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giovedì 9 giugno 2016

LA PROVINCIA DI COMO

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La provincia di Como è compresa all'interno della Regio Insubrica, di cui rappresenta la porzione centrale, e della regione storica insubre.

Confina a nord e a ovest con la Svizzera (Canton Ticino e Canton Grigioni), a est con la provincia di Sondrio e la provincia di Lecco, a sud con la provincia di Monza e della Brianza e a ovest con la provincia di Varese.
Ha un'exclave in territorio svizzero, rappresentata dal comune di Campione d'Italia.
Il territorio provinciale anticamente era più vasto e comprendeva fino al 1927 anche la parte settentrionale della provincia di Varese (istituita con R.D.L. 2 gennaio 1927, n. 1) e, fino al 1992, la quasi totalità della provincia di Lecco (istituita con D.P.R. 6 marzo 1992, n. 250).

Descrizione araldica dello stemma:

« Partito: il primo di rosso, alla croce d'argento, accontonata nel quarto dalla parola "Libertas", posta in banda, in lettere maiuscole di nero, poste in sbarra; il secondo di verde alla croce latina anomala, scorciata, i bracci allargati verso le estremità, d'oro, caricata da tre gemme ellittiche, di verde, poste una in alto nel braccio verticale, due nel braccio orizzontale, a destra e a sinistra, essa croce accompagnata da quattro stelle di sei raggi, d'oro, due nei cantoni del capo, due nei cantoni della punta; il tutto alla campagna d'azzurro, caricata dal fregio d'oro, formato dalla losanga, vuotata, coricata, intrecciata al rettangolo incavato a triangoli nei quattro lati, ugualmente vuotato e coricato. Ornamenti esteriori da Provincia. »
(Araldicacivica.it)
Lo stemma della provincia di Como è stato modificato nel 2005, dieci anni dopo il distaccamento della provincia lecchese. La parte alta (prima unica con la croce bianca su sfondo rosso e la scritta Libertas) è stata divisa in due sezioni mentre la parte sottostante è stata riunita in un'unica banda, eliminando la divisione tra i simboli di Como e Lecco.

Il "Leone" (simbolo della città di Lecco) è stato sostituito dalla croce di Rovenna e Scaria, circondata da 4 stelle a 6 punte che ricordano come dall'Antico dominio di Como si siano poi gemmate quattro realtà istituzionali ora autonome: Sondrio, Varese, Lecco e il Canton Ticino. Nella fascia inferiore trova spazio un disegno geometrico dei magistri cumacini presente sul basamento della facciata del Duomo di Como. Il simbolo ha significati molteplici, infatti rappresenta un'opera lignea di intaglio, ma anche una ruota dentata oppure una rosa dei venti.

I primi insediamenti stabili nella zona comasca vennero probabilmente creati da antiche popolazioni Liguri della Cultura di Polada. Gli abitati erano collocati lungo le rive di laghi o paludi in zone bonificate disponendo tronchi sul terreno in modo perpendicolare gli uni agli altri. Le prime palafitte - risalenti all'Età del Bronzo - furono posizionate nella zona affacciata sul Lago di Como. Col tempo questi primordiali villaggi sono stati edificati nell'entroterra, posizionati nelle zone più elevate.

Con l'arrivo, attraverso le Alpi, delle popolazioni proto-celtiche della Cultura di Canegrate (XIII secolo a.C.), dalla cui fusione con le popolazioni autoctone nasce la Cultura di Golasecca (IX-IV secolo a.C.), si assiste ad un forte processo di sviluppo per gran parte dell'Italia nord-occidentale primariamente incentrato nella regione dei Laghi.

L'area di Como (sede della Civiltà Comacina) diviene con l'eponima area di Golasecca uno dei due epicentri di questa nuova e originale Cultura golasecchiana celto-ligure.

Tra l'VIII ed il VI secolo a.C. si evolvono nel circondario di Como (sulle colline della Spina Verde a sud rispetto all'attuale città) fenomeni di vero e proprio sviluppo protourbano che conferiscono a questo centro un ruolo commerciale particolare ed un primato culturale sul territorio circostante. Si accentua anche un fenomeno di gerarchizzazione del territorio che si accompagna a modifiche strutturali della comunità, attraverso un processo di stratificazione sociale, con la formazione di stabili élite.

Fondamentale in questo processo, poco dopo la metà del VI secolo a.C., è la formazione dell'Etruria padana e l'espansione tirrenica anche a nord del Po lungo l'asse del Mincio. Al di là delle negative conseguenze in termini politici-militari-fiscali dell'Egemonia etrusca, il nuovo asse commerciale Mincio-Brescia-Bergamo-Como-Lago di Lugano verso l'Europa centrale celtica crea un notevole incremento della ricchezza e determina importanti cambiamenti culturali nell'area comasca, con il probabile insediamento anche di elementi etruschi tra la popolazione residente. Grazie a questa "fusione" fra i due popoli l'antica Como conobbe un periodo di discreta ricchezza, testimoniata dai numerosi materiali preziosi ritrovati nelle necropoli. L'uso della scrittura appare ora diffuso ampiamente sulle ceramiche.

Nel V secolo a.C. si accentua ancora di più l'importanza, e la ricchezza, di Como che diviene anche diramazione, forse la principale, delle vie commerciali etrusche sull'asse Genova-Milano-Europa centrale.

Con l'arrivo delle grandi ondate di immigrati celto-Galli di origine transalpina (e portatori della Cultura di La Tène) che si vengono a stabilire nella Val Padana, a partire dal IV secolo a.C. il territorio di Como si organizza politicamente nella sua prima popolazione storicamente conosciuta: i celti o, più probabilmente, celto-liguri Orobi.

Poiché l'invasione gallica dell'Etruria padana a sud del Po, combinata con la pressione esercitata da meridione da parte dei Romani, annienta la potenza etrusca, viene meno la corrente commerciale tra la penisola italica e il nord delle Alpi (già di per sé gravemente turbato da avvenimenti propri) che aveva fatto fiorire Como; l'abitato si riduce sensibilmente, mentre insediamenti prettamente gallici si ritrovano a Gudo, Solduno, Plesio, Introbio, Varenna, Esino Lario.

Nel periodo lateniano l'area Orobia di Como, con il suo "Comum Oppidum" e la rete di "Castella" appare conservare più a lungo un "aspetto golasecchiano" mentre l'area orientale, lecchese, del Lario presenta più marcati e precoci tratti gallici nell'organizzazione del territorio e dei rinvenimenti archeologici, come testimoniato dai ritrovamenti di Acquate ed Olate.

Durante il V secolo a.C. i Galli presero possesso del centro abitato di Como, impostando una società gerarchica e costruendo numerosi castelli con più strati di mura. Essi fondarono a Como un oppidum, cioè un centro fortificato.

Più tardi gli Orobi, e tra loro i Comenses abitanti di Como, confluiranno, pur con una loro identità indipendente, nella confederazione (foedus) celtica o celto-ligure degli Insubri che domina sui territori dell'odierna Lombardia occidentale (Regio Insubrica) e Piemonte orientale.

Sulla sponda lariana la vivacità di facies assicura un'ampia frequentazione della zona. Fonti epigrafiche ci tramandano anche i nomi dei alcuni popoli federati, stanziati sulle sue sponde: i Gallianates di Galliano, oggi frazione di Cantù, gli Ausuciates di Ossuccio, gli Aneuniates di Olonio, i Clavennates di Chiavenna e i Bergalei della Val Bregaglia. Alla conquista romana di Como, il territorio era ben organizzato e sull'Oppidum comense gravitavano ben 28 castella, che si arresero ai conquistatori con il capoluogo. Nella battaglia perirono quarantamila soldati.

La conquista della Gallia Transpadana iniziò nel 225 a.C. e dopo la pausa della Seconda guerra punica, terminò nel 196 a.C. con la conquista di Como. Il console Marco Claudio Marcello fu magnanime con i vinti. I Comensi vennero legati a Roma da un foedus, un vincolo federativo, nel rispetto delle autonomie locali. In cambio poté contare sulla loro assoluta e perenne fedeltà. Per circa un secolo la presenza romana fu sporadica ed episodica fino a che il settentrione rivestì un interesse fondamentale per assicurare una adeguata sicurezza e per saziare le mire espansionistiche commerciali e militari oltralpe.

I Romani presero possesso di Como, facendo sì che essa diventasse un luogo economicamente, politicamente e militarmente strategico. Nello stesso anno Roma divenne padrona della intera Lombardia.

Nell'89 a.C. Gneo Pompeo Strabone si affrettò ad aiutare Como, devastata da un'incursione di Reti: la restaurò e conferì ai comensi lo ius Latii, la cittadinanza latina.

Successivamente, nel 77 a.C., giunse a Como un gruppo di 3.000 coloni, guidati da Lucio Cornelio Scipione Asiatico Emiliano, che si stanziarono sulle pendici circostanti l'attuale convalle. Il toponimo "Coloniola", oggi riservato ad un quartiere della città, è quantomai significativo in proposito.

Ma il vero artefice e fondatore ex novo della colonia latina di Novum Comum è considerato da tutte le fonti Gaio Giulio Cesare.
Nel 59 a.C., con l'obiettivo di rafforzare Como ed il Lario per la sua importanza quale via di comunicazione con i passi alpini verso l'Europa centrale, ed autorizzato dalla lex Vatinia, che gli conferiva il potere proconsolare, fondò nell'area dov'è ubicata ora la città, Novum Comum, circondandola di mura e vi trasferì 5.000 coloni, tra i quali 500 Greci a cui gli storici classici locali, come Maurizio Monti, hanno voluto ricondurre l'origine etimologica di località quali Lecco (Leucos), Corenno (Corinto), Lenno e Lemna (Lemnos), Nesso (Nasso), Dervio (Delfo). L'ipotesi è però smentita dalla moderna ricerca storica e toponomastica.

Nel 49 a.C. Novum Comum acquisì la cittadinanza romana e da colonia latina divenne municipium civium romanorum della repubblica romana. I comensi possedevano così la pienezza del diritto riservato ai cittadini di Roma e la città aveva la propria Curia ed era amministrata da un collegio di quattro magistrati.

Divenuta municipium romano ed aggregata (insieme a Milano) alla tribù Oufentina, estendeva il suo territorio dalle Alpi alla Brianza, dai laghi varesini all'Adda, insinuandosi a sud fino alla Grangia di Lainate ed a nord fino alla Valchiavenna e parte della Valtellina.

Durante il I secolo d.C. la crescita cittadina fu aiutata dalle donazioni dei Plinii, che fecero erigere una biblioteca e uno spazio termale.

Grazie alla crescente ricchezza cittadina, in città vennero costruiti vari edifici o luoghi di interesse comune: un foro, un porto, terme, templi e mura. Intorno al 15 a.C. venne costruita la Via Regina, importante via di collegamento verso il centro Europa.

Testimonianze di questo benessere sono gli scritti di due famosi abitanti comaschi vissuti in quell'epoca: Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane. Il secondo, nell'anno 100 console romano, fece costruire una grande statua in onore di Giove, a testimonianza del rimpiazzo delle divinità romane su quelle galliche.

La condizione si perpetuò fino a più d'un secolo dopo, quando l'intero Impero Romano visse una profonda crisi economica e politica. Ad aggravare la situazione vi fu l'invasione degli Alemanni nell'Italia settentrionale, avvenuta nel 250 d.C. e conclusasi solo con l'intervento delle truppe imperiali.

I Nautae Comenses gestivano i commerci ed erano i padroni assoluti del lago, tanto che, quando Milano diventerà capitale di fatto dell'impero (288-289), l'autorità comasca dotata di ampi poteri sarà il praefectus classis cum curis civitatis: la specificità di Como non era tanto il controllo del traffico terrestre, ma quello della navigazione, che rappresentava la via privilegiata di comunicazione sia per i traffici commerciali che per i movimenti di truppe con il mondo transalpino.

Nel 354 venne esiliato a Como il futuro imperatore Flavio Claudio Giuliano.

La crisi venne tuttavia superata velocemente grazie all'intervento di Costantino, il quale frammentò il territorio in molte provincie autonome, le quali ebbero la possibilità di consolidare la propria situazione sociale senza interferenze esterne.

Iniziò così un altro periodo assai fortunato, nonostante che l'Italia fosse stata lasciata quasi interamente alle popolazioni dell'estremo nord europeo.

Durante l'alto Medioevo Como subì l'invasione dei Goti prima e dei Longobardi poi; nel 951 scese in Italia l'imperatore Ottone I e tra i suoi sostenitori c'era anche Gualdone, vescovo di Como. Durante il periodo comunale Como fu contesa tra le famiglie rivali dei Rusca (o Rusconi) o Ruschi, e dei Vitani. In seguito alla Guerra decennale (1118-1127) tra Como e Milano, il 27 agosto 1127, a conclusione del conflitto, Como fu assediata dalle forze milanesi ed incendiata, le mura e le abitazioni distrutte, gli abitanti dispersi. Attraverso l'alleanza con Federico Barbarossa, Como trovò negli anni seguenti l'occasione di ricostruirsi e di aspirare all'egemonia perduta. Con l'aiuto dell'Imperatore, nel 1158 riedificò ed ampliò le mura della città con le sue imponenti torri di Porta Torre, Torre di San Vitale e Torre di Porta Nuova (o Torre Gattoni) e restaurò il Castel Baradello, potenziandolo con la costruzione della poderosa torre e delle altre strutture.
Nel 1159 ospitò lo stesso Imperatore con la consorte Beatrice di Borgogna, di passaggio in città.
In questi anni di effimera gloria, Como ebbe la sua vendetta partecipando all'assedio ed alla distruzione della città di Milano, avvenuta nel 1162, e quella dell'Isola Comacina, avvenuta nel 1169.
Infine a Legnano, nel maggio 1176, gli alleati della Lega Lombarda sconfissero definitivamente l'esercito imperiale. Con un diploma datato 23 ottobre 1178 Federico Barbarossa donò alla Chiesa ed alla Comunità di Como, quale premio della loro fedeltà, il Castel Baradello insieme alla Torre di Olonio.

Dal 1327 la città cadde in dominio dei signori Rusca quando Franchino I instaurò una signoria personale su città e contado divenentando vicario imperiale. Tale situazione durò però solo fino al 1335, quando Azzone Visconti rovesciò la signoria dei Rusca e annesse la città al Ducato di Milano.

A questo periodo risale anche l'apertura della zecca.

Alla morte di Gian Galeazzo Visconti, avvenuta nel 1402, Franchino II Rusca tentò di instaurare a Como una signoria personale. Il figlio Loterio IV salì al potere nel 1412. Seguì un periodo di devastazioni e stragi fino al 1416, quando Como si consegnò a Filippo Maria Visconti. Alla morte di quest'ultimo (1447) Como conobbe un breve periodo d'indipendenza con la sua "Repubblica di Sant'Abbondio". Nel gennaio del 1449 Francesco Sforza inviò Antonio Ventimiglia per attaccare Como ma venne respinto dai cittadini guidati da Giovanni della Noce e si ritirò a Cantù. Il Monzone aiutò i Rusca contro i guelfi Vitani. Nell'aprile del 1449 Antonio Ventimiglia assale nuovamente Como con l'appoggio dei canturini. Nel 1450 la città si sottomise definitivamente a Francesco Sforza. I primi 20 anni del XVI secolo e l'ultimo decennio del XV (dal 1494) videro il territorio comasco e la sua capitale disputati tra francesi e sforzeschi, che, tra l'altro, comportarono la definitiva occupazione da parte di alcuni cantoni svizzeri del Ticino e della Valtellina (inclusa la zona di Colico e le tre pievi, Dongo, Domaso, Sorico) da parte dei Grigioni. Alleati dei francesi erano, in genere, i guelfi, nemici i ghibellini. Durante l'occupazione francese i ghibellini comaschi furono in buona parte costretti ad abbandonare la città come ribelli, oppure decisero di lasciarla per dedicarsi alla guerriglia uniti ai ghibellini lariani, numerosi villaggi tra Como e Lecco (Bellano, Introbio, Sorico, Dongo, Musso) subirono saccheggi e devastazioni sia da parte delle truppe straniere e mercenarie, sia da parte delle milizie partigiane guelfe e ghibelline. Tra i ghibellini primeggiarono Giovanni il Matto di Brezio e l'esule milanese Gian Giacomo Medici detto Medeghino, mentre tra i guelfi i fratelli Borsieri.

Quando la città era occupata dai ducali, i guelfi organizzavano la guerriglia sul lago e in Brianza, usando come centro l'allora molto grande e ricco paese di Torno, che nel 1522 fu distrutto dagli sforzeschi e rimase disabitato per quasi un decennio. Successivamente il Duca di Milano, Francesco II Sforza, tornato dall'esilio nel 1523 riuscì a riconquistare con l'aiuto spagnolo e imperiale il Ducato di Milano (1524) e a riaffermare la propria signoria su Como. Il Medeghino ottenne, in cambio della sua fedeltà, il castello di Musso e il contado di Porlezza, da cui cominciò, con l'aiuto dei nobili comaschi ma senza l'appoggio del duca, una lunga guerra contro i grigioni che comportò la riconquista dell'alto lago e del Pian di Spagna.

Nell'ottobre del 1525, dopo la congiura Morone e il "tradimento" di Francesco II Sforza, Como veniva occupata Don Pedro Arias, inviato da Antonio de Leyva, con 200 spagnoli, portati rapidamente a 1000. La città e il lago furono coinvolti nella guerra tra le truppe della lega (che comprendevano tanto gli Sforza quanto la Francia e i veneziani) e la Spagna. Principale partigiano locale della lega il Medeghino, che riuscì ad occupare quasi tutto il Lario (a nord della linea Brienno-Nesso, e ad esclusione di un'enclave spagnola attorno a Lecco), buona parte della Brianza orientale, con la fortezza di Monguzzo come "capitale" e il castello di Civello di Villa Guardia, tanto che il de Leyva ordinò la distruzione di tutte le fortezze che gli spagnoli non riuscivano ad occupare stabilmente per impedire che cadessero in mano al Medeghino, incluso il castel Baradello. Nel 1527 il Medeghino, dopo essere stato sconfitto nella battaglia di Carate Brianza, persa Cantù e fallita l'occupazione di Lecco decise di abbandonare il Duca (con il quale i rapporti erano decisamente freddi da molti anni) e si alleò agli spagnoli in cambio del titolo di Marchese di Musso e Conte di Lecco, ottenendo buona parte della provincia di Como, l'intera provincia di Lecco e l'alta Val d'Ossola come marchese imperiale (ma Carlo V non controfirmò mai il trattato), la città e la Brianza occidentale, unita alla zona di Villa Guardia tornarono invece agli spagnoli e nel 1530, con la pace tra Spagna e Ducato di Milano tornarono lentamente al duca Francesco II.

Tra il 1530 e il 1531 iniziò una sorta di guerra fredda tra il duca e gli svizzeri protestanti da un lato, il Medeghino e gli svizzeri cattolici dall'altro: il duca pretendeva la restituzione del Lario, che il Medeghino ancora occupava, anche se l'Imperatore non aveva confermato il suo titolo di Marchese. Nel 1531 il Medeghino attaccò a sorpresa i Grigioni, conquistando facilmente la bassa Valtellina, ma venendo poi a sua volta attaccato, oltre che dagli stessi Grigioni, dai cantoni protestanti e dal Duca di Milano coalizzati in una dura guerra che sconvolse tutto il Lario per due anni. Il Medeghino riuscì a conservare la maggior parte delle sue fortezze, ma non riuscì a conquistare Como e dovette alla fine venire ai patti con il Duca, ottenendo in cambio della rinuncia al suo stato lariano il titolo di Marchese di Melegnano con tutti gli annessi e connessi.

Nel 1532 il Ducato di Milano ripristinò la provinicia di Como, anche se monca dei territori ticinesi (mentre la Valtellina sarebbe rimasta occupata dalle tre leghe Grigie fino all'età napoleonica), mentre nel 1535 il Duca Francesco II Sforza morì improvvisamente senza eredi; Carlo V (suo cognato) ereditò quindi il titolo di Duca di Milano e l'incamerò nell'impero asburgico.

Da allora Como seguì le sorti del Ducato di Milano e successivamente del Regno Lombardo-Veneto, fino all'Unità d'Italia.

Il 27 maggio 1859, in seguito alla Battaglia di San Fermo, Giuseppe Garibaldi, al comando dei Cacciatori delle Alpi, liberò la città dall'occupazione austriaca.

Durante la seconda guerra mondiale Como non venne mai bombardata.

La provincia di Como venne istituita in seguito alla riforma amministrativa della Lombardia voluta dall'Imperatore Giuseppe II nel 1786, succedendo all'antico Contado di Como significativamente ampliato coi territori di Varese e Lecco. In età napoleonica fu sostituita dal Dipartimento del Lario, salvo essere riproposta nel Regno Lombardo-Veneto con confini che non variarono per più di un secolo, non venendo intaccata neppure dal decreto Rattazzi del 1859.

Dopo l'unità d'Italia fu suddivisa nei tre circondari di Como, di Lecco e di Varese, soppressi nel 1926. Nel 1927 il territorio dell'ex circondario di Varese venne distaccato per formare parte della nuova provincia di Varese.

Nel 1995 il territorio provinciale venne ulteriormente ridotto per l'attivazione della provincia di Lecco istituita nel 1992.

Il territorio comasco può essere diviso in sette aree geografiche omogenee, partendo da nord e scendendo verso sud:
l'Alto Lario Occidentale che comprende i comuni tra Cremia e Sorico, oltre alle valli circostanti;
la zona delle Alpi Lepontine Meridionali che comprende i comuni lariani tra Griante e San Siro oltre ai comuni comaschi del Ceresio e delle valli limitrofe (Val Cavargna e Valsolda);
la zona Lario Intelvese che comprende tutti i comuni della Val d'Intelvi, del lago di Como tra Cernobbio e Argegno e della Tremezzina;
l'area del Triangolo Lariano che comprende la Valassina, Erba, Canzo e altri comuni costituenti l'alta Brianza comasca, Valbrona e i comuni lariani tra Blevio e Bellagio;
la zona di Como e dintorni che si sviluppa nella cintura dei Comuni confinanti col capoluogo;
l'area dell'Olgiatese che comprende i comuni della bassa provincia e i paesi a ridosso del confine con il distretto di Mendrisio e la provincia di Varese, con comuni 'vicini' alla Brianza;
la bassa Brianza Comasca, che è parte della regione brianzola e che comprende Cantù e Mariano Comense, i due centri più popolosi dopo il capoluogo.
Sono comuni della Brianza comasca, cioè Bassa Brianza comasca (Brianza canturina) e Alta Brianza Comasca (Brianza erbese e Brianza canzese): Albavilla, Albese con Cassano, Alserio, Alzate Brianza, Anzano del Parco, Arosio, Brenna, Cabiate, Cantù, Canzo, Carimate, Carugo, Caslino d'Erba, Castelmarte, Cermenate, Cucciago, Erba, Eupilio, Figino Serenza, Fino Mornasco, Inverigo, Lambrugo, Longone al Segrino, Luisago, Lurago d'Erba, Mariano Comense, Merone, Monguzzo, Montorfano, Novedrate, Orsenigo, Ponte Lambro, Proserpio, Pusiano, Vertemate con Minoprio. Inoltre, i seguenti comuni brianzoli sono nella zona di transizione tra Como e dintorni e Brianza Comasca: Capiago Intimiano, Casnate con Bernate, Lipomo, Senna Comasco, Tavernerio; alcuni includono nella Brianza Comasca il ‘tratto' che va da dopo Casnate con Bernate alle sorgenti del Seveso con Villa Guardia, Grandate, Montano Lucino, fino a Cavallasca e anche il ‘tratto' che partendo da dopo Canzo arriva alle sorgenti del Lambro con Asso (e i vicini comuni di Sormano, Caglio, Rezzago), Lasnigo e fino a Magreglio. 'Borderline' con la Brianza sono poi: Cadorago, Bregnano, Lomazzo, Rovellasca, Rovello Porro.

Ai distretti descritti va aggiunta una exclave: quella di Campione d'Italia sul lago di Lugano distante 746 m dal resto della provincia.

Le diverse aree possiedono delle caratteristiche omogenee dal punto di vista climatico, morfologico e demografico. Non sono riconosciute istituzionalmente ma sono già utilizzate dall'amministrazione provinciale per suddividere la struttura ricettiva turistica e per un piano di collaborazione intercomunale tra le varie municipalità.

Le temperature variano dai -5/+5 °C in gennaio ai +20/+30 °C in luglio. La provincia è situata nell'area prealpina ed è caratterizzata da un clima semi-continentale. Gli inverni sono generalmente freddi, specie in montagna, mentre le estati sono calde e afose. Fa eccezione la costiera lariana (specie la Tremezzina), che gode di un clima relativamente più dolce. L'umidità è sempre molto elevata per tutto l'anno.

La provincia di Como è interessata dal flusso di numerosi fiumi e torrenti di piccola o media portata, oltre a ospitare diverse sorgenti acquifere. Sono tre i fiumi che bagnano il territorio provinciale. Il fiume più importante che nasce nel Triangolo Lariano e scorre attraverso Erba è il Lambro: la sua origine si ha in località Alpe del Piano Rancio, nel bel mezzo del Triangolo Lariano, Si immette nel lago di Pusiano per poi defluire e scorrere verso sud. Per un breve tratto segna il confine tra la provincia di Como e Lecco. Altro fiume importante è il Seveso che nasce sul Monte Sasso a Cavallasca e percorre anche la parte brianzola della provincia. Il fiume Mera percorre il suo ultimo tratto a Sorico prima di gettarsi nella pendice settentrionale del Lago di Como.

Il corso d'acqua più lungo della provincia, il Lura che nasce nel comune di Uggiate-Trevano al confine tra la Lombardia e il Canton Ticino per poi scorrere lungo tutta la zona a sud-ovest della provincia, attraversando tra l'altro i comuni di Lurate Caccivio, Cadorago, Lomazzo e Rovellasca, scorrendo in un tratto nell'omonima valle. Il torrente prosegue poi in Provincia di Varese, bagnando Saronno e nel Milanese, dove lambisce Rho, a valle di questa cittadina, il torrente confluisce nel fiume Olona.

Altri torrenti da citare sono il Serenza e il Terrò (tributari del Seveso) che scorrono nell'area canturina, il Bozzente (tributario dell'Olona) che percorre l'area della pinetina di Appiano Gentile, gli immissari del Lago di Como che sono il Cosia sulla sponda orientale, l'Albano, il Liro, il Livo sulla sponda orientale e il Cuccio, che si getta nel lago di Lugano a Porlezza.

Vi sono poi tre torrenti che scorrono in territorio italiano e svizzero: il Breggia, che nasce in località Barco dei Montoni, attraversa tutta la Valle di Muggio per poi rientrare in Italia a Maslianico, il Mara, che nasce sul Monte Sighignola (nel comune di Lanzo d'Intelvi) per poi sfociare nel lago di Lugano e il Gaggiolo che nasce a Meride nel Canton Ticino entra in Italia, attraversa la Valmorea e sbocca nell'Olona nel varesotto.

Il Lago di Como (o Lario) rappresenta il bacino lacustre più importante della provincia. Il Lario non è però l'unico lago presente all'interno della provincia, in quanto esistono diversi bacini minori nell'area prealpina, oltre a una porzione del Ceresio.

Sono 31 i comuni comaschi che si affacciano sullo specchio d'acqua lariano, serviti da una efficiente rete di navigazione. Sono invece 5 i comuni comaschi che si spartiscono il ramo comasco del lago di Lugano.

I laghi prealpini all'interno dei confini provinciali sono quattro e situati a ridosso dell'area Erbese, nella zona dell'Alta Brianza: il lago di Pusiano e il lago di Alserio, tra Como e Lecco, il lago di Montorfano, nell'area canturina e il lago del Segrino, piccolo bacino nel triangolo lariano nei pressi di Canzo.

Vi sono altri due bacini minori nella parte centro-settentrionale dell'area comasca: il lago di Mezzola, a nord, collegato al lago di Como da un breve tratto del fiume Mera e il piccolo lago di Piano, situato in Val Menaggio.

Tutte le montagne sono situate nella parte nord della provincia, oltre la linea immaginaria che unisce le città di Como e Lecco.

Troviamo montagne che appartengono alla catena delle Alpi Lepontine e altre che fanno parte delle Prealpi lombarde.

Molti studiosi fanno passare la linea immaginaria di demarcazione tra i due gruppi montuosi dal Passo di S.Iorio e da esso, attraverso la valle Albano o Dongana, al Monte Legnone (già in provincia di Lecco), sull'altra sponda del Lario. Pertanto a Nord di tale linea immaginaria si parla di Alpi vere e proprie, mentre a Sud siamo ancora nelle Prealpi.

La divisione non è solo di natura geografica ma anche geologica; essa riguarda le rocce di cui i vari rilievi comaschi sono formati: la linea di divisione tra la fascia metamorfica e quella delle Alpi sedimentarie-calcaree passa nella zona tra l'Alto lago di Como e la fascia delle Lepontine meridionali. Il sistema montuoso alpino che va dal Passo S.Iorio alla provincia di Sondrio è chiamato localmente con il nome di "Muncech". Le cime più alte superano di poco i 2500 metri; la più elevata è il Pizzo Paglia (2593 m), la cui vetta è però situata per poche centinaia di metri totalmente in territorio elvetico. Ne consegue che il monte più elevato della provincia di Como è il Pizzo Cavregasco (2.535 metri), al confine con la provincia di Sondrio. Altre cime limitrofe, sempre in provincia di Como e la cui altezza è attorno ai 2500 metri sono il Pizzo Campanile, il Pizzo Martello, il Pizzo Ledù, il Monte Cardinello.

Restando sulla sponda occidentale del Lario e scendendo dal Passo di San Iorio verso Sud, entriamo nelle Prealpi e l'altitudine man mano si abbassa, passando dai 2245 m del Pizzo di Gino ai 1701 m del Monte Generoso, splendido balcone dal quale si possono ammirare i laghi di Como, Lugano e Maggiore, oltre al lago di Varese e ai piccoli laghetti limitrofi. L'ultima propaggine prima dell'inizio della pianura è il Monte Bisbino, che con i suoi 1325 m. È la montagna più alta visibile dalla città di Como.

Anche la fascia immediatamente a nord della linea immaginaria Como-Lecco, il cosiddetto Triangolo Lariano, è interamente montuoso e appartiene quasi totalmente alla provincia di Como. La vetta più elevata è il Monte San Primo(1682 m), posta in posizione molto panoramica dietro Bellagio, e dal quale si può ammirare il Lario con la caratteristica biforcazione a Y rovesciata. Specialmente in inverno, nelle giornate limpide una salita sulla sua vetta merita davvero una visita. Altre montagne di non grande rilevanza orografica ma molto apprezzate dagli escursionisti sono i monti Boletto, Bollettone e Palanzone e i caratteristici Tre Corni di Canzo.

Nell'area comasca esistono diverse vallate: nell'area centro-settentrionale sono prevalentemente di origine glaciale mentre nella fascia meridionale vi sono delle valli minori, di modeste dimensioni, di origine fluviale.

Nell'area delle Alpi Lepontine, partendo da nord, si incontrano diversi vallate però scarsamente abitate per via delle impervie condizioni della morfologia. Le più a nord sono la Valle di Sorico e la Valle di Livo che prendono il nome dai comuni in cui si sviluppano. In località Dosso del Liro convergono le vallate del Dosso e di San Jorio. Proseguendo lungo la sponda occidentale del Lario a Dongo vi è lo sbocco della Valle Albano che prende il nome dal torrente che vi scorre al centro.

Nella parte centrale vi sono le vallate più conosciute della zona comasca, nonché centri turistici rinomati: la Val Cavargna e la comunicante Val Rezzo, poste a ridosso della sponda nord del Lago di Lugano, la Valsolda, valle laterale al confine con il distretto di Lugano e la Val d'Intelvi, incastonata tra i laghi di Como e Lugano, accessibile da Porlezza e da Argegno in territorio italiano, da Arogno provenendo dalla Svizzera. Sempre dalla Svizzera, ma uscendo a Mendrisio, si può raggiungere la Valmorea (valle), che è raggiungibile inoltre da Malnate, se si arriva da Varese, e da Uggiate-Trevano se si proviene da Como. Questa è più lontana dal lago rispetto alle altre Valli montane comasche.

La Vallassina è la valle più popolata della provincia, nonché l'unica valle presente nel Triangolo Lariano.

La provincia di Como, con una popolazione di 578.175 abitanti (di cui 32.381 stranieri), risulta essere la sesta delle provincie lombarde per numero d'abitanti.

Dei 160 comuni che compongono la provincia, Como risulta essere il più popoloso con 83.175 abitanti e con la più alta densità media (2.228 ab./km²). Il comune con meno abitanti è invece Val Rezzo con una popolazione di 187 abitanti.

La zona più densamente popolata è l'area che si snoda tra i centri di Mariano Comense ed Erba sull'asse ferroviario Milano-Asso. Le ragioni sono di tipo morfologico ed economico: la zona precocemente servita dal servizio ferroviario (precedente al 1900) è sede dei maggiori centri industriali della provincia e il terreno collinare-pianeggiante ha permesso lo sviluppo di centri residenziali ben collegati da strade e mezzi di trasporto. L'area lariana e montana presenta invece diverse carenze logistiche nonché una scarsità di attività economiche.

Nel corso del Dopoguerra le valli, a eccezione della Valassina, si sono spopolate a vantaggio dei piccoli-medi centri dell'area sud della provincia che registrano un costante aumento demografico

Fra il 1906 e il 1952 la provincia era collegata con la rete tranviaria sostituita dalla rete filoviaria in funzione dal 1938 al 1978.

La Funicolare Como-Brunate che collega dal 1894 il capoluogo con il piccolo centro montano posto al di sopra della città e permette una visione privilegiata del primo bacino lariano. Costruita per finalità commerciali con lo sviluppo del turismo di massa acquista grande importanza. Il servizio è ora gestito dall'ATM di Milano.

La funivia Argegno-Pigra collega il centro lariano con il soprastante comune della Val d'Intelvi.

La Funicolare Lanzo-Santa Margherita funzionò dal 1907 al 1977 che collegava la Val d'Intelvi con il lago di Lugano. Attualmente un comitato sostiene il ripristino della funicolare, una volta eseguite le necessarie opere di restauro e di sistemazione degli impianti.

La provincia di Como si avvale della presenza dell'Università degli Studi dell'Insubria e del Politecnico di Milano. Como è sede universitaria dal 1987, anno di avvio dei primi corsi del Diploma a fini speciali in Informatica Gestionale avviato dal Politecnico di Milano. Dal 1989 è sede di regolari corsi di laurea in Ingegneria gemmati appunto dal Politecnico milanese oltre che in Scienze e più tardi in Giurisprudenza, gemmati dall'Università degli studi di Milano. Dal 1998 questi ultimi corsi confluiscono nell'Università degli studi dell'Insubria insieme agli analoghi corsi di Varese. La sua istituzione risale al febbraio 1997 quando l'Osservatorio per la valutazione del sistema universitario attua una fase di scorporo delle attività dell'Università degli Studi di Milano, creando una università bipolare e concedendo autonomia ai corsi di laurea e alle Facoltà di Como e Varese. L'inizio dell'attività avvenne il 14 luglio 1998. A Como hanno sede le facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali e di Giurisprudenza, inoltre sono presenti dei corsi di Economia e Medicina. A Como ha sede, presso il prestigioso Palazzo Natta, il Rettorato Comasco dell'Università degli Studi dell'Insubria.

Per quanto riguarda le arti e la musica Como è sede sia di un Conservatorio di musica sia di un'Accademia di belle arti.

Il Conservatorio di Musica "Giuseppe Verdi" di Como è il più giovane fra i quattro Conservatori situati in Lombardia, essendo nato nel 1982 come sezione staccata del Conservatorio di Musica "Giuseppe Verdi" di Milano. L'Istituto ha acquisito propria autonomia nel 1996.
L'Accademia di Belle Arti "A. Galli" di Como è una istituzione privata, nata nel 1989 e riconosciuta dal Ministero dell'Università.
L'Istituto Superiore per Interpreti e Traduttori "F. Casnati", nato nel 1989 e trasformatosi nel 2002 in Scuola Superiore Mediatori Linguistici F. Casnati di Como abilitata dal Ministero dell'Università a rilasciare lauree triennali in Mediazione linguistica.
L'istruzione superiore statale nella provincia di Como offre una vasta scelta per ciò che riguarda le scuole di stampo umanistico-scientifico o tecnico-professionale. Nella città di Como sono presenti 8 scuole di secondo grado, mentre sono sparsi nel territorio provinciale altri 9 istituti superiori: 3 a Cantù, 3 a Erba, 1 a Mariano Comense, 1 a Menaggio e 1 a Olgiate Comasco.

I dialetti parlati in Provincia di Como sono tutti varianti della koinè del Lombardo occidentale o dialetto Insubre. Intelleggibili fra loro, e basate sull'articolo determinativo maschile ul (contrapposto al el milanese) presentano una serie di varianti fonetiche e lessicali. La causa principale di questa disomogeità linguistica è rappresentata dalle vicende storiche dell'attuale Provincia.
La zona brianzola è storicamente legata a Milano e risente dell'influenza del Milanese. A Como e nell'area canturina viene parlato il dialetto comasco, utilizzato fra l'altro dal poeta Gianpaolo Mascheroni e codificato da La Famiglia Comasca.
Nell'Alta Brianza l'accento rimane abbastanza fedele a quello del capoluogo, pur esistendo varianti locali come il canzese e il vallassinese, circoscritti alle aree di Canzo e dei comuni centrali del Triangolo Lariano. Sul Lario il dialetto comasco assume una propria fisionomia con la variante del dialetto laghée (anche detto tremezzino) che risente delle influenze della vicina parlata ticinese. Particolare successo ha ottenuto questa variante comasca con il cantautore Davide Van De Sfroos che ha esportato la parlata comasca in tutto il mondo.
Nella Bassa Comasca, e in particolare nei Comuni di Locate Varesino, Carbonate e Mozzate, la variante locale è più simile al Saronnese e al basso Varesotto. A Turate compaiono invece tratti liguri e le vocali turbate similmente al dialetto bustocco. Da ultimo in Val Cavargna e in Valle Albano, a causa del secolare isolamento, si sono sviluppati dei dialetti originali: il cavargnon e il muncecch. I Cavargnoni hanno anche elaborato il rungin, un gergo incomprensibile ai non iniziati.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, buona parte del territorio della provincia coincide con l'area della diocesi di Como.Campione d'Italia è nella diocesi ambrosiana; anche i comuni comaschi dei decanati di Appiano Gentile, Asso, Canzo, Cantù, Erba e Porlezza fanno parte di zone pastorali dell'arcidiocesi di Milano e seguono il rito ambrosiano. La diocesi di Como segue il rito romano. Le parrocchie di Lomazzo e Montorfano erano appartenenti all'arcidiocesi di Milano e di rito ambrosiano. Capiago Intimiano: Intimiano è di rito ambrosiano e fa parte dell'Arcidiocesi di Milano mentre Capiago è di rito romano e appartiene alla Diocesi di Como.

La cucina comasca attinge le sue ricette dalla tradizione gastronomica lariana e dell'alta Lombardia, unendo i prodotti del lago a quelli della pastorizia e della tradizione contadina.

Molti comuni dell'entroterra e della costa sono uniti in diverse comunità montane, create per valorizzare e preservare il loro territorio ricco di bellezza naturale.
Queste comunità sono molto importanti in ambito provinciale, anzi talvolta sono quasi sostitute dirette della provincia stessa.

Nella provincia di Como esistono tre parchi regionali: il parco forestale della Pineta di Appiano Gentile e i due parchi di cintura metropolitana della Valle del Lambro e della Spina Verde di Como (quest'ultimo non riconosciuto dall'EUAP). Vi sono poi tre parchi di interesse sovraccomunale, divisi con il territorio delle province circostanti: il Parco del Lura, il Parco della Brughiera Briantea e il Parco del Lago del Segrino.

Il calcio è lo sport più diffuso sul territorio provinciale, raggiungendo una copertura capillare che tocca ogni frazione o quartiere. La più antica società calcistica comasca è l'A.C. Maslianico, fondata nel 1902. Nel corso degli anni si sono create diverse società.

La più gloriosa è il Calcio Como, fondata nel 1907 e che vanta 13 partecipazioni al campionato di Serie A. Negli anni ottanta ha militato per 5 stagioni consecutive nella massima serie dando spazio a numerosi talenti come Roberto Galia, Alessandro Scanziani, Silvano Fontolan e Stefano Borgonovo. Sono cresciuti nelle giovanili azzurre Luigi Meroni, indimenticato talento calcistico italiano degli anni sessanta e Gianluca Zambrotta, campione del mondo con la Nazionale italiana nel 2006.

Le altre società che hanno disputato dei campionati nazionali sono cinque. Il Cantù nel corso degli anni quaranta e cinquanta ha militato per diversi anni in Serie C e nel 2011-2012 ha disputato suo 13º torneo in Serie D. Il Mariano ha disputato il massimo campionato dilettantistico ininterrottamente tra il 1986-1987 e il 1999-2000. La Canzese, che disputò 3 campionati di Serie D tra il 2002-2003 e il 2004-2005, ottenne proprio in questa stagione la promozione in Serie C2, ma rinunciò e chiuse ogni attività. La Guanzatese ha disputato il Campionato Nazionale Dilettanti/Serie D nel 1995-1996, 1996-1997, 2001-2002, 2002-2003. Infine, la Salus et Virtus Turate ha disputato i tornei 2006-2007, 2007-2008 e 2008-2009 in Serie D, prima di fondersi con la Caronnese e ripartire dalla Terza Categoria.

Da ricordare anche che, tra il 1913 e il 1923, il Chiasso disputò i tornei della FIGC e non quelli della federazione svizzera, giocando le partite interne sul campo del Mornello di Maslianico. Dopo diverse stagioni in Prima Categoria, tornò a competere nei campionati elvetici.

A livello femminile, due sono le società ad aver disputato la Serie A: il Como 2000 (cinque volte, compresa la stagione 2012-2013) e la Vallassinese nel 2003-2004 e 2004-2005.

La rappresentativa comasca si è aggiudicata la Coppa Augusto Turati, trofeo disputato dalle squadre delle province lombarde, nel 1928, battendo in finale la selezione di Brescia.

Il canottaggio è forse lo sport maggiormente legato alla storia del lago di Como. Quasi tutti i paesi che si affacciano sul lago possiedono una società di canottieri. La più titolata è la Canottieri Lario di Como, fondata nel 1891, la quale ha dato i natali sportivi a uno dei più grandi atleti italiani in questo sport, Giuseppe Sinigaglia. Sono 17 le vittorie a livello mondiale per la società e un centinaio quelle nei campionati italiani.

Da ricordare anche altre squadre come la Canottieri Bellagio, nata nel 1908 e la Canottieri Cernobbio, con atleti ed equipaggi spesso ai vertici in Europa e nel mondo.

Il ciclismo è una delle attività sportive di maggior rilievo nella provincia: ogni anno il Giro di Lombardia percorre le strade comasche. Il ciclista più noto che nacque nel territorio lariano è Fabio Casartelli, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992 e tragicamente scomparso durante la 15ª tappa del Tour de France del 1995. Notevole anche la vittoria della medaglia d'oro nell'inseguimento a squadre ai Giochi di Los Angeles 1932 da parte di Paolo Pedretti, nativo di Orsenigo.

Ai ciclisti di tutto il mondo è particolarmente caro il santuario della Madonna del Ghisallo, che ospita moltissimi cimeli donati dai grandi campioni del passato.

La principale società hockeistica, l'Associazione Hockey Como, disputa il campionato nazionale quasi ininterrottamente dalla stagione 1971-1972 e vanta 4 partecipazioni alla Serie A.

A livello femminile, dal 1991 al 2007 l'Hockey Club Lario Halloween ha partecipato a tutte le edizioni del massimo campionato, arrivando sino al 3º posto. La società non è più attiva dopo la stagione 2006-2007.

La pallacanestro è lo sport che ha regalato maggiori successi e trionfi alla provincia di Como con la Pallacanestro Cantù in campo maschile e la Pool Comense in campo femminile.

La società canturina, fondata nel 1936, ha sfornato talenti come Pierluigi Marzorati, Carlo Recalcati e Antonello Riva. In ambito nazionale ha conquistato 3 scudetti e 2 Supercoppe italiane mentre un palmarès di 2 Coppe dei Campioni, 4 Coppe delle Coppe, 4 Coppe Korac e 2 Coppe Intercontinentali ne fanno la seconda squadra più titolata d'Europa dopo il Real Madrid. Per questo motivo viene chiamata anche la "Regina d'Europa".

La Pool Comense, oltre a essere la società sportiva più antica della provincia (fu infatti fondata nel 1872) detiene il record circa il maggior numero di titoli vinti nella pallacanestro femminile, tanto in Italia quanto in Europa, con 25 trofei in 15 anni tra il 1990 e il 2004. Il suo palmarès comprende 15 scudetti, 5 Coppe Italia, 6 Supercoppe italiane, 2 EuroLeague Women e 1 Mundialito. La prima squadra ha cessato l'attività dopo la stagione 2011-2012 e attualmente è attivo il solo settore giovanile. Ad ogni modo, in passato è esistita anche una sezione maschile in seno alla medesima società.

La Como Nuoto per la stagione 2012-2013 ha una squadra nel campionato nazionale di Serie A2 sia a livello maschile sia femminile.

La principale squadra di pallavolo della provincia è la Libertas Brianza, formazione canturina che ha disputato il campionato di Serie A2 nel 2011-2012.

Due sono i piloti comaschi che hanno corso con una monoposto in Formula 1: Arturo Merzario, tra il 1972 e il 1979 e Max Papis, che corse nella stagione 1995.

Un appuntamento fisso per gli appassionati delle due ruote a motore è il Circuito del Lario, gara di moto d'epoca.

La città di Como dagli anni ottanta a oggi è stata protagonista nella ginnastica ritmica italiana e mondiale con diverse talentuose ginnaste, che hanno raggiunto i vertici in competizioni nazionali e internazionali, regalando all'Italia alcune importantissime medaglie ai campionati del mondo e ai Giochi olimpici.

Lo schermidore Antonio Spallino è stato campione del mondo nel 1949, 1954 e 1955 e campione olimpico a Melbourne nel 1956.

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sabato 19 dicembre 2015

LA VAL LOGA

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La Val Loga è un bacino vallivo laterale della Valle Spluga, nel comune di Madesimo, provincia di Sondrio.

Si stacca dalla valle principale sulla destra idrografica in corrispondenza della piana ove sorge il villaggio di Montespluga, sulla riva settentrionale dell’omonimo bacino artificiale.

Lunga circa 5 km, e solcata sul suo fondo dal torrente Loga, penetra verso occidente con andamento lineare salendo alla catena di confine tra Italia e Svizzera tra la mole del Pizzo Tambò e le poco pronunciate Cime di Val Loga; di queste, i contrafforti della cima meridionale la separano dalla testata della Val Schisarolo, dalla quale è separata anche dalla lunga cresta detta del Carden, mentre a settentrione è il variegato versante est del Pizzo Tambò a fare da margine vallivo. Il confine sommitale della Val Loga ospita i seguenti valichi: la Bocchetta del Ferrè, a 2.721 m, che la mette in comunicazione con la citata Val Schisarolo ed è frequentato passaggio per l’ascensione da Montespluga verso il Pizzo Ferrè; il Passo di Val Loga a 2.923 m, e il Passo degli Zocconi a 2.922 m, antichi passaggi di contrabbandieri che presentano caratteristiche più alpinistiche e consentono l’accesso alla parte alta della Val Curciusa (Canton Grigioni).

La valle, nella parte bassa gradevolmente ampia e assai ricca di pascoli, offre più marcati aspetti d’alta quota al crescere dell’altitudine, con vaste pietraie; alcuni nevai e placche ghiacciate che permangono spesso per l’intero anno alla sua testata ricordano la presenza di un ghiacciaio ormai da tempo estinto, denominato Vedretta di val Loga. È nota meta escursionistica estiva e scialpinistica invernale, ospitando al margine inferiore del suo circo sommitale il bivacco Cecchini, a 2.773 m, il quale, nonostante sia comunemente conosciuto come “bivacco del Tambò”, risulta piuttosto lontano da questa vetta e disagevole per la sua salita, essendo invece logisticamente assai più utile come appoggio per la classica ascensione al Pizzo Ferré.

La cima meridionale della Val Loga, nell’area di Montespluga, è una destinazione dove apprezzare bei panorami durante una gita di sci alpinismo, in un contesto alpino particolarmente suggestivo.
Insieme alla Centrale e alla Settentrionale, la cima Meridionale costituisce la corona che sovrasta la conca di Montespluga. La Val Loga si impenna gradualmente verso ovest partendo dal lago artificiale, fino a raggiungere le cime da cui appunto prende il nome.

Le Cime di Val Loga sono tre rilievi di altezza quasi simile: 3003 m la Meridionale, 3004 m la Centrale, 2968 m la Settentrionale. Si trovano immediatamente a Ovest del Bivacco Cecchini, collocato a 2773 m, poco a monte della Bocchetta del Ferré (2721 m), da cui transita il classico itinerario scialpinistico e alpinistico del Pizzo Ferré. Fino al bivacco la salita non presenta difficoltà particolari, ma sui tratti ripidi, se la neve è dura (cosa normale di mattina in primavera), bisognerà stare attenti alla tenuta delle ciaspole. Dopo il bivacco il discorso si fa più articolato: solo la Cima Settentrionale è raggiungibile con le ciaspole ai piedi, ma è la meno attraente, specie dal punto di vista del panorama, chiuso verso Sud dalle vicine e più alte cime “sorelle”.


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venerdì 18 dicembre 2015

LA VALCHIAVENNA

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La Valchiavenna è una regione alpina attraversata dai fiumi Liro e Mera. Compone, insieme alla Valtellina e ai territori della Val di Lei e di Livigno, la provincia di Sondrio.
La forma della Valchiavenna si può paragonare a una “Y”, divisibile in tre zone:

la prima è la zona principale (Bassa Valchiavenna) che si incontra imboccando la valle da sud e che va dal trivio di Fuentes, sopra Colico, a Chiavenna, comprendendo il Piano di Chiavenna e monti e valli adiacenti. Questa è, correttamente parlando, la Valchiavenna vera e propria;
la seconda è la sua continuazione occidentale, la Valle Spluga, che parte da Chiavenna e termina al Passo dello Spluga;
la terza è la sua continuazione orientale, la Val Bregaglia (conosciuta anche come Valle della Mera), che da Chiavenna porta al confine Italia-Svizzera e poi si conclude al Passo del Maloja. La Val Bregaglia non può comunque essere ritenuta parte della Valchiavenna, anche se i suoi due comuni italiani (Piuro e Villa di Chiavenna) fanno parte della Comunità Montana della Valchiavenna.

Durante la Preistoria la Valchiavenna era già conosciuta principalmente a causa della presenza del Passo dello Spluga. Le tribù di cacciatori-raccoglitori, nel periodo della conversione in pastori-agricoltori, stabiliscono vari sentieri passanti nella valle e presso il Passo. Quando la conversione è terminata, queste popolazioni abitano il fondo-valle, e, nei mesi caldi, “portavano le bestie in alpeggio”, seguendo i sentieri creati in quel periodo. Alcuni di questi sentieri furono usati fino a qualche decennio fa dai pastori locali. In alta Valle Spluga, sul Pian dei Cavalli sopra Isola, già da vari anni si stanno compiendo degli scavi archeologici. I lavori, diretti dal Prof. F. Fedele, hanno portato al ritrovamento di arnesi litici risalenti al 9000-7000 a.C., nel periodo Mesolitico. Nell’agosto del 1993, presso il lago artificiale di Montespluga, fu trovata un’ascia-martello in pietra con un foro, risalente circa al 3000 a.C. Nello stesso posto, anni prima, nel 1965, fu trovato un coltello con lama serpeggiante, risalente al 900 a.C. Il bronzo di cui è costituito proviene dalle miniere di bronzo presso Salisburgo. Questo porta a pensare che allora esistevano già rapporti tra comunità di luoghi molto distanti tra loro attraverso il Passo. I primi abitanti della valle furono probabilmente i Liguri, ma ai tempi della conquista romana gli abitanti erano i Reti. Essi erano della stessa stirpe degli Etruschi, oppure erano Etruschi cacciati dalla Pianura Padana dai Galli. I romani chiamavano “Clavennates” quelli della zona di Chiavenna, e “Bergalei” quelli abitanti nella Val Bregaglia e quindi della valle della Mera. Nel 196 a.C. i romani conquistarono Como, e nacquero così i contatti con le popolazioni retiche che vivevano sulle rive settentrionali del Lago di Como. Venne costruita una strada imperiale che collegava Como e Chiavenna, chiamata “Clavenna”, passando anche per la stazione di “Summu lacu”, cioè “sulla sommità del lago”. La località corrisponde all’odierna Samolaco, e il suo nome indica che il Lago di Como era più vasto a quei tempi, e si estendeva in parte del piano di Chiavenna.

Tra il 16 e il 14 a.C. i romani conquistarono la “Rezia” e il “Norico”, le regioni del basso centro-Europa, compresa la Valchiavenna. La strada romana tra Como e Coira passava per tutte e due le attuali dogane tra Italia e Svizzera (Spluga e Maloggia e del Settimo). Infatti, nell’”Itinerario di Antonino Pio”, la strada è divisa in due a Chiavenna: “Tra Curia (Coira) e Clavenna (Chiavenna) due strade.”. Nell’itinerario tra Chiavenna e Coira ci furono tre stazioni per il cambio dei cavalli: “Cunus Aureus”, forse presso Isola, “Tarvesede”, presso il Passo, “Lapidaria”, nell’attuale Svizzera. Ci sono alcune testimonianze letterarie del passaggio dell’Esercito Romano per il Passo dello Spluga. Risalgono al periodo romano (98-117 d.C.) delle monete trovate a Portarezza, Campodolcino, durante i lavori per l’invaso artificiale. La valle rimase sotto il dominio romano fino alla fine dell’Impero Romano d'Occidente, nel 476. Dopo tale data, si diffuse il cristianesimo nella valle.

Passata al Regno d'Italia, fece parte dell’Impero Carolingio e del territorio dei Re di Germania. Nel X secolo cominciarono i traffici commerciali per la valle, principalmente diretti al Passo dello Spluga. Chiavenna divenne così un centro importante per il transito delle merci. A certificarlo, è nel 1030 la fondazione del comune di Chiavenna, il più antico dell’attuale Provincia di Sondrio. Nell’Alto Medioevo viene attuato il sistema delle chiuse, che regolava i traffici commerciali in direzione del Passo dello Spluga, che dopo il 1000 aumentano di numero. Intanto, nella Valle Spluga si insediano delle famiglia Walser, provenienti dalla Svizzera. Esse faranno costruire delle abitazioni nello stile, appunto, Walser. Degli esempi sono gli abitati di Mottaletta e Rasdeglia, sopra Isola. Il comune di Chiavenna appartiene al Ducato di Svevia, sotto Federico Barbarossa. Nella lotta tra il Barbarossa e i Comuni Chiavenna si schierò sempre dalla parte dell’Imperatore. Nel 1176, alla vigilia della Battaglia di Legnano, a Chiavenna si incontrano il Barbarossa e suo cugino Enrico il Leone. Il primo chiede aiuto militare al secondo, ma invano. Fu, probabilmente, il Barbarossa a donare al comune di Chiavenna la cosiddetta: “Pace di Chiavenna”, una copertina della Bibbia, prodotto dell’oreficeria renana, composta da oro e pietre preziose. Ora è conservata nel “Museo del Tesoro”, nei pressi della chiesa di San Lorenzo in Chiavenna. Nel 1226, per facilitare il trasporto delle merci per il Passo dello Spluga, fu costruita una strada carreggiabile tra Campodolcino e Madesimo. Intanto, dall’inizio dell’XII sec. la valle fu soggetta al comune di Como, anche se continuava ad avere una propria autonomia amministrativa. Nel 1240 circa iniziano i passaggi per il Passo del San Gottardo che, nel XIX secolo, supererà d’importanza lo Spluga con il traforo del 1882.

Entrò nelle complesse vicende della lotta per la Signoria di Milano tra i Della Torre e i Visconti.

Nel 1269 fu catturato da Corrado Venosta Von Matsch (feudatario del Castello di Boffalora sopra Madesimo) Raimondo Vescovo di Como ed esposto in una gabbia al pubblico ludibrio a Sondalo in Valtellina. Venne poi liberato dalle milizie del fratello Napoleone della Torre che distrussero il castello il 25 settembre 1273.

Nel 1335 Azzone Visconti si impadronisce del vescovado di Como, compresa la Valchiavenna. La dominazione è mal tollerata, la popolazione si ribella e chiede aiuto a Papa Gregorio XI. Il suo intervento porta a una riconciliazione delle due parti. Nel 1402 muore Gian Galeazzo Visconti e la Valchiavenna è ceduta in feudo a Baldassarre Balbiani. Egli fa costruire il suo castello a Chiavenna, situato nell’attuale Piazza Castello. Nel 1473 il Duca di Milano obbliga il passaggio delle merci del suo ducato per il Passo dello Spluga.Nel 1477 risulta essere podestà il Cavaliere Aulico Gio Giacomo Vismara, Gentiluomo Regio e consigliere segreto del Duca di Milano. Tra il 1488 e il 1497, su ordine di Ludovico il Moro, vengono costruite le mura attorno a Chiavenna, che diventa così il primo centro fortificato dell’attuale Provincia di Sondrio. Le mura si erano rese necessarie per difendersi dai saccheggi degli abitanti delle Tre Leghe grigionesi.

Durante l’intera dominazione milanese, i borghi di Chiavenna e Piuro divennero luogo di scambi commerciali e culturali tra le zone artigianali ed industriali della Svizzera e della Germania e l’area milanese-comasca. Proprio per le intense attività commerciali che vi risiedevano, la cittadina di Chiavenna si sviluppò urbanisticamente: il tratto per lo Spluga era costituito dall’attuale via Bossi, quello per i passi del Maloggia e del Settimo dall’odierna Via Dolzino. Nel 1500 Luigi XII, Re di Francia, conquista il Ducato di Milano e quindi la Valchiavenna. Le dominazione dura 12 anni, fino a quando le Tre Leghe grigie conquistano tutto il territorio dell’attuale Provincia di Sondrio. La Valchiavenna, per la sua importanza a causa dell’enorme traffico di merci che vi transitavano, godette di alcuni privilegi rispetto ad altri territori soggetti ai Grigioni. Un esempio è la forma statutaria molto più autonoma rispetto ad essi. Nel 1520 un’alluvione dell’Adda cambia il corso del fiume valtellinese. Fino ad allora infatti l’Adda sfociava nel Lago di Mezzola, e l’alluvione deviò il suo corso fino a portare la foce direttamente nel Lago di Como. Intanto, i Grigioni governano la Valchiavenna, la Valtellina e la Contea di Bormio in modo ambiguo. Rispettano infatti gli statuti già in vigore nelle valli, ma i loro funzionari commettono abusi di vario genere. Per calmare gli animi della popolazione soggetta viene istituito, nel 1620, un tribunale per i criminali politici. Il provvedimento ha l’effetto contrario. Aggiunto all’odio religioso per aver diffuso il protestantesimo nelle cattolicissime valli chiavennasche, sondriesi e bormiesi, provoca quindi un’insurrezione che scaccia i Grigioni, che non avviene però in Valchiavenna, che rimane sotto il dominio elvetico. Per risolvere i problemi, i Grigioni proclamano la libertà di culto in tutti i loro territori. Nel 1571 muore a Chiavenna l’umanista di Modena Lodovico Castelvetro, residente nel capoluogo valchiavennasco già da qualche anno. Tredici anni dopo i comuni della Valle della Mera diventano due: Villa di Chiavenna si scinde da Piuro. Quest’ultimo comune, il 4 settembre 1618, viene investito da una frana che seppellisce l’intera cittadina e uccide buona parte dei circa 1000 abitanti. Il comune era centro di lavorazione della pietra ollare, attività una volta molto diffusa in valle, e del commercio della seta. Nel frattempo, la Valchiavenna era diventata zona di passaggio obbligata per i trasporti delle merci dalle zone più industrializzate d’Europa (dalla Toscana alle Fiandre, dalla Pianura Padana alla zona del Lago di Costanza), come i porti di Genova e Venezia, che manteneva contatti con i Grigioni per conto della sua Repubblica, anche attraverso la “Strada Priula”, aperta nel 1593, che collegava Bergamo e Morbegno, ma aveva un prolungamento nella Valchiavenna. Nel 1629 passano in valle i Lanzichenecchi di Carlo V, diretti a Roma, e diffondono la peste. Vent’anni dopo finisce una guerra quasi ventennale (culminata nel Sacro Macello di Valtellina) scoppiata per i motivi religiosi già noti nel secolo prima. Secondo gli accordi, il capitolato milanese restituisce i territori della Valtellina e della Contea di Bormio ai Grigioni, a patto che non ci abiti nessun protestante.

Nel 1797 finisce definitivamente la dominazione elvetica per Valtellina e Contadi. Napoleone, con la Pace di Campoformio, costituisce la Repubblica Cisalpina, di cui fanno parte i territori dell’attuale Provincia di Sondrio. Gli austriaci occupano però la Repubblica nel 1799. I francesi la riconquistano dopo due anni e la legano alla Repubblica italiana (1802-1805) e poi al Regno d'Italia (1805-1814). I Grigioni però non si rassegnano: vogliono riconquistare la valle, insieme alla Valtellina. Il 27 aprile 1814 l’esercito delle Tre Leghe discende su Chiavenna dal confine bregagliotto: trovando la valle già occupata dagli austriaci, si ritirano. Al Congresso di Vienna del 1815 viene inviato come rappresentante della Valchiavenna il borghese chiavennasco Girolamo Stampa. Egli chiede (e ottiene) l’annessione al Regno Lombardo-Veneto della Valle. La valle, per la prima volta, viene unita amministrativamente alla Valtellina e alla contea di Bormio, per formare la Provincia di Sondrio. Nel 1818 gli austriaci costruirono la strada carrozzabile Chiavenna-Passo dello Spluga, modificata nel 1822. Nel 1838 fu costruito il tratto di strada sul Sengio, ovvero il pendio scosceso tra Campodolcino e Pianazzo, in comune di Madesimo. L’ultima modifica al tracciato fu quella del 1930 presso la piana di Montespluga per la costruzione del bacino artificiale.

Durante il dominio austriaco il pensiero di Giuseppe Mazzini si diffonde. Tra gli esponenti c’è il chiavennasco Maurizio Quadrio. I fatti del 1848 sono vissuti attivamente dalla popolazione della Valchiavenna. Il 19 marzo arriva in valle la notizia dell’insurrezione milanese. Così, un gruppo di uomini, tra cui Francesco Dolzino, Giuseppe De Giorgi e Cirillo Tunesi, disarmano la gendarmeria austriaca e cacciano i governatori. La popolazione fa festa per le strade. Il 20 marzo, una domenica, l’Arciprete della chiesa di San Lorenzo a Chiavenna, Giovan Battista de Picchi, benedice la bandiera della rivoluzione mentre in Piazza Fontana, oggi Piazza Pestalozzi a Chiavenna, viene piantata la’”albero della libertà”. Il 29 maggio viene fatta una consultazione provinciale per l’unione al Regno di Sardegna. A Chiavenna ci sono solo tre voti contrari. Ma quando l’esercito piemontese perde gli alleati, tutto va in fumo: dopo l’Armistizio di Salasco a Vigevano, gli austriaci tornano nella valle e in tutta la Lombardia. Continuano comunque le insurrezioni. Nell’ottobre del 1848 vengono ancora cacciate le autorità austriache e, precisamente il 22 ottobre, viene ripiantato l’”albero della libertà”. Poi un gruppo di volontari guidati da Francesco Dolzino si porta all’imboccatura della Valchiavenna, presso Verceia. Sperando in un’insurrezione generale dell’intera Lombardia, resistono sei giorni all’esercito austriaco, intervenuto per la repressione. A comandare quelle truppe c’era il generale Julius Jacob Haynau, già repressore dell’insurrezione bresciana. Egli comanda il saccheggio e la distruzione di Verceia, subito eseguito. Avendo paura, il comune di Chiavenna gli manda incontro una delegazione che gli spiega il “sincero pentimento della città”. Ma come al solito le scuse non bastano mai. Il 29 ottobre Haynau entra a Chiavenna e annuncia lo sconto della pena ad una multa di “20.000 lire austriache”. L’anno dopo (1849) si chiude definitivamente la prima guerra di indipendenza.

Nel 1859, con la seconda guerra di indipendenza, molti valchiavennaschi si arruolano nell’esercito piemontese. Insieme ai francesi, l’esercito in questione batte gli austriaci a Mombello (20 maggio), Pastrengo (30-31 maggio) e a Magenta, il 4 giugno. Il giorno dopo la Provincia di Sondrio è annessa ufficialmente al Piemonte e il comune di Chiavenna chiama i suoi giovani alle armi. Il 24 giugno, tra San Martino e Solferino, si combatte la battaglia decisiva tra franco-piemontesi e austriaci. Tra i caduti c’è il valchiavennasco diciassettenne Pietro De Stefani. A commemorarlo c’è ora una lapide nel cimitero di Chiavenna. Tornando alla battaglia, la vittoria è dei primi, e la seconda guerra di indipendenza si conclude così. Infatti, l’11 luglio Napoleone III firma l’armistizio con l’Austria e solo la Lombardia viene ceduta al Regno di Sardegna quando invece, come pattuito da Cavour con l’Imperatore di Francia doveva essere annesso anche il Veneto. La Valchiavenna, insieme a tutta la Lombardia, viene quindi unita al Regno di Sardegna, e successivamente, con l’Unità d'Italia, diviene parte del Regno d’Italia.

Una delle conseguenze dell’annessione al Regno d’Italia fu il calo dell’importanza commerciale della valle, a causa del governo, favorevole ad altri tracciati (quelli piemontesi). Nel 1882 arriva il colpo di grazia: l’apertura del Traforo del San Gottardo. Inutile poi l’apertura della linea-ferroviaria Colico-Chiavenna nel 1886.

Nel settembre del 1927 la Valchiavenna fu vittima di una drammatica alluvione che interessò la Mera, il torrente Liro e i loro affluenti maggiori. Fortunatamente non ci furono vittime, ma i danni furono pesanti, a causa del fatto che i fiumi erano sprovvisti di argini, che furono costruiti, proprio per evitare che si verificasse un’altra alluvione, negli anni ’30. L’alluvione interruppe i passaggi per la valle, l’abitato di Campodolcino fu in gran parte sommerso. Fu interessata anche la Valtellina, nel primo tratto della sua bassa valle (Sondrio-Morbegno).

Nello stesso anno, inoltre, alla presenza dell’allora Principe Umberto I viene inaugurata la centrale idroelettrica di Mese, la più grande della valle, che allora era l’impianto idroelettrico più potente d’Europa.

Dopo l’8 settembre 1943 agli ex-soldati e ai giovani di leva della valle si presentarono le seguenti possibilità di sopravvivenza: vivere rintanati in casa propria, scappare in Svizzera, vista la vicinanza al confine, ma non sempre si veniva accettati, oppure rifugiarsi nelle baite di montagna. Molti scelsero quest’ultima possibilità, e nacquero così i primi nuclei partigiani, aiutati da sacerdoti, amici e parenti dei componenti, che portano cibo e informazioni sul corso dei fatti. In Valchiavenna si distinse l’opera di alcuni sacerdoti che aiutarono gruppi di ebrei a fuggire in Svizzera e perseguitati politici. Un esempio: prima della Liberazione del 25 aprile nella “Casa Alpina” di Motta sopra Campodolcino vennero ospitati sotto mentite spoglie vari ebrei poi fuggiti in Svizzera. Dopo la Liberazione, invece, a Motta si rifugiarono molti ex-fascisti repubblichini. Tempi duri per la popolazione, si fa uso del baratto visto che il denaro non ha più valore, alcuni si dedicano al contrabbando. Intanto, i partigiani continuano la loro azione, mentre nell’inverno del 43/44 i nazi-fascisti diminuiscono la loro presenza in Valle Spluga, ritirandosi a Chiavenna. Il grosso dei partigiani ne approfitta e risale la valle del Liro. I tedeschi e le Brigate nere sono intenzionati a trattenere i partigiani in valle, per favorire l’ingresso in Valtellina della colonna fascista, per organizzare l’ultima resistenza. Il piano non riuscì, Mussolini viene catturato e giustiziato, mentre, ormai alla fine della guerra, già persa anche nella sua seconda parte, scappano al confine alcuni tedeschi, con familiari dei ministri della Repubblica di Salò, a cui fu impedito il trapasso del confine. Nei giorni precedenti il 25 aprile i nazi-fascisti scatenano una grande offensiva contro i partigiani. I tedeschi sulla sponda destra, le Brigate-nere sulla sinistra della Valle Spluga, con una morsa a tenaglia. All’Angeloga, in alta Valle Spluga avviene l’ultimo scontro, con due vittime partigiane e molti feriti. Il 25 aprile le Brigate nere e i tedeschi ricevono l’ordine di scendere a Chiavenna, dato loro dopo aver saputo della cattura del Duce. La resa è vicina. Due giorni dopo, il 27 aprile, i fascisti sono tutti alla “Specola”, edificio presso la stazione ferroviaria, e i tedeschi tutti in un albergo in Piazza Castello. Per evitare uno scontro a fuoco serve un mediatore: il compito fu affidato all’allora Arciprete di Chiavenna Don Pietro Bormetti, nonostante l’opposizione dei partigiani di fede anti-clericale. L’Arciprete si comportò bene, i nazi-fascisti si arresero.

Un tempo l’economia della valle era fondata sui traffici commerciali in direzione della Svizzera, dovuti alla posizione favorevole. Quando nell’800 essi diminuirono sostanzialmente, la cittadina di Chiavenna subì un minore sfavore del resto della valle, dovuto ad una presenza di consolidate industrie. Proprio in quegli anni (1880 circa) cominciarono infatti dei forti flussi migratori dagli altri paesi della valle che, come si è detto prima, avevano subito un maggiore sfavore dalla drastica diminuzione dei passaggi commerciali. L’agricoltura a quel tempo era povera e arretrata, perché il Piano di Chiavenna, a sud della valle, doveva essere ancora in gran parte bonificato. I flussi migratori maggiori erano diretti verso l’Argentina, l’Australia e la California. Oggi, visti i profitti e la vicinanza, molti valchiavennaschi lavorano in Svizzera.

Oggi nel Piano di Chiavenna sono presenti vari stabilimenti per l’allevamento bovino e, in modo minore, caprino. Quindi il terreno del Piano di Chiavenna è utilizzato per il pascolo animale, alle coltivazione e allo sfalcio per produrre fieno. I prodotti dell’allevamento sono specialmente latticini (formaggi come la Magnóca, il Bitto e vari altri tipi, anche caprini) e, anche dall’allevamento suino, carni lavorate (la brisaola, la spaléta, il violìn e i bastardèi).

L’industria è abbastanza fiorente. Il suo sviluppo, avvenuto nel XIX secolo, ha portato alla creazione di due tipi di lavorazione destinate al mercato nazionale: quella della filatura del cotone e quella della produzione della birra. Alla fine dell’800, erano presenti ben sette birrifici nella valle (uno di essi era ospitato nell’edificio dell’attuale Biblioteca della Valchiavenna, a Chiavenna). L’attività della filatura sopravvisse fino al 1932, mentre quella della produzione di birra fino agli anni ’50, dopo il trasferimento degli impianti. Ultimamente, però, sono sorti nella bassa valle dei piccoli impianti di produzione artigianale della birra. A Gordona è presente inoltre la fabbrica della rinata Birra Spluga. È già scomparsa da vario tempo la lavorazione della pietra ollare, già conosciuta ai tempi dei Romani. Il cuore pulsante dell’industria della Valchiavenna è nell’area industriale tra Gordona e Samolaco. Qui sono presenti industrie meccaniche, edilizie, del vetro… Oltre alla fabbrica della Birra Spluga, a Gordona è presente una fabbrica di articoli sportivi in legno che, quando venne fondata a Chiavenna era la prima fabbrica di sci in Italia. Per quanto riguarda le industrie alimentari, presso l’area industriale di Gordona e Samolaco è presente un allevamento di pollame, conosciuto anche nazionalmente. Incastonata tra Chiavenna e Prata Camportaccio vi è una fabbrica di pasta, che produce anche prodotti valtellinesi (basta citare i Pizzoccheri). In Valchiavenna vi sono alcune cave per l’estrazione di vari minerali, come il marmo detto “Sanfedelino”, per la vicinanza di una delle cave al tempietto dedicato a San Fedele sulle rive del Lago di Mezzola. La Valchiavenna è ricca di bacini idrici artificiali. Essi producono molta energia elettrica, utilizzata specialmente in Lombardia.

Il turismo è un’importante fonte di reddito e può contare su molte attrattive, non solo legate alla montagna. Chiavenna è meta di turismo storico, e riscuote successo la Sagra dei Crotti, nata nel 1956, che vi si tiene nella prima metà di settembre. Gli alpeggi montani sono diventati luogo di villeggiatura estiva per molti turisti, mentre d’inverno sono molto frequentate le piste da sci. Esse sono situate in gran parte a Madesimo (famoso è il cosiddetto “Canalone”, sul Pizzo Groppera) e nel territorio di Motta, località in comune di Campodolcino, raggiungibile con una funicolare dal capoluogo della Valle Spluga o con una strada carrozzabile da Madesimo. In quest’ultimo centro si tennero, nel 1911, le prime gare di sci in Italia. I due comuni principali della valle superiore, a causa del turismo, hanno subito un intenso sviluppo urbanistico. Turista illustre nella Valle Spluga fu Giosuè Carducci, che frequentò la valle dal 1888 al 1905 e, visitando i suoi vari paesaggi, scrisse varie poesie su di essi. Presso Gordona si può praticare il freeclimbing e il canyoning lungo la gola del torrente Boggia, mentre a Piuro è molto frequentata la zona vicino alla cascata dell’”Acquafraggia”.

La Valchiavenna è un museo a cielo aperto: passeggiando lungo le vie del centro di Chiavenna e nei suoi dintorni si osserva come abbia vissuto un passato ricco di storia e generoso nell´abbellirla di palazzi dalle ricche facciate, di piazzette con splendide fontane e di opere d´arte eccezionali. Lungo le strade del borgo e attraverso meravigliosi e suggestivi itinerari nei parchi si può assaporare la tradizione di una valle con secoli di storia trascorsi valicando i confini dei passi alpini che separano l´Italia dal cuore dell´Europa.

Itinerari per tutti i gusti, dalla primavera all’autunno lungo i percorsi ciclabili e i sentieri storici di Valchiavenna, Val Bregaglia e Valle Spluga e in inverno immersi nella neve della Ski Area Valchiavenna o lungo i percorsi innevati per le ciaspole.

La cittadina valchiavennasca più importante è, ovviamente, Chiavenna. Vi ha sede la Comunità Montana della Valchiavenna, di cui tutti i comuni della valle fanno parte. Nella bassa valle è presente il grande comune di Samolaco, anch’esso diviso in frazioni (Somaggia, San Pietro, Era, Casenda). Nel piano si sono sviluppate le cittadine di Prata Camportaccio, Gordona e Mese. Tra i comuni di Gordona e Mese c’è Menarola, con “solo” 46 abitanti. Sul Lago di Mezzola sono affacciati i comuni di Novate Mezzola e di Verceia.

La Valchiavenna si trova incastonata nelle Alpi, circa al centro della catena montuosa, tra le Alpi Lepontine e le Alpi Retiche occidentali. Divide così le Alpi Occidentali dalle Alpi Orientali. Ha un andamento verticale, diversamente dalla direzione del crinale alpino. La sua conformazione è dovuta all’azione dei ghiacciai alpini dell’età antica.

L’altitudine della valle è varia: il Piano di Chiavenna è a circa 200 m s.l.m., Chiavenna è a 330 m s.l.m., la Valle della Mera staziona sui 400 m s.l.m., la Valle Spluga varia molto, e termina con i quasi 2000 m s.l.m. del Passo dello Spluga.

La Valchiavenna confina con il Canton Grigioni (in Svizzera) a nord, nord-est e ovest, con la Valtellina a sud-est e con le province di Como e Lecco a sud.

La Valchiavenna è parallela alla Val Mesolcina, valle di lingua italiana ma appartenente al Canton Grigioni. Nel comune di Piuro è compresa la Valle di Lei, appartenente al bacino idrografico del Reno. Questa, pur appartenendo politicamente ad un comune della Valchiavenna, geograficamente non ne fa parte.

I ghiacciai della Val San Giacomo e della Val Bregaglia si univano nel luogo dove attualmente sorge Chiavenna, formando un'unica grande massa che arrivava fino alla Valtellina. L’azione dei ghiacciai ha forgiato i versanti vallivi dando valli “a U” e costruito fenomeni come le “Marmitte dei giganti”, visibili nell’omonimo parco tra Chiavenna, Piuro e Prata Camportaccio e all’imboccatura della Val San Giacomo presso Mese. Il fondovalle è stato soggetto all'azione dei fiumi Mera e Liro. In particolare all'azione di quest'ultimo ha creato la “gola del Cardinello”, solco scavato nella roccia tra Isola e Stuetta, nell’alta valle. Questo passo, che parte dalla frazione Stuetta si snoda lungo un sentiero di roccia fino alla diga di Montespluga, e fu utilizzato parecchio dagli eserciti del passato tra cui le legioni romane (che crearono l'attuale sentiero) e l'esercito di Napoleone durante la campagna d'Italia, il quale perse parecchi uomini e cannoni per via delle frane nella zona. Il Piano di Chiavenna invece fu spianato dalla Mera, che ha lasciato nel piano molto materiale alluvionale.
Inoltre sono presenti vari circhi glaciali, tra cui l’anfiteatro del torrente Schiesone, presso Prata Camportaccio.

Il corso d’acqua più importante è la Mera, fiume che nasce a 2800 m s.l.m. in Svizzera (Val Marotz) e scorre in direzione est-ovest fino a Chiavenna. Unito al torrente Liro presso Mese, il fiume finisce poi nel Lago di Mezzola che confluisce nel Lago di Como. Poi c’è il torrente Liro, che nasce vicino al Passo dello Spluga e, insieme al torrente della Val Loga, che nasce dal ghiacciaio della Val Loga, si immette nel lago artificiale di Montespluga. La sua acqua alimenta vari impianti idroelettrici, e infine finisce nella Mera, presso l’abitato di Mese. Il corso del torrente Liro e del fiume Mera dopo il congiungimento tra i due determina il confine tra Alpi Lepontine e Alpi Retiche. I molti affluenti minori dei due corsi d’acqua formano varie valli laterali. Il Lago di Mezzola si trova nella bassa Valchiavenna ed è preceduto da un laghetto chiamato Pozzo di Riva. Il Lago di Mezzola è ciò che rimane dell’acqua del Lario che occupava l’attuale Piano di Chiavenna, formato dai detriti della Mera portati verso il lago. Nel lago confluiva anche l’Adda, fino all’alluvione del 1520. Sono presenti in Valchiavenna numerosi laghi artificiali, creati per scopi idroelettrici.

Essi sono:
Lago di Montespluga
Lago di Truzzo (lago naturale ampliato artificialmente)
Lago di Madesimo
Lago di Isola (sempre nel comune di Madesimo)
Lago di Prestone (a Campodolcino).
In territorio appartenente al comune di Piuro, nella Valle di Lei vi è un grande lago artificiale, il Lago di Lei, che si trova nel bacino del Reno. Le sue acque sono sfruttate dalla Svizzera, a cui appartiene il tratto del muraglione della diga, siccome in caso di attacco e distruzione di esso a venire inondate sarebbero le cittadine svizzere dell’Hinterrhein. La Svizzera ha così attuato uno scambio di territori e adesso può controllare la diga per la protezione civile. La cascata dell’Acqua Fraggia è un’importante attrazione turistica. È formata dal torrente omonimo che da un vallone esposto sulla valle principale si getta dall’alto.

I ghiacciai formarono la morfologia della valle, ma sono ora ridotti a pochissimo territorio. Ora ne sono presenti circa una decina in Valle Spluga e in Val di Lei e alcuni in Val Codera. Nella Valle Spluga i più grandi sono quelli del Ferré, del Suretta (ormai più simili a nevai) e di Ponciagna.

La Valchiavenna, come tutte le valli alpine, possiede sul suo territorio vari monti più o meno alti. In Val San Giacomo il più importante è il Pizzo Stella (3163 m), il più alto è il Pizzo Tambò (3279 m), poi il Pizzo Ferrè (3103 m), il Pizzo Suretta (3027 m, insieme al Tambò circonda il Passo dello Spluga), il Pizzo Quadro (3015 m). Nella Valle della Mera il più importante è il Pizzo Galleggione (3107 m), nella bassa Valchiavenna ci sono il Pizzo Ligoncio (3032 m), il Pizzo di Prata (2727 m, domina con la sua mole la Val Schiesone, sopra Prata). Si può considerare appartenente alla valle il Pizzo Badile (3308 m).

Il valico più importante è senza dubbio il Passo dello Spluga, che diede nei secoli scorsi molta importanza alla valle come terra di grossi traffici e passaggi. Dal confine svizzero bregagliotto si può arrivare ai passi del Maloja e del Settimo. Vi sono poi il Passo del Baldiscio, in Valle Spluga e il Passo della Forcola, a conclusione della Valle della Forcola, situata sopra Gordona. Tutti e due i valichi portano alla Svizzera.

Tra le caratteristiche particolari della Valchiavenna vi sono la presenza di una grande palude presso il Lago di Mezzola, formata dalla Mera, chiamata Pian di Spagna. Ora è un posto adatto al bird-watching: vi si possono osservare infatti vari uccelli acquatici. Altra caratteristica, già citata prima, è la presenza di numerose valli laterali.

La Valle S. Giacomo (oggi più comunemente chiamata Valle Spluga) è la zona più settentrionale della Valchiavenna ed è dislocata tra i 333 m s.l.m. di Chiavenna e i 2113 m s.l.m. del Passo dello Spluga. La valle confina a ovest con il bacino del fiume Moesa, affluente del Ticino, e a est con il bacino del Reno di Lei, affluente del Reno posteriore. La Valle Spluga è centrale nell’arco delle Alpi ed è posta tra il solco del Lago di Como a sud e la valle del Reno a nord. Collega i centri di Chiavenna e Thusis, distanti in linea d’aria 43 km.

La Val Scalcoggia e la Valle di Starleggia sono sospese sulla valle principale e i loro torrenti formano delle cascate. Al contrario, la Val Rabbiosa e la Valle del Drogo si immettono nella valle principale tramite una gola scavata dal proprio torrente. Nella valle sono presenti dozzine di laghi e laghetti glaciali. Ad esempio i laghi dell’Angeloga, presso il Pizzo Stella, quelli attorno al Passo del Baldiscio, il Lago Emet (incastrato nella particolare conformazione dell’alto comune di Madesimo), il Lago Azzurro di Suretta (sul gruppo del Suretta) e di Motta (comune di Campodolcino). Ci sono molti laghi artificiali: a Montespluga e Isola (comune di Madesimo), a Madesimo, a Prestone (comune di Campodolcino). Inoltre c’è il lago di Truzzo, sul versante sinistro: si tratta di un lago naturale poi ampliato artificialmente. Il comune principale è Campodolcino. Importante è la cittadina di Madesimo, importante stazione sciistica. La valle fu chiamata con vari nomi. Nel XII secolo d.C. fu nominata per la prima volta con il nome di “Valle Sancti Jacobi”. Localmente è chiamata semplicemente “Valle” e dialettalmente “Val di Giüst”. In italiano è chiamata “Valle San Giacomo”, dal nome del comune che la introduce, San Giacomo Filippo, che un tempo era il maggiore. Recentemente si è vista la prevalenza del nome “Valle Spluga”.

La Valle della Mera è la valle percorsa dal fiume Mera fino a Chiavenna. È compresa (ed è l’unica sua parte italiana) nella Val Bregaglia, che termina al Passo del Maloja. La valle si trova tra Val di Lei e Val Madris a nord-ovest e la Val Codera a sud-est. L’aspetto dei versanti opposti è molto diverso: quello destro è ripido e pieno di rupi e valloni, quello sinistro è poco ripido ed è disposto a gradinata. Ci sono poche vallate profonde nei versanti. Sul versante sinistro sopra Borgonuovo di Piuro e sotto il Pizzo di Lago c’è il lago dell’Acqua Fraggia. Nella valle omonima (sospesa sulla valle principale) il suo torrente emissario si getta dalla parete con la cascata dell’Acqua Fraggia. La valle della Mera è divisa in due comuni: Piuro, diviso in borghi, e Villa di Chiavenna, quello del confine.

La Bassa Valchiavenna si disloca per buona parte sul Piano di Chiavenna, ed è una penetrazione valliva posta a quota più bassa delle altre zone della Valchiavenna e più vicina allo spartiacque alpino dell’arco delle Alpi. Con i suoi prolungamenti laterali, la bassa valle è posta tra: a ovest la Valle di Livo (appartenente alla Val Mesolcina, Svizzera), a nord-ovest la Valle Spluga, a nord-est la Valle della Mera (Val Bregaglia), a est la Val Masino, a sud-est la Valtellina. La Bassa Valchiavenna fu scavata dall’unione dei ghiacciai della Valle Spluga e della Val Bregaglia. I versanti sono levigati, e quindi non sono presenti laghi alpini. Le valli laterali generalmente si immettono nella valle principale con una gola scavata da un corso d’acqua (Val Bodengo, Val Codera e Val dei Ratti. Per aspetto le valli laterali sono aspre e selvagge (un esempio sono l’orrido scavato dal torrente Boggia presso Gordona, e le valli più a sud, la Val Codera e la Val dei Ratti. Il Piano di Chiavenna, appartenente alla bassa valle, circa 2000 anni fa era occupato dal Lago di Como fino a Samolaco (da Summu Lacu= sulla sommità del lago). Ora è rimasto solo il Lago di Mezzola, collegato al Lario dall’ultimo tratto della Mera. Il comune più importante è Samolaco, diviso in piccole cittadine. Altre cittadine sono Mese, Gordona, il piccolo comune di Menarola, Prata Camportaccio e le cittadine sul Lago di Mezzola, ovvero Novate Mezzola e Verceia.

La bassa valle è attraversata dalla strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga e dalla strada provinciale Trivulzia. Le due strade si dividono a Novate e si uniscono a Chiavenna. Qui la SS 36 continua attraverso la Valle Spluga fino all'omonimo passo mentre, sempre a Chiavenna, inizia la strada statale 37 che percorre la Val Bregaglia fino al confine italo-svizzero. In territorio elvetico questa strada prende il nome di Strada Nazionale n.° 3 e porta al passo del Maloja.
Chiavenna è collegata a Colico, e quindi a Sondrio e Lecco, da una linea ferroviaria a binario unico.
Al termine del tratto più suggestivo si percorre un altro sentiero con interesse turistico, la Via retica dei Carden che attraversa minuscole frazioni costituite da baite in legno molto caratteristiche (come le antiche case di Livigno e di Zernatt, tanto per intenderci). Raggiunto il borgo di Isola (1268 m), storico punto di sosta e di cambio cavalli per le diligenze che affrontavano il passo nell'Ottocento, il sentiero prosegue più tranquillo fino a Campodolcino.

In Valchiavenna si contano circa un´ottantina di crotti posti in località diverse.
La maggior concentrazione di crotti si ha nel comune di Chiavenna, dove i nuclei sono ben 18, segue Villa di Chiavenna con 14 crotti, senza contare quelli sparsi sui maggenghi del versante meridionale; Piuro con 11 e Samolaco con 10.
Quanto all´altitudine vanno segnalati anche quelli di Dalò (S. Giacomo) a 1149 metri, di Bodengo ( Gordona) a 1027 e al Fòp ( Menarola) a 934.
Poichè la natura non ha confini, i crotti continuano verso la Bregaglia svizzera, in barba alle dogane, fino a Bondo, a Promontogno e a Vicosoprano. Qui si trova il crotto dell´Albigna, a 1127 metri sul mare, aperto al pubblico, così come, scendendo verso per il Tini ai Roi e il Caurga, e vale tuttora per il Giovanantoni a San Giovanni e in Pratogiano per i crotti Al Prato, Torricelli, Refrigerio e Ombra. In quest´ultimo la galleria fu scavata artificialmente nella seconda metà dell´800 per la maturazione della birra, poi fu usata per quella del vino, oggi per la stagionatura dei formaggi.
Alcuni crotti in Pratogiano sono adibiti alla conservazione e vendita di frutta e verdura.
Altri pubblici in bassa valle sono il Crotàsc di Mese, aperto nel 1927, e il Cròt di Gordona.
Se normalmente i crotti sono a gruppi, raccolti o sovrapposti, non mancano esempi di crotti isolati.
In qualche caso si tratta di casa-crotto, come a San Giovanni di Chiavenna, dove molte costruzioni antiche sorgono sopra il crotto con i caratteristici tetti a una falda che salgono ad appoggiarsi al pendio.
Anche se è solamente in Valchiavenna che il fenomeno raggiunge la maggior densità, ricordiamo comunque che il crotto non è un fenomeno esclusivo della Valle, infatti se ne segnalano anche nei dintorni di Como, sul Lago di Como e nella Val Mesolcina.

Il "sorel" è una corrente d´aria a temperatura costante intorno agli 8°C, quindi tiepida d´inverno e fresca d´estate. Questa corrente d´aria è l´elemento da cui deriva la peculiarità del crotto, rendendolo infatti ambiente ideale sia per la maturazione del vino, dal momento che non c´è variazione di temperatura, sia per la stagionatura di salumi e insaccati, a cominciare dalla bresaola, e dei formaggi, d´alpe e di latteria.
Pochi finora hanno tentato di dare una giustificazione fisica al fenomeno e comunque essa non è ancora stata oggetto di studi sistematici.
I chiavennaschi costruirono presso il crotto, in mezzo al verde, rustici sedili e tavoli in pietra ollare, dove passare qualche ora serena con gli amici o la famiglia, per degustare i prodotti locali e, con una piota sotto un antro, poter cucinare le famose costine. Nei crotti più ricchi si aggiunse anche una saletta, dove potersi anche scaldare d´inverno al fuoco del camino. Alcuni di questi sono addirittura con balconcino e con dipinti, anche esterni, come quelli patrizi di Pratogiano o di Cortinaccio a Prosto di Piuro, dove spicca quello della famiglia Vertemate-Franchi. Va in ogni caso sottolineato l´interesse architettonico e urbanistico dei crotti, perfettamente inseriti nella natura, mimetizzandosi nell´ambiente tra il verde della vegetazione e il bruno delle rocce.
Il crotto in Valchiavenna è privato (solo alcuni sono stati aperti al pubblico come ristoranti) e si eredita come qualsiasi altro bene, ma, per evitare divisioni ereditarie, la maggior parte dei crotti privati ha moltissimi proprietari e, per non avere problemi, spesso all´interno del crotto stesso ci sono una serie di armadietti, dentro cui c´è la botticella del vino e il "mezzo" in terracotta, strumenti indispensabili per far vivere lo spirito del crotto; poi, all´esterno, i tavolini sono di tutti.
Etimologicamente il nome crotto si fa derivare da "crypta" latino o dal medievale "crota", che provengono dal greco krypta, cioè grotta, tanto che fu italianizzato in grotto. Della grotta ha le caratteristiche costruttive con pareti costituite da viva roccia, i massi più o meno grandi franati dalle montagne incombenti, anche se, bisogna ricordare, l´elemento fondamentale che lo differenzia da una normale grotta è il "sorel".
Per comprendere in pieno il motivo autentico della vita del crotto si pensi ad una scritta del 1781 nel crotto Giovanantoni di San Giovanni a Chiavenna che dice "Si vende vino bono e si tiene scola de umanità" e si pensi quindi all´humanitas dei romani, la cordialità, la serietà pur nell´allegria, il senso di se stessi, l´equilibrio interiore, il rispetto degli altri" in un luogo a misura d´uomo dove, per dirla come scriveva il poeta chiavennasco Giovanni Bertacchi, "se mangia e se beef in dialet".
Era costume diffuso, fino a qualche decennio fa, che le famiglie, d´estate, la sera della festa o della vigilia, andassero a crotto per la cena, al fresco e in mezzo al verde. Inoltre il crotto è sempre stato, anche prima della Chiavenna artigianale e industriale del XIX secolo, luogo ideale per concludere gli affari, tra un bicchiere e una battuta. Anche gli operai, nelle giornate particolarmente calde, finivano lì la loro giornata lavorativa. Il crotto fu quindi luogo di socializzazione da sempre. Per i giovani dell´ultimo dopoguerra, fu la sede delle festicciole con gli amici e le amiche, visto che fuori dall´abitato, si poteva cantare fino a tarda notte senza problemi di quiete pubblica. E soprattutto si può mangiare, ancor oggi, senza formalità, al tavolo di pietra squadrato alla buona. Si dice solitamente che quel tanto o poco di apertura in più che i forestieri trovano nei chiavennaschi derivi proprio da qui.
Per valorizzare i crotti, soprattutto quelli di Pratogiano a Chiavenna, nacque nel 1956 la Sagra dei crotti, che fino al 1960 fu un complemento di una gara podistica a carattere nazionale e che dal 1965 vive come manifestazione autonoma, con la possibilità di degustazioni gastronomiche e contorno di musica, balli e cultura. Si tiene generalmente nel secondo fine settimana di settembre e attira gente da varie province della Lombardia e dai Grigioni svizzeri.

È pratica diffusa in tutto l´arco alpino utilizzare le piante spontanee come alimento fresco, cotto o da conservare.
Non di meno questa consuetudine si riscontra ancora oggi nella cultura delle montagne dove, la gastronomia, caratterizzata dalla semplicità delle preparazioni, spesso, è retaggio di tradizioni contadine originate in situazioni di bisogno o di scarse risorse alimentari.
L´utilizzo alimentare delle piante spontanee è stato definito fitoalimurgia. Il termine alimurgia è stato coniato da Giovanni Targioni-Tozzetti nel 1767 per indicare lo studio delle soluzioni da ricercare in caso di urgenza alimentare (alimenta urgentia = alimurgia).
L´alimurgia è quindi la disciplina che si occupa di ricercare quanto può essere utile nel caso di necessità alimentare.
Queste piante danno al palato sensazioni rustiche arcaiche, grezze, non raffinate, dimenticate dalla selezione operata dall´uomo che ha privilegiato altri aspetti come la resa, la qualità.
Il nostro gusto ha quindi appiattito le caratteristiche organolettiche dei cibi e addomesticato i palati.
Durante la bella stagione l´uomo è attirato verso le erbe dei campi che inconsciamente considera utili: il corpo in primavera ha bisogno di pulirsi e il sangue di purificarsi: niente di meglio delle erbe cotte ci insegna la saggezza contadina!
Certo, i tempi sono cambiati: non si tratta più di ricercare risorse alimentari per sfuggire alla carestia, ma di riscoprire antichi usi, piatti dimenticati e genuini.
Dall´alimurgia si passa quindi inevitabilmente alla gastronomia.
Il recupero dell´uso culinario deve quindi procedere assieme al recupero della memoria, della storia, delle parole, delle tradizioni e ciò crea un notevolissimo valore aggiunto a tutta l´operazione che molti ristoratori hanno già compreso.
Per esempio, il prelibato Chenopodium bonus-henricus, il nostro spinacio selvatico, che poco ha da invidiare allo spinacio coltivato; oppure l´umile Silene vulgaris per misticanze, frittate, risotti o minestre.
Da non dimenticare la pungente ma altrettanto buona Urtica dioica nei risotti, minestre, frittate e ripieni vari.
Dal fondo valle ai pascoli alpini non si può non apprezzare il Taraxacum officinale che con la sua rosetta basale, prima della fioritura, viene gustata fresca in insalata, lessata quando le foglie cominciano ad indurirsi, nelle frittate primaverili o nelle minestre quando il freddo serale si fa ancora sentire.
Molte altre possono essere le specie da utilizzare e gustare, ma attenzione: la raccolta deve essere fatta con prudenza in quanto pos-sono derivare purtroppo facili confusioni con specie a volte tossiche.






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