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domenica 20 ottobre 2019

PIOGGIA AUTUNNALE



Autunno la stagione più ricca di piogge e di colori: giallo, rosso nei colori delle foglie, come grigio e smorto in quelli del cielo e, per giunta, brumoso, nebbioso e fradicio di umidità. Vi si raccolgono, mediamente, 343,7 mm di precipitazioni . A contendersi la seconda piazza sono inverno e primavera: la spunta l’inverno, per pochi millimetri di pioggia (300 contro 289). In realtà, nel panorama dell’Italia centro-settentrionale, l’inverno non è che poco spesso più piovoso della primavera, stagione per antonomasia variabile e bizzarra, ricca di rovesci ed acquazzoni.

Ma valutiamo la questione sotto un altro punto di vista: i giorni di pioggia. L’inverno è la stagione di norma con più giorni di cattivo tempo (ben 31); segue la primavera con 29; poi troviamo l’autunno con 27 e l’estate con 17. La quantità di precipitazioni di una giornata invernale è mediamente inferiore a quella di una tipica giornata autunnale, vale a dire che l’umidità contenuta nelle correnti d’aria che solitamente provocano le piogge in autunno è più elevata che in inverno. L’autunno è la stagione in cui l’Atlantico risulta più attivo alle nostre latitudini, con abbondanti precipitazioni sui versanti montuosi occidentali italiani esposti alle correnti occidentali. D’inverno, pero, il cielo è più spesso nuvoloso (un giorno su tre): ecco perché molti sono convinti che la stagione più piovosa sia proprio quella invernale.

Le precipitazioni medie annue sono maggiori nelle zone montuose. Grazie al pluviometro, si può constatare come le zone più piovose d'Italia (media annua tra 2500 e 3 500 mm) siano collocate sulle Alpi Carniche e Giulie, nella fascia prealpina tra il Lago Maggiore e il Lago di Como, sull'Appennino Ligure orientale, sulle Alpi Apuane, sull'Appennino campano e nelle località più elevate dell'Appennino Tosco-Emiliano.





Invece godono di una minor quantità annua di piogge le zone di pianura lontane dai monti. Nella Pianura Padana cadono mediamente fra 700 e 1200 mm annui a seconda delle aree, le località meno favorite non ne ricevono che 700 mm circa, mentre le aree di media pianura come nella città di Milano, ricevono circa 1 000 mm annui. Stessa osservazione vale anche per la Maremma Grossetana e laziale, dove lungo la fascia costiera i valori si aggirano tra i 500 e i 600 mm annui; restano poi sotto i 500 mm le coste meridionali della Sardegna (il minimo assoluto medio annuo dell'intero territorio nazionale italiano si registra a Capo Carbonara con poco più di 250 mm), la zona compresa tra il Basso Molise e la Puglia centro/settentrionale (escluso il Salento), le coste occidentali e sud orientali della Sicilia, il promontorio dell'Argentario, le isole meridionali dell'Arcipelago Toscano (Pianosa, Montecristo, Giglio e Giannutri) e alcune zone della bassa Val Padana, poste nei dintorni del Delta del Po.

La frequenza annua delle precipitazioni in Italia vede più di 120 giorni sulle vette più alte delle Alpi Carniche, dell'Appennino settentrionale e dell'Irpinia.

Si registrano tra i 100 e i 120 giorni di pioggia su gran parte dell'arco alpino nord-orientale e lungo l'intero asse della dorsale appenninica tra la Liguria di levante e l'Aspromonte, mentre si verificano tra 80 e 100 giorni di pioggia su tutte le aree prealpine, su gran parte delle zone interne peninsulari, sull'Italia nord-orientale a nord del Po, sulla bassa pianura emiliana e romagnola, sulla Riviera di Levante, la Toscana settentrionale, l'Umbria settentrionale e centro-orientale, sul Basso Lazio, la Campania, gran parte della Calabria e sui rilievi più elevati di Sicilia e Sardegna.

Frequenze di pioggia tra i 60 e gli 80 giorni all'anno interessano gran parte della Pianura Padana, la Riviera di Ponente, la Toscana centrale, l'Umbria sud-occidentale, il Lazio centrale, gran parte del litorale adriatico e ionico, la Basilicata e gran parte della Sicilia e della Sardegna.

Si contano, invece, frequenze inferiori ai 60 giorni di pioggia in alcune aree della Riviera di Ponente e della Pianura Padana, tra la Maremma grossetana e laziale, lungo il litorale del Molise, sul Tavoliere delle Puglie, nel Salento, lungo le coste ioniche della Basilicata e della Calabria centrale, sulla Sicilia meridionale e sud-orientale e lungo le coste orientali e meridionali della Sardegna.

In Italia si distinguono cinque diversi regimi pluvometrici.

Sulle montagne, in particolare sulle Alpi, piove prevalentemente durante l'estate, con un massimo secondario ad inizio autunno e un marcato minimo invernale.
Nelle zone prettamente mediterranee, cioè sulle coste della Sardegna, della Sicilia, di alcune regioni tirreniche del Mezzogiorno, del Mar Ionio e della Puglia meridionale, la maggior quantità di piogge cade in inverno (dicembre-marzo), mentre durante i mesi centrali dell'estate la siccità è molto duratura.
Piove prevalentemente in autunno ed in primavera in quasi tutte le altre zone e solitamente il massimo autunnale (ottobre-novembre) è più accentuato di quello primaverile (marzo-aprile), mentre durante l'estate si ha una riduzione della piovosità ma senza vera e propria siccità.
La fascia costiera della Maremma è generalmente interessata da un lungo periodo siccitoso che, soprattutto nell'area del promontorio dell'Argentario, in alcune annate può avere inizio già nel corso dell'inverno e proseguire quasi ininterrottamente fino all'inizio dell'autunno, salvo temporanee interruzioni dovute ad alcuni episodi temporaleschi.
La Val Padana ha una piovosità costante per tutto l'anno e non si presentano mediamente periodi con precipitazioni scarse o insufficienti la pianura pluviometricamente va divisa in bassa media e alta pianura, le tre aree hanno regimi pluviometrici leggermente differenti. Le aree della media pianura e dell'alta pianura (specie nelle zone a nord del Po) sono caratterizzate da una piovosità più costante con massimi nei periodi più tiepidi dell'anno quindi Primavera Estate e Autunno, con medie di 70-90 e anche oltre i 100 mm nei mesi di luglio e agosto e i periodi di siccità più probabili sono in inverno che in estate, stagione in cui l'area è interessata con una moderata frequenza dal passaggio della coda di sistemi perturbati atlantici associati a fenomeni temporaleschi in transito verso la penisola balcanica e l'Europa orientale. Nella bassa pianura padana, le precipitazioni in estate invece non sono abbondanti come nella media e alta pianura e si riducono a valori di 30–40 mm nel mese di luglio.
A determinare la distribuzione delle piogge durante l'anno contribuisce, naturalmente, oltre all'altitudine anche l'azione dei venti la loro direzione e l'orografia dei vari ambiti territoriali.








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mercoledì 14 ottobre 2015

ALBONESE

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Albonese è un comune situato nella Lomellina settentrionale, al confine con la provincia di Novara, sul torrente Arbogna, affluente dell'Agogna.

Probabilmente Albonese trae il suo nome dal torrente Arbogna su cui sorge. Fece parte del comitato (contea) di Lomello, ed ebbe signori propri, forse derivati dai conti Palatini di Lomello. Certo è che gli Albonese sono sempre ricordati come Conti, il che indica che discendevano da qualche antica famiglia comitale. Nel 1164 Albonese è nominato nel diploma con cui Federico I assegnò ufficialmente a Pavia il dominio sulle terre dell'antica contea, che da qualche tempo di fatto i Pavesi avevano sottomesso. I conti Albonese continuarono sotto Pavia ad esercitare la signoria locale sul paese, e questo possesso feudale non fu mai interrotto fino alla fine del feudalesimo (1797). L'antica famiglia si divise ben presto in più rami e tra di essi ci fu qualche lite; altre liti gli Albonese le ebbero con il Comune, che (caso molto raro) possedeva in tutto o in parte i redditi feudali (dazi ecc.), che altrove erano quasi sempre nelle mani dei feudatari. Comunque Albonese resta un caso raro di lunghissimo e pacifico dominio feudale di un luogo da parte di un'unica famiglia. Anche Albonese, con tutta la Lomellina, nel 1713 fu aggregata agli Stati dei Savoia e nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia.

Il Palazzo Comunale fino all’inizio del XX secolo era ubicato nel Castello.
Il nuovo edificio venne costruito nel 1906.

L’attuale chiesa parrocchiale è posta sul sito dell’antica chiesa cimiteriale e dipendeva da Cilavegna e poi, nel sec.XVI °  dall’Abbazia di S.Croce di Mortara.
Venne costruita e benedetta nel 1610 e soggetta alla diocesi di Pavia fino al 1817 quando passò alla diocesi di Vigevano ; è dedicata  a “ Santa Maria e San Paolo”.

La Chiesetta campestre di S. Paolo, la cui vetusta esistenza è testimoniata dai rinvenimenti laterizi di tombe romane rinvenuti a ridosso della stessa, è sì una testimonianza di fede ma ebbe grande importanza per la sua ubicazione territoriale e geografica perché ha segnato il punto di incrocio tra gli antichi stati del Piemonte e della Lombardia, e poi dei contadi del Vigevanasco, del Novarese e quello della Lomellina.

Il fontanile Plezza Raverta è stato recuperato con un progetto dell'Associazione Irrigazione Est Sesia - Consorzio di bonifica integrale - Novara con il progetto esecutivo "Recupero ambientale del fontanile PLEZZA RAVERTA a fini didattici" di cui  si riporta alcuni capitoli significativi per conoscere il fontanile.

Interessante area naturalistica protetta, all'interno della quale, è possibile promuovere attività ricreative di vario genere ( disciplina sulla pesca sportiva, conoscenza della flora e fauna locale, ecc.), utili a favorire  un rapporto  più consapevole e corretto verso l'ambiente  che ci circonda.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/09/la-lomellina.html




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mercoledì 1 luglio 2015

DARFO BOARIO TERME

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Darfo Boario Terme è il più popoloso ed importante centro industriale, commerciale e termale della Valle Camonica. Si sviluppa lungo le due rive del fiume Oglio, alla confluenza di questo con il torrente Dezzo, in un’ampia pianura alluvionale, ai piedi di un imponente massiccio roccioso che culmina con il monte Altissimo.
La collocazione geografica di Darfo Boario Terme alla confluenza del torrente Dezzo, proveniente dalla Val di Scalve, nell’ Oglio e la presenza dei Monticoli a sbarrare il passo fra la media e la bassa Val Camonica ne hanno fatto, fin dall’antichità, un importante centro militare e commerciale.

Attorno al centro, cioè Darfo, Boario Terme, Corna, Montecchio, si sviluppano a raggiera: Erbanno, Gorzone, Sciano, Angone, Fucine, Pellalepre, Bessimo sup. e Capodilago.
I quattro più importanti rioni della città (Darfo, Boario Terme, Corna e Montecchio) sono compatti fra loro e formano una specie di quadrilatero, al centro del quale si trova la località "Isola", che prende il nome dal fatto che è situata in un'ansa del flume Oglio.

Il nome potrebbe derivare da "garf" (terreno franoso), o "dorf", nelle lingue germaniche "villaggio".

La zona era abitata già in epoca preistorica: sono presenti incisioni rupestri presso la località dei Corni Freschi (Attola), ai piedi del Monticolo, e nel Parco comunale delle incisioni rupestri di Luine.

Sempre a Luine sono state rinvenute terrecotte dell'età del bronzo (1969), mentre altre incisioni rupestri sono state trovate nei pressi del Lago Moro. Sul Monticolo è stata rinvenuta invece un'ascia in bronzo nel 1897.

Scarse sono le notizie in età romana, sebbene si supponga che il fondo valle sia stato a quel tempo disabitato a causa di alluvioni dell'Oglio e la presenza di zone paludose. Di età barbarica è probabilmente la necropoli scoperta nel 1808 presso Corna e le tombe scoperte nel 1939 e nel 1958 presso il Municipio.

Divenne centro importante in età medievale in quanto sede di un porto (presso Montecchio) e del Castello di Montecchio. Nel 1200 è ricordato come burgus fornito di castrum, dove risiedeva la curia, che aveva preso il posto dell'ormai decaduta pieve di Rogno.

Nel 1047 Enrico III elegge Darfo a Corte Regia, e permette che gli abitanti della Val di Scalve continuino l'antica usanza di portare annualmente 1000 libbre di ferro, con la pena per i trasgressori di 100 libbre di oro. In tal modo dovette essere residenza di un rappresentante o vicario imperiale.

Nel 1508 Darfo (Darf) compare nella mappa della Valle Camonica disegnata da Leonardo da Vinci e conservata al Castello di Windsor.

Nel 1591 vi è una contesa con Bovegno circa alcuni pascoli in quota.

Nel XVI secolo il porto venne fortemente danneggiato da una serie di alluvioni.

Dopo la metà del XVII secolo si distacca da Darfo la municipalità di Gianico.

Nel 1830 è eretto il ponte sull'Oglio, a sei arcate, in legno, tra Darfo e Corna.

Nel 1834 una rivolta dei popolani di Darfo si oppose al dominio austro-ungarico, ma venne subito stroncata.

Il 1º dicembre 1923 il disastro del Gleno comportò ingenti danni al paese e la morte di 150 persone. Anche re Vittorio Emanuele III visitò il paese devastato.

Il 15 aprile 1929 al comune vennero aggregati i soppressi comuni di Erbanno e Gorzone. Nel 1959 vennero aggregate la frazioni di Bessimo Superiore e Capo di Lago, staccate dal comune di Angolo Terme.

L'8 maggio 1968 il consiglio comunale cambiò la denominazione del comune in Darfo Boario Terme, ed il 28 gennaio 1969, con decreto del Presidente della Repubblica n.38 venne insignita del titolo di "Città".

Nel 1980 nasce il Parco comunale delle incisioni rupestri di Luine.

Scendendo lungo i tornanti che da Angolo Terme conducono fino nei pressi delle Terme di Boario si nota Castello Federici, edificato intorno al 1160 su un nucleo edilizio preesistente. Nel castello sono assenti mura difensive e torri, a causa dei numerosi lavori di manutenzione apportati dalla famiglia Federici, e ciò rende la struttura molto più somigliante ad un palazzo signorile che ad una fortezza tradizionale anche se ebbe notevole importanza anche militare vista la sua collocazione a difesa delle strette via d’accesso alla Val di Scalve e alle Valle Camonica. Al momento restano visibili soltanto il basamento di una torre, il sotterraneo a volta ed i presunti imbocchi di due strade sotterranee. All’interno vi sono invece sale decorate con soffitti a cassettone e caminetti artistici. Nel primo cortile un loggiato, un pozzo, una scala in pietra simona e una porta di forma ogivale. Nel secondo cortile due loggiati che si contrappongono sui due lati. In una sala è conserva una galleria di ritratti dei Federici. Nel parco, che circonda l’edificio principale vi è una chiesetta dedicata a San Giovanni Battista, cappella privata dei Federici, con affreschi, una Natività del ’600 e un paliotto d’altare di Giuseppe Picini.

Il parco del lago Moro si trova nella media-bassa Valle Camonica, tra i comuni di Darfo Boario Terme, nella frazione di Capo di Lago e Angolo Terme nella zona delle Sorline. Esso si trova all’incrocio di due corso del fiume Oglio e del torrente Dezzo, che si immette nel fiume Oglio.
Il lago è lungo 820 m, largo 320 m, profondità di 42,20 m.La sua genesi si deve sia a una base strettamente geologica, di tipo strutturale, sulla quale i processi erosivi dell’ultima glaciazione hanno dato origine al Lago Moro.
Nel Lago Moro si specchiano fantastici boschi formati da diverse tipologie di piante tra cui il castagno, il rovere, la betulla, il ceduo, l’orniello. I boschi ospitano molte specie di animali come la volpe, la biscia, il ragno, gli scoiattoli, i girini, le rane, le talpe; tra i pesci che vivono il lago ci sono il cavedano, la tinca, l’alborella e l’anguilla.
L'Archeopark è un parco tematico polifunzionale. I visitatori, i gruppi, le scolaresche possono svolgere, guidati da animatori, una serie di attività nei laboratori didattici: battere il rame, macinare il grano, cuocere il pane, tirare con l’arco, percorrere ritualmente il labirinto… Il parco State è un grande museo interattivo all’aperto, creato per rivivere il passato attraverso ricostruzioni di insediamenti preistorici realizzate su base scientifica.Si possono rivivere le varie fasi evolutive: dal paleolitico all’età romana attraversando il corso di 15.000 anni di storia. L’intero parco che si sviluppa su uno spazio di circa 100.000 mq, è immerso nella natura, tra boschi di castagni ai piedi e lungo le pendici del Monticolo di Boario Terme.

I centri storici delle numerose frazioni che circondano la cittadina di Darfo Boario Terme conservano un patrimonio artistico davvero importante. Per quanto riguarda Darfo sono da vedere: il convento Queriniano (XVIII sec.) di grande bellezza architettonica con il giardino ed il chiostro interno e con l'ex chiesa di Santa Maria della Visitazione che conserva affreschi dell'Inganni; la chiesa dei Santi Faustino e Giovita ricostruita nel 1656 in stile barocco sulle vestigia della chiesa esistente nel XV sec. contenente numerose opere d'arte: affreschi di G. Teosa, una pala ad olio su tela del Guadagnini e una Deposizione del 1612 o del 1649 attribuibile al Tintoretto, al Paglia, a Palma il Giovane.
A Boario Terme si segnala il santuario della Madonna degli Alpini (ultimato nel 1957) sulla cui facciata campeggia la gigantesca statua, in bronzo dorato, della Madonna col Bambino.
Da visitare a Pellalepre è la chiesa dei Santi Bernardo e Defendente ricostruita all'inizio del XVIII sec. sulla chiesetta quattrocentesca dedicata a San Defendente. L'interno, a navata unica, è ricco di affreschi alcuni dei quali attribuiti al Teosa; la Madonna in trono col Bambino del 1498 è attribuita al Foppa.
A Fucine si segnala la parrocchiale, ultimata nel 1646, dedicata alla Visitazione al cui interno, in stile barocco, sono conservate due statue del Ramus ed un palliotto attribuito al Fantoni; gli affreschi sono invece di G. Teosa.
Montecchio è famoso per il Castello Rocca Federici, di cui restano soltanto la base, alta circa 4 mt., di una torre a pianta quadrata, un ambiente sotterraneo a volte e gli imbocchi di due strade sotteranee. Il Ponte di Montecchio, ultimato nel 1686 su progetto di Francesco Cifrondi, è monumento nazionale. La parrocchiale di Santa Maria Assunta venne edificata nel 1623 sulle vestigia dell'antica parrocchiale distrutta nel 1471 da una frana. Altro monumento nazionale è la chiesa detta dell'"Oratorio" sulla cui parete laterale esterna si possono notare le tracce di un grande affresco del Giudizio Universale mentre all'interno è conservata una Crocifissione attribuita alla scuola del Da Cemmo.
Erbanno, antico borgo medievale, conserva un importante patrimonio artistico. Palazzo Federici conserva alcuni affreschi quattrocenteschi attribuiti alla scuola del Da Cemmo, un camino rinascimentale ed il soffitto composto da 36 tavolette di legno dipinte con figure allegoriche e profili di personaggi maschili e femminili. Casa Ballardini ( XVI sec.) con il suo loggiato con capitelli riccamente decorati; al suo interno vi è la famosa stanza con affreschi del 1600.
Ad Angone è da visitare la parrocchiale dedicata a San Matteo, ultimata nel 1646, sui resti di una chiesa precedente forse del '400. la chiesa è piccola ma contiene opere preziose come il palliotto in legno attribuito allo Zotti e il ciborio e la cornice dell'altare maggiore attribuiti al Ramus.
Il centro storico di Gorzone, nota nei secoli per le cave di pietra Simona, è ricco di opere d'arte custodite in quattro belle chiese e nelle dimore signorili, tra le quali ricordiamo l'imponente Castello Federici. La rocca (ultimata nel 1160) è circondata da un bel parco e da una cinta murata a strapiombo sulla profonda e stretta valle del Dezzo. All'interno vi sono sale affrescate, soffitti a cassettoni e una collezione di ritratti dei Federici. Nel parco sorge una piccola chiesa dedicata a San Giovanni Battista. La facciata è in stile tardo romanico mentre l'interno è arricchito da affreschi secenteschi. Un'altra testimonianza viene da Palazzo Minini, ex Federici, al cui interno troviamo una sala con soffitto ligneo a tavolette, antichi affreschi ed un camino del 1520. Fu residenza dei Federici anche Palazzo Rizzonelli (XIV sec.). Situata poco oltre il cimitero la chiesetta di San Rocco fu edificata nel 1522 in onore del santo patrono degli appestati; accanto ad essa furono sepolti i moltissimi morti di peste durante le epidemie scoppiate nel 1575-77 e nel 1630; durante gli ultimi restauri sono riapparsi alcuni ex-voto. La parrocchiale di Sant'Ambrogio, eretta sulle vestigia della chiesa medievale di cui sono ancora visibili un affresco (Madonna che allatta il Bambino) del '400 e il portale laterale in arenaria rossa. Un'altra importante opera è il Sarcofago di Isonno Federici, eretto dopo il 1336, in stile gotico lombardo in ottimo stato di conservazione.
A Corna si può vedere la parrocchiale di San Giuseppe, terminata nel 1926, che conserva affreschi del Longaretti ed una pala del 1611 del Gasparini. Da ricordare anche la chiesetta del Sacro Cuore di Gesù (XVII sec.), detta "Cappellino".
A Capo di Lago, piccolo paese sul lago Moro, si trova la chiesetta di Sant'Apollonia.
A Bessimo Inferiore si segnala la chiesa di San Giuseppe Operaio che custodisce alcuni affreschi del 1700.

Ai piedi del nucleo storico di Erbanno si estende la pianura alluvionale del fiume, oggi densa di abitazioni e di industrie, ma fino a pochi decenni fa destinata a colture agricole. Alcuni millenni fa tale pianura era sede di un bacino lacustre, che si estendeva dall'attuale lago d'Iseo fino a Cividate Camuno. Ciò è accertato, oltre che dalla natura del sottosuolo, anche dalla presenza nelle incisioni rupestri della zona di inequivocabili strumenti di pesca, quali rudimentali reti e gabbie.
Le rocce affioranti che formano i caratteristici Monticoli sono di arenaria rossa, detta anche "pietra Simona", dalla località Simoni di Gorzone dove viene cavata dai tempi remoti. La pietra Simona, elemento fondamentale e caratteristico della natura e del paesaggio della bassa Valcamonica (e di Darfo Boario Terme in particolare) è stata, per la sua naturale disponibilità, di base per 1'arte rupestre. La stessa pietra, che ci ha conservato i messaggi del passato, è stata usata anche per costruire castelli, torri, abitazioni, muri a secco e, tutt'oggi, continua ad essere utilizzata nell'architettura minore, nelle panchine, nelle aiuole, negli oggetti artistici di produzione artigianale e nei monumenti.

I Monticoli hanno più volte protetto la piana di Boario dalle piene del fiume Oglio. II più alto raggiunge m 394.
Il territorio del Comune di Darfo Boario Terme è percorso, oltre che dal fiume Oglio, dal torrente Dezzo, dal Rovinazza, dal Budrio, dal Re, dall' Ogliolo e dal canale idroelettrico Italsider. Fiumi e torrenti hanno causato, fin dai tempi antichi, seri danni con le loro inondazioni. E sufficiente ricordare i gravissimi disastri provocati dal crollo della diga del Gleno (1 dicembre 1923) e dall'alluvione del 16 settembre 1960.

Il Museo degli Alpini nasca negli anni 2001-2002, quando le Truppe Alpine erano comandate dal Gen.C.A. Roberto Scaranari (attuale Presidente del Museo), si fece largo l'idea di trasformare quella raccolta, importante ma un po' disordinata ed a carattere pressoché familiare, in un Museo vero e proprio, regolarmente riconosciuto e costituito con atto notarile depositato.
Oggi il Museo è una realtà, anche se in crescita e abbisognevole di tanto lavoro. I progressi sono quotidiani, grazie alla dedizione di tanti amici volenterosi e degli Alpini in congedo dei Gruppi di Fucine, Darfo-Boario Terme ed Angone e, soprattutto, grazie agli stanziamenti ottenuti dalla Regione Lombardia, dalla Provincia di Brescia e dal Comune di Darfo-Boario Terme.

La squadra di calcio del paese, l'Unione Sportiva Darfo Boario, nata nel 1937 è una delle prime società calcistiche della Val Camonica.


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martedì 21 aprile 2015

PERSONE DI BESOZZO : DOMENICO DE BERNARDI

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De Bernardi Domenico nacque a Besozzo (Varese) il 21 febbraio 1892 da Francesco, industriale, e dalla contessa Enrichetta Brunetta d'Usseaux. Conseguita la licenza liceale, s'iscrisse alla facoltà d'ingegneria presso l'università di Pavia, ma presto l'abbandonò per dedicarsi alla pittura. Dal 1911 iniziò a dipingere per proprio conto, indirizzato solo da qualche insegnamento impartitogli da Ludovico Cavalieri e, nel 1920, esordì alla XII Biennale di Venezia con il dipinto Nebbia.
Pur restando fondamentalmente un autodidatta, De Bernardi s'inserisce nel solco della tradizione paesistica lombarda che, discendendo dalla Scapigliatura romantica di Tranquillo Cremona, si prolunga stancamente in un clima naturalistico con echi impressionistici. Dopo l'esordio, la sua attività espositiva si andò rapidamente intensificando: espose di nuovo alle Biennali di Venezia (1922, 1926, 1928, 193), fu presente alle Biennali romane (1921, 1925) e, sempre a Roma, partecipò alle esposizioni degli amatori e cultori di belle arti (1922, 1927, 1930). Nel 1925 e nel 1933 si presentò con due personali alla galleria Pesaro di Milano.

Sullo scorcio degli anni '20, arrivarono i primi riconoscimenti ufficiali: nel 1929, con il dipinto Prealpi, vinse a Bologna il primo "Premio del paesaggio italiano" e, con Vecchia ferrovia, la medaglia di bronzo alla Mostra internazionale d'arte di Barcellona; nel 1930 ricevette il premio "Lavoro nell'industria" alla XVII Biennale di Venezia con il dipinto Costruzioni. Lavori nuova stazione FF.SS. Milano.

In questi anni la sua pittura subì una serie di mutamenti sia stilistici sia tematici. Infatti, in consonanza con l'atmosfera creatasi intorno al dilagante "Novecento italiano", senti l'esigenza di allontanarsi dal naturalismo romantico per un segno più sintetico con cui costruire vedute ampie e ariose, per una tavolozza più luminosa e varia, sensibile ai mutamenti del luogo e dell'atmosfera. Rinnovamento cromatico che raggiunse toni ancor più tersi e vividi dopo un viaggio in Libia, dal quale riportò una serie di paesaggi mediterranei (esposti, nel 1934, all'Internazionale coloniale tenutasi a Napoli in Castelnuovo).

Nel corso degli anni '30 il De Bernardi tornò ad esporre sia alle Quadriennali romane (1931, 1935, 1939, 1941) sia alle Biennali veneziane (1932, 1936) e tenne una significativa personale alla galleria Prevosti di Varese. Ora, con sempre maggiore frequenza, ai paesaggi montani si affiancano le immagini urbane di un'Italia in febbrile costruzione. Mosso dall'interesse per queste nuove vedute, nel 1932 si recò anche a Roma per ritrarre dal vero le fasi più salienti delle opere del regime alla vigilia della celebrazione dell'anno X dell'era fascista.

In una personale, nell'ambito della mostra "I lavori di Roma dell'anno X", alla galleria dei Cultori d'arte, espose in quello stesso anno gli esiti del suo lavoro, presentandoli in catalogo con un breve scritto inneggiante alla "magnificenza di Roma che per volontà dei Duce torna a rivivere la primitiva grandezza". Nel 1939, in una personale alla galleria Gian Ferrari di Milano, espose le sue più recenti impressioni dei paesaggio urbano ed alcune nature morte scrupolosamente disegnate e tese ad affrontare con agilità e freschezza i problemi della luce e della profondità atmosferica. Nel 1945, alla galleria Italiana di Milano, allestì una sua personale in cui ripropose una selezione di cinquanta opere dipinte tra il 1920 e il 1945. Quindi, dopo alcune personali e collettive tenute a Milano, Varese, Torino e Novara, nel 1950 presentò alla galleria Gavioli di Milano la sua attività più recente, dedicata alle piazze e alle vie d'Italia brulicanti di movimento.

La sua pittura, già magra, si è fatta ora avara di colore e volentieri lascia scoperto il fondo della tela. Il comune di Besozzo dedicherà significativi riconoscimenti, negli ultimi anni della sua vita, all'illustre conterraneo che aveva reso noti i grigi ed umidi paesaggi del Varesotto. Tra l'altro nel 1952, cogliendo l'occasione per sottolineare un ideale gemellaggio tra i paesi della nebbia, lo inviò a Londra, da dove riportò una serie di schizzi e appunti, che utilizzò nelle sue opere successive, sempre più essenziali, povere di materia e sobrie nel segno, secondo una costante tipica della sua ultima fase pittorica che lo portò anche ad interessarsi della tecnica litografica.

Nel 1959 gli venne dedicata una importante antologica nel palazzo municipale della sua città. Morì a Besozzo il 13 luglio 1963.

Mostre postume di particolare rilievo sono state allestite a Varese nel 1980 e nel 1984 (Galleria d'arte internazionale). Sue opere sono conservate in importanti musei italiani: Paesaggio lombardo nella Galleria d'arte moderna di Milano; S'approssima il temporale (1930) nella Galleria d'arte moderna di Torino; a Roma, nella Galleria nazionale d'arte moderna sono Il cavalcavia (c. 1930) e Tempo grigio (1929); nella Galleria comunale è Nave in allestimento (1927).

Anche quando si ritirò a vita privata continuò ad essere amato a Varese.

Forse è perché De Bernardi è rassicurante, apre uno spiraglio in una dimensione dell’immaginario in cui ciascuno si può collocare e sentire a suo agio; forse perché c’è una sorta di affinità elettiva per cui i varesini ritrovano nei dipinti la loro terra le loro radici il loro ‘locus vitae’: il paesaggio neutro privo di figure definite identificabili, è la terra di nessuno e di ciascuno in particolare, basta lasciar parlare le emozioni e si entra a far parte della terra e del cielo di Lombardia.

È una questione di feeling: non serve scomodare astrusità per spiegare il pittore: la sua produzione ha una spontaneità una semplicità esemplari; è un autodidatta, non ha frequentato Brera o qualche altra Accademia come i grandi suoi contemporanei che sono stati allievi di autori prestigiosi, la sua cifra personale è accattivante e lo fa apprezzare e amare più di ogni altro. Nelle sue tavole e nelle sue tele propone particolari che tutti conoscono, che appartengono al vissuto: ognuno sa dove è, di chi è, come è la cascina, il viottolo la casa la marina l’albero che osserva ogni giorno e che il pittore riproduce tout court in ‘cartoline’ raffinate.

De Bernardi è un naturalista, i canoni dell’estetica aristotelica sono profondamente radicati nel suo operare; la funzione della sua arte è catartica perché si stacca dalla materia che muta, rende eterno ciò che osserva, solleva in una dimensione rassicurante, rilassante, una dimensione atemporale; non interpreta la realtà, la duplica con mano sicura e occhio poetico: arriva a dipingere lo stesso soggetto in più quadri distinti solamente da variazioni temporali notabili perché un albero è cresciuto o l’erba è stata tagliata o la luce suggerisce un vespero o un’alba, un momento diverso del giorno. Dipinge secondi i canoni della pittura lombarda naturalistica, volutamente lontana dalla sperimentazione avanguardista del primo novecento, ancorato ai modi Ottocenteschi, alle ‘piccole cose gozzaniane’ ad un gusto conservatore, talora un po’ retrò.

Gli unici tocchi di ‘modernità’ sono legati alla formazione culturale scientifica che ha ricevuto – il padre lo iscrisse ad ingegneria, facoltà che abbandonò subito- e a un’elevata dose di curiosità per tutto ciò che sa di novità che lo porta ad inserire nei suoi lavori linee elettriche, stazioni ferroviarie e cantieri navali.

De Bernardi ‘cristallizza la natura nell’attimo’, la riproduce sulla tela con l’occhio del pittore, unico mediatore tra la natura e l’uomo, attento a cogliere le variazioni della luce delle stagioni degli anni: due tavole affiancate in mostra evidenziano la crescita delle piante contro l’immobilità di cascine e montagne. Trasferisce con armonia sulle tele i paesaggi e il mondo agreste, i soggetti preferiti.

Privilegia i toni tenui, utilizza una tavolozza di colori naturali rischiarati da sprazzi di luce che accennano ombre delicate mai incombenti, ritrae verdi nature, cieli azzurri appena sporcati da nuvole bianche. La sua sensibilità e la sua vena poetica si esprimono attraverso pennellate morbide continue, larghe, dense di materia pittorica che si distendono a formare il verde dei campi o il bruno del terreno, l’azzurro del cielo o il bianco delle nuvole. La luce e la morbidezza dei colori hanno una sapiente garbata semplicità che delinea i soggetti per i quali talora il Maestro utilizza il tocco aggiuntivo della matita nera; predilige le tavole che sono rettangolari, tipiche della veduta del paesaggio nel quale la base che fa da appoggio alla veduta, ha dimensioni superiori all’altezza.




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mercoledì 15 aprile 2015

PERSONE DI PORTO VALTRAVAGLIA : CESARINA SOLCIA

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E' nata nel 1938 e si è diplomata all'Istituto d'Arte "Marangoni" in figurino e disegno su tessuto. Dopo essersi dedicata alla famiglia, alla fine degli anni ottanta riprende l'attività artistica frequentando lo studio della pittrice Micol De Palma.

E' socia di Arte Cultura, rivista artistica e culturale di Milano.

Nell'arte di Cesarina Solcia si avverte il respiro puro del sentimento che è linfa essenziale della sua ispirazione. Il linguaggio espressivo ed immediato, affidato alla sensibilità del colore e all'intensità comunicante della forma. Osservando attentamente le sue opere si nota come la forza dell'emozione prevalga su ogni astratta considerazione teorica. Il mondo della natura, rivelato dall'essenzialità della luce, è lo scopo primario della ricerca visiva ed interiore della pittrice. Il variare delle tonalità, la limpidezza della composizione, l'equilibrio generale dell'espressione sono altri fattori culturali e poetici che invitano al costante ed appagante confronto con la sua pittura e con la verità in essa plasticamente e vitalmente rappresentata.

Un linguaggio, quello di Cesarina, che si realizza su toni cromatici di estrema purezza, nell'esercizio di una tecnica personale, con la quale riesce a trarre trasparenze impensate. I contenuti e i colori non sono mai abbandonati ad un arbitro impulsivo bensì organizzati secondo una logica compositiva.

Ha scelto Porto Valtravaglia come sua seconda residenza.


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martedì 14 aprile 2015

PERSONE DI PORTO VALTRAVAGLIA : HANS SCHONER

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Hans Schoner dal 1941 al 1952 ha frequentato la scuola d'arte di Pforzheim studiando pittura con il Prof Erwin Aichele e con il Prof . Curt Rothe e grafica e design col Prof. Amadeus Goetzel, scultura col Prof. Willi Seidel ed oreficeria col Prof. Theodor Wende.
Tra il 1943 ed il 1998 ha tenuto periodicamente mostre personali sia in Germania che in Francia. Negli anni giovanili ha partecipato ad un concorso di pittura a Heidelberg/ Nordbaden vincendo il 2° premio ed il 3° premio per scultura. Ha inoltre vinto alcuni con corsi per la realizzazione dei monumenti ai caduti di guerra. Dal 1972 vive e dipinge per la maggior parte dell'anno a Porto Valtravaglia sul Lago Maggiore.

Da oltre venticinque anni ormai passa le  vacanze sul Lago Maggiore, insieme alla famiglia. Qui trova il tempo e l'ispirazione necessaria per dedicarsi totalmente alla pittura. Così lentamente si allontanò dal lavoro di editore per abbracciare più strettamente l'arte della pittura e ad illustrare le sensazioni e gli stati d'animo che  suscitano la splendida natura ed i colori delle acque e delle montagne del Lago Maggiore.
"L'arte è tentare di creare nel mondo reale, un mondo più umano" dice lo scrittore francese André Maurois.

Come dice Goethe attraverso il suo personaggio, il pittore Philipp Otto Runge: "Cosa serve la natura sfavillante davanti ai tuoi occhi? Cosa ti serve l'arte tutt'intorno se la tua anima non é colma della tenera forza del creato e nelle tue dita non rinascerà?"
Negli ultimi anni ha seguito il significato di queste parole, cercando di immortalare nei dipinti il fascino e la bellezza di questo paesaggio, unico in Europa.
"L'arte è la riproduzione di ciò che i sensi distinguono attraverso il velo dell'anima" dice Edgard Allan Poe.
Non si è mai dedicato, salvo poche eccezioni, all'arte astratta. Ha sempre riprodotto la bellezza che lo circondava in modo da creare attraverso la visione una più perfetta immagine della natura.




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