiglio provinciale che quella di presidente della Giunta, e la sua elezione avveniva con il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri provinciali, dopo la loro elezione da parte dei cittadini. Dal 1965 al 1974 la presidenza fu tenuta da Erasmo Peracchi.
Per quanto riguarda il patrimonio della Provincia di Milano, è da segnalare la costruzione del nuovo Palazzo degli Uffici Tecnici (1966). In quella sede trovarono quindi ospitalità due importanti settori dell’attività dell’Amministrazione provinciale: la progettazione, costruzione e manutenzione delle strade e l’edilizia scolastica. Caratteristica principale della costruzione erano le facciate - in vetro-metallo - di tipo continuo a sistema “courtain-walls” che consentirono una purezza di linee e di allineamenti architettonicamente positivi all’ambientazione. Si trattava di un edificio all’avanguardia, per l’epoca, in materia di sicurezza, tecnologie di costruzione, funzionalità e abitabilità, tanto che disponeva già di un impianto centralizzato per l’aria condizionata.
Un anno dopo - nel 1967 - fa la sua comparsa, nella sede centrale della Provincia di Milano in via Vivaio, il primo calcolatore elettronico IBM 360/30, dotato di 32.000 posizioni di memoria, 3 unità dischi e 2 unità nastri. A chi sa d’informatica questi pochi dati faranno sorridere ma dobbiamo tenere presente che stiamo parlando di 40 anni fa. Insomma era una novità per l’epoca e la Provincia di Milano l’acquistò e lo fece installare per la gestione del personale, la contabilità generale, la programmazione delle opere straordinarie e le indagini statistiche.

L’8 giugno 1990 il Parlamento della Repubblica Italiana approvò la Legge n. 142 che aveva come oggetto l’ordinamento delle autonomie locali ed introduceva diverse novità in materia, dopo decenni in cui il legislatore aveva decisamente trascurato gli enti locali. Per la prima volta i Comuni e le Province adottarono i propri regolamenti e un proprio statuto (lo statuto stabilisce le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente ed in particolare determina le attribuzioni degli organi, l’ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme della collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell’accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi). Compare per la prima volta in Italia la figura del Difensore Civico, che la legge definisce garante dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. La succitata Legge n. 142, elencava inoltre, i compiti di Comuni e Province. Per queste ultime, l’art 14 prevedeva i seguenti compiti:
difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità;
tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;
valorizzazione dei beni culturali;
viabilità e trasporti;
protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali;
caccia e pesca nelle acque interne;
organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;
servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l’edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.
Era prevista anche una nuova istituzione, per i grandi centri urbani, la “Città Metropolitana”, anche se la relativa attuazione era demandata all’emanazione di future leggi regionali che non sono mai divenute realtà. La L.142 sarà poi superata e aggiornata dal Testo Unico sull’ordinamento delle autonomie locali (legge n. 267 del 2000).
Proprio in attuazione dell’art. 63 della legge n. 142 - che prevedeva una delega al Governo per la revisione delle circoscrizioni provinciali - nel 1992, con il D.L. n.251 del 6 marzo, venne istituita la Provincia di Lodi.
La notizia fu rilevante per la Provincia di Milano in quanto il territorio della nuova provincia era costituito da un gruppo di Comuni (quasi un centinaio) che prima facevano parte del territorio milanese. La superficie della Provincia di Milano, quindi, si rimpicciolì, riducendosi a “soli” 188 comuni. Ma c’era un altro problema: lo stemma della città di Lodi era inserito nello stemma della Provincia di Milano e bisogna quindi sostituirlo con l’emblema di un altro comune del territorio (come già avvenuto nel 1954 quando Gallarate venne sostituita da Legnano in seguito alla nascita della Provincia di Varese).

La macchina amministrativa provinciale può contare su due organi collegiali: la Giunta e il Consiglio.
Al vertice dell’ente c’è il Presidente, eletto direttamente dai cittadini assieme ai consiglieri che andranno poi a formare la maggioranza in Consiglio. Il Presidente nomina gli assessori componenti la Giunta, organo esecutivo che lo affianca nelle decisioni di rispettiva competenza. La Giunta della Provincia di Milano è composta da 12 assessori; si riunisce una volta alla settimana, di solito il martedì.
Il Consiglio è l’organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo con facoltà di deliberare in alcune materie fondamentali. Il funzionamento dell’assemblea, composta da 45 consiglieri rappresentativi della volontà popolare, è affidato al presidente del Consiglio, eletto dai consiglieri il giorno dell’insediamento dell’assemblea. Al presidente è affidata la gestione del Consiglio, dalle convocazioni alla gestione degli interventi e dei dibattiti, fino alla promozione dell’ “autonomia” dell'assemblea come espressione della sovranità popolare in cui maggioranza e opposizione hanno pari diritto ad esprimersi nei limiti imposti dal regolamento.
Le decisioni operative dell’ente, sia della Giunta che del Consiglio, sono le delibere. Ciascuno dei due organi può deliberare nelle materie di propria competenza.
In particolare, il Consiglio decide, su proposta della giunta, del presidente, dei consiglieri o del presidente del Consiglio, sulle seguenti materie:
a) statuti dell'ente e delle aziende speciali, regolamenti salva l'ipotesi di cui all'articolo 48, comma 3, criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi;
b) programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie;
c) convenzioni tra i comuni e quelle tra i comuni e provincia, costituzione e modificazione di forme associative;
d) istituzione, compiti e norme sul funzionamento degli organismi di decentramento e di partecipazione;
e) assunzione diretta dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione;
f) istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi;
g) indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza;
h) contrazione dei mutui non previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio comunale ed emissione dei prestiti obbligazionari;
i) spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo;
l) acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari;
m) definizione degli indirizzi per la nomina e la designazione dei rappresentanti del comune presso enti, aziende ed istituzioni, nomina dei rappresentanti del consiglio presso enti, aziende ed istituzioni ad esso espressamente riservata dalla legge.

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martedì 28 aprile 2015

LO STEMMA DI VARESE







Lo stemma del Comune di Varese risale circa al 1347. Sulla copertina in legno della duplice copia degli Statuti Burgi et Castellatiae de Varisio conservati presso l'Archivio comunale si trova raffigurato il più antico esempio di stemma civico: "scudo sannitico d'argento a due cantoni di rosso, destro e sinistro in capo; tutto intorno chiuso da una fascia nera". Non ha corona l'effigie di San Vittore. È verosimilmente nel secolo XVI – come ritiene lo storico varesino Luigi Borri nel suo lavoro "Documenti Varesini" del 1891 – che lo scudo viene sormontato dalla corona marchionale e dall'effigie di San Vittore, patrono della città di Varese.

Scudo sannitico bianco alla croce di rosso (Croce di San Giorgio), riportante nei quattro cantoni i simboli:
- per Varese, di San Vittore, (patrono della Città) portante nella destra una bandiera di bianco caricata con croce di rosso sventolante a sinistra e nella sinistra la palma del martirio;
- per Gallarate, di un Gallo ardito di argento, membrato, imbeccato, crestato e barbugliato;
- per Busto Arsizio, di uno Scudo troncato di rosso e d'argento, a due lettere maiuscole B dell'uno nell'altro alla fiamma di rosso nascente dalla punta dello scudo;
- per Saronno, di un Castello d'argento mattonato in nero con la porta centrale aperta e due torri laterali finestrate, merlate alla guelfa e sormontate da un disco posto tra le due torri.
Lo scudo è fregiato degli ornamenti esteriori di Provincia.
La Croce di San Giorgio è da secoli nella tradizione dei popoli e dei comuni lombardi. Lo stemma riporta oltre ai simboli dei Comuni di Varese e Gallarate, anche quelli di Busto Arsizio e Saronno per testimoniare la loro crescente importanza sul piano sociale, culturale, imprenditoriale ed urbanistico.
Fino all'ottobre 2006 lo stemma era "Troncato: nel PRIMO di rosso al palo d'argento, addestrato alla figura del martire San Vittore, patrono della città di Varese, nascente dalla partizione e sinistrato da un gallo, ardito, d'argento, membrato, imbeccato, crestato e barbugliato d'oro; nel SECONDO d'argento pieno".




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lunedì 13 aprile 2015

LA FAMIGLIA SESSA A PORTO VALTRAVAGLIA

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I Sessa nascono come diramazione della famiglia Carcano, clan nobiliare di stirpe longobarda. Fra i membri più antichi di questo casato si annovera il conte Obizzo da Carcano, ricco e potente cittadino milanese che nell'anno 980 fu governatore di Milano con pieni poteri per conto degli Ottoni. Durante quegli anni Obizzo e suo figlio Landolfo, che il padre fece nominare Arcivescovo, accentrarono nelle loro mani il potere, mettendo a capo di feudi figli, nipoti e alleati, prima di essere cacciati da una rivolta popolare.


In merito alla discendenza di Bonizone da Carcano il cronachista Goffredo da Bussero, vissuto a Milano tra il XIII e il XIV secolo sotto la signoria viscontea, scrisse: «Nell'Anno del Signore 980 Bonizone da Carcano signore di Milano aveva quattro figli: rese il primo, Landolfo, arcivescovo di Milano; il secondo divenne il primo dei Capitanei di Carcano, il quale ebbe a sua volta due figli: dal primo discesero i Capitanei di Carcano e quelli di Parravicino, dal secondo figlio quelli di Sessa e di Luino...» Secondo questa tradizione, Bonizone da Carcano sarebbe il capostipite non solo delle famiglie Carcano, Parravicini, Sessa e Luini, ma anche delle famiglie Pirovano, Mesenzana, Caspani, de Casternago e de Castelletto. L'araldica può offrire un'ulteriore prova di questa ascendenza: nella maggior parte degli stemmi di queste famiglie compare infatti il cigno, emblema di casa Carcano. Ad ogni modo pare che il legame in questione sia rigorosamente provato dai documenti solo per le famiglie Carcano, Parravicini e Sessa. Per quanto riguarda i Sessa, la prova risiede in un atto notarile del luglio 1263 dove si dice un Pietro de Sexa, avo dei de Sexa viventi nel 1263 e capostipite della linea Sessa di Ticinallo, aveva concesso dei prestiti al comune di Grantola fra il 1223 e il 1227: tale Pietro, condomino del castello di Sessa, compare in altre parti del documento anche come Pietro de Carcano e viene detto figlio di un Amizone de Carcano, nonché padre di un Amizone de Sexa.

In quanto diramazione della famiglia Carcano, la comparsa dei de Sessa in Malcantone andrebbe fatta risalire, secondo recenti studi, alla Guerra decennale tra Como e Milano (1118-1127), sorta dal dissidio tra un altro prelato di casa Carcano, chiamato di nuovo Landolfo, e Guido Grimoldi per la carica di vescovo di Como; l'elezione di Landolfo da Carcano era sostenuta dall'imperatore, quella di Grimoldi dal papa. Landolfo da Carcano, incalzato dai Comaschi, si rifugiò proprio in Malcantone, precisamente nel castello di Magliaso, una località appartenente alla zona di influenza dei de Sessa nei tempi successivi. Se la data post quem rimane incerta, la data ante quem della presenza della famiglia a Sessa è il 1240, essendosi conservato un diploma del 21 Dicembre 1240 dove l'Imperatore Federico II di Svevia, scrivendo al Comune di Como, ordina che il Castello di Sessa, definito come proprietà imperiale, fosse restituito ai Capitanei di Sessa a patto che questi offrissero valide garanzie di fedeltà; dal documento si deducono quindi due cose: in primo luogo che i de Sessa erano vassalli imperiali già prima di quella data e in secondo luogo che essi però avevano tradito la fiducia accordata dall'Impero, impegnato com'era ad arginare la potenza dei Milanesi favorendo le famiglie feudali del contado e le città nemiche di Milano, visto che i de Sessa, verosimilmente più toccati dall'espansione della vicina Como nelle valli luganesi, si appoggiarono proprio ai Milanesi per salvaguardare i propri interessi.

Quanto al toponimo Sessa, anticamente Sexa, da cui la famiglia ha appunto preso nome, esso ha origine etimologica incerta. Si trova oggi sulle colline del Malcantone, ed era a quell'epoca un luogo strategico.

Francesco Bertoliatti, nel suo libro « Profilo Storico di Sessa » dice: « Già nel 600 Sessa era stato nucleo di resistenza dei Franchi contro i Bizantini e i Longobardi questa resistenza era possibile per la felice configurazione topografica».

Quei luoghi furono per molti secoli la strada principale per il traffico tra il Nord ed il Sud, passaggio di tutte le invasioni che divenne poi la strada che congiungeva le due parti del Sacro Romano Impero Germanico.

Benché il casato iniziasse presto a diramarsi con l'allontanamento di molti esponenti dai luoghi d'origine, a Sessa rimase radicata presso il castello una Corporazione Nobiliare dotata di diritti feudali che per lungo tempo tenne insieme la vasta e dispersa agnazione. Essa sopravvisse sino all'annessione svizzera della zona nel 1516: fiorente nel Duecento, ebbe il massimo numero di componenti nel Trecento, periodo in cui tuttavia iniziò a versare in cattive condizioni economiche; nel Quattrocento il numero dei condomini iniziò a diminuire finché in una riunione del 18 Agosto 1508 convennero solo 6 uomini, definitisi quasi omnes. L'ultima testimonianza che attesti l'esistenza dell'antico condominio nobiliare è un atto del 4 Agosto 1525 dove la Corporazione si riunì per eleggere il cappellano di Sant'Orsola a Sessa. La Corporazione raccolse nei suoi tre secoli di vita tutti i discendenti legittimi del casato, ma peculiare fu la scelta, evidente soprattutto negli anni 1316-1362, di ammettere anche individui discendenti da donne di casa Sessa, esponenti di casati alleati. Il fatto che la Corporazione accogliesse, fra gli altri, anche i nobili de Sessa non più residenti al castello, rende difficile capire dalle liste dei condomini chi vi risiedesse o meno a titolo fisso, ma soprattutto tracciare una genealogia sicura antecedente al XIV secolo. Sicuramente abitante al castello fu il ramo più noto della famiglia, ossia quello che nel Trecento si trasferì a Daverio nei pressi di Varese e i cui membri conservarono anche dopo il cambio di residenza proprietà presso il Castello, nonché un ruolo di rilievo in seno alla Corporazione.

I Sessa di Valtravaglia furono la prima linea dell'agnazione de Sessa attestata al di fuori del Malcantone, stabilendosi sulle sponde del Verbano, dove - non è noto se per acquisto o eredità - possedevano molti beni: a Luino, Cannobio, Brezzo di Bedero (Sala), Laveno, ma soprattutto a Ticinallo, oggi frazione di Porto Valtravaglia. Capostipite fu il succitato Pietro de Sessa del fu Amizone de Carcano e, a partire dalla metà del Duecento, la sua discendenza creò un nuovo forte centro di potere sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, ottenendo l'investitura arcivescovile della Rocca di Caldè: i fratelli Francesco e Quirico de Sessa ricoprirono la carica nel 1261, un altro Francesco nel 1294, mentre in contemporanea il primo Francesco e il fratello Arderico servivano come vicarii del podestà Napoleone della Torre a Vercelli negli anni '70 del Duecento. Ancora nel 1406 Guglielmo Sessa del fu Pietrino era castellano della Rocca di Caldè. Il salto di qualità per la famiglia si verificò in occasione della lotta per il dominio su Milano tra i Visconti, aristocratici, e i Della Torre, popolari, guerra che segnò con la vittoria dei primi la fine dell'esperienza comunale a Milano e l'inizio dell'epoca delle signorie. In questo conflitto i Sessa di Valtravaglia schieratisi con Ottone Visconti ottennero, a seguito della vittoria della fazione viscontea, l'ascrizione della famiglia alla Matricula Nobilium dei patrizi milanesi (stilata nel 1277 e riscritta con scarse modifiche nel 1377), dove compaiono sotto il nome di Sessa de loco Sarrae plebis Travaliae. I Sessa di Valtravaglia si divisero a cavallo tra XIII e XIV secolo in due rami: i Sessa di Ticinallo, maggiormente legati al contado, e i Sessa di Sala, inurbatisi a Milano. Ai primi appartenne Enrico Sessa, Vescovo di Como, il quale, una volta eletto nel 1369, nominò suo procuratore il parente Pietro Sessa di Ticinallo, Prevosto della Collegiata di S. Vittore di Valtravaglia.

I Sessa di Sala (o Sarra) di Travaglia furono i primi a rappresentare attivamente la famiglia nel patriziato di Milano, ma la loro discendenza non durò oltre il XV secolo. Si annoverano: Paolo Sessa, avvocato fiscale per la Camera ducale ed Edile per la Veneranda Fabbrica del Duomo negli anni 1413, 1414, 1418; Giacomo Sessa, fratello di Paolo, Sindacatore laico degli ufficiali della Corte ducale nel 1400; Gaspare Sessa, fratello dei precedenti, che nel 1404 fu uno dei sei tesorieri della Camera ducale; altro Paolo Sessa, capitano generale della Valtellina nel 1428; altro Gaspare Sessa, feudatario di Sillavengo e capitano di ventura per conto prima della duchessa Bianca Maria Visconti, poi degli eredi Sforza (morì nel 1480); infine Giuliano Sessa, figlio del precedente Gaspare, che fu Canonico della cattedrale di Novara.

L'estinzione dei Sessa di Sala non significò la scomparsa dei Sessa di Valtravaglia: sul Lago Maggiore il ramo Sessa di Ticinallo continuò a fiorire ma, a differenza dei collaterali di Sala che, come si è visto, cercarono e trovarono fortuna nella corte ducale dei Visconti e degli Sforza, questi perseguirono una politica di espansione sul territorio di origine, anche grazie un'accorta politica matrimoniale: Rosa da Castello de Gattico, figlia del conte Manfredo di Castel Gattico e vedova del nobile Gasparolo Sessa, testò il 19 Luglio 1420 in favore del figlio Antoniolo, il quale nel documento risulta essere proprietario di una cospicua fortuna: possedeva infatti per intero le località di Ticinallo, Arolo e Ceresolo nei comuni odierni di Porto Valtravaglia e Laveno ed ereditava svariati giuspatronati ecclesiastici, tra cui quello sulla Chiesa di San Giorgio in Muceno e quello su S. Martino in Valtravaglia. I tre figli di quest'ultimo spartirono questa grande eredità: Giovanni Pietro Sessa prese possesso di Ticinallo, Quirico ebbe Ceresolo (fondò il ramo Sessa di Ceresolo), Alberto ereditò Arolo che passò poi al nipote Lancillotto Rusca dei Signori di Bironico.

A Milano intanto, in luogo dei Sessa di Sala, fecero la loro comparsa nel secondo Quattrocento i già citati Sessa di Daverio provenienti dal Castello di Sessa, che avevano come capostipite Franciscolo Sessa (morto nel 1405, figlio di Giovanni Sessa), trasferitosi a Daverio in provincia di Varese a fine del Trecento. Ottennero i privilegi della cittadinanza milanese con Decreto Ducale del 1473 in persona del nipote omonimo Francesco, figlio di Gabardo: lui e i suoi figli vengono definiti nelle lettere patenti come nobiles et bonae famae et bonis moribus preditos.

Si rese particolarmente illustre un ramo dei Sessa che da Cannobio si trasferì a Bologna, dove ebbe accesso al patriziato cittadino e s'imparentò con Papa Gregorio XIII Boncompagni: ebbe come capostipite un Giovanni Battista Sessa, appartenente alla linea di Ticinallo, che nel 1402 dovette abbandonare coi suoi familiari la città di Cannobio, nella quale essi si erano trasferiti da qualche generazione, a causa dell'instaurazione della tirannide dei Fratelli Mazzarditi, ricchi e potenti commercianti della zona, che, conquistando con la forza il dominio di Cannobio e del suo circondario, contesero con successo per più di un decennio (formalmente dalla parte dei ghibellini, ma di fatto al di sopra delle parti e per i propri interessi) ai Visconti il potere su tutta la regione del Verbano.[35] La consorteria nobiliare dei Sessa, legata storicamente alla casa viscontea, si vide minacciata dal nuovo potere sorto nell'Alto Verbano e Giovanni Battista Sessa, vicino ai teatri di scontro, fu costretto a fuggire. Egli trovò riparo a Bologna, dove avevano già preso dimora altri casati di Cannobio come i Mazza e i de Giuli: ivi il cognome della famiglia mutò in Cannobio Sessa di Ticinallo o semplicemente da Cannobio oppure Cannobii, forme con cui questo ramo dei Sessa è ricordato da G.B. Crollalanza nel suo Dizionario Storico-Blasonico. Una dettagliata descrizione della storia, degli onori e delle parentele dei Cannobio Sessa di Ticinallo è fornita da Giovanni Pietro de' Crescenzi Romani nella sua Corona della nobiltà d'Italia del XVII secolo, dove si legge:

« Merita di essere annoverato tra gli Illustri di Lombardia il casato de' signori Cannobij di Bologna. Hebbe questi principio dall'antichissima schiatta de' Sessa milanesi, tra i quali già fu Enrico Vescovo di Como, & Gherardo pria Vescovo di Novara, e poscia Arcivescovo di Milano, con altri personaggi e per armi e per lettere famosi nella illustrissima Istoria di Raffaello Fagnani, Dottore del Collegio di Milano. Di questa Casa anc'hoggidì ritrovasi nella Val Travaglia sopra il Lago Maggiore un nobile rampollo. Habitano i Sessa il luogo di Ticinallo; possono entrar nel Collegio di Milano, né riconoscono altro Giudice che il maggior Magistrato dell'istessa Città fornito da loro. Quindi un tale de' Sessa si trasferì a Cannobio, & fu dal primo luogo chiamato de' signori da Ticinallo. Sono 238 anni che da Cannobio i Sessa sen' vennero a Bologna: tra i quali primo fu Giovanni Battista Ticinallo chiamato da Cannobio, da cui per retta linea sono discesi i viventi Giacomo Filippo e Giuseppe Carlo, nobili Bolognesi. Giacomo Filippo per l'Altezza di Mantova nelle passate guerre fu Alfiero Colonnello ed hebbe per padre Orazio che fu fratello sia di Giovanni Battista, il quale appresso i Serenissimi Guglielmo, Vincenzo, Francesco, Ferdinando e l'ultimo Vincenzo Gonzaga Duchi di Mantova e Monferrato fu successivamente confermato Cameriere d'Onore, sia di Francesco, capitano di lance in servigio del Re di Francia. Ei erano figliuoli di Giuseppe, c'hebbe per moglie Laura Guastavillani, di casa Senatoria, sorella di un Cardinale, Filippo, e nipote di Papa Buoncompagni Gregorio XIII. Giuseppe fu generale Tesoriero in Bologna. Francesco da Cannobio, padre del suddetto Giuseppe era figliuolo del memorato signor Giovanni Battista Sessa Ticinallo da Cannobio, che dicemmo fu il primo c'habitasse di sua Casa in Bologna. Dallo stesso discesero Giovanni Battista Abate ed Apostolico Protonatario, ed altri tali c'hanno splendidissimamente mantenuto lo splendore di lor Famiglia: dalle cui alte radici germogliando sovente novelle piante han dato al mondo suavissimi frutti d'ogni cavalleresca virtù. Ha questa famiglia l'Arma medesima de' Sessa di Milano (...) »

Dopo un susseguirsi di signorie (famiglie Rusca, Sanseverino etc.) negli anni 1512-1516 il territorio di pertinenza originaria dei Sessa (Sessa, Monteggio e alcune zone del Malcantone) fu donato da Francesco I di Francia ai Confederati con la Pace di Friburgo. Gli svizzeri, impadronitisi delle nuove terre, diedero subito ordine di smantellare le fortezze del Malcantone, di cui il castello di Sessa, già devastato da un saccheggio dei confederati e ormai abbandonato dai suoi signori, era un caposaldo: questi eventi segnarono la fine di qualsiasi influenza del casato sul territorio, nonché dell'antica Corporazione dei Nobili di Sessa.

Mentre il potere del ramo dei Sessa di Ticinallo declinava in Valtravaglia, assurse a maggior rilievo quello residente a Daverio presso Varese e che insieme ai nobili Bossi e Daverio deteneva il potere nella Val Bossa: il suo ruolo, durante la dominazione spagnola, crebbe ulteriormente, giungendo a rivestire un ruolo di rilievo nel patriziato milanese, cui ebbe accesso nel 1573 con Francesco Sessa. Tra gli esponenti cinquecenteschi più rilevanti si segnalano: Gabriele Sessa, membro del Collegio dei Nobili Giureconsulti di Milano dal 1538 al 1551 e Abate del Collegio stesso; Francesco Sessa, Questore Ordinario Togato, membro del Senato dei Quindici di Milano dal 1589 al 1598; Pietro Maria Sessa, Monaco dell'Ordine dei Barnabiti, morto in odore di santità nel 1623; infine Giovanni Battista Sessa, clericus capsarius presso la Curia papale, che nel 1575 istituì un legato a favore delle fanciulle prive di dote di Varese.

Il ramo dei Sessa nobiles de Ticinallo aveva diviso nel 1453 il suo cospicuo patrimonio tra i tre figli di Antoniolo Sessa, i quali diedero origine, come si è detto sopra, a tre distinte ramificazioni. Nel Cinquecento con l'estinzione della linea di Alberto Sessa, terzogenito dei figli di Antoniolo, restavano quindi i Sessa de Ticinallo e i Sessa de Ceresolo. L'economia familiare dei due rami superstiti nel corso del Cinquecento si differenziò, giacché i Sessa di Ticinallo finirono infatti per indebitarsi pesantemente, andando incontro ad una rovina che si realizzò in meno di due secoli: il primo della famiglia che tentò di sanare questa situazione fu Carlo Sessa, vissuto nella prima metà del Seicento; egli fu costretto a vendere una buona parte del patrimonio fondiario e a rinunciare ai giuspatronati ereditari. Nella sua sfortuna non fu aiutato dai parenti: anzi, i nobili Gio. Antonio e Ferdinando Tinelli, suoi parenti tramite il matrimonio dell'avo Gio. Antonio Tinelli con Camilla Sessa de Ceresolo, premettero su Carlo Sessa perché vendesse altre porzioni di terreno in pagamento dei loro antichi crediti, ma, dato il prezzo irrisorio da loro offerto per pertica, il Sessa rifiutò; arrivati alle minacce, il Sessa per tutta risposta li portò in tribunale, che sentenziò a favore di Carlo Sessa, il quale riuscì a vendere a prezzo accettabile i beni stabiliti, riuscendo a coprire il debito coi cugini Tinelli: ai figli Bernardo, Giovanni Battista, Bartolomeo e Gerardo però ben poco restò del patrimonio avito. Nella seconda metà del secolo i Sessa di Ticinallo riuscirono a riottenere il giuspatronato su S. Giorgio in Muceno, ma il destino della famiglia parve segnato: essa sopravvisse in precarie condizioni economiche a Ticinallo sino a fine del Settecento.

Sempre nel Seicento un lungo contenzioso giudiziario vide contrapposta la consorteria dei Sessa di Daverio ad un ramo dei nobili Sessa a lei strettamente imparentato tramite il matrimonio del comasco Carlo Sessa con una figlia di Gabriele Sessa di Daverio, Camilla. La ragione della lite fu l'eredità dell'arciprete di Dairago don Gabriele Sessa (morto nel gennaio 1683), altro figlio di Gabriele, a sua volta figlio naturale del senatore Francesco Sessa di Daverio, il quale tuttavia aveva avuto anche discendenza legittima dal suo matrimonio con Laura Caterina Biumi: la causa vide infatti contrapposti Giovanni Battista, Camillo, Carlo Maria, Cesare e Carlo Sessa di Daverio, discendenti di tale matrimonio e quindi parenti in linea maschile del defunto, contro il cugino materno Francesco Sessa di Como, nipote in linea femminile dello stesso. Di preciso le parti contendenti, che reclamavano per sé l'intera eredità con esclusione della controparte, ragionarono in questo modo: ignorando a priori la loro distante parentela agnatizia (che avrebbe costituito un valido motivo a favore della equa spartizione dell'eredità), da una parte i Sessa di Daverio affermavano che il defunto prelato, benché nato da un figlio naturale del loro bisnonno, restava comunque un loro agnato, il che dava a loro il diritto di ereditare i beni di don Gabriele Sessa; dall'altra Francesco Sessa di Como, figlio della coppia Sessa-Sessa e nipote ex sorore del defunto, rifacendosi agli antichi Statuti del Ducato di Milano, asseriva che il padre del defunto, pur essendo stato riconosciuto dal padre, non era stato legittimato, il che annullava ogni diritto di agnazione e permetteva a lui - ob exstinctam lineam - di ereditare tutto con esclusione dei cugini materni di Daverio. Poiché non si trovava un accordo, furono chiamati a dirimere la causa i giureconsulti Rinaldo Tettoni e Carlo Trenta, i quali stabilirono con sentenze del 14 e 16 luglio 1683 che l'eredità dovesse spettare a Francesco Sessa di Como ad eccezione tuttavia di 10.000 fiorini, costituenti il legato che l'antenato comune delle parti, Francesco Sessa di Daverio, nel proprio testamento del 1602 aveva imposto ai figli legittimi Camillo e Cesare per il mantenimento del suo figlio naturale Gabriele, padre omonimo del religioso defunto: tale legato, in denaro e beni fondiari nel varesotto, fu ritenuto dai giureconsulti vincolato all'asse ereditario dei consorti Sessa di Daverio.

Tra Settecento e Ottocento sono ancora numerosi i rami dei Sessa qualificati e/o viventi nobilmente: i Sessa di Ticinallo, sempre abitanti a Ticinallo, i Sessa di Daverio con tre diramazioni, i Sessa di Arzago e il prolifico ramo residente a Como dal Seicento.

La stirpe dei Sessa di Ticinallo fu la prima ad estinguersi: ridotti da tempo in condizioni di indigenza, non si hanno più notizie di loro dopo il 1781, ossia quando Giovanni Battista Sessa, ultimo discendente attestato di questo ramo, vendette le ultime proprietà terriere ad alcune famiglie borghesi in ascesa economica tra cui i Petrolo e i Franzosini.
Quanto ai Sessa di Daverio, se sotto la signoria degli Sforza e successivamente sotto il dominio spagnolo poterono considerarsi al loro apice in virtù dell'aggregazione al patriziato milanese, dovettero in seguito subire un certo declino: l'unico ramo che conservò la dignità patrizia a Milano fu infatti quello discendente da Cesare Sessa, Giureconsulto Collegiato e Giudice Monetario nel biennio 1602-1604, figlio del senatore Francesco Sessa e di Laura Caterina Biumi, mentre nelle altre linee si decadde nella nobiltà generica a causa della cessazione della residenza a Milano o della mancata elezione per tre generazioni ad una carica del patriziato. Il ramo di Cesare Sessa non arrivò all'Ottocento, estinguendosi con le due figlie di Felice Sessa, una delle quali, Vittoria, sposò il nobile Filippo Bianchi di Velate. Gli altri tre rami dei Sessa di Daverio furono: quello disceso da Camillo, fratello maggiore del predetto Cesare Sessa; quello disceso dal Giureconsulto Collegiato Gabriele Sessa; infine quello residente a Gornate e disceso da un Giacomo Sessa vivente a Daverio nel Quattrocento. Il ramo che aveva come capostipite il giureconsulto Gabriele Sessa, divenuto nel Seicento titolare del feudo di Torrevilla in Brianza, si estinse nel Settecento. Quello di Gornate discendente da Giacomo Sessa si estinse invece nel 1802 con la morte del sacerdote Giacomo Sessa: nei suoi due secoli di storia aveva spiccato particolarmente in ambito religioso: Bartolomeo Sessa, figlio dell'omonimo Bartolomeo e di Ippolita Medici dei marchesi di Marignano, fu noto per le sue opere di carità e i suoi pronipoti Cosimo, Giacomo e Alessandro, nei quali si estinse la famiglia, furono tutti religiosi: il primo fu Abate dei Monaci Olivetani e Procuratore Generale dell'Ordine stesso, il secondo semplice sacerdote, mentre Alessandro, morto nel 1783, fu Canonico Ordinario e Penitenziere Maggiore del Duomo di Milano. Al ramo dei Sessa di Daverio che conservò residenza a Daverio, disceso da Camillo Sessa, pur non spiccando particolarmente in alcun ambito, va riconosciuta un'intensa attività di patronato locale, concretizzata ad esempio in legati a favore dei poveri di Varese e nell'istituzione delle prime classi di scuola pubblica a Daverio nel 1827 per opera dei fratelli Gabardo, Ettore e Filippo Sessa. Fu questo ramo, in persona dei fratelli Luigi, Ettore e Camillo (figli di Gabardo Sessa) ad ottenere nel 1902 dalla Consulta araldica il riconoscimento dell'antica nobiltà.
Ebbero ancora rilievo in ambito militare ed ecclesiastico i Sessa detti d'Arzago, discendenti da quel Francesco Sessa di Como che nel 1683 vinse la lite contro i cugini materni Sessa di Daverio sull'eredità dello zio don Gabriele Sessa: questo ramo vantò nel 1699 un Decano dei Canonici Mansionari della Cattedrale di Como in persona di don Stefano Sessa, mentre Carlo Sessa ricoprì dal 1729 le cariche di Luogotenente militare del Contado Comasco e Regio Delegato per la Città di Como, succedendo al nobile comasco Antonio Bagliacca; suoi nipoti, figli di Giovanni Sessa e Luigia Biumi (sorella del celebre Fisico Collegiato Nob. Francesco Biumi) furono Giacomo, patriota anti-austriaco, Cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro e Cavaliere della Legion d'Onore, e gli Ingegneri Collegiati Giuseppe e Luigi Sessa. I Sessa d'Arzago stabilirono nell'Ottocento la propria residenza ad Arzago d'Adda in località Ravajola, tenuta che fu possesso della famiglia dai primi del Settecento al 1939, quando fu venduta ai marchesi de Capitani d'Arzago. A questo ramo appartenne anche don Carlo Sessa, Prevosto e Vicario Foraneo di Rivolta d'Adda, che in quella città fondò nel 1838 il primo asilo infantile e nel 1845 fece restaurare la torre campanaria della Chiesa di San Sigismondo. Questo ramo del casato si è recentemente estinto con le tre figlie di Luigi Sessa, Cavaliere della Corona d'Italia, una delle quali, Carla, sposò nel 1946 Giovanni Gatti Grami e lasciò in eredità ai discendenti il cognome e i beni della sua famiglia.

I Sessa di Como, discendenti da un Giovanni Pietro Sessa cugino del predetto Francesco Sessa che fu ascendente diretto dei Sessa d'Arzago, divennero invece particolarmente celebri in campo imprenditoriale, dando origine, assieme ai Gavazzi, con cui si imparentarono, ad una delle più grandi dinastie industriali ottocentesche. Il fautore di questa fortuna fu Carlo Sessa che negli anni quaranta dell'Ottocento, assieme al cugino Luigi possedeva la maggiore filanda serica della città di Milano e innovò sensibilmente il settore della tessitura della seta. Fondò la Fabbrica d'amido e cipria e la Fabbrica degli alcools, che con l'entrata di G. A. Fumagalli nel 1850 divenne la Sessa-Fumagalli & Co.: la prima distilleria industriale italiana. Fu membro del Comitato Centrale della Associazione Industriale Italiana dalla sua fondazione (1867), mentre nel 1872 collaborò alla nascita della Società per la Filatura dei Cascami di Seta; dal 1873 fu amministratore della Banca Industriale e Commerciale di Milano. Nel 1874 acquistò terreni a Cremella a Lecco, dove realizzò tre ville per i suoi tre figli maschi (Francesco, Giuseppe e Rodolfo). A questo ramo della famiglia appartengono oggi le diramazioni dei Sessa Sforza, imparentatisi coi conti Sforza di Castel S. Giovanni, i Sessa Vitali, che accolsero l'eredità dei baroni Vitali di Bergamo, i Soncini Sessa, eredi di Rodolfo Sessa di Cremella in quanto discendenti di Luigi Sessa, Cavaliere del Lavoro, e altre linee che contrassero parentela con le nobili famiglie Calchi Novati, Ferrario, Ferrero Gubernatis di Ventimiglia, Gnecchi Ruscone e Riva.

Il nobile Luigi Sessa di Daverio (1824 - 1915), figlio di Gabardo Sessa e Carolina Gatti. Il fratello Ettore, figlio del secondo matrimonio del padre con la nobile Angiola Bossi, curò l'iscrizione della famiglia agli elenchi nobiliari regionali e al Libro d'oro della nobiltà italiana.

Il nobile Luigi Sessa d'Arzago (1867 - 1931), figlio di Paolo Sessa e Maria Bassi. Fu Cavaliere della Corona d'Italia e podestà di Arzago d'Adda. Delle sue tre figlie, Gaetanina Paolina, Camilla e Carla Sessa solo quest'ultima ebbe discendenza dal matrimonio con Giovanni Gatti Grami.
I Sessa figurano nell'Elenco ufficiale della nobiltà italiana e nel Libro d'oro della nobiltà italiana insigniti del titolo di nobili.

Così sono descritti dal marchese Vittorio Spreti nell'Enciclopedia storico-nobiliare:

« ...Famiglia di nobiltà antichissima, riconosciuta con D.M. 20 aprile 1902, che vanta un giuresperito del Collegio di Milano, del secolo XVI in persona di GABRIELE, figlio di Francesco, di Ettore, di Francesco.
La nobiltà è attestata in modo sicuro dagli atti notarili, nei quali non solo si attribuiscono secondo i tempi le qualifiche di dominus, nobilis, spectabilis, magnificus dominus e don, ma si parla esplicitamente dei nobiles parentelae de Sessa. V'ha poi un atto del 20 febbraio 1430 relativo ad un compromesso di vertenze intorno a ripartizioni di gravezze d'estimi, dal quale la nobiltà della famiglia appare in modo precipuo. Di più, una persona della stessa famiglia, FRANCESCO Sessa, ottenne il 22 gennaio 1473 la cittadinanza milanese per sé e discendenti, e nella parte espositiva delle lettere patenti relative si narra che dalle informazioni assunte presso il vicario di provvisione di Milano, risultava essere il petente e i suoi figli < nobiles et bone fame et bonis moribus preditos >.
La genealogia comincia da un GIOVANNI, che era già defunto nel 1383. Da lui nacque FRANCESCOLO, già defunto nel 1405 e che fu padre di GABARDO. Da questi nacque FRANCESCO, che a sua volta fu padre di ETTORE, la cui vedova Franceschina ALIPRANDI, qm. Jacopo, nel 1497 era tutrice dei figli minorenni, tra i quali un FRANCESCO, che fu padre di ETTORE, dal quale nacque un altro FRANCESCO, che si sposò il 2 marzo 1568 a Laura Caterina BIUMI. Da questi discendono, mediante altre sette generazioni, LUIGI e i di lui fratelli ETTORE e CAMILLO, che ottennero il riconoscimento nel 1902, e sono iscritti nel Libro d'Oro della Nob. Ital. e nell'Elenco Uff. Nob. Ital. col titolo di Nobile (mf) .... »
La famiglia Sessa è descritta anche nell'Annuario della nobiltà italiana. Nella vecchia serie, curata dalla famiglia Crollalanza ed edita annualmente sino al 1905, è presente nel ramo Cannobio Sessa di Ticinallo, Patrizi di Bologna. Nella nuova serie, curata da A. Borella ed edita a partire dal 2000, sono descritti due rami, discendenti da due degli attori comparsi nel processo sull'eredità di don Gabriele Sessa di Daverio nel 1683: il primo, originato da Camillo Sessa e già presente negli Elenchi Ufficiali, risiedeva a Daverio, Galliate Lombardo e Milano e venne riconosciuto nell'antica nobiltà nell'aprile del 1902 in persona dei fratelli Luigi (II), Ettore e Camillo Sessa, figli dell'avvocato Gabardo Sessa e abiatici di Luigi Sessa (I), nonché dai figli di Luigi Sessa (II), ossia Fiorbellina, Ippolita, Ettore, Carlo e Guido Sessa; il secondo ramo, disceso da Francesco Sessa di Como e residente ad Arzago d'Adda, Milano e Meina, era rappresentato dai fratelli Luigi (II), Giacomo, Francesco e Camillo Sessa figli di Paolo Sessa e abiatici dell'ingegnere collegiato Luigi Sessa (I), nonché dalle figlie di Luigi Sessa (II), ossia Gaetanina, Camilla e Carla Sessa, la quale, sposando nel 1946 Giovanni Gatti Grami, ha trasmesso alla discendenza il cognome della famiglia.



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lunedì 23 febbraio 2015

STEMMA COMUNE DI MILANO

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Lo stemma della Città di Milano è costituito da uno scudo sannitico di color argento su cui è presente una croce rossa, lo scudo è timbrato da una corona da città.

Lo stemma è stato approvato con Decreto CG del 19 marzo 1934. La descrizione dei simboli della città è così riportata nello statuto comunale:

« 1. Il gonfalone storico, insignito della medaglia d'oro della Resistenza, e raffigurante Sant'Ambrogio, vescovo eletto dal popolo, è il gonfalone di Milano.
2. Lo stemma della Città di Milano è araldicamente così descritto: d'argento (bianco) alla croce di rosso, cimato di corona turrita (un cerchio d'oro aperto da otto pusterle), e circondato ai lati nella parte inferiore da fronde verdi di alloro e di quercia annodate con un nastro tricolore.
3. La bandiera del Comune di Milano è costituita da una croce rossa su sfondo bianco. »
Il gonfalone è decorato dalle seguenti onorificenze:

Medaglia alle Città Benemerite del Risorgimento Nazionale del 13 marzo 1898
Medaglia d'oro al valor militare del 15 marzo 1948.

La leggenda vuole che la croce rossa in campo argento venisse data quale insegna ai milanesi da papa Gelasio I nella persona di Alione Visconti, ipotetico maestro di campo generale dell'esercito cittadino contro Teodorico, re degli Ostrogoti, ma questa ipotesi non regge alla verifica storica. Nel 1038, quando l'arcivescovo Ariberto da Intimiano arma la plebe e le dà il Carroccio, Milano non aveva ancora uno stemma ma secondo il cronista Arnolfo, testimone oculare, dall'antenna del Carroccio pendevano due fasce di tessuto candido e sul Carroccio era bensì presente una croce ma si trattava di una croce latina in legno attaccata più in basso delle fasce e sopra l'altare, usata per la celebrazione dei riti religiosi.

L'adozione del simbolo della croce rossa in campo argento risale sicuramente ad un'epoca successiva alla prima crociata, infatti tutti gli studiosi sono concordi nel non ammettere l'esistenza di simboli araldici prima di allora. La leggenda vuole che la croce venisse adottata dai crociati milanesi nel corso della conquista del Santo Sepolcro.

Inizialmente, alla fondazione del comune medievale (1045), fu usato uno scudo partito di bianco (simbolo del popolo) e di rosso (simbolo dei nobili); l'adozione della croce rossa in campo bianco risale al XII secolo epoca in cui, quale segno di maggiore autonomia dall'Impero, fu adottata da altre città. Giorgio Giulini riporta nelle sue Memorie che lo storico lodigiano Morena vide personalmente nel 1160 il Carroccio sul quale svettava una «un grandissimo vessillo bianco colla croce rossa». All'epoca la croce rossa in campo bianco costituiva solo il Vexillum publicum del comune, esistendo anche il Vexillum civitas (biscione azzurro in campo bianco, divenuto poi stemma dei Visconti e del ducato di Milano) e il Vexillum populus (l'effigie di Sant'Ambrogio).

La prima testimonianza dello stemma nella forma attuale è del XIV secolo e si trovava sull'arca di Azzone Visconti presente nella chiesa di San Gottardo in Corte, ora perduta, dove era raffigurato sant'Ambrogio portante il vessillo bianco con la croce rossa. In seguito, sotto il dominio dei Visconti, lo stemma fu solitamente sostituito dal Biscione, emblema della famiglia Visconti e del ducato di Milano tornando ad essere, forse, usato durante il breve periodo dell'Aurea Repubblica Ambrosiana (1447-1450), due arazzi presenti nel Fahnenbuch (libro delle bandiere) del 1647 ed attribuiti alla Repubblica Ambrosiana vengono ritenuti di valore storico dubbio.

Nei secoli successivi il simbolo fu talvolta arricchito con la testa di Sant'Ambrogio e a partire dal XVI secolo incominciarono ad apparire altri ornamenti quali cartocci, corone, fronde che arrivarono all'eccesso nel secolo successivo.

A partire dal 1805 Milano divenne prima capitale della Repubblica Italiana e poi del Regno d'Italia voluto da Napoleone Bonaparte. Con la rivoluzione francese tutti gli stemmi, considerati simboli di schiavitù, vennero aboliti ma, successivamente, Bonaparte ripristinò la possibilità di avere un blasone e per evitare abusi il 17 gennaio 1812 decretò dalle Tuileries che nessuna città, nessun comune o pubblico stabilimento avesse ad esporre stemma particolare se prima non ne avesse ottenuta la espressa concessione con lettere patenti. Milano ebbe, il 9 gennaio 1813, la concessione di un nuovo stemma la cui blasonatura recitava:

« Porta lo scudo d'argento colla croce piana e centrata di rosso; terminato dal capo di verde colla lettera N d'oro posta nel cuore ed accostata da tre rose a sei foglie del medesimo; Cimato dalla corona murale a sette merli, d'oro, sormontata dall'aquila nascente al naturale, tenente tra gli artigli un caduceo d'oro in fascia. Il tutto accompagnato da due festoni intrecciati d'ulivo e di quercia dell'ultimo, divisi tra i due fianchi, ricongiunti e pendenti dalla punta »
Il capo presente al di sopra dell'antico simbolo era quello delle buone città del regno. Comunque caduto Napoleone nel 1814 anche il relativo stemma fu dismesso.

Il 3 aprile 1816 l'imperatore Francesco I d'Austria con un decreto sostituiva alle frasche vegetali un ornamento in oro con la motivazione che l'oro, il più nobile dei metalli, meglio si addiceva ad una città regia ed importante quale Milano era, al di sopra della corona veniva posta l'aquila bicipite asburgica. I fregi dorati e le frasche vennero in seguito sostituiti da fronde verdi di olivo e di quercia legate da un nastro solitamente di color celeste.

In seguito al passaggio sotto il Regno d'Italia fu dapprima tolta l'aquila bicipite e in seguito furono modificati la forma della croce, dello scudo e degli ornamenti (ottobre 1860). La giunta municipale approvò altre lievi modifiche il 13 maggio 1867 e altre se ne aggiunsero nel 1899.

Nel 1932 il podestà Marco Visconti si attivò perché, secondo le prescrizioni della legge vigente, anche l'arma di Milano avesse un riconoscimento legale. Il 13 maggio scrisse al prefetto dichiarando che essendo necessario sostituire lo stemma su numerosi edifici e per altre attività e abbandonata l'idea di includere nello stesso il fascio littorio, visto il dispendio di tempo necessario, richiedeva la sanzione legale del “nuovo” blasone (che comunque rimaneva essenzialmente uguale all'antico. In data 14 giugno il prefetto trasmise la domanda alla Presidenza del Consiglio dei ministri, allegando gli estremi del precedenti riconoscimento asburgico. In attesa del riconoscimento il podestà nominò, il 16 febbraio 1933, una commissione avente «l'incarico di proporre un progetto di uno stemma della città di Milano che richiamandosi alle tradizioni della città risponda alle esigenze araldiche ed estetiche», la commissione, presieduta dal podestà, era composta da Giovanni Vittani, Romolo Caggese, Lodovico Pogliani, Alessandro Giulini e Giorgio Nicodemi (segretario). Il 19 marzo 1934 fu emanato, dopo vari solleciti, il decreto di riconoscimento. Nello stemma fu inserito il capo del Littorio divenuto obbligatorio con il decreto n. 1440 del 12 ottobre 1933, abrogato nel 1944 da un decreto luogotenenziale.

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