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mercoledì 2 settembre 2015

TREVISO BRESCIANO

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Treviso Bresciano è un comune sparso della Comunità Montana della Valle Sabbia.

Il nome del paese pare abbia etimologia dal latino “tre villaggi”. Tra i primi documenti storici rinvenuti si parla dell’esistenza di tre villaggi: Vico (Vicus) la sua denominazione antica era “Cazzi di sopra”; Trebbio (Traes Viae) il cui nome antico era “Cazzi di sotto” e Facchetti, chiamata così perché abitata da nuclei familiari con il medesimo cognome.

L’appellativo antico del paese era "Caeys", termine longobardo che significava bosco.

Negli scritti più antichi viene indicato con più nomi "Caci" o "Cazzi" dal latino "Cassizio", "Cuzzi" o "Cazzarium"; solo Il 24 maggio del 1532 venne deliberato il nuovo nome dal paese: Treviso Bresciano.

L’elemento predominante di questo territorio è l’estensione dei boschi. Addirittura per alcuni secoli queste terre furono di proprietà di alcuni vassalli di re longobardi.

Facente parte del pago romano prima e della Pieve di Idro poi, nell’ XI secolo, probabilmente quando sorsero gli abitati di Vico e Trebbio, si costituì in parrocchia autonoma.

Nel 1396 Treviso faceva parte della Riviera di Salò, sotto la Serenissima Repubblica di Venezia passò alla quadra Montagna della Riviera di Salò.

Il passaggio dei Lanzichenecchi, guidati da Giorgio Frundesberg, lasciò danni e distruzione.

Nel XVIII Treviso fu incluso nel Dipartimento del Benaco, ma fu invaso dalle truppe austro – russe. L’ordinamento politico amministrativo austriaco nel Lombardo - Veneto divise la valle in due distretti, Treviso fu annesso a Vestone.

Durante la prima guerra Mondiale lo spostamento dei confini d’Italia alla Valle del Caffaro e alla Valvestino, resero il territorio di Treviso una delle zone militari di prima linea, il forte di Valledrane venne attrezzato per contrastare il vicino fronte austriaco. Il Forte era persino dotato di batterie di artiglieria. Fortunatamente non entrò in azione e dopo la guerra conobbe un periodo di decadenza.

Nel 1925 venne aperta la Colonia estiva "Benito Mussolini", nata per curare i bambini gracili tramite l'elioterapia, e vista la notevole utilità la colonia divenne semipermanente. Da qui il progetto del Sanatorio Infantile; il Sanatorio di Valledrane, fu un’ importante centro lombardo per la cura della malattia polmonare. L’opera fu inaugurata il 28 ottobre 1928. L’attività è proseguita fino al 1978, quando il Sanatorio venne chiuso definitivamente. Negli ultimi anni la struttura è stata restaurata e abbellita, viene riaperta per i ragazzi nei mesi estivi.

Inoltre la zona di Valledrane fu teatro, presso il forte, di molti scontri fra partigiani della Brigata Perlasca e militi fascisti che presidiavano la zona.

Il paese nel passato è sempre vissuto sul lavoro del campi , sull’ allevamento del bestiame, sui prodotti del bosco e sulla lavorazione del legname sia per da ardere che d’ opera. Il paese contadino ha conosciuto anche l’emigrazione, prima in America e poi verso il nord Europa.

Oggi i coltivatori sono pochi, prevale il lavoro in laboratori artigianali e nelle fabbriche.

Negli ultimi decenni sono sorte alcune imprese artigianali, che offrono lavoro e occupazione. Inoltre albergatori e commercianti contribuiscono al benessere della popolazione.

Il Comune di Treviso Bresciano è situato su un territorio montuoso sul versante orientale della Valsabbia, in una valle verdeggiante.Le frazioni che compongono il paese sono Trebbio, Vico e Facchetti: Vico è la frazione situata più a nord del paese, il suo nome, di origine latina "Vicus" significa villaggio. Trebbio è la frazione più popolata, il suo nome deriva da "Trivium" e significa incrocio di tre strade. L’ ultima, ma non meno importante è la frazione di Facchetti, così chiamata per il primo nucleo familiare che vi si è stanziato. La Valle di Treviso Bresciano è circondata da monti, tra questi ricordiamo Il Monte Bastia alto mt. 988, si erge a protezione di Vico e sta per Castello, fortezza. La Cocca (Còca) che significa Cima e separa la Bastia dalla Curma, che si trova alle spalle di Trebbio e vuol dire colmo, sommità (Cùlma). La località gode di un clima mite perché è protetta dai venti. Per questo motivo Treviso Bresciano è considerato un centro climatico importante. Treviso Bresciano confina con i comuni di Idro, Capovalle, Vobarno, Provaglio Val Sabbia, Vestone e Lavenone.


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LAVENONE



Lavenone è un comune della Valle Sabbia.

Lavenone risulta l'unico comune insieme a Kreutzenkruppstagen (Danimarca)ad aver conseguito il titolo ufficiale di "comune più brutto d'europa" per 13 anni, 8 dei quali consecutivi. Secondo la tradizione, il creatore di Silent Hill, Mishiamoto Kojiba, ebbe l'ispirazione per il suo lugubre videogioco horror dopo essere stato in vacanza in Italia. Kojiba si stava recando a Madonna di Campiglio e si fermò proprio a Lavenone per un caffè. Nel primo capitolo della saga giapponese infatti si possono notare vari indizi che rivelano che la controparte reale di Silent Hill è nientemeno che il comune Valsabbino.

Lavenone fu uno dei pochi paesi senza avere una difesa di castello, terra libera e aperta; luogo di confine con il Trentino, fu onteso per secoli dai conti di Lodrone. Il paese portò le conseguenze delle vicende militari, francesi, tedesche, piemontesi, garibaldine.
Il comune, anticamente fu sede di numerose officine per la lavorazione del ferro; i maestri artigiani nell'arte del ferro, chiamati docimastri, emigrarono a Venezia, a Milano, in Germania e Danimarca, in Croazia e Serbia. Nomi famosi come Gerardini, dei Robert e dei Glisenti richiamano le fucine e le aziende più attive, facendo di Lavenone uno dei centri siderurgici più moderni del Bresciano nella seconda metà del 1800. Purtruppo il 15 settembre del 1882 una terribile alluvione distrusse e precluse ogni possibilità di lavoro. Attualmente la fonte principale di sostentamento della popolazione viene fornita da un massiccio pendolarismo anche se alcune aziende hanno la loro sede nel territorio comunale. Molto attiva l'agricoltura montana.

L'attuale parrocchiale di S. Bartolomeo apostolo venne iniziata nel 1778 e consacrata solo il 6 settembre del 1840. All'interno si trovano cinque altari impreziositi da soase lignee, provenienti dalla primitiva chiesa, opera degli intagliatori Giovanni Pialorsi e Girolamo Bonomi che le scolpirono tra il 1634 ed il 1660. Dalla Valle dell'Abbioccolo si sale verso i due borghi di Presegno e Bisenzio; la strada affianca il torrente e lo attraversa con ponticelli, alcuni risalenti a prima del Mille, che testimoniano l'esistenza di una via commerciale che attraverso le montagne portava a Bagolino, al Trentino, e alla Valle Camonica. Interessanti sono a Presegno le case degli Zorzi, dei Campagnoli, dei Garzoni, degli Zanaglio e dei Duini. Su una casa si nota il Leone di S. Marco, I'unico leggibile in Valle assieme a quello di Alone. Particolarmente bella la chiesa di S. Lorenzo. A Bisenzio, segnaliamo il santuario della Madonna.

Sono la Corna di Zeno, la cima Melghè e la Corna Blacca le cime denominate Piccole Dolomiti. Si parte da Lavenone (metri 385) in direzione di Presegno:
strada facendo si incontrano alcuni pregevoli affreschi ed un ponte sull'Abbioccolo di origine romana. Seguendo le indicazioni si raggiunge Vaiale (km 8, metri 700): alla sinistra della locanda si diparte una mulattiera ripida che si segue senza lasciarsi ingannare dalle diramazioni che conducono ai vari fienili. La ripida salita piega a sinistra e dopo alcuni chilometri porta alla malga Gardo, proprio sotto la Corna Blacca. Il paesaggio è spettacolare, tipico dell'alta montagna: dalla malga la stradina diviene un sentiero che spesso costringe a scendere dalla bici. Transitati nei pressi di Presegno si accede al Passo Croce (km 13.5, metri 1300), punto di collegamento tra la valle dell'Abbioccolo e le Pertiche.


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martedì 1 settembre 2015

PERTICA BASSA



Pertica Bassa è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia.

L'origine del nome è da ricercarsi nell'usanza longobarda di erigere dai famigliari di un guerriero caduto o disperso in battaglia, lontano da casa, una pertica sormontata da un simulacro di colomba rivolta verso il luogo dell'accaduto.

I nuclei urbani di Pertica Bassa sono: Avenone e Spessio, Levrange, Forno d'Ono, Ono Degno e Beata Vergine.

Pertica Bassa, comune sorto nel 1928 dall'accorpamento dei tre comunelli di Avenone, Levrange ed Ono Degno, suscita da sempre curiosità nel turista di passaggio per la singolarità della sua storia e delle sue tradizioni, per la ricchezza e l'amenità dei suoi paesaggi.

I Romani dovettero mostrare non poco interesse per la Pertica, assegnandone il territorio ai veterani e ai reduci degli eserciti imperiali.
Il nome stesso dato al territorio sembra ricordare questo fatto.
Al tardo periodo romano, IV-V secolo d.C., sembrano attribuibili numerosi frammenti di embrici, venuti alla luce poco lontano dall'abitato di Avenone in seguito agli smottamenti provocati dalle eccessive piogge del maggio 1981, ulteriore dimostrazione dell'antichità degli alpestri insediamenti.
Il Cristianesimo faticò non poco a prendere piede presso gli orgogliosi montanari fedeli alla tradizione romana e quindi pagana.
Solo nell'VIII-IX secolo si verificò la costruzione dei primi centri di diffusione della nuova religione: le pievi e tra queste quella di Savallo, dalla quale la Pertica dipese religiosamente fino al XIV secolo, quando i singoli paesi cominciarono a mostrare velleità autonomistiche.
Fu infatti in questo periodo, e forse anche prima, che ad Avenone, Levrange ed Ono Degno sorsero piccoli ospizi per il ricovero dei viandanti o cappelle votive soggette alla pieve e dedicate rispettivamente a S. Bartolomeo, S. Lorenzo e S. Martino.
Nello stesso periodo si andava inoltre delineando una più precisa organizzazione amministrativa ed economica di questi borghi, nel quadro del generale rinnovamento verificatosi dopo l'anno 1000.
La grande novità fu la nascita del comune come entità politica autonoma e formata dai capifamiglia.
Fù così che agli inizi del XIV secolo anche i suddetti borghi costituirono, unitamente a quelli dell'odierna Pertica Alta, una stabile struttura politico-amininistrativa che prese il nome di Universitas Comunis Pertichae Vallis Sabii.
Questa nel 1382 si diede propri Statuti tesi a regolamentare le attività politiche ed economiche.
Proprio in campo economico si assistette, in quello stesso XIV secolo, al sorgere e all'affermarsi di un'attività che contribuì non poco ad accrescere il benessere dei montanari, da sempre legati ad un'economia agricolo-pastorale:
verso il 1320, infatti, Lanfranco Alberghini, figlio di quel Nicolò di parte guelfa che anni prima, fuggito da Brescia durante l'assedio dell'imperatore Federico II, aveva trovato rifugio a Marmentino, decise la costruzione di un forno fusorio nella valle percorsa dal torrente Degnone, avvalendosi della collaborazione di alcuni abitanti del vicino Ono Degno.
Il progetto fu però portato a termine solo nel 1335 dal figlio Bertolino.
Ben presto, attorno al forno, sorsero le prime case per le maestranze e nel 1338 si avviò la costruzione di una piccola chiesa.
Il nuovo borgo prese il nome di Forno d'Ono.
La famiglia Alberghini, tra alterne vicende, prosperò grazie ai commerci, tanto che, nel 1401 Alberghino, nipote di Bertolino, fu investito del feudo comprendente le Pertiche, il Savallese e altri territori della Valle Sabbia, nonché della confinante Valle Trompia.
Pochi anni più tardi, nel 1427, anche la Pertica, come tutta la Valle ed il territorio bresciano, entrò a far parte della Repubblica veneta. Iniziò così un lungo periodo di pace e di benessere favorito dai numerosi privilegi economici ed amministrativi volentieri concessi in cambio di aiuti, ma anche caratterizzato dalle catastrofi che da sempre accompagnano il corso dell'umanità, non ultima la terribile pestilenza che nel 1630 decimò anche gli abitanti della Pertica, risparmiando, in tutta la Valle Sabbia, solo l'abitato di Ono Degno.
Conclusasi nel 1797, sotto i colpi degli eserciti napoleonici, anche la dominazione veneta, i quattro paesi della Pertica entrarono a far parte della Repubblica Cisalpina, sostituita nel 1802 da quella Italiana e dal Regno d'Italia nel 1805, per essere assegnati al Dipartimento del Mella e quindi al Distretto delle Fucine con capoluogo a Nozza.
Trascorsero solo pochi anni travagliati, quando nel 1814, a seguito della disfatta di Napoleone, una nuova dominazione straniera si insediò nell'Italia Settentrionale: quella austriaca.
Se dura e insopportabile si era dimostrata la dominazione francese per i montanari, che rimpiangevano le autonomie e i privilegi concessi da Venezia, ancor più soffocante si mostrò quella austriaca, oberando i già stremati paesi della Pertica, inglobati nel Distretto XVII di Vestone, con tasse sempre più esose e continue restrizioni economiche e politiche.
Per questo i perticaroli non poterono non accogliere con un certo sollievo la nascita del Regno d'Italia (17 marzo 1861).
Da quel momento la Pertica seguì le sorti di tutto il Paese fino ai giorni nostri, affrontando dure prove, quali le due guerre mondiali alle quali le popolazioni montane contribuirono con un pesante tributo di sangue.
Ancor più dolorosa fu la calamità che nel 1959 colpì Levrange. Le incessanti piogge di quell'autunno provocarono infatti un grave smottamento del terreno sul quale sorgeva l'antico abitato.
Le prime avvisaglie della catastrofe si manifestarono durante una fredda e piovosa domenica di dicembre ed in pochi giorni molte abitazioni furono distrutte.
La tenacia tipicamente montanara consentì ai Levrangesi, decisi a non lasciare l'amato paese, di vedere le loro case risorgere in un luogo geologicamente più sicuro.

La Chiesa si San Bartolomeo, consacrata nel 1625, è stata costruita su una precedente cappella pure dedicata a S. Bartolomeo.
Le semplici forme architettoniche dell’esterno non lasciano intuire il ricco patrimonio artistico in essa contenuto.
Varcato l’ingresso, il primo sguardo cade inevitabilmente sulla superba ancona lignea dell’altare maggiore, realizzata fra il 1686 e l’anno successivo dallo scultore Baldassar Vecchi di Ala di Trento, con la collaborazione di Giovan Pietro Bonomi intagliatore di Avenone. L’attenzione del visitatore si concentra sulle due splendide coppie di cariatidi maschili chiamate i Mori, una delle quali venne invano richiesta da Gabriele D’Annunzio per abbellire la sua residenza di Gardone Riviera.
La soasa racchiude la pala raffigurante il martirio del Santo, realizzata nel 1670 da G. Battista Bonomino e poi adattata alla nuova ancona.
Altri tre altari non sono certo meno importanti. Quello dedicato al Santo Rosario presenta un’ancona barocca scolpita dai Pialorsi Boscaì di Levrange verso il 1705, anno in cui gli stessi scultori realizzarono la cantoria dell’organo in legno di noce, come il coro. La pala di questo altare raffigura la Vergine con i SS. Caterina e Domenico, opera del XVI secolo attribuita a Grazio Cossali.
Gli altari dedicati a S. Pietro e alla Crocifissione sono arricchiti da due ancone lignee realizzate rispettivamente agli inizi del ‘700 e nel tardo ‘500, ritenuta quest’ultima essere l’ancona dell’altare maggiore della primitiva cappella.
Importanti anche le tele in esse racchiuse, soprattutto quella dell’altare di S. Pietro, anche se di entrambe risulta sconosciuto l’autore.

La chiesa dei SS. Antonio da Padova e Gaetano costruita per volontà degli abitanti verso la fine del ‘600, racchiusa e quasi custodita dalle case circostanti, tanto che il piccolo campanile non le supera che di poco in altezza.
La facciata, di un barocco armonioso, è impreziosita da uno splendido portale in pietra nera locale che costituisce il principale oggetto di interesse.
L’interno presenta l’altare maggiore, con ancona intagliata e pala di autore sconosciuto, e un semplice altare laterale dedicato alla Madonna del Carmine.
La volta della navata e quella del presbiterio, oltre a finissime decorazioni in stucco, presentano affreschi del Corbellino che illustrano episodi della vita dei due Santi ai quali è dedicato il piccolo edificio di culto.

La Chiesa di S. Maria Assunta, costruita una prima volta nel 1338, fu riedificata verso la metà del ‘600 e consacrata nel 1652.
Della primitiva chiesetta si conserva all’interno uno splendido polittico a affresco raffigurante la Madonna in trono con il Bambino con tre figure di Santi a grandezza naturale non identificati che rivolgono lo sguardo verso le figure centrali.
Campeggia la figura di Maria con il manto blu scuro, colore dominante in tutto l’affresco insieme al rosso, seduta su un tronetto tardogotico. Il capo è reclinato un poco verso la testina di Gesù, quasi a sfiorarla, mentre questi solleva la mano destra come a carezzare il volto della madre.
Considerato il più antico affresco della Valle Sabbia, viene attribuito ai primi decenni della seconda metà del ‘300 ed è stato riportato alla luce solo nel 1983 durante i lavori di restauro.
La facciata della chiesa attuale è di un barocco elegante.
All’interno, l’altare maggiore è impreziosito dal ciborio opera dei Boscaì e dalla pala, datata 1652, raffigurante l’Assunta.
Il recente recupero della soasa lignea, ha decretato la definitiva copertura dell’importante affresco, mediante la ricollocazione della pala nella sua sede originaria.
I due altari laterali sono dedicati rispettivamente alla Madonna del Rosario e a S. Filippo Neri, con ancone lignee interessanti, ma non di particolare pregio.
Le figure ad affresco dei quattro Evangelisti, forse realizzate da Andrea Celesti, completano la volta della navata, mentre il presbiterio è impreziosito dalla figura della Vergine.

La Chiesa dedicata a Dio e a San Rocco fu ricostruita dopo lo smottamento del 1959, benché la precedente, risalente al 1686, fosse rimasta illesa, ma ormai isolata rispetto al nuovo abitato. La nuova chiesa ospita tutti gli altari e gli arredi di quella vecchia.
L’altare maggiore, con paliotto e balaustre in marmo intarsiato, è sormontato dalla ricca ancona lignea realizzata da Francesco e Antonio Pialorsi Boscaì fra il 1732 e il 1734. Come a Avenone l’impianto scenico è sorretto da due cariatidi, qui però laccate di bianco. Importante la pala, ritenuta della scuola del Correggio.
I due altari laterali di destra ospitano le pale raffiguranti la Vergine con S. Giuseppe, attribuita al Romanino, e la Vergine con Santi, attribuita al Mombello.
I due altari di sinistra sono invece dedicati alla Madonna del Rosario e alla Madonna di Fatima.
Da ricordare, quale testimonianza ulteriore della devozione dei fedeli di Levrange verso la Vergine, va ricordata anche la chiesetta eretta nel XVIII secolo sul Monte Zovo, in una posizione di interesse naturalistico e paesaggistico.

Discosta alcune centinaia di metri dal vecchio abitato, su un pianoro al riparo dai venti, sorge la chiesa di San Martino di antichissima origine, ma ricostruita dopo il 1530.
L’altare maggiore è dedicato alla Madonna Ausiliatrice, quello di sinistra al SS. Crocifisso e quello di destra alla Vergine.
Nel 1983 sono stati riportati alla luce due importanti affreschi che decoravano la primitiva cappella. Il primo, datato 29 luglio 1529, raffigura la maternità di Maria; l’altro ritrae S. Martino con le insegne pontificali.

La Chiesa di San Zenone è la chiesa parrocchiale della frazione e la più interessante dal punto di vista architettonico.
Già presente nel XV secolo, fu ampliata e abbellita fra la fine del XVII secolo e gli inizi del successivo.
L’esterno, benché mai ultimato, colpisce per la perfezione delle proporzioni e delle forme barocche.
L’interno, pure barocco, è arricchito da importanti opere a affresco e a olio. Sull’altare maggiore campeggia la pala raffigurante la Madonna in gloria con S. Zenone attribuita a Antonio Paglia. Dello stesso, o di Angelo Paglia, è anche la pala del primo altare di destra raffigurante S. Antonio da Padova con i Santi Angelo Custode e Gaetano da Tiene. Il secondo altare di destra presenta una tela raffigurante la Madonna con alcuni Santi, dipinta nel 1731 da Domenico Voltolini, che realizzò anche la pala dell’altare dell’Immacolata Concezione. L’ultimo altare è impreziosito da una tela raffigurante la gloria di S. Giuseppe, forse del Voltolini o di Antonio Paglia. Le belle prospettive ad affresco delle soase degli altari laterali sono attribuite a Pietro Scalvini.
Importanti gli affreschi della volta realizzati nel 1748 dal Corbellino e raffiguranti episodi della vita di S. Zenone. Antonio Paglia dovette invece realizzare qualche anno prima gli affreschi della volta del presbiterio in cui appare la gloria di S. Zenone con i quattro Evangelisti.

Il Santuario della Beata Vergine fu costruito a ricordo del miracolo compiuto dalla Madonna nel 1601, quando la piccola Caterina Dusi vide scendere della lacrime dagli occhi della Vergine dipinta su una piccola tavoletta del XV secolo portata da Venezia dal padre Antonio.
Iniziata nel 1610, la costruzione del nuovo tempio fu portata a termine nel 1615. L’opera è il risultato del contributo di importanti ingegni. Furono infatti gli architetti G. Battista lantana e G. Antonio Biasio, che avevano lavorato alla edificazione del Duomo di Brescia, a realizzare la costruzione, mentre artisti quali Camillo Rama, Andrea Celesti e Antonio Paglia ne impreziosirono l’interno.
L’altare maggiore venne realizzato in marmo dallo stesso Lantana. Nel 1728 Antonio Paglia dipinse la pala con la nascita della Vergine.
Importanti anche le tele che impreziosiscono i due altari laterali. Quella di destra venne dipinta nel 1631 dal pittore cremasco G. Giacomo Barbello e raffigura la Crocifissione. Quella di destra, variamente attribuita, raffigura la circoncisione.
Già nel 1615 Camillo Rama aveva affrescato la volta della navata e del presbiterio.

La Chiesa di San Lorenzo è molto antica e dalle linee semplici, ha al suo interno il polo d’interesse: alcuni affreschi cinquecenteschi di recente recuperati.

La chiesa della Madonna dei Triboli risale al XVII secolo. Presenta al suo interno sull’unico altare una tela raffigurante la Vergine trafitta.

L’origine del Museo è la diretta conseguenza di un atto di riconoscenza del professore slavo Dimitrije Paramendic, insegnante, pittore, e scultore.
Il Museo possiede una ricca donazione di quadri (in tutto 120) che ritraggono i protagonisti più significativi della Resistenza Valsabbina e che si ispirano a diversi momenti della vita partigiana.

Il settore Folklore si richiama invece agli aspetti più salienti della civiltà contadina, a quel faticoso rapporto uomo – natura reso meno pesante dall’ingegno e dalla fertile inventiva degli umili montanari.

Avenone è la frazione che nel corso del secolo scorso ha risentito più delle altre del fenomeno dello spopolamento. L’abitato conserva quasi intatto il proprio patrimonio architettonico, offrendo al visitatore scorci di una certa bellezza, perché risparmiati d interventi troppo devastanti.

All’interno della frazione di Avenone si può ammirare Spessio, un piccolo borgo medievale, con le strette stradine ancora lastricate e le case secolari dagli ampi loggiati e dall’architettura pressoché intatta, strette attorno alla seicentesca chiesetta dedicata ai SS. Gaetano e Antonio, dall’artistico portale in pietra locale.

Forno d'Ono frazione di fondovalle, sorge alla confluenza del torrente Degnone con il suo affluente Glera. E’ sede del Municipio e del Museo della Resistenza e del Folklore valsabbino. La sua storia è più recente rispetto a quella delle altre frazioni, poiché sorta nel 1300 quando la famiglia Alberghino, il cui stemma nobiliare è tuttora leggibile sulla facciata di un’abitazione, decise di sfruttare le acque dei due torrenti per la lavorazione del minerale di ferro.

Il borgo medioevale di Ono Degno è un nucleo urbano certamente già fiorente nel XIV secolo e arricchitosi di molti elementi durante il successivo.
Lo dimostra la tipologia degli edifici, squadrati con pietre locali, quasi a fortilizio, e ingentiliti poi con ampie pareti a affresco raffiguranti quasi sempre elementi decorativi monocromi con elementi floreali e del mondo animale, frammisti a molti stemmi.
Non si tratta di architettura contadina, ma di dimore della piccola nobiltà rurale e del ceto commerciale, trasformate poi lentamente, a partire dal XVII secolo, in abitazioni contadine con il decadere o il trasferimento altrove delle antiche famiglie. Doveva trattarsi di una nobiltà basata su un retaggio feudale che seppe dedicarsi a partire dalla metà del 1300 alla lavorazione del ferro nella vicina Forno, appositamente creata dalla famiglia Alberghini.
Attorniate da dimore minori, quasi naturale coronamento, si ergono alte due antiche dimore signorili, chiamate “Le Torri”.
Una di queste, la più leggiadra, appariscente, meglio conservata e restituita al primitivo splendore da un recente, scrupoloso intervento di recupero, viene indicata come la prima dimora della nobile famiglia dei Torriani, giunta a Ono con Pagano nel 1235.
Questa famiglia si trasformò poi in quella dei Butturini, che secondo una tradizione comunemente accettata, assunsero il nome da un certo Boturino de Benadusi, vissuto nella seconda metà del 1300. Il nome di Antonio “de Benaduzis de Hono” compare invece in una iscrizione proveniente dalla Casa Torre più severa e ampia, di poco discosta dalla prima. L’iscrizione reca la data del 2 luglio 1373.
Del resto, su una vicina e bella dimora del 1300 due stemmi sintetizzano la storia di questa famiglia che ebbe prima come emblema la torre, per ricordare l’antica origine, e poi quello più recente dei sei monti a piramide con una croce al vertice, usato dai Butturini a partire dal XV secolo e presente anche sulla facciata con decorazioni affrescate di un’altra abitazione posta fra le due torri.
La torre acquisita dal Comune e restaurata si dice sia stata iniziata insieme a altre dimore da Benadusio Torriani nel XIV secolo.
Alta e snella, è architettonicamente semplice, ma con elementi molto significativi. Sulla facciata principale che guarda a valle vi erano in origine sei finestre sovrapposte a due a due, con una sola finestra più piccola al centro all’ultimo piano.
Interessanti le prime quattro: gotiche nella forma, con decorazioni in cotto sotto il davanzale, modulati in bellissimi piccoli archi, molto snelli e gentili, con un motivo che si ripete poi a affresco sotto i cornicioni in cotto leggermente sporgenti, all’altezza del tetto.
Le altre finestre, più piccole, in stile romanico, erano in origine, come pure quelle sottostanti, contornate da una decorazione a affresco a fasce gialle e rosse.
Infatti, la vasta superficie, con spigoli in pietra locale lavorata, venne successivamente intonacata e affrescata, probabilmente nel XV secolo.
Alla base, pur deturpata da due aperture settecentesche per dare luce ai locali del seminterrato a volta, compare una leggiadra loggia a archetti, dove domina il rosso misto all’avorio. Essa fa da supporto alla soprastante decorazione geometrica, molto lineare, ma elegante.
Sugli spigoli e su un arcone ora otturato, compaiono, come pure nel sottotetto dell’altra torre, alcuni “mascheroni” con sembianze di mitici animali o di creature fra l’umano e l’animalesco che rimandano agli elementi decorativi simbolici delle cattedrali gotiche e che, nel loro significato ignoto, costituiscono forse l’elemento distintivo più interessante dei due edifici.
All’interno, prima manomesso, i vasti ambienti originari sono stati restituiti alla loro funzione, benché nulla rimanga delle primitive decorazioni a affresco e dei soffitti lignei decorati. Di questi ultimi sono state recuperate e restaurate otto tavolette lignee ascrivibili alla fine del XIV secolo.

Se quasi ogni nucleo abitato delle Pertiche vanta la tradizione di essere sorto originariamente in un luogo diverso da quello attuale e di essersi dovuto spostare in seguito a qualche calamità, per Levrange ciò costituisce un evento della storia recente. Nel 1959, infatti, un autunno di intense piogge causò gravi smottamenti tanto che il paese antico dovette essere completamente abbandonato.
Le vecchie case furono smantellate per costruire quelle nuove e dopo un paio d'anni, in posizione più sicura, non troppo distante dal sito precedente, era già pronto il nuovo paese. Quel che rimane di quello vecchio merita però una visita: salendo dal fondovalle, le uniche poche case non smantellate si parano davanti inaspettatamente, di pietra, grandi, le ante di legno consumato, i finestroni dei solai, le ringhiere intagliate.
L’attuale stradina che si infila nel nucleo era un tempo la via principale del paese; seguendola, dopo il primo gruppetto di case si possono scorgere le fondamenta delle antiche costruzioni, dove oggi sono sistemati orti ben regolati e tenuti.
Proseguendo, si raggiunge la chiesa, rimanenza del paese vecchio, costruita su una muraglia aggettante sul torrente che passa li sotto. Andando avanti, in prossimità del torrente si incontra una grande santella tutta decorata, ma più interessante risulta l’altro lato della valletta, fino alla più antica chiesa, dopo il 1530 ricostruita su una precedente cappella che si dice associata alla presenza in loco dei frati benedettini.
Un ultimo tratto degno di nota è la salita sul dosso soprastante, allo scopo di godere di una veduta della zona nel suo insieme, del paese vecchio e di quello nuovo.
Degna di lode inoltre, una puntata al nuovo abitato offre un paio di opportunità: sulla piazza della chiesa intitolata ai Pialorsi Boscaì, i famosi intagliatori originari di qui, possiamo vedere il monumento ai caduti realizzato da Silvestro Cappa, artista recentemente scomparso, originario di Vestone ma molto presente anche alle Pertiche; inoltre, volgendoci verso nord, possiamo godere di una bella veduta del Monte Tigaldine, coi suoi ghiaioni e il Monte Ario sullo sfondo.


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PERTICA ALTA

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Pertica Alta è un comune sparso situato nell'alta fascia della provincia e appartiene alla Comunità Montana della Valle Sabbia.

L'origine del nome è da ricercarsi nell'usanza longobarda di erigere dai famigliari di un guerriero caduto o disperso in battaglia, lontano da casa, una pertica sormontata da un simulacro di colomba rivolta verso il luogo dell'accaduto.

Il comune di Pertica Alta fu creato nel 1928 dalla fusione dei comuni di Bel Prato, Livemmo e Navono.

Popolazioni preromane come i Celti dovettero sicuramente abitare questa valle. Il loro ricordo è rimasto nei nomi di alcune località, come Avenone che ricorda i Galli Vennoni.
Anche i Romani dovettero mostrare interesse per la Pertica, assegnandone il territorio ai veterani degli eserciti imperiali, come ricorda lo stesso nome, essendo la pertica un’antica unità di misura proprio romana.
Al tardo periodo imperiale (IV-V secolo d.C.) sembrano ascrivibili numerosi frammenti di embrici, pesi da telaio e qualche moneta di bronzo occasionalmente riportati alla luce da scavi o smottamenti naturali presso l’abitato di Avenone e quello di Forno d’Ono.
Il Cristianesimo dovette affermarsi a fatica in queste valli riposte, tenacemente legate alla tradizione romana e quindi pagana. Solo in età carolingia (VIII-IX secolo) ebbe luogo l’edificazione dei primi centri di culto della nuova religione, le pievi, fra le quali quella di Savallo. Da essa le comunità della Pertica dipesero religiosamente fino al XIV secolo, quando iniziarono a mostrare il desiderio sempre più marcato di rendersi autonome.
Fu infatti in quel periodo che nei centri di Avenone, Levrange e Ono Degno sorsero piccoli ospizi per i viandanti o cappelle votive soggette alla pieve e dedicate rispettivamente a S. Bartolomeo, S. Martino e S. Lorenzo.
Nello stesso periodo si andò delineando anche una più precisa organizzazione amministrativa e economica delle tre comunità.
La vera novità fu data dalla nascita del comune come entità politica autonoma costituita dai capifamiglia. L’origine della Universitas Comunis Pertichae Vallis Sabii, comprendente anche le comunità dell’odierna Pertica Alta, quale solida struttura politico-amministrativa, risale certamente al XIV secolo, poiché nel 1382 essa si dotò di propri Statuti tesi a regolare le attività politiche e quelle economiche.
Il secolo XIV fu apportatore di un’altra grande novità per i borghi della Pertica, la cui economia era da sempre basata sulle attività agricolopastorali, vale a dire la lavorazione del ferro, destinata a accrescere il benessere dei montanari, tanto che nel XVII secolo lungo il corso del Degnone sorgevano due forni fusori e numerose fucine.
La costruzione del forno fusorio più antico risale al 1320, quando Lanfranco Alberghini, discendente da nobile famiglia di parte guelfa riparata a Marmentino durante l’assedio della città di Brescia da parte dell’imperatore Federico II, scelse le rive del Degnone per impiantare una nuova attività.
Fu però il figlio Bertolino a portare a termine il progetto nel 1335, dando così inizio, con la costruzione delle prime abitazioni per le maestranze e di una piccola chiesa (1338), alla fondazione di un nuovo borgo che prenderà il nome attuale di Forno d’Ono.
La famiglia Alberghini, grazie al commercio del ferro, prosperò a tal punto che nel 1401 Alberghino, nipote di Bertolino, fu investito del feudo comprendente la Pertica, il Savallese e altri territori della Valle Sabbia e della Valle Trompia.
Poco più tardi, nel 1427, anche la Pertica, come tutto il territorio bresciano, entrò a far parte della Repubblica di Venezia. Iniziò in questo modo un lungo periodo di pace e di benessere, grazie soprattutto ai privilegi e alle esenzioni concessi dal governo della Serenissima in cambio di aiuti, ma anche segnato da gravi catastrofi, quali il passaggio delle truppe di Niccolò Piccinino al soldo dei Visconti, che per rappresaglia distrussero nel 1439 l’abitato di Avenone con una o più case torri, la inondazione che colpì Forno d’Ono nel 1460, distruggendo molte abitazioni e danneggiando la chiesa, e, non ultima, la pestilenza del 1630 che decimò la popolazione, risparmiando in tutta la Valle Sabbia solo l’abitato di Ono Degno.
Quando nel 1797 le truppe francesi del generale Bonaparte abbatterono il governo della Serenissima, la Pertica entrò a far parte della Repubblica Cisalpina, divenuta Repubblica Italiana nel 1802 e Regno d’Italia solo tre anni più tardi. Il territorio della Pertica fu assegnato al Dipartimento del Mella e quindi al Distretto delle Fucine, con capoluogo Nozza.
Nel 1814 la dominazione francese fu sostituita da quella austriaca, che si dimostrò ancora più soffocante della precedente per i montanari che rimpiangevano i privilegi loro concessi dal governo di Venezia. I paesi della Pertica, assegnati al Distretto XVII di Vestone, pur già stremati furono oberati da esose imposte e da restrizioni economiche e politiche.
Per questo anche qui, come altrove, fu accolta di buon grado la nascita nel 1861 del Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II.
Da quel momento la Pertica ha seguito le sorti di tutto il Paese fino ai giorni nostri, affrontando dure prove quali sono stati i due conflitti mondiali ai quali la popolazione contribuì con un pesante tributo di sangue, come ricordano i monumenti ai Caduti. Il territorio della Pertica fra il 1944 e la fine del secondo conflitto fu anche teatro delle operazioni belliche della brigata partigiana delle Fiamme Verdi intitolata a Giacomo Perlasca, forte di oltre 200 uomini e che contò ben 32 caduti.
Ancor più dolorosa fu la calamità naturale che nel 1959 portò al crollo dell’intero abitato di Levrange. La tenacia degli abitanti, pur così gravemente colpiti, consentì però di ricostruire il paese dopo soli tre anni in un luogo geologicamente più sicuro.

Il comune si posiziona fra la Valle Trompia e la Valle Sabbia, nella piccola valle circoscritta fra i Torrenti Degnone e Tovere. Il territorio di Pertica Alta appartiene storicamente e geografiacamente alla Valle Sabbia. È attraversato dalla strada provinciale SP50 Tavernole-Nozza; questa si diparte dal comune di Tavernole sul Mella e connette la Valle Trompia alla Valle Sabbia attraverso il Passo Termine, punto di confine tra i comuni di Marmentino e Pertica Alta e, per esteso, tra le Valli Trompia e Sabbia. All'interno del comune di Pertica Alta mette in comunicazione gli abitati di Lavino, Odeno, Livemmo e Belprato, scendendo poi nel centro di Nozza, frazione del comune di Vestone. Pertica Alta è collegato al vicino comune di Pertica Bassa tramite la SP110 Forno d'Ono-Livemmo, strada che si diparte dall'abitato di Forno d'Ono di Pertica Bassa e, attraversando la borgata di Avenone, si congiunge alla SP50 Tavernole-Vestone a Livemmo di Pertica Alta.

A Livemmo, sede municipale, si possono visitare i ruderi dei forni dove anticamente si fondeva il ferro che veniva trasportato da Collio, in Valle Trompia, attraverso una comoda strada mulattiera che passava per “Crùsh”, Piazze, Valle di Boino e Fusio.  L’industria siderurgica era fiorente perché amministrata e diretta con onestà e sagacia; dovette in seguito soccombere di fronte alla concorrenza del ferro straniero. I territori di Livemmo e Odeno disponevano di una grande quantità di piante di noce, una vera selva. I frutti venivano portati a Livemmo dove per mezzo di un apposito frantoio si otteneva un olio prelibato per i più svariati usi domestici.

Belprato è un balcone sulla valle. Si dice che in origine fosse posto in luogo diverso e che venisse distrutto per opera del mercenario Niccolò Piccinino nel quattrocento. Secondo la tradizione locale l’antico paese si chiamava Aven e si trovava nei prati sottostanti l’odierna strada che porta a Livemmo.

La tradizione chiama Castelletti la zona dove un tempo si trovava un paese distrutto da chissà quale sventura e poi ricostruito nelle contrade di Noffo e Lavino in un tempo imprecisato.

Con Navono si entra nella valle del Tovere e questo paesino dà l’idea di essere l’ultimo piccolo avamposto umano dopo il quale è il regno della selva e della valle regnano. Anche qui ci sono belle case, anche medioevali, di un’antica ruralità benestante con arcate, portali, affreschi e la fontana coperta.

Odeno è tra le più interessanti località della Pertica. Si trova a circa 920 metri sul livello del mare. È costituito da un gruppo di vecchie ma belle case signorili e sorge sopra un piccolo altopiano, in mezzo a prati e boschi. Aveva anche un castello che dominava la sottostante valle del Tovere, del quale resta soltanto il nome alla località dove sorgeva.

La chiesa di Sant'Andrea risale al XIV secolo. L'architettura del Trecento lombardo si evidenzia nelle monofore romaniche strombate della parete sud e nelle monofore ogivali del campanile.

La pala, opera dello statunitense Woodron Robarge, fu donata dai parrocchiani di Novato (California) all’atto dell'inaugurazione dei restauri (28 giugno 1987) finanziati da Angelo Turrini, la cui famiglia emigrò da Pertica Alta verso gli Stati Uniti d’America alla fine dell’Ottocento. L'affresco più pregevole è quello della Crocifissione da alcuni accostato al Maestro di Nave. Presso la chiesa è stato collocato il sacrario ai caduti nella lotta di Liberazione, i cui nomi figurano su altrettante steli. Poco distante, si può ammirare la settecentesca cappella di Barbaine.
La Parrocchiale di Livemmo è dedicata a San Marco Evangelista, unica parrocchiale intitolata a questo santo in Valle Sabbia, venne ricostruita a partire dal 1490. Il campanile fu eretto nel 1648 da Giacomo Lascioli. All’interno si possono ammirare dipinti di Pietro Marone e Pietro Scalvini, in soase lignee dei maestri della famiglia Pialorsi di Levrange detti Boscaì, autori anche degli intagli degli altari e dei banconi da sacrestia.

La Parrochiale di Odeno consacrata al culto di Sant'Apollonio, domina la vallata del Tovere. Riedificata nel corso del XVI secolo, conserva al proprio interno una pala seicentesca di Giovan Battista Bonomini di Livemmo. Fa bella mostra una soasa di Francesco Pialorsi (1705 circa), realizzata insieme ai Bertoli e agli Obertini.

La Chiesa di Navono edificata a partire dai primi anni del Seicento (1611) è dedicata al Santo Nome di Dio. Contiene opere lignee di Francesco Pialorsi (1724), di Giovan Battista Bonomi (1756) e marmoree degli artisti rezzatesi Paolo Bonpastone e Domenico Tagliani. Sono inoltre presenti dipinti degli artisti Quintini.

L'oratorio di San Rocco collocato sul suggestivo passo che separa Livemmo ad Avenone, venne edificato nel 1630 per voto contro la peste di manzoniana memoria.

La Parrocchiale di Lavino dedicata a San Michele arcangelo, venne realizzata nel periodo compreso tra il 1713 e il 1720. Il tabernacolo è opera dell’artista rezzatese Paolo Bonpastone (1772) e ancona di Carlo Antonio Bragnoni (1775). Di notevole pregio una soasa di Faustino Bonomi (1733) e una pala seicentesca attribuita al Bagnadore. Nel locale adibito a sacrestia sono conservati due pannelli lignei dipinti datati 1541.

L'oratorio di San Bernardo, edificato nell’arco di tempo compreso tra il 1775 e il 1780 su progetto del bovegnese Bartolomeo Gatta, è localizzato lungo il percorso della vecchia strada che dalle Pertiche conduceva a Nozza.

La Parrocchiale di Belprato dedicata alla devozione di Sant'Antonio abate, raffigurato nella pala dell'altare maggiore, opera di Antonio Paglia, racchiusa in soasa lignea dei Boscaì. Un'altra pala è dell’artista gavardese Francesco Nomenta (1840).

Nel 1999 il Forno di Livemmo, da più di 150 anni in disuso e dimenticato nella boscaglia, del quale si potevano invidiare solo alcune cavità semisepolte (depositi di carbone), è stato oggetto di una ricerca archivistico-documentale da parte dello storico dell’economia Giancarlo Marchesi. Dall’indagine è emersa la complessità dell’apparto architettonico dell’impianto fusorio di Livemmo e la grande importanza rivestita in passato da tale struttura produttiva. Grazie alle mappe ottocentesce è stato possibile risalire all’esatta localizzazione dei vari elementi di cui si componeva il complesso: dalla “macchina” di fusione, il cosiddetto “cannecchio”, ai depositi di carbone, agli spazi di stoccaggio del minerale.
Nel 2001 l’area sulla quale insiste l’antico impianto è stata acquisita al patrimonio comunale di Pertica Alta e, nello stesso anno, è stata oggetto di una operazione di disboscamento.
Nel luglio del 2004 è iniziata una attenta e mirata campagna di scavi guidata dall’archeologo Brogiolo. L’équipe che ha condotto le operazione di scavo si prefiggeva di riportare alla luce almeno una parte dei resti dell’impianto fusorio. Grazie a tale campagna, nell’estate 2004 è stato possibile far emergere la struttura del “cannecchio”, vale a dire la “macchina” fusoria.
Tale ritrovamento ha un’importanza notevole nel campo dell’archeologia industriale, poiché il Forno di Livemmo è l’unica struttura fusoria del Bresciano che abbia conservato l’aspetto primordiale, cioè quello descritto dagli statuti di Valle Sabbia del 1573. Infatti il Forno fusorio di Livemmo, posto lungo il torrente Tovere, è una testimonianza viva dell’attività che per secoli ha animato l’economia delle valli bresciane.
Ad una analisi attenta emerge che la località di Livemmo ha visto nascere il “cannecchio”, vale a dire l’altoforno “alla bresciana”, il tipo di impianto metallurgico che costituì, per i tre secoli dell’età moderna, un vero e proprio primato tecnologico degli operatori mierario-metallurgici delle valli bresciane.

La situazione del mercato occupazionale di Pertica Alta riflette i rapidi e profondi mutamenti avvenuti, negli ultimi decenni, nel mondo sociale e in quello del lavoro. Nell’arco di un ventennio, l’occupazione nel settore agricolo è diminuita costantemente, non trovando però compensazione nella crescita degli altri settori.
La popolazione di Pertica Alta trova attualmente occupazione nei maggiori centri del fondovalle valsabbino (Vestone, Casto, Pertica Bassa, Sabbio), dove a partire dagli anni Settanta del Novecento si è sviluppato un importante tessuto di piccole e medie imprese dedite in particolare ad attività legate ai settori siderurgico e meccanico.
Il territorio del comune di Pertica Alta è indubbiamente un’area a forte potenzialità turistica: il patrimonio naturale e quello storico-artistico, rappresentano varie opportunità che in questa fase vengono sfruttate solo parzialmente. Infatti il flusso turistico al quale è legata la realtà di Pertica Alta interessa soprattutto week-end o vacanze brevi vacanze estive. Di richiamo è anche la manifestazione legata al Carnevale di Livemmo.

Le caratteristiche strutturali dell’agricoltura di Pertica Alta sono il risultato delle condizioni naturali, sociali e giuridiche che hanno agito nel tempo sul settore. Dal Dopoguerra ad oggi, l’agricoltura ha subito una profonda evoluzione. Molte aziende troppo piccole, non strutturate e poco redditizie sono scomparse, spesso in occasione dell’avvicendamento generazionale. I pochi giovani rimasti hanno avuto, in qualche fortunato caso, la possibilità di ampliare le aziende e procedere ad una ristrutturazione. Nonostante la razionalizzazione di cui si accennava più sopra, l’agricoltura di Pertica Alta è ancora caratterizzata da piccole imprese a gestione familiare.
Date le caratteristiche del paesaggio, il settore di produzione principale è rappresentato dall’allevamento bovino. Comparto che permette di valorizzare la superficie agricola utile, costituita per buona parte da prati naturali e pascoli, ai quali si aggiungono i pascoli alpestri e 6 malghe di proprietà comunale.
Il contributo dell’agricoltura all’economia di Pertica Alta va però ben oltre la produzione di alimenti e va valutato in funzione del suo ruolo multifunzionale. Appunto per questo, nel territorio delle Pertiche l’agricoltura va vista quale fornitrice non solo di prodotti naturali, ma anche di un servizio. In quest’ottica le prestazioni del settore primario si estendono alla salvaguardia del paesaggio e delle aree naturali di pregio, fino alla trasmissione alle nuove generazioni del patrimonio di cultura e tradizioni della terra (saperi), di cui fanno parte i tipici prodotti agricoli.


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MURA

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Mura è un comune bagnato dalle acque del torrente Tovere e appartiene alla Comunità Montana della Valle Sabbia.

La storia di Mura si identifica, per molto tempo, con quella della sua Pieve, rimasta intatta fino al secolo XIV.
Infatti, fino a quel periodo la struttura della Pieve di S. Maria Assunta della Corna rimase un'unità omogenea, pur attraversando tutti gli avvenimenti vissuti dall'istituzione pievana in generale. Ad essa erano sottoposti i borghi del vastissimo territorio che va da Nozza a Lavino, da Alone a Presegno.
Tutta questa zona, chiamata Savallo (Summa Valli, poiché Bagolino era sotto la giurisdizione di Trento), aveva il suo primo centro in Posico.
La scoperta, effettuata proprio in questo borgo nel 1960, di una tomba romana del III-IV secolo d.C., del tipo ad inumazione, formata da otto embrici in cotto, e la famosa lapide romana murata nella finestra settentrionale della parrocchiale sono elementi più che sufficienti a dimostrare che i Romani, con molta probabilità, posero dei veterani a colonizzare questa terra.
Posico fu, d'altronde, la sede del primo comune e in seguito della Universitas di Savallo, attorno alla quale si formarono, poi, gli altri nuclei abitativi di Olsano, Olsenago, Veriano, Breda (Braedium), costituenti un insieme di toponomastica romana, l'unica del vasto Pagus.
Nel territorio di questo Pagus non ci sono altre tracce di romanità: i nomi dei diversi altri centri abitati trovano origine nel latino rustico bassomedioevale e indicano una formazione più recente, così come Mura e altre contrade.
Per interi secoli, la vita religiosa, sociale, economica, giurisdizionale dell'esteso territorio della Summa Vallis (Savallese) ruotò attorno alla Pieve di Mura, che via via venne ridimensionandosi con un progressivo, inarrestabile frazionamento e ricerca d'autonomia della altre comunità o ecclesiae.
Barbaine, comprendente Prato, Livemmo, Avenone, fu sicuramente la prima chiesa a rendersi autonoma, cui fecero seguito quelle di Nozza, Ono, Lavino, Levrange, Comero, Alone, Casto e Malpaga.
Accanto a questa storia religiosa, nel Savallese, non mancò la lotta politica, sia per avvenimenti esterni, legati al tramonto del feudalismo e all'emancipazione comunale, sia per questioni interne, più familiari e concrete.
All'inizio del 1200 la figura di Oberto da Savallo si inserì nel contesto delle lotte scoppiate in città, schierandosi con il vescovo Giovanni Palazzi, che parteggiava per il partito cosiddetto popolare.
Durante una scorreria in città, il guerriero savallese, catturò nobili e nemici dei popolari, traducendoli prigionieri nel castello della valle.
Guidò altre discese a Brescia per soccorrere i capi del partito popolare e, in seguito ad alterne vicende, sempre nel tentativo di dare maggior autonomia alla Valle, finì i suoi giorni, isolato, nel castello di Comero.
L'azione di Oberto si inquadra nel vasto cambiamento in atto in quei tempi. Proprio pochi anni dopo le varie Vicinie si riuniranno in Universitas, dando vita alle prime forme comunali, come nel caso della Universitas Savalli; e della Universitas Comunis Perticae Vallis Sabii.
Dopo Oberto da Savallo, Mura e il Savallese non conobbero più l'influenza feudale dei signori della città, non dovettero pagare le Decime ad altri feudatari valligiani, investiti dai beni di queste terre dai re o dal governatore di Venezia, pur in presenza di legami organizzativi delle vicinie.
Nel 1401 Roberto di Baviera, re di Germania, guidato da Alberghino da Fusio, scese a Brescia. In seguito a ciò, al nobile mercante venne concesso in feudo il Savallese, oltre alle terre di Bione, Odolo, Agnosine, Barghe, la Pertica, Sabbio Chiese, Preseglie, Caino, Lumezzane, con diploma dato a Bolzano il 3 novembre 1401.
Nel 1440, come ricompensa per la fedeltà dimostrata a Venezia da Galvano della Nozza, il nome di Mura ritornerà come parte di un territorio dato a lui in feudo dalla stessa Serenissima, che si era impossessata dell'intera Valle nel 1427.
Interessante, per capire anche l'evoluzione economica del Savallese, la descrizione di Giovanni Da Lezze redatta nel 1609: "Il Commun di Savallo è diviso in quattro Communi, cioè Alone, Comero, Osico, et Mura con alcune contradelle chiamate Posico, Malpaga, Auro, Fameglia, Casto, et Ulsinago, che in tutto possono esser fuoghi in questo Commune n. 700 in c/a et anime 4500 de quali utili c/a 800.
Ha fucine 35 dove si lavora il ferro, come di sopra, fabricandosi delle lamine, et di ogni altra sorte di ferramenta d'Agricoltura, et simili.
Nel qual Commune, terre, et contrade vi si fabricano dei panni bassi al n. di 500 in 600 pezze all'anno de brazza 60 l'una, per il qual effetto vi sono anco cinque folli, che lavorano sopra alcuni fontanoni che nascono in quel commune per folar detti panni; si vendono in 16 gazette il brazzo di color bianco solamente et tanè, nei quali dui essercitj vivono molte persone prevalendosi dette lane di Venetia, et di altre del paese.
Confina con Lodrino di Valtrompia, et molti di questi pratticano a Venetia nel fachinar, et vi sono à ponto a Venetia quattro, o cinque fonteghi di malvasie de quali sono padroni quelli del predetto Commun, et in particolare il sig.r Benetto, et fratelli Soldi, sono ricchi di trecento, et più mille scudi.
Questo Comune si governa sotto la giurisdizione della Valle, et in particolare col suo proprio conseglio, o vicinanza, havendo ogni commune beni proprij, et communali, che per esser beni antichi non è possibil poter discender la sorte di essi, basta che detti Communi godono la gratia et benignità del Prencipe, né s'impone in questo Commune particolarmente alcuna sorte di taglie, o gravezze, ma quelle si pagano di proprie entrate di legna, et molini di raggione di essi, essendoche ogni Commune fà il suo Molin proprio, li affittano, et sono sopra li fontanoni, li quali finiscono in Chies...".
Fra periodi di relativo benessere, pestilenze, carestie, fervori religiosi, ecc., Mura si accompagnò al dominio veneto sino alla fine del 1700, non accettando di buon grado, nonostante il difficile momento economico e fiscale della Serenissima, l'avvento francese.
Nel 1797, con l'annessione della Repubblica Bresciana alla Repubblica Cisalpina, il territorio venne diviso in Dipartimenti, a loro volta suddivisi in Distretti.
Mura, col nome di Savallo, ancora distinta da Posico (che faceva comune a sè), entrò nel Distretto delle Fucine (XV), con Nozza capoluogo.
Dopo il 1806, con il Regno d'Italia, si costituì, fra Mura, Comero, Posico, un unico comune, con centro in Posico: Comune di Posico con Mura e Comero.

Con la disfatta di Napoleone, ritornò il Governo austriaco; Mura venne a far parte del Distretto di Vestone.
I fermenti libertari portati dai Francesi lasciarono molti proseliti nel Savallese, ove si sviluppò una vivace resistenza alle imposizioni austriache.
Il 1859 segnò la data, come per tutta la Valle, di ingresso nel Regno d'Italia e l'arciprete di Mura, pur a malincuore, intonò nella grandiosa chiesa plebana il Te Deum di ringraziamento.
Le elezioni politiche del 1861, nel Collegio elettorale di Salò, riservate ancora a pochissimi, segnarono l'inizio di un nuovo percorso, intessuto di conquiste democratiche e popolari, ma anche corredato da eventi tristi e tristissimi, come il fascismo e la guerra, che tutti conosciamo.

Sia nel capoluogo che nelle frazioni esistono ancora abitazioni signorili sopravvissute alle ristrutturazioni selvagge della seconda metà del ‘900, che testimoniano la ricchezza e il prestigio raggiunto dai suoi abitanti sotto il dominio veneto.
In particolare si ricordano casa Crescini in via Castello e casa Caggioli in piazzetta Cavour nell’abitato di Mura; casa già Guffanti a Veriano; cà de becc (già casa Montini a Olsano e la splendida casa Pilotti (de’ Marchi) a Posico.
Tuttavia gli elementi più importanti del patrimonio storico – artistico del nostro paese sono gli edifici di culto.

Collocata in posizione panoramica poco sopra il paese troviamo l’elegante ed imponente mole della chiesa parrocchiale dedicata alla Vergine Assunta.
La chiesa plebana si offre alla vista come simbolo stesso del ruolo di preminenza che le garantiva la giurisdizione ancora esercitata all’epoca della sua costruzione sul vasto territorio del piviere, che comprendeva oltre a Casto e le sue frazioni, anche le parrocchie delle Pertiche fino a Presegno e Bisenzio.
La chiesa venne edificata per volere dell’arciprete Matteo Travaglioli negli anni tra il 1693 e il 1706; nel 1715 veniva consacrata dal vescovo Barbarigo. Il progetto richiama quelli del Bagnadore per la distrutta chiesa di S. Domenico a Brescia e quello del Lantana per la parrocchiale di Bagolino. La struttura esterna si slancia leggera, grazie soprattutto all’alternarsi di chiari e di scuri, data dagli arconi che smuovono le superfici, alla presenza degli eleganti portichetti laterali e all’armonia compositiva di tutto l’insieme.
La facciata pulita e lineare è scandita da paraste. Nella parete nord-est della costruzione troviamo l’elegante struttura della torre campanaria. Essa venne realizzata nelle forme attuali tra il 1796 e il 1809, anno in cui fu approntato il castello delle campane.
L’interno si presenta luminoso ed elegante, scandito dalle otto cappelle laterali e da lesene sormontate da capitelli corinzi. La decorazione della volta con i tre grandi medaglioni raffiguranti l’Incoronazione della Vergine, l’Adorazione dei pastori e quella dei Magi fu realizzata nei primi anni del XVIII secolo da Antonio Capello e Giò Batta Ottino, mentre la restante decorazione fu realizzata negli anni ’20 del ‘900 dai Trainini.
Gli altari laterali offrono esempi delle prestigiosa tradizione valsabbina dell’intaglio ligneo, spaziando dal XVI al XVIII sec.; mentre le pale sono originarie sia dell’area veneta (il Bassano e il Palma) sia di quella bresciana (Paglia, Scalvini e Voltolini)
L’ancona lignea dell’altare maggiore è di grandioso effetto scenico; venne realizzata da Giovan Battista Poccia già in spirito neoclassico, sotto la sovrintendenza di Pietro Scalvini. Essa ha la funzione di incorniciare ed esaltare la grande pala del Palma, appositamente ampliata dallo Scalvini stesso.
Sempre nel presbiterio vi è l’organo realizzato da Luigi Amati nel 1802 e in seguito più volte rimaneggiato, è oggi in cattive condizioni di conservazione.
In sagrestia ricordiamo i medaglioni della volta affrescati dal Voltolini nel 1712 con gli episodi della vita della Vergine e la Trasfigurazione sul monte Tabor.

La chiesa di San Domenico è di origine incerta, forse dovuta alla predicazione dei Padri Predicatori, viene citata già negli atti della visita del vescovo Bollani del 1566.
La chiesa è a navata unica e presentava fino agli anni ’60 del secolo scorso un elegante portichetto in seguito demolito.
Rimaneggiata nella prima metà del XVII sec., periodo in cui venne dotata dell’unico altare, si presenta nell’insieme curata e ben tenuta.
Gli affreschi della volta sono della prima metà del XVIII secolo, di buona mano, e raffigurano episodi della vita di S. Domenico.
La chiesa fu sede di Cappellanie e fino agli anni ’60 del secolo scorso vi risiedeva il curato. Essa seppur subì una profanazione e spogliazione nel 1797 da parte delle truppe giacobine, che ne depredarono le suppellettili e sfregiarono la graziosa pala.

La Chiesa della Santissima Trinità venne edificata verso la fine del XVI sec. come oratorio privato, amministrato da una cappellania, discioltasi negli anni ’30 del ‘900.
E’ dotata di un'unica navata. L’unico altare presenta una discreta pala incorniciata da una soasa tardo settecentesca..
Originariamente era dotato di un organo, purtroppo disperso nella seconda metà dell’Ottocento, probabilmente realizzato dal veneziano Gaetano Callido.
La navata, il presbiterio e la sacrestia sono ornati da eleganti stucchi primo secenteschi, che incorniciano affreschi coevi. Nel medaglione del presbiterio si trova l’Incoronazione della Vergine, mentre in quelli della navata il Sacrificio di Isacco e il Sacrificio sull’ara di Ornan.


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AGNOSINE

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Agnosine è un comune italiano della Comunità Montana della Valle Sabbia.

Il territorio del comune di Agnosine è situato nella zona centro-occidentale della Val Sabbia, nella cosiddetta "Conca d'Oro", dove scorre il fiume Vrenda. Il territorio è prevalentemente montuoso ed è compreso tra i 320 metri ed i 1000 metri sul livello del mare.

Attualmente il comune comprende le frazioni di Trebbio (da trivium, cioè incrocio di tre vie), Renzana (da fundus arentianus dal nome gentilizio romano Arentius), Binzago (da blandus), S. Andrea e Casale.

Il nome del paese non ha etimologia sicura. Dialettalmente il toponimo suona Gnusen. Anche se probabilmente di origine ben più antica, il suo nome appare nella storia bresciana solo dopo l'XI secolo con Agnoseno, poi Agnosino(secolo XIV) e in seguito Agnosen (secolo XVII).
Alcune voci del luogo vogliono la sua derivazione da agnus (agnello), poichè qui venivano a pascere mandrie e armenti; per altri, invece, il nome deriva da noce e altri ancora avanzano l'ipotesi che l'origine sia da ricercarsi nella voce longobarda agno (ontano).
Si è notato anche che in provincia si hanno i toponimi Esine, Tremosine e, sulla sponda veronese del Garda, Malcesine, i cui suffissi manifestano una probabile comunanza di origine, forse etrusca.
Nel Medioevo, Agnosine fu sede del feudo vescovile tenuto dalla famiglia Guazoni.
Dopo la morte dell'ultimo discendente, il vescovo Raimondo di Brescia nel 1157 lo donò al monastero benedettino di Serle, che a sua volta lo concesse al vassallo Uchicione Basaguerra.
Entrato a far parte dei domini viscontei nel 1388, passò alla Quadra di Val Sabbia, con privilegi poi confermati dalla Repubblica di Venezia nel 1452.
Essendo ricco di foreste e selvaggina, era un territorio appetito e pare che, ancora nel 1608, un tale Bernardino Soldo vi invitasse i suoi illustri amici bresciani alla caccia della lepre.
Nel 1440, il borgo di Agnosine venne concesso in feudo da Venezia ad Alberghino da Nozza, insieme con le terre di Bione, Preseglie e Odolo.
Negli anni del 1500, ad Agnosine, zona contadina di pascolo e allevamento, emerse un'attività manifatturiera che trasformò il paese in un importante centro industriale.
Vi funzionavano ben 36 folli per purgare i panni di lane grosse, che venivano portati anche dai paesi limitrofi.
L'aumento del dazio, imposto dalla Repubblica di Venezia, e la conseguente crisi dei panni-lana sconvolse anche Agnosine, dove molti folli fallirono e all'epoca del Catastico del 1609 ve n'erano in attività solo 6.
Furono secoli tristi e si concluse così la prima parentesi di attività artigianale e industriale; di conseguenza la popolazione tornò alla antica vita rurale.

Nell'ultimo secolo, grazie all'opera di alcuni "pionieri" dell'industria, Agnosine si seppe però riscattare. Si assistette, infatti, ad un rapido sviluppo sul mercato dei prodotti di locali industrie, operanti nei settori della metallurgia e della lavorazione del legno, che riuscirono a soddisfare la domanda di monodopera.
Negli ultimi anni si è avuto un rapido fiorire di aziende minori, addette alla lavorazione dei metalli, che hanno fatto di Agnosine "la patria delle maniglie".

Il percorso del Fontanino che mira alla valorizzazione e rivalutazione di una parte del paese che un tempo era una meta abituale degli abitanti del luogo.
La zona prende il nome de il Fontanino (in dialetto "Funtanì") ed è facilmente raggiungibile da una strada costeggiante il rio Bondaglio.
Sia il percorso che la zona stessa risultano estremamente suggestivi, affascinanti e caratteristici. L'importanza dell'area risiede, come fa intendere il nome, nella disponibilità di una preziosa risorsa, l'acqua, che dagli abitanti di Agnosine, così come dagli abitanti dei paesi vicini, era vista come un vero e proprio "tesoro".
Dalla località "Funtanì" è poi possibile portarsi in un bosco di faggi lungo una stradina che passa per la Santella Mora. In questo luogo, in base ad antiche credenze, era possibile recarsi per richiedere grazie ed intercessioni ai santi ed alla Vergine Maria.

Il monumento più rappresentativo del paese è la parrocchiale, dedicata ai Ss. Ippolito e Cassiano, già ricordata in un documento del 1037, anche se l'attuale edificio venne costruito nel 1711 e fu terminato nella facciata, su progetto di Rodolfo Vantini, nel 1840.
La chiesa fu consacrata nel 1872 da Mons. Verzeri e in seguito decorata con affreschi del Trainini. Presenta un interno caratterizzato dalla vigorosa classicità dell'ordine e degli elementi decorativi, fra i quali spiccano i festoni e le pale degli altari.
A Casale, sulla statale per Lumezzane, forse luogo di presidio militare longobardo, sopra un dosso, sorge il Santuario di San Giorgio.
Di origini antiche, nel 1700 venne ampliato e, ancor oggi, conserva l'antica abside di sicure caratteristiche romaniche e che funge da cappella laterale.
Particolare è l'affresco, di una certa efficacia popolaresca, raffigurante S. Giorgio con il drago sotto i piedi, tra S. Rocco e S. Sebastiano.
Visitata da ignoti, la chiesetta è stata privata di alcune tavolette votive, di due tele e di due angeli in legno del Settecento. Il santuario è stato completamente ristrutturato nel 1976.
L'organo ad un manuale reca la targa Fabbrica d'Organi Bianchetti-Facchetti Brescia, corso Montebello, anno 1899. Ha 25 canne in stagno.
A nord-ovest, verso Bione, vi è la frazione di S. Andrea, caratteristica per le sue stradette con archi e voltoni dei secoli XIV e XV: Nel centro della frazione sorgeva la vecchia chiesa (1457) e, nel 1700, ne fu edificata una nuova sopra il paese.
Caratteristica è la soasa del 1715 che incornicia una pala, raffigurante il martirio di S. Andrea, del Voltolini.

Binzago, che deriva da Blandus, è raggiungibile imboccando una strada stretta e tortuosa ai piedi del Colle di S. Eusebio.
Qui sorge la "chiesa parrocchiale dell'Annunciata" del 1673 che, dietro una facciata modesta, presenta un interno con una notevole armonia decorativa.
Di fianco sorge il campanile che risale al 1744.
Poco prima di giungere a Binzago si incontra un raggruppamento di case sorto nei pressi di una chiesetta dedicata a S. Lino.

Antecedente al secolo XIV; il santuario è un singolare esempio di edificio a pianta circolare. È dubbio a chi fosse inizialmente consacrato e, comunque, dal 1646 viene mantenuto il titolo di S. Lino. Nel 1630, durante la peste, sorse qui un lazzaretto e la chiesa divenne sicura meta per i fedeli. Di valore è la pala raffigurante la Deposizione con i santi Lino, Antonio Abate e Lucia, incorniciata da una ricca soasa.

A Renzana (Fundus Arentianus, dal nome gentilizio romano Arentius) si può ammirare la chiesa dedicata a tutti i Santi, già menzionata nel 1566 negli Atti della visita Bollani.
Nella parte alta del paese sorge un santuario intitolato alla Madonna delle Calchere, singolare costruzione con accanto una fontana di acqua che ha fatto credere alla popolazione ad una apparizione.
Il santuario è composto da un'unica navata e dipendeva un tempo dalla parrocchia di Binzago.
Fu costruito agli inizi del '600, almeno secondo il libro della Madonna delle Calchere, esistente nell'Archivio Parrocchiale di Agnosine.
Ma l'attuale costruzione risale al 1674, come testimoniano gli Atti della visita pastorale di Marin Giorgi, ed avvenne sopra una preesistente cappelletta.
Il 21 maggio 1716, la vicinia, riunita nella chiesa di Tutti i Santi a Renzana, decise la costruzione di un campaniletto, isolato dalla chiesa e in cima al dosso del Dossolo.
I quarantadue presenti motivarono la scelta del campanile isolato per sentirne il suono delle campane; il campanile unito alla chiesa avrebbe dovuto essere troppo alto, per rispettarne la funzione, e quindi avrebbe richiesto una ingente spesa.
Nel 1725 il vescovo Barbarigo annota che il santuario si mantiene con le elemosine dei cristiani. Un custode alla chiesa fu posto dalla vicinia nel 1750.
Poco più tardi, nel 1758, fu commissionata ad un certo B. And Severo di Preseglie una nuova soasa, che ha richiesto una spesa di 35 scudi bresciani.
La pala è firmata nel 1711 da Bernaldino Piana Rossa della Valle di Enna ed abitante in Brescia. Raffigura la Madonna che presenta Gesù Bambino a S. Antonio da Padova, circondato dai santi Antonio Abate, Rocco, Bernardino.

Al centro di Trebbio (da Trivium: località posta all'incrocio di tre vie) è situato l'antico santuario di S. Maria Assunta del Campello. L'originaria costruzione è di incerta datazione. La si attribuisce al secolo XV.
Nel 1566 il Bollani annotava la celebrazione di messe e funzioni, pur non possedendo la chiesa alcun beneficio.
Il libro dello Stato e diritti della chiesa brescia, del 1578, riporta la stessa notizia e giustifica le celebrazioni in base alle elemosine, segno di una profonda devozione alla Vergine.
S. Carlo, nel 1580, trova il santuario piccolo e del tutto spoglio di suppellettili.
Anche, ed è l'anno 1651, il vescovo Morosini riferisce dello stato precario del luogo sacro, ordinandone un pronto rinnovamento delle pareti e un restauro delle immagini dipinte, vetustate squallidae.
Evidentemente i sindaci, cui era affidato il santuario, gravati da incipienti preoccupazioni economiche per un irrigidimento fiscale di Venezia, lo avevano lasciato nell'incuria e nell'abbandono, usando anche il denaro e il pur povero patrimonio della piccola chiesa.
Il mese di tempo dato alle autorità dal vescovo Morosini, per intervenire ai restauri, non fu preso in considerazione, se sette anni dopo, nel 1658, il cardinale Ottoboni rivolge nuovamente un appello alle stesse.
Economicamente il santuario non fu mai nell'agiatezza. Nel 1703 aveva legati per farvi celebrare sei messe alla settimana, diventate, nel 1715, solo quattro.
Interviene anche il vescovo Barbarigo, annotando la presenza di un cappellano e richiamando all'esecuzione degli ordini impartiti dal suo antecessore Dolfin di togliere un altare laterale della Madonna.
Il Libro nuovo contenente tutti li capitali della Vergine di Campello e del Ss. Rosario riporta meticolosamente le spese sostenute per il decoro, gli abbellimenti, le cerimonie dal 1732 al 1829.
Nella festa del 15 agosto, particolarmente sentita e frequentata, vi si celebrava una solenne messa, con musiche varie.
Durante le guerre, e soprattutto nell'ultima, la devozione a Maria si espresse con frequenti visite al santuario, con consacrazioni, petizioni di grazie, voti solenni privati e pubblici.
Nel 1946 Mario Pescatori e Giuseppe Simoni eseguirono un completo restauro degli affreschi.
In località Villa, secondo alcune voci, doveva trovarsi una chiesetta dedicata a S. Caterina d'Alessandria, citata anche negli Atti della visita Bollani, che scomparve ben presto a causa della franosità del luogo.
Sempre qui sorge ancora oggi un fabbricato che la tradizione popolare chiama con mistero fienil de le strée de Vila, ma che in realtà rappresenta il più antico e prezioso edificio presente in loco.
Poco rimane invece in tutto il paese dei caratteristici loggiati e porticati delle antiche dimore rurali, ristrutturate non sempre secondo canoni idonei.



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VALLIO TERME



Vallio Terme è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia.

Il paese si trova all’interno della vallata percorsa dal torrente Vrenda ed è compreso tra i monti Ere e Crovino a nord e a nord-est, il monte Fontanelle, l’Olivo e i Tre Cornelli a sud. Vallio si trova a cinque chilometri da Gavardo.

L’etimologia del nome Vallio deriva dall’aggettivo Vallus che vuol dire valle. Fino al 1976 il paese si chiamava solo Vallio, successivamente con un referendum divenne Vallio Terme.

Vallio è nota per le sue Terme che furono fondate da Albino Berardi nel 1953; l’acqua è chiamata “Castello di Vallio”ed è indicata per la cura del fegato e dell’apparato digerente.

Nel 1951 l’attività termale legata alla valorizzazione delle Fonti di Vallio (cure sanitarie, imbottigliamento, e vendita), ha sviluppato un attività alberghiera, incentivato residenze e presenze turistiche nella stagione estiva. Oltre alle cure termali è possibile cimentarsi in particolari escursioni sui monti circostanti e godere del patrimonio artistico locale che offre alcune valide opportunità: la settecentesca chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo del 1754 e il Santuario della Madonna del Manghér eretto nel 1723 per espressa richiesta della comunità. In zona sono presenti ritrovamenti archeologici sia preistorici che romani presso il museo archeologico della Valle Sabbia. Le iniziative della Comunità Montana, danno la possibilità a chi arriva a Vallio Terme, di godere dei sapori del territorio. Vari e nutriti sono gli eventi organizzati dagli enti ed associazioni presenti sul territorio: feste religiose e civili, giochi della tradizione popolare, mercatini di Natale e di Primavera, rassegne bandistiche e corali, manifestazioni sportive, lezioni itineranti di Nordic Walking lungo percorsi tracciati.



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BARGHE



Barghe è un comune situato nella Valle Sabbia.

Le origini del nome non sono chiare. Secondo alcuni il nome deriva da un antico ponte di barche che attraversava il fiume Chiese per consentire ad uomini e merci delle Valli di risalire verso il Trentino. Secondo la tesi più accreditata il nome deriverebbe dall'etimo "barek", che significa banco, copertura. Pare infatti che nel medioevo in questa zona della Valle Sabbia, profittando del riparo di una grande parete rocciosa e ben soleggiata, vennero costruite delle tettoie recintate destinate alla custodia e riparo di animali domestici: capre, mucche, pecore. Queste baracche di legno utilizzate oltre che per il bestiame anche al ricovero di viandanti, avrebbero indicato la località.

A Barghe fu rinvenuta una delle due uniche testimonianze paleontologiche della Valle Sabbia. Si tratta di una cavità (simile al buco del romito di Levrange) situata dietro l'abside dell'Oratorio di S. Gottardo, che restituì nel secolo scorso avanzi di fauna pleistocenica, insieme con alcuni oggetti preistorici.
Sempre nella grotticella di S. Gottardo fu anche rinvenuta una lama ritoccata di selce grigia.
Testimonianza di vita preistorica sono anche quattro schegge atipiche di selce rossiccia che, con la lama suddetta, si trovano nei depositi del Museo di Storia Naturale di Brescia.
Barghe costituì quindi una stazione preistorica e fu poi centro noto anche ai Romani.
Prime notizie certe si desumono da alcuni documenti del XIV secolo, quando il paese era denominato Bansis, de Barchis, Barche; e nel secolo XVI Bargis e Bargae.
Nel Catastico Bresciano del Da Lezze (1609) si può leggere: «Barghe è comune diviso in due contrade chiamate Avogadre coll'istesso nome, una di qua et una di là del Chiese per mezzo le quali cammina il fiume et sopra di esso vi sono fabbricati due ponti ... anime 700».
Nel 1385 Barghe fu parte della Quadra di Valle Sabbia e tale rimase anche con l'organizzazione del territorio bresciano da parte della Serenissima.
È nel XVI secolo che il paese raggiunge il massimo splendore: piccole, ma diffuse attività artigianali, legate alla lavorazione del ferro e all'attività estrattiva dell'argento, l'allevamento del bestiame e la silvicoltura, la produzione di carbone trasformano Barghe, da mero luogo di passaggio e di albergo, a fiorente e attivo centro commerciale.
Il monumentale palazzo, già Beccalossi, la chiesa parrocchiale dedicata a S. Giorgio, il santuario di S. Gottardo e numerose altre costruzioni, con caratteristici portali ed archi, soprattutto nella zona più antica, Cimabarghe, sono inconfutabili testimonianze di tale periodo.
I Visconti, i Veneziani, i Bavaresi, i Lanzichenecchi, gli Spagnoli, gli Austriaci hanno tutti lasciato indelebili tracce nella Valle Sabbia e non hanno mai celato il loro interessamento per la stessa a causa della particolare posizione geografica e della relativa importanza politico-militare.
Comune autonomo, poi soppresso d'autorità in periodo fascista, fino al 1956 Barghe è stato amministrativamente unito a Sabbio Chiese: da circa trent'anni è comune e, con le frazioni di Fossane, Vrange e Ponte Re, conta un migliaio di abitanti.

Barghe deve, fin dall'antichità, la sua fortuna alla strategica posizione del territorio che occupa: punto di incontro di importanti vie di comunicazione e conseguente crocevia di genti diverse.
Comprende le frazioni di Fossane, Vrange e Ponte Re.
Attivi e industriosi sono gli abitanti di Barghe. Sebbene il trapasso da un'economia prettamente contadina ad una situazione occupazionale legata al mondo dell'industria sia qui giunta in ritardo rispetto ad altre realtà, il paese non ha mai conosciuto i tristi problemi del lavoro connessi con i fenomeni dell'emigrazione e della disoccupazione.
Dapprima la nascita dell'azienda Falck di Vobarno e poi lo sviluppo dell'industria siderurgica di Odolo hanno offerto la possibilità di un progressivo abbandono del poco redditizio lavoro della campagna, trasformando boscaioli e agricoltori in operai, con tutti i benefici di tale condizione sociale.
Negli ultimi anni, inoltre, si è assistito ad una considerevole crescita del fenomeno artigianale in molteplici attività produttive. Ciò indubbiamente ha molto contribuito allo sviluppo economico e sociale del paese.
Tuttavia, nonostante questa piccola "rivoluzione industriale", la cultura e la mentalità dominanti degli abitanti di Barghe è rimasta essenzialmente contadina.


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