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mercoledì 18 novembre 2015

VIGEVANO

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Vigèvano è un comune situato nella Lomellina nord-orientale, sulla sponda destra del fiume Ticino, che lo separa dalla provincia di Milano.Il paesaggio, trovandosi all'interno della Pianura Padana, è pianeggiante.

Le origini della città sono confuse, sebbene se ne presuma un'origine molto antica, il primo documento che la menziona, con il nome longobardo di "Vicogeboin" o "Vicus Gebuin", risale al 963. L'abitato sorse in una posizione strategica ai margini della valle del Ticino, nei pressi di un importante guado sul fiume.

Nel corso del XII secolo il borgo incastellato venne fortificato lungo uno dei lati rivolti alla pianura e conquistò ampie autonomie amministrative, ma a causa della sua posizione, pressappoco a egual distanza da Pavia e Milano, fu spesso al centro dei frequenti conflitti tra le due città per il possesso della Lomellina, subendo guerre, assedi e distruzioni per oltre 150 anni.

In seguito, con l'avvento delle signorie, le condizioni migliorarono; tra il XIV ed il XV secolo il borgo divenne feudo dapprima dei Della Torre, poi dei Visconti e infine, tra il 1450 e 1535, degli Sforza.

Durante il periodo visconteo-sforzesco Vigevano raggiunse il suo periodo di massimo splendore, divenendo residenza ducale e centro commerciale di notevole importanza per la lavorazione dei panni di lana e di lino.

Nel XIV secolo, durante il governo di Luchino Visconti, furono introdotti importanti mutamenti urbanistici culminanti con la costruzione delle mura ("terraggi"), della rocca (ora Rocca Vecchia) e nel potenziamento del castello. Nel 1347, venne costruita la "Strada Coperta", un passaggio protetto per collegare il castello alla rocca passando sopra le case del borgo.

L'ultimo dei Visconti, Filippo Maria, morì nel 1447 senza lasciare eredi, a Milano si proclamò l'Aurea Repubblica Ambrosiana a cui Vigevano aderì. Quando Francesco Sforza tentò di impossessarsi del potere, Vigevano si ribellò e nell'aprile del 1449 espulse il podestà ed il comandante del presidio e si proclamò libero comune, alleandosi con Milano. Le truppe sforzesche posero l'assedio alla città per circa 20 giorni portando numerosi assalti contro i vigevanesi chiusi dentro il castello. Ma l'impegno di tutto il popolo, guidato dall'eroina Camilla Rodolfi, non bastò; il 6 giugno la città si arrese, riuscendo però ad ottenere una serie di privilegi. In seguito Francesco Sforza scelse il castello di Vigevano come dimora estiva e riserva di caccia della sua corte.

Dopo la morte di Galeazzo Maria Sforza, ricordato a Vigevano per aver realizzato alcune scuderie nel castello e allevamenti di cani da caccia, gli succedette il giovane figlio Gian Galeazzo Maria. Fu allora che Ludovico il Moro, fratello di Galeazzo, tentò di impadronirsi del potere assumendo la reggenza nel 1480 e divenendo poi duca di Milano nel 1494.

Nativo di Vigevano, il Moro si occupò di abbellire la propria città avviando dapprima la bonifica del territorio, migliorando il sistema di irrigazione a beneficio dell'agricoltura e costruendo la grande fattoria modello denominata "Sforzesca", a sud della città. In seguito fece ampliare il castello costruendo nuove scuderie e nuovi edifici quali la "Loggia delle Dame", la "Falconiera" e la Torre, ad opera di Donato Bramante; contemporaneamente avviò la costruzione della grandiosa piazza Ducale, terminata nel 1494.

Nel 1500, con la sconfitta del Moro, catturato dai francesi a Novara, per Vigevano si chiuse il periodo aureo del rinnovamento urbanistico. Seguirono anni di difficoltà con guerre ed occupazioni straniere. Nel marzo 1530, Francesco II Sforza, ultimo Duca di Milano, ottenne da Papa Clemente VII l'erezione di Vigevano al rango di città e sede vescovile ma alla sua morte la città cadde sotto un lungo e difficile dominio spagnolo, attraversando un XVII secolo segnato da carestie, epidemie di peste e assedi. Dopo una breve dominazione austriaca, nel 1745 la città entrò a far parte del Regno di Sardegna; sotto il dominio sabaudo l'industria e il commercio rifiorirono e il 29 agosto 1789 la città diviene capoluogo della "Provincia Vigevanasca". Dopo la parentesi della dominazione napoleonica nel 1814 la città torna ai Savoia.

Il 9 agosto 1848, nel corso della Prima guerra di indipendenza italiana, presso l'attuale vescovado venne firmato l'armistizio Salasco che prevedeva una tregua di sei settimane, tra Austria e Piemonte; in seguito, il 21 marzo 1849 venne combattuta la battaglia della Sforzesca in cui i piemontesi ebbero la meglio sugli austriaci.

Nel 1854 viene inaugurata la linea ferroviaria Vigevano-Mortara e nel 1870 il prolungamento fino a Milano.

Nel 1866 sorse a Vigevano, città da sempre vocata alla manifattura, il primo calzaturificio italiano (Luigi Bocca); in circa 40 anni i laboratori diventarono 36 e quasi 10.000 le persone occupate nel settore (molte delle quali lavoranti a domicilio); nel 1937 si contavano 873 aziende con 13.000 dipendenti fino ad arrivare a 900 aziende con quasi 20.009 addetti nel 1965. Parallelamente all'industria calzaturiera si diffuse anche l'industria tessile per la lavorazione della seta e del cotone.

Nel secondo dopoguerra il settore tessile si ridimensionò fortemente mentre quello calzaturiero, dopo il boom degli anni cinquanta e sessanta, iniziò un drastico declino, compensato solo in parte dallo sviluppo dell'industria metalmeccanica finalizzata a produrre macchinari per la lavorazione delle calzature, che resiste nonostante la forte concorrenza dei paesi emergenti. Il settore calzaturiero è ancora presente e Vigevano rimane uno dei luoghi dedicati alle calzature nel Nord Italia, tuttavia in una forma molto minore rispetto al passato.

Per secoli il luogo divenne famoso per la manifattura tessile, in particolare della seta e del cotone.

Il settore più importante dell'economia vigevanese è quello calzaturiero con produzione di scarpe, accessori, materiali e macchine per calzature. Già attiva all'inizio del XX secolo, la manifattura calzaturiera cominciò ad affermarsi durante la prima guerra mondiale, per raggiungere l'apice durante gli anni cinquanta, tanto che la città era considerata la capitale della calzatura. Nei decenni successivi, con il progressivo spostamento della produzione verso i paesi in via di sviluppo, è iniziata una crisi sempre più profonda del settore che ha coinvolto anche tutto l'indotto del territorio.

L'agricoltura è principalmente incentrata sulla produzione del riso, vista l'ampia diffusione delle risaie in Lomellina.

La permanenza di Leonardo Da Vinci nel territorio è documentata dalla rilevante eredità culturale che affonda le sue radici nella stagione sforzesca con il Castello e la Piazza Ducale, che evocano senza alcun dubbio i disegni della “Città ideale”, ma anche la Sforzesca, con la rete dei navigli, e i mulini. C’è poi la Torre del Bramante, simbolo di Vigevano e ingresso d’onore al Castello, il maestoso Duomo, voluto da Francesco Sforza, il Museo Archeologico nazionale della Lomellina, la falconeria Bramantesca, la Strada Coperta e le Sotterranee, capolavori dell’architettura castellana europea.

Vigevano ha poi una ben nota tradizione manifatturiera legata alla moda: qui fu inventato il tacco a spillo. Attrazione turistica che richiama l’attenzione di un numero sempre maggiore di turisti è, infatti, la storia calzaturiera della città che si racconta attraverso il Museo Internazionale della Calzatura “Pietro Bartolini”: oltre 500 modelli esposti che testimoniano l’evoluzione della scarpa partendo dal più antico esemplare, la “pianella di Beatrice D’Este” del 1494, fino ad arrivare alle decolleté di Marylin Monroe e Anita Ekberg.

Nel 1518 il Beato Matteo Carreri venne proclamato protettore di Vigevano. Nato a Mantova, morì a Vigevano nel convento di San Pietro Martire nel 1470. Le sue spoglie si trovano in un'urna di cristallo nello scurolo della chiesa di San Pietro Martire. Viene festeggiato la seconda domenica di ottobre, giorno della festa di Vigevano.

La parte più vecchia di Vigevano è datata al basso medioevo. Al tempo la città venne fortificata lungo uno dei lati della pianura del Ticino. Il paese divenne una città indipendente, grazie alla sua posizione strategica e per questo divenne centro di conflitti frequenti tra Pavia e Milano.

Il 14 marzo 1530 la città venne eretta sede vescovile.
La città divenne feudo di diverse famiglie: i Della Torre, i Visconti tra la fine del Duecento e la metà del Quattrocento e gli Sforza tra il 1450 e il 1535. Durante il periodo sforzesco la città entrò nel suo periodo aureo divenendo residenza ducale, un centro commerciale di notevole importanza e vi fu installata la sede vescovile.

Il 9 agosto 1848 venne firmato, presso l'attuale vescovado, l'armistizio Salasco che prevedeva una tregua di sei settimane, tra Austria e Piemonte, nel corso delle prima guerra di indipendenza.

Il 21 aprile 2007 la città ha ricevuto la visita pastorale di Benedetto XVI.


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ZEME

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Zeme è un comune situato nella Lomellina occidentale, sulla riva destra dell'Agogna.
Nel medioevo era indicato come Cemide o Zemide. Appartenne forse fin dal X secolo al Vescovo di Pavia e successivamente al priorato di Santa Croce di Mortara; per metà nel 1311 però veniva confermato ai conti Palatini di Lomello. È altresì nominato nei diplomi imperiali (1191, 1220) che assegnano la Lomellina a Pavia (ma non nel più antico del 1164). In epoca viscontea venne in potere di Filippino, figlio di Facino Cane, che nel 1524 lo vendette al condottiero Angelo della Pergola (allora signore anche di Sartirana); nel 1518 il pronipote Francesco della Pergola vendeva Zeme ai San Cassiano, ma nel 1532, costituita la diocesi di Vigevano, la Contea di Zeme fu assegnata al capitolo e alla Mensa Vescovile di quella città; il dominio feudale della Mensa cesserà solo con l'abolizione del feudalesimo.

Nel 1707 (e ufficialmente nel 1713) Zeme, con la Lomellina, passa sotto il dominio dei Savoia. Nel 1818 sono definitivamente uniti a Zeme i soppressi comuni di Marza e Sant'Alessandro, costituiti dalle omonime cascine.

Sant'Alessandro, sede di un'antica pieve, è noto fin dal medioevo; era feudo dei Caccia, finché passò, nel 1625, a Giambattista Visconti (di un ramo cadetto della casata ducale), genero di Pietro Paolo Caccia; suo figlio Vercellino Visconti fu nominato marchese di Sant'Alessandro; la sua discendenza si estinse poco prima della fine del XVIII secolo.
Marza seguì probabilmente le sorti del vicino Olevano; con esso infatti era, nel XVIII secolo, feudo dei Taverna di Milano, conti di Landriano.

Gli storici discordi sono sull'etimologia del nome. Alcuni sostengono che in origine si chiamasse "Geminae columnae" per due colonne miliari che si collocavano sulle vie romane, altri invece fanno derivare il nome da "Gemina castra", per il fatto probabile che in questo territorio si siano accampati gli eserciti di Mario e Catulo, prima di infliggere ai Cimbri la sconfitta sul Sesia. La seconda versione (Gemina modificata poi in Zemida, da cui l'attuale Zeme) sembra la più attendibile e sarebbe confermata dal riscontro topografico di Zeme, essendo questo paese a breve distanza dal luogo ove ebbe luogo, nel 101 a.C., la battaglia dei "campi Raudii".

La Chiesa parrocchiale risale alla fine del XVI secolo ed è dedicata a Sant'Alessandro. L'aspetto attuale le viene dato nel 1756. L'altare maggiore è consacrato nel 1768. Sulla facciata vi è un affresco del pittore medese Nando Bialetti, raffigurante il martirio di Sant'Alessandro.

Il Castello si trova al centro del borgo, e consiste in un fabbricato monoblocco di evidente origine signorile, interamente ristrutturato o ricostruito nella prima metà del secolo XVIII. Il castello mostra finestre con semplici ma eleganti cornici settecentesche racchiudenti teste muliebri. Sul lato posto a nord si vede un affresco raffigurante un santo in piviale e mitria. Sul tetto si nota un curioso comignolo a doppio fungo. La cinta ad ovest ha due portali d'ingresso, uno dei quali reca la data 1741. La facciata meridionale, in cui si apre l'ingresso, mostra agli angoli due corpi di fabbrica sopraelevati, rappresentazione scenografica delle antiche torri angolari. Le pareti verso il cortile sembrano conservare un tessuto murario più antico ove l'intonaco settecentesco lascia intravedere l'ordito dei mattoni; alla sommità dei muri perimetrali sono osservabili tracce di merlatura tamponata. Le basi dell'edificio sono a scarpa, anche se un innalzamento del terreno circostante effettuato molti decenni fa nasconde alla vista questa particolarità, insieme con ogni eventuale traccia del preesistente fossato. Anziani del luogo affermano che dal castello si diparte un cunicolo che venne parzialmente esplorato molti decenni or sono, senza esito. Esso si dirigerebbe verso l'attuale cascina "Marza".


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VILLANOVA D'ARDENGHI



Villanova d'Ardenghi è un comune situato nella Lomellina orientale, sul ciglio del terrazzo che domina la valle alluvionale del Ticino.

Villanova fu un possesso del monastero di Santa Maria Teodote di Pavia fin dal X secolo. Il nome di Villanova indica che fu fondata o rifondata, probabilmente in quel periodo, come insediamento agricolo. Poco dopo ne divennero signori gli Ardenghi, tanto che già nel 1250 era detta Villanova de Ardenghis. Ebbe sempre un forte legame con la vicina Carbonara al Ticino, tanto che in qualche periodo la sua chiesa dipese dalla parrocchia di Carbonara, e anche i comuni furono forse uniti. Comunque feudalmente le sorti dei due paesi furono diverse: mentre infatti Carbonara fu legata al feudo di Gropello, Villanova appartenne dal XV al XVII secolo agli Eustachi di Pavia, feudatari di gran parte della Lomellina sudorientale (Cava Manara, Zinasco ecc.), e dal 1666 ai Peverelli di Milano. Nel 1713 passò, con tutta la Lomellina, sotto la sovranità dei Savoia, appartenendo alla Provincia di Lomellina, e dal 1859 alla Provincia di Pavia.

Villanova d'Ardenghi è posto tra il fiume Po e il fiume Ticino, in una felice posizione che domina una vasta vallata formatasi nei tempi preistorici e solcata da diversi piccoli corsi d'acqua corrente, le rogge, che hanno permesso, fin dall'epoca romana, la coltivazione del riso.


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VILLA BISCOSSI



Villa Biscossi è un comune situato nella Lomellina meridionale, nella pianura alla destra dell'Agogna. Villa Biscossi è il comune più piccolo della Provincia di Pavia.

Nota fin dal XIII secolo come Villa Piperatorum, fece parte della contea di Mede, derivata dall'antica contea di Lomello. I Biscossi o Biscossa, che facevano parte della vasta consorteria dei Conti di Mede, ne furono signori particolari.

La storia del Palazzo Ducale e del feudo affondano le loro radici nel XIII secolo, quando il territorio dell'attuale Villa Biscossi era noto come Villa Piperis o Piperatorum. Si trattava di un piccolo comune che prese il nome, come di consueto, dalla più numerosa famiglia proprietaria anticamente residente in questi luoghi, i Biscossi, che si insediarono nella zona verso la fine del XIII secolo. Palazzo Casale, edificato nella seconda metà del XVIII secolo nel piazzale di fronte alla chiesa cinquecentesca, domina il centro abitato, con il suo elegante porticato a colonne di granito e la terrazza. Le grandi finestre del primo piano sembrano rifarsi alle costruzioni pavesi dell'architetto G.A. Veneroni, attivo nel pavese nel XVIII secolo, al quale potrebbe ricondursi la realizzazione dell'intero edificio. Alle spalle del Palazzo un vasto giardino conserva numerose specie di piante e un piccolo lago, collegato ai canali di irrigazione dell'antica tenuta agricola. La proprietà del Palazzo passò dai Provera ai Pallestrini, che vi ricevettero Vittorio Emanuele II e Cavour, per poi pervenire ai Casale. Mentre il piccolo comune di Villa Biscossi si mantenne vivo e vitale con le sue attività agricole ed artigianali collegate, il Palazzo subì un periodo di grande decadenza verso gli anni '30 del Novecento, a causa dell'abbandono da parte dei proprietari. Oggi il Palazzo Casale, dopo essere stato restaurato, è aperto al pubblico e messo a disposizione per cerimonie ed eventi privati.

L'economia del paese è basata principalmente sull'agricoltura, sulla coltivazione di riso, cereali, foraggi e sull'allevamento dei bovini. Le origini del paese non sono certe: gli studiosi ritengono che il paese sorgesse su un antico insediamento urbano comprendente un castello. I santi Nazario e Celso sono i patroni del comune.  Oltre al caratteristico centro storico, a Villa Biscossi possiamo ammirare l'antica 'villa' situata al centro del paese, presenta una struttura settecentesca. Possiede una balaustra in ferro battuta e un aspetto semplice.Vi si accede tramite un grande cancello in ferro.Notevole è la parrocchiale dedicata ai Santi Nazario e Celso venne rifatta 1583.


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TROMELLO



Tromello è un comune situato nella Lomellina centrale, sulla riva destra del Terdoppio.

Anticamente era indicato come luogo di transito sul tracciato della via romea, che da Pavia raggiungeva le Gallie.  Non si sa con esattezza quali siano le origini etimologiche di Tromello: deriva, forse, dal latino tres mellum, mell in tedesco significa cinta, e potrebbe far riferimento a delle fortificazioni. Oggi il Comune di Tromello non ha frazioni.

Tromello è noto almeno dal XII secolo come Tromellum; nel 1250 è citato tra le terre soggette a Pavia. Nel secolo successivo divenne signoria dei Beccaria, cui rimase fino alla morte senza eredi di Agostino Beccaria (signore anche di Borgo San Siro) nel 1475. Allora il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza infeudò Tromello al suo musico Cordier, e tre anni dopo (1478) a Carlo di Capo Silvo e successivamente a suo genero Leonardo de Comite. Nel 1535 il feudo fu concesso al conte Massimiliano Stampa, passando dopo la sua morte al fratello Ermes, ai cui discendenti (marchesi di Soncino) rimase fino all'abolizione del feudalesimo (1797). Nel 1818 fu aggregato a Tromello il soppresso comune di Roventino. Fino al 1927 inoltre fece parte del comune di Tromello anche Torrazza, frazione poi unita a Borgo San Siro.

Il Torrione in origine doveva essere la torre d’angolo del “fortissimo” castello, del quale non v’è più traccia. Il castelli di cui la torre era parte integrante, dovrebbe risalire al XIII-XIV secolo, nessun documento ne attesta l’epoca certa.

La torre è sempre stata di proprietà della comunità di Tromello, la quale, nel 1828, decise di alzarla di sei metri, per potervi istallare un orologio

Il tetto di cui era munita la torre, dovette lasciare il posto al caratteristico balaustrato con colonne di pietra, voluto dai tromellesi che, da allora lo ritennero il simbolo del Paese.

Il Palazzo Stampa  (ora sede Municipale) venne eretto nella seconda metà del XV secolo, dal Feudatario di Tromello, il Conte Don Massimiliano Stampa (grande di Spagna) che ne ottenne l’investitura da Carlo V, il 15 aprile 1535.

In origine era una casa forte, utile alla difesa del contado tromellese, ed all’adiacente castello.

Nel cortile interno si trovavano le scuderie e su un lato della costruzione, era impiantato un grande giardino, completamente cintato da mura. Verso la fine del XVIII secolo, passò ai Marchesi Castiglioni, che se ne liberarono nel secolo successivo. Il Palazzo, subì diverse trasformazioni, perse la funzione originale divenne un’ottima dimora signorile.

A fine 1800 la contessa Marietta Gamberana proprietaria del Palazzo lo cedette al Comune  che lo destinò a sede Municipale.

Il grande Palazzo Brielli di loro proprietà, si può far risalire al XVII secolo, anche se taluni credono che sia del secolo precedente.

I Brielli, per diversi secoli, rappresentarono la “Legge” in quale di Tromello, essendo notai e avvocati per generazioni; molti di loro ricoprirono la carica di Segretario Comunale.
Durante le guerre risorgimentali, molti alti ufficiali, sia austriaci che piemontesi, presero alloggio in quel comodo palazzo, corredato di ottime scuderie,


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VELEZZO LOMELLINA

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Velezzo Lomellina è un comune situato nella Lomellina centrale, alla destra dell'Agogna.
L'importanza di Velezzo fu soprattutto religiosa; dal punto di vista civile costituiva ancora nel XVIII secolo solo una cascina, così come cascine erano Campalestro e Terno, tutte comunque costituenti comuni autonomi. Il comune di Velezzo e sua Pieve (comprendente quindi anche la Pieve, situata molto più in basso, sempre lungo l'Agogna) era meno importante di quello di Campalestro. Quest'ultimo fu feudo dei Maletti nel 1470 e dei Bigli di Milano dal 1525, insieme a Gerola (fraz. di Casei Gerola) e Mezzana Bigli; nel 1707, quando tutta la Lomellina passò ai Savoia, erano feudatari i marchesi Ghislieri, mentre a Terno erano feudatari i Giussano. Nel 1806 questi comuni furono uniti nel comune di Velezzo.

Oggi le cascine presenti sul territorio sono: Cascina Campalestro, Cascina Pieve, Cascina Claudia, Cascina Balossina, Cascina Terno e Cascina Malpaga.

La Pieve di Velezzo è un insieme di cascinali bassi, intorno alla Chiesa ed al suo battistero. Il luogo è deserto e le antiche costruzioni sembrano perdersi nell'immensità della campagna tra i filari dei pioppi e il cielo. Eppure è uno dei luoghi più antichi della Lomellina, forse il primo centro cristiano di questa terra, situato al di fuori dell'abitato di Lomello, allora maggiore città della zona, ed a poca distanza dalla strada per le Gallie. La Pieve, dedicata alla Natività di Maria, era in decadenza già nel IX secolo; dopo il Mille perse la sua autonomia e divenne dipendenza della chiesa di Lomello: per questo era detta Santa Maria Minore. La chiesa attuale, accanto ai numerosi rifacimenti, conserva notevoli tracce dell'originaria architettura romanica, fra cui l'abside, il campanile ed gli elementi decorativi del fianco verso il cortiletto. Molto più antico è sicuramente il Battistero (sec XI) che, grazie ad un intervento di restauro, rivive oggi dopo le offese subite nel passato quando fu usato come camera da letto e cantina della canonica. È una costruzione singolare sia per la sua pianta circolare, con una piccola abside ed un protiro rettangolare, sia per i motivi decorativi ad archetti pensili e la caratteristica struttura della muratura con corsi di mattoni a spina di pesce.

La Chiesa dell'Immacolata conserva affreschi del pittore lomellino Annibale Ticinese. All'interno è custodito l'affresco appartenente al Battistero di Pieve restaurato negli anni '80.

Il Santuario "Madona d'al Soc" fu fondato in epoca romana come tempio pagano, più volte rimaneggiato, è luogo di prodigi tramandati dalla tradizione.


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VALLE LOMELLINA

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Valle Lomellina è un comune situato nella Lomellina centrale ed è ricco di attività agricole ed industriali.

Il primo nucleo che dà origine al comune di Valle Lomellina risale al periodo pre-romano; l'area era infatti occupata da piccoli villaggi risalenti all'età del bronzo. Con l'invasione gallica del IV secolo a.C. gli insediamenti in Lomellina aumentano, favoriti dalla ricchezza d'acqua della zona. L'arrivo dei Romani portò alla costruzione di una strada che partendo da Ticinum (Pavia) raggiungeva le Gallie attraversando la Lomellina e il centro vallese. In quel periodo vennero altresì costruite molte ville che portarono alla bonifica di terre per uso agricolo e che costituirono il primo tassello della futura economia agricola del paese. La caduta dell'Impero Romano e l'arrivo dei barbari creò un periodò di instabilità economica e sociale che terminerà con l'insediamento dei Longobardi nel territorio vallese: a prova di ciò bisogna ricordarsi che il patrono di Valle, San Michele Arcangelo, era altresì il protettore dei Longobardi.

Il nome Valle potrebbe derivare dal latino vallum che significa fortezza, arroccamento; in effetti la Lomellina dell'epoca romana era caratterizzata da piccole colline e dossi comprese tra zone paludose. Nell'elenco delle terre del contado di Pavia del XIII secolo, il centro è citato con il nome di "Valide". Nel '400 divenne signoria dei Beccaria di Pavia (ramo di Arena Po), sostituiti poi dal ministro ducale degli Sforza, Cicco Simonetta, nel 1470 (egli era qui infeudato anche di Sartirana e Castelnovetto). Dopo la sua morte il feudo fu incamerato, e fu venduto a un Tasino di Ferrara. Durante l'occupazione francese (1499) viene ceduto al cardinale d'Amboise, che lo vende al ministro Bergonzo Botta; i suoi figli lo cedono nel 1527, giunge poi a un ramo dei Visconti estinto nel 1564 con la morte di Luigi (fin qui il feudo condivise le sorti di Castelnovetto). Il feudo, incamerato, nel 1574 fu acquistato da Giovanni Agostino Litta, Marchese di Gambolò e primo Conte di Valle. Il feudo di Valle rimase ai marchesi Litta di Gambolò fino all'abolizione del feudalesimo (1797). Nel 1707 Valle, con tutta la Lomellina, fu inclusa nei domini di Casa Savoia, seguendone le sorti fino all'unità d'Italia, fatta salvo il periodo napoleonico tra il 1796 e il 1815. Nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia e di conseguenza della Lombardia, dividendosi definitivamente dal Piemonte. Verso la fine dell'800 molti vallesi emigrano in Argentina a causa della crisi agricola. Nel '900 Valle è coinvolta nelle lotte contadine che scoppiano in tutta la Lomellina. La guerra intanto comportò la perdita di 50 vallesi. Nel ventennio fascista nascono le due riserie, la Curti e la Società Italiana. La Seconda guerra mondiale non tocca direttamente Valle, che diviene invece un rifugio per molti sfollati Milanesi. Il dopoguerra vede un abbandono delle campagne e un aumento dei pendolari verso le industrie orafe di Valenza e i calzaturifici di Vigevano.

La chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo, costruita nel '600, è caratterizzata da un'unica navata la cui volta è completamente affrescata. L'altare maggiore è abbellito con marmi e pietre di pregevole valore. La chiesa conserva al suo interno la statua del Cristo Morto racchiusa in una magnifica urna. Il coro in fondo alla navata è in legno di noce finemente intagliato e risale al XVI secolo.

Fuori paese, nella strada che conduce a Semiana e Lomello, è situato il Santuario della Madonna di Casaletto, risalente al XVI secolo. Il Santuario è meta ogni anno, soprattutto nel periodo primaverile, di pellegrini che provengono da tutta la Lomellina. Il Santuario ha ospitato un convento fino al secolo scorso, oggi ormai abbandonato.

La chiesa di Santa Maria del Castello è posta nella vicinanze del castello ed è l'edificio più antico del paese. Recentemente sono stati ritrovati degli affreschi del '400 riferiti alla tradizione pittorica lombarda.

Nella piazza principale del paese, a pochi passi dalla chiesa parrocchiale, si erge la chiesa di San Rocco e San Sebastiano, a forma rettangolare, innalzata nel 1469.

Il castello medievale fu una delle roccaforti più importanti della Lomellina e costituiva, insieme ai castelli di Sartirana Lomellina, Frascarolo e Lomello, la cintura difensiva della parte sud occidentale del Ducato di Milano. L'edificio, costruito nel XIV secolo, si erge al centro del paese ed è caratterizzato da un impianto a semicerchio con loggiati e finestre ad archi acuti.

Il monumento dedicato a tutti i caduti vallesi nelle due Guerre Mondiali è costituito da un altare in stile neoclassico con sei colonne doriche che sostengono una piccola cupola; sull'altare è posto un braciere in ricordo delle vittime. Il monumento trae ispirazione dal Mausoleo di Teodorico a Ravenna ed è molto simile al Monumento ai caduti di Ancona costruito, come il monumento vallese, in epoca fascista.

Il Municipio è uno dei più belli esempi di architettura littoria della Lombardia. L'edificio è stato costruito negli anni '20 e da allora ospita gli uffici comunali e la polizia locale. La parte centrale e le parti laterali della facciata sono in mattoni a vista. Al centro, sempre della facciata, è presente un balcone in travertino sormontato dalla scritta in caratteri latini "MVNICIPIO".

La Sagra del Riso si tiene l'ultimo fine settimana di giugno e offre il riso cucinato in ogni modo possibile. Le serate sono allietate da musica e balli.

La Sagra della Lumaca si svolge la prima domenica di settembre e offre ai propri ospiti lumache cotte in ogni modo.


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martedì 17 novembre 2015

VALEGGIO

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Valeggio è un comune situato nella Lomellina centrale, nella pianura tra l'Agogna e il Terdoppio.

L’etimologia del toponimo “Valeggio” secondo lo storico ottocentesco Goffredo Casalis il nome deriverebbe da vallicum, cioè “piccola valle”. Lo studioso contemporaneo Dante Olivieri propende per la voce lombarda Varicella, interpretazione confermata anche dalla voce latina Valligium o Vallicula. Secondo lo storico pavese Portaluppi, il nome Valigium affonderebbe le radici nell’epoca longobarda: un’ipotesi che si avvicina molto alla leggenda popolare della Via Regia, l’antica strada romana che la regina Teodolinda percorse nel 590 con lo sposo Agilulfo, duca di Torino e poi re dei Longobardi. Infatti sembra accertato che la regina Teodolinda, quando da Lomello si recava a Milano, passasse proprio da Valeggio.

Valeggio, come altri luoghi vicini (in particolare Garlasco), appartenne dal X secolo al monastero di San Salvatore di Pavia. Nel 1250 appare come Valegium nell'elenco delle terre soggette al dominio di Pavia. Successivamente appartenne ai conti Albonese di Pavia, originari di Albonese in Lomellina (e forse discendenti dai Conti Palatini di Lomello). Nel 1487 il conte Gualtiero Albonese permutò il feudo di Valeggio con Luigi Arcimboldi di Milano (in cambio di Sabbione, fraz. di Zerbolò). Alla morte senza eredi, nel 1675, di Antonio Arcimboldi (che era anche conte di Candia Lomellina), la signoria di Valeggio fu incamerata. La località fu nuovamente infeudata nel 1708 a Pietro Quintana di Milano (il cui nome è ricordato dalla locale cascina Quintana) e dal 1733 ai De Cardenas, fino alla fine del feudalesimo (1797). Nel 1713 Valeggio, con tutta la Lomellina, fu incluso nei domini di Casa Savoia, e nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia.

All'inizio del XX secolo, le famiglie Borra, de Candia, e Serra sono emigrate in Argentina da Valeggio Lomellina.

In origine Valeggio fu un centro religioso di comunità monastica, in virtù della presenza della confraternita del Carmelo che aveva il compito di custodire il luogo di culto definito “ Santa Maria di Veleggio” o del Carmine situato in località Val Madonna. La chiesa, passata all’ospedale civico di Pavia, scomparve verso la metà del XIX secolo. In questa chiesa era conservata la statua lignea della Madonna del Carmelo ritrovata poi all’inizio del 1900 nella roggia Selvatica.
Questa chiesetta era situata in direzione Ottobiano e nel 1576 fu visitata e denominata dal vescovo “ Oratorium Sanctae Crocis in campis” che depone in favore della sua antichità. Scomparve senza lasciare indicazioni della sua ubdicazione.

La chiesa primitiva era piccola e di stile romanico, fu visitata nel 1460 dal Vescovo di Pavia e ne era cappellano e curato Giovanni de Glisiis. Nel 1576 la chiesa era nota come rettoria di San Pietro. Nel decreti del 1583 si imponeva al parroco di provvedere ai vasi per gli olii santi e ai registi dei battesimi, dei matrimoni, dei morti e dei cresimati, sotto pena di 3 monete d’oro. Intorno vi era il cimitero. La rettoria fu elevata a prepositura con decreto di Monsignor Forzani, vescovo di Vigevano, nel 1846. La chiesa attuale, sotto l’invocazione dei SS. Pietro e Paolo, fu più volte restaurata, e fu ridotta alla forma rettangolare, edificandola più ampia La facciata attuale è stata rifatta su disegno romanico nei primi anni del 1900, duranti i lavori di restauro del 1951 vennero alla luce affreschi del 1400. Il campanile medioevale venne abbattuto da un fulmine nel 1954 e al nuovo venne data una caratteristica cupola conica.
La chiesa di San Paolo era di pari antichità della parrocchia e si trovava tra i campi vicino la strada Selvatica che andava a Pavia . E’ nominata in carte del 1318 visita nel 1460 e trovata cadente nel 1576 e successivamente ne fu ordinata la demolizione e i pochi redditi furono uniti alla parrocchiale con l’obbligo di unire al titolo di San Pietro anche quello di San Paolo.

Gli storici sostengono che vicino a Valeggio vi era una stradicciola denominata di San Gaudenzio e da qui si pensa che sia esistita San Gaudenzio di Lomellina. La strada era ricordata da un documento del 1318 e poi non si hanno più notizie. Si pensa che il reliquato storico di questa parrocchia venne unita alla chiesa di Garlasco intorno al 1547.

Il Castello di Valeggio di forma architettonica medioevale-spagnolesca è a pianta trapezioidale con un elevato numero di torri (otto) distribuite lungo il perimetro esterno in modo asimmetrico. In una torre si leggeva un iscrizione del 703 ciò fa presumere esistenza di questa torre già nell’ottavo secolo. La costruzione vera e propria di carattere difensivo risalirebbe al XIII secolo. Secondo alcuni storiografi il castello sarebbe stato costruito dai Sannazzari . Nella facciata settentrionale del castello si trova una torre quadra alta 22 metri alla quale nel XVIII secolo le fu aggiunta una cella campanaria, anch’essa di forma quadrata. Dopo i fasti di Carlo V° e Francesco I°, con il passare dei secoli il Castello passò dal luogo fortificato a residenza rurale. Nel castello fu pure ospitato il famoso Pico della Mirandola grande filosofo di illustre famiglia Modenese. Numerose sono le nobili famiglie proprietarie del castello nei corsi dei secoli tra qui i Visconti, gli Sforza, gli Arcimboldi, i Cardenas, i Busca, i Sormani e i Laugier. Attualmente la proprietà è della Società Castello di Valeggio s.r.l.

L’andamento del suolo è pianeggiante e compreso fra quote variabili da un massimo di m. 93 s.l.m. a di un minimo di m. 91 s.l.m. E’ irrigato da molti corsi d’acqua, come l’Arcimbolda, la Regina, la Biraga, la Selvatica. Questi canali, conservano ancora oggi nelle loro denominazioni la derivazione dall’antiche vicende che hanno interessato il Borgo: il contado degli Arcimboldi del XVI e XVII secolo, la Romana “Via Regia” , il Feudo del Birago del XV secolo.

La sagra del paese che ricorre il 29 giugno con i Santi patroni Pietro e Paolo è denominata del “cucù” per via di un fatto leggendario. Secondo la tradizione, il 29 giugno di un anno imprecisato, i cuculi di Valeggio smisero improvvisamente di cantare poiché non ne era rimasto uno vivo: gli abitanti del paese gli avevano infatti catturati e messi in padella per adornare la tavola della sagra patronale. Da quel giorno è la festa del cucù, perché non canta più.








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ZINASCO

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Zinasco è un comune che si compone di due centri abitati, Zinasco Vecchio e Zinasco Nuovo che, con la frazione Sairano, sono allineati sul bordo del terrazzo della Lomellina, dominante la valle alluvionale del Po, poco a valle della confluenza del Terdoppio.

Zinasco, o meglio l'attuale Zinasco Vecchio, è noto fin dal XII secolo come Cinascum. Nell'ambito del dominio pavese fece parte della Lomellina, e precisamente della squadra (podesteria) di Sommo.

Nel XV secolo compare anche Zinaschino o Zinaschetto, l'attuale Zinasco Nuovo. Dal punto di vista feudale seguì le sorti di Cava Manara e di molti dei comuni della squadra di Sommo, passando dagli Eustachi di Pavia agli Arborio di Gattinara e infine (1650) ai marchesi Olevano di Pavia. Con la Lomellina fu acquisito dai Savoia nel 1713, e per trent'anni rimase un luogo di confine (l'Oltrepò Pavese con cui confinava restava infatti all'Austria). Sotto i Savoia fece parte della provincia di Lomellina. Oltre ai due centri Zinasco Vecchio e Zinasco Nuovo (o Zinaschetto), già nel XVII secolo del comune faceva parte la frazione Sairano (il nome del comune era Zinasco, Zinaschetto e Sairano). Era invece separato il comune di San Nazaro del Bosco (che faceva comunque parte dello stesso feudo, e comprendeva la frazione Bombardone). Questo comune era piuttosto singolare, poiché non era un paese a sé ma solo una parte di Sairano. Dopo l'abolizione del comune, che fu assorbito da Zinasco nel 1818, il toponimo scomparve, essendo appunto il paese indistinguibile da Sairano. Questa strana situazione fu probabilmente determinata dal fatto che, essendo il sito più antico di San Nazaro minacciato o distrutto dal Po, gli abitanti si trasferirono a Sairano, potendosi comunque conservare come comunità separata.

Nel 1866 fu unita a Zinasco la frazione Cascinino, staccata da Dorno.

La Chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate risale all'anno 1757. L'abside è rivolta ad est mentre la facciata è rivolta ad ovest ed è simmetrica: al centro si colloca l'unico ingresso principale costituito da un portale che dà accesso alle 3 navate dell'interno della chiesa. E' possibile distinguere le 3 navate in facciata dalle partizioni verticali in mattoni alternate da rivestimenti esterni in intonaco. I prospetti laterali nella parte centrale delle navate e nella parte absidale non sono rivestiti in intonaco ma con mattoni a vista e si congiungono con la parte absidale anch'essa rivestita esternamente da mattoni pieni a vista. L'abside è costituita da 3 lati che determinano un semi-esagono. Il campanile è di forma quadrata in pianta ed è rivestito esternamente da intonaco e presenta in sommità una cella campanaria e un orologio.

Nella frazione Bombardone si vedono i resti del "Palazzo", villa di signorile fattura, ora adibita a cascina. Il Palazzo, unitamente alla riserva di caccia circostante, viene acquistato nel 1871 dai baroni Weil Weiss, residenti a Torino, ed ospita parecchi esponenti della Casa Reale Sabauda.

Villa Carena, situata nei pressi della chiesa, incorpora nelle sue mura quello che rimane del vecchio castello di Sairano, costruzione del XV secolo. E' difficile stabilire oggi quanto sia sopravvissuto di originale: la villa padronale, ricostruita su preesistenze settecentesche ancora identificabili, mostra evidenti i tentativi di imitazione di canoni e stilemi medievali. Alcuni edifici prospicienti la piazzetta in cui sorge la parrocchiale sono stati ristrutturati, alterando a tal punto il paramento murario e le aperture visibili da non permettere una precisa collocazione temporale, anche se tradizionalmente si ritiene sia proprio questo eterogeneo gruppo di edifici - denominati spesso rocca o rocchetta - la più grande testimonianza dell'antico castello di Sairano.


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TORRE BERETTI E CASTELLARO

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Torre Beretti e Castellaro è un comune situato nella Lomellina sudoccidentale, non lontano dalla riva sinistra del Po. Torre Beretti, sede comunale, si trova nella pianura alluvionale (alluvium antico), mentre Castellaro de' Giorgi è in posizione più elevata, sul bordo del terrazzo della pianura diluviale.

Il comune di Torre Beretti e Castellaro fu creato nel 1928, unendo i due vecchi comuni di Torre Beretti e Castellaro de' Giorgi. Il nome è stato dato grazie a una torre del paese che sembrava nascondere misteri il quale accesso è tuttora segregato.

Torre Beretti (CC L249), noto dapprima solo come Torre, si sviluppò piuttosto tardi rispetto ad altri centri lomellini, e prese il nome attuale dai suoi signori, i Beretta della Torre. Seguendo le sorti di Frascarolo, nel 1441 fu infeudato ai Birago di Milano e nel 1522 al cancelliere imperiale Mercurino Arborio di Gattinara, che era anche feudatario di Sartirana. Seguendo a questo punto le sorti di Sartirana (diversamente dai vicini Castellaro e Cassina de' Bossi), Torre Beretti rimase agli Arborio di Gattinara fino al XVII secolo. All'inizio del XIX secolo fu unito a Torre Beretti il comune di Cassina de' Bossi. Cassina de' Bossi era un abitato del tutto indistinguibile da Torre Beretti, di cui occupava gli isolati occidentali e orientali (mentre Torre Beretti costituiva il centro del paese). Nonostante la contiguità, Cassina de' Bossi ebbe vicende diverse da Torre Beretti, seguendo piuttosto quelle di Castellaro e di Frascarolo. Appartenne dunque feudalmente ai Varesini, e nel 1675 fu venduto ai Canobbio. Fu unito a Torre Beretti nel 1806 e definitivamente nel 1818. Vi trascorse l'estate la Marchesa Colombi nel 1885, durante la composizione dell'opera "Un triste Natale".
Castellaro de' Giorgi (CC C144) appare come Castellarium nell'elenco delle terre soggette a Pavia (1250). Seguì le sorti di Frascarolo, essendo infeudato nel 1441 ai Birago che lo vendono ai Varesini, tornando ai Birago ed essendo poi infeudato a Mercurino Arborio di Gattinara (1522), tornando infine ai Varesini. Questi ultimi (che vendettero Frascarolo ai Bellisomi e Cassina de' Bossi ai Cannobio), nel 1675 vendono anche Castellaro ai Pattigna, feudatari anche nel secolo successivo. Il feudo di Castellaro comprendeva anche il comune di Cassina Comuna, che fu soppresso e unito definitivamente a Castellaro nel 1818. Il comune di Castellaro de' Giorgi fu a sua volta soppresso e unito a Torre Beretti nel 1928.


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SUARDI

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Suardi è un comune situato nella Lomellina meridionale, nella pianura alluvionale presso la riva sinistra del Po.

Fino al 1863 (R.D. 15 marzo 1863, n.1211) il comune di Suardi si chiamò Borgofranco; ancora nel XVIII secolo era un grosso centro, costruito nel medioevo in base a un piano prestabilito: un grande rettangolo, con strade ortogonali, cinto da un fossato, di dimensioni quasi cittadine. Questo centro andò distrutto attorno al 1800 da una rotta del Po; il paese fu ricostruito, con pianta non ordinata, attorno all'antico monastero di Santa Maria delle Grazie, non lontano dalla frazione Santa Maria di Suardi (dal nome di una famiglia bergamasca proprietaria nel luogo), da cui il comune trasse il nuovo nome.

Borgofranco sorse come avamposto di Bassignana a nord del Po: era detto infatti anche Borgo di Bassignana; quest'ultima infatti, pur posta a sud del Po, apparteneva politicamente alla Lomellina (fino al 1713). Di Bassignana seguì prevalentemente le sorti. Nel 1436 fu infeudato a Inigo D'Avalos, ma nel 1456 fu concesso ad Andreotto Del Maino, di Pavia, restando ai suoi discendenti fino alla fine del feudalesimo (1797). Nel 1806 a Borgofranco furono temporaneamente uniti i soppressi comuni di San Martino La Mandria e Abbazia di Acqualunga, che poi furono invece aggregati rispettivamente a Gambarana e a Frascarolo.
E' prevalentemente un centro agricolo che vive di pioppicoltuura, coltivazione di cereali e riso.

La Chiesa Parrocchiale di S.Bartolomeo, al cui interno si può vedere l'Altare maggiore in marmo con tempietto della Parrocchiale di Borgofranco, l'Altare della Madonna delle Grazie con tavola della Madonna, bel lavoro in legno di stile classico del '500, il quadro di S.Anna proveniente dalla Chiesa di S.Maria di Zuardis.

Nei pressi di Suardi, in località Bric di San Martino, sono presenti interessanti rovine si strutture fortificate risalenti, con tutta probabilità, al periodo romano o tardo medioevale.

I ruderi si trovano vicino all'argine, in una zona densamente ricoperta di vegetazione.

Lungo i margini di tale area corrono, parzialmente sotterrati, i resti di una grossa muratura, composta da ciotoli di fiume frammisti a resti di tegole e mattoni romani.

Nei pressi di una delle estremità del recinto, che misura circa 20 metri di diametro, si conserva la base di una torre a pianta irregolare che si eleva, in alcuni suoi lati, di 2,50 metri dal piano di campagna, mentre lo spessore dei muri è di circa 1,60 metri.


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sabato 14 novembre 2015

SOMMO

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Sommo è un comune situato all'estremità orientale della Lomellina, su una specie di stretta penisola formata dal terrazzo della pianura diluviale della Lomellina, che domina la sottostante pianura alluvionale (valle o letto di piena del Po).

Sommo appartenne al Vescovo di Pavia fin dall'849 (donazione da parte dell'imperatore Lotario I). La mensa vescovile di Pavia possedeva anche Pancarana sull'altra sponda del Po, controllando in tal modo uno dei principali punti di passaggio del fiume (di qui passava infatti la principale strada tra Pavia e Voghera - e quindi Genova). Nell'ambito del dominio del comune di Pavia, costituitosi nel XII secolo con l'acquisizione della Lomellina e dell'Oltrepò Pavese, Sommo fu sede di un'importante podesteria o squadra, comprendente molti dei centri circostanti. Probabilmente il vescovo di Pavia mantenne sempre l'alta signoria di Sommo (fino all'abolizione dei feudi nel 1797). Tuttavia la squadra di Sommo fu infeudata nel 1470 ai fratelli Eustachi di Pavia, che cedettero verso la fine del XVI secolo il feudo di Sommo ai Cornazzano (tenendo comunque gli altri luoghi della squadra), da cui ritornò poco dopo sotto il diretto dominio della Mensa vescovile. Nel 1673 il feudo fu acquistato da Pio Ghislieri, che divenne Marchese di Sommo; alla morte dell'omonimo nipote nel 1771 il feudo fu definitivamente incamerato. Amministrativamente Sommo apparteneva alla Lomellina, e con essa fu assegnato ai Savoia nel 1713, restando quindi un luogo di confine fino al 1743, quando i Savoia ottennero anche le terre vicine dell'Oltrepò e del Siccomario. Nell'ambito del dominio sabaudo, continuò a far parte della Lomellina, e con essa nel 1859 fu incluso nella nuova provincia di Pavia. Nel 1818 era stato unito a Sommo il soppresso comune di San Fedele e Travedo.

San Fedele, posto alla base della 'penisola' di Sommo, e Travedo (costituito attualmente dalle due cascine Travedo Vecchio e Travedo Nuovo, nella valle alluvionale a ovest di tale 'penisola'), di origine medievale (Travedo, forse più antico, è citato come Tervedo fin dal 1174), fecero parte della squadra di Sommo, ma non ne seguirono sempre le sorti, avendo piuttosto vicende comuni con la vicina Cava Manara. Infatti gli Eustachi, feudatari della squadra di Sommo dal 1470, li vendettero insieme a Cava ed altri luoghi nel 1650 ai marchesi Olevano. Amministrativamente erano considerati però parte del Siccomario, mentre Cava era in Lomellina: quando la Lomellina, nel 1713, fu ceduta ai Savoia, restando il Siccomario al Ducato di Milano (ceduto all'Austria), questa situazione diede luogo a un lungo contenzioso tra le due potenze a proposito di San Fedele, Travedo, Torre de' Torti (oggi fraz. di Cava) e Campomaggiore (fraz. di Carbonara al Ticino): le quattro terre rimasero fino al 1738 senza padrone e divennero rifugio di malviventi. Appartenenti finalmente ai Savoia dal 1738, costituirono un solo comune (San Fedele con Travedo), fino al 1818, quando furono uniti a Sommo.

La chiesa parrocchiale, ultima dopo i vari spostamenti, è del 1840.
All’estremità settentrionale del paese, all’inizio della penisola che lo contraddistingue, va notata la casa padronale sei-settecentesca dei marchesi Belcredi. Di fonte ad essa, sull’opposto margine della strada provinciale, sorge l’oratorio della Madonna della Neve. Anch’esso dei marchesi Belcredi, venne reso nella forma attuale nel 1831. L’edificio primitivo era stato costruito nel 1673 dalla contessa Francesca Negroni Belcredi e interamente rifatto nel 1731.

La festa dell'Asino nasce nel 1988 per iniziativa della SOMS e prende spunto dalla leggenda che si è tramandata negli anni e che commemora Bricco, l'asino da tiro che non voleva abbandonare il suo padrone. In suo onore nel 1989, è stato eretto un monumento proprio là dove, si dice, sia accaduto il fatto riportato dalla leggenda.La festa si è svolta con grande successo per 13 edizioni proponendo sempre iniziative di grande interesse.
Oggetti che appartenevano alla vita quotidiana degli antenati sono in esposizione a Sommo. Il museo delle Povere cose di povera gente è nato nel 1992 per mano di Angela De Luigi, con l'aiuto della sorella Luisa. Nel museo ci sono circa 5mila oggetti esposti in 110 metri quadrati.



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SEMIANA



Semiana è un comune situato nella Lomellina occidentale, nella pianura alla destra dell'Agogna.
Il toponimo di questa località della Lomellina è di etimologia molto incerta.
Alcuni fanno derivare Semiana da un luogo appartenente alla romana "Gens Salvia, altri forse dal nome proprio latino Similius da cui l'aggettivo Similiamus, altri ancora dall'antica Salvania, fondata dai Salvi, popolazione proveniente dalla Provenza.  

In ogni caso fu abitata in epoca antica, come testimoniato dal ritrovamento di un ripostiglio di oggetti di bronzo rislaenti a ai secoli XII-X A.C. 
Nel 223 i Romani invaserola lomellina, che entrò così a far parte della pertica municipale di Ticinum romana. Dopo la caduta dell’Impero Romano, Semiana seguì la sorte di tutta la Lomellina; fu invasa dai Eruli, dai Franchi, dai Goti e dai Longobardi che, guidati da Alboino, nel 568 arrivarono in Italia, attraverso i valichi alpini. 

Nel 774 Carlo Magno, dopo aver vinto l’ultimo re dei Longobardi, Desiderio, divide l'Italia in comitati ed Semiana venne assegnata al comitato di Lomello. 

L’avvento intorno all’anno 1000 dei Conti Palatini, che erano Conti di Lomello e Conti di Pavia, se da un parte dà lustro ed importanza al territorio, dall’altra ne protrae nel tempo l'ordinamento feudale. 

Semiana fa parte del feudo di Mede a partire dal XII secolo, seguendone le sorti prima sotto i Visconti e dopo sotto gli Sforza sino al 1466, quando sarà assegnata a Pietro Giorgio Sannazzaro. 

Durante il periodo sforzesco, con il rinnovarsi dei centri abitati, l’intero territorio della Lomellina sarà sottoposto ad una intensa attività di valorizzazione agraria, con la costruzione di canali, prosciugamento di paludi, opere queste che continueranno sino ai nostri giorni, facendo di un territorio per sua natura difficile alle colture, uno dei più produttivi d'Italia. 

Nel 1647 subentrarono i Rejna, famiglia di origine spagnola e poi i Pellion di Persano, da cui discese l’ammiraglio che comandò la flotta italiana contro quella austriaca nella sfortunata battaglia di Lissa nel 1866. 

Il Risorgimento trova il territorio in primo piano per i sacrifici e le requisizioni imposti dalle invasioni austriache nella prima e nella seconda guerra di indipendenza. 

Con il trattato di Utrecht del 1713 che pone fine alla guerra di successione spagnola, Semiana viene aggregata al Piemonte. 

Durante il periodo napoleonico è inglobata nella Repubblica Cisalpina (1801), poi nel Regno d’Italia (1805 – 1814) ed all’interno del Dipartimento di Agogna costituirà il distretto di Vigevano, a sua volta diviso nei Cantoni di Vigevano, Mortara, Garlasco e Mede. 

Con il ritorno dei Savoia, nel 1818 si realizza la Provincia di Lomellina, che per la prima volta nella storia unisce l’intera regione sul piano amministrativo. 

Con l’unità d’Italia la Lomellina viene unita alla Lombardia attraverso la formazione della Provincia di Pavia.  
Possiede le caratteristiche dei piccoli centri agricoli della Lomellina che hanno visto diminuire drasticamente la propria popolazione nel corso della seconda metà del secolo scorso.
Ciò nonostante Semiana ha saputo mantenere un minimo di strutture commerciali e di servizi, che consentono comunque di soddisfare agevolmente le necessità quotidiane dei residenti.

L’attività economica principale resta comunque l’attività agricola che si esplica principalmente nella coltivazione del riso, essendo il Comune situato al centro del comprensorio dove trovano sede grandi riserie che contribuiscono a mantenere alto il livello di occupazione.

Le lunghe cortine di fabbricati residenziali edificate ai lati delle principali direttrici costituiscono la principale caratteristica architettonica dell’abitato che ha mantenuto nel tempo il proprio impianto originario. Non pochi sono i fabbricati che presentano caratteristiche di qualità molto superiori alla normale edilizia rurale.

Dal punto di vista monumentale le uniche evidenze sono costituite dalla Chiesa Parrocchiale dei SS: Ippolito e Cassiano, dalla Chiesa della SS. Trinità risalente alla seconda metà del XVIII secolo ora di proprietà privata e dalle vestigia del Castello.
Degno di nota è il monumento ai caduti, situato presso il viale di Via Marconi, opera dell’artista lomellino Annibale Ticinese (nato a Semiana il 28.08.1885 e morto a Semiana il 15.05.1965) che visse ed operò a Semiana ed al quale è stata dedicata la piazza principale del paese di recente realizzazione.


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SCALDASOLE



Scaldasole è un comune situato nella Lomellina meridionale, nella pianura tra il Terdoppio e l'Erbognone (affluente dell'Agogna).

Il paese è noto per il suo imponente castello medioevale, una delle più importanti architetture fortificate della Lombardia.

Il toponimo Scaldasole, che si trova anche in altri luoghi in Lombardia, deriva probabilmente dalla voce longobarda sculdascio indicante un giudice locale: se è corretta questa ipotesi, Scaldasole doveva essere già un centro di qualche importanza in epoca longobarda (secoli VI - VIII). La prima citazione risale al X secolo; appartenne alla Contea di Lomello, dipendente dai Conti Palatini. Nel 1250 è incluso nell'elenco delle terre del dominio pavese, nell'ambito della Lomellina. Nel XIV secolo il paese era sotto la signoria dei Campeggi di Pavia, che nel 1334 lo subinfeudarono ai Folperti, anch'essi di Pavia. Il feudo rimarrà in seguito ai Folperti, salvo alcuni anni (1436-1451) in cui ne sono investiti gli Avalos. Nel 1456 però Stefano Folperti lo vendette a Francesco III Pico della Mirandola, che risiedette nel castello e vi morì nel 1461.

Gli sopravvisse la figlia Taddea, Signora di Scaldasole, sposa di Giacomo I Malaspina di Fosdinovo, marchese sovrano di Fosdinovo e Signore di Massa. Ciò diede l'occasione per il potente Malaspina di acquistare anche il vicino vasto feudo di Sannazzaro de' Burgondi, di cui avrà in seguito la signoria una linea dei Malaspina che ne prenderà il nome. Invece Scaldasole, primo feudo malaspiniano in Lomellina, sarà ceduto nel 1577 da Giulio Cesare Malaspina, discendente di Giacomo I, al conte Rinaldo Tettoni, che lo rivendette nel 1582 al cardinal Tolomeo Gallio, nella cui famiglia (Gallio duchi di Alvito, con titolo di Marchesi dal 1613) rimase fino all'abolizione dei feudi (1797).

Scaldasole, con tutta la Lomellina, nel 1713 fu incluso nei domini di casa Savoia, e nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia.

Il castello di Scaldasole comprende oltre al castello vero e proprio anche un ricetto secondo uno stile architettonico raro in Lombardia ma molto comune in Piemonte.

Ha origini antichissime si stima sia stato costruito verso la fine del X secolo. Fu presto utilizzato come dimora signorile e vennero presto integrati nel  complesso un portico ed una loggia. Il complesso comprende sette torri medioevali, diverse volte e camini rinascimentali, alcune sale ottocentesche, la cappella e il giardino dove si conservano ancora due enormi magnolie.

Degne di nota sono la quattrocentesca Camera Longa adibita fino all'inizio del XIX secolo all'amministrazione del feudatario e alle riunioni del Consiglio della Comunità locale, la sala da ballo in stile Luigi Filippo affrescata nel 1846 dal Maggi, allievo dell'Appiani. Inoltre all'interno del ricetto si possono inoltre ammirare delle carrozze del XIX secolo, splendidamente conservate, un'armatura medievale ed una raccolta di armi d'epoca.

Una sala del castello è riservata alla raccolta archeologica Antonio Strada (1904-1968), ispettore onorario alle antichità e ai beni librari per la Lomellina, comprendente reperti di varia tipologia ed epoca, dall'età neolitica al periodo longobardo.

Il castello fu costruito alla fine del X secolo. Nel 1404 Ardengo Folperti, alto funzionario visconteo, appartenente ad una nobile famiglia pavese, fece realizzare il ricetto dagli architetti Milanino de Saltariis, Bernardo e Martino de Soncino, per utilizzarlo come rifugio popolare, mentre il castello fungeva da dimora signorile. Nella seconda metà del secolo i marchesi Malaspina divennero nuovi feudatari di Scaldasole e lo arricchirono di un portico ed una loggia.

Nella sua lunga storia il castello di Scaldasole ha prestato la sua ospitalità a importanti personalità come nel 1491 Isabella d'Aragona, figlia di Alfonso duca di Calabria e promessa sposa di Gian Galeazzo Sforza, nel 1497 l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo e nel 1533 Carlo V d'Asburgo; nel XIX secolo anche il ministro Camillo Benso conte di Cavour.

La proprietà del castello passò dai marchesi Sannazzaro ai nobili Campeggi e, nel XIV secolo, ai Folperti. Nel 1436 fu da Filippo Maria Visconti  ceduto a messer Jñigo d'Avalos conte di Ribaldeo e nel 1444 a Giovanni Pietro da Sesto. Nel 1451 ritornò ai Folperti per poi pervenire poco dopo a Francesco Pico della Mirandola conte di Concordia e nel 1461, per atto di successione, a suo genero Giacomo Malaspina marchese di Fosdinovo. Nel 1577 divenne proprietà del conte Rinaldo Tettoni, il quale la vendette al cardinale Tolomeo Gallio di Como nel 1582. Gli eredi, i Gallio Trivulzio duchi d'Alvito, alienarono le proprietà locali al loro livellario Carlo Brielli nel 1799 che, tre anni dopo, le diede in investitura perpetua al nobile Giovanni Antonio Strada.


Nei registri delle rationes decimarum del 1322-1323 redatti per la diocesi pavese è annoverata la chiesa di San Giuliano di Scaldasole (Chiappa Mauri 1972), che venne istituita nel XVI secolo come parrocchia; sia il Pianzola che il Bergamo sostengono fosse un'antica cappellania, di patronato nobiliare, sotto il titolo di San Giuliano martire con rettore dipendente da Dorno (Bergamo 1995).

Secondo quanto riportato dal Pianzola, nel XVI secolo apparteneva al vicariato di Galliavola; e nel XVIII secolo a quello di Dorno (Pianzola 1917).

Con la bolla 17 agosto 1817 di Pio VII "Beati Petri apostoli principis" (bolla 17 agosto 1817) e con il breve 26 settembre 1817 "Cum per nostras litteras" (breve 26 settembre 1817), sempre di Pio VII, venne aggregata alla diocesi di Vigevano (Diocesi di Vigevano 1987); rimase inserita nel vicariato di Dorno (circolare Toppia 1819), mentre nel sinodo del vescovo di Vigevano monsignor Giovanni Toppia del 1823 è attestata appartenere al vicariato di Sannazzaro (Sinodo Toppia 1823).
Dagli atti della visita pastorale del 1845 del vescovo di Vigevano monsignor Vincenzo Forzani, si desume che la popolazione della parrocchia di San Giuliano martire, di patronato del principe di Colobrano duca d'Alvito di Napoli e dei marchesi Malaspina, era composta da 212 famiglie per un totale di 1.101 persone. I redditi della parrocchia assommavano a 90 lire piemontesi, date dalla comunità a titolo di rimborso spese; il reddito del beneficio parrocchiale era composto da 2.850 lire piemontesi. Nel territorio parrocchiale esisteva la chiesa dei Santi Rocco e Bernardino, la cappella di Santa Lucia presso il cimitero, e quella privata della famiglia Strada presso il castello. Nella chiesa dei Santi Rocco e Bernardino aveva sede l'omonima confraternita (Visita Forzani 1845).

Nel 1924, la parrocchia di Scaldasole fu elevata a prepositura con decreto del vescovo di Vigevano monsignor Angelo Scapardini (Rivista diocesana vigevanese 1924).

Nel 1971, la parrocchia di Scaldasole venne assegnata alla zona pastorale est, con decreto 6 gennaio 1971 del vescovo di Vigevano monsignor Luigi Barbero (decreto 6 gennaio 1971) (Rivista diocesana vigevanese 1971); dal 1972 vicariato di Sannazzaro, con decreto 1 gennaio 1972 del vescovo di Vigevano monsignor Mario Rossi (decreto 1 gennaio 1972) (Rivista diocesana vigevanese 1972).


Il Bosco Scaldasole occupa un dosso sabbioso ed è una delle pochissime zone forestali residue della Lomellina. Occupa una superficie di 73 ettari circa.
Questa riserva naturale deve la sua importanza alla compresenza di due fattori; costituisce, infatti, una delle pochissime zone forestali residue della Lomellina, e inoltre il bosco occupa un dosso sabbioso.
Nella fascia di rispetto si trovano prevalentemente seminativi, come, il mais, il frumento e l'erba medica, mentre il bosco è occupato in parte da giovani robinie affiancate da specie arbustive, quali il rovo, il sambuco, il nocciolo e il biancospino.
Interessante è la presenza della farnia con esemplari di 20 metri di altezza, la cui esistenza è però minacciata dall'attacco di parassiti che sono un segnale del grave stato di compromissione del bosco.
In generale la limitatezza che qui si riscontra nelle specie vegetative, riflette la povertà floristica tipica dei boschi xerofili su dosso e influenza negativamente anche la presenza faunistica, soprattutto dei volatili.
Nonostante tutto nel Boschetto trovano fissa dimora i colombacci, la tortora, l'usignolo di fiume, la capinera, le cince, oltre alle specie più comuni come i fagiani, gli storni e le cornacchie grigie.
Unico rapace è l'allocco, mentre tra i picchi si trova soltanto il picchio rosso maggiore. Infine sono presenti numerosi conigli selvatici, specie tipica di questi ambienti sabbiosi dove possono costruire le loro tane sotterranee.




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