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martedì 21 aprile 2015

PERSONE DI BESOZZO : DOMENICO DE BERNARDI

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De Bernardi Domenico nacque a Besozzo (Varese) il 21 febbraio 1892 da Francesco, industriale, e dalla contessa Enrichetta Brunetta d'Usseaux. Conseguita la licenza liceale, s'iscrisse alla facoltà d'ingegneria presso l'università di Pavia, ma presto l'abbandonò per dedicarsi alla pittura. Dal 1911 iniziò a dipingere per proprio conto, indirizzato solo da qualche insegnamento impartitogli da Ludovico Cavalieri e, nel 1920, esordì alla XII Biennale di Venezia con il dipinto Nebbia.
Pur restando fondamentalmente un autodidatta, De Bernardi s'inserisce nel solco della tradizione paesistica lombarda che, discendendo dalla Scapigliatura romantica di Tranquillo Cremona, si prolunga stancamente in un clima naturalistico con echi impressionistici. Dopo l'esordio, la sua attività espositiva si andò rapidamente intensificando: espose di nuovo alle Biennali di Venezia (1922, 1926, 1928, 193), fu presente alle Biennali romane (1921, 1925) e, sempre a Roma, partecipò alle esposizioni degli amatori e cultori di belle arti (1922, 1927, 1930). Nel 1925 e nel 1933 si presentò con due personali alla galleria Pesaro di Milano.

Sullo scorcio degli anni '20, arrivarono i primi riconoscimenti ufficiali: nel 1929, con il dipinto Prealpi, vinse a Bologna il primo "Premio del paesaggio italiano" e, con Vecchia ferrovia, la medaglia di bronzo alla Mostra internazionale d'arte di Barcellona; nel 1930 ricevette il premio "Lavoro nell'industria" alla XVII Biennale di Venezia con il dipinto Costruzioni. Lavori nuova stazione FF.SS. Milano.

In questi anni la sua pittura subì una serie di mutamenti sia stilistici sia tematici. Infatti, in consonanza con l'atmosfera creatasi intorno al dilagante "Novecento italiano", senti l'esigenza di allontanarsi dal naturalismo romantico per un segno più sintetico con cui costruire vedute ampie e ariose, per una tavolozza più luminosa e varia, sensibile ai mutamenti del luogo e dell'atmosfera. Rinnovamento cromatico che raggiunse toni ancor più tersi e vividi dopo un viaggio in Libia, dal quale riportò una serie di paesaggi mediterranei (esposti, nel 1934, all'Internazionale coloniale tenutasi a Napoli in Castelnuovo).

Nel corso degli anni '30 il De Bernardi tornò ad esporre sia alle Quadriennali romane (1931, 1935, 1939, 1941) sia alle Biennali veneziane (1932, 1936) e tenne una significativa personale alla galleria Prevosti di Varese. Ora, con sempre maggiore frequenza, ai paesaggi montani si affiancano le immagini urbane di un'Italia in febbrile costruzione. Mosso dall'interesse per queste nuove vedute, nel 1932 si recò anche a Roma per ritrarre dal vero le fasi più salienti delle opere del regime alla vigilia della celebrazione dell'anno X dell'era fascista.

In una personale, nell'ambito della mostra "I lavori di Roma dell'anno X", alla galleria dei Cultori d'arte, espose in quello stesso anno gli esiti del suo lavoro, presentandoli in catalogo con un breve scritto inneggiante alla "magnificenza di Roma che per volontà dei Duce torna a rivivere la primitiva grandezza". Nel 1939, in una personale alla galleria Gian Ferrari di Milano, espose le sue più recenti impressioni dei paesaggio urbano ed alcune nature morte scrupolosamente disegnate e tese ad affrontare con agilità e freschezza i problemi della luce e della profondità atmosferica. Nel 1945, alla galleria Italiana di Milano, allestì una sua personale in cui ripropose una selezione di cinquanta opere dipinte tra il 1920 e il 1945. Quindi, dopo alcune personali e collettive tenute a Milano, Varese, Torino e Novara, nel 1950 presentò alla galleria Gavioli di Milano la sua attività più recente, dedicata alle piazze e alle vie d'Italia brulicanti di movimento.

La sua pittura, già magra, si è fatta ora avara di colore e volentieri lascia scoperto il fondo della tela. Il comune di Besozzo dedicherà significativi riconoscimenti, negli ultimi anni della sua vita, all'illustre conterraneo che aveva reso noti i grigi ed umidi paesaggi del Varesotto. Tra l'altro nel 1952, cogliendo l'occasione per sottolineare un ideale gemellaggio tra i paesi della nebbia, lo inviò a Londra, da dove riportò una serie di schizzi e appunti, che utilizzò nelle sue opere successive, sempre più essenziali, povere di materia e sobrie nel segno, secondo una costante tipica della sua ultima fase pittorica che lo portò anche ad interessarsi della tecnica litografica.

Nel 1959 gli venne dedicata una importante antologica nel palazzo municipale della sua città. Morì a Besozzo il 13 luglio 1963.

Mostre postume di particolare rilievo sono state allestite a Varese nel 1980 e nel 1984 (Galleria d'arte internazionale). Sue opere sono conservate in importanti musei italiani: Paesaggio lombardo nella Galleria d'arte moderna di Milano; S'approssima il temporale (1930) nella Galleria d'arte moderna di Torino; a Roma, nella Galleria nazionale d'arte moderna sono Il cavalcavia (c. 1930) e Tempo grigio (1929); nella Galleria comunale è Nave in allestimento (1927).

Anche quando si ritirò a vita privata continuò ad essere amato a Varese.

Forse è perché De Bernardi è rassicurante, apre uno spiraglio in una dimensione dell’immaginario in cui ciascuno si può collocare e sentire a suo agio; forse perché c’è una sorta di affinità elettiva per cui i varesini ritrovano nei dipinti la loro terra le loro radici il loro ‘locus vitae’: il paesaggio neutro privo di figure definite identificabili, è la terra di nessuno e di ciascuno in particolare, basta lasciar parlare le emozioni e si entra a far parte della terra e del cielo di Lombardia.

È una questione di feeling: non serve scomodare astrusità per spiegare il pittore: la sua produzione ha una spontaneità una semplicità esemplari; è un autodidatta, non ha frequentato Brera o qualche altra Accademia come i grandi suoi contemporanei che sono stati allievi di autori prestigiosi, la sua cifra personale è accattivante e lo fa apprezzare e amare più di ogni altro. Nelle sue tavole e nelle sue tele propone particolari che tutti conoscono, che appartengono al vissuto: ognuno sa dove è, di chi è, come è la cascina, il viottolo la casa la marina l’albero che osserva ogni giorno e che il pittore riproduce tout court in ‘cartoline’ raffinate.

De Bernardi è un naturalista, i canoni dell’estetica aristotelica sono profondamente radicati nel suo operare; la funzione della sua arte è catartica perché si stacca dalla materia che muta, rende eterno ciò che osserva, solleva in una dimensione rassicurante, rilassante, una dimensione atemporale; non interpreta la realtà, la duplica con mano sicura e occhio poetico: arriva a dipingere lo stesso soggetto in più quadri distinti solamente da variazioni temporali notabili perché un albero è cresciuto o l’erba è stata tagliata o la luce suggerisce un vespero o un’alba, un momento diverso del giorno. Dipinge secondi i canoni della pittura lombarda naturalistica, volutamente lontana dalla sperimentazione avanguardista del primo novecento, ancorato ai modi Ottocenteschi, alle ‘piccole cose gozzaniane’ ad un gusto conservatore, talora un po’ retrò.

Gli unici tocchi di ‘modernità’ sono legati alla formazione culturale scientifica che ha ricevuto – il padre lo iscrisse ad ingegneria, facoltà che abbandonò subito- e a un’elevata dose di curiosità per tutto ciò che sa di novità che lo porta ad inserire nei suoi lavori linee elettriche, stazioni ferroviarie e cantieri navali.

De Bernardi ‘cristallizza la natura nell’attimo’, la riproduce sulla tela con l’occhio del pittore, unico mediatore tra la natura e l’uomo, attento a cogliere le variazioni della luce delle stagioni degli anni: due tavole affiancate in mostra evidenziano la crescita delle piante contro l’immobilità di cascine e montagne. Trasferisce con armonia sulle tele i paesaggi e il mondo agreste, i soggetti preferiti.

Privilegia i toni tenui, utilizza una tavolozza di colori naturali rischiarati da sprazzi di luce che accennano ombre delicate mai incombenti, ritrae verdi nature, cieli azzurri appena sporcati da nuvole bianche. La sua sensibilità e la sua vena poetica si esprimono attraverso pennellate morbide continue, larghe, dense di materia pittorica che si distendono a formare il verde dei campi o il bruno del terreno, l’azzurro del cielo o il bianco delle nuvole. La luce e la morbidezza dei colori hanno una sapiente garbata semplicità che delinea i soggetti per i quali talora il Maestro utilizza il tocco aggiuntivo della matita nera; predilige le tavole che sono rettangolari, tipiche della veduta del paesaggio nel quale la base che fa da appoggio alla veduta, ha dimensioni superiori all’altezza.




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PERSONE DI BESOZZO : GIULIO ADAMOLI

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Adamoli  Giulio è nato a Besozzo il 29 febbr. 1840 da Domenico, nel 1857 si era iscritto alla facoltà di matematica dell'università di Pavia: di qui datano l'affettuosa amicizia che sempre lo legò alla famiglia Cairoli, particolarmente a Benedetto, e le sue prime esperienze patriottiche.

Nel 1857 si iscrisse alla facoltà di matematica dell'Università di Pavia, e in quegli anni nacque l'amicizia con Benedetto Cairoli. Partecipò alla Seconda guerra di indipendenza italiana del 1859 come volontario nel 1º Reggimento "Granatieri di Sardegna".

Sottotenente, nel gennaio 1860 rassegnò le dimissioni dall'esercito raggiungendo nel maggio Giuseppe Garibaldi in Sicilia, con la spedizione organizzata da Agostino Bertani e guidata da Carmelo Agnetta; fece tutta la campagna, distinguendosi negli scontri di San Leucio e Sant'Angelo. Finita la spedizione si dedicò all'ingegneria, entrando nell'impresa costruttrice della ferrovia Milano-Pavia.

Ma nel 1862 fu di nuovo con Garibaldi ad Aspromonte (Giornata dell'Aspromonte) e nel 1866, col II Battaglione dei bersaglieri milanesi, combatté a Vezza d'Oglio, guadagnando una medaglia d'argento. Appena finito il conflitto, compì un breve viaggio politico negli Stati Uniti con le lettere di presentazione di Giuseppe Mazzini e di Garibaldi.

Nel settembre 1867 fu a Ginevra con Garibaldi al congresso della pace; e, nello stesso anno, partecipò alla battaglia di Mentana. Dal giugno 1869 all'ottobre 1870 compì un viaggio nelle steppe dei Kirghisi e nel Turkestan, per studiare i sistemi di allevamento del baco da seta. Nel 1876 si recò in Marocco, sotto gli auspici della Società geografica italiana, per lo studio della situazione economica di quel paese e l'eventuale impianto di fattorie commerciali sulla costa atlantica.

Eletto deputato nello stesso anno, fu sottosegretario agli Esteri nel Governo Crispi IV (dal 21 giugno 1894) e nominato senatore il 19 novembre 1898. Dal 1907, per un ventennio, fu commissario della Cassa del debito pubblico in Egitto, favorendo gli interessi della colonia italiana e compiendo viaggi lungo il Nilo e nel vicino Oriente. Si dedicò anche a studi di ingegneria portuale.

Morì al Cairo il 25 dic. 1926.




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PERSONE DI BESOZZO : MICHELINO DA BESOZZO

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Del pittore lombardo Michelino da Besozzo si conoscono poche notizie e poche opere. Nativo di Besozzo in provincia di Varese, se ne hanno notizie tra il 1388 e il 1445. Svolse una intensa attività di artista soprattutto tra Milano e Pavia. Intorno al 1410 fu a Venezia, dove forse conobbe Gentile da Fabriano. Fu pittore e miniatore, e si formò probabilmente alla scuola di Giovannino de’ Grassi, il primo autentico rappresentante del gotico internazionale in Lombardia. Fu pittore molto celebrato al suo tempo, al punto da essere ricordato nel 1404, negli Annali della Fabbrica del Duomo di Milano, «summus in arte pictoria et disegnamenti».

Nel 1388 lavorò nel secondo chiostro della chiesa di San Pietro in Ciel d'oro a Pavia, dove rappresentò ed affrescò le Scene della vita di sant'Agostino. Tra il 1395 e il 1405 Michelino miniò il Libro d'Ore, oggi conservato alla Biblioteca di Avignone; dello stesso momento è anche il disegno della Natività (Milano, Biblioteca Ambrosiana). Del 1390-1400 sono i quattro santi miniati su quattro distinte pergamene (Parigi, Louvre, Cabinet des Dessins), appartenenti ad uno smembrato Libro d'Ore.

Prima opera datata dell'artista è la miniatura con l'Elogio funebre di Gian Galeazzo Visconti (1403: Parigi, Bibliothèque nationale de France, Ms lat. 5888). Dal 1404 al 1418 circa, l'artista lavorò nel Veneto; mentre dal 1410, contemporaneamente a Gentile da Fabriano, è citato a Venezia.

Nel 1414 lavorò insieme a miniatori veneti al codice Cornaro, con le Epistole di san Gerolamo (Londra, British Library, Egerton 3266). La tavola col Sposalizio mistico di santa Caterina, firmata Michelinus feci (Siena, Pinacoteca Nazionale), è da datare al 1420 circa. L'altra tavola firmata dell'autore è lo Sposalizio della Vergine al Metropolitan Museum di New York (1435 circa). Più complessa è la datazione dell'Offiziolo Bodmer, forse il suo capolavoro.

Nel 1418 l'artista tornò a Milano a lavorare per il cantiere del Duomo: nel 1421 fu pagato, insieme al figlio Leonardo, per i dipinti dell'altare intitolato ai santi Quirico e Giuditta; mentre tra 1423 e il 1425 fu nuovamente pagato per la fornitura di disegni della vetrata di santa Giuditta, di cui restano oggi alcune figure all'interno di un'altra delle vetrate del duomo milanese . Intorno al 1430 è da datare l'affresco raffigurante la Madonna col Bambino e santi, dell'abbazia di Viboldone. Al 1435 risale la Madonna del roseto del Museo di Castelvecchio di Verona, di attribuzione contesa con Stefano da Verona.

All'ultima attività del maestro è da riferire l'affresco con il Corteo dei Magi, realizzato per la chiesa di Santa Maria di Podone (Milano, Curia Arcivescovile); e, documentati al 1445-1446, i frammenti del Palazzo Borromeo (Rocca di Angera).






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PERSONE DI BESOZZO : BEATO ALBERTO DA BESOZZO

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Le vicende di Alberto Besozzi ci sono state trasmesse dagli studiosi di storia locale e da antiche cronache che, nei secoli, hanno raccolto quanto, a partire dalla fine del XII secolo, oralmente si tramandava in tutta la zona del Lago Maggiore. Alberto nacque ad Arolo, da illustre famiglia milanese, ma rimase orfano di padre in tenera età. Aveva una posizione sociale agiata, l’avidità però lo portò a praticare l’usura e commerci poco leciti fino a quando, intorno al 1170, un incidente diede una svolta alla sua vita. Mentre con alcuni compagni si trovava in barca sul lago, viveva infatti commerciando da una costa all’altra del Verbano, tornando dal mercato di Lesa (il più antico della zona), venne sorpreso da una terribile tempesta. Credendo di essere ormai spacciato, preso da gran paura, invocò l’aiuto divino e promise di cambiar vita. In particolare, si rivolse a S. Caterina d’Alessandria di cui era molto devoto (il culto era vivo nella zona grazie all’influsso di quanti tornavano dalle crociate). Morirono tutti i suoi compagni, mentre lui approdò su una piccola insenatura nei pressi di Leggiuno, tra Ispra e Laveno, dov’era un sasso attaccato alla costa chiamato “Bàllarò", quasi a indicarne l’instabilità. Alberto, miracolato, dopo la terribile esperienza divenne riflessivo. Ne parlò con parenti e amici: voleva mantenere il voto e iniziò col porre rimedio alle sue malefatte. La moglie, anch’essa una nobile milanese molto pia, non solo l’assecondò, ma, di comune accordo, entrò in monastero. Alberto decise di ritirarsi, povero e solo, dove le onde durante la tempesta l’avevano gettato. Imitando Giovanni Battista, si sarebbe cibato di quanto la natura gli offriva e del pane che i naviganti ponevano nel cesto che calava dall’alto. A poco a poco crebbe la fama di santità dell’eremita dalla lunga barba e dai capelli bianchi. In molti si avventuravano fino alla sua grotta per riceverne consiglio. Persino una rappresentanza ufficiale dei vari paesi vicini, nel 1195, gli chiese di intercedere per la fine di una terribile pestilenza. Alberto, dopo otto giorni di ardenti orazioni, ottenne la grazia e, come segno di gratitudine, disse di costruire a fianco della grotta un piccolo tempio a modello di quello che era dedicato a Santa Caterina sul lontano Monte Sinai. Alla sua morte, nel 1205, ebbe sepoltura nella chiesetta e fu acclamato beato da tutti gli abitanti del Verbano, anche se il culto non fu mai ufficialmente approvato. Paolo Morigia, gesuita ed eminente storico vissuto nel XVI secolo, posticipa la vita del Besozzi di un secolo e mezzo.
Intorno al 1250 i domenicani giunsero a Sasso Bàllarò per assistere i pellegrini che in numero sempre maggiore visitavano la tomba di Alberto. Il corpo fu trovato incorrotto dopo circa un secolo e ancora oggi così si conserva. Nella cappella furono in poco tempo collocati numerosi ex-voto. Nel 1270 venne costruita dai nobili di Ispra la cappella di S. Maria Nova dopo che la zona fu liberata, per intercessione del beato, da branchi di lupi. Gli abitanti di Intra, nel 1310, costruirono la Chiesa di S. Nicolao, impreziosita da un ciclo di affreschi. Nel 1379 ai domenicani subentrarono gli eremitani di Sant’Agostino, poi arrivarono i religiosi di Sant’Ambrogio ad Nemus di Milano. Verso la metà del '400 i tre edifici furono conglobati in un solo Santuario, al quale venne affiancato un piccolo chiostro. Nel 1574 però una frana interruppe il sentiero che portava a Reno. Nel 1612 fu eseguita da Giovanni Battista De Advocatis una tela raffigurante l’eremita, oggi posta sull'altare maggiore. Intorno al 1640 avvenne un fatto straordinario che ne accrebbe la fama: alcuni massi caddero dalla parete rocciosa, sfondando la volta della cappella del Besozzi, arrestandosi però a breve distanza dalla tomba. Nonostante ciò, Papa Urbano VIII nel 1643 emise una bolla con la quale l’eremo venne soppresso, ma dal 1670, grazie ai Carmelitani di Mantova, vi fu una rinascita fino a quando, nel 1770, gli Asburgo ne ordinarono la chiusura, essendovi pochi religiosi. Per Santa Caterina del Sasso iniziò la fase di decadimento e in seguito il complesso fu ceduto alla parrocchia di Leggiuno. Il complesso nel 1914 fu dichiarato monumento nazionale, nel 1970 venne acquistato dalla Provincia di Varese che lo restaurò. Oggi se ne prendono cura gli Oblati Benedettini. I massi “miracolosi” furono rimossi solo nel 1983. Oasi di pace e preghiera, raggiungibile attraverso una lunga scalinata, il monastero, aggrappato ad un costone di roccia alto circa sessanta metri a strapiombo a 15 metri dall’acqua, offre una vista sul lago di straordinaria bellezza.



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IL CASTELLO DI BESOZZO

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Il complesso dell’antico castello di Besozzo, situato nella parte sopraelevata del borgo in una posizione che domina la parte bassa e più moderna del paese, è attualmente occupato da abitazioni private ed è composto da due edifici distinti, palazzo Cadario e palazzo Adamoli, che nel corso del XV secolo furono sovrapposti al nucleo fortificato originario. Ciò che resta di questo primitivo castello medievale è visibile nel giardino interno: si tratta di una torre datata al Duecento in massiccia muratura in pietra a vista. Posto a settentrione, il palazzo Cadario è contraddistinto da una torre d’ingresso rinascimentale coronata da beccatelli e da una leggera loggia, e presenta una portale fiancheggiato da due colonne e profilato da una decorazione a bugnato che caratterizza l’intero edificio. Accedendo al cortile, è possibile osservare un elegante portico cinquecentesco formato da colonne in pietra d’Angera. In posizione contigua si trova il palazzo Adamoli, i cui elementi di maggior richiamo sono rappresentati dal portale in serizzo di fattura rinascimentale, ornato di fiori stilizzati, e dal cortile interno aperto sul lato orientale, che reca tracce di decorazioni a graffito di età rinascimentale e balconcini risalenti con probabilità a modifiche settecentesche.

Il castello di Besozzo rappresenta la testimonianza più significativa del nucleo antico del borgo di Besozzo, sorto nei secoli centrali del Medioevo sulla sommità della collina che domina la valle del fiume Bardello. Lo sviluppo dell’abitato fu legato indissolubilmente all’affermazione del casato nobiliare dei Besozzi, radicato nel territorio fin dall’età precomunale. L’area dell’attuale Besozzo superiore reca infatti numerose tracce architettoniche, inserite nel tessuto abitativo odierno, delle decorazioni che caratterizzavano gli edifici di pregio abitati nel corso del Medioevo e del Rinascimento dai diversi rami nobiliari della famiglia Besozzi. In questo contesto, il castello che ospitò la dimora principale dei Besozzi documenta nella sua attuale configurazione sia la fase più antica della storia di Besozzo, con la torre di epoca duecentesca che era parte della fortificazione originaria, sia il momento della maggiore affermazione politica dei Besozzi. I due edifici principali della costruzione sono infatti di impianto quattrocentesco, e risalgono all’età in cui i Besozzi, anche grazie a una rete di relazioni parentali strette con altre importanti famiglie aristocratiche del territorio, ottennero direttamente dai Visconti di Milano l’investitura feudale su Besozzo e l’intera circoscrizione pievana di Brebbia. Secoli più tardi il castello, divenuto proprietà della famiglia Adamoli, ospitò a distanza di breve tempo sia Giuseppe Garibaldi che Giuseppe Mazzini, ospiti del generale e uomo politico Giulio Adamoli, che si distinse per la sua partecipazione alle vicende del Risorgimento.


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LA FAMIGLIA BESOZZI

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E' fra le più nobili ed antiche famiglie milanesi, compresa come è nella matricola di Ottone Visconti, dalla quale si dovevano togliere gli ordini della Metropolitana. La tradizione assegna a questa casata il beato Alberto, fondatore dell'ordine monastico di S. Ambrogio ad Nemus, vissuto nella seconda metà del XII secolo.

Di probabile origine longobarda come fara indipendente, la famiglia dei da Besozzo, de Besutio nei documenti più antichi, fu di fatto padrona della sponda orientale del Lago Maggiore, della Valcuvia, di parte della Valtravaglia, del Gambarogno, del Locarnese e dell’alta valle del Ticino rappresentando per secoli un centro di potere politico. Durante il XII secolo, si divise in più rami. Nel 1164 a Locarno, come Capitanei, fu riconosciuta loro da Federico I una patente di nobiltà. Tale ramo si suddivise a sua volta negli Orelli, che furono i più importanti, i Rastelli, i Rusconi, i Magoria, i Gnosca, i Della Rocca, i Muralto e i Duni. Altri suoi esponenti si stabilirono nel Sottoceneri a Casoro, frazione di Barbengo, prendendo il nome di de Casulis, come pure di Capitanei de Premona (antico nome del comune di Barbengo).

La famiglia possedeva beni allodiali e feudi vescovili in Malcantone, in tutta la val Scairolo e a Barbengo, Agra, Poporino (frazione di Gentilino), Carabbia, Calprino, Morcote e Riva San Vitale. Ebbero molto probabilmente in possesso il castello di Barbengo e quello di Cuasso. Sebbene privi di un reale potere sovrano, il loro potere economico derivava dalle regalie che possedevano nel territorio (pedaggi, decime, diritti d'alpe, di pascolo, di pesca, di mercato, di caccia, di macinatura, ecc.) e dal possesso di numerosi beni fondiari (curtes, campi, boschi, pascoli, alpi), ma mai da un vero proprio potere giurisdizionale. Funzionali allo scontro tra guelfi e ghibellini appoggiarono i Visconti fino alla creazione del Ducato di Milano e furono dotati di una certa indipendenza politica scontrandosi spesso con la famiglia Torriani per il controllo dei territori orientali e con i conti del Seprio, cui non si assoggettarono mai, per i territori meridionali. Al termine di tali lotte però risultarono notevolmente indeboliti sia sul piano finanziario che su quello umano pertanto lentamente il loro potere declinò inesorabilmente per sparire del tutto già nel XV secolo. Da allora rimase come semplice famiglia nobile milanese. Nel XVI secolo Antonio Maria Besozzi fu bandito da Milano con l'accusa di eresia, nel 1544 si trasferì a Locarno dove viveva il ramo collaterale della famiglia, gli Orelli.



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IL FIUME BARDELLO

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Il bacino idrografico del Fiume Bardello raccoglie le acque provenienti dal bacino del Lago di Varese e le convoglia nel Lago Maggiore. Esso occupa un’area piuttosto limitata, estesa in senso longitudinale, nella parte nord-occidentale del territorio della provincia.
Il Fiume Bardello costituisce un ambiente epipotamale, con vocazione a Ciprinidi reofili.

Il Fiume Bardello nasce come emissario del Lago di Varese, presso il comune di Bardello, a 238 m s.l.m. e, descrivendo un percorso sinuoso lungo 12,1 km con una pendenza media del 0,4 %, dopo aver raccolto le acque di un modesto numero di affluenti minori, esso sfocia nel Lago Maggiore in località Bosco Grande, sul confine tra i comuni di Brebbia e di Monvalle.

L’ambiente è epipotamale, con andamento sinuoso, scarsa pendenza dell’alveo e substrato di fondo prevalentemente costituito da ciottoli, ghiaia e sabbia. Esso si presenta dunque vocato ad ospitare Ciprinidi reofili e, in virtù del collegamento con i laghi, altre specie più tipicamente lacustri.
L’andamento delle portate medie mensili calcolate sui dati relativi al pluriennio 1978-95 mostra un regime idrologico tipicamente pluviale, con due periodi di morbida, a maggio (principale) e ad ottobre (secondario), e due periodi di magra, in agosto (principale) e dicembre (secondario).

Esso attraversa una valle antropizzata subendo lungo tutto il suo percorso numerosi impatti dovuti a scarichi civili, industriali e agricoli cui si aggiungono, a tratti, interventi di sistemazione idraulica (briglie, canalizzazioni, argini rinforzati) e di derivazione idrica.

La comunità ittica appare diversificata e numericamente piuttosto consistente, costituita da specie reofile e limnofile, di cui la maggior parte poco esigente rispetto alla qualità ambientale.
Sono state in particolare rinvenute 13 specie ittiche, tra cui la più abbondante risulta essere il cavedano. Seguono: gobione, pesce persico e persico sole. Sono inoltre presenti: alborella, anguilla, cagnetta, cobite comune, ghiozzo padano, lucioperca, persico trota, pesce gatto, scardola.



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LE CITTA' DEL LAGO MAGGIORE : BESOZZO

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Adagiato tra le colline che si distendono tra il lago di Varese e il lago Maggiore, Besozzo è attraversato dal torrente Bardello.

Situato al centro di antichi percorsi che dai passi alpini scendevano verso la pianura lombarda, Besozzo è già conosciuto in epoca romana, e appartenne nel medioevo al territorio pievano di Brebbia.

Il nucleo antico del paese, nella parte alta del borgo a dominare il corso del Bardello, fu presto fortificato per controllare il traffico e il passaggio delle strade nella sottostante vallata del fiume.

Ancora oggi la fisionomia di Besozzo superiore è data dai diversi edifici abitati nel medioevo e nel rinascimento dalle nobili famiglie dei Besozzi e Castelbesozzo, nativi del posto, che ebbero un ruolo importante nel panorama politico ed economico di tutta la plaga per diversi secoli.

Su tutti i palazzi spicca il nucleo originario delle dimore dei Besozzi denominato il Castello. Il corpo settentrionale, sorto sulle antiche strutture fortificate, è conosciuto come Castello Cadario, contraddistinto da una elegante torre d'ingresso tardorinascimentale con una leggera loggia a colonne su beccatelli che la conclude nella parte sommitale e un bel portale bugnato fiancheggiato da due colonne. All'interno si apre un raccolto cortile su possenti colonne in pietra d'Angera.

Di fronte al Castello Cadario, ma sempre facente parte dello stesso nucleo originario, è il palazzo Adamoli, frutto di trasformazioni e modifiche, con bel portale d'ingresso di fattura rinascimentale e un elegante cortile con decorazioni e balconcini settecenteschi. Tra i due edifici, nel parco, sussiste ancora l'antica torre del primitivo castello medievale, in massiccia muratura in pietra a vista.
Ai piedi del castello, nelle antiche strade del borgo, si sgranano gli antichi palazzi delle casate Besozzi, che conservano tutti i nobili segni del passato con notevoli elementi architettonici: portali, cortili, colonnati, decorazioni scultoree, balconi in ferro battuto, scaloni interni, bei giardini. Tra tutti si evidenziano i palazzi Contini, Cà Marchetta, casa Bossi, il cosiddetto Palazzo, l'attuale Sede comunale e le adiacenti case lungo la via Mazzini.

Sulla collina di fronte al castello, si raggruppa il nucleo religioso del borgo, formatosi già nel medioevo, ma che assunse forme più evidenti quando la pieve di Brebbia fu trasferita a Besozzo nel 1574 dal cardinale arcivescovo Carlo Borromeo.

La seicentesca chiesa prepositurale dei Santi Alessandro e Tiburzio, dalle eleganti forme del barocco lombardo, presenta all'interno, più volte modificato, un'ampia unica navata con cappelle laterali. Notevoli elementi artistici si riscontrano nella cappella della Madonna del Rosario, con esuberanti decorazioni a stucco, e nel marmoreo altare maggiore, opera settecentesca della bottega dei Buzzi di Viggiù. Conserva un organo tardo neoclassico del 1884, opera di Giacomo Mascioni e figli di Azzio.
Dalla prepositurale si sale per un viottolo affiancato dalle edicole della Via Crucis all'oratorio di S. Nicone, dove si venera il corpo del beato Nicone, conservato in una pregevole teca sull'altare maggiore. All'interno dell'oratorio le pareti presentano ricche decorazioni prospettiche settecentesche dei Baroffio di Varese, mentre sul lato settentrionale della navata si aprono due cappelle. Ai piedi della scalinata che sale alla prepositurale si allungano sulla via gli edifici canonicali, con bei cortiletti e logge verso il paese.

Il nucleo abitato di Besozzo inferiore ha un aspetto più moderno e rappresenta il centro della vita commerciale del paese. Sorto attorno agli antichi mulini, folle e segherie che si disponevano lungo le rive del Bardello fin dal medioevo, ebbe un periodo di riqualificazione tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento quando sorsero diversi opifici industriali cartari e cotonieri. Ancor oggi sussistono alcuni di quegli edifici industriali, ormai dismessi, che rappresentano interessanti elementi architettonici di archeologia industriale, come la fabbrica Sonnino, degni di essere salvaguardati e valorizzati. La presenza delle fabbriche favorì la collocazione in Besozzo inferiore della Stazione ferroviaria e da qui i nuovi quartieri residenziali d'inizio Novecento lungo la via Roma e la via XXV Aprile. Ancor oggi via XXV Aprile rappresenta il corso commerciale di Besozzo, con negozi, banche e uffici.

Simbolo del paese è il Faro, monumento ai caduti della Prima Guerra mondiale inaugurato nel 1927

Persone legate a Besozzo:
Nicone da Besozzo, beato
Alberto da Besozzo (1290 – 1350), beato
Michelino da Besozzo (Besozzo, 1370 circa – 1455 circa), pittore
Leonardo da Besozzo, pittore
Stocchetti, pittore
Giulio Adamoli (Besozzo, 29 febbraio 1840 – Il Cairo, 25 dicembre 1926), ingegnere, patriota garibaldino, senatore del Regno
Domenico De Bernardi, pittore.


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