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lunedì 29 giugno 2015

ARCUMEGGIA



Arcumeggia è una frazione del comune di Casalzuigno nota perché nel 1956 l'Ente Provinciale per il Turismo decise di trasformarla in un borgo dipinto. Dopo tale decisione, giunsero in paese artisti come Ferruccio Ferrazzi, Aldo Carpi, Sante Monachesi, Aligi Sassu, Ernesto Treccani, Achille Funi, Giuseppe Migneco, Gianni Dova, Gianfilippo Usellini, Innocente Salvini, Giovanni Brancaccio, Bruno Saetti, Enzo Morelli, Remo Brindisi, Fiorenzo Tomea, Eugenio Tomiolo, Francesco Menzio, Ilario Rossi, Giuseppe Montanari, Cristoforo De Amicis, Luigi Montanarini, Umberto Faini, Antonio Pedretti, Albino Reggiori e Massimo Antime Parietti.

Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 168 abitanti, nel 1786 Arcumeggia entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 195 abitanti. Nel 1809 il municipio fu soppresso su risultanza di un regio decreto di Napoleone che lo annesse a Vergobbio, per poi passare sotto Cuvio nel 1812. Il Comune di Schianno fu poi ripristinato con il ritorno degli austriaci. L'abitato crebbe poi discretamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 271 anime, salite a 303 nel 1871. Il processo si invertì però alla fine del XIX secolo a causa della mancata industrializzazione della montagna, tanto che nel 1921 si registrarono 245 residenti. Fu così che nel 1927 il fascismo decise la definitiva soppressione del comune, unendolo a Casalzuigno.

Arcumeggia è un piccolo paesino di montagna situato tra la Valcuvia e la Valtravaglia ed è conosciuto come il "Paese dei Pittori" in quanto sono presenti, lungo le pareti esterne delle case, numerosi affreschi. Alcuni degli autori che hanno realizzato tali opere, sono tra l'altro stati molto conosciuti e pertanto hanno reso ancor più famoso questo piccolo paese, che ora è spesso preso d'assalto da numerosi visitatori curiosi di visionarlo.

La decisione di rendere il borgo di Arcumeggia (che si trova vicino a Casalzuigno) così particolare venne prese nel lontano 1956, quando si pensò di far realizzare, da parte di pittori contemporanei, affreschi lungo i muri della maggior parte delle case presenti. L'intero paese rispose con enorme consenso all'iniziativa, e così la passione per gli affreschi fu tale da far diventare Arcumeggia un museo a cielo aperto e molto famoso nelle zona di Varese. Tutti gli affreschi furono realizzati tra la fine del 1950 e l'inizio del 1970, ma la tecnica, diversa a seconda del pittore che realizzava l'opera, rendeva la mostra molto variegata.

Sui muri delle case appaiono le immagini di esperienze comuni alla vita di ognuno, di santi popolari e di scene religiose conosciute. Inoltrandosi nel paese si incontra un ambiente rurale pressoché intatto, piccolo faro d’arte italiana che è anche una sintesi di tradizione (la tecnica dell’affresco) e di modernità (l’epoca della loro esecuzione). Interessanti sono anche i cortili e la “Via degli Allievi”, raccolta di opere di studenti delle Accademie d'Arte che partecipano ai “Corsi Estivi Internazionali di Affresco” organizzati ad Arcumeggia dall’Accademia di Brera in collaborazione con le più prestigiose Accademie d'Arte d’Europa.

Arcumeggia aderisce all’Associazione Italiana Paesi Dipinti, sorta per valorizzare questo patrimonio d’arte. La visita al borgo d’arte è suggestiva permettendo splendidi panorami sulla Valcuvia e sul Lago Maggiore. La vicinanza ai Monti: Nudo (1235 m) e della Colonna (1203 m) permette varie escursioni sia a piedi che in mountainbike.

L'armonia dei dipinti compone un racconto, una leggenda, la vita stessa scandita da antichi gesti ed antichi riti.
E' una tavolozza colorata nel verde della Valcuvia in cui vengono presentate scene di emigrazione, di vita agreste, di tradizioni, di sport, di natura e mitologia. Visitarlo nelle ore del tardo pomeriggio estivo, magari all'imbrunire, è particolarmente suggestivo, grazie all'intersecarsi degli stimoli visivi e sonori con la poesia del luogo prealpino.
Un itinerario si snoda entro gli antichi vicoli del paesino, situato nel cuore della montagna a quasi 800 metri d'altezza e camminando sull'antico ciottolato, ci si sente fuori dal tempo, in uno spazio affascinante.

Nel 1958 e nel 1959 vennero realizzati dipinti murali ad opera di Cristoforo De Amicis, Luigi Montanarini e Sante Monachesi. Questi realizzò un'opera che suscitò subito la reazione del parroco, che riteneva il soggetto sconveniente; l'artista stesso intervenne quindi a modificare il dipinto cambiando anche il titolo: da "W le donne di Arcumeggia" a "Trionfo di Gea".
Nel 1961 l'esperienza riprese attraverso l'organizzazione di un corso di affresco; il corso era indirizzato, come borsa di studio, agli allievi di Accademia italiane, la direzione del corso fu di Usellini e le lezioni furono tenute da Montanari e Morellato in alcuni cortili del paese utilizzando supporti mobili. Successivamente, nel 1964, si tenne un altro corso dello stesso genere.
Nel frattempo era stato iniziato un altro progetto che riguardava la realizzazione di una Via Crucis sul sagrato della chiesa all'inizio del paese, in uno spazio individuato da Ravasi.
In quegli anni furono realizzati anche altri affreschi sulle case del paese ad opera di Giuseppe Migneco, Gianni Dova e Aldo Carpi.

Si può ritenere questo il nucleo storico delle pitture di Arcumeggia, dove le opere realizzate fra il 1956 e il 1966 a cui si aggiunsero Innocente Salvini nel 1971 d Ernesto Treccani nel 1974, rappresentano il pensiero e le maggiori tendenze artistiche italiane della metà del '900 aventi la comune finalità il riproporre l'importanza dell'arte figurativa in contrapposizione alla pittura astratta ed informale.
L'operazione ebbe allora grande risonanza e popolarità accrescendo l'importanza dell'evento. Margherita Sarfatti scriveva " Arcumeggia in Valcuvia segna un passo innanzi. E' un villaggio pioniere e pilota. Rappresenta un piccolo e riuscito tentativo di riavvicinare l'arte alla vita, in non oziose e non leziose né artificiose vacuità…."
A questo fervore seguirono anni di progressivo rallentamento e stasi fino all'incarico dato a Morellato nel 1985 di eseguire i primi interventi per la conservazione delle opere; nello stesso periodo vennero realizzate delle tettoie per riparare alcuni dipinti. Sempre nel 1985 ripartì l'iniziativa del corso di affresco con studenti di provenienza internazionale.
Vi furono in seguito delle sporadiche iniziative come la realizzazione di un nuovo affresco di Aligi Sassu sulla casa parrocchiale e di 2 dipinti di Carlo Nino Trovato e di Gioxe De Micheli nel 1991, a cui seguirono nel 1994 Umberto Faini, nel 1996 Massimo Antime Parietti, nel 2001 Antonio Perdetti ed infine un'opera di Albino Reggiori nel 2007, eseguita da Piergiorgio Ceresa e Leo Tami.
Nel 1985 le opere presentavano la necessità di interventi conservativi e si poneva quindi il problema della tutela e della valorizzazione per quasi tutte quelle realizzate nei 3 decenni precedenti; questo portò verso la fine del 1993 alla sottoscrizione di una convenzione fra la Comunità Montana della Valcuvia, la Provincia di Varese e il Comune di Casalzuigno con la finalità della valorizzazione e tutela di tutto il complesso di Arcumeggia, compresi la Casa del Pittore e la Bottega del Pittore. Questa convenzione venne rinnovata nel 1997 e nel 2006 con la Provincia di Varese come ente capofila e con la collaborazione della Pro Arcumeggia. Nel 2000 venne eseguita la catalogazione SIRBEC. Con l'occasione dei 50 anni del paese dipinto vennero realizzate una serie di manifestazioni culturali che portarono anche alla attivazione nel 2007 di un nuovo corso di affresco a cui parteciparono gli studenti del Liceo Artistico di Varese. Per quanto riguarda la conservazione dei dipinti proprio nel 2006 vi fu l'incarico all'Opificio delle Pietre Dure di effettuare l'analisi dello stato di conservazione dei dipinti murali che venne realizzato nell'estate del 2007 con il coinvolgimento degli studenti

Nella Casa del Pittore, sede della "scuola d'affresco", si trovano numerose opere d'arte, bozzetti e ceramiche dei vari artisti; l'edificio è sede di mostre e visite guidate.
Il complesso lavoro svolto dall'Ente Provinciale del Turismo, ha assicurato ad Arcumeggia l'opera di pittori importanti, in grado di suscitare apprezzamenti critici e di richiamare l'interesse del pubblico.
Si tratta di una piccola gemma, da gustare nella sua duplice anima d'arte e di simbolismo religioso.
Sicuramente l'effetto sarà stato sorprendente per il turista che girovagava per il paese alla scoperta di nuovi scorci: il maestro al centro, contornato da una dozzina di cavalletti dietro i quali gli allievi sperimentavano questo procedimento, tutt'intorno i vasetti contenenti le terre, le tavolozze, i recipienti con l'acqua, i rotoli dei disegni preparatori, l'intonaco ancora fresco.
I lavori che gli allievi hanno realizzato su pannelli sono stati collocati nei cortili del borgo, cosicché questo si è trasfermato in un "unicum", un contenitore di opere accomunate, pur nella loro diversità stilistica, dalla freschezza e dalla genuinità giovanili.
Molti allievi degli anni '60 frequentarono i corsi di Arcumeggia diventando famosi maestri, che di tanto in tanto ritornano a vedere il posto. Ciò che è avvenuto e si verifica in occasione di ogni nuova opera, è il rapporto di schietta cordialità che si instaura tra l'intero paese e l'artista: rapporto fatto di attenzioni reciproche, di comprensione e condivisione dei problemi, di inviti a cena, di regali, di dediche; l'artista diventa per acclamazione cittadino ad honorem. Arcumeggia ha vissuto e vive gli onori delle cronache grazie al patrimonio artistico che conserva, costituito da opere uniche ed irripetibili e per via delle numerose manifestazioni di notevole livello che vi si organizzano.

La "Casa del Pittore", attualmente di proprietà della Provincia di Varese, venne realizzata nel 1956 al fine di offrire agli artisti che lavoravano ad Arcumeggia per la realizzazione degli affreschi, la possibilità di un soggiorno tranquillo e comodo.
La struttura, edificata tra il 1956 e il 1957 nel centro del paese, è costituita da un piano terreno dall'ingresso ampio e luminoso, con cucinino e salotto. Una scala in legno conduce al primo piano, composto da due camere e servizi, mentre al secondo piano è sistemata la sala di pittura. Quest'ultima, oltre a presentare ampie finestre come le altre sale, è dotata di un terrazzo panoramico con vista sulla vallata della Valcuvia e sul Lago Maggiore.
La Casa del pittore riscosse immediati consensi, soprattutto da parte degli stessi artisti, in qualità di luogo dove poter creare in tutta tranquillità..


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martedì 14 aprile 2015

PERSONE DI PORTO VALTRAVAGLIA : HANS SCHONER

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Hans Schoner dal 1941 al 1952 ha frequentato la scuola d'arte di Pforzheim studiando pittura con il Prof Erwin Aichele e con il Prof . Curt Rothe e grafica e design col Prof. Amadeus Goetzel, scultura col Prof. Willi Seidel ed oreficeria col Prof. Theodor Wende.
Tra il 1943 ed il 1998 ha tenuto periodicamente mostre personali sia in Germania che in Francia. Negli anni giovanili ha partecipato ad un concorso di pittura a Heidelberg/ Nordbaden vincendo il 2° premio ed il 3° premio per scultura. Ha inoltre vinto alcuni con corsi per la realizzazione dei monumenti ai caduti di guerra. Dal 1972 vive e dipinge per la maggior parte dell'anno a Porto Valtravaglia sul Lago Maggiore.

Da oltre venticinque anni ormai passa le  vacanze sul Lago Maggiore, insieme alla famiglia. Qui trova il tempo e l'ispirazione necessaria per dedicarsi totalmente alla pittura. Così lentamente si allontanò dal lavoro di editore per abbracciare più strettamente l'arte della pittura e ad illustrare le sensazioni e gli stati d'animo che  suscitano la splendida natura ed i colori delle acque e delle montagne del Lago Maggiore.
"L'arte è tentare di creare nel mondo reale, un mondo più umano" dice lo scrittore francese André Maurois.

Come dice Goethe attraverso il suo personaggio, il pittore Philipp Otto Runge: "Cosa serve la natura sfavillante davanti ai tuoi occhi? Cosa ti serve l'arte tutt'intorno se la tua anima non é colma della tenera forza del creato e nelle tue dita non rinascerà?"
Negli ultimi anni ha seguito il significato di queste parole, cercando di immortalare nei dipinti il fascino e la bellezza di questo paesaggio, unico in Europa.
"L'arte è la riproduzione di ciò che i sensi distinguono attraverso il velo dell'anima" dice Edgard Allan Poe.
Non si è mai dedicato, salvo poche eccezioni, all'arte astratta. Ha sempre riprodotto la bellezza che lo circondava in modo da creare attraverso la visione una più perfetta immagine della natura.




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giovedì 9 aprile 2015

PIETRO BELLOTTO

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Bellotto Pietro nacque a Volciano, sulla riva bresciana del lago di Garda, nel 1627, morì a Gargnano del Garda nel 1700 fu un pittore italiano, attivo durante il periodo Barocco.

Studiò a Venezia nella fiorente scuola del padovano Girolamo Forabosco, che seguì specialmente come ritrattista e come figurista. Dipinse soprattutto vecchi e vecchie, con accuratezza, ma con minore pastosità del maestro e con predilezioni per le tinte ceree e notturne, in cui precedette Bernardo Bellotto, che si deve ritenere suo nipote, al pari di un altro Pietro Bellotto vedutista, forse di lui fratello, che si era trapiantato a Nantes intorno al 1768, detti entrambi Canaletto per via della madre, sorella del celebre Antonio. Il suo fare si vede specialmente nell'Uomo che legge della Pinacoteca di Brera, assegnatogli per antica attribuzione, e nella Vecchia che fila, la cosiddetta Lachesi di Stoccarda (firmata e datata 1654), a cui corrispondeva una mezza figura di vecchio, conservataci in copia nel museo di Feltre. Agli Uffizî se ne ha l'autoritratto, del pari firmato e datato 1651. Ed è sua in Palazzo Ducale, nella sala dello scrutinio, la Storia di Margaritino.

La sua prima produzione di ritratti e di figure fantasiose venne accolta favorevolmente e gli garantì una certa notorietà anche al di fuori del capoluogo veneto.

Tra i suoi protettori figurarono importanti personaggi dell'epoca, come ad esempio il cardinale Mazzarino, il papa AlessandroVIII, la principessa Adelaide di Savoia.

Dopo un soggiorno all'estero, a Monaco di Baviera, ottenne l'incarico di soprintendente alle Gallerie di Città da parte del duca di Mantova Ferdinando Gonzaga.

Tra le sue opere più emblematiche si annoverarono la Presa e distruzione del castello turco Margariti in Albania, su ambientazione storica ed eseguito seguendo l'influenza del maestro Forabosco, pur senza eguagliarne la qualità per le tinte, per i particolari e per l'impostazione compositiva.

Le doti del Bellotto si espressero al meglio nelle raffigurazioni fantasiose, che valorizzarono i chiaroscuri, le analisi dei dettagli e soprattutto la novità di un realismo quasi caricaturale, come evidenziarono Autoritratto (1658) e Luchesi (1654). Nella chiesa di San Domenico, a Capodistria, con il pittore Stefano Celesti, realizzò i Misteri del Rosario.

Nella sua ricerca di una realizzazione artistica veristica, Bellotto venne influenzato dalla pittura popolaresca del Keil, anche se nell'ultimo periodo tenderà verso un humour talvolta grottesco e brutale.

Sebbene il nome di Pietro sia da tempo conosciuto agli studiosi, le sue opere non sono mai state oggetto di un'analisi che ponesse in risalto le peculiari caratteristiche stilistiche, mettendole a confronto con quelle dei dipinti degli altri componenti il clan dei Canal: Bernardo Canal, Antonio Canal, Bernardo Bellotto.
A Tolosa dove il 25 marzo 1749 si unì in matrimonio con Françoise Lacombe, dalla quale aveva avuto una figlia, Barbe, battezzata alla vigilia delle nozze (Mesuret 1952, p. 170). Dal matrimonio nacquero altri due figli di cui uno, dal nome sconosciuto, fu pittore di anatomia e ritrattista. Negli anni 1755, 1760, 1765, 1774 e 1790 i dipinti di Bellotti (il cognome venne francesizzato anche in Beloty) furono esposti al Salon dell'Académie Royale de Peinture, Sculpture et Architecture di Tolosa. Il più importante Salon fu quello del 1765 nel quale vennero presentati, sotto il n. 35 del catalogo, «Vingt petits Tableaux, par Belloti, peintre, qui sont de Vues en perspective». Di questo nutrito gruppo di vedute ben diciassette tele, tutte misuranti 37x48 cm, sono state individuate da Robert Mesuret nel castello di Merville, presso Tolosa, nella collezione del marchese di Beaumont.
Le vedute, finora pubblicate solo in piccola parte, raffigurano varie città europee, tra cui Venezia, Firenze, Roma, Milano Genova, Malta, Marsiglia, Versailles, L'Aia, e sembrano quasi tutte derivate da stampe. Altri dipinti della stessa serie mostrano l'interno di una chiesa, un lago, un porto di mare al tramonto con edifici d'invenzione capricciosa.
Tra le vedute di Venezia esposte al Salon del 1765, quella raffigurante Il molo con la Piazzetta e il palazzo Ducale si basa sul prototipo di Antonio Canal nella collezione del duca di Norfolk (Constable, Links 1989, n. 104), mentre quella con San Giorgio Maggiore verso la riva degli Schiavoni deriva, con minime variazioni nelle figure, dalla corrispondente acquaforte di Michele Marieschi facente parte della serie pubblicata nel 1741.
I dipinti di Bellotti sono quasi sempre derivati da stampe. Per quanto riguarda le vedute veneziane, il pittore utilizzò le raccolte di Michele Marieschi (1741), di Antonio Visentini (1742) e del Canaletto (1745-1746), mentre per i capricci si avvalse anche delle incisioni di Fabio Berardi derivate da dipinti del Canaletto.

Lavorò in Germania (a Monaco specialmente), a Milano e a Mantova, oltreché nel Veneto, ma, ad onta dei guadagni, morì in miseria.


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venerdì 20 febbraio 2015

UNO SGUARDO A BRERA

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La Pinacoteca di Brera è una galleria nazionale d'arte antica e moderna, collocata nell'omonimo palazzo di Milano.

Il museo espone una delle più celebri raccolte in Italia di pittura, specializzata in pittura veneta e lombarda, con importanti pezzi di altre scuole. Inoltre, grazie a donazioni, propone un percorso espositivo che spazia dalla preistoria all'arte contemporanea, con capolavori di artisti del XX secolo.

La Pinacoteca ha sede nel grande palazzo di Brera, che ospita anche altre istituzioni: la Biblioteca Nazionale Braidense, l'osservatorio di Brera, l'Orto Botanico, l'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e l'Accademia di Belle Arti. L'edificio era stato costruito nell'antica, incolta terra "braida" (o "breda", parola che nella bassa latinità aveva il significato di campo suburbano), da cui presero il nome Brera tanto il palazzo quanto il quartiere. Il palazzo si apre su un cortile circondato da un elegante porticato su due piani, al cui centro è situato il Monumento a Napoleone I ideato da Antonio Canova.

Sorge su un antico convento dell'ordine degli Umiliati, una delle più potenti associazioni religiose ed economiche del tardo Medioevo milanese. Fu nel 1571 che, con bolla pontificia di papa Pio V, si abolì l'ordine degli Umiliati, storici fabbricanti di lana, assegnando così l'antica prepositura di Brera alle "attente mani" dei Gesuiti, che ne fecero un importante centro di studi, dandogli il nome di Università. Si impose allora la necessità di costruire un nuovo e più ampio edificio, i cui lavori iniziarono nel 1591 e vennero affidati nel 1615 ad un grande architetto del tempo in Lombardia: Francesco Maria Richini. Nel 1630, però, a causa della pestilenza i lavori cominciarono a rallentare e il progetto venne approvato solo nel 1691.

L'opera proseguì, passando al figlio dello stesso architetto, a Gerolamo Quadrio e a Pietro Giorgio Rossone. Soppressa la Compagnia di Gesù nel 1773, l'edificio finì nelle mani del governo austriaco e venne completato nel 1776 da Giuseppe Piermarini. Divenuto "Reale Palazzo", Maria Teresa d'Austria lo adibì a sede delle Scuole Palatine e, oltre a mantenervi le scuole già aperte dai Gesuiti, vi collocò la biblioteca e decise di ampliare l'Orto Botanico. Fondò inoltre nel 1776 l'Accademia, dotandola di un contributo annuo di 10.000 lire provenienti dai soppressi beni ecclesiastici.
Primo segretario dell'istituto fu l'erudito abate Albuzio.

Due anni dopo fu sostituito da Carlo Bianconi, che per un ventennio si prodigò a sviluppare l'istituzione e la scarsa dotazione iniziale. Anime della nuova istituzione furono però l'architetto Giuseppe Piermarini, allievo di Luigi Vanvitelli, e il decoratore ticinese, formatosi nell'Accademia di Parma, Giocondo Albertolli. Scopo manifesto era la creazione di maestranze che sapessero far fronte al nuovo ruolo assunto da Milano con la nomina dell'arciduca Ferdinando a capitano generale dello stato. Dopo secoli, in città tornava una corte degna di questo nome e si rendevano necessari interventi edilizi radicali, con la costruzione di palazzi pubblici e privati. Primo banco di prova di maestri e allievi dell'Accademia fu la costruzione a Monza della residenza estiva dell'arciduca, nota oggi come Villa Reale.

Le cose cambiarono radicalmente dopo la campagna d'Italia di Napoleone (1796) e il definitivo affermarsi della dominazione francese. Nel 1801 venne nominato segretario Giuseppe Bossi, già allievo dell'Accademia, che si impegnò ad arricchire con gessi e libri la dotazione didattica e dal 1805 organizzò mostre pubbliche.

Nel periodo napoleonico numerose chiese e monasteri vennero soppressi e i loro beni requisiti. Le opere migliori vennero spedite a Parigi mentre con quelle restanti si decise di costituire nelle principali città del regno una pinacoteca; sorsero così le grandi Gallerie di Venezia, Bologna e Milano. La pinacoteca di Milano doveva svolgere il compito di compendio della produzione artistica del Regno d'Italia.

Andrea Appiani venne nominato Commissario per le Belle Arti nel 1805 e a Brera cominciarono ad affluire da ogni parte dipinti dalle chiese soppresse. Intanto nel 1806 Giuseppe Bossi inaugurava il primo museo dell'Accademia, di impronta spiccatamente didattica. Nel 1808 si decise di tramezzare l'antica chiesa di Santa Maria in Brera in due piani per realizzare i "Saloni Napoleonici" destinati a ospitare le gallerie del regno. Il 15 agosto 1809, giorno genetliaco di Napoleone, vennero inaugurate le tre sale, dominate dal grande gesso di Napoleone come Marte pacificatore di Antonio Canova. Si trattò di un evento temporaneo legato all'occasione (erano esposti solo 139 dipinti) e l'effettiva apertura delle gallerie delle statue e delle pitture ebbe luogo il 20 aprile 1810. Negli anni seguenti continuarono ad affluire dipinti, soprattutto nel 1811 e 1812, in particolare dalla collezione dell'arcivescovo Monti di Milano. Nel 1813 arrivarono dal Louvre di Parigi le opere di Rembrandt Harmenszoon Van Rijn, Pieter Paul Rubens ed Antoon Van Dyck.

Alla caduta del governo napoleonico nel 1814, il Congresso di Vienna sancì la restituzione dei beni sottratti ai proprietari originari, e anche la pinacoteca dovette cedere alcune opere. Essa continuò comunque ad arricchirsi di donazioni (lascito Oggioni) e nel 1882 venne separata dall'Accademia. Si trattò di una divisione assai laboriosa, che ebbe termine solo un decennio dopo, e che fu causa di molti equivoci.

Nel 1926 venne creata l'Associazione degli Amici di Brera grazie alla quale vennero acquistati diversi capolavori tra cui la Cena in Emmaus di Caravaggio.

Il sopraggiungere della guerra del 1914-1918 costrinse a far emigrare per ragioni di sicurezza la collezione a Roma e, al suo rientro, la Pinacoteca fu riallestita sotto la direzione di Ettore Modigliani.

Durante la seconda guerra mondiale le opere della Pinacoteca vennero messe al sicuro dalla direttrice Fernanda Wittgens, mentre il palazzo subì seri danni a causa dei bombardamenti del 1943 (crollo delle volte in trenta delle trentotto sale). La Pinacoteca iniziò la sua lenta resurrezione dalle rovine nel febbraio 1946 grazie ai grandi finanziamenti di alcune storiche famiglie milanesi, tra cui la famiglia Bernocchi, e all'opera del progettista architetto Piero Portaluppi e della soprintendente Fernanda Wittgens. Tra le principali acquisizioni va menzionato il ciclo di dipinti staccati dell'oratorio di Mocchirolo (XIV secolo).

Nel 1974 il soprintendente Franco Russoli ne decise la chiusura, lanciando al tempo stesso provocatoriamente, di fronte alle grandi difficoltà del momento, il progetto della "Grande Brera", che avrebbe dovuto comprendere anche l'attiguo palazzo Citterio, e che a distanza di alcuni decenni stenta ancora a trovare attuazione. Intanto il percorso di visita è stato rivisto e attualizzato, comprendendo anche opere d'arte contemporanea (collezioni Jesi e Vitali). Un progetto dell'architetto Mario Bellini ha ripreso nel 2009 la speranza di Franco Russoli di realizzare un museo moderno di rango internazionale.

L'assenza di un vero e proprio spazio da adibire alle mostre temporanee porta la Pinacoteca a sviluppare dal 2001 il progetto “Brera Mai Vista”. Questo presenta ogni tre mesi piccole esposizioni di poche opere, solitamente provenienti dai depositi del museo, che per l'occasione vengono restaurate e corredate da un breve catalogo che ne illustra la storia e la vicenda critica. Nel 2011 “Brera Mai Vista” conta più di 20 mostre[2] con opere di Francesco Hayez, Francesco Londonio, Giovanni Boccati, Giovanni Agostino da Lodi e Marco d'Oggiono, Giovanni Martino Spanzotti, Benozzo Gozzoli, il Maestro di Ercole e Girolamo Visconti, Francesco Casella, Giuseppe Molteni, il Genovesino, Francesco Menzocchi, Alberto Sotio, Lucio Fontana, il Maestro dei dodici apostoli, Bernardino Luini, Giovanni Boldini, Pietro Orioli, il Bergognone, Giovanni Contarini, Mario Sironi.

Nel 2004 la Pinacoteca avvia la sperimentazione del progetto "A Brera anch'io. Il museo come terreno di dialogo interculturale", che dal 2006 rientra nella programmazione educativa ordinaria dedicata alle scuole primarie e secondarie di primo grado di Milano e provincia.

Nel 2009 la Pinacoteca di Brera festeggia i duecento anni dalla sua fondazione con una serie d'eventi, mostre e convegni. Le esposizioni sono dedicate ai capolavori della Pinacoteca e ai loro restauri ('Caravaggio ospita Caravaggio', 'Raffaello. Lo Sposalizio della Vergine Restaurato', 'Il ritorno di Napoleone') o alla ricostruzione di alcuni nuclei di dipinti giunti nel 1809 a Brera e poi dispersi ('Crivelli e Brera', 'La Sala dei Paesaggi', 'Il Gabinetto di Autoritratti di Giuseppe Bossi'). Il 15 agosto 2009, a duecento anni esatti dall'inaugurazione, la Pinacoteca apre gratuitamente al pubblico, registrando il numero record di circa 12.000 visitatori. 

Se si esclude la presenza (dal 2009) del grande gesso di Antonio Canova raffigurante Napoleone in veste di Marte e alcune opere della Donazione Jesi e del Lascito Vitali, la Pinacoteca di Brera è un museo dedicato esclusivamente alla pittura.

Il percorso di Brera si apre con la Galleria dedicata a due grandi cicli ad affresco. Il primo è costituito dagli Uomini d'Arme e dai Filosofi antichi di Donato Bramante (unica testimonianza pittorica dell'architetto, assieme al Cristo alla Colonna, sempre a Brera e agli affreschi a lui attribuiti a Bergamo), eseguiti dal maestro intorno al 1487-1488 per la casa milanese di Gaspare Visconti poi Casa Panigarola.

Il secondo ciclo, più vasto, fu eseguito da Bernardino Luini verso i primi del Cinquecento per Villa Pelucca di Gerolamo Rabia, e raffigura episodi dell'Antico Testamento e scene mitologiche dalle Metamorfosi di Ovidio.

A questo grande corridoio è collegata la sala 1A, con gli affreschi dell'ultimo quarto del XIV secolo staccati dall'Oratorio di Mocchirolo.

L'itinerario della pittura gotica si apre a Brera con la piccola sala (Ia) dedicata agli affreschi provenienti dall'Oratorio di Mocchirolo (Lentate), giunti in Pinacoteca nel 1949, ed eseguiti da un Anonimo Maestro formatosi probabilmente a seguito del soggiorno milanese di Giotto (1335-36). Seguono le quattro sale (II, III, IV, V) che testimoniano l'evoluzione della pittura dal tardo Duecento alla metà del Quattrocento attraverso le opere di Bernardo Daddi, Ambrogio Lorenzetti, Giovanni da Milano, Lorenzo Veneziano, Andrea di Bartolo, Spinello Aretino, con due tavole recentemente acquisite. Alle origini del Rinascimento si pongono il grandioso Polittico di Valle Romita, fondamentale opera di Gentile da Fabriano databile al 1410-12, l'Adorazione dei Magi di Stefano da Verona, la Madonna col Bambino di Jacopo Bellini e il Polittico di Praglia di Antonio Vivarini e Giovanni d'Alema.

Le sale V, VII e i primi tre saloni napoleonici sono dedicati allo sviluppo di due secoli di pittura veneta. Particolarmente documentata è la vicenda pittorica di Andrea Mantegna attraverso alcuni dei suoi capolavori più noti: dal giovanile Polittico di San Luca, alla Madonna col Bambino e un coro di cherubini, dalla Pala di San Bernardino, fino al celeberrimo Cristo morto, opera citata tra i beni dell'artista alla sua morte (1506) ed eseguito probabilmente intorno agli anni settanta del Quattrocento. Altrettanto noti sono i capolavori di Giovanni Bellini (Pietà di Brera, la Madonna greca e Madonna col Bambino, firmata e datata 1510), Cima da Conegliano e Vittore Carpaccio, con due cicli dedicati alla Vergine e a santo Stefano.

Il primo salone napoleonico è dominato dai grandi teleri narrativi di Gentile e Giovanni Bellini (Predica di san Marco ad Alessandria d'Egitto), di Michele da Verona (Crocifissione del 1501) e dalle opere di Francesco Bonsignori, Cima da Conegliano e Bartolomeo Montagna.

La Sala IX espone le tele di Lorenzo Lotto e dei tre protagonisti della pittura a Venezia nel Cinquecento, con capolavori di Tiziano (San Girolamo penitente), Tintoretto (Ritrovamento del corpo di san Marco) e Veronese (Cena in casa di Simone). Nell'orbita ancora veneta, tra Bergamo, Brescia e Verona, si collocano gli esempi di Romanino, Moretto e Savoldo, con la grande Pala di San Domenico di Pesaro del 1524, nonché le opere di Bonifacio Veronese e Paris Bordon.

L'ultimo Salone napoleonico (Sala XV) espone dipinti e affreschi che ripercorrono le vicende dell'arte lombarda tra Quattro e Cinquecento, a partire dalle opere di Vincenzo Foppa con gli affreschi dalla Chiesa di Santa Maria in Brera e il più tardo polittico bergamasco. L'arrivo di Leonardo a Milano (1482) e del suo nuovo linguaggio pittorico influenza l'anonimo maestro della Pala Sforzesca e più direttamente Marco d'Oggiono (Pala dei Tre Arcangeli) e Gaudenzio Ferrari. Domina la grande Crocifissione di Bartolomeo Suardi detto Bramantino, autore anche della piccola Madonna Trivulzio e dell'affresco staccato raffigurante la Madonna in trono tra due angeli.

Un più ampio sguardo sulla pittura leonardesca è offerto dalla saletta XIX che presenta importanti opere di Bernardino Luini (Scherno di Cam e Madonna del Roseto), Bernardo Zenale (Pala Busti) e una selezione di ritratti e Madonne dei più stretti allievi di Leonardo come Giovanni Antonio Boltraffio, Giovanni Ambrogio de' Predis, Cesare da Sesto, Andrea Solario, Francesco Napoletano e Giampietrino.

La Sala XVIII (che ospita anche il Laboratorio di Restauro della Pinacoteca) accoglie pitture di artisti cremonesi e lodigiani, come le opere dei fratelli Campi, tra cui le quattro celebri tele di genere di Vincenzo Campi, Camillo Boccaccino, Callisto Piazza, Altobello Melone e il piccolo ritratto di Sofonisba Anguissola.

La Sala XX, dedicata alla prima scuola ferrarese, presenta lo stile eccentrico e stravagante di Cosmé Tura (Cristo crocifisso) e Francesco del Cossa, con due importanti tavole provenienti dal grande polittico da lui eseguito per i Griffoni a Bologna (ora diviso tra le gallerie di Washington, Londra e la Pinacoteca Vaticana): San Giovanni Battista e San Pietro.

L'area marchigiana, cui è dedicata la sala seguente (XXI), rivela un mondo apparentemente resistente alle novità dei grandi centri del Rinascimento (Firenze, Roma, Venezia), dove domina ancora la pala d'altare a più scomparti e l'adozione del fondo oro. Qui dal 1468 opera Carlo Crivelli, pittore veneto che pur adottando schemi convenzionali riesce ad esprimersi in uno stile originalissimo e riconoscibile: Brera ospita alcuni dei suoi capolavori come il Trittico di Camerino o la Madonna della Candeletta.

L'itinerario della pittura ferrarese riprende nella Sala XXII con la monumentale Pala Portuense di Ercole de' Roberti, capolavoro dell'artista e tra le opere più rilevanti del museo, e con i protagonisti della pittura romagnola ed emiliana: Garofalo, Dosso Dossi, Marco Palmezzano. I depositi "a vista" del museo occupano lo spazio della Sala XXIII dove sono esposti due rare opere giovanili del Correggio (Natività e Adorazione dei Magi) e la grande Annunciazione di Francesco Francia, proveniente da Bologna.

Il cuore della pinacoteca (Sala XXIV) è dedicato alla cultura figurativa di Urbino e ai suoi tre principali protagonisti: Piero della Francesca, Raffaello e Bramante. La Pala Montefeltro (o Pala di Brera) è l'ultima opera nota di Piero della Francesca, principale innovatore della pittura del Rinascimento in Italia. Eseguita per Federico da Montefeltro tra il 1472 e il 1474, è una delle più compiute manifestazioni dell'arte di Piero.

Altra icona del museo è lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, firmato e datato 1504. Capolavoro dell'attività giovanile del pittore di Urbino, costituisce uno dei principali esempi del rapporto intercorso tra Raffaello e Pietro Perugino, dal cui analogo Sposalizio (ora a Caen, Musée des Beaux-Arts) l'opera di Brera è tratta. La tavola e la sua cornice neoclassica sono state restaurate nel 2009.

Chiude la sala il Cristo alla colonna di Donato Bramante, proveniente dall'Abbazia di Chiaravalle, unica testimonianza di pittura su tavola dell'architetto urbinate.

Nella Sala XXVII sono esposte le opere di Gerolamo Genga, Timoteo Viti e Salviati e dei primi protagonisti della Maniera romana e fiorentina come Agnolo Bronzino (Ritratto di Andrea Doria nelle vesti di Nettuno) e Perino del Vaga. Provenienti in gran parte dalla prestigiosa collezione bolognese Sampieri, la Sala XXVIII espone i capiscuola dell'arte emiliana e del classicismo con le due tele di Annibale (Samaritana al Pozzo) e Ludovico Caracci (Cristo e la Donna di Cana), i Santi Pietro e Paolo di Guido Reni, Guercino e di soggetto profano la Danza degli amorini di Francesco Albani e la Cleopatra di Guido Cagnacci. Apre la sala la straordinaria tela con il Martirio di San Vitale di Federico Barocci.
Assieme alla Canestra di frutta della Pinacoteca Ambrosiana, la Cena in Emmaus è l'altra opera visibile a Milano di Caravaggio. La tela, opera estrema del Merisi e radicalmente diversa dalla versione precedente elaborata dal pittore ora alla National Gallery di Londra, giunse a Brera nel 1939 dalla collezione romana Patrizi per acquisto della Associazione Amici di Brera. La sala XXIX espone i principali seguaci ed interpreti dello stile caravaggesco: Orazio Gentileschi, Jusepe de Ribera, Battistello Caracciolo, Mattia Preti, Luca Giordano e Bernardo Cavallino.

Seguono i maestri del Seicento lombardo, variamente legati al potente cardinalato di Federico Borromeo come il Cerano, Giulio Cesare Procaccini, Morazzone (che collaborano tutti e tre insieme nel cosiddetto Quadro delle Tre Mani), Francesco del Cairo, Tanzio da Varallo e Daniele Crespi, esponenti di una pittura fortemente naturalistica e dalle forti connotazioni religiose.

Fin dalla sua origine la Pinacoteca nacque con l'idea di accogliere tutte le scuole pittoriche: così assieme ai maestri della scuola genovese del Seicento come Gioacchino Assereto e Orazio de Ferrari e alle nature morte di Evaristo Baschenis, Brera espone un cospicuo gruppo di autori stranieri (Sale XXXII e XXXIII): Pieter Paul Rubens, autore della grande Ultima Cena, Antoon van Dyck (Ritratto di Dama e Madonna con Sant'Antonio da Padova), ma anche pittori fiamminghi del Cinquecento come Jan de Beer. Due ritratti di Joshua Reynolds e Anton Raphael Mengs sono esposti nel corridoio tra le sale XXXV e XXXVI.

Le grandi tele della scuola tardo barocca e neoclassica giunsero a Brera tra Sette e Ottocento, quando la Pinacoteca era ancora congiunta all'Accademia di Belle Arti: figurano qui le opere di Solimena, Luca Giordano, Sebastiano Ricci, Pompeo Batoni, Pierre Subleyras. La Sala XXXIV è dominata dalla grande tela di Giambattista Tiepolo con la Madonna del Carmelo tra profeti e le anime del Purgatorio.

Particolarmente interessanti sono le Sale XXXV e XXXVI, disegnate da Piero Portaluppi in stile neoclassico che accolgono nei due ambienti le vedute di Bernardo Bellotto e Canaletto, le tele di Pietro Longhi e Piazzetta, e i maestri della "pittura della realtà" lombarda, con i ritratti di Fra' Galgario e del Pitocchetto.

Particolarmente documentata a Brera è la pittura italiana dell'Ottocento nelle sue diverse sfumature. Al centro della sala campeggia la grande Fiumana di Giuseppe Pellizza da Volpedo, versione preliminare del celebre Quarto Stato (Milano, Museo del Novecento). I capolavori di Francesco Hayez, già professore di disegno presso la stessa Accademia, sono raccolti nella parete laterale, tra cui il celebre Bacio, una delle opere più note dell'artista, e il Ritratto di Alessandro Manzoni. Le opere di Giuseppe Bossi e Andrea Appiani (Carro del Sole), primo pittore dell'Italia napoleonica, testimoniano il gusto neoclassico a Milano. Dal 2010 il neoclassico è rappresentato anche dalla scultura di Luigi Antonio Acquisti, Atalanta.

Chiudono il percorso i pittori Macchiaioli come Giovanni Fattori (Il carro rosso) e Silvestro Lega (Il pergolato), oltre alle opere di Giovanni Segantini e Gaetano Previati, tra divisionismo e simbolismo.

La sala X, progettata nel 1949 da Franco Albini, ospita le opere del Novecento della Donazione Jesi tra cui la Rissa in galleria, l'Autoritratto e La città che sale di Umberto Boccioni, numerose opere di Mario Sironi, Giorgio Morandi, Carlo Carrà, Filippo De Pisis, sculture di Arturo Martini, Giacomo Manzù, Marino Marini e la grande Testa di toro di Pablo Picasso.

Più eterogenea è la selezione del Lascito Vitali, acquisita dalla Pinacoteca nel 2000. Questa comprende una sezione archeologica, con vasi e statuette databili tra il 4000 a.C. e il V secolo d.C., tra cui il ritratto femminile (arte dell'Egitto romano, 160 d.C. circa), e una moderna con opere di Alessandro Magnasco fino a Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Giorgio Morandi e Amedeo Modigliani (L'enfant gras).

Più di recente la Pinacoteca ha acquistato un bronzetto bianco di Giacometti, la grande Ofelia di Arturo Martini e il fondo di cento autoritratti d'artista dalla collezione di Cesare Zavattini.

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