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venerdì 20 maggio 2016

LA VALLE DEL VO'

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La Valle del Vò è una diramazione occidentale della Val di Scalve che inizia nella frazione di Ronco nel comune di Schilpario, in provincia di Bergamo, nelle Prealpi Orobie.

La valle è percorsa dal torrente Vò, dal quale ne prende il nome.

La coronano il Monte Bognaviso (2287 m), il Pizzo Tornello (2687 m) ed il Monte Demignone (2586 m), montagne verdi che tuttora mantengono una natura incontaminata, e termina al Passo del Vo.

È percorsa da un'antica mulattiera, utilizzata per raggiungere un forno di fusione del minerale (del quale ne rimane traccia). La Val di Scalve, per secoli, sviluppò il lavoro in miniera che diede ferro già ai tempi dei Romani.

Ancora oggi i resti delle Baite del Brusa sono la testimoniare di un villaggio abitato in passato dai minatori.

La mulattiera che la percorre, è il tratto finale della Via dei contrabbandieri, che da Ponte Frera (1373 m) conduceva a Ronco di Schilpario, riedificata dalle donne scalvine in tempo di guerra.

La vegetazione alterna boschi di abete rosso, pino mugo, ontani e noccioli. La fauna è ricca di camosci.

Risalendo la mulattiera si incrociano: la Baita del Venano di sotto (1542 m), la Baita del Venano di mezzo (1679 m) e la Baita di Venano di sopra (1859 m) dislocate nell'alpeggio dal quale prendono il nome, mentre il Rifugio Nani Tagliaferri (2328 m) è situato nell'estremità settentrionale della valle.

Di interesse è la cascata del Vò che, durante il periodo invernale, ghiacciando diventa palestra meta apprezzata per gli arrampicatori.
Un tuffo di 25 metri del torrente Vò che si butta nel fiume Dezzo.






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giovedì 28 gennaio 2016

IL GHIACCIAIO DEI FORNI



Il ghiacciaio dei Forni è il più grande ghiacciaio vallivo italiano, cioè un ghiacciaio la cui lingua fluisce nella valle principale. Il ghiacciaio dei Forni è localizzato nel gruppo Ortles-Cevedale in alta Valtellina all'interno del settore lombardo del Parco nazionale dello Stelvio.

Le principali vette della zona dove insiste il ghiacciaio dei Forni sono anche chiamate le tredici cime e la loro ascensione concatenata, che richiede generalmente da due a più giorni di percorrenza, costituisce un noto richiamo per alpinisti allenati. Le principali cime da concatenare sono: monte Cevedale, monte Rosole, Palon de la Mare, monte Vioz, punta Taviela, cime di Peio, rocca Santa Caterina, punta Cadini, monte Giumella, monte San Matteo, punta Dosegù, punta Pedranzini, pizzo Tresero. Per la geologia del sito, sono predominanti le rocce metamorfiche: micascisti ricchi in quarzo, muscovite, clorite e albite (formazione delle "filladi di Bormio").

Il ghiacciaio attualmente si estende per poco più di 11 km². Negli ultimi 150 anni la superficie glaciale si è ridotta intensamente e la lingua è arretrata di circa 2 km. Lo spessore del ghiacciaio si è ridotto sulla lingua di ben 70 m nel periodo 1929-1998. La quantificazione della riduzione glaciale è possibile grazie al fatto che il ghiacciaio dei Forni è uno dei ghiacciai italiani monitorati da più lungo tempo (da fine '800) a cura dei volontari del Comitato glaciologico italiano, l'ente che da oltre 100 anni rileva le variazioni di lunghezza e superficie dei principali ghiacciai italiani.

Il Ghiacciaio dei Forni fa da cornice alla omonima valle dei Forni, che prende il via a pochi km dal centro di Santa Caterina di Valfurva. Le famose "tredici cime" fanno da contorno al ghiacciaio che incombe sulla valle.

Il sentiero di fondo valle, partenza ideale anche per passeggiate in quota, è percorribile sia a piedi che in mountainbike.

La valle è in gran parte attraversata dal Torrente Frodolfo, che proprio dal ghiacciaio prende il via, ed è caratterizzata da vasti boschi e pascoli d’alta quota. Nella valle numerose sono le specie di animali selvatici presenti e che i visitatori potranno osservare, a partire dalle tante marmotte coi loro caratteristici fischi di richiamo o dai rapaci che volteggiano nel cielo.

LEGGI ANCHE: http://asiamicky.blogspot.it/2015/12/la-valtellina.html




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giovedì 17 dicembre 2015

MADESIMO

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Madesimo  è un comune comprendente le frazioni di Madesimo, Pianazzo, Isola e Montespluga.

Sito a 1.550 m s.l.m. è il comune italiano più lontano dal mare (dista circa 294 chilometri dal mar Ligure). Fa parte della Comunità Montana della Valchiavenna. È una località famosa per la pratica degli sport invernali, con oltre 60 km di piste, numerosi circuiti di fondo, per escursioni in motoslitta e snow kite.

Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, il poeta Giosuè Carducci vi villeggiò per numerose stagioni. La frazione di Motta pur essendo più vicina al comune di Madesimo fa parte invece del comune di Campodolcino.

La sede del comune è ospitata dalla frazione Pianazzo.

Il territorio comunale è attraversato dal tratto finale della strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga, che conduce da Milano al confine elvetico al passo dello Spluga.

Il capoluogo è raggiunto dalla strada provinciale 1, che si dirama dalla statale nei pressi di Pianazzo; fino al 2001 tale diramazione era classificata come SS 36 dir.

Nel comprensorio sciistico di Madesimo (tra le località alpine più nevose) si sono svolte gare della Coppa Europa. In particolare sulla pista di Motta, nel comune di Campodolcino, sono stati disputati gli slalom speciali, mentre sulla Montalto, presso l'abitato di Madesimo, si sono tenuti i giganti.

Il 22 febbraio 1953 durante la gara internazionale di discesa libera Trofeo Fiocchi-Coppa città di Lecco, Ilio Colli morì per un'uscita di pista.

Campodolcino e Madesimo hanno ospitato i Campionati del mondo di corsa in montagna nel 2009.

Nella località di Pianazzo si può visitare la bella cascata del torrente Scaloggia. Da non perdere inoltre la chiesa parrocchiale dei SS. Martino e Giorgio di Isola. Notizie di questa chiesa si hanno già dal XV sec. Venne ristrutturata nel 1522 e consacrata più tardi dal vescovo di Lodi, Francesco Landino. Dal 1886 è diventata ufficialmente la parrocchia di Madesimo. Consigliamo inoltre le escursioni verso la cima di "Pizzo Casa" a circa 2.500 mt. di altezza e nei vicini laghi, tutti molto suggestivi.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/12/la-valle-spluga.html





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mercoledì 16 dicembre 2015

MONTESPLUGA



Montespluga è un villaggio alpino, frazione del comune di Madesimo, situato presso l'origine della valle Spluga.

È situato a 1908 metri, lungo la strada che sale da Chiavenna verso il Passo dello Spluga, dal quale dista solo 3 km. Dal momento dell'apertura della galleria del San Bernardino, a ovest, il passo non è più tenuto aperto d'inverno, ed il villaggio, costituito da tre strade principali (Via Dogana, Via Ferrè e Via Val Loga), può ritrovarsi tagliato fuori sia dall'Italia che dalla Svizzera.

Nel piccolo abitato di Montespluga, dove, nonostante i 1900 metri sul livello del mare, avvertiamo il primo alito dell’Italia e del Sud, l’unico ospizio e l’unica chiesa (la capella di San Francesco d’Assisi, sostituita nel 1825 da una nuova costruzione) della località si trovavano fino al 1841 al Passo dello Spluga. Oggi Montespluga, grazie alle sue strutture ricettive e ai locali di ristoro, è, sia in estate che in inverno, una piccola e accogliente località turistica dall’atmosfera inconfondibile.

Ha conservato la propria originale fisionomia con le poche case attorno alla strada e all'antico edificio della dogana detto La Casa, occupa la piana alla confluenza della Valle Spluga con la Val Loga, ricca di acque e di pascoli, al cospetto delle vette di confine della zona e, dagli anni '30 del Ventesimo secolo, riva settentrionale dell'omonimo bacino artificiale.

È punto di partenza per numerose mete escursionistiche, alpinistiche e scialpinistiche sui monti d'intorno, e posto di transito lungo il tracciato transfrontaliero della Via Spluga.

Negli anni '80 conobbe un tentativo di sviluppo turistico invernale con la costruzione di due impianti di risalita, che ben presto fallì anche per la prossimità di un centro già celebre e sviluppato come Madesimo, tuttavia così recuperando la propria originale peculiarità alpina.

Il Lago di Montespluga è chiuso a sud da due dighe, si appoggia verso est al Monte Cardine (m. 2467) che separa la Val Loga dalla Val Schisarolo, mentre a ovest gli fanno da corona varie cime quali:
Pizzo d'Emet (m. 3209), Spadolazzo (m. 2720), Ursaregls (m. 2835) e Pizzo Suretta (m. 3027).



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martedì 15 dicembre 2015

LA VALLE SPLUGA



La valle Spluga o val San Giacomo è una valle alpina della provincia di Sondrio. Può essere considerata una continuazione della Valchiavenna in quanto inizia proprio a Chiavenna, per poi concludersi, dopo circa 30 km, con il passo dello Spluga.

Si tratta di una valle di origine glaciale ed è attraversata dal torrente Liro, affluente, più a valle, del Mera. Dal punto di vista orografico separa le Alpi Occidentali dalle Alpi Orientali e, più in particolare, le Alpi Lepontine ad ovest e le Alpi Retiche occidentali ad est.

La valle è composta da soli tre comuni: San Giacomo Filippo, Campodolcino e Madesimo.

La Val San Giacomo dall'inizio del Duecento fino al 1815 era un comune unico diviso in tre terzieri:
terziere di dentro di Isola con i quartieri di Isola, Madesimo, Pianazzo e le squadre di Teggiate e Rasdeglia;
terziere di mezzo di Campodolcino, con i quartieri di Campodolcino, Fraciscio, Starleggia, Vhò e Portarezza;
terziere di fuori di San Giacomo, con i quartieri di San Giacomo (con le squadre di San Giacomo, Mescolana, Dalò, La Motta) Monti di San Bernardo, Monti di Olmo e Sommarovina (squadre di Olmo, Sommarovina, Albareda, Costa), Lirone (squadre di Lirone, Cimaganda o Somganda, Gallivaggio o Gallivascio, Avero).
La suddivisione in terzieri viene ripresa nella bandiera della Val San Giacomo divisa in tre fasce orizzontali, ognuna delle quali è a sua volta divisa in quattro strisce di colore nero, verde, rosso e giallo che simboleggiano i quartieri di ogni terziere. Al centro compare uno scudetto rettangolare con l'immagine di San Giacomo, con la scritta “Vallis San Jacobi” (la bandiera originale è conservata presso la chiesa di San Giacomo Filippo).

Il Pizzo Tambò ha termine in corrispondenza del Passo dello Spluga, determinando il confine tra l'Italia e la Svizzera (Canton Grigioni).

Il Piz Timun dal versante italiano si trova al fondo della valle Spluga; dal versante svizzero nell'alta Val Ferrera.

Il Pizzo Stella (3.163 m s.l.m.) si trova sullo spartiacque tra la valle Spluga e la val di Lei, nella provincia di Sondrio (Lombardia), sul confine tra i comuni di Campodolcino, San Giacomo Filippo e Piuro. Dal versante orientale nasce il Reno di Lei.

Il Pizzo dei Piani (3.158 m s.l.m.) è collocato nella Catena Mesolcina tra l'italiana Valle Spluga e la svizzera Val Curciusa poco a sud del Pizzo Ferrè.

Il Pizzo Ferrè (3.103 m s.l.m.) è collocato nella Catena Mesolcina tra l'italiana Valle Spluga (nelle sue vallate laterali Val Loga e Val Schisarolo) e la svizzera Val Curciusa. Si può salire sulla vetta partendo da Montespluga e passando per il Bivacco Cecchini (2.773 m s.l.m.).

Il Pizzo Suretta (3.027 m s.l.m.) è collocato subito ad est del passo dello Spluga.

Il Pizzo Quadro (3.015 m s.l.m.) dal versante svizzero la montagna domina la val Mesolcina; dal versante italiano si affaccia sulla Valchiavenna.

L’Ecomuseo ValleSpluga è stato istituito il 25 marzo 2011 dal Consorzio Corti e Acero, riconosciuto dalla Regione Lombardia nel 2014.  La sede è nel Museo della Via Spluga e della Val San Giacomo (MUVIS)  di Campodolcino.
Comprende tutta la Valle Spluga sino al Passo omonimo. si occupa dei temi della cultura alpina con  le sue proiezioni storiche e sociali. L’Ecomuseo vuole: conservare le abitudini di vita e di lavoro della popolazione locale, rivisitare le tradizioni culturali, per poi riproporle in chiave  moderna , nel rispetto della cultura del territorio e con il fine di accompagnare uno sviluppo sostenibile e condiviso in valle.

Il passo dello Spluga situato a 2.114 m s.l.m., è uno dei più importanti valichi dell’arco alpino, conosciuto fin dall’antichità per il suo agevole transito. Nelle sue vicinanze si trova il punto d'Italia più lontano dal mare in linea d'aria, circa 240 km.
Posto sul confine italo-svizzero, mette in comunicazione l'alta valle Spluga con la valle del Reno superiore (Rheinwald). La sua importanza non è solo storica e logistica ma anche geologica, in quanto divide la falda Tambò a ovest con la falda Suretta a est. Tradizionalmente divide le Alpi Lepontine dalle Alpi Retiche e, secondo la tradizionale bipartizione delle Alpi in uso negli altri Paesi della catena alpina, ripresa dalla classificazione SOIUSA, divide le Alpi Occidentali dalle Alpi Orientali. Il suo tracciato è caratterizzato da un elevato numero di tornanti: 72 tra Chiavenna e Splügen, le località poste sui due versanti dove inizia e termina la salita.

Il toponimo "Spluga", diffuso in molte parti dell'arco alpino, farebbe riferimento al termine latino "spelunca" ovvero grotta, a segnalare la presenza di caverne probabilmente abitate da fauna selvatica, in particolare orsi.

I ritrovamenti presso il vicino Pian dei Cavalli di insediamenti preistorici dell'età della pietra, potrebbero far supporre un uso del passo ben antecedente a quello che i Romani misero in atto: con essi lo Spluga assunse notevole importanza commerciale e strategica, grazie anche alla costruzione di un tracciato lastricato che ne agevolasse il transito, detto appunto "Via Spluga", che oggi è stato in parte restaurato e reso percorribile, e che in pratica venne utilizzato fino all'apertura della strada carrozzabile ad opera degli Austriaci, nel 1821, ancora oggi seguita nel percorso dal moderno tracciato automobilistico.

L'agevole transito di cui ha sempre potuto godere il valico ne ha sempre determinato l'importanza politica, e la volontà dei diversi dominanti della zona di ottenerne il totale controllo: dopo i vescovi di Coira, di Como e il Ducato di Milano, riuscirono nell'intento i Grigioni, tra il '500 e il '700, periodo nel quale il valico conobbe un aumento del traffico in transito anche grazie al miglioramento dello stesso, con l'apertura di più agevoli varianti al vecchio tracciato e dunque un collegamento veloce tra le due importanti città di Chiavenna e Coira oltreché, come nel passato, tra la pianura padana e l'oltralpe germanico.

Successivamente, fu l'impero napoleonico ad entrare in possesso del passo: di questo periodo (dicembre 1800) è la drammatica traversata del valico delle truppe francesi in discesa verso l'Italia, comandate dal generale Étienne Jacques Joseph Alexandre Macdonald. Con i già citati austriaci il passo dello Spluga raggiunse probabilmente l'apice della propria importanza commerciale ma, paradossalmente, anche la rapida decadenza: crebbero d'importanza il vicino passo del San Bernardino e il passo del San Gottardo, questo soprattutto con l'apertura del traforo ferroviario e il primo, in tempi più recenti, con l'autostrada e il traforo stradale.

Tuttavia oggi il passo (chiuso generalmente dai primi di novembre ai primi di maggio) risulta sempre molto frequentato e trafficato, rappresentando una interessante tappa turistica per chi scende in Italia o ritorna verso il nord-Europa nonché, più praticamente, un'alternativa al passaggio dai sempre affollati valichi doganali tra Como e Chiasso.

Il passo dello Spluga è assai frequentato, nella bella stagione, soprattutto dai turisti vacanzieri che vi transitano provenendo dai cantoni della Svizzera tedesca, dalla Germania e in genere dal Nord Europa per scendere in Italia. Il suo paesaggio d’alta quota, la vicinanza di imponenti vette, la presenza sul versante italiano del pittoresco villaggio di Montespluga e del bel bacino artificiale omonimo fanno della zona del passo una apprezzata tappa lungo il viaggio.

Molto sviluppata è la rete sentieristica verso le vette e le mete alpinistiche attorno al passo, dal quale ha inizio la via normale di salita verso il pizzo Tambò, una delle cime più frequentate delle Alpi Lepontine; da ricordare è la Via Spluga, percorso escursionistico transfrontaliero nato con la collaborazione di diverse entità italiane e svizzere per la riscoperta storica e la valorizzazione turistica dell’antico tracciato del valico. Ugualmente da citare è la notevole frequentazione scialpinistica della zona, con numerosi itinerari di ogni difficoltà, agevolata dalla presenza spesso abbondante di neve e dalla sua permanenza fino a primavera inoltrata. I centri più prossimi al passo e maggiormente sviluppati turisticamente sono Madesimo, sul lato italiano, e Splügen su quello svizzero, entrambe località di villeggiatura estiva e attrezzate stazioni di sport invernali.

Posto quasi esattamente al centro dell'arco alpino, il Passo dello Spluga (2115 m) ha svolto un ruolo centrale nella storia degli spostamenti e dei traffici tra i due versanti delle Alpi, anche perché si trova sulla linea di collegamento più diretta tra la Germania meridionale e l'Italia del Nord.

La presenza umana nella zona del passo è attestata già in epoca preistorica: gli scavi archeologici in corso dal 1986 al Pian dei Cavalli (in Val San Giacomo) hanno dimostrato che già 10.000 anni fa, nella stagione estiva, salivano quassù (oltre i 2000 metri di quota) cacciatori nomadi in cerca delle loro prede: cervi, camosci, marmotte. Si potrebbe ipotizzare che essi si recassero anche a Nord del passo, ma le tracce di questo possibile passaggio non sono state ancora trovate.

Il transito attraverso lo Spluga diviene un fatto storicamente certo in epoca romana. Al tempo dell'imperatore Augusto, tra il 16 e il 7 avanti Cristo, i Romani conquistarono la Rezia, aprendosi la strada per l'invasione della  Germania meridionale. Lo Spluga diventava così (insieme ai vicini passi del San Bernardino e del Settimo) un importante punto di passaggio verso le regioni appena conquistate. Da Como, percorrendo la sponda occidentale del Lario lungo la Strada Regina, si raggiungeva Chiavenna. Lungo la Val San Giacomo saliva una strada carreggiabile che, probabilmente, arrivava fino a dove oggi si trova l'abitato di Campodolcino; da qui le merci dovevano essere trasportate su bestie da soma o su piccoli carri. Per raggiungere il Passo dello Spluga erano forse già allora possibili due itinerari: quello che passava lungo il fondovalle e quello che si teneva più a monte, sulla sinistra idrografica della valle, percorrendo la dorsale degli Andossi. Valicato il passo, il tracciato scendeva a raggiungere la valle del Reno Posteriore che seguiva fino Coira (capitale della Rezia) attraverso il difficile passaggio della Viamala.

Dopo la caduta dell'Impero romano e la fase di crisi che caratterizzò il primo Medioevo, il Passo dello Spluga (come il non lontano San Bernardino) ritrovò la sua importanza con la ripresa dei traffici commerciali e la via che lo attraversava venne costantemente migliorata. Nel 1473 fu sistemato il percorso che attraversava la profonda forra della Viamala e nel 1643 fu realizzata la nuova strada delle Gole del Cardinello (abbandonata solo nel XIX secolo). Il traffico si fece intenso e variegata la tipologia delle merci: cereali, riso, sale, latticini, vino, pelli, cuoio, tessuti, argenteria, armi, armature, spezie).

In questo contesto divenne fondamentale l'organizzazione dei Porti, termine con cui si definiscono le corporazioni di contadini-someggiatori che, a partire dal XIV secolo, detenevano il monopolio dei trasporti e badavano alla manutenzione della strada e dei ponti. Ogni porto aveva il suo tratto di competenza e prendeva le merci in consegna portandole da sosta a sosta (le soste erano  magazzini dove le merci sostavano per la notte). Il sistema era forse un po' complesso (da Coira a Chiavenna le merci venivano trasbordate cinque volte), ma costituiva la principale fonte di reddito per gli abitanti delle vallate percorse dalla strada.

Questo sistema fu messo in crisi solamente nel XIX secolo, quando vennero costruite le moderne carrozzabili del San Bernardino e dello Spluga (1818-1823). La strada del San Bernardino fu realizzata a spese del Cantone dei Grigioni e del Regno di Sardegna; quella dello Spluga fu finanziata anche sul tratto svizzero dal Regno Lombardo-Veneto (che faceva parte dell'Impero asburgico) in quanto gli austriaci temevano che il passo perdesse il suo ruolo nei traffici commerciali. Il progetto dell'ingegner Carlo Donegani (1775-1845) introduceva alcune importanti novità: sul versante svizzero si teneva sulla destra idrografica della valle che scende a Splügen, sul versante italiano abbandonava definitivamente le Gole del Cardinello, scegliendo un percorso più comodo. Dopo Campodolcino la strada si teneva sul fondovalle per poi salire a Pianazzo e raggiungere Montespluga percorrendo il fianco occidentale degli Andossi. Nel 1834 una devastante alluvione distrusse il tratto sul fondovalle costringendo l'ingegner Donegani a rivedere il tracciato della strada, che fu arditamente progettato lungo il ripido sperone roccioso del Sengio, sotto Pianazzo. La nuova strada, ancora oggi percorribile in auto, fu aperta al traffico nel 1838.

La costruzione della carrozzabile diede inizio a un'impetuosa crescita del traffico commerciale attraverso lo Spluga; aumentò via via il numero dei carri e delle carrozze che valicavano il passo trasportando merci e persone. Di questa nuova situazione trassero profitto soprattutto gli spedizionieri di Coira e di Chiavenna, mentre i someggiatori organizzati nei Porti videro inesorabilmente diventare superfluo il loro modo di lavorare e la loro attività, dopo quasi cinquecento anni, finì per scomparire. Ma di lì a qualche decennio anche l'importanza commerciale della strada dello Spluga sarebbe crollata: l'apertura delle ferrovie alpine, con le gallerie del Brennero (1867), del Moncenisio (1872) e del Gottardo (1882), provocò la quasi totale scomparsa dei traffici sullo Spluga che, dopo la Seconda guerra mondiale, cesserà anche  di essere mantenuto aperto durante la stagione invernale.
 
Lo Spluga non fu importante solo dal punto di vista commerciale; migliaia di persone hanno valicato il passo affascinate dalla bellezza degli ambienti attraversati dal lungo itinerario tra Svizzera e Italia. Tra loro ci sono personaggi famosi: Erasmo da Rotterdam (1509), Johann Wolfgang Goethe (1788), William Turner (1843), Hans Christian Andersen (1852 e 1873), Robert Browning (1878), Friedrich Nietzsche (1872), Michail Bakunin (1874), Jacob Burckhardt (1878), Henry James, Giosuè Carducci (che tra il 1888 e il 1905 trascorse l’estate a Madesimo), Albert Einstein (1901) e molti altri.
   
L’attrazione turistica del passo e della strada che lo valica non è certo terminata con la fine dei traffici commerciali, ma l’idea di creare un itinerario escursionistico-storico-culturale (la Via Spluga, appunto) che seguisse l’antico itinerario di attraversamento del valico è piuttosto recente. E’ nata nel corso degli incontri tra la Regioviamala (CH) e la Comunità Montana della Valchiavenna (IT), iniziati nel 1995 nell’ambito del progetto europeo Interreg II. Questa collaborazione ha portato a elaborare progetti di sviluppo economico e culturale: tra questi c’è anche la Via Spluga che, unendo Thusis e Chiavenna, attraversa le valli del Reno Posteriore (Schams, Avers e Rheinwald) e la Val San Giacomo (o Valle Spluga). La realizzazione del progetto si è avvalsa degli studi dell’IVS (Inventario delle vie di comunicazione storiche della Svizzera), istituito nel 1984 dal governo elvetico per fornire ai cantoni e ai comuni uno strumento di pianificazione territoriale che consentisse di tutelare le vie di comunicazione storiche e gli elementi che le accompagnano (ponti, pietre miliari, cappelle, crocifissi, osterie, ecc.). Dopo alcuni anni di lavoro per sistemare sentieri e stradine e per collocare la segnaletica verticale e orizzontale, la Via Spluga è diventata una realtà nel luglio 2001. Il lavoro sul terreno è stato accompagnato dalla pubblicazione di una guida escursionistica ricca anche di informazioni storiche e culturali e di una bella cartina (1:50.000) che si basa sulle notoriamente precise carte nazionali svizzere.

La Via Spluga ha una lunghezza complessiva di circa 65 km; o meglio, se si vuole essere più precisi, di 62 km se si segue il percorso “classico” e di 65 km se, nel tratto fra Zillis e Thusis, si percorre la variante della Veia Traversina. Il tratto che supera la Gola del Cardinello, pur svolgendosi su un tracciato piuttosto largo, richiede attenzione per via dell’esposizione, specie se il terreno è umido o scivoloso. Un discorso simile vale anche per la variante della Veia (Via) Traversina, lungo la quale si trovano diversi tratti su terreno abbastanza ripido. Per il resto, nella relazione ho evidenziato gli eventuali brevi passaggi che richiedono attenzione (tutti comunque protetti o attrezzati con catena corrimano).



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mercoledì 18 novembre 2015

VALLE LOMELLINA

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Valle Lomellina è un comune situato nella Lomellina centrale ed è ricco di attività agricole ed industriali.

Il primo nucleo che dà origine al comune di Valle Lomellina risale al periodo pre-romano; l'area era infatti occupata da piccoli villaggi risalenti all'età del bronzo. Con l'invasione gallica del IV secolo a.C. gli insediamenti in Lomellina aumentano, favoriti dalla ricchezza d'acqua della zona. L'arrivo dei Romani portò alla costruzione di una strada che partendo da Ticinum (Pavia) raggiungeva le Gallie attraversando la Lomellina e il centro vallese. In quel periodo vennero altresì costruite molte ville che portarono alla bonifica di terre per uso agricolo e che costituirono il primo tassello della futura economia agricola del paese. La caduta dell'Impero Romano e l'arrivo dei barbari creò un periodò di instabilità economica e sociale che terminerà con l'insediamento dei Longobardi nel territorio vallese: a prova di ciò bisogna ricordarsi che il patrono di Valle, San Michele Arcangelo, era altresì il protettore dei Longobardi.

Il nome Valle potrebbe derivare dal latino vallum che significa fortezza, arroccamento; in effetti la Lomellina dell'epoca romana era caratterizzata da piccole colline e dossi comprese tra zone paludose. Nell'elenco delle terre del contado di Pavia del XIII secolo, il centro è citato con il nome di "Valide". Nel '400 divenne signoria dei Beccaria di Pavia (ramo di Arena Po), sostituiti poi dal ministro ducale degli Sforza, Cicco Simonetta, nel 1470 (egli era qui infeudato anche di Sartirana e Castelnovetto). Dopo la sua morte il feudo fu incamerato, e fu venduto a un Tasino di Ferrara. Durante l'occupazione francese (1499) viene ceduto al cardinale d'Amboise, che lo vende al ministro Bergonzo Botta; i suoi figli lo cedono nel 1527, giunge poi a un ramo dei Visconti estinto nel 1564 con la morte di Luigi (fin qui il feudo condivise le sorti di Castelnovetto). Il feudo, incamerato, nel 1574 fu acquistato da Giovanni Agostino Litta, Marchese di Gambolò e primo Conte di Valle. Il feudo di Valle rimase ai marchesi Litta di Gambolò fino all'abolizione del feudalesimo (1797). Nel 1707 Valle, con tutta la Lomellina, fu inclusa nei domini di Casa Savoia, seguendone le sorti fino all'unità d'Italia, fatta salvo il periodo napoleonico tra il 1796 e il 1815. Nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia e di conseguenza della Lombardia, dividendosi definitivamente dal Piemonte. Verso la fine dell'800 molti vallesi emigrano in Argentina a causa della crisi agricola. Nel '900 Valle è coinvolta nelle lotte contadine che scoppiano in tutta la Lomellina. La guerra intanto comportò la perdita di 50 vallesi. Nel ventennio fascista nascono le due riserie, la Curti e la Società Italiana. La Seconda guerra mondiale non tocca direttamente Valle, che diviene invece un rifugio per molti sfollati Milanesi. Il dopoguerra vede un abbandono delle campagne e un aumento dei pendolari verso le industrie orafe di Valenza e i calzaturifici di Vigevano.

La chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo, costruita nel '600, è caratterizzata da un'unica navata la cui volta è completamente affrescata. L'altare maggiore è abbellito con marmi e pietre di pregevole valore. La chiesa conserva al suo interno la statua del Cristo Morto racchiusa in una magnifica urna. Il coro in fondo alla navata è in legno di noce finemente intagliato e risale al XVI secolo.

Fuori paese, nella strada che conduce a Semiana e Lomello, è situato il Santuario della Madonna di Casaletto, risalente al XVI secolo. Il Santuario è meta ogni anno, soprattutto nel periodo primaverile, di pellegrini che provengono da tutta la Lomellina. Il Santuario ha ospitato un convento fino al secolo scorso, oggi ormai abbandonato.

La chiesa di Santa Maria del Castello è posta nella vicinanze del castello ed è l'edificio più antico del paese. Recentemente sono stati ritrovati degli affreschi del '400 riferiti alla tradizione pittorica lombarda.

Nella piazza principale del paese, a pochi passi dalla chiesa parrocchiale, si erge la chiesa di San Rocco e San Sebastiano, a forma rettangolare, innalzata nel 1469.

Il castello medievale fu una delle roccaforti più importanti della Lomellina e costituiva, insieme ai castelli di Sartirana Lomellina, Frascarolo e Lomello, la cintura difensiva della parte sud occidentale del Ducato di Milano. L'edificio, costruito nel XIV secolo, si erge al centro del paese ed è caratterizzato da un impianto a semicerchio con loggiati e finestre ad archi acuti.

Il monumento dedicato a tutti i caduti vallesi nelle due Guerre Mondiali è costituito da un altare in stile neoclassico con sei colonne doriche che sostengono una piccola cupola; sull'altare è posto un braciere in ricordo delle vittime. Il monumento trae ispirazione dal Mausoleo di Teodorico a Ravenna ed è molto simile al Monumento ai caduti di Ancona costruito, come il monumento vallese, in epoca fascista.

Il Municipio è uno dei più belli esempi di architettura littoria della Lombardia. L'edificio è stato costruito negli anni '20 e da allora ospita gli uffici comunali e la polizia locale. La parte centrale e le parti laterali della facciata sono in mattoni a vista. Al centro, sempre della facciata, è presente un balcone in travertino sormontato dalla scritta in caratteri latini "MVNICIPIO".

La Sagra del Riso si tiene l'ultimo fine settimana di giugno e offre il riso cucinato in ogni modo possibile. Le serate sono allietate da musica e balli.

La Sagra della Lumaca si svolge la prima domenica di settembre e offre ai propri ospiti lumache cotte in ogni modo.


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mercoledì 2 settembre 2015

TREVISO BRESCIANO

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Treviso Bresciano è un comune sparso della Comunità Montana della Valle Sabbia.

Il nome del paese pare abbia etimologia dal latino “tre villaggi”. Tra i primi documenti storici rinvenuti si parla dell’esistenza di tre villaggi: Vico (Vicus) la sua denominazione antica era “Cazzi di sopra”; Trebbio (Traes Viae) il cui nome antico era “Cazzi di sotto” e Facchetti, chiamata così perché abitata da nuclei familiari con il medesimo cognome.

L’appellativo antico del paese era "Caeys", termine longobardo che significava bosco.

Negli scritti più antichi viene indicato con più nomi "Caci" o "Cazzi" dal latino "Cassizio", "Cuzzi" o "Cazzarium"; solo Il 24 maggio del 1532 venne deliberato il nuovo nome dal paese: Treviso Bresciano.

L’elemento predominante di questo territorio è l’estensione dei boschi. Addirittura per alcuni secoli queste terre furono di proprietà di alcuni vassalli di re longobardi.

Facente parte del pago romano prima e della Pieve di Idro poi, nell’ XI secolo, probabilmente quando sorsero gli abitati di Vico e Trebbio, si costituì in parrocchia autonoma.

Nel 1396 Treviso faceva parte della Riviera di Salò, sotto la Serenissima Repubblica di Venezia passò alla quadra Montagna della Riviera di Salò.

Il passaggio dei Lanzichenecchi, guidati da Giorgio Frundesberg, lasciò danni e distruzione.

Nel XVIII Treviso fu incluso nel Dipartimento del Benaco, ma fu invaso dalle truppe austro – russe. L’ordinamento politico amministrativo austriaco nel Lombardo - Veneto divise la valle in due distretti, Treviso fu annesso a Vestone.

Durante la prima guerra Mondiale lo spostamento dei confini d’Italia alla Valle del Caffaro e alla Valvestino, resero il territorio di Treviso una delle zone militari di prima linea, il forte di Valledrane venne attrezzato per contrastare il vicino fronte austriaco. Il Forte era persino dotato di batterie di artiglieria. Fortunatamente non entrò in azione e dopo la guerra conobbe un periodo di decadenza.

Nel 1925 venne aperta la Colonia estiva "Benito Mussolini", nata per curare i bambini gracili tramite l'elioterapia, e vista la notevole utilità la colonia divenne semipermanente. Da qui il progetto del Sanatorio Infantile; il Sanatorio di Valledrane, fu un’ importante centro lombardo per la cura della malattia polmonare. L’opera fu inaugurata il 28 ottobre 1928. L’attività è proseguita fino al 1978, quando il Sanatorio venne chiuso definitivamente. Negli ultimi anni la struttura è stata restaurata e abbellita, viene riaperta per i ragazzi nei mesi estivi.

Inoltre la zona di Valledrane fu teatro, presso il forte, di molti scontri fra partigiani della Brigata Perlasca e militi fascisti che presidiavano la zona.

Il paese nel passato è sempre vissuto sul lavoro del campi , sull’ allevamento del bestiame, sui prodotti del bosco e sulla lavorazione del legname sia per da ardere che d’ opera. Il paese contadino ha conosciuto anche l’emigrazione, prima in America e poi verso il nord Europa.

Oggi i coltivatori sono pochi, prevale il lavoro in laboratori artigianali e nelle fabbriche.

Negli ultimi decenni sono sorte alcune imprese artigianali, che offrono lavoro e occupazione. Inoltre albergatori e commercianti contribuiscono al benessere della popolazione.

Il Comune di Treviso Bresciano è situato su un territorio montuoso sul versante orientale della Valsabbia, in una valle verdeggiante.Le frazioni che compongono il paese sono Trebbio, Vico e Facchetti: Vico è la frazione situata più a nord del paese, il suo nome, di origine latina "Vicus" significa villaggio. Trebbio è la frazione più popolata, il suo nome deriva da "Trivium" e significa incrocio di tre strade. L’ ultima, ma non meno importante è la frazione di Facchetti, così chiamata per il primo nucleo familiare che vi si è stanziato. La Valle di Treviso Bresciano è circondata da monti, tra questi ricordiamo Il Monte Bastia alto mt. 988, si erge a protezione di Vico e sta per Castello, fortezza. La Cocca (Còca) che significa Cima e separa la Bastia dalla Curma, che si trova alle spalle di Trebbio e vuol dire colmo, sommità (Cùlma). La località gode di un clima mite perché è protetta dai venti. Per questo motivo Treviso Bresciano è considerato un centro climatico importante. Treviso Bresciano confina con i comuni di Idro, Capovalle, Vobarno, Provaglio Val Sabbia, Vestone e Lavenone.


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LAVENONE



Lavenone è un comune della Valle Sabbia.

Lavenone risulta l'unico comune insieme a Kreutzenkruppstagen (Danimarca)ad aver conseguito il titolo ufficiale di "comune più brutto d'europa" per 13 anni, 8 dei quali consecutivi. Secondo la tradizione, il creatore di Silent Hill, Mishiamoto Kojiba, ebbe l'ispirazione per il suo lugubre videogioco horror dopo essere stato in vacanza in Italia. Kojiba si stava recando a Madonna di Campiglio e si fermò proprio a Lavenone per un caffè. Nel primo capitolo della saga giapponese infatti si possono notare vari indizi che rivelano che la controparte reale di Silent Hill è nientemeno che il comune Valsabbino.

Lavenone fu uno dei pochi paesi senza avere una difesa di castello, terra libera e aperta; luogo di confine con il Trentino, fu onteso per secoli dai conti di Lodrone. Il paese portò le conseguenze delle vicende militari, francesi, tedesche, piemontesi, garibaldine.
Il comune, anticamente fu sede di numerose officine per la lavorazione del ferro; i maestri artigiani nell'arte del ferro, chiamati docimastri, emigrarono a Venezia, a Milano, in Germania e Danimarca, in Croazia e Serbia. Nomi famosi come Gerardini, dei Robert e dei Glisenti richiamano le fucine e le aziende più attive, facendo di Lavenone uno dei centri siderurgici più moderni del Bresciano nella seconda metà del 1800. Purtruppo il 15 settembre del 1882 una terribile alluvione distrusse e precluse ogni possibilità di lavoro. Attualmente la fonte principale di sostentamento della popolazione viene fornita da un massiccio pendolarismo anche se alcune aziende hanno la loro sede nel territorio comunale. Molto attiva l'agricoltura montana.

L'attuale parrocchiale di S. Bartolomeo apostolo venne iniziata nel 1778 e consacrata solo il 6 settembre del 1840. All'interno si trovano cinque altari impreziositi da soase lignee, provenienti dalla primitiva chiesa, opera degli intagliatori Giovanni Pialorsi e Girolamo Bonomi che le scolpirono tra il 1634 ed il 1660. Dalla Valle dell'Abbioccolo si sale verso i due borghi di Presegno e Bisenzio; la strada affianca il torrente e lo attraversa con ponticelli, alcuni risalenti a prima del Mille, che testimoniano l'esistenza di una via commerciale che attraverso le montagne portava a Bagolino, al Trentino, e alla Valle Camonica. Interessanti sono a Presegno le case degli Zorzi, dei Campagnoli, dei Garzoni, degli Zanaglio e dei Duini. Su una casa si nota il Leone di S. Marco, I'unico leggibile in Valle assieme a quello di Alone. Particolarmente bella la chiesa di S. Lorenzo. A Bisenzio, segnaliamo il santuario della Madonna.

Sono la Corna di Zeno, la cima Melghè e la Corna Blacca le cime denominate Piccole Dolomiti. Si parte da Lavenone (metri 385) in direzione di Presegno:
strada facendo si incontrano alcuni pregevoli affreschi ed un ponte sull'Abbioccolo di origine romana. Seguendo le indicazioni si raggiunge Vaiale (km 8, metri 700): alla sinistra della locanda si diparte una mulattiera ripida che si segue senza lasciarsi ingannare dalle diramazioni che conducono ai vari fienili. La ripida salita piega a sinistra e dopo alcuni chilometri porta alla malga Gardo, proprio sotto la Corna Blacca. Il paesaggio è spettacolare, tipico dell'alta montagna: dalla malga la stradina diviene un sentiero che spesso costringe a scendere dalla bici. Transitati nei pressi di Presegno si accede al Passo Croce (km 13.5, metri 1300), punto di collegamento tra la valle dell'Abbioccolo e le Pertiche.


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martedì 1 settembre 2015

PERTICA BASSA



Pertica Bassa è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia.

L'origine del nome è da ricercarsi nell'usanza longobarda di erigere dai famigliari di un guerriero caduto o disperso in battaglia, lontano da casa, una pertica sormontata da un simulacro di colomba rivolta verso il luogo dell'accaduto.

I nuclei urbani di Pertica Bassa sono: Avenone e Spessio, Levrange, Forno d'Ono, Ono Degno e Beata Vergine.

Pertica Bassa, comune sorto nel 1928 dall'accorpamento dei tre comunelli di Avenone, Levrange ed Ono Degno, suscita da sempre curiosità nel turista di passaggio per la singolarità della sua storia e delle sue tradizioni, per la ricchezza e l'amenità dei suoi paesaggi.

I Romani dovettero mostrare non poco interesse per la Pertica, assegnandone il territorio ai veterani e ai reduci degli eserciti imperiali.
Il nome stesso dato al territorio sembra ricordare questo fatto.
Al tardo periodo romano, IV-V secolo d.C., sembrano attribuibili numerosi frammenti di embrici, venuti alla luce poco lontano dall'abitato di Avenone in seguito agli smottamenti provocati dalle eccessive piogge del maggio 1981, ulteriore dimostrazione dell'antichità degli alpestri insediamenti.
Il Cristianesimo faticò non poco a prendere piede presso gli orgogliosi montanari fedeli alla tradizione romana e quindi pagana.
Solo nell'VIII-IX secolo si verificò la costruzione dei primi centri di diffusione della nuova religione: le pievi e tra queste quella di Savallo, dalla quale la Pertica dipese religiosamente fino al XIV secolo, quando i singoli paesi cominciarono a mostrare velleità autonomistiche.
Fu infatti in questo periodo, e forse anche prima, che ad Avenone, Levrange ed Ono Degno sorsero piccoli ospizi per il ricovero dei viandanti o cappelle votive soggette alla pieve e dedicate rispettivamente a S. Bartolomeo, S. Lorenzo e S. Martino.
Nello stesso periodo si andava inoltre delineando una più precisa organizzazione amministrativa ed economica di questi borghi, nel quadro del generale rinnovamento verificatosi dopo l'anno 1000.
La grande novità fu la nascita del comune come entità politica autonoma e formata dai capifamiglia.
Fù così che agli inizi del XIV secolo anche i suddetti borghi costituirono, unitamente a quelli dell'odierna Pertica Alta, una stabile struttura politico-amininistrativa che prese il nome di Universitas Comunis Pertichae Vallis Sabii.
Questa nel 1382 si diede propri Statuti tesi a regolamentare le attività politiche ed economiche.
Proprio in campo economico si assistette, in quello stesso XIV secolo, al sorgere e all'affermarsi di un'attività che contribuì non poco ad accrescere il benessere dei montanari, da sempre legati ad un'economia agricolo-pastorale:
verso il 1320, infatti, Lanfranco Alberghini, figlio di quel Nicolò di parte guelfa che anni prima, fuggito da Brescia durante l'assedio dell'imperatore Federico II, aveva trovato rifugio a Marmentino, decise la costruzione di un forno fusorio nella valle percorsa dal torrente Degnone, avvalendosi della collaborazione di alcuni abitanti del vicino Ono Degno.
Il progetto fu però portato a termine solo nel 1335 dal figlio Bertolino.
Ben presto, attorno al forno, sorsero le prime case per le maestranze e nel 1338 si avviò la costruzione di una piccola chiesa.
Il nuovo borgo prese il nome di Forno d'Ono.
La famiglia Alberghini, tra alterne vicende, prosperò grazie ai commerci, tanto che, nel 1401 Alberghino, nipote di Bertolino, fu investito del feudo comprendente le Pertiche, il Savallese e altri territori della Valle Sabbia, nonché della confinante Valle Trompia.
Pochi anni più tardi, nel 1427, anche la Pertica, come tutta la Valle ed il territorio bresciano, entrò a far parte della Repubblica veneta. Iniziò così un lungo periodo di pace e di benessere favorito dai numerosi privilegi economici ed amministrativi volentieri concessi in cambio di aiuti, ma anche caratterizzato dalle catastrofi che da sempre accompagnano il corso dell'umanità, non ultima la terribile pestilenza che nel 1630 decimò anche gli abitanti della Pertica, risparmiando, in tutta la Valle Sabbia, solo l'abitato di Ono Degno.
Conclusasi nel 1797, sotto i colpi degli eserciti napoleonici, anche la dominazione veneta, i quattro paesi della Pertica entrarono a far parte della Repubblica Cisalpina, sostituita nel 1802 da quella Italiana e dal Regno d'Italia nel 1805, per essere assegnati al Dipartimento del Mella e quindi al Distretto delle Fucine con capoluogo a Nozza.
Trascorsero solo pochi anni travagliati, quando nel 1814, a seguito della disfatta di Napoleone, una nuova dominazione straniera si insediò nell'Italia Settentrionale: quella austriaca.
Se dura e insopportabile si era dimostrata la dominazione francese per i montanari, che rimpiangevano le autonomie e i privilegi concessi da Venezia, ancor più soffocante si mostrò quella austriaca, oberando i già stremati paesi della Pertica, inglobati nel Distretto XVII di Vestone, con tasse sempre più esose e continue restrizioni economiche e politiche.
Per questo i perticaroli non poterono non accogliere con un certo sollievo la nascita del Regno d'Italia (17 marzo 1861).
Da quel momento la Pertica seguì le sorti di tutto il Paese fino ai giorni nostri, affrontando dure prove, quali le due guerre mondiali alle quali le popolazioni montane contribuirono con un pesante tributo di sangue.
Ancor più dolorosa fu la calamità che nel 1959 colpì Levrange. Le incessanti piogge di quell'autunno provocarono infatti un grave smottamento del terreno sul quale sorgeva l'antico abitato.
Le prime avvisaglie della catastrofe si manifestarono durante una fredda e piovosa domenica di dicembre ed in pochi giorni molte abitazioni furono distrutte.
La tenacia tipicamente montanara consentì ai Levrangesi, decisi a non lasciare l'amato paese, di vedere le loro case risorgere in un luogo geologicamente più sicuro.

La Chiesa si San Bartolomeo, consacrata nel 1625, è stata costruita su una precedente cappella pure dedicata a S. Bartolomeo.
Le semplici forme architettoniche dell’esterno non lasciano intuire il ricco patrimonio artistico in essa contenuto.
Varcato l’ingresso, il primo sguardo cade inevitabilmente sulla superba ancona lignea dell’altare maggiore, realizzata fra il 1686 e l’anno successivo dallo scultore Baldassar Vecchi di Ala di Trento, con la collaborazione di Giovan Pietro Bonomi intagliatore di Avenone. L’attenzione del visitatore si concentra sulle due splendide coppie di cariatidi maschili chiamate i Mori, una delle quali venne invano richiesta da Gabriele D’Annunzio per abbellire la sua residenza di Gardone Riviera.
La soasa racchiude la pala raffigurante il martirio del Santo, realizzata nel 1670 da G. Battista Bonomino e poi adattata alla nuova ancona.
Altri tre altari non sono certo meno importanti. Quello dedicato al Santo Rosario presenta un’ancona barocca scolpita dai Pialorsi Boscaì di Levrange verso il 1705, anno in cui gli stessi scultori realizzarono la cantoria dell’organo in legno di noce, come il coro. La pala di questo altare raffigura la Vergine con i SS. Caterina e Domenico, opera del XVI secolo attribuita a Grazio Cossali.
Gli altari dedicati a S. Pietro e alla Crocifissione sono arricchiti da due ancone lignee realizzate rispettivamente agli inizi del ‘700 e nel tardo ‘500, ritenuta quest’ultima essere l’ancona dell’altare maggiore della primitiva cappella.
Importanti anche le tele in esse racchiuse, soprattutto quella dell’altare di S. Pietro, anche se di entrambe risulta sconosciuto l’autore.

La chiesa dei SS. Antonio da Padova e Gaetano costruita per volontà degli abitanti verso la fine del ‘600, racchiusa e quasi custodita dalle case circostanti, tanto che il piccolo campanile non le supera che di poco in altezza.
La facciata, di un barocco armonioso, è impreziosita da uno splendido portale in pietra nera locale che costituisce il principale oggetto di interesse.
L’interno presenta l’altare maggiore, con ancona intagliata e pala di autore sconosciuto, e un semplice altare laterale dedicato alla Madonna del Carmine.
La volta della navata e quella del presbiterio, oltre a finissime decorazioni in stucco, presentano affreschi del Corbellino che illustrano episodi della vita dei due Santi ai quali è dedicato il piccolo edificio di culto.

La Chiesa di S. Maria Assunta, costruita una prima volta nel 1338, fu riedificata verso la metà del ‘600 e consacrata nel 1652.
Della primitiva chiesetta si conserva all’interno uno splendido polittico a affresco raffigurante la Madonna in trono con il Bambino con tre figure di Santi a grandezza naturale non identificati che rivolgono lo sguardo verso le figure centrali.
Campeggia la figura di Maria con il manto blu scuro, colore dominante in tutto l’affresco insieme al rosso, seduta su un tronetto tardogotico. Il capo è reclinato un poco verso la testina di Gesù, quasi a sfiorarla, mentre questi solleva la mano destra come a carezzare il volto della madre.
Considerato il più antico affresco della Valle Sabbia, viene attribuito ai primi decenni della seconda metà del ‘300 ed è stato riportato alla luce solo nel 1983 durante i lavori di restauro.
La facciata della chiesa attuale è di un barocco elegante.
All’interno, l’altare maggiore è impreziosito dal ciborio opera dei Boscaì e dalla pala, datata 1652, raffigurante l’Assunta.
Il recente recupero della soasa lignea, ha decretato la definitiva copertura dell’importante affresco, mediante la ricollocazione della pala nella sua sede originaria.
I due altari laterali sono dedicati rispettivamente alla Madonna del Rosario e a S. Filippo Neri, con ancone lignee interessanti, ma non di particolare pregio.
Le figure ad affresco dei quattro Evangelisti, forse realizzate da Andrea Celesti, completano la volta della navata, mentre il presbiterio è impreziosito dalla figura della Vergine.

La Chiesa dedicata a Dio e a San Rocco fu ricostruita dopo lo smottamento del 1959, benché la precedente, risalente al 1686, fosse rimasta illesa, ma ormai isolata rispetto al nuovo abitato. La nuova chiesa ospita tutti gli altari e gli arredi di quella vecchia.
L’altare maggiore, con paliotto e balaustre in marmo intarsiato, è sormontato dalla ricca ancona lignea realizzata da Francesco e Antonio Pialorsi Boscaì fra il 1732 e il 1734. Come a Avenone l’impianto scenico è sorretto da due cariatidi, qui però laccate di bianco. Importante la pala, ritenuta della scuola del Correggio.
I due altari laterali di destra ospitano le pale raffiguranti la Vergine con S. Giuseppe, attribuita al Romanino, e la Vergine con Santi, attribuita al Mombello.
I due altari di sinistra sono invece dedicati alla Madonna del Rosario e alla Madonna di Fatima.
Da ricordare, quale testimonianza ulteriore della devozione dei fedeli di Levrange verso la Vergine, va ricordata anche la chiesetta eretta nel XVIII secolo sul Monte Zovo, in una posizione di interesse naturalistico e paesaggistico.

Discosta alcune centinaia di metri dal vecchio abitato, su un pianoro al riparo dai venti, sorge la chiesa di San Martino di antichissima origine, ma ricostruita dopo il 1530.
L’altare maggiore è dedicato alla Madonna Ausiliatrice, quello di sinistra al SS. Crocifisso e quello di destra alla Vergine.
Nel 1983 sono stati riportati alla luce due importanti affreschi che decoravano la primitiva cappella. Il primo, datato 29 luglio 1529, raffigura la maternità di Maria; l’altro ritrae S. Martino con le insegne pontificali.

La Chiesa di San Zenone è la chiesa parrocchiale della frazione e la più interessante dal punto di vista architettonico.
Già presente nel XV secolo, fu ampliata e abbellita fra la fine del XVII secolo e gli inizi del successivo.
L’esterno, benché mai ultimato, colpisce per la perfezione delle proporzioni e delle forme barocche.
L’interno, pure barocco, è arricchito da importanti opere a affresco e a olio. Sull’altare maggiore campeggia la pala raffigurante la Madonna in gloria con S. Zenone attribuita a Antonio Paglia. Dello stesso, o di Angelo Paglia, è anche la pala del primo altare di destra raffigurante S. Antonio da Padova con i Santi Angelo Custode e Gaetano da Tiene. Il secondo altare di destra presenta una tela raffigurante la Madonna con alcuni Santi, dipinta nel 1731 da Domenico Voltolini, che realizzò anche la pala dell’altare dell’Immacolata Concezione. L’ultimo altare è impreziosito da una tela raffigurante la gloria di S. Giuseppe, forse del Voltolini o di Antonio Paglia. Le belle prospettive ad affresco delle soase degli altari laterali sono attribuite a Pietro Scalvini.
Importanti gli affreschi della volta realizzati nel 1748 dal Corbellino e raffiguranti episodi della vita di S. Zenone. Antonio Paglia dovette invece realizzare qualche anno prima gli affreschi della volta del presbiterio in cui appare la gloria di S. Zenone con i quattro Evangelisti.

Il Santuario della Beata Vergine fu costruito a ricordo del miracolo compiuto dalla Madonna nel 1601, quando la piccola Caterina Dusi vide scendere della lacrime dagli occhi della Vergine dipinta su una piccola tavoletta del XV secolo portata da Venezia dal padre Antonio.
Iniziata nel 1610, la costruzione del nuovo tempio fu portata a termine nel 1615. L’opera è il risultato del contributo di importanti ingegni. Furono infatti gli architetti G. Battista lantana e G. Antonio Biasio, che avevano lavorato alla edificazione del Duomo di Brescia, a realizzare la costruzione, mentre artisti quali Camillo Rama, Andrea Celesti e Antonio Paglia ne impreziosirono l’interno.
L’altare maggiore venne realizzato in marmo dallo stesso Lantana. Nel 1728 Antonio Paglia dipinse la pala con la nascita della Vergine.
Importanti anche le tele che impreziosiscono i due altari laterali. Quella di destra venne dipinta nel 1631 dal pittore cremasco G. Giacomo Barbello e raffigura la Crocifissione. Quella di destra, variamente attribuita, raffigura la circoncisione.
Già nel 1615 Camillo Rama aveva affrescato la volta della navata e del presbiterio.

La Chiesa di San Lorenzo è molto antica e dalle linee semplici, ha al suo interno il polo d’interesse: alcuni affreschi cinquecenteschi di recente recuperati.

La chiesa della Madonna dei Triboli risale al XVII secolo. Presenta al suo interno sull’unico altare una tela raffigurante la Vergine trafitta.

L’origine del Museo è la diretta conseguenza di un atto di riconoscenza del professore slavo Dimitrije Paramendic, insegnante, pittore, e scultore.
Il Museo possiede una ricca donazione di quadri (in tutto 120) che ritraggono i protagonisti più significativi della Resistenza Valsabbina e che si ispirano a diversi momenti della vita partigiana.

Il settore Folklore si richiama invece agli aspetti più salienti della civiltà contadina, a quel faticoso rapporto uomo – natura reso meno pesante dall’ingegno e dalla fertile inventiva degli umili montanari.

Avenone è la frazione che nel corso del secolo scorso ha risentito più delle altre del fenomeno dello spopolamento. L’abitato conserva quasi intatto il proprio patrimonio architettonico, offrendo al visitatore scorci di una certa bellezza, perché risparmiati d interventi troppo devastanti.

All’interno della frazione di Avenone si può ammirare Spessio, un piccolo borgo medievale, con le strette stradine ancora lastricate e le case secolari dagli ampi loggiati e dall’architettura pressoché intatta, strette attorno alla seicentesca chiesetta dedicata ai SS. Gaetano e Antonio, dall’artistico portale in pietra locale.

Forno d'Ono frazione di fondovalle, sorge alla confluenza del torrente Degnone con il suo affluente Glera. E’ sede del Municipio e del Museo della Resistenza e del Folklore valsabbino. La sua storia è più recente rispetto a quella delle altre frazioni, poiché sorta nel 1300 quando la famiglia Alberghino, il cui stemma nobiliare è tuttora leggibile sulla facciata di un’abitazione, decise di sfruttare le acque dei due torrenti per la lavorazione del minerale di ferro.

Il borgo medioevale di Ono Degno è un nucleo urbano certamente già fiorente nel XIV secolo e arricchitosi di molti elementi durante il successivo.
Lo dimostra la tipologia degli edifici, squadrati con pietre locali, quasi a fortilizio, e ingentiliti poi con ampie pareti a affresco raffiguranti quasi sempre elementi decorativi monocromi con elementi floreali e del mondo animale, frammisti a molti stemmi.
Non si tratta di architettura contadina, ma di dimore della piccola nobiltà rurale e del ceto commerciale, trasformate poi lentamente, a partire dal XVII secolo, in abitazioni contadine con il decadere o il trasferimento altrove delle antiche famiglie. Doveva trattarsi di una nobiltà basata su un retaggio feudale che seppe dedicarsi a partire dalla metà del 1300 alla lavorazione del ferro nella vicina Forno, appositamente creata dalla famiglia Alberghini.
Attorniate da dimore minori, quasi naturale coronamento, si ergono alte due antiche dimore signorili, chiamate “Le Torri”.
Una di queste, la più leggiadra, appariscente, meglio conservata e restituita al primitivo splendore da un recente, scrupoloso intervento di recupero, viene indicata come la prima dimora della nobile famiglia dei Torriani, giunta a Ono con Pagano nel 1235.
Questa famiglia si trasformò poi in quella dei Butturini, che secondo una tradizione comunemente accettata, assunsero il nome da un certo Boturino de Benadusi, vissuto nella seconda metà del 1300. Il nome di Antonio “de Benaduzis de Hono” compare invece in una iscrizione proveniente dalla Casa Torre più severa e ampia, di poco discosta dalla prima. L’iscrizione reca la data del 2 luglio 1373.
Del resto, su una vicina e bella dimora del 1300 due stemmi sintetizzano la storia di questa famiglia che ebbe prima come emblema la torre, per ricordare l’antica origine, e poi quello più recente dei sei monti a piramide con una croce al vertice, usato dai Butturini a partire dal XV secolo e presente anche sulla facciata con decorazioni affrescate di un’altra abitazione posta fra le due torri.
La torre acquisita dal Comune e restaurata si dice sia stata iniziata insieme a altre dimore da Benadusio Torriani nel XIV secolo.
Alta e snella, è architettonicamente semplice, ma con elementi molto significativi. Sulla facciata principale che guarda a valle vi erano in origine sei finestre sovrapposte a due a due, con una sola finestra più piccola al centro all’ultimo piano.
Interessanti le prime quattro: gotiche nella forma, con decorazioni in cotto sotto il davanzale, modulati in bellissimi piccoli archi, molto snelli e gentili, con un motivo che si ripete poi a affresco sotto i cornicioni in cotto leggermente sporgenti, all’altezza del tetto.
Le altre finestre, più piccole, in stile romanico, erano in origine, come pure quelle sottostanti, contornate da una decorazione a affresco a fasce gialle e rosse.
Infatti, la vasta superficie, con spigoli in pietra locale lavorata, venne successivamente intonacata e affrescata, probabilmente nel XV secolo.
Alla base, pur deturpata da due aperture settecentesche per dare luce ai locali del seminterrato a volta, compare una leggiadra loggia a archetti, dove domina il rosso misto all’avorio. Essa fa da supporto alla soprastante decorazione geometrica, molto lineare, ma elegante.
Sugli spigoli e su un arcone ora otturato, compaiono, come pure nel sottotetto dell’altra torre, alcuni “mascheroni” con sembianze di mitici animali o di creature fra l’umano e l’animalesco che rimandano agli elementi decorativi simbolici delle cattedrali gotiche e che, nel loro significato ignoto, costituiscono forse l’elemento distintivo più interessante dei due edifici.
All’interno, prima manomesso, i vasti ambienti originari sono stati restituiti alla loro funzione, benché nulla rimanga delle primitive decorazioni a affresco e dei soffitti lignei decorati. Di questi ultimi sono state recuperate e restaurate otto tavolette lignee ascrivibili alla fine del XIV secolo.

Se quasi ogni nucleo abitato delle Pertiche vanta la tradizione di essere sorto originariamente in un luogo diverso da quello attuale e di essersi dovuto spostare in seguito a qualche calamità, per Levrange ciò costituisce un evento della storia recente. Nel 1959, infatti, un autunno di intense piogge causò gravi smottamenti tanto che il paese antico dovette essere completamente abbandonato.
Le vecchie case furono smantellate per costruire quelle nuove e dopo un paio d'anni, in posizione più sicura, non troppo distante dal sito precedente, era già pronto il nuovo paese. Quel che rimane di quello vecchio merita però una visita: salendo dal fondovalle, le uniche poche case non smantellate si parano davanti inaspettatamente, di pietra, grandi, le ante di legno consumato, i finestroni dei solai, le ringhiere intagliate.
L’attuale stradina che si infila nel nucleo era un tempo la via principale del paese; seguendola, dopo il primo gruppetto di case si possono scorgere le fondamenta delle antiche costruzioni, dove oggi sono sistemati orti ben regolati e tenuti.
Proseguendo, si raggiunge la chiesa, rimanenza del paese vecchio, costruita su una muraglia aggettante sul torrente che passa li sotto. Andando avanti, in prossimità del torrente si incontra una grande santella tutta decorata, ma più interessante risulta l’altro lato della valletta, fino alla più antica chiesa, dopo il 1530 ricostruita su una precedente cappella che si dice associata alla presenza in loco dei frati benedettini.
Un ultimo tratto degno di nota è la salita sul dosso soprastante, allo scopo di godere di una veduta della zona nel suo insieme, del paese vecchio e di quello nuovo.
Degna di lode inoltre, una puntata al nuovo abitato offre un paio di opportunità: sulla piazza della chiesa intitolata ai Pialorsi Boscaì, i famosi intagliatori originari di qui, possiamo vedere il monumento ai caduti realizzato da Silvestro Cappa, artista recentemente scomparso, originario di Vestone ma molto presente anche alle Pertiche; inoltre, volgendoci verso nord, possiamo godere di una bella veduta del Monte Tigaldine, coi suoi ghiaioni e il Monte Ario sullo sfondo.


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PERTICA ALTA

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Pertica Alta è un comune sparso situato nell'alta fascia della provincia e appartiene alla Comunità Montana della Valle Sabbia.

L'origine del nome è da ricercarsi nell'usanza longobarda di erigere dai famigliari di un guerriero caduto o disperso in battaglia, lontano da casa, una pertica sormontata da un simulacro di colomba rivolta verso il luogo dell'accaduto.

Il comune di Pertica Alta fu creato nel 1928 dalla fusione dei comuni di Bel Prato, Livemmo e Navono.

Popolazioni preromane come i Celti dovettero sicuramente abitare questa valle. Il loro ricordo è rimasto nei nomi di alcune località, come Avenone che ricorda i Galli Vennoni.
Anche i Romani dovettero mostrare interesse per la Pertica, assegnandone il territorio ai veterani degli eserciti imperiali, come ricorda lo stesso nome, essendo la pertica un’antica unità di misura proprio romana.
Al tardo periodo imperiale (IV-V secolo d.C.) sembrano ascrivibili numerosi frammenti di embrici, pesi da telaio e qualche moneta di bronzo occasionalmente riportati alla luce da scavi o smottamenti naturali presso l’abitato di Avenone e quello di Forno d’Ono.
Il Cristianesimo dovette affermarsi a fatica in queste valli riposte, tenacemente legate alla tradizione romana e quindi pagana. Solo in età carolingia (VIII-IX secolo) ebbe luogo l’edificazione dei primi centri di culto della nuova religione, le pievi, fra le quali quella di Savallo. Da essa le comunità della Pertica dipesero religiosamente fino al XIV secolo, quando iniziarono a mostrare il desiderio sempre più marcato di rendersi autonome.
Fu infatti in quel periodo che nei centri di Avenone, Levrange e Ono Degno sorsero piccoli ospizi per i viandanti o cappelle votive soggette alla pieve e dedicate rispettivamente a S. Bartolomeo, S. Martino e S. Lorenzo.
Nello stesso periodo si andò delineando anche una più precisa organizzazione amministrativa e economica delle tre comunità.
La vera novità fu data dalla nascita del comune come entità politica autonoma costituita dai capifamiglia. L’origine della Universitas Comunis Pertichae Vallis Sabii, comprendente anche le comunità dell’odierna Pertica Alta, quale solida struttura politico-amministrativa, risale certamente al XIV secolo, poiché nel 1382 essa si dotò di propri Statuti tesi a regolare le attività politiche e quelle economiche.
Il secolo XIV fu apportatore di un’altra grande novità per i borghi della Pertica, la cui economia era da sempre basata sulle attività agricolopastorali, vale a dire la lavorazione del ferro, destinata a accrescere il benessere dei montanari, tanto che nel XVII secolo lungo il corso del Degnone sorgevano due forni fusori e numerose fucine.
La costruzione del forno fusorio più antico risale al 1320, quando Lanfranco Alberghini, discendente da nobile famiglia di parte guelfa riparata a Marmentino durante l’assedio della città di Brescia da parte dell’imperatore Federico II, scelse le rive del Degnone per impiantare una nuova attività.
Fu però il figlio Bertolino a portare a termine il progetto nel 1335, dando così inizio, con la costruzione delle prime abitazioni per le maestranze e di una piccola chiesa (1338), alla fondazione di un nuovo borgo che prenderà il nome attuale di Forno d’Ono.
La famiglia Alberghini, grazie al commercio del ferro, prosperò a tal punto che nel 1401 Alberghino, nipote di Bertolino, fu investito del feudo comprendente la Pertica, il Savallese e altri territori della Valle Sabbia e della Valle Trompia.
Poco più tardi, nel 1427, anche la Pertica, come tutto il territorio bresciano, entrò a far parte della Repubblica di Venezia. Iniziò in questo modo un lungo periodo di pace e di benessere, grazie soprattutto ai privilegi e alle esenzioni concessi dal governo della Serenissima in cambio di aiuti, ma anche segnato da gravi catastrofi, quali il passaggio delle truppe di Niccolò Piccinino al soldo dei Visconti, che per rappresaglia distrussero nel 1439 l’abitato di Avenone con una o più case torri, la inondazione che colpì Forno d’Ono nel 1460, distruggendo molte abitazioni e danneggiando la chiesa, e, non ultima, la pestilenza del 1630 che decimò la popolazione, risparmiando in tutta la Valle Sabbia solo l’abitato di Ono Degno.
Quando nel 1797 le truppe francesi del generale Bonaparte abbatterono il governo della Serenissima, la Pertica entrò a far parte della Repubblica Cisalpina, divenuta Repubblica Italiana nel 1802 e Regno d’Italia solo tre anni più tardi. Il territorio della Pertica fu assegnato al Dipartimento del Mella e quindi al Distretto delle Fucine, con capoluogo Nozza.
Nel 1814 la dominazione francese fu sostituita da quella austriaca, che si dimostrò ancora più soffocante della precedente per i montanari che rimpiangevano i privilegi loro concessi dal governo di Venezia. I paesi della Pertica, assegnati al Distretto XVII di Vestone, pur già stremati furono oberati da esose imposte e da restrizioni economiche e politiche.
Per questo anche qui, come altrove, fu accolta di buon grado la nascita nel 1861 del Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II.
Da quel momento la Pertica ha seguito le sorti di tutto il Paese fino ai giorni nostri, affrontando dure prove quali sono stati i due conflitti mondiali ai quali la popolazione contribuì con un pesante tributo di sangue, come ricordano i monumenti ai Caduti. Il territorio della Pertica fra il 1944 e la fine del secondo conflitto fu anche teatro delle operazioni belliche della brigata partigiana delle Fiamme Verdi intitolata a Giacomo Perlasca, forte di oltre 200 uomini e che contò ben 32 caduti.
Ancor più dolorosa fu la calamità naturale che nel 1959 portò al crollo dell’intero abitato di Levrange. La tenacia degli abitanti, pur così gravemente colpiti, consentì però di ricostruire il paese dopo soli tre anni in un luogo geologicamente più sicuro.

Il comune si posiziona fra la Valle Trompia e la Valle Sabbia, nella piccola valle circoscritta fra i Torrenti Degnone e Tovere. Il territorio di Pertica Alta appartiene storicamente e geografiacamente alla Valle Sabbia. È attraversato dalla strada provinciale SP50 Tavernole-Nozza; questa si diparte dal comune di Tavernole sul Mella e connette la Valle Trompia alla Valle Sabbia attraverso il Passo Termine, punto di confine tra i comuni di Marmentino e Pertica Alta e, per esteso, tra le Valli Trompia e Sabbia. All'interno del comune di Pertica Alta mette in comunicazione gli abitati di Lavino, Odeno, Livemmo e Belprato, scendendo poi nel centro di Nozza, frazione del comune di Vestone. Pertica Alta è collegato al vicino comune di Pertica Bassa tramite la SP110 Forno d'Ono-Livemmo, strada che si diparte dall'abitato di Forno d'Ono di Pertica Bassa e, attraversando la borgata di Avenone, si congiunge alla SP50 Tavernole-Vestone a Livemmo di Pertica Alta.

A Livemmo, sede municipale, si possono visitare i ruderi dei forni dove anticamente si fondeva il ferro che veniva trasportato da Collio, in Valle Trompia, attraverso una comoda strada mulattiera che passava per “Crùsh”, Piazze, Valle di Boino e Fusio.  L’industria siderurgica era fiorente perché amministrata e diretta con onestà e sagacia; dovette in seguito soccombere di fronte alla concorrenza del ferro straniero. I territori di Livemmo e Odeno disponevano di una grande quantità di piante di noce, una vera selva. I frutti venivano portati a Livemmo dove per mezzo di un apposito frantoio si otteneva un olio prelibato per i più svariati usi domestici.

Belprato è un balcone sulla valle. Si dice che in origine fosse posto in luogo diverso e che venisse distrutto per opera del mercenario Niccolò Piccinino nel quattrocento. Secondo la tradizione locale l’antico paese si chiamava Aven e si trovava nei prati sottostanti l’odierna strada che porta a Livemmo.

La tradizione chiama Castelletti la zona dove un tempo si trovava un paese distrutto da chissà quale sventura e poi ricostruito nelle contrade di Noffo e Lavino in un tempo imprecisato.

Con Navono si entra nella valle del Tovere e questo paesino dà l’idea di essere l’ultimo piccolo avamposto umano dopo il quale è il regno della selva e della valle regnano. Anche qui ci sono belle case, anche medioevali, di un’antica ruralità benestante con arcate, portali, affreschi e la fontana coperta.

Odeno è tra le più interessanti località della Pertica. Si trova a circa 920 metri sul livello del mare. È costituito da un gruppo di vecchie ma belle case signorili e sorge sopra un piccolo altopiano, in mezzo a prati e boschi. Aveva anche un castello che dominava la sottostante valle del Tovere, del quale resta soltanto il nome alla località dove sorgeva.

La chiesa di Sant'Andrea risale al XIV secolo. L'architettura del Trecento lombardo si evidenzia nelle monofore romaniche strombate della parete sud e nelle monofore ogivali del campanile.

La pala, opera dello statunitense Woodron Robarge, fu donata dai parrocchiani di Novato (California) all’atto dell'inaugurazione dei restauri (28 giugno 1987) finanziati da Angelo Turrini, la cui famiglia emigrò da Pertica Alta verso gli Stati Uniti d’America alla fine dell’Ottocento. L'affresco più pregevole è quello della Crocifissione da alcuni accostato al Maestro di Nave. Presso la chiesa è stato collocato il sacrario ai caduti nella lotta di Liberazione, i cui nomi figurano su altrettante steli. Poco distante, si può ammirare la settecentesca cappella di Barbaine.
La Parrocchiale di Livemmo è dedicata a San Marco Evangelista, unica parrocchiale intitolata a questo santo in Valle Sabbia, venne ricostruita a partire dal 1490. Il campanile fu eretto nel 1648 da Giacomo Lascioli. All’interno si possono ammirare dipinti di Pietro Marone e Pietro Scalvini, in soase lignee dei maestri della famiglia Pialorsi di Levrange detti Boscaì, autori anche degli intagli degli altari e dei banconi da sacrestia.

La Parrochiale di Odeno consacrata al culto di Sant'Apollonio, domina la vallata del Tovere. Riedificata nel corso del XVI secolo, conserva al proprio interno una pala seicentesca di Giovan Battista Bonomini di Livemmo. Fa bella mostra una soasa di Francesco Pialorsi (1705 circa), realizzata insieme ai Bertoli e agli Obertini.

La Chiesa di Navono edificata a partire dai primi anni del Seicento (1611) è dedicata al Santo Nome di Dio. Contiene opere lignee di Francesco Pialorsi (1724), di Giovan Battista Bonomi (1756) e marmoree degli artisti rezzatesi Paolo Bonpastone e Domenico Tagliani. Sono inoltre presenti dipinti degli artisti Quintini.

L'oratorio di San Rocco collocato sul suggestivo passo che separa Livemmo ad Avenone, venne edificato nel 1630 per voto contro la peste di manzoniana memoria.

La Parrocchiale di Lavino dedicata a San Michele arcangelo, venne realizzata nel periodo compreso tra il 1713 e il 1720. Il tabernacolo è opera dell’artista rezzatese Paolo Bonpastone (1772) e ancona di Carlo Antonio Bragnoni (1775). Di notevole pregio una soasa di Faustino Bonomi (1733) e una pala seicentesca attribuita al Bagnadore. Nel locale adibito a sacrestia sono conservati due pannelli lignei dipinti datati 1541.

L'oratorio di San Bernardo, edificato nell’arco di tempo compreso tra il 1775 e il 1780 su progetto del bovegnese Bartolomeo Gatta, è localizzato lungo il percorso della vecchia strada che dalle Pertiche conduceva a Nozza.

La Parrocchiale di Belprato dedicata alla devozione di Sant'Antonio abate, raffigurato nella pala dell'altare maggiore, opera di Antonio Paglia, racchiusa in soasa lignea dei Boscaì. Un'altra pala è dell’artista gavardese Francesco Nomenta (1840).

Nel 1999 il Forno di Livemmo, da più di 150 anni in disuso e dimenticato nella boscaglia, del quale si potevano invidiare solo alcune cavità semisepolte (depositi di carbone), è stato oggetto di una ricerca archivistico-documentale da parte dello storico dell’economia Giancarlo Marchesi. Dall’indagine è emersa la complessità dell’apparto architettonico dell’impianto fusorio di Livemmo e la grande importanza rivestita in passato da tale struttura produttiva. Grazie alle mappe ottocentesce è stato possibile risalire all’esatta localizzazione dei vari elementi di cui si componeva il complesso: dalla “macchina” di fusione, il cosiddetto “cannecchio”, ai depositi di carbone, agli spazi di stoccaggio del minerale.
Nel 2001 l’area sulla quale insiste l’antico impianto è stata acquisita al patrimonio comunale di Pertica Alta e, nello stesso anno, è stata oggetto di una operazione di disboscamento.
Nel luglio del 2004 è iniziata una attenta e mirata campagna di scavi guidata dall’archeologo Brogiolo. L’équipe che ha condotto le operazione di scavo si prefiggeva di riportare alla luce almeno una parte dei resti dell’impianto fusorio. Grazie a tale campagna, nell’estate 2004 è stato possibile far emergere la struttura del “cannecchio”, vale a dire la “macchina” fusoria.
Tale ritrovamento ha un’importanza notevole nel campo dell’archeologia industriale, poiché il Forno di Livemmo è l’unica struttura fusoria del Bresciano che abbia conservato l’aspetto primordiale, cioè quello descritto dagli statuti di Valle Sabbia del 1573. Infatti il Forno fusorio di Livemmo, posto lungo il torrente Tovere, è una testimonianza viva dell’attività che per secoli ha animato l’economia delle valli bresciane.
Ad una analisi attenta emerge che la località di Livemmo ha visto nascere il “cannecchio”, vale a dire l’altoforno “alla bresciana”, il tipo di impianto metallurgico che costituì, per i tre secoli dell’età moderna, un vero e proprio primato tecnologico degli operatori mierario-metallurgici delle valli bresciane.

La situazione del mercato occupazionale di Pertica Alta riflette i rapidi e profondi mutamenti avvenuti, negli ultimi decenni, nel mondo sociale e in quello del lavoro. Nell’arco di un ventennio, l’occupazione nel settore agricolo è diminuita costantemente, non trovando però compensazione nella crescita degli altri settori.
La popolazione di Pertica Alta trova attualmente occupazione nei maggiori centri del fondovalle valsabbino (Vestone, Casto, Pertica Bassa, Sabbio), dove a partire dagli anni Settanta del Novecento si è sviluppato un importante tessuto di piccole e medie imprese dedite in particolare ad attività legate ai settori siderurgico e meccanico.
Il territorio del comune di Pertica Alta è indubbiamente un’area a forte potenzialità turistica: il patrimonio naturale e quello storico-artistico, rappresentano varie opportunità che in questa fase vengono sfruttate solo parzialmente. Infatti il flusso turistico al quale è legata la realtà di Pertica Alta interessa soprattutto week-end o vacanze brevi vacanze estive. Di richiamo è anche la manifestazione legata al Carnevale di Livemmo.

Le caratteristiche strutturali dell’agricoltura di Pertica Alta sono il risultato delle condizioni naturali, sociali e giuridiche che hanno agito nel tempo sul settore. Dal Dopoguerra ad oggi, l’agricoltura ha subito una profonda evoluzione. Molte aziende troppo piccole, non strutturate e poco redditizie sono scomparse, spesso in occasione dell’avvicendamento generazionale. I pochi giovani rimasti hanno avuto, in qualche fortunato caso, la possibilità di ampliare le aziende e procedere ad una ristrutturazione. Nonostante la razionalizzazione di cui si accennava più sopra, l’agricoltura di Pertica Alta è ancora caratterizzata da piccole imprese a gestione familiare.
Date le caratteristiche del paesaggio, il settore di produzione principale è rappresentato dall’allevamento bovino. Comparto che permette di valorizzare la superficie agricola utile, costituita per buona parte da prati naturali e pascoli, ai quali si aggiungono i pascoli alpestri e 6 malghe di proprietà comunale.
Il contributo dell’agricoltura all’economia di Pertica Alta va però ben oltre la produzione di alimenti e va valutato in funzione del suo ruolo multifunzionale. Appunto per questo, nel territorio delle Pertiche l’agricoltura va vista quale fornitrice non solo di prodotti naturali, ma anche di un servizio. In quest’ottica le prestazioni del settore primario si estendono alla salvaguardia del paesaggio e delle aree naturali di pregio, fino alla trasmissione alle nuove generazioni del patrimonio di cultura e tradizioni della terra (saperi), di cui fanno parte i tipici prodotti agricoli.


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