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domenica 5 luglio 2015

LOZIO



Lozio è un comune della Val Camonica.

Si tratta di un comune sparso: non esiste una frazione definibile "capoluogo" e la sede comunale si trova a Laveno.

Il comune di Lozio occupa l'intera Val di Lozio. Laveno, Sucinva, Sommaprada sono posti nella parte terminale della vallata, mentre Villa è posizionata in testa alla conca.
La Valle di Lozio dal nome latino Lotium che significa "Frana", vede sorgere il primo agglomerato di case per mano dei vigili occhi romani insediati allora nella fiorente Cividate chiamata Vannia.
La Valle per i romani rappresentava una via comoda e breve per comunicare e commercializzare con la vicina Valle Scalvina attraverso la sella del "Colletto". Successivamente una rovinosa frana distrusse l'abitato e Villa (una delle quattro frazioni del Comune) che significa abitazione in campagna non distante dal centro, si espande staccandosi definitivamente dal luogo del disastro, assegnando il nome definitivo alla frazione.
Per Sommaprada invece la tradizione vuole che prenda in eredità il nome da un'antica città; la "Città di Somma" posta più a Sud dell'attuale Sommaprada dove esistono ancora oggi alcune case semi diroccate in una zona pianeggiante. Distrutta da un'alluvione, della menzionata città non si dispone di nessuna documentazione storica. L'unica certezza che abbiamo è che Sommaprada significa " in cima alla prateria" e non è sicuramente la descrizione del piccolo agglomerato di case che oggi vediamo adagiato lassù ai piedi della nuda roccia.
Laveno accolse i sopravvissuti della Città di Somma e il suo nome lo deve al dialetto antico lombardo "labes" che significa "frana fangosa" probabilmente affibbiato dai Sommapradini.
Di origine latino anche il nome Sucinva, quarta frazione e la più antica. Quest'ultima era chiamata all'epoca romana Sucinius, "nome di persona romana". Si trova in una posizione a metà della strada provinciale che da Malegno porta alla Valle di Lozio e da lì si può scorgere cosa avviene "laggiù" negli abitati di Cividate e Malegno. Qui pare avesse residenza un facoltoso romano che sovrintendeva i militari con il compito di guardiani della Valle.
Le quattro frazioni anche se distanti fra loro formano il Comune e Lozio è il nome della Valle.
Villa che dista circa 3 km dalle altre frazioni si trova sulla strada che porta attraverso una folta pineta nell'abitato di Ossimo Superiore ed è a 1020 m. s.l.m.
Laveno che è a 975 m. s.l.m. é la frazione in cui risiede la Casa Comunale. Sommaprada 1060 m. s. l. m. posta ai piedi della Concarena. Sucinva è più a valle con i suoi m.850 s.l.m.
Lozio possedeva un forno fusore e fu collocato in località "Ponte di Ferro". Dopo il decadimento della famiglia Nobili in seguito ad una strage che li vide morire tutti tranne due elementi che si salvarono, il forno venne ceduto per metà alla comunità di Lozio nel 1497. Venduto per 1450 cavalli di ferro crudo, da un certo Pietro Nobili discendente della potente famiglia che ne sottoscrisse il contratto.
Il minerale per il forno era importato dalle antichissime miniere di Scalve con l'ausilio di 60 operai. Si trasportavano 6000 q di materiale grezzo che occupava 30 portatori, 10 operai addetti al forno e 20 per il taglio della legna.
Infatti, nel 1300 i Nobili raggiunsero l'apice della loro potenza grazie anche alla fabbricazione di armi che in quel periodo era molto fiorente a Lozio. Fu smantellato definitivamente nel 1887.
Il trasporto era effettuato tramite il passo del "Colletto".
 
Gli antichi Camuni, del ceppo Ligure-Celtico, dovevano certamente conoscere e frequentare questa piccola valle, laterale alla più ampia Valle Camonica e forse percorrevano i ripidi e stretti sentieri che la collegavano alla vicina Val di Scalve, ma su queste antichissime presenze non si hanno dati e riscontri certi e sicuri se non per induzione indiretta vista la vicinanza di molti siti preistorici ritrovati sull'altopiano di Borno e Ossimo e la continuità col territorio della media Valle Camonica.
Dopo la conquista delle grandi valli alpine nella guerra Retica del 16 a.C., la presenza dei Romani nella piccola valle di Lozio, scoscesa e protetta naturalmente da una corona di montagne e dalla difficoltà e scarsità di collegamenti e strade, è riscontrabile non solo nei nomi di alcune delle frazioni che compongono il comune ma anche perché (dal 1889) sono stati ritrovati, in località Campoguardia, diversi siti funerari di epoca barbarico-romana.
Nelle tombe vi erano, a corredo, diversi reperti della stessa epoca.
Intorno all'anno mille, dopo la lunga dominazione longobarda e la successiva conquista dei Franchi di Carlo Magno, in questa zona ebbero numerose proprietà, benefici feudali e beni i ricchi monasteri bresciani di San Faustino e di Santa Giulia.
E’ accertato che Vicus Lotii ebbe origine romana, in quanto sono state ritrovate monete in bronzo e rame con l’effigie di Tiberio e Costantino in zona. Inoltre la stessa toponomastica del posto contiene radici latine (Villa, Sunciva – sub civis, Sonvico – summus vicus). Nel 1156 si riporta di una rissa tra gli abitanti di Lozio e Borno che, recandosi in processione a Cividate Camuno, si scontrarono all’altezza di Malegno. Il paese di Lozio possedeva un forno fusorio dove fondeva il ferro proveniente dalla Val di Scalve. Tra il 1371 ed il 1428, Bernabò Visconti, concede a Lozio di far parte della comunità di Val di Scalve, e solo di seguito entrerà nell Comunità di Valle Camonica. Tra il 1411 ed il 1428 sono i Federici i possessori del feudo, a seguito dell’eccidio di Lozio a spese dei Nobili. A partire dal 1500 inizia la decadenza della famiglia Nobili che vende grandi quantità dei propri latifondi alle comunità di Scalve, Ossimo e Lozio.

Nel 1455 il Maggior Consiglio della Serenissima, non più disposto a credere alla malsicura fedeltà di alcuni nobilotti locali che avevano più volte tradito i giuramenti di sudditanza, ordinò lo smantellamento di molti castelli camuni (Montecchio, Plemo, Mu, Cimbergo, Cemmo ecc), ma quello di Lozio fu risparmiato e ai suoi fedeli Signori fu riconosciuta, oltre ai privilegi già citati anche l'ambita "Cittadinanza bresciana" e la proficua e allora (era a pagamento) ricca concessione di pesca nei torrenti Lanico e Baione. La fiducia concessa da parte dei delegati della Repubblica Veneta nei Nobili di Lozio fu ben ricambiata e fu ulteriormente dimostrata nel 1512 da Simone, figlio di Bartolomeo, che partecipò alla riscossa contro le truppe dei Francesi che avevano invaso la valle e occupato alcune rocche camune.
Gli abitanti di Lozio, già dagli inizi del 1400, avevano comunque iniziato a contestare vivacemente ai loro "Signori" alcuni dei principali diritti feudali e le proprietà sul territorio, tanto che i Nobili, pressati dai sindaci dovettero cedere alcuni privilegi alla comunità, ma la famiglia riuscì a mantenere forte la propria influenza politica, tant'è che nel 1550 riuscì ad imporre come parroco di Villa un suo giovane membro appena quindicenne (la maggiore età allora si raggiungeva al compimento del 14° anno). Questi si comportò in modo tanto scandaloso ed era ritenuto di costumi tanto poco esemplari che Carlo Borromeo, cardinale di Milano, fu costretto a destituirlo ed esiliarlo.
Nel 1500, anche su stimolo della Repubblica Veneta, che in questo modo limitava enormemente il potere dei nobili locali, erano sorte in Valle Camonica varie "Vicinie" e anche le quattro comunità e frazioni della Valle di Lozio ottennero di poter eleggere i propri organi amministrativi di estrazione popolare e nominare il proprio Console. Nel 1574 i Nobili furono costretti a cedere alcuni dei loro privilegi più esclusivi tra cui quello ambitissimo del diritto esclusivo alla caccia sulle loro proprietà e sulle terre della Valle di Lozio. Di queste concessioni s'impossessò il Comune di Lozio, che le rilevò direttamente, dopo che Venezia non si era opposta al loro incanto e alla loro cessione.
I secoli successivi videro sorgere e svilupparsi nei piccoli borghi alcune scuole per l'istruzione dei giovani. Fino al 1700 la Valle di Lozio restò quasi completamente isolata dal resto della Valle Camonica, poiché era servita solo da stretti e ripidi sentieri che, permettevano il passaggio solo di carri di dimensioni ridotte e con carichi limitati. Anche con la vicina Valle di Scalve, con cui confinava solo tramite dei piccoli e disagevoli passi, i collegamenti erano difficili e non praticabili tutto l'anno.
Se questo era stato un grande vantaggio strategico nella difesa della zona, i mutati tempi e le diverse condizioni politiche richiedevano invece collegamenti più celeri e facili, strade più ampie e sicure. Venne allora costruita una strada che collegava i principali borghi con le principali arterie del fondo valle camuno e questo permise un più vivace scambio tra le varie popolazioni e i piccoli paesi loziesi che rimasero però ancora a lungo gelosi della loro piccola ma secolare autonomia.
Come per altri centri abitati della Valle Camonica fu alto il contributo di vite umane che la comunità di Lozio pagò per le guerre del Risorgimento e per le due guerre mondiali. Nell'ultimo conflitto mondiale dopo la caduta del fascismo, dal dicembre del 1944 al gennaio del 1945, in pieno inverno, agì in queste brulle e inospitali montagne la formazione partigiana delle Fiamme Verdi, comandata da Giacomo Cappellini che fu catturato dai nazifascisti, nell'abitato della frazione di Laveno, e dopo un sommario processo, fucilato.
A partire dagli anni '90 anche Lozio, come altri centri minori della Valle Camonica, ha intrapreso, con buoni risultati, la strada dello sviluppo turistico e la tranquillità della sua piccola ma incantevole Valle, non ancora contaminata da traffico intenso e da speculazioni edilizie selvagge (anche per l'opposizone ad alcuni progetti), è la maggiore attrattiva per i sempre più numerosi villeggianti che trascorrono i mesi estivi nelle quattro frazioni.



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martedì 21 aprile 2015

LA FAMIGLIA BESOZZI

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E' fra le più nobili ed antiche famiglie milanesi, compresa come è nella matricola di Ottone Visconti, dalla quale si dovevano togliere gli ordini della Metropolitana. La tradizione assegna a questa casata il beato Alberto, fondatore dell'ordine monastico di S. Ambrogio ad Nemus, vissuto nella seconda metà del XII secolo.

Di probabile origine longobarda come fara indipendente, la famiglia dei da Besozzo, de Besutio nei documenti più antichi, fu di fatto padrona della sponda orientale del Lago Maggiore, della Valcuvia, di parte della Valtravaglia, del Gambarogno, del Locarnese e dell’alta valle del Ticino rappresentando per secoli un centro di potere politico. Durante il XII secolo, si divise in più rami. Nel 1164 a Locarno, come Capitanei, fu riconosciuta loro da Federico I una patente di nobiltà. Tale ramo si suddivise a sua volta negli Orelli, che furono i più importanti, i Rastelli, i Rusconi, i Magoria, i Gnosca, i Della Rocca, i Muralto e i Duni. Altri suoi esponenti si stabilirono nel Sottoceneri a Casoro, frazione di Barbengo, prendendo il nome di de Casulis, come pure di Capitanei de Premona (antico nome del comune di Barbengo).

La famiglia possedeva beni allodiali e feudi vescovili in Malcantone, in tutta la val Scairolo e a Barbengo, Agra, Poporino (frazione di Gentilino), Carabbia, Calprino, Morcote e Riva San Vitale. Ebbero molto probabilmente in possesso il castello di Barbengo e quello di Cuasso. Sebbene privi di un reale potere sovrano, il loro potere economico derivava dalle regalie che possedevano nel territorio (pedaggi, decime, diritti d'alpe, di pascolo, di pesca, di mercato, di caccia, di macinatura, ecc.) e dal possesso di numerosi beni fondiari (curtes, campi, boschi, pascoli, alpi), ma mai da un vero proprio potere giurisdizionale. Funzionali allo scontro tra guelfi e ghibellini appoggiarono i Visconti fino alla creazione del Ducato di Milano e furono dotati di una certa indipendenza politica scontrandosi spesso con la famiglia Torriani per il controllo dei territori orientali e con i conti del Seprio, cui non si assoggettarono mai, per i territori meridionali. Al termine di tali lotte però risultarono notevolmente indeboliti sia sul piano finanziario che su quello umano pertanto lentamente il loro potere declinò inesorabilmente per sparire del tutto già nel XV secolo. Da allora rimase come semplice famiglia nobile milanese. Nel XVI secolo Antonio Maria Besozzi fu bandito da Milano con l'accusa di eresia, nel 1544 si trasferì a Locarno dove viveva il ramo collaterale della famiglia, gli Orelli.



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lunedì 13 aprile 2015

LA FAMIGLIA SESSA A PORTO VALTRAVAGLIA

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I Sessa nascono come diramazione della famiglia Carcano, clan nobiliare di stirpe longobarda. Fra i membri più antichi di questo casato si annovera il conte Obizzo da Carcano, ricco e potente cittadino milanese che nell'anno 980 fu governatore di Milano con pieni poteri per conto degli Ottoni. Durante quegli anni Obizzo e suo figlio Landolfo, che il padre fece nominare Arcivescovo, accentrarono nelle loro mani il potere, mettendo a capo di feudi figli, nipoti e alleati, prima di essere cacciati da una rivolta popolare.


In merito alla discendenza di Bonizone da Carcano il cronachista Goffredo da Bussero, vissuto a Milano tra il XIII e il XIV secolo sotto la signoria viscontea, scrisse: «Nell'Anno del Signore 980 Bonizone da Carcano signore di Milano aveva quattro figli: rese il primo, Landolfo, arcivescovo di Milano; il secondo divenne il primo dei Capitanei di Carcano, il quale ebbe a sua volta due figli: dal primo discesero i Capitanei di Carcano e quelli di Parravicino, dal secondo figlio quelli di Sessa e di Luino...» Secondo questa tradizione, Bonizone da Carcano sarebbe il capostipite non solo delle famiglie Carcano, Parravicini, Sessa e Luini, ma anche delle famiglie Pirovano, Mesenzana, Caspani, de Casternago e de Castelletto. L'araldica può offrire un'ulteriore prova di questa ascendenza: nella maggior parte degli stemmi di queste famiglie compare infatti il cigno, emblema di casa Carcano. Ad ogni modo pare che il legame in questione sia rigorosamente provato dai documenti solo per le famiglie Carcano, Parravicini e Sessa. Per quanto riguarda i Sessa, la prova risiede in un atto notarile del luglio 1263 dove si dice un Pietro de Sexa, avo dei de Sexa viventi nel 1263 e capostipite della linea Sessa di Ticinallo, aveva concesso dei prestiti al comune di Grantola fra il 1223 e il 1227: tale Pietro, condomino del castello di Sessa, compare in altre parti del documento anche come Pietro de Carcano e viene detto figlio di un Amizone de Carcano, nonché padre di un Amizone de Sexa.

In quanto diramazione della famiglia Carcano, la comparsa dei de Sessa in Malcantone andrebbe fatta risalire, secondo recenti studi, alla Guerra decennale tra Como e Milano (1118-1127), sorta dal dissidio tra un altro prelato di casa Carcano, chiamato di nuovo Landolfo, e Guido Grimoldi per la carica di vescovo di Como; l'elezione di Landolfo da Carcano era sostenuta dall'imperatore, quella di Grimoldi dal papa. Landolfo da Carcano, incalzato dai Comaschi, si rifugiò proprio in Malcantone, precisamente nel castello di Magliaso, una località appartenente alla zona di influenza dei de Sessa nei tempi successivi. Se la data post quem rimane incerta, la data ante quem della presenza della famiglia a Sessa è il 1240, essendosi conservato un diploma del 21 Dicembre 1240 dove l'Imperatore Federico II di Svevia, scrivendo al Comune di Como, ordina che il Castello di Sessa, definito come proprietà imperiale, fosse restituito ai Capitanei di Sessa a patto che questi offrissero valide garanzie di fedeltà; dal documento si deducono quindi due cose: in primo luogo che i de Sessa erano vassalli imperiali già prima di quella data e in secondo luogo che essi però avevano tradito la fiducia accordata dall'Impero, impegnato com'era ad arginare la potenza dei Milanesi favorendo le famiglie feudali del contado e le città nemiche di Milano, visto che i de Sessa, verosimilmente più toccati dall'espansione della vicina Como nelle valli luganesi, si appoggiarono proprio ai Milanesi per salvaguardare i propri interessi.

Quanto al toponimo Sessa, anticamente Sexa, da cui la famiglia ha appunto preso nome, esso ha origine etimologica incerta. Si trova oggi sulle colline del Malcantone, ed era a quell'epoca un luogo strategico.

Francesco Bertoliatti, nel suo libro « Profilo Storico di Sessa » dice: « Già nel 600 Sessa era stato nucleo di resistenza dei Franchi contro i Bizantini e i Longobardi questa resistenza era possibile per la felice configurazione topografica».

Quei luoghi furono per molti secoli la strada principale per il traffico tra il Nord ed il Sud, passaggio di tutte le invasioni che divenne poi la strada che congiungeva le due parti del Sacro Romano Impero Germanico.

Benché il casato iniziasse presto a diramarsi con l'allontanamento di molti esponenti dai luoghi d'origine, a Sessa rimase radicata presso il castello una Corporazione Nobiliare dotata di diritti feudali che per lungo tempo tenne insieme la vasta e dispersa agnazione. Essa sopravvisse sino all'annessione svizzera della zona nel 1516: fiorente nel Duecento, ebbe il massimo numero di componenti nel Trecento, periodo in cui tuttavia iniziò a versare in cattive condizioni economiche; nel Quattrocento il numero dei condomini iniziò a diminuire finché in una riunione del 18 Agosto 1508 convennero solo 6 uomini, definitisi quasi omnes. L'ultima testimonianza che attesti l'esistenza dell'antico condominio nobiliare è un atto del 4 Agosto 1525 dove la Corporazione si riunì per eleggere il cappellano di Sant'Orsola a Sessa. La Corporazione raccolse nei suoi tre secoli di vita tutti i discendenti legittimi del casato, ma peculiare fu la scelta, evidente soprattutto negli anni 1316-1362, di ammettere anche individui discendenti da donne di casa Sessa, esponenti di casati alleati. Il fatto che la Corporazione accogliesse, fra gli altri, anche i nobili de Sessa non più residenti al castello, rende difficile capire dalle liste dei condomini chi vi risiedesse o meno a titolo fisso, ma soprattutto tracciare una genealogia sicura antecedente al XIV secolo. Sicuramente abitante al castello fu il ramo più noto della famiglia, ossia quello che nel Trecento si trasferì a Daverio nei pressi di Varese e i cui membri conservarono anche dopo il cambio di residenza proprietà presso il Castello, nonché un ruolo di rilievo in seno alla Corporazione.

I Sessa di Valtravaglia furono la prima linea dell'agnazione de Sessa attestata al di fuori del Malcantone, stabilendosi sulle sponde del Verbano, dove - non è noto se per acquisto o eredità - possedevano molti beni: a Luino, Cannobio, Brezzo di Bedero (Sala), Laveno, ma soprattutto a Ticinallo, oggi frazione di Porto Valtravaglia. Capostipite fu il succitato Pietro de Sessa del fu Amizone de Carcano e, a partire dalla metà del Duecento, la sua discendenza creò un nuovo forte centro di potere sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, ottenendo l'investitura arcivescovile della Rocca di Caldè: i fratelli Francesco e Quirico de Sessa ricoprirono la carica nel 1261, un altro Francesco nel 1294, mentre in contemporanea il primo Francesco e il fratello Arderico servivano come vicarii del podestà Napoleone della Torre a Vercelli negli anni '70 del Duecento. Ancora nel 1406 Guglielmo Sessa del fu Pietrino era castellano della Rocca di Caldè. Il salto di qualità per la famiglia si verificò in occasione della lotta per il dominio su Milano tra i Visconti, aristocratici, e i Della Torre, popolari, guerra che segnò con la vittoria dei primi la fine dell'esperienza comunale a Milano e l'inizio dell'epoca delle signorie. In questo conflitto i Sessa di Valtravaglia schieratisi con Ottone Visconti ottennero, a seguito della vittoria della fazione viscontea, l'ascrizione della famiglia alla Matricula Nobilium dei patrizi milanesi (stilata nel 1277 e riscritta con scarse modifiche nel 1377), dove compaiono sotto il nome di Sessa de loco Sarrae plebis Travaliae. I Sessa di Valtravaglia si divisero a cavallo tra XIII e XIV secolo in due rami: i Sessa di Ticinallo, maggiormente legati al contado, e i Sessa di Sala, inurbatisi a Milano. Ai primi appartenne Enrico Sessa, Vescovo di Como, il quale, una volta eletto nel 1369, nominò suo procuratore il parente Pietro Sessa di Ticinallo, Prevosto della Collegiata di S. Vittore di Valtravaglia.

I Sessa di Sala (o Sarra) di Travaglia furono i primi a rappresentare attivamente la famiglia nel patriziato di Milano, ma la loro discendenza non durò oltre il XV secolo. Si annoverano: Paolo Sessa, avvocato fiscale per la Camera ducale ed Edile per la Veneranda Fabbrica del Duomo negli anni 1413, 1414, 1418; Giacomo Sessa, fratello di Paolo, Sindacatore laico degli ufficiali della Corte ducale nel 1400; Gaspare Sessa, fratello dei precedenti, che nel 1404 fu uno dei sei tesorieri della Camera ducale; altro Paolo Sessa, capitano generale della Valtellina nel 1428; altro Gaspare Sessa, feudatario di Sillavengo e capitano di ventura per conto prima della duchessa Bianca Maria Visconti, poi degli eredi Sforza (morì nel 1480); infine Giuliano Sessa, figlio del precedente Gaspare, che fu Canonico della cattedrale di Novara.

L'estinzione dei Sessa di Sala non significò la scomparsa dei Sessa di Valtravaglia: sul Lago Maggiore il ramo Sessa di Ticinallo continuò a fiorire ma, a differenza dei collaterali di Sala che, come si è visto, cercarono e trovarono fortuna nella corte ducale dei Visconti e degli Sforza, questi perseguirono una politica di espansione sul territorio di origine, anche grazie un'accorta politica matrimoniale: Rosa da Castello de Gattico, figlia del conte Manfredo di Castel Gattico e vedova del nobile Gasparolo Sessa, testò il 19 Luglio 1420 in favore del figlio Antoniolo, il quale nel documento risulta essere proprietario di una cospicua fortuna: possedeva infatti per intero le località di Ticinallo, Arolo e Ceresolo nei comuni odierni di Porto Valtravaglia e Laveno ed ereditava svariati giuspatronati ecclesiastici, tra cui quello sulla Chiesa di San Giorgio in Muceno e quello su S. Martino in Valtravaglia. I tre figli di quest'ultimo spartirono questa grande eredità: Giovanni Pietro Sessa prese possesso di Ticinallo, Quirico ebbe Ceresolo (fondò il ramo Sessa di Ceresolo), Alberto ereditò Arolo che passò poi al nipote Lancillotto Rusca dei Signori di Bironico.

A Milano intanto, in luogo dei Sessa di Sala, fecero la loro comparsa nel secondo Quattrocento i già citati Sessa di Daverio provenienti dal Castello di Sessa, che avevano come capostipite Franciscolo Sessa (morto nel 1405, figlio di Giovanni Sessa), trasferitosi a Daverio in provincia di Varese a fine del Trecento. Ottennero i privilegi della cittadinanza milanese con Decreto Ducale del 1473 in persona del nipote omonimo Francesco, figlio di Gabardo: lui e i suoi figli vengono definiti nelle lettere patenti come nobiles et bonae famae et bonis moribus preditos.

Si rese particolarmente illustre un ramo dei Sessa che da Cannobio si trasferì a Bologna, dove ebbe accesso al patriziato cittadino e s'imparentò con Papa Gregorio XIII Boncompagni: ebbe come capostipite un Giovanni Battista Sessa, appartenente alla linea di Ticinallo, che nel 1402 dovette abbandonare coi suoi familiari la città di Cannobio, nella quale essi si erano trasferiti da qualche generazione, a causa dell'instaurazione della tirannide dei Fratelli Mazzarditi, ricchi e potenti commercianti della zona, che, conquistando con la forza il dominio di Cannobio e del suo circondario, contesero con successo per più di un decennio (formalmente dalla parte dei ghibellini, ma di fatto al di sopra delle parti e per i propri interessi) ai Visconti il potere su tutta la regione del Verbano.[35] La consorteria nobiliare dei Sessa, legata storicamente alla casa viscontea, si vide minacciata dal nuovo potere sorto nell'Alto Verbano e Giovanni Battista Sessa, vicino ai teatri di scontro, fu costretto a fuggire. Egli trovò riparo a Bologna, dove avevano già preso dimora altri casati di Cannobio come i Mazza e i de Giuli: ivi il cognome della famiglia mutò in Cannobio Sessa di Ticinallo o semplicemente da Cannobio oppure Cannobii, forme con cui questo ramo dei Sessa è ricordato da G.B. Crollalanza nel suo Dizionario Storico-Blasonico. Una dettagliata descrizione della storia, degli onori e delle parentele dei Cannobio Sessa di Ticinallo è fornita da Giovanni Pietro de' Crescenzi Romani nella sua Corona della nobiltà d'Italia del XVII secolo, dove si legge:

« Merita di essere annoverato tra gli Illustri di Lombardia il casato de' signori Cannobij di Bologna. Hebbe questi principio dall'antichissima schiatta de' Sessa milanesi, tra i quali già fu Enrico Vescovo di Como, & Gherardo pria Vescovo di Novara, e poscia Arcivescovo di Milano, con altri personaggi e per armi e per lettere famosi nella illustrissima Istoria di Raffaello Fagnani, Dottore del Collegio di Milano. Di questa Casa anc'hoggidì ritrovasi nella Val Travaglia sopra il Lago Maggiore un nobile rampollo. Habitano i Sessa il luogo di Ticinallo; possono entrar nel Collegio di Milano, né riconoscono altro Giudice che il maggior Magistrato dell'istessa Città fornito da loro. Quindi un tale de' Sessa si trasferì a Cannobio, & fu dal primo luogo chiamato de' signori da Ticinallo. Sono 238 anni che da Cannobio i Sessa sen' vennero a Bologna: tra i quali primo fu Giovanni Battista Ticinallo chiamato da Cannobio, da cui per retta linea sono discesi i viventi Giacomo Filippo e Giuseppe Carlo, nobili Bolognesi. Giacomo Filippo per l'Altezza di Mantova nelle passate guerre fu Alfiero Colonnello ed hebbe per padre Orazio che fu fratello sia di Giovanni Battista, il quale appresso i Serenissimi Guglielmo, Vincenzo, Francesco, Ferdinando e l'ultimo Vincenzo Gonzaga Duchi di Mantova e Monferrato fu successivamente confermato Cameriere d'Onore, sia di Francesco, capitano di lance in servigio del Re di Francia. Ei erano figliuoli di Giuseppe, c'hebbe per moglie Laura Guastavillani, di casa Senatoria, sorella di un Cardinale, Filippo, e nipote di Papa Buoncompagni Gregorio XIII. Giuseppe fu generale Tesoriero in Bologna. Francesco da Cannobio, padre del suddetto Giuseppe era figliuolo del memorato signor Giovanni Battista Sessa Ticinallo da Cannobio, che dicemmo fu il primo c'habitasse di sua Casa in Bologna. Dallo stesso discesero Giovanni Battista Abate ed Apostolico Protonatario, ed altri tali c'hanno splendidissimamente mantenuto lo splendore di lor Famiglia: dalle cui alte radici germogliando sovente novelle piante han dato al mondo suavissimi frutti d'ogni cavalleresca virtù. Ha questa famiglia l'Arma medesima de' Sessa di Milano (...) »

Dopo un susseguirsi di signorie (famiglie Rusca, Sanseverino etc.) negli anni 1512-1516 il territorio di pertinenza originaria dei Sessa (Sessa, Monteggio e alcune zone del Malcantone) fu donato da Francesco I di Francia ai Confederati con la Pace di Friburgo. Gli svizzeri, impadronitisi delle nuove terre, diedero subito ordine di smantellare le fortezze del Malcantone, di cui il castello di Sessa, già devastato da un saccheggio dei confederati e ormai abbandonato dai suoi signori, era un caposaldo: questi eventi segnarono la fine di qualsiasi influenza del casato sul territorio, nonché dell'antica Corporazione dei Nobili di Sessa.

Mentre il potere del ramo dei Sessa di Ticinallo declinava in Valtravaglia, assurse a maggior rilievo quello residente a Daverio presso Varese e che insieme ai nobili Bossi e Daverio deteneva il potere nella Val Bossa: il suo ruolo, durante la dominazione spagnola, crebbe ulteriormente, giungendo a rivestire un ruolo di rilievo nel patriziato milanese, cui ebbe accesso nel 1573 con Francesco Sessa. Tra gli esponenti cinquecenteschi più rilevanti si segnalano: Gabriele Sessa, membro del Collegio dei Nobili Giureconsulti di Milano dal 1538 al 1551 e Abate del Collegio stesso; Francesco Sessa, Questore Ordinario Togato, membro del Senato dei Quindici di Milano dal 1589 al 1598; Pietro Maria Sessa, Monaco dell'Ordine dei Barnabiti, morto in odore di santità nel 1623; infine Giovanni Battista Sessa, clericus capsarius presso la Curia papale, che nel 1575 istituì un legato a favore delle fanciulle prive di dote di Varese.

Il ramo dei Sessa nobiles de Ticinallo aveva diviso nel 1453 il suo cospicuo patrimonio tra i tre figli di Antoniolo Sessa, i quali diedero origine, come si è detto sopra, a tre distinte ramificazioni. Nel Cinquecento con l'estinzione della linea di Alberto Sessa, terzogenito dei figli di Antoniolo, restavano quindi i Sessa de Ticinallo e i Sessa de Ceresolo. L'economia familiare dei due rami superstiti nel corso del Cinquecento si differenziò, giacché i Sessa di Ticinallo finirono infatti per indebitarsi pesantemente, andando incontro ad una rovina che si realizzò in meno di due secoli: il primo della famiglia che tentò di sanare questa situazione fu Carlo Sessa, vissuto nella prima metà del Seicento; egli fu costretto a vendere una buona parte del patrimonio fondiario e a rinunciare ai giuspatronati ereditari. Nella sua sfortuna non fu aiutato dai parenti: anzi, i nobili Gio. Antonio e Ferdinando Tinelli, suoi parenti tramite il matrimonio dell'avo Gio. Antonio Tinelli con Camilla Sessa de Ceresolo, premettero su Carlo Sessa perché vendesse altre porzioni di terreno in pagamento dei loro antichi crediti, ma, dato il prezzo irrisorio da loro offerto per pertica, il Sessa rifiutò; arrivati alle minacce, il Sessa per tutta risposta li portò in tribunale, che sentenziò a favore di Carlo Sessa, il quale riuscì a vendere a prezzo accettabile i beni stabiliti, riuscendo a coprire il debito coi cugini Tinelli: ai figli Bernardo, Giovanni Battista, Bartolomeo e Gerardo però ben poco restò del patrimonio avito. Nella seconda metà del secolo i Sessa di Ticinallo riuscirono a riottenere il giuspatronato su S. Giorgio in Muceno, ma il destino della famiglia parve segnato: essa sopravvisse in precarie condizioni economiche a Ticinallo sino a fine del Settecento.

Sempre nel Seicento un lungo contenzioso giudiziario vide contrapposta la consorteria dei Sessa di Daverio ad un ramo dei nobili Sessa a lei strettamente imparentato tramite il matrimonio del comasco Carlo Sessa con una figlia di Gabriele Sessa di Daverio, Camilla. La ragione della lite fu l'eredità dell'arciprete di Dairago don Gabriele Sessa (morto nel gennaio 1683), altro figlio di Gabriele, a sua volta figlio naturale del senatore Francesco Sessa di Daverio, il quale tuttavia aveva avuto anche discendenza legittima dal suo matrimonio con Laura Caterina Biumi: la causa vide infatti contrapposti Giovanni Battista, Camillo, Carlo Maria, Cesare e Carlo Sessa di Daverio, discendenti di tale matrimonio e quindi parenti in linea maschile del defunto, contro il cugino materno Francesco Sessa di Como, nipote in linea femminile dello stesso. Di preciso le parti contendenti, che reclamavano per sé l'intera eredità con esclusione della controparte, ragionarono in questo modo: ignorando a priori la loro distante parentela agnatizia (che avrebbe costituito un valido motivo a favore della equa spartizione dell'eredità), da una parte i Sessa di Daverio affermavano che il defunto prelato, benché nato da un figlio naturale del loro bisnonno, restava comunque un loro agnato, il che dava a loro il diritto di ereditare i beni di don Gabriele Sessa; dall'altra Francesco Sessa di Como, figlio della coppia Sessa-Sessa e nipote ex sorore del defunto, rifacendosi agli antichi Statuti del Ducato di Milano, asseriva che il padre del defunto, pur essendo stato riconosciuto dal padre, non era stato legittimato, il che annullava ogni diritto di agnazione e permetteva a lui - ob exstinctam lineam - di ereditare tutto con esclusione dei cugini materni di Daverio. Poiché non si trovava un accordo, furono chiamati a dirimere la causa i giureconsulti Rinaldo Tettoni e Carlo Trenta, i quali stabilirono con sentenze del 14 e 16 luglio 1683 che l'eredità dovesse spettare a Francesco Sessa di Como ad eccezione tuttavia di 10.000 fiorini, costituenti il legato che l'antenato comune delle parti, Francesco Sessa di Daverio, nel proprio testamento del 1602 aveva imposto ai figli legittimi Camillo e Cesare per il mantenimento del suo figlio naturale Gabriele, padre omonimo del religioso defunto: tale legato, in denaro e beni fondiari nel varesotto, fu ritenuto dai giureconsulti vincolato all'asse ereditario dei consorti Sessa di Daverio.

Tra Settecento e Ottocento sono ancora numerosi i rami dei Sessa qualificati e/o viventi nobilmente: i Sessa di Ticinallo, sempre abitanti a Ticinallo, i Sessa di Daverio con tre diramazioni, i Sessa di Arzago e il prolifico ramo residente a Como dal Seicento.

La stirpe dei Sessa di Ticinallo fu la prima ad estinguersi: ridotti da tempo in condizioni di indigenza, non si hanno più notizie di loro dopo il 1781, ossia quando Giovanni Battista Sessa, ultimo discendente attestato di questo ramo, vendette le ultime proprietà terriere ad alcune famiglie borghesi in ascesa economica tra cui i Petrolo e i Franzosini.
Quanto ai Sessa di Daverio, se sotto la signoria degli Sforza e successivamente sotto il dominio spagnolo poterono considerarsi al loro apice in virtù dell'aggregazione al patriziato milanese, dovettero in seguito subire un certo declino: l'unico ramo che conservò la dignità patrizia a Milano fu infatti quello discendente da Cesare Sessa, Giureconsulto Collegiato e Giudice Monetario nel biennio 1602-1604, figlio del senatore Francesco Sessa e di Laura Caterina Biumi, mentre nelle altre linee si decadde nella nobiltà generica a causa della cessazione della residenza a Milano o della mancata elezione per tre generazioni ad una carica del patriziato. Il ramo di Cesare Sessa non arrivò all'Ottocento, estinguendosi con le due figlie di Felice Sessa, una delle quali, Vittoria, sposò il nobile Filippo Bianchi di Velate. Gli altri tre rami dei Sessa di Daverio furono: quello disceso da Camillo, fratello maggiore del predetto Cesare Sessa; quello disceso dal Giureconsulto Collegiato Gabriele Sessa; infine quello residente a Gornate e disceso da un Giacomo Sessa vivente a Daverio nel Quattrocento. Il ramo che aveva come capostipite il giureconsulto Gabriele Sessa, divenuto nel Seicento titolare del feudo di Torrevilla in Brianza, si estinse nel Settecento. Quello di Gornate discendente da Giacomo Sessa si estinse invece nel 1802 con la morte del sacerdote Giacomo Sessa: nei suoi due secoli di storia aveva spiccato particolarmente in ambito religioso: Bartolomeo Sessa, figlio dell'omonimo Bartolomeo e di Ippolita Medici dei marchesi di Marignano, fu noto per le sue opere di carità e i suoi pronipoti Cosimo, Giacomo e Alessandro, nei quali si estinse la famiglia, furono tutti religiosi: il primo fu Abate dei Monaci Olivetani e Procuratore Generale dell'Ordine stesso, il secondo semplice sacerdote, mentre Alessandro, morto nel 1783, fu Canonico Ordinario e Penitenziere Maggiore del Duomo di Milano. Al ramo dei Sessa di Daverio che conservò residenza a Daverio, disceso da Camillo Sessa, pur non spiccando particolarmente in alcun ambito, va riconosciuta un'intensa attività di patronato locale, concretizzata ad esempio in legati a favore dei poveri di Varese e nell'istituzione delle prime classi di scuola pubblica a Daverio nel 1827 per opera dei fratelli Gabardo, Ettore e Filippo Sessa. Fu questo ramo, in persona dei fratelli Luigi, Ettore e Camillo (figli di Gabardo Sessa) ad ottenere nel 1902 dalla Consulta araldica il riconoscimento dell'antica nobiltà.
Ebbero ancora rilievo in ambito militare ed ecclesiastico i Sessa detti d'Arzago, discendenti da quel Francesco Sessa di Como che nel 1683 vinse la lite contro i cugini materni Sessa di Daverio sull'eredità dello zio don Gabriele Sessa: questo ramo vantò nel 1699 un Decano dei Canonici Mansionari della Cattedrale di Como in persona di don Stefano Sessa, mentre Carlo Sessa ricoprì dal 1729 le cariche di Luogotenente militare del Contado Comasco e Regio Delegato per la Città di Como, succedendo al nobile comasco Antonio Bagliacca; suoi nipoti, figli di Giovanni Sessa e Luigia Biumi (sorella del celebre Fisico Collegiato Nob. Francesco Biumi) furono Giacomo, patriota anti-austriaco, Cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro e Cavaliere della Legion d'Onore, e gli Ingegneri Collegiati Giuseppe e Luigi Sessa. I Sessa d'Arzago stabilirono nell'Ottocento la propria residenza ad Arzago d'Adda in località Ravajola, tenuta che fu possesso della famiglia dai primi del Settecento al 1939, quando fu venduta ai marchesi de Capitani d'Arzago. A questo ramo appartenne anche don Carlo Sessa, Prevosto e Vicario Foraneo di Rivolta d'Adda, che in quella città fondò nel 1838 il primo asilo infantile e nel 1845 fece restaurare la torre campanaria della Chiesa di San Sigismondo. Questo ramo del casato si è recentemente estinto con le tre figlie di Luigi Sessa, Cavaliere della Corona d'Italia, una delle quali, Carla, sposò nel 1946 Giovanni Gatti Grami e lasciò in eredità ai discendenti il cognome e i beni della sua famiglia.

I Sessa di Como, discendenti da un Giovanni Pietro Sessa cugino del predetto Francesco Sessa che fu ascendente diretto dei Sessa d'Arzago, divennero invece particolarmente celebri in campo imprenditoriale, dando origine, assieme ai Gavazzi, con cui si imparentarono, ad una delle più grandi dinastie industriali ottocentesche. Il fautore di questa fortuna fu Carlo Sessa che negli anni quaranta dell'Ottocento, assieme al cugino Luigi possedeva la maggiore filanda serica della città di Milano e innovò sensibilmente il settore della tessitura della seta. Fondò la Fabbrica d'amido e cipria e la Fabbrica degli alcools, che con l'entrata di G. A. Fumagalli nel 1850 divenne la Sessa-Fumagalli & Co.: la prima distilleria industriale italiana. Fu membro del Comitato Centrale della Associazione Industriale Italiana dalla sua fondazione (1867), mentre nel 1872 collaborò alla nascita della Società per la Filatura dei Cascami di Seta; dal 1873 fu amministratore della Banca Industriale e Commerciale di Milano. Nel 1874 acquistò terreni a Cremella a Lecco, dove realizzò tre ville per i suoi tre figli maschi (Francesco, Giuseppe e Rodolfo). A questo ramo della famiglia appartengono oggi le diramazioni dei Sessa Sforza, imparentatisi coi conti Sforza di Castel S. Giovanni, i Sessa Vitali, che accolsero l'eredità dei baroni Vitali di Bergamo, i Soncini Sessa, eredi di Rodolfo Sessa di Cremella in quanto discendenti di Luigi Sessa, Cavaliere del Lavoro, e altre linee che contrassero parentela con le nobili famiglie Calchi Novati, Ferrario, Ferrero Gubernatis di Ventimiglia, Gnecchi Ruscone e Riva.

Il nobile Luigi Sessa di Daverio (1824 - 1915), figlio di Gabardo Sessa e Carolina Gatti. Il fratello Ettore, figlio del secondo matrimonio del padre con la nobile Angiola Bossi, curò l'iscrizione della famiglia agli elenchi nobiliari regionali e al Libro d'oro della nobiltà italiana.

Il nobile Luigi Sessa d'Arzago (1867 - 1931), figlio di Paolo Sessa e Maria Bassi. Fu Cavaliere della Corona d'Italia e podestà di Arzago d'Adda. Delle sue tre figlie, Gaetanina Paolina, Camilla e Carla Sessa solo quest'ultima ebbe discendenza dal matrimonio con Giovanni Gatti Grami.
I Sessa figurano nell'Elenco ufficiale della nobiltà italiana e nel Libro d'oro della nobiltà italiana insigniti del titolo di nobili.

Così sono descritti dal marchese Vittorio Spreti nell'Enciclopedia storico-nobiliare:

« ...Famiglia di nobiltà antichissima, riconosciuta con D.M. 20 aprile 1902, che vanta un giuresperito del Collegio di Milano, del secolo XVI in persona di GABRIELE, figlio di Francesco, di Ettore, di Francesco.
La nobiltà è attestata in modo sicuro dagli atti notarili, nei quali non solo si attribuiscono secondo i tempi le qualifiche di dominus, nobilis, spectabilis, magnificus dominus e don, ma si parla esplicitamente dei nobiles parentelae de Sessa. V'ha poi un atto del 20 febbraio 1430 relativo ad un compromesso di vertenze intorno a ripartizioni di gravezze d'estimi, dal quale la nobiltà della famiglia appare in modo precipuo. Di più, una persona della stessa famiglia, FRANCESCO Sessa, ottenne il 22 gennaio 1473 la cittadinanza milanese per sé e discendenti, e nella parte espositiva delle lettere patenti relative si narra che dalle informazioni assunte presso il vicario di provvisione di Milano, risultava essere il petente e i suoi figli < nobiles et bone fame et bonis moribus preditos >.
La genealogia comincia da un GIOVANNI, che era già defunto nel 1383. Da lui nacque FRANCESCOLO, già defunto nel 1405 e che fu padre di GABARDO. Da questi nacque FRANCESCO, che a sua volta fu padre di ETTORE, la cui vedova Franceschina ALIPRANDI, qm. Jacopo, nel 1497 era tutrice dei figli minorenni, tra i quali un FRANCESCO, che fu padre di ETTORE, dal quale nacque un altro FRANCESCO, che si sposò il 2 marzo 1568 a Laura Caterina BIUMI. Da questi discendono, mediante altre sette generazioni, LUIGI e i di lui fratelli ETTORE e CAMILLO, che ottennero il riconoscimento nel 1902, e sono iscritti nel Libro d'Oro della Nob. Ital. e nell'Elenco Uff. Nob. Ital. col titolo di Nobile (mf) .... »
La famiglia Sessa è descritta anche nell'Annuario della nobiltà italiana. Nella vecchia serie, curata dalla famiglia Crollalanza ed edita annualmente sino al 1905, è presente nel ramo Cannobio Sessa di Ticinallo, Patrizi di Bologna. Nella nuova serie, curata da A. Borella ed edita a partire dal 2000, sono descritti due rami, discendenti da due degli attori comparsi nel processo sull'eredità di don Gabriele Sessa di Daverio nel 1683: il primo, originato da Camillo Sessa e già presente negli Elenchi Ufficiali, risiedeva a Daverio, Galliate Lombardo e Milano e venne riconosciuto nell'antica nobiltà nell'aprile del 1902 in persona dei fratelli Luigi (II), Ettore e Camillo Sessa, figli dell'avvocato Gabardo Sessa e abiatici di Luigi Sessa (I), nonché dai figli di Luigi Sessa (II), ossia Fiorbellina, Ippolita, Ettore, Carlo e Guido Sessa; il secondo ramo, disceso da Francesco Sessa di Como e residente ad Arzago d'Adda, Milano e Meina, era rappresentato dai fratelli Luigi (II), Giacomo, Francesco e Camillo Sessa figli di Paolo Sessa e abiatici dell'ingegnere collegiato Luigi Sessa (I), nonché dalle figlie di Luigi Sessa (II), ossia Gaetanina, Camilla e Carla Sessa, la quale, sposando nel 1946 Giovanni Gatti Grami, ha trasmesso alla discendenza il cognome della famiglia.



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