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giovedì 9 giugno 2016

LA PROVINCIA DI COMO

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La provincia di Como è compresa all'interno della Regio Insubrica, di cui rappresenta la porzione centrale, e della regione storica insubre.

Confina a nord e a ovest con la Svizzera (Canton Ticino e Canton Grigioni), a est con la provincia di Sondrio e la provincia di Lecco, a sud con la provincia di Monza e della Brianza e a ovest con la provincia di Varese.
Ha un'exclave in territorio svizzero, rappresentata dal comune di Campione d'Italia.
Il territorio provinciale anticamente era più vasto e comprendeva fino al 1927 anche la parte settentrionale della provincia di Varese (istituita con R.D.L. 2 gennaio 1927, n. 1) e, fino al 1992, la quasi totalità della provincia di Lecco (istituita con D.P.R. 6 marzo 1992, n. 250).

Descrizione araldica dello stemma:

« Partito: il primo di rosso, alla croce d'argento, accontonata nel quarto dalla parola "Libertas", posta in banda, in lettere maiuscole di nero, poste in sbarra; il secondo di verde alla croce latina anomala, scorciata, i bracci allargati verso le estremità, d'oro, caricata da tre gemme ellittiche, di verde, poste una in alto nel braccio verticale, due nel braccio orizzontale, a destra e a sinistra, essa croce accompagnata da quattro stelle di sei raggi, d'oro, due nei cantoni del capo, due nei cantoni della punta; il tutto alla campagna d'azzurro, caricata dal fregio d'oro, formato dalla losanga, vuotata, coricata, intrecciata al rettangolo incavato a triangoli nei quattro lati, ugualmente vuotato e coricato. Ornamenti esteriori da Provincia. »
(Araldicacivica.it)
Lo stemma della provincia di Como è stato modificato nel 2005, dieci anni dopo il distaccamento della provincia lecchese. La parte alta (prima unica con la croce bianca su sfondo rosso e la scritta Libertas) è stata divisa in due sezioni mentre la parte sottostante è stata riunita in un'unica banda, eliminando la divisione tra i simboli di Como e Lecco.

Il "Leone" (simbolo della città di Lecco) è stato sostituito dalla croce di Rovenna e Scaria, circondata da 4 stelle a 6 punte che ricordano come dall'Antico dominio di Como si siano poi gemmate quattro realtà istituzionali ora autonome: Sondrio, Varese, Lecco e il Canton Ticino. Nella fascia inferiore trova spazio un disegno geometrico dei magistri cumacini presente sul basamento della facciata del Duomo di Como. Il simbolo ha significati molteplici, infatti rappresenta un'opera lignea di intaglio, ma anche una ruota dentata oppure una rosa dei venti.

I primi insediamenti stabili nella zona comasca vennero probabilmente creati da antiche popolazioni Liguri della Cultura di Polada. Gli abitati erano collocati lungo le rive di laghi o paludi in zone bonificate disponendo tronchi sul terreno in modo perpendicolare gli uni agli altri. Le prime palafitte - risalenti all'Età del Bronzo - furono posizionate nella zona affacciata sul Lago di Como. Col tempo questi primordiali villaggi sono stati edificati nell'entroterra, posizionati nelle zone più elevate.

Con l'arrivo, attraverso le Alpi, delle popolazioni proto-celtiche della Cultura di Canegrate (XIII secolo a.C.), dalla cui fusione con le popolazioni autoctone nasce la Cultura di Golasecca (IX-IV secolo a.C.), si assiste ad un forte processo di sviluppo per gran parte dell'Italia nord-occidentale primariamente incentrato nella regione dei Laghi.

L'area di Como (sede della Civiltà Comacina) diviene con l'eponima area di Golasecca uno dei due epicentri di questa nuova e originale Cultura golasecchiana celto-ligure.

Tra l'VIII ed il VI secolo a.C. si evolvono nel circondario di Como (sulle colline della Spina Verde a sud rispetto all'attuale città) fenomeni di vero e proprio sviluppo protourbano che conferiscono a questo centro un ruolo commerciale particolare ed un primato culturale sul territorio circostante. Si accentua anche un fenomeno di gerarchizzazione del territorio che si accompagna a modifiche strutturali della comunità, attraverso un processo di stratificazione sociale, con la formazione di stabili élite.

Fondamentale in questo processo, poco dopo la metà del VI secolo a.C., è la formazione dell'Etruria padana e l'espansione tirrenica anche a nord del Po lungo l'asse del Mincio. Al di là delle negative conseguenze in termini politici-militari-fiscali dell'Egemonia etrusca, il nuovo asse commerciale Mincio-Brescia-Bergamo-Como-Lago di Lugano verso l'Europa centrale celtica crea un notevole incremento della ricchezza e determina importanti cambiamenti culturali nell'area comasca, con il probabile insediamento anche di elementi etruschi tra la popolazione residente. Grazie a questa "fusione" fra i due popoli l'antica Como conobbe un periodo di discreta ricchezza, testimoniata dai numerosi materiali preziosi ritrovati nelle necropoli. L'uso della scrittura appare ora diffuso ampiamente sulle ceramiche.

Nel V secolo a.C. si accentua ancora di più l'importanza, e la ricchezza, di Como che diviene anche diramazione, forse la principale, delle vie commerciali etrusche sull'asse Genova-Milano-Europa centrale.

Con l'arrivo delle grandi ondate di immigrati celto-Galli di origine transalpina (e portatori della Cultura di La Tène) che si vengono a stabilire nella Val Padana, a partire dal IV secolo a.C. il territorio di Como si organizza politicamente nella sua prima popolazione storicamente conosciuta: i celti o, più probabilmente, celto-liguri Orobi.

Poiché l'invasione gallica dell'Etruria padana a sud del Po, combinata con la pressione esercitata da meridione da parte dei Romani, annienta la potenza etrusca, viene meno la corrente commerciale tra la penisola italica e il nord delle Alpi (già di per sé gravemente turbato da avvenimenti propri) che aveva fatto fiorire Como; l'abitato si riduce sensibilmente, mentre insediamenti prettamente gallici si ritrovano a Gudo, Solduno, Plesio, Introbio, Varenna, Esino Lario.

Nel periodo lateniano l'area Orobia di Como, con il suo "Comum Oppidum" e la rete di "Castella" appare conservare più a lungo un "aspetto golasecchiano" mentre l'area orientale, lecchese, del Lario presenta più marcati e precoci tratti gallici nell'organizzazione del territorio e dei rinvenimenti archeologici, come testimoniato dai ritrovamenti di Acquate ed Olate.

Durante il V secolo a.C. i Galli presero possesso del centro abitato di Como, impostando una società gerarchica e costruendo numerosi castelli con più strati di mura. Essi fondarono a Como un oppidum, cioè un centro fortificato.

Più tardi gli Orobi, e tra loro i Comenses abitanti di Como, confluiranno, pur con una loro identità indipendente, nella confederazione (foedus) celtica o celto-ligure degli Insubri che domina sui territori dell'odierna Lombardia occidentale (Regio Insubrica) e Piemonte orientale.

Sulla sponda lariana la vivacità di facies assicura un'ampia frequentazione della zona. Fonti epigrafiche ci tramandano anche i nomi dei alcuni popoli federati, stanziati sulle sue sponde: i Gallianates di Galliano, oggi frazione di Cantù, gli Ausuciates di Ossuccio, gli Aneuniates di Olonio, i Clavennates di Chiavenna e i Bergalei della Val Bregaglia. Alla conquista romana di Como, il territorio era ben organizzato e sull'Oppidum comense gravitavano ben 28 castella, che si arresero ai conquistatori con il capoluogo. Nella battaglia perirono quarantamila soldati.

La conquista della Gallia Transpadana iniziò nel 225 a.C. e dopo la pausa della Seconda guerra punica, terminò nel 196 a.C. con la conquista di Como. Il console Marco Claudio Marcello fu magnanime con i vinti. I Comensi vennero legati a Roma da un foedus, un vincolo federativo, nel rispetto delle autonomie locali. In cambio poté contare sulla loro assoluta e perenne fedeltà. Per circa un secolo la presenza romana fu sporadica ed episodica fino a che il settentrione rivestì un interesse fondamentale per assicurare una adeguata sicurezza e per saziare le mire espansionistiche commerciali e militari oltralpe.

I Romani presero possesso di Como, facendo sì che essa diventasse un luogo economicamente, politicamente e militarmente strategico. Nello stesso anno Roma divenne padrona della intera Lombardia.

Nell'89 a.C. Gneo Pompeo Strabone si affrettò ad aiutare Como, devastata da un'incursione di Reti: la restaurò e conferì ai comensi lo ius Latii, la cittadinanza latina.

Successivamente, nel 77 a.C., giunse a Como un gruppo di 3.000 coloni, guidati da Lucio Cornelio Scipione Asiatico Emiliano, che si stanziarono sulle pendici circostanti l'attuale convalle. Il toponimo "Coloniola", oggi riservato ad un quartiere della città, è quantomai significativo in proposito.

Ma il vero artefice e fondatore ex novo della colonia latina di Novum Comum è considerato da tutte le fonti Gaio Giulio Cesare.
Nel 59 a.C., con l'obiettivo di rafforzare Como ed il Lario per la sua importanza quale via di comunicazione con i passi alpini verso l'Europa centrale, ed autorizzato dalla lex Vatinia, che gli conferiva il potere proconsolare, fondò nell'area dov'è ubicata ora la città, Novum Comum, circondandola di mura e vi trasferì 5.000 coloni, tra i quali 500 Greci a cui gli storici classici locali, come Maurizio Monti, hanno voluto ricondurre l'origine etimologica di località quali Lecco (Leucos), Corenno (Corinto), Lenno e Lemna (Lemnos), Nesso (Nasso), Dervio (Delfo). L'ipotesi è però smentita dalla moderna ricerca storica e toponomastica.

Nel 49 a.C. Novum Comum acquisì la cittadinanza romana e da colonia latina divenne municipium civium romanorum della repubblica romana. I comensi possedevano così la pienezza del diritto riservato ai cittadini di Roma e la città aveva la propria Curia ed era amministrata da un collegio di quattro magistrati.

Divenuta municipium romano ed aggregata (insieme a Milano) alla tribù Oufentina, estendeva il suo territorio dalle Alpi alla Brianza, dai laghi varesini all'Adda, insinuandosi a sud fino alla Grangia di Lainate ed a nord fino alla Valchiavenna e parte della Valtellina.

Durante il I secolo d.C. la crescita cittadina fu aiutata dalle donazioni dei Plinii, che fecero erigere una biblioteca e uno spazio termale.

Grazie alla crescente ricchezza cittadina, in città vennero costruiti vari edifici o luoghi di interesse comune: un foro, un porto, terme, templi e mura. Intorno al 15 a.C. venne costruita la Via Regina, importante via di collegamento verso il centro Europa.

Testimonianze di questo benessere sono gli scritti di due famosi abitanti comaschi vissuti in quell'epoca: Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane. Il secondo, nell'anno 100 console romano, fece costruire una grande statua in onore di Giove, a testimonianza del rimpiazzo delle divinità romane su quelle galliche.

La condizione si perpetuò fino a più d'un secolo dopo, quando l'intero Impero Romano visse una profonda crisi economica e politica. Ad aggravare la situazione vi fu l'invasione degli Alemanni nell'Italia settentrionale, avvenuta nel 250 d.C. e conclusasi solo con l'intervento delle truppe imperiali.

I Nautae Comenses gestivano i commerci ed erano i padroni assoluti del lago, tanto che, quando Milano diventerà capitale di fatto dell'impero (288-289), l'autorità comasca dotata di ampi poteri sarà il praefectus classis cum curis civitatis: la specificità di Como non era tanto il controllo del traffico terrestre, ma quello della navigazione, che rappresentava la via privilegiata di comunicazione sia per i traffici commerciali che per i movimenti di truppe con il mondo transalpino.

Nel 354 venne esiliato a Como il futuro imperatore Flavio Claudio Giuliano.

La crisi venne tuttavia superata velocemente grazie all'intervento di Costantino, il quale frammentò il territorio in molte provincie autonome, le quali ebbero la possibilità di consolidare la propria situazione sociale senza interferenze esterne.

Iniziò così un altro periodo assai fortunato, nonostante che l'Italia fosse stata lasciata quasi interamente alle popolazioni dell'estremo nord europeo.

Durante l'alto Medioevo Como subì l'invasione dei Goti prima e dei Longobardi poi; nel 951 scese in Italia l'imperatore Ottone I e tra i suoi sostenitori c'era anche Gualdone, vescovo di Como. Durante il periodo comunale Como fu contesa tra le famiglie rivali dei Rusca (o Rusconi) o Ruschi, e dei Vitani. In seguito alla Guerra decennale (1118-1127) tra Como e Milano, il 27 agosto 1127, a conclusione del conflitto, Como fu assediata dalle forze milanesi ed incendiata, le mura e le abitazioni distrutte, gli abitanti dispersi. Attraverso l'alleanza con Federico Barbarossa, Como trovò negli anni seguenti l'occasione di ricostruirsi e di aspirare all'egemonia perduta. Con l'aiuto dell'Imperatore, nel 1158 riedificò ed ampliò le mura della città con le sue imponenti torri di Porta Torre, Torre di San Vitale e Torre di Porta Nuova (o Torre Gattoni) e restaurò il Castel Baradello, potenziandolo con la costruzione della poderosa torre e delle altre strutture.
Nel 1159 ospitò lo stesso Imperatore con la consorte Beatrice di Borgogna, di passaggio in città.
In questi anni di effimera gloria, Como ebbe la sua vendetta partecipando all'assedio ed alla distruzione della città di Milano, avvenuta nel 1162, e quella dell'Isola Comacina, avvenuta nel 1169.
Infine a Legnano, nel maggio 1176, gli alleati della Lega Lombarda sconfissero definitivamente l'esercito imperiale. Con un diploma datato 23 ottobre 1178 Federico Barbarossa donò alla Chiesa ed alla Comunità di Como, quale premio della loro fedeltà, il Castel Baradello insieme alla Torre di Olonio.

Dal 1327 la città cadde in dominio dei signori Rusca quando Franchino I instaurò una signoria personale su città e contado divenentando vicario imperiale. Tale situazione durò però solo fino al 1335, quando Azzone Visconti rovesciò la signoria dei Rusca e annesse la città al Ducato di Milano.

A questo periodo risale anche l'apertura della zecca.

Alla morte di Gian Galeazzo Visconti, avvenuta nel 1402, Franchino II Rusca tentò di instaurare a Como una signoria personale. Il figlio Loterio IV salì al potere nel 1412. Seguì un periodo di devastazioni e stragi fino al 1416, quando Como si consegnò a Filippo Maria Visconti. Alla morte di quest'ultimo (1447) Como conobbe un breve periodo d'indipendenza con la sua "Repubblica di Sant'Abbondio". Nel gennaio del 1449 Francesco Sforza inviò Antonio Ventimiglia per attaccare Como ma venne respinto dai cittadini guidati da Giovanni della Noce e si ritirò a Cantù. Il Monzone aiutò i Rusca contro i guelfi Vitani. Nell'aprile del 1449 Antonio Ventimiglia assale nuovamente Como con l'appoggio dei canturini. Nel 1450 la città si sottomise definitivamente a Francesco Sforza. I primi 20 anni del XVI secolo e l'ultimo decennio del XV (dal 1494) videro il territorio comasco e la sua capitale disputati tra francesi e sforzeschi, che, tra l'altro, comportarono la definitiva occupazione da parte di alcuni cantoni svizzeri del Ticino e della Valtellina (inclusa la zona di Colico e le tre pievi, Dongo, Domaso, Sorico) da parte dei Grigioni. Alleati dei francesi erano, in genere, i guelfi, nemici i ghibellini. Durante l'occupazione francese i ghibellini comaschi furono in buona parte costretti ad abbandonare la città come ribelli, oppure decisero di lasciarla per dedicarsi alla guerriglia uniti ai ghibellini lariani, numerosi villaggi tra Como e Lecco (Bellano, Introbio, Sorico, Dongo, Musso) subirono saccheggi e devastazioni sia da parte delle truppe straniere e mercenarie, sia da parte delle milizie partigiane guelfe e ghibelline. Tra i ghibellini primeggiarono Giovanni il Matto di Brezio e l'esule milanese Gian Giacomo Medici detto Medeghino, mentre tra i guelfi i fratelli Borsieri.

Quando la città era occupata dai ducali, i guelfi organizzavano la guerriglia sul lago e in Brianza, usando come centro l'allora molto grande e ricco paese di Torno, che nel 1522 fu distrutto dagli sforzeschi e rimase disabitato per quasi un decennio. Successivamente il Duca di Milano, Francesco II Sforza, tornato dall'esilio nel 1523 riuscì a riconquistare con l'aiuto spagnolo e imperiale il Ducato di Milano (1524) e a riaffermare la propria signoria su Como. Il Medeghino ottenne, in cambio della sua fedeltà, il castello di Musso e il contado di Porlezza, da cui cominciò, con l'aiuto dei nobili comaschi ma senza l'appoggio del duca, una lunga guerra contro i grigioni che comportò la riconquista dell'alto lago e del Pian di Spagna.

Nell'ottobre del 1525, dopo la congiura Morone e il "tradimento" di Francesco II Sforza, Como veniva occupata Don Pedro Arias, inviato da Antonio de Leyva, con 200 spagnoli, portati rapidamente a 1000. La città e il lago furono coinvolti nella guerra tra le truppe della lega (che comprendevano tanto gli Sforza quanto la Francia e i veneziani) e la Spagna. Principale partigiano locale della lega il Medeghino, che riuscì ad occupare quasi tutto il Lario (a nord della linea Brienno-Nesso, e ad esclusione di un'enclave spagnola attorno a Lecco), buona parte della Brianza orientale, con la fortezza di Monguzzo come "capitale" e il castello di Civello di Villa Guardia, tanto che il de Leyva ordinò la distruzione di tutte le fortezze che gli spagnoli non riuscivano ad occupare stabilmente per impedire che cadessero in mano al Medeghino, incluso il castel Baradello. Nel 1527 il Medeghino, dopo essere stato sconfitto nella battaglia di Carate Brianza, persa Cantù e fallita l'occupazione di Lecco decise di abbandonare il Duca (con il quale i rapporti erano decisamente freddi da molti anni) e si alleò agli spagnoli in cambio del titolo di Marchese di Musso e Conte di Lecco, ottenendo buona parte della provincia di Como, l'intera provincia di Lecco e l'alta Val d'Ossola come marchese imperiale (ma Carlo V non controfirmò mai il trattato), la città e la Brianza occidentale, unita alla zona di Villa Guardia tornarono invece agli spagnoli e nel 1530, con la pace tra Spagna e Ducato di Milano tornarono lentamente al duca Francesco II.

Tra il 1530 e il 1531 iniziò una sorta di guerra fredda tra il duca e gli svizzeri protestanti da un lato, il Medeghino e gli svizzeri cattolici dall'altro: il duca pretendeva la restituzione del Lario, che il Medeghino ancora occupava, anche se l'Imperatore non aveva confermato il suo titolo di Marchese. Nel 1531 il Medeghino attaccò a sorpresa i Grigioni, conquistando facilmente la bassa Valtellina, ma venendo poi a sua volta attaccato, oltre che dagli stessi Grigioni, dai cantoni protestanti e dal Duca di Milano coalizzati in una dura guerra che sconvolse tutto il Lario per due anni. Il Medeghino riuscì a conservare la maggior parte delle sue fortezze, ma non riuscì a conquistare Como e dovette alla fine venire ai patti con il Duca, ottenendo in cambio della rinuncia al suo stato lariano il titolo di Marchese di Melegnano con tutti gli annessi e connessi.

Nel 1532 il Ducato di Milano ripristinò la provinicia di Como, anche se monca dei territori ticinesi (mentre la Valtellina sarebbe rimasta occupata dalle tre leghe Grigie fino all'età napoleonica), mentre nel 1535 il Duca Francesco II Sforza morì improvvisamente senza eredi; Carlo V (suo cognato) ereditò quindi il titolo di Duca di Milano e l'incamerò nell'impero asburgico.

Da allora Como seguì le sorti del Ducato di Milano e successivamente del Regno Lombardo-Veneto, fino all'Unità d'Italia.

Il 27 maggio 1859, in seguito alla Battaglia di San Fermo, Giuseppe Garibaldi, al comando dei Cacciatori delle Alpi, liberò la città dall'occupazione austriaca.

Durante la seconda guerra mondiale Como non venne mai bombardata.

La provincia di Como venne istituita in seguito alla riforma amministrativa della Lombardia voluta dall'Imperatore Giuseppe II nel 1786, succedendo all'antico Contado di Como significativamente ampliato coi territori di Varese e Lecco. In età napoleonica fu sostituita dal Dipartimento del Lario, salvo essere riproposta nel Regno Lombardo-Veneto con confini che non variarono per più di un secolo, non venendo intaccata neppure dal decreto Rattazzi del 1859.

Dopo l'unità d'Italia fu suddivisa nei tre circondari di Como, di Lecco e di Varese, soppressi nel 1926. Nel 1927 il territorio dell'ex circondario di Varese venne distaccato per formare parte della nuova provincia di Varese.

Nel 1995 il territorio provinciale venne ulteriormente ridotto per l'attivazione della provincia di Lecco istituita nel 1992.

Il territorio comasco può essere diviso in sette aree geografiche omogenee, partendo da nord e scendendo verso sud:
l'Alto Lario Occidentale che comprende i comuni tra Cremia e Sorico, oltre alle valli circostanti;
la zona delle Alpi Lepontine Meridionali che comprende i comuni lariani tra Griante e San Siro oltre ai comuni comaschi del Ceresio e delle valli limitrofe (Val Cavargna e Valsolda);
la zona Lario Intelvese che comprende tutti i comuni della Val d'Intelvi, del lago di Como tra Cernobbio e Argegno e della Tremezzina;
l'area del Triangolo Lariano che comprende la Valassina, Erba, Canzo e altri comuni costituenti l'alta Brianza comasca, Valbrona e i comuni lariani tra Blevio e Bellagio;
la zona di Como e dintorni che si sviluppa nella cintura dei Comuni confinanti col capoluogo;
l'area dell'Olgiatese che comprende i comuni della bassa provincia e i paesi a ridosso del confine con il distretto di Mendrisio e la provincia di Varese, con comuni 'vicini' alla Brianza;
la bassa Brianza Comasca, che è parte della regione brianzola e che comprende Cantù e Mariano Comense, i due centri più popolosi dopo il capoluogo.
Sono comuni della Brianza comasca, cioè Bassa Brianza comasca (Brianza canturina) e Alta Brianza Comasca (Brianza erbese e Brianza canzese): Albavilla, Albese con Cassano, Alserio, Alzate Brianza, Anzano del Parco, Arosio, Brenna, Cabiate, Cantù, Canzo, Carimate, Carugo, Caslino d'Erba, Castelmarte, Cermenate, Cucciago, Erba, Eupilio, Figino Serenza, Fino Mornasco, Inverigo, Lambrugo, Longone al Segrino, Luisago, Lurago d'Erba, Mariano Comense, Merone, Monguzzo, Montorfano, Novedrate, Orsenigo, Ponte Lambro, Proserpio, Pusiano, Vertemate con Minoprio. Inoltre, i seguenti comuni brianzoli sono nella zona di transizione tra Como e dintorni e Brianza Comasca: Capiago Intimiano, Casnate con Bernate, Lipomo, Senna Comasco, Tavernerio; alcuni includono nella Brianza Comasca il ‘tratto' che va da dopo Casnate con Bernate alle sorgenti del Seveso con Villa Guardia, Grandate, Montano Lucino, fino a Cavallasca e anche il ‘tratto' che partendo da dopo Canzo arriva alle sorgenti del Lambro con Asso (e i vicini comuni di Sormano, Caglio, Rezzago), Lasnigo e fino a Magreglio. 'Borderline' con la Brianza sono poi: Cadorago, Bregnano, Lomazzo, Rovellasca, Rovello Porro.

Ai distretti descritti va aggiunta una exclave: quella di Campione d'Italia sul lago di Lugano distante 746 m dal resto della provincia.

Le diverse aree possiedono delle caratteristiche omogenee dal punto di vista climatico, morfologico e demografico. Non sono riconosciute istituzionalmente ma sono già utilizzate dall'amministrazione provinciale per suddividere la struttura ricettiva turistica e per un piano di collaborazione intercomunale tra le varie municipalità.

Le temperature variano dai -5/+5 °C in gennaio ai +20/+30 °C in luglio. La provincia è situata nell'area prealpina ed è caratterizzata da un clima semi-continentale. Gli inverni sono generalmente freddi, specie in montagna, mentre le estati sono calde e afose. Fa eccezione la costiera lariana (specie la Tremezzina), che gode di un clima relativamente più dolce. L'umidità è sempre molto elevata per tutto l'anno.

La provincia di Como è interessata dal flusso di numerosi fiumi e torrenti di piccola o media portata, oltre a ospitare diverse sorgenti acquifere. Sono tre i fiumi che bagnano il territorio provinciale. Il fiume più importante che nasce nel Triangolo Lariano e scorre attraverso Erba è il Lambro: la sua origine si ha in località Alpe del Piano Rancio, nel bel mezzo del Triangolo Lariano, Si immette nel lago di Pusiano per poi defluire e scorrere verso sud. Per un breve tratto segna il confine tra la provincia di Como e Lecco. Altro fiume importante è il Seveso che nasce sul Monte Sasso a Cavallasca e percorre anche la parte brianzola della provincia. Il fiume Mera percorre il suo ultimo tratto a Sorico prima di gettarsi nella pendice settentrionale del Lago di Como.

Il corso d'acqua più lungo della provincia, il Lura che nasce nel comune di Uggiate-Trevano al confine tra la Lombardia e il Canton Ticino per poi scorrere lungo tutta la zona a sud-ovest della provincia, attraversando tra l'altro i comuni di Lurate Caccivio, Cadorago, Lomazzo e Rovellasca, scorrendo in un tratto nell'omonima valle. Il torrente prosegue poi in Provincia di Varese, bagnando Saronno e nel Milanese, dove lambisce Rho, a valle di questa cittadina, il torrente confluisce nel fiume Olona.

Altri torrenti da citare sono il Serenza e il Terrò (tributari del Seveso) che scorrono nell'area canturina, il Bozzente (tributario dell'Olona) che percorre l'area della pinetina di Appiano Gentile, gli immissari del Lago di Como che sono il Cosia sulla sponda orientale, l'Albano, il Liro, il Livo sulla sponda orientale e il Cuccio, che si getta nel lago di Lugano a Porlezza.

Vi sono poi tre torrenti che scorrono in territorio italiano e svizzero: il Breggia, che nasce in località Barco dei Montoni, attraversa tutta la Valle di Muggio per poi rientrare in Italia a Maslianico, il Mara, che nasce sul Monte Sighignola (nel comune di Lanzo d'Intelvi) per poi sfociare nel lago di Lugano e il Gaggiolo che nasce a Meride nel Canton Ticino entra in Italia, attraversa la Valmorea e sbocca nell'Olona nel varesotto.

Il Lago di Como (o Lario) rappresenta il bacino lacustre più importante della provincia. Il Lario non è però l'unico lago presente all'interno della provincia, in quanto esistono diversi bacini minori nell'area prealpina, oltre a una porzione del Ceresio.

Sono 31 i comuni comaschi che si affacciano sullo specchio d'acqua lariano, serviti da una efficiente rete di navigazione. Sono invece 5 i comuni comaschi che si spartiscono il ramo comasco del lago di Lugano.

I laghi prealpini all'interno dei confini provinciali sono quattro e situati a ridosso dell'area Erbese, nella zona dell'Alta Brianza: il lago di Pusiano e il lago di Alserio, tra Como e Lecco, il lago di Montorfano, nell'area canturina e il lago del Segrino, piccolo bacino nel triangolo lariano nei pressi di Canzo.

Vi sono altri due bacini minori nella parte centro-settentrionale dell'area comasca: il lago di Mezzola, a nord, collegato al lago di Como da un breve tratto del fiume Mera e il piccolo lago di Piano, situato in Val Menaggio.

Tutte le montagne sono situate nella parte nord della provincia, oltre la linea immaginaria che unisce le città di Como e Lecco.

Troviamo montagne che appartengono alla catena delle Alpi Lepontine e altre che fanno parte delle Prealpi lombarde.

Molti studiosi fanno passare la linea immaginaria di demarcazione tra i due gruppi montuosi dal Passo di S.Iorio e da esso, attraverso la valle Albano o Dongana, al Monte Legnone (già in provincia di Lecco), sull'altra sponda del Lario. Pertanto a Nord di tale linea immaginaria si parla di Alpi vere e proprie, mentre a Sud siamo ancora nelle Prealpi.

La divisione non è solo di natura geografica ma anche geologica; essa riguarda le rocce di cui i vari rilievi comaschi sono formati: la linea di divisione tra la fascia metamorfica e quella delle Alpi sedimentarie-calcaree passa nella zona tra l'Alto lago di Como e la fascia delle Lepontine meridionali. Il sistema montuoso alpino che va dal Passo S.Iorio alla provincia di Sondrio è chiamato localmente con il nome di "Muncech". Le cime più alte superano di poco i 2500 metri; la più elevata è il Pizzo Paglia (2593 m), la cui vetta è però situata per poche centinaia di metri totalmente in territorio elvetico. Ne consegue che il monte più elevato della provincia di Como è il Pizzo Cavregasco (2.535 metri), al confine con la provincia di Sondrio. Altre cime limitrofe, sempre in provincia di Como e la cui altezza è attorno ai 2500 metri sono il Pizzo Campanile, il Pizzo Martello, il Pizzo Ledù, il Monte Cardinello.

Restando sulla sponda occidentale del Lario e scendendo dal Passo di San Iorio verso Sud, entriamo nelle Prealpi e l'altitudine man mano si abbassa, passando dai 2245 m del Pizzo di Gino ai 1701 m del Monte Generoso, splendido balcone dal quale si possono ammirare i laghi di Como, Lugano e Maggiore, oltre al lago di Varese e ai piccoli laghetti limitrofi. L'ultima propaggine prima dell'inizio della pianura è il Monte Bisbino, che con i suoi 1325 m. È la montagna più alta visibile dalla città di Como.

Anche la fascia immediatamente a nord della linea immaginaria Como-Lecco, il cosiddetto Triangolo Lariano, è interamente montuoso e appartiene quasi totalmente alla provincia di Como. La vetta più elevata è il Monte San Primo(1682 m), posta in posizione molto panoramica dietro Bellagio, e dal quale si può ammirare il Lario con la caratteristica biforcazione a Y rovesciata. Specialmente in inverno, nelle giornate limpide una salita sulla sua vetta merita davvero una visita. Altre montagne di non grande rilevanza orografica ma molto apprezzate dagli escursionisti sono i monti Boletto, Bollettone e Palanzone e i caratteristici Tre Corni di Canzo.

Nell'area comasca esistono diverse vallate: nell'area centro-settentrionale sono prevalentemente di origine glaciale mentre nella fascia meridionale vi sono delle valli minori, di modeste dimensioni, di origine fluviale.

Nell'area delle Alpi Lepontine, partendo da nord, si incontrano diversi vallate però scarsamente abitate per via delle impervie condizioni della morfologia. Le più a nord sono la Valle di Sorico e la Valle di Livo che prendono il nome dai comuni in cui si sviluppano. In località Dosso del Liro convergono le vallate del Dosso e di San Jorio. Proseguendo lungo la sponda occidentale del Lario a Dongo vi è lo sbocco della Valle Albano che prende il nome dal torrente che vi scorre al centro.

Nella parte centrale vi sono le vallate più conosciute della zona comasca, nonché centri turistici rinomati: la Val Cavargna e la comunicante Val Rezzo, poste a ridosso della sponda nord del Lago di Lugano, la Valsolda, valle laterale al confine con il distretto di Lugano e la Val d'Intelvi, incastonata tra i laghi di Como e Lugano, accessibile da Porlezza e da Argegno in territorio italiano, da Arogno provenendo dalla Svizzera. Sempre dalla Svizzera, ma uscendo a Mendrisio, si può raggiungere la Valmorea (valle), che è raggiungibile inoltre da Malnate, se si arriva da Varese, e da Uggiate-Trevano se si proviene da Como. Questa è più lontana dal lago rispetto alle altre Valli montane comasche.

La Vallassina è la valle più popolata della provincia, nonché l'unica valle presente nel Triangolo Lariano.

La provincia di Como, con una popolazione di 578.175 abitanti (di cui 32.381 stranieri), risulta essere la sesta delle provincie lombarde per numero d'abitanti.

Dei 160 comuni che compongono la provincia, Como risulta essere il più popoloso con 83.175 abitanti e con la più alta densità media (2.228 ab./km²). Il comune con meno abitanti è invece Val Rezzo con una popolazione di 187 abitanti.

La zona più densamente popolata è l'area che si snoda tra i centri di Mariano Comense ed Erba sull'asse ferroviario Milano-Asso. Le ragioni sono di tipo morfologico ed economico: la zona precocemente servita dal servizio ferroviario (precedente al 1900) è sede dei maggiori centri industriali della provincia e il terreno collinare-pianeggiante ha permesso lo sviluppo di centri residenziali ben collegati da strade e mezzi di trasporto. L'area lariana e montana presenta invece diverse carenze logistiche nonché una scarsità di attività economiche.

Nel corso del Dopoguerra le valli, a eccezione della Valassina, si sono spopolate a vantaggio dei piccoli-medi centri dell'area sud della provincia che registrano un costante aumento demografico

Fra il 1906 e il 1952 la provincia era collegata con la rete tranviaria sostituita dalla rete filoviaria in funzione dal 1938 al 1978.

La Funicolare Como-Brunate che collega dal 1894 il capoluogo con il piccolo centro montano posto al di sopra della città e permette una visione privilegiata del primo bacino lariano. Costruita per finalità commerciali con lo sviluppo del turismo di massa acquista grande importanza. Il servizio è ora gestito dall'ATM di Milano.

La funivia Argegno-Pigra collega il centro lariano con il soprastante comune della Val d'Intelvi.

La Funicolare Lanzo-Santa Margherita funzionò dal 1907 al 1977 che collegava la Val d'Intelvi con il lago di Lugano. Attualmente un comitato sostiene il ripristino della funicolare, una volta eseguite le necessarie opere di restauro e di sistemazione degli impianti.

La provincia di Como si avvale della presenza dell'Università degli Studi dell'Insubria e del Politecnico di Milano. Como è sede universitaria dal 1987, anno di avvio dei primi corsi del Diploma a fini speciali in Informatica Gestionale avviato dal Politecnico di Milano. Dal 1989 è sede di regolari corsi di laurea in Ingegneria gemmati appunto dal Politecnico milanese oltre che in Scienze e più tardi in Giurisprudenza, gemmati dall'Università degli studi di Milano. Dal 1998 questi ultimi corsi confluiscono nell'Università degli studi dell'Insubria insieme agli analoghi corsi di Varese. La sua istituzione risale al febbraio 1997 quando l'Osservatorio per la valutazione del sistema universitario attua una fase di scorporo delle attività dell'Università degli Studi di Milano, creando una università bipolare e concedendo autonomia ai corsi di laurea e alle Facoltà di Como e Varese. L'inizio dell'attività avvenne il 14 luglio 1998. A Como hanno sede le facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali e di Giurisprudenza, inoltre sono presenti dei corsi di Economia e Medicina. A Como ha sede, presso il prestigioso Palazzo Natta, il Rettorato Comasco dell'Università degli Studi dell'Insubria.

Per quanto riguarda le arti e la musica Como è sede sia di un Conservatorio di musica sia di un'Accademia di belle arti.

Il Conservatorio di Musica "Giuseppe Verdi" di Como è il più giovane fra i quattro Conservatori situati in Lombardia, essendo nato nel 1982 come sezione staccata del Conservatorio di Musica "Giuseppe Verdi" di Milano. L'Istituto ha acquisito propria autonomia nel 1996.
L'Accademia di Belle Arti "A. Galli" di Como è una istituzione privata, nata nel 1989 e riconosciuta dal Ministero dell'Università.
L'Istituto Superiore per Interpreti e Traduttori "F. Casnati", nato nel 1989 e trasformatosi nel 2002 in Scuola Superiore Mediatori Linguistici F. Casnati di Como abilitata dal Ministero dell'Università a rilasciare lauree triennali in Mediazione linguistica.
L'istruzione superiore statale nella provincia di Como offre una vasta scelta per ciò che riguarda le scuole di stampo umanistico-scientifico o tecnico-professionale. Nella città di Como sono presenti 8 scuole di secondo grado, mentre sono sparsi nel territorio provinciale altri 9 istituti superiori: 3 a Cantù, 3 a Erba, 1 a Mariano Comense, 1 a Menaggio e 1 a Olgiate Comasco.

I dialetti parlati in Provincia di Como sono tutti varianti della koinè del Lombardo occidentale o dialetto Insubre. Intelleggibili fra loro, e basate sull'articolo determinativo maschile ul (contrapposto al el milanese) presentano una serie di varianti fonetiche e lessicali. La causa principale di questa disomogeità linguistica è rappresentata dalle vicende storiche dell'attuale Provincia.
La zona brianzola è storicamente legata a Milano e risente dell'influenza del Milanese. A Como e nell'area canturina viene parlato il dialetto comasco, utilizzato fra l'altro dal poeta Gianpaolo Mascheroni e codificato da La Famiglia Comasca.
Nell'Alta Brianza l'accento rimane abbastanza fedele a quello del capoluogo, pur esistendo varianti locali come il canzese e il vallassinese, circoscritti alle aree di Canzo e dei comuni centrali del Triangolo Lariano. Sul Lario il dialetto comasco assume una propria fisionomia con la variante del dialetto laghée (anche detto tremezzino) che risente delle influenze della vicina parlata ticinese. Particolare successo ha ottenuto questa variante comasca con il cantautore Davide Van De Sfroos che ha esportato la parlata comasca in tutto il mondo.
Nella Bassa Comasca, e in particolare nei Comuni di Locate Varesino, Carbonate e Mozzate, la variante locale è più simile al Saronnese e al basso Varesotto. A Turate compaiono invece tratti liguri e le vocali turbate similmente al dialetto bustocco. Da ultimo in Val Cavargna e in Valle Albano, a causa del secolare isolamento, si sono sviluppati dei dialetti originali: il cavargnon e il muncecch. I Cavargnoni hanno anche elaborato il rungin, un gergo incomprensibile ai non iniziati.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, buona parte del territorio della provincia coincide con l'area della diocesi di Como.Campione d'Italia è nella diocesi ambrosiana; anche i comuni comaschi dei decanati di Appiano Gentile, Asso, Canzo, Cantù, Erba e Porlezza fanno parte di zone pastorali dell'arcidiocesi di Milano e seguono il rito ambrosiano. La diocesi di Como segue il rito romano. Le parrocchie di Lomazzo e Montorfano erano appartenenti all'arcidiocesi di Milano e di rito ambrosiano. Capiago Intimiano: Intimiano è di rito ambrosiano e fa parte dell'Arcidiocesi di Milano mentre Capiago è di rito romano e appartiene alla Diocesi di Como.

La cucina comasca attinge le sue ricette dalla tradizione gastronomica lariana e dell'alta Lombardia, unendo i prodotti del lago a quelli della pastorizia e della tradizione contadina.

Molti comuni dell'entroterra e della costa sono uniti in diverse comunità montane, create per valorizzare e preservare il loro territorio ricco di bellezza naturale.
Queste comunità sono molto importanti in ambito provinciale, anzi talvolta sono quasi sostitute dirette della provincia stessa.

Nella provincia di Como esistono tre parchi regionali: il parco forestale della Pineta di Appiano Gentile e i due parchi di cintura metropolitana della Valle del Lambro e della Spina Verde di Como (quest'ultimo non riconosciuto dall'EUAP). Vi sono poi tre parchi di interesse sovraccomunale, divisi con il territorio delle province circostanti: il Parco del Lura, il Parco della Brughiera Briantea e il Parco del Lago del Segrino.

Il calcio è lo sport più diffuso sul territorio provinciale, raggiungendo una copertura capillare che tocca ogni frazione o quartiere. La più antica società calcistica comasca è l'A.C. Maslianico, fondata nel 1902. Nel corso degli anni si sono create diverse società.

La più gloriosa è il Calcio Como, fondata nel 1907 e che vanta 13 partecipazioni al campionato di Serie A. Negli anni ottanta ha militato per 5 stagioni consecutive nella massima serie dando spazio a numerosi talenti come Roberto Galia, Alessandro Scanziani, Silvano Fontolan e Stefano Borgonovo. Sono cresciuti nelle giovanili azzurre Luigi Meroni, indimenticato talento calcistico italiano degli anni sessanta e Gianluca Zambrotta, campione del mondo con la Nazionale italiana nel 2006.

Le altre società che hanno disputato dei campionati nazionali sono cinque. Il Cantù nel corso degli anni quaranta e cinquanta ha militato per diversi anni in Serie C e nel 2011-2012 ha disputato suo 13º torneo in Serie D. Il Mariano ha disputato il massimo campionato dilettantistico ininterrottamente tra il 1986-1987 e il 1999-2000. La Canzese, che disputò 3 campionati di Serie D tra il 2002-2003 e il 2004-2005, ottenne proprio in questa stagione la promozione in Serie C2, ma rinunciò e chiuse ogni attività. La Guanzatese ha disputato il Campionato Nazionale Dilettanti/Serie D nel 1995-1996, 1996-1997, 2001-2002, 2002-2003. Infine, la Salus et Virtus Turate ha disputato i tornei 2006-2007, 2007-2008 e 2008-2009 in Serie D, prima di fondersi con la Caronnese e ripartire dalla Terza Categoria.

Da ricordare anche che, tra il 1913 e il 1923, il Chiasso disputò i tornei della FIGC e non quelli della federazione svizzera, giocando le partite interne sul campo del Mornello di Maslianico. Dopo diverse stagioni in Prima Categoria, tornò a competere nei campionati elvetici.

A livello femminile, due sono le società ad aver disputato la Serie A: il Como 2000 (cinque volte, compresa la stagione 2012-2013) e la Vallassinese nel 2003-2004 e 2004-2005.

La rappresentativa comasca si è aggiudicata la Coppa Augusto Turati, trofeo disputato dalle squadre delle province lombarde, nel 1928, battendo in finale la selezione di Brescia.

Il canottaggio è forse lo sport maggiormente legato alla storia del lago di Como. Quasi tutti i paesi che si affacciano sul lago possiedono una società di canottieri. La più titolata è la Canottieri Lario di Como, fondata nel 1891, la quale ha dato i natali sportivi a uno dei più grandi atleti italiani in questo sport, Giuseppe Sinigaglia. Sono 17 le vittorie a livello mondiale per la società e un centinaio quelle nei campionati italiani.

Da ricordare anche altre squadre come la Canottieri Bellagio, nata nel 1908 e la Canottieri Cernobbio, con atleti ed equipaggi spesso ai vertici in Europa e nel mondo.

Il ciclismo è una delle attività sportive di maggior rilievo nella provincia: ogni anno il Giro di Lombardia percorre le strade comasche. Il ciclista più noto che nacque nel territorio lariano è Fabio Casartelli, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992 e tragicamente scomparso durante la 15ª tappa del Tour de France del 1995. Notevole anche la vittoria della medaglia d'oro nell'inseguimento a squadre ai Giochi di Los Angeles 1932 da parte di Paolo Pedretti, nativo di Orsenigo.

Ai ciclisti di tutto il mondo è particolarmente caro il santuario della Madonna del Ghisallo, che ospita moltissimi cimeli donati dai grandi campioni del passato.

La principale società hockeistica, l'Associazione Hockey Como, disputa il campionato nazionale quasi ininterrottamente dalla stagione 1971-1972 e vanta 4 partecipazioni alla Serie A.

A livello femminile, dal 1991 al 2007 l'Hockey Club Lario Halloween ha partecipato a tutte le edizioni del massimo campionato, arrivando sino al 3º posto. La società non è più attiva dopo la stagione 2006-2007.

La pallacanestro è lo sport che ha regalato maggiori successi e trionfi alla provincia di Como con la Pallacanestro Cantù in campo maschile e la Pool Comense in campo femminile.

La società canturina, fondata nel 1936, ha sfornato talenti come Pierluigi Marzorati, Carlo Recalcati e Antonello Riva. In ambito nazionale ha conquistato 3 scudetti e 2 Supercoppe italiane mentre un palmarès di 2 Coppe dei Campioni, 4 Coppe delle Coppe, 4 Coppe Korac e 2 Coppe Intercontinentali ne fanno la seconda squadra più titolata d'Europa dopo il Real Madrid. Per questo motivo viene chiamata anche la "Regina d'Europa".

La Pool Comense, oltre a essere la società sportiva più antica della provincia (fu infatti fondata nel 1872) detiene il record circa il maggior numero di titoli vinti nella pallacanestro femminile, tanto in Italia quanto in Europa, con 25 trofei in 15 anni tra il 1990 e il 2004. Il suo palmarès comprende 15 scudetti, 5 Coppe Italia, 6 Supercoppe italiane, 2 EuroLeague Women e 1 Mundialito. La prima squadra ha cessato l'attività dopo la stagione 2011-2012 e attualmente è attivo il solo settore giovanile. Ad ogni modo, in passato è esistita anche una sezione maschile in seno alla medesima società.

La Como Nuoto per la stagione 2012-2013 ha una squadra nel campionato nazionale di Serie A2 sia a livello maschile sia femminile.

La principale squadra di pallavolo della provincia è la Libertas Brianza, formazione canturina che ha disputato il campionato di Serie A2 nel 2011-2012.

Due sono i piloti comaschi che hanno corso con una monoposto in Formula 1: Arturo Merzario, tra il 1972 e il 1979 e Max Papis, che corse nella stagione 1995.

Un appuntamento fisso per gli appassionati delle due ruote a motore è il Circuito del Lario, gara di moto d'epoca.

La città di Como dagli anni ottanta a oggi è stata protagonista nella ginnastica ritmica italiana e mondiale con diverse talentuose ginnaste, che hanno raggiunto i vertici in competizioni nazionali e internazionali, regalando all'Italia alcune importantissime medaglie ai campionati del mondo e ai Giochi olimpici.

Lo schermidore Antonio Spallino è stato campione del mondo nel 1949, 1954 e 1955 e campione olimpico a Melbourne nel 1956.

LEGGI ANCHE: http://asiamicky.blogspot.it/2015/03/lombardia-la-regione-che-ospita-expo.html





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sabato 12 dicembre 2015

LE ALPI LEPONTINE

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Le Alpi Lepontine sono una sezione delle Alpi che interessa la Svizzera e l'Italia. Si trovano nelle Alpi Nord-occidentali.

Prendono il nome dai Leponzi, antica popolazione che abitava questi monti.

In Svizzera le Alpi Lepontine coprono la parte settentrionale del Cantone Ticino, la parte sud-orientale del Cantone Vallese, la parte meridionale del Canton Uri e la parte occidentale del Canton Grigioni. In Italia coprono una parte nord-orientale del Piemonte ed una parte nord della Lombardia.

Dal punto di vista orografico le tre sottosezioni delle Alpi Lepontine sono lungo la catena principale alpina.

Confinano a nord con le Alpi Bernesi separate dal Passo della Furka e con le Alpi Glaronesi separate dal passo dell'Oberalp, ad est con le Alpi Retiche occidentali separate dal passo dello Spluga, a sud con le Prealpi Luganesi separate dal Passo San Jorio e ad ovest con le Alpi Pennine separate dal passo del Sempione.
Il limiti geografici nel dettaglio sono: passo del Sempione, torrente Saltina, Briga, fiume Rodano, Oberwald, passo della Furka, torrente Furkareuss, Andermatt, torrente Oberalpreuss, passo dell'Oberalp, fiume Reno Anteriore, Disentis, Tamins, Reno Posteriore, Splügen, passo dello Spluga (confine Svizzera/Italia), torrente Liro, Chiavenna, fiume Mera, lago di Como, Gravedona, torrente Liro di Gravedona, passo San Jorio (confine Italia/Svizzera), torrente Morobbia, fiume Ticino, lago Maggiore (confine Svizzera/Italia), fiume Toce, Domodossola, torrente Diveria (confine Italia/Svizzera), Simplon, passo del Sempione.

Le Alpi dell'Adula (dette anche Alpi Mesolcinesi e Grigionesi Occidentali oppure Alpi Lepontine Orientali) sono una sottosezione delle Alpi Lepontine. La vetta più alta è l'Adula che raggiunge i 3.402 m s.l.m..

Si trovano in Svizzera (Canton Ticino e Canton Grigioni) ed, in parte minore, nell'Italia (Regione Lombardia).

Costituiscono la parte più orientale delle Alpi Lepontine oltre il Passo del Lucomagno.

Prendono il nome dall'Adula, montagna più alta e più significativa del gruppo.
La Catena Mesolcina (detta anche Catena Tambò-Forcola) è un gruppo montuoso delle Alpi dell'Adula che segna il confine tra l'Italia (Lombardia) e la Svizzera (Canton Grigioni) tra il Passo San Jorio ed il Passo dello Spluga.

Prende il nome dalla Val Mesolcina che la delimita ad ovest. Si chiama anche Catena Tambò-Forcola dalle sue due vette più significative: il Pizzo Tambò ed il Piz della Forcola.

Il Pizzo Tambò (scritto anche Pizzo Tambo) è una montagna delle Alpi alta 3.279 m s.l.m. È la più alta della catena Mesolcina che, staccandosi dalle Prealpi Luganesi verso Nord, ha termine in corrispondenza del Passo dello Spluga, determinando il confine tra l'Italia e la Svizzera (Canton Grigioni).
La sua mole rocciosa è formata prevalentemente da rocce metamorfiche con stratificazione verticale (gneiss, micascisti, filladi) di solidità digradante dalla base verso la vetta, poco sotto la quale si trova anche una piccola porzione di dolomia.
È formata essenzialmente da tre versanti: il versante nord, svizzero, che scende sulla Tamboalp in territorio di Splügen, presentando una piccola vedretta ormai in quasi completo disfacimento (Tambogletscher) ed un lago che ne raccoglie la fusione; il versante occidentale, ancora svizzero, tanto scosceso quanto sovente sfasciumato e del tutto deglacializzato, del quale fa parte anche la incassata parete sud-ovest che cela alla sua base la minuscola "Vedretta del Tambò"; il versante orientale, italiano, che digrada piuttosto interrotto ma senza vere e proprie pareti sul Passo dello Spluga e sul bacino di Montespluga, presentando la più cospicua Vedretta della Spianata. Verso sud la vetta digrada trasformandosi in una cresta ricca di vette secondarie (Pizzo Zoccone, la più rilevante) e andando a congiungersi alla struttura rocciosa del Gruppo del Ferrè.
È sostanzialmente impossibile stabilire quando avvenne la prima "vera" ascensione alla vetta del Tambò: la relativa facilità di salita del versante orientale può far senza dubbio supporre l'arrivo sulla sommità di altri prima del conquistatore "ufficiale", Johann Jacob Weilenmann con guida, nel luglio del 1859, proprio da quel versante.
Essendo la più alta vetta della regione e dunque offrendo un panorama eccezionale, essa è assai frequentata alpinisticamente, d'estate e d'inverno; la via "normale" di salita, che impone qualche cautela solo sulla breve cresta finale di roccioni e sfasciumi che adduce alla vetta, viene fatta iniziare generalmente dalla dogana italiana del Passo dello Spluga, e percorre interamente il crestone orientale, transitando a lato della tozza sommità del Tamborello (o Lattenhorn); è possibile salire anche dal versante svizzero (nord), in questo caso la via si congiunge a quella italiana appena sotto la citata cima del Tamborello.

Il Pizzo dei Piani (3.158 m s.l.m.) si trova lungo il confine tra l'Italia (Lombardia) e la Svizzera (Canton Grigioni). La montagna è collocata nella Catena Mesolcina tra l'italiana Valle Spluga e la svizzera Val Curciusa poco a sud del Pizzo Ferrè.
Il Pizzo Ferrè (3.103 m s.l.m.) si trova in provincia di Sondrio (Lombardia) non lontano dal confine con la Svizzera.
La montagna è collocata nella Catena Mesolcina tra l'italiana Valle Spluga (nelle sue vallate laterali Val Loga e Val Schisarolo) e la svizzera Val Curciusa. Si può salire sulla vetta partendo da Montespluga e passando per il Bivacco Cecchini (2.773 m s.l.m.).

Il Pizzo Quadro (3.015 m s.l.m. si trova lungo il confine tra l'Italia (provincia di Sondrio) e la Svizzera (Canton Grigioni). Dal versante svizzero la montagna domina la val Mesolcina; dal versante italiano si affaccia sulla Valchiavenna.

Le Cime di Val Loga sono un gruppo montuoso facente parte della Catena Mesolcina posto sulla cresta confinaria tra Italia e Svizzera che dal Pizzo Tambò si dirige con andamento regolare verso sud al gruppo del Pizzo Ferrè.
Deriva dalla sottostante Val Loga, della quale rappresentano le sommità della testata.
Le vette toponomasticamente definite sono tre: la cima settentrionale (2968 m s.l.m.), la "cima centrale" (3004 m, massima elevazione) e la "cima meridionale" (3003 m), tutte scarsamente pronunciate rispetto alla linea di cresta sia sul versante italiano che su quello elvetico, formate soprattutto da gande e sfasciumi di gneiss, anfiboliti e filoni pegmatitici. Sul versante italiano, alcuni nevai e placche ghiacciate che sovente permangono fino a stagione avanzata ricordano la presenza di un ghiacciaio ormai da tempo estinto, denominato Vedretta di Val Loga, del quale sono ancora piuttosto identificabili i cordoni di detrito morenico.
Le Cime di Val Loga determinano con la cresta che ne unisce le sommità il confine tra Italia e Svizzera, e appartengono ai territori comunale di Madesimo e di Mesocco (cantone Grigioni), alla testata della omonima val Loga e soprastanti la Val Curciusa.
Le vette delle Cime di Val Loga offrono un bel panorama, avendo in primo piano la testata della Valle Spluga e le sue cime, con bella visuale soprattutto sul Gruppo e sul ghiacciaio del Ferrè, e sul gruppo del Suretta; a ovest è ammirabile il solco della Val Curciusa e buona parte delle vette del Canton Ticino settentrionale, mentre a nord la visuale è chiusa dalla mole del Pizzo Tambò. Alla base delle cime e in posizione centrale rispetto ad esse, a 2773 m, sorge il bivacco Cecchini, facilmente raggiungibile da Montespluga, punto d'appoggio utile soprattutto per l'ascensione al Pizzo Ferrè.
Le sommità delle Cime di Val Loga sono tutte abbastanza facilmente raggiungibili con percorso di tipo escursionistico. Si sale per via diretta dal versante italiano con partenza dal bivacco Cecchini, procedendo su tracce di sentiero e percorso sempre intuibile, disagevole a tratti solo per il terreno di detriti e sfasciumi. L'unico percorso di natura alpinistica del gruppo è la traversata di cresta tra le tre cime, con rari passaggi in roccia fino al III grado e difficoltà generale valutata PD, che comunque risulta di interesse limitato e poco frequentata.
Non esistono impianti sciistici in prossimità delle vette, che invece acquisiscono un notevole interesse come mete scialpinistiche, posta la regolarità e la pendenza mai eccessiva dei pendii che scendono verso la val Loga e la piana di Montespluga.

Il Pizzo Tamborello è una montagna delle Alpi alta 2.858 m s.l.m.. Appartiene al gruppo del Pizzo Tambò, sulla cresta orientale che sale dal Passo dello Spluga verso la sommità dello stesso, sul confine italo-svizzero tra il Canton Grigioni e la Lombardia.
Facilmente salibile sulle sue brevi creste est e ovest, non presenta alcun interesse alpinistico ma semmai solo geografico "pratico", come riferimento sulla via di salita "normale" (sia italiana che svizzera) verso la vetta del sovrastante e ben più celebre Tambò, rappresentando per questa, nel caso di condizioni avverse, una meta di ripiego.

Il Piz della Forcola (2.675 m s.l.m.) si trova sul confine tra l'Italia (provincia di Sondrio e la Svizzera (Canton Grigioni). Sul versante svizzero la montagna contorna la Val Mesolcina, su quello italiano si affaccia sulla Valchiavenna, precisamente sul comune di Gordona.

Il Pizzo Cavregasco con i suoi 2535 m s.l.m. è la cima più alta della provincia di Como (ma non il suo punto più alto: questo si trova in corrispondenza dell'anticima sul del Pizzo Paglia, alla quota di 2550 m) pur trovandosi parzialmente anche in quella di Sondrio. Esso appartiene al gruppo delle Alpi Lepontine e al sottogruppo denominato localmente "Catena dei Muncecch", che segna il confine tra l'Italia e la Svizzera, partendo dal Passo San Jorio fino al Monte Berlinghera.
La cima più alta della "catena dei Muncecch" è in realtà il Pizzo Paglia, 2593 m s.l.m., ma la vetta si trova interamente in territorio elvetico, anche se di poche centinaia di metri.

La Cima dello Stagn (2.380 m s.l.m. - detto anche Scima del Stagn o Cima di Paina) è una montagna che si trova lungo il confine tra l'Italia e la Svizzera, tra il Canton Grigioni e la Lombardia.
Sul suo crinale passa il confine tra i comuni svizzeri di Roveredo e di Grono nel Distretto di Moesa.

Il monte Berlinghera (1.930 m s.l.m.) è una vetta facente parte delle Alpi Lepontine sulla sponda occidentale del lago di Como e del lago di Mezzola.
Sulla sua cima passa il confine tra la provincia di Como (versante sud nel comune di Sorico) e la provincia di Sondrio (versante nord nel comune di Samolaco). Le pendici scoscese sono delimitate a nord, est e sud dal torrente Mera e dal lago di Mezzola, e ospitano, alla confluenza del fiume col lago, il tempietto romanico di San Fedelino e le frazioni di Albonico, Bugiallo e Dascio.
Riconosciuta da più riviste specializzate, l'ascensione alla vetta viene segnalata quale alto esempio del paesaggio prealpino caratterizzato da un elevatissimo grado di naturalità. Da Gera Lario si prende la strada per Montemezzo - Bugiallo seguendo poi le indicazioni per la chiesa di San Bartolomeo (1204 m). Lasciati i veicoli nei pressi di questo insolito edificio, si cammina in un fitto bosco fino a raggiungere un'ampia valle, colma di bestiame al pascolo. Sulla sinistra, ad un centinaio di metri, si trova l'"Alpe di Mezzo" (1540 m) e sulla destra, un po' più in alto, l'"Alpe Pescedo".
Si sale diritti, attraverso i pascoli, fino alla "Bocchetta Chiaro" (1660 m). Seguendo l'elettrodotto è impossibile sbagliare, sebbene il sentiero sia difficile da individuare. Raggiunta la bocchetta si prende a destra, la traccia è evidente ed abbastanza facile anche se in forte pendenza.
Durante la fine della seconda guerra mondiale alle pendici del monte Berlinghera ricche di nascondigli naturali e fitti boschi, aveva presidio la 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" la stessa che trasse in arresto Benito Mussolini il 28 aprile 1945 guidata dal partigiano Pier Luigi Bellini delle Stelle. L'alpeggio del Monte Berlinghera fece da scenario al massiccio rifornimento aereo Britannico nella notte del 5 aprile 1945. Su di esso infatti venne paracadutato materiale bellico per i partigiani del posto: 20 mitragliatrici pesanti, trecento Sten, mortai e munizioni.
Nell'anno 1969 sulla vetta venne costruita da parte del Gruppo Alpini di Sorico una cappella votiva. All'interno si conservavano diverse lapidi provenienti dai gruppi alpini italiani ed esteri a ricordo dei caduti di tutte le guerre. La costruzione ebbe vita breve infatti pochi anni dopo venne sgretolata da un fulmine. Oggi esistono solo i muri perimetrali e un poco più a valle si riconosce ancora parte della curiosa copertura a forma di cappello d'alpino.


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mercoledì 24 giugno 2015

SAN FERMO DELLA BATTAGLIA

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San Fermo della Battaglia è un comune italiano di 4.583 abitanti della provincia di Como.

Il piccolo centro di Vergosa, di antica origine, fu sempre legato al territorio di Como, al cui interno apparteneva alla pieve di Uggiate.
Le prime tracce di insediamenti umani nel territorio di San Fermo risalgono XI secolo a.C. Prima ancora di Vergosa, la zona dove sorge il nostro comune ebbe nome Nullate e il che lascerebbe supporre la presenza di popolazioni galliche (il suffisso "ate" designa i toponimi di origine celtica). Reperti archeologici, databili attorno al 1000 a.C., attestano che in questo territorio fiorì la "Civiltà Golasecca". Numerosi sono i reperti di origine pre-romana ritrovati nelle zone di San Fermo, Rondineto, Prestino e Breccia (capanne, pozzi, tombe e oggetti in pietra e metallo) tutti riconducibili più o meno al V secolo a.C. quando questi agglomerati si fusero e diedero vita ad un unico nucleo chiamato "Comum oppidum". Reperti più tardi testimoniano la conquista romana, avvenuta nel 196 a.C. ad opera del console Marco Claudio Marcello.
Nullate, come borgo del contado comense, seguì le vicissitudini del capoluogo che fu colonia romana della tribù Ufentina. Subì poi le invasioni barbariche dei germani di Odoacre, dei Longobardi di Alboino, dei Franchi di Carlo Magno e dei Sassoni di Ottone che vi giunsero nel 951.
Vergosa, amministrativamente assegnato a Porta Sala, fece parte del comune ghibellino di Como (secoli XI e XII) subendo i contraccolpi della sua politica: le lotte con Milano, l’alleanza con Federico Barbarossa, le contese tra fazioni interne, la dominazione viscontea e poi sforzesca. Dal 1521 al 1706 fu sotto la dominazione spagnola mentre nel 1714 subì quella degli Asburgo. Nel 1796 fu dei francesi e ancora degli austriaci nel 1815.

Il paese San Fermo viene però ricordato soprattutto per la Battaglia che si svolse il 27 maggio 1859 nel corso della guerra che vide Francia e Piemonte opposti all’Austria e che le diede il nome. In questa occasione il generale Giuseppe Garibaldi alla testa di un nuovo corpo di volontari, denominato Cacciatori delle Alpi, si scontrò contro l'armata austriaca del Generale Urban.
Il 17 marzo 1859 Garibaldi assunse il comando dei Cacciatori. Si trattava di una brigata leggera, di circa 3 500 uomini, senza cannoni e senza cavalleria (ad esclusione degli esploratori), male armata ed equipaggiata, ma con l'uniforme dell'esercito piemontese, animata da forte spirito combattivo e guidata da ufficiali esperti, tutti reduci delle guerre del 1848-1849.
Provenendo da Sesto Calende, Garibaldi aveva liberato Varese dopo aver affrontata e respinta, il 26 maggio 1859, la Brigata Rupprecht del tenente maresciallo Karl von Urban, uscita da Como ed ivi ritiratasi, con perdite, a seguito allo scontro ricordato come la battaglia di Varese.
Il 27 maggio i volontari prendevano la via di Como, allora la città più importante della Lombardia settentrionale e base degli austriaci. Due erano le strade a disposizione: quella meridionale, attraverso Malnate, Binago ed Olgiate entrava in Como da sud; quella settentrionale (ora chiamata “garibaldina”) da Malnate deviava a nord per Uggiate e attraverso Cavallasca accedeva in Como dalle colline che chiudono la città da ovest, per una stretta chiusa a nord dal confine svizzero (oggi noto agli appassionati del Giro di Lombardia come Passo di San Fermo).
Nell'incertezza, Urban aveva schierato le proprie forze fra San Fermo, a nord-ovest, e Civello, a sud-ovest, con avamposti sul fiume Lura, sei chilometri dalla parte di Varese e le riserve al centro dalle parti di Montano Lucino. Oltre alla Brigata Rupprecht, che aveva combattuto a Varese, Urban poteva schierare la Brigata Agustin, giunta, nel frattempo, di rinforzo.
Garibaldi prese ad avanzare da Varese, attraverso Malnate e Binago sino ad Olgiate, raggiunta verso le 11:00. Di lì lasciò sulla destra il 1º reggimento di Cosenz, dando ad intendere di voler passare a sud e deviò gli altri due a nord verso San Fermo attraverso Parè e Cavallasca, raggiunta verso le 15:00.
Giunto a Cavallasca Garibaldi vi pose il proprio quartier generale ed incaricò dell'attacco Medici, comandante del 2º reggimento colà presente.
Di fronte aveva un avamposto austriaco, ben fortificato nell'oratorio del villaggio di San Fermo.
A Cavallasca il generale Medici decise di dare l'assalto su tre colonne: la prima colonna del capitano Cenni (una compagnia più i carabinieri genovesi) avrebbe dovuto svolgere un attacco di diversione sulla sinistra, la seconda colonna del capitano Carlo De Cristoforis, con un'altra compagnia, avrebbe condotto un attacco frontale, la terza colonna del capitano Vacchieri sulla destra, avrebbe dovuto minacciare la ritirata avversaria.
La compagnia di De Cristoforis doveva partire al segnale della "fucilata" sparata dal gruppo Cenni, con un attacco di sorpresa, ma l'inizio prematuro del fuoco da parte di alcuni volontari (ovvero da alcuni austriaci, a seconda delle versioni) fece mancare l'effetto.
De Cristoforis, credendo che quei colpi di fucile fossero il segnale per partire all'attacco, alle 16:00 uscì allo scoperto sullo stradone e venne preso di mira dai nemici appostati sul campanile di San Fermo. Un forte fuoco di fucileria lo costrinse a ripararsi in una cascina, il casale Valdomo.
Allora Medici comandò alla sinistra di appoggiare l'attacco e comandò un'ulteriore compagnia sulla destra. Con i difensori presi da tre lati, le due compagnie di De Cristoforis ripartirono in un assalto alla baionetta.
La motivazione dei volontari doveva essere davvero grande se, colpito da un fucilata mortale De Cristoforis, essi proseguirono la corsa guidati dal tenente Guerzoni e conquistarono la posizione.
Il ripiegamento austriaco venne inseguito, per un tratto, dalle truppe vittoriose. Allora Garibaldi ispezionò le strade verso la città (la Valfresca e Cardano) e venne a sapere da un contadino di Cavallasca, Agostino Marzorati, che tornava da Como, lo stanziamento delle truppe austriache in città. Erano circa duemila e, il contadino aggiunse, "stavano cuocendo le vivande".
Garibaldi fece allora occupare le alture verso Como in vista della città: nel tardo pomeriggio gli austriaci, finalmente informati degli avvenimenti, presero a risalire per Cardano e la Valfresca. Si tratta di strade ripide e dominate da una serie di scoscese montagnole: i garibaldini ben appostati li bersagliarono per poi a poco a poco scendere baionetta alla mano e rimandare gli assalitori giù per le colline.
Alle 21:30 Garibaldi entrava in città dall'allora Porta Sala, oggi Via Garibaldi, mentre gli austriaci uscivano da Porta Torre, e ripiegavano su Monza, lasciando bagagli, magazzini e prigionieri nelle mani dei Cacciatori. Urban, infatti, non poteva contare sulla fedeltà della popolazione (che appena undici anni prima si era resa protagonista delle Cinque Giornate di Como) e, da buon soldato regolare, desiderava ottenere cospicui rinforzi prima di riprendere Como e la più piccola Varese.
Occupata Como, Garibaldi richiamò le cinque compagnie da San Fermo e fece occupare Camerlata, al passo meridionale della città verso Monza e Milano, per garantirsi da eventuali contrattacchi.
Gli austriaci registrarono 68 morti e 264 feriti. I Cacciatori 13 morti (di cui 3 ufficiali: De Cristoforis, Pedotti e Cartellieri) e 60 feriti. Nessun garibaldino rimase prigioniero.
Nel villaggio di San Fermo della Battaglia sorgono oggi un piccolo obelisco di granito rosso, realizzato su disegno di Eugenio Linati, inaugurato il 27 maggio 1873.
Nel punto in cui cadde il capitano De Cristoforis si trova, invece, un semplice cippo di marmo che riporta i nomi dei tredici Cacciatori caduti durante la battaglia.
Da allora Vergosa fu annesso ai territori dei Savoia e al Regno d'Italia.

Tra gli anni Sessanta e Ottanta San Fermo registrò un incredibile aumento demografico dovuto ad una forte immigrazione da varie regioni. Oggi nel territorio operano alcune aziende di media importanza e oltre ad alcuni piccoli agricoltori sono presenti anche attività edili di lavorazione del ferro, tinteggiatura e tessitura. Ad oggi sono molti i pendolari che svolgono attività nella vicina Svizzera e nel capoluogo.

Nel mezzo della piazza s'innalza l'obelisco commemorativo del fatto d'armi cui la località deve nome e notorietà ; su un lato della piazza, la chiesa, anteriore al sec. XVI, e ampliata sulla fine di questo. San Fermo è centro agricolo (fiera dal 9 al 15 agosto). Il comune, comprendente, oltre il capoluogo, le località di Marnago, Vergosa, Trinità e La Costa.

La chiesa di Santa Maria Nullate fu costruita su di un preesistente tempio pagano dedicato alla dea della fortuna. Nel III secolo fu trasformato in tempio di culto cristiano e dedicato a S. Maria in Nullate e successivamente consacrato nel giugno del 1095 da papa Urbano II che transitava da Como per recarsi al Concilio di Clermont, dove avrebbe dato l’avvio alla prima Crociata. Della consacrazione rimane la memoria in un antichissimo quadro che mostra il corteggio papale uscire da Como per salire fino alla chiesa.
Nel 1718 la chiesa venne abbattuta perché divenuta troppo piccola, nello stesso anno fu ricostruita e nel 1870 venne ampliata. Al suo interno è possibile ammirare un grande dipinto rappresentante Santa Chiara e Santa Lucia di autore ignoto e un altro quadro del XVII sempre anonimo raffigurante l'Immacolata Concezione.

Il santuario di San Fermo sorge su un preesistente oratorio sempre dedicato al santo. San Fermo secondo la leggenda era un soldato romano che fu martirizzato a Verona durante l'impero di Massimiano ma che la critica più recente ha dimostrato essere stato ucciso per fame a Cartagine sotto Decio. Il suo culto pervenuto nell’Italia settentrionale dall'Africa, sembra sia stato diffuso a Vergosa da carrettieri provenienti da Verona e da Bergamo. La chiesa fu costruita nel 1592 e le pareti vennero affrescate nel XVII secolo ma di queste pitture restano solo poche tracce: un San Pietro Martire, sotto la cantoria, e un S. Carlo Borromeo. Nello stesso secolo furono rialzati i muri, gettata la volta e trasformata la pianta a croce latina, eretto il peristilio davanti alla facciata e alzato il campanile.
Successivamente vi furono altri restauri e opere di manutenzione anche se la chiesa non è più stata modificata. All'interno della chiesa ricordiamo anche la statua rappresentante San Fermo e su una parete dell'altare un dipinto del 1583 eseguito dall'artista comasco Cesare Carpano.

Davanti al Santuario sorge in memoria della battaglia del 1859 un grande monumento costituito da un obelisco di granito rosso posato su un dado dello stesso marmo, a sua volta posto su grandi massi di puddinga, che è la roccia delle colline locali. Sulla faccia a levante dell’obelisco campeggia un medaglione di bronzo con l’effige di Garibaldi. Il monumento è stato realizzato su disegno di Eugenio Linati e inaugurato il 27 Maggio 1873. Successivamente è stato completato da due statue di fanti e dedicato ai caduti di tutte le guerre.
Sul luogo in cui cadde il capitano De Cristoforis si trova un semplice cippo di marmo di Carrara, coronato da una ghirlanda di fiori, sul quale sono incisi i nomi dei tredici Cacciatori delle Alpi morti nello scontro.

Ogni anno, la domenica più vicina a quella del 27 maggio, viene celebrato l’anniversario della Battaglia di San Fermo del 1859.
Ogni anno, la domenica più vicina a quella del 4 novembre, viene celebrata la “Festa dell’Unità Nazionale del 4 Novembre”.



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BRUNATE



Noto come “il balcone delle Prealpi”, il piccolo borgo di Brunate è situato a 716 metri di altitudine, su un altopiano boscoso presso Como. Grazie alla posizione panoramica e alla quota relativamente alta in cui si trova, Brunate divenne, nel Sette-Ottocento, uno dei maggiori centri di villeggiatura lombardi, tanto da essere riportata tra le più importanti stazioni turistiche d'Italia.
Le origini del toponimo "Brunate" sono alquanto incerte; vi sono a tal proposito tre possibili ipotesi:
per alcuni, Brunate deriva da Prunear, che significa "paese nato tra i pruni";
altri lo traggono dal termine celtico Brunear, che vuol dire "monte a oriente" (si veda anche il termine celtico Brig, che significa "altura", origine di toponimi di altre città come Brescia o Breno oppure della località Brè posta nel comune di Lugano (Svizzera): tutti questi luoghi hanno avuto origine su delle alture, proprio come Brunate);
secondo un'altra teoria, invece, Brunate deriva dal termine di origine germanica Brunnen, cioè "fonte"; questo probabilmente per le molte sorgenti che sgorgano nel territorio comunale.
Durante gli scavi a Brunate per la costruzione di una cantina in pieno centro storico (giugno 1895) e di una villa in via Pissarottino (3 febbraio 1909) sono stati ritrovati reperti che fanno pensare ad un insediamento di tribù celtiche fin dal VI secolo a.C. Nel centro storico furono rinvenute due fibule, due anelli a globetti, un braccialetto, un ciondolo ed un pezzo di catenella; in via Pissarottino invece un'urna cineraria, ciotole e bicchieri in terracotta, una fibula in bronzo, due anelli di bronzo ed una perla d'ambra forata.

Brunate ha origini lontanissime, probabilmente celtiche, con forti influenze etrusche (i reperti archeologici presenti al Museo Civico di Como e in quello di Grosseto dimostrano il forte legame con l’Etruria). Inoltre i reperti archeologici evidenziano una cultura celto-ligure del IV e V secolo a.C. e che Brunate era sede di vita organizzata. Dopo alcuni secoli nella sottostante pianura si cominciarono a costruire capanne, fino a che i Romani risanarono il suolo, fondando la città ed erigendo mura e torri. In quest’epoca Como divenne in effetti una delle più importanti città dell’impero anche grazie alla sua posizione strategica, che la rendeva centro delle strade che portavano in Germania. Nel Medioevo Brunate si costituì a Libero Comune (seconda metà del XII secolo) ma la sua indipendenza fu di breve durata, risultando nel 1240 di nuovo annessa a Como. Per circa mezzo secolo Brunate resta legato alle vicende di Como senza particolari eventi da menzionare se non la presenza del monastero di S.Andrea e della futura beata Maddalena Albrici. La beata Albrici si era fatta religiosa nel monastero di Sant'Andrea a Brunate. Quando ne divenne Badessa, attirando dietro il suo esempio numerose anime femminili, ella dette alla fondazione, con l'aiuto di Bianca, duchessa di Milano, la Regola degli Eremiti di Sant'Agostino, riformando il monastero di Sant'Andrea nel senso di una maggiore austerità di vita e di una più rigorosa povertà. Le donne di Brunate, si ridussero così, volontariamente, a tale evangelica povertà da essere costrette a mendicare per il proprio quotidiano sostentamento. La Badessa Maddalena fu la prima a dare l'esempio di umile questuante, benché ella fosse nata, nel 1409, nella famiglia di Nicola Albrici, massimo magistrato di Como a quel tempo. Maddalena Albrici non era nuova a questi episodi. Bambina, a Como, era stata profondamente commossa dallo spettacolo dell'indigenza dei propri concittadini durante una carestia. Con tutti i suoi mezzi - compreso quello del miracolo - aveva cercato di soccorrere e di consolare, e proprio in quella penosa occasione aveva preso la decisione di entrare in monastero. Nel Comasco e nell'intero Ducato milanese Maddalena Albrici fu una grande calamita di anime, che attirò affabilmente a sé, sul colle impervio di Brunate, simile a un mistico altare innalzato verso il cielo. Un altare sul quale ella per prima venne offerta come vittima, sofferente di una lunga e penosa malattia che la spense nel 1465, e la fece invocare e onorare come una Santa. Dai verbali delle visite pastorali si rileva che più avanti, nel 1716, Brunate aveva solo 164 abitanti, diventati 222 nel 1768. In poco più di un secolo sarebbero aumentati di 300 unità.

Con la colonizzazione della convalle comasca da parte dei Romani, Brunate cominciò a seguire le stesse sorti di Como. Nella seconda metà del XII secolo Brunate riuscì a costituirsi libero Comune, ma già nel 1240 ritornò sotto la giurisdizione di Como, entrando nella circoscrizione cittadina di "Porta Sala".

A cavallo tra Ottocento e Novecento, da piccolo insediamento rurale medievale Brunate diventa una famosa meta per le famiglie benestanti milanesi, raggiungendo il suo massimo splendore, simboleggiato dalla costruzione di un casinò, che verrà chiuso dopo la seconda guerra mondiale cedendo la licenza a Campione d'Italia.

Il flusso turistico verso Brunate, nonché l'arrivo in paese dell'alta borghesia milanese, venne reso possibile anche grazie alla costruzione, da parte delle Ferrovie Nord Milano, della linea ferroviaria Milano-Grandate, ultimata nel 1896. La linea si congiungeva al tratto Camerlata-Como già realizzato nel 1875. Alle ferrovie bisogna aggiungere l'apertura della Funicolare Como-Brunate nel 1894 e l'inaugurazione del primo tram a Como nel 1899, in occasione del centenario della pila di Volta.

Questo afflusso turistico continuò fino alla Seconda guerra mondiale, quando il paese, protetto contro possibili bombardamenti dalla vicinanza alla Svizzera, divenne meta di molti sfollati. Il 1º agosto 1943, Brunate perse la sua autonomia, diventando frazione di Como; ritornò Comune nel luglio 1947, a seguito di una petizione popolare.

A partire dal secondo Dopoguerra Brunate cominciò a vivere una fase di declino per quanto riguardava la sua peculiarità principale, vale a dire quella di essere una rinomata località turistica gli alberghi di Brunate hanno quasi tutti cessato l'attività. Il paese è passato da località di villeggiatura "d'élite" a luogo da turismo di massa stile "mordi e fuggi". Il visitatore tipico si limita alla visita del centro storico, del Faro Voltiano e dei panorami.

Il nome di Brunate è tornato recentemente alla ribalta nazionale con l'emissione, da parte del Sindaco, di un'ordinanza entrata in vigore il 1º marzo 2008 che vieta l'accesso sul territorio comunale dalle 7 alle 20 delle autovetture più larghe di 184 cm e con ruote dal diametro superiore ai 730 millimetri. Questa ordinanza, contestata da commercianti, albergatori e possessori di fuoristrada e monovolume, mira a escludere l'accesso a Brunate ai mezzi troppo ingombranti, causa la larghezza ridotta delle strade brunatesi. Per questo oggi, data anche la scarsità di parcheggi, il mezzo di trasporto più consigliato per accedere al "Balcone sulle Alpi" è ancora senza dubbio la Funicolare.
All’inizio del 1800 il paese era costituito da poche case e qualche villino, ma nella seconda metà del secolo Brunate era già diventato un luogo di villeggiatura, grazie al suo clima, alla sua posizione geografica e alle vedute panoramiche, specie nelle mezze stagioni e d’estate. Fino alla seconda metà dell'ottocento, Brunate era rimasto un piccolo paese di montagna, isolato dalla sottostante città, luogo ideale di romitaggio. Fu solo nel 1817, anno di dura carestia, che venne realizzata la mulattiera, chiamata via delle Scalette, che dalla città, passando per l'ex eremo cappuccino di S. Donato (costruito nel sec. XV e soppresso nel 1772), conduceva a Brunate. Quasi mezzo secolo più tardi, venne realizzata anche una carrozzabile, che contribui in maniera determinante a rompere l'isolamento di questo piccolo paese rurale. L'evento determinante, però, che trasformò radicalmente Brunate, elevandolo ad importante luogo di villeggiatura, fu la realizzazione della funicolare. Il capitale necessario venne raccolto nel 1891 e l'inaugurazione del servizio avvenne il 6 novembre 1894. Per compiere il percorso di 1074 metri, con un dislivello di circa 500 metri e con pendenza minima del 33% e massima del 55%, le prime carrozze impiegavano venti minuti (oggi lo stesso percorso viene coperto in circa 6 minuti). La funicolare non era stata però pensata come servizio di trasporto per gli abitanti di Brunate, ma come mezzo per incentivare il turismo. E infatti Brunate, tra la fine dell'Ottocento e i primi di questo secolo, vide un'intensa attività edilizia, finalizzata soprattutto alla costruzione di ville ed alberghi, che portarono a riorientare il paese, fino ad allora affacciato a mezzogiorno. Al contrario, le nuove dimore di villeggiatura cercarono lo stupendo panorama del lago e delle Alpi, verso occidente, tanto che Brunate venne ribattezzata col nome di "Balcone delle Alpi". La maggior parte di queste ville venne eretta in forme eclettiche o liberty, a cominciare dalla stessa piccola stazione di Como della funicolare, che ancora oggi accoglie il visitatore con la sua graziosa facciata da chalet di montagna. La stagione turistica di Brunate durò fino al secondo dopoguerra, anche se le avvisaglie del suo declino avevano cominciato a farsi sentire già diversi anni prima.
Giunti a Brunate si può godere di uno splendido panorama che abbraccia un ampio territorio, dalle alpi svizzere alla pianura lombarda e piemontese. Punti panoramici principali sono il Belvedere di via Pirotta, il piazzale Bonacossa e l’ampio sagrato della chiesa di S.Andrea, il Pissarottino, la rotonda di via Monterosa, la rotonda del parco Marenghi a S. Maurizio e il sovrastante Faro. Numerosi sono inoltre i monumenti d’interesse storico ed artistico (il Faro Voltiano, la parrocchiale, le ville) e molte e varie le possibili mete d’escursione. Fra gli itinerari ricordiamo la cosiddetta "dorsale del Triangolo Lariano", percorso in quota che collega pedonalmente Brunate con Bellagio.

Il paese è noto soprattutto per la presenza di numerose ville in stile eclettico e liberty, per essere collegato alla città di Como tramite una funicolare e per i numerosi punti panoramici da cui si può vedere l'intero arco alpino occidentale, la Pianura Padana e gli Appennini, caratteristica quest'ultima che l'ha reso noto come il "Balcone sulle Alpi". Una curiosità è che in paese vissero vari santi della Chiesa cattolica.

Il territorio comunale di Brunate si trova nelle Prealpi lombarde, in corrispondenza del vertice sud-ovest del cosiddetto Triangolo Lariano, ad un'altitudine compresa tra i 562 ed i 1027 metri (località CAO) sul livello del mare. Il paese di Brunate vero e proprio è situato ad una quota di 715 metri, addossato al crinale del monte Tre Croci, esposto sul versante sud della montagna. Il suolo su cui è costruita Brunate è di natura calcarea, ma la presenza di depositi glaciali morenici ha reso molto fertile il sito.
Poco più a valle del paese è presente un piccolo altopiano (la località Piani di Brunate), collegato al centro storico da una strada carrozzabile stretta e tortuosa inaugurata il 15 giugno 1935.
Il territorio è in prevalenza ricoperto da boschi; le specie più presenti di alberi sono aceri, frassini, pini, betulle, robinie, querce, castagni e faggi.
I corsi d'acqua sono pressoché assenti, ridotti a rigagnoli che non raggiungono una grossa portata nemmeno nei periodi di pioggia. Sono invece presenti numerose sorgenti: la più nota è la fonte Pissarottino, situata in fondo all'omonima via, in prossimità di uno dei principali punti panoramici del paese.

La chiesa parrocchiale di Brunate è dedicata al patrono Sant'Andrea Apostolo e si trova in piazza della Chiesa.
Le sue prime notizie risalgono al Trecento, insieme all'annesso monastero oggi demolito; ampliata da ultimo tra il 1914 ed il 1927 (da qui la presenza di due facciate), all'interno presenta affreschi dei Recchi (famiglia di pittori comaschi) realizzati alla fine del XVII secolo; nella volta sono raffigurati i patroni Sant'Andrea e San Maurizio, mentre nei medaglioni sottostanti si ammirano Sant'Ignazio di Loyola, San Michele Arcangelo, San Bartolomeo e la Beata Maddalena Albrici.

All'interno della chiesa, in una nicchia lungo il lato destro, c'è un altare dedicato a Maddalena Albrici (1390-1465), sotto il quale sono conservate le sue reliquie. Badessa dell'antico monastero di Sant'Andrea, fu beatificata l'11 dicembre 1907 da papa Pio X.
Nella chiesa è conservato inoltre un organo a canne costruito dai fratelli Prestinari di Magenta nel 1827 riutilizzando il materiale fonico di un precedente organo Serassi del 1774. Modificato nel corso del XX secolo, lo strumento, che ha 2 tastiere di 58 tasti ed una pedaliera piana di 27 note, è stato restaurato da Ilic Colzani nel 2005.

La chiesetta della Madonna di Pompei è in pieno centro storico, all'incrocio tra le vie P. e M. Monti e A. Manzoni.
La chiesa del Sacro Cuore di Gesù è immersa nel verde della località Piani di Brunate affiancata da un piccolo campanile (via ai Piani).
La chiesa di San Maurizio è posta nell'omonima località (via G. Scalini), presenta sulla facciata un affresco raffigurante il santo guerriero.
Il santuario di Santa Rita si trova in località CAO (via alle Colme).
Il centro storico di Brunate è caratterizzato da viuzze a scalinata che si arrampicano sul pendio e tagliate trasversalmente dalla via P. e M. Monti, strada principale del centro stesso.

In esso sono presenti antichi edifici, portali in pietra e diverse corti: le più importanti sono la corte del Castello, uno dei luoghi più antichi di Brunate, e la corte degli Ebrei, risalente al XIV secolo.
Appena usciti dalla corte degli Ebrei, in una piazzetta si trova la cosiddetta Cappelletta, piccola chiesa dedicata alla Madonna di Pompei.

Il Faro Voltiano è una torre ottagonale alta 29 metri eretta nel 1927 sulla vetta del Monte Tre Croci (località San Maurizio) in occasione del centenario della morte di Alessandro Volta. Nella volta centrale del faro fu collocato un busto del fisico comasco, rappresentato in età avanzata, donato dai postelegrafonici. Il faro fu inaugurato l'8 settembre 1927 con l'intervento dell'allora Ministro delle Comunicazioni, Costanzo Ciano. Progettato dall'ingegnere Gabriele Giussani, ha al suo interno una scala a chiocciola di 143 gradini che permette di raggiungere due balconate circolari: la prima poco sopra il portone d'ingresso, la seconda all'esterno della lanterna; da questi punti è possibile vedere panorami che spaziano sull'arco occidentale della catena alpina, fino al Monte Rosa. Il faro, a partire dal tramonto e fino all'alba, emette alternativamente luce verde, bianca e rossa.

Nel territorio comunale sono presenti numerose ville in stile eclettico e liberty disseminate per il territorio e circondate da sontuosi parchi, oggi purtroppo non più frequentate come un tempo in estate, ma comunque nobili testimoni di un'epoca felice. Si trovano in particolare lungo le vie Pissarottino, Roma, A. Pirotta e G. Scalini.

Sulla costa del monte di Brunate troviamo l'eremo di San Donato eretto dai francescani nel XV secolo. Il convento esiste ancora, da cinque secoli domina la città con la sua mole severa, ma non è più luogo di preghiera poiché è sconsacrato da quando Maria Teresa d'Austria abolì i privilegi della chiesa lombarda e soppresse numerosi conventi.

Brunate è frequentata dai turisti soprattutto per ammirare i panorami che hanno contribuito a ribattezzare il paese come "il Balcone sulle Alpi". In giornate limpide è infatti possibile vedere distintamente i grattacieli di Milano, ma soprattutto l'intero arco alpino occidentale (da cui si staglia in particolare il Monte Rosa), la Pianura Padana e gli Appennini. I migliori punti panoramici sono posti in fondo alla via Pissarottino, sul Piz Belvedere (all'incrocio con via A. Pirotta), in piazza A. Bonacossa e sul faro Voltiano.

La popolazione di Brunate ha subito un grande incremento nel secondo Dopoguerra. Sono principalmente due i fattori che hanno contribuito ad un aumento di residenti così rilevante in quindici anni (+ 117,46% tra il 1936 ed il 1951): innanzi tutto si è verificato un vertiginoso aumento delle nascite rispetto al periodo pre-bellico e poi sono aumentate le immigrazioni di persone, anche provenienti dal Sud Italia, alla ricerca di posti di lavoro che, a quell'epoca, a Brunate non mancavano.
Dal censimento del 2001 al 2011 la popolazione residente a Brunate, dopo una lunga fase di stallo, ha ripreso a crescere. Un fatto decisamente insolito per un Comune montano qual è Brunate, ma che è dovuto principalmente alla sua posizione strategica rispetto a Como, città raggiungibile in soli sette minuti di Funicolare: in pratica, alla pari di altri paesi della cintura comasca come Grandate, Lipomo, Montano Lucino, Cernobbio, Maslianico e San Fermo della Battaglia, Brunate è diventato un sobborgo del capoluogo lariano.
L'incremento degli ultimi anni è dovuto all'immigrazione di persone provenienti dall'estero, in particolare da Romania, Turchia, El Salvador, Ucraina e Marocco, che trovano per lo più impiego presso le relativamente numerose imprese edili artigiane presenti sul territorio comunale oppure presso le ville brunatesi in qualità di domestici.

Nel territorio comunale di Brunate esistono anche altri nuclei abitati:

San Maurizio, situato poco al disotto della cima del Monte Tre Croci, dove sono presenti la chiesa di San Maurizio ed il Faro Voltiano;
CAO (acronimo di Club Alpino Operaio), posto al termine della strada in pavé che da San Maurizio porta al sentiero della Dorsale del Triangolo Lariano, in questa località c'è un piccolo santuario dedicato a Santa Rita;
Nidrino, centro residenziale ad ovest del centro storico, sviluppatosi soprattutto negli anni Settanta, in cui si trova il centro sportivo comunale;
Piani di Brunate, anch'esso costituito in prevalenza da villette edificate negli anni Settanta sull'altopiano presente al disotto del centro storico, dove ci sono la caratteristica chiesetta del Sacro Cuore di Gesù e il già citato Castello;
Carescione, piccolo nucleo di case posto tra la località Piani ed il tracciato della funicolare;
Laghetto, situato nella parte orientale del territorio comunale, così chiamato per la presenza in passato di un piccolo lago, che alimentava l'antico lavatoio oggi demolito. Questo invaso venne prima coperto (1939) e poi del tutto prosciugato (1975) per far spazio ad un parcheggio. Nei pressi c'è la stazione dei Carabinieri.

La funicolare Como–Brunate fu inaugurata nel 1894.
Fino agli inizi del XIX secolo, il paese di Brunate era praticamente isolato: dapprima una mulattiera, tracciata nel 1817 e che lo collegava a Como, e poi le tortuose e strette carrozzabili da Como e da Tavernerio, costruite nella seconda metà del XIX secolo, contribuirono a rompere questo isolamento. Ma tutto ciò non bastava.
Fu soprattutto grazie all'impulso della famiglia Bonacossa, che possiede tuttora una villa a Brunate, che si decise di intraprendere la costruzione di una funicolare a vapore che collegasse Como a Brunate, ponendo così fine in modo definitivo alle difficoltà di accesso al paese.
Così, l'11 novembre 1894, dopo meno di un anno di lavori, la funicolare Como-Brunate fu solennemente inaugurata: tra le personalità che parteciparono alla cerimonia, spiccava la presenza del cardinale Andrea Carlo Ferrari, da pochi mesi arcivescovo di Milano.
La sua costruzione ha contribuito non poco allo sviluppo turistico della località collinare, grazie anche allo spettacolare panorama su Como e sull'omonimo lago che si può ammirare durante il viaggio.
Nel 1911 la trazione divenne elettrica.
Nel 1934 l'impianto della funicolare e la stazione di Brunate vennero completamente ristrutturate e le carrozze sostituite; il tutto fu inaugurato il 15 giugno 1935; altri cambi di vetture sono avvenuti nel 1951, nel 1989 e nel 2011.
Fino al 1981 la funicolare è stata gestita dalla Società Anonima Funicolare Como/Brunate (tra gli azionisti c'era il conte dott. Cesare Bonacossa), successivamente la funicolare venne gestita dalla Regione Lombardia. La funicolare appartiene al Ctp SpA consorzio fondato dai comuni della provincia di Como.
Dal 2005 il Consorzio Mobilità Funicolare & Bus gestisce la funicolare. Il ruolo operativo di gestione è assegnato all'Azienda Trasporti Milanesi S.p.A., la quale fa parte del consorzio.
La funicolare ha le sue stazioni di partenza/arrivo in piazza A. De Gasperi a Como ed in piazza A. Bonacossa a Brunate; lungo il tragitto vi sono due fermate a richiesta: una a Como Alta ed una a Carescione (frazione di Brunate).
La funicolare, su unico binario e raddoppio a metà tragitto, ove s'incrociano la vettura in salita e quella in discesa, supera un dislivello di 493,92 metri con una pendenza media del 46% ed una punta massima del 55,10%; il percoso sull'inclinata misura 1074,08 metri.
A metà tracciato, sul pianerottolo della cantoniera costruita a fianco dello scambio, vi è il cosiddetto cannone di Mezzogiorno: installato nel 1912, in servizio fino agli anni settanta del XX secolo e riattivato nel 1990, tutti i giorni a mezzogiorno spara un colpo a salve.
Il viaggio dura sette minuti ed il servizio si effettua tutti i giorni dalle 6:00 alle 22:30 (il sabato ed in estate turno prolungato sino alle 24:00), con partenze di regola ogni mezz'ora, che diventano ogni quarto d'ora negli orari di punta.
Le due carrozze attualmente in uso, realizzate in occasione della revisione generale dell'impianto appaltata dal C.P.T. s.p.a. nel 2011, una per ciascun senso di marcia e contraddistinte dai numeri 12 e 13, sono in servizio dal 13 agosto 2011, anche se l'inaugurazione ufficiale è avvenuta il 10 settembre 2011; la n. 12, chiamata BRUco, è di colore malva, mentre la n. 13, ribattezzata bruCO, è rossa. Progettate dallo studio di architettura Lucia Rimoldi di Milano e costruite dalla Agudio S.p.A. di Leinì e dalla Carrosserie Gangloff SA di Berna, le vetture sono lunghe 13,40 metri ed hanno una capienza di 80 persone ciascuna (24 sedute e 56 in piedi); a differenza delle carrozze precedenti, hanno quattro ruote (anziché otto) e cinque porte a scorrimento per lato (anziché tre) ed è stata eliminata la cabina dei conduttori, sostituita da un'ampia vetrata panoramica. Gli interni ricalcano lo stile liberty: i sedili hanno inserti in rovere, mentre i corrimano, le cappelliere, i portapacchi ed i portabiciclette sono in ottone bronzato; è anche presente un impianto di aria condizionata.

Altra caratteristica che rende Brunate un'importante località turistica è quella di essere un punto di partenza per numerose camminate che interessano il Triangolo Lariano.
La "Strada Regia" è un percorso inaugurato nel 2006 dopo interventi di ripristino e di messa in sicurezza; parte nei pressi del Centro Sportivo Comunale del Nidrino e permette di raggiungere Bellagio camminando su sentieri a mezza costa. Tale percorso, che un tempo fungeva da mulattiera di collegamento tra i paesi della sponda orientale del Lago di Como prima della realizzazione della nuova strada carrozzabile, permette di scoprire monumenti naturali come i massi erratici (in particolare, con piccole varianti dal percorso, la Pietra Nairola, il Sasso del Lupo e la Pietra Pendula) ed i massi avello (sepolcri di epoca barbarica scavati nei massi erratici) e paesini caratteristici.
Il percorso del Triangolo Lariano permette di raggiungere Bellagio camminando sul sentiero che percorre la cresta del Triangolo Lariano, sfiorando i monti Boletto, Bolettone, Palanzone e San Primo. Tale tracciato, percorribile anche in mountain bike, offre agli escursionisti spettacolari panorami sul Lago di Como e sulle zone circostanti.
Il percorso Brunate-Como-Torno inizia vicino alla fermata della funicolare. Lungo la strada si possono ammirare le sontuose ville Liberty. Proseguendo lungo via Nidrino, la strada si biforca sulla sinistra, si raggiunge il campo sportivo, s'inizia il sentiero nel bosco che, a tratti, lascia intravvedere tra la ricca vegetazione, bei panorami del lago. Lungo il sentiero vi è un enorme monolito di granito ghiandone proveniente dalla Val Masino. La leggenda dice che sotto, nella caverna, viveva un lupo terribile che rapiva i bambini cattivi.
Dopo due ore circa si raggiunge l'abitato di Montepiatto con l'antica chiesetta dedicata a santa Elisabetta, in una splendida posizione panoramica, poco distante appare l'imponente pietra Pendula, un enorme fungo in precario equilibrio che si staglia nel bosco. Proseguendo verso nord si percorre una strada in discesa che conduce a Piazzaga e percorrendo una bella mulattiera acciottolata che attraversa antichi terrazzamenti coltivati si scende a Torno. Percorso facile che permette di scoprire monumenti naturali come i massi erratici (in particolare, la pietra Nairola, il sasso del Lupo) ed i massi avello (sepolcri di epoca barbarica scavati nei massi erratici).

L'agricoltura e la silvicoltura in passato hanno rivestito una grande importanza per l'economia brunatese: le coltivazioni si trovavano in località Laghetto ed erano disposte su terrazzamenti artificiali; venivano coltivate tutte le specie di ortaggi ad eccezione delle patate, che non si adattavano alla tipologia del terreno. In particolare Brunate era rinomata in tutto il territorio lariano per la coltivazione delle cipolle. A Brunate inoltre venivano coltivati i castagni da frutto.
A partire dagli anni della Seconda guerra mondiale le coltivazioni di ortaggi e di castagni sono state del tutto abbandonate: in particolare, i terrazzamenti sono oggi ricoperti da robinie.
Tra i secoli XVII e XIX Brunate era nota per la produzione artigianale di strumenti di fisica, in particolare di barometri e termometri. Questi artigiani, chiamati baromèta, erano particolarmente rinomati non solo nel circondario, ma anche in tutta Europa, tanto che numerosi baromèta lasciarono definitivamente Brunate per stabilirsi soprattutto in Francia, ove trovarono condizioni favorevoli per gestire i loro affari.
Inoltre, grazie alla presenza di fitti boschi, a Brunate era fiorente l'artigianato del legno: dal castagno si ricavavano i serramenti, dal frassino i mobili e dall'olmo (essenza oggi scomparsa dai boschi di Brunate) i ceppi per i macellai.
Oggi, scomparsi quasi del tutto i falegnami, le imprese artigiane sono presenti nel settore dell'edilizia.
L'industria nel senso di esistenza di fabbriche e simili non è mai esistita a Brunate. Erano invece presenti sul territorio una cava di sabbia (chiamata Cassinella), una di pietre (da cui si ricavavano i sassi per i terrazzamenti) ed una d'argilla; particolarmente attiva quest'ultima, da cui si estraeva il materiale per la produzione dei coppi dei tetti delle case di Brunate. Anche questo tipo di attività è venuto a cessare negli anni della seconda guerra mondiale.

Oltre alla lingua italiana, a Brunate è utilizzato il locale dialetto comasco, una variante della lingua lombarda. Come tutti i dialetti lombardi occidentali, anche il comasco è sostanzialmente una lingua romanza derivata dal latino.

Brunate è interessata, soprattutto in estate, da diverse manifestazioni a carattere culturale (conferenze, letture, concerti, proiezioni), che si svolgono in prevalenza nell'auditorium della nuova Biblioteca Comunale. Altre manifestazioni musicali hanno luogo nei giardini delle ville presenti sul territorio e nel centro storico.
Brunate era rinomata per la "Festa del Narciso", un tempo fiore tipico dei prati brunatesi, che si teneva nel mese di maggio; organizzata per la prima volta nel 1936, divenne nel 1966 "Brunate in fiore" e dal 1967 "Armonie fiorite". L'ultima edizione si tenne nel 1973. Dal 1996 al 2008 si è invece tenuta la rassegna "Appuntamenti Musicali", che consisteva in concerti eseguiti nelle ville brunatesi.
La Sagra patronale di S. Andrea si svolge il 30 novembre e dura tre giorni, nel corso dei quali si organizzano manifestazioni e una fiera di merci di vario genere e si espongono prodotti gastronomici tipici.
La Sagra di S. Maurizio è organizzata la terza domenica di settembre dagli alpini ed è animata da giochi e gare sportive.
La Festa bulgara si tiene prima della stagione estiva per volontà del consolato bulgaro in memoria dello scrittore e patriota Penco Slavejkov, morto a Brunate il 10 giugno 1912 in una camera dell'Albergo Bellavista (piazza A. Bonacossa n. 2).

Il centro sportivo comunale del Nidrino comprende un campo di calcio ad 11, una palestra, un campo da tennis e una struttura coperta polivalente.
La locale squadra di calcio, l'Associazione Sportiva Dilettantistica Brunatese, partecipa ai campionati giovanili organizzati dalla F.I.G.C e ai tornei amatoriali organizzati dal C.S.I.

Alessandro Volta (Como, 18 febbraio 1745 – Camnago Volta, 5 marzo 1827), scienziato, la cui balia era una brunatese, moglie di un fabbricante di barometri, ha trascorso presso di lei a Brunate l'infanzia e la fanciullezza. La sua presenza in paese è testimoniata da due lapidi poste accanto all'ingresso laterale della chiesa di Sant'Andrea e da un'altra lapide collocata al civico 5 della via che porta il suo nome, ove probabilmente era la casa della sua nutrice.
Alberto Bonacossa (Vigevano, 24 agosto 1883 – Milano, 31 dicembre 1953), chimico, dirigente sportivo e - dal 1929 - proprietario de La Gazzetta dello Sport, possedeva una grandiosa villa a Brunate, in cui la sua famiglia risiede tuttora. La famiglia Bonacossa è stata, tra l'altro, una dei promotori della costruzione della Funicolare Como-Brunate.
Penčo Slavejkov (Trjavna, 27 aprile 1866 - Brunate, 10 giugno (28 maggio secondo il calendario giuliano) 1912)poeta bulgaro, oggi ricordato da due lapidi poste su una facciata dell'albergo ove morì e da un busto inaugurato il 24 novembre 2007 nel giardino della Biblioteca Comunale.
Claudio Gentile (Tripoli, 27 settembre 1953 - ), calciatore, difensore della Nazionale italiana, campione del mondo nel 1982 è anche vissuto, nella prima adolescenza, a Brunate.









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