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giovedì 2 luglio 2015

IL DISASTRO DEL GLENO



La Valle di Scalve è ubicata nelle Prealpi Lombarde (provincia di Bergamo), tra le più conosciute Val Seriana e Val Camonica. E' una valle ancora per ampi tratti incontaminata dall'edilizia e dal turismo di massa. Estese foreste risalgono le strette forre del torrente Dezzo per raggiungere le pendici dei ripidissimi massicci calcarei tra cui spicca il Gruppo della Presolana. E' proprio da quest'ultimo che, se si volge lo sguardo più in basso in direzione Nord , compare l'abitato di Vilminore di Scalve. Leggermente più decentrata è visibile la frazione di Bueggio. Dalla frazione Pianezza di Vilminore, si risale il sentiero n. 411 del CAI che porta alla Diga del Gleno, che appare all'improvviso. Dopo un percorso in salita di circa un'ora, il sentiero scavato nella roccia spiana, dopo un tornantino compaiono le tredici arcate di destra orografica. Solamente giungendo in prossimità della Diga sono visibili le altre due arcate di sinistra. In mezzo un enorme squarcio. Il torrente Gleno, affluente secondario del torrente Povo (a sua volta immissario del Dezzo) forma contro i resti della Diga un laghetto. Le arcate ormai scomparse hanno lasciato in bella vista la base in cemento, il famigerato "tampone a gravità", sulla quale è stato attualmente allestito un troppo pieno a sfioro del Lago del Gleno (precisiamo che già prima della costruzione della Diga esisteva un laghetto di montagna).

Il sentiero n. 411 non termina il suo tragitto in corrispondenza della Diga, ma conduce alla vetta del Monte Gleno percorrendo longitudinalmente una tipica valle alpina scavata dal torrente. Questa spettacolare ascesa nella Valle del Gleno nasconde innumerevoli meraviglie naturali. Il protagonista assoluto è comunque il torrente Gleno, che nel corso delle decine di migliaia di anni ha disegnato laghetti, marmitte dei giganti ed una numerosa serie di spettacolari cascatelle. Tutto ciò è racchiuso in un imponente anfiteatro allungato in direzione Nord. Una visita al Gleno quindi, risulterà molto limitata se ci accontenta di contemplare la misera opera umana.

Nel 1907 venne richiesta una concessione per lo sfruttamento idroelettrico del torrente Povo da parte dell'ing. Tosana di Brescia. La concessione venne poi ceduta all'ing. Gmur di Bergamo e poi alla Ditta Galeazzo Viganò di Truggio (Milano). Nel 1917 il Ministero del Lavori Pubblici fissò a 3.900.000 mc la capacità di invaso in località Pian del Gleno. Pochi mesi dopo la Ditta Viganò notificò l'inizio dei lavori, ma il progetto esecutivo non era stato ancora approvato dall'autorità competente (Genio Civile). Dopo una serie di proroghe venne presentato nel 1919 il progetto esecutivo per una diga a gravità a firma dell'ing. Gmur. Quest'ultimo però morì un anno dopo e la Ditta Viganò assunse al suo posto l'ing. Santangelo. Nel 1921 venne approvato il progetto esecutivo dell'ing. Gmur con i lavori già da qualche anno avviati. Nel 1921 la Ditta Viganò appaltò alla Ditta Vita & C. le opere di edificazione delle arcate.

Nell'agosto del 1921 l'ing. Lombardo del Genio Civile eseguì un sopralluogo al cantiere e rimase interdetto quando constatò che la tipologia costruttiva della diga a progetto, cioè a gravità (lo sbarramento che si oppone alla spinta del lago grazie al suo peso), era stato cambiata in corso d'opera in una diga ad archi multipli (struttura in grado di trasferire alle rocce di fondazione le spinte del lago). Rilevò infatti che stavano per essere costruite le basi delle arcate e che quelle nella parte centrale della diga non erano appoggiate sulla roccia ma sul tampone a gravità. Ne seguì l'immediata diffida al proseguire la costruzione e nel giugno 1922 venne ingiunto alla ditta Viganò di presentare un nuovo progetto, quasi si trattasse di una semplice abitazione in cui è stata variata la posizione di un paio di finestre rispetto al progetto. I lavori andarono avanti malgrado le osservazioni dell'ing. Lombardo e solo nei primi mesi del 1923 venne presentato il nuovo progetto.

Nella seconda metà di ottobre del 1923 il lago venne riempito a seguito delle violente precipitazioni. Vi furono problemi negli scaricatori superficiali ma soprattutto si innescarono massicce perdite d'acqua alla base delle arcate sovrastanti il tampone a gravità. Tali perdite furono sfruttate nelle ore notturne per la produzione di energia elettrica. La diga non poteva dirsi ultimata. Ancora numerose opere edili dovevano essere portate a termine. Il cattivo tempo perdurò anche nella seconda metà di novembre. Il 1° dicembre 1923 alle 6.30 il Sig. Morzenti, guardiano della diga, avvertì un "moto sussultorio violento". In seguito la difesa della Ditta Viganò ipotizzò addirittura che vi fosse stata un'esplosione causata da un atto terroristico. Poco dopo, alle 7.15, avvenne il crollo delle dieci arcate centrali della Diga. Una massa d'acqua di volume compreso tra 5 e 6 milioni di metri cubi iniziò la sua folle corsa verso valle.

Bueggio, frazione di Vilminore, fu quasi immediatamente travolta. L'enorme massa d'acqua, preceduta da un terrificante spostamento d'aria, distrusse le centrali di Povo e Valbona, così come due chiese ed il cimitero. L'acqua percorse lo stretto alveo montano del Povo sino alla confluenza con il Dezzo. L'omonimo abitato fu travolto e scomparve, così come la centrale elettrica, l'antico ponte, la strada e la fonderia per la produzione di ghisa la quale determinò un terrificante spettacolo di acqua, fiamme e vapore. All'altezza di Angolo il Dezzo forma una serie di spettacolari forre (la Via Mala). L'ondata, colma di detriti, creò delle ostruzioni temporanee con effetti terrificanti. Infatti, nei punti più stretti si crearono dei laghi che dopo pochi istanti riuscivano a sfondare le dighe di detrito, causando ondate ancora più distruttive. Molte località furono falcidiate, a Mazzunno venne distrutta una quarta centrale elettrica. L'abitato di Angolo rimase invece quasi intatto. L'ondata si precipitò nell'odierna Boario Terme. Le Ferriere di Voltri vennero gravemente danneggiate e vi furono gravissimi danni alle viabilità ed alle strutture.

Più a valle (Corna e Darfo) la valle del Povo si allarga e raggiunge l'Oglio. L'energia dell'ondata andò attenuandosi ma causò ancora vittime a gravissimi danni sino a raggiungere, 45 minuti dopo il crollo, il Lago d'Iseo. Qui lo spettacolo non fu meno terribile: una cinquantina di salme galleggiavano nell'acqua torbida. Il calcolo delle vittime fu stimato sulle 500 unità, mentre il conteggio delle vittime ufficiali si fermò a 360.

Il 3 dicembre 1923 giunsero a Darfo a commemorare le vittime il Re Vittorio Emanuele III e Gabriele d'Annunzio. A causa dell'impraticabilità delle strade, nessuna autorità poté visitare Angolo Terme e Mazzunno.

Il 30 dicembre 1923 il Procuratore del Re incolpò per l'omicidio colposo di circa 500 persone i responsabili della ditta Viganò ed il progettista ing. Santangelo. Il 4 luglio 1927 il Tribunale di Bergamo condannò Virgilio Viganò e l'ing. Santangelo a tre anni e quattro mesi di detenzione più 7.500 Lire di multa. Va ricordato che la maggioranza dei sinistrati era stata precedentemente tacitata con indennizzi economici. I condannati scontarono solo 2 anni e la multa fu annullata. Il Cavalier Viganò morì nel 1928.

Dal processo, che ebbe luogo tra il gennaio 1924 e il 4 luglio 1927 e si concluse, come detto, con la condanna del titolare della società concessionaria e del progettista a tre anni e quattro mesi di detenzione, emerse che i lavori erano stati eseguiti in modo inadeguato ed in economia, che il progetto fu cambiato più volte in corso d'opera senza le opportune verifiche e che il controllo da parte del Genio Civile era stato svolto in maniera approssimativa e superficiale.

Il quadro che risultò dalle molte testimonianze fu agghiacciante. I materiali utilizzati erano di qualità pessima, mentre le armature erano quantitativamente insufficienti. Le imprese che lavorarono sotto la supervisione del Viganò (impresario all'antica, che non tollerava l'intrusione di ingegneri in cantiere e gli sprechi di materiale) vennero pagate a cottimo e quindi meno tempo impiegavano tanto più Viganò guadagnava. Durante i carotaggi sulla struttura eseguiti dai periti dopo il disastro, venne evidenziato che in alcuni casi i muratori avevano gettato direttamente i sacchi di cemento all'interno dei piloni. Venne anche criticato il tempo di maturazione del cemento delle arcate. Testimonianze affermarono che i muratori, nelle ultime fasi di costruzione, lavorarono direttamente sulle barche: si riempiva il lago mano a mano che i lavori progredivano. Con queste premesse il disastro fu inevitabile.

Il Disastro del Gleno rappresenta un esempio macroscopico degli effetti di un'approssimativa progettazione e malcostruzzione di una diga. La scelta (dettata da ragioni puramente economiche) di variare in corso d'opera la tipologia stessa della Diga ha rappresentato una sorta di bestemmia strutturale.

Le dighe ad archi multipli presupponevano un ottimo terreno d'appoggio poiché le volte hanno la funzione di trasmettere gli elevati carichi alle fondazioni. Quest'ultime devono essere dunque incastonate in roccia compatta ed integra. A Pian del Gleno le rocce subivano gli effetti degradanti del gelo e disgelo ed inoltre erano state sottoposte all'azione dei ghiacciai durante le glaciazioni. Ma, anche tralasciando il fattore geologico dell'area, ben undici arcate furono appoggiate direttamente sul tampone a gravità inizialmente costruito. Si creò una pericolosissima discontinuità strutturale. Solo un'accuratissima esecuzione delle opere avrebbe garantito un certo grado di sicurezza. Durante la fase istruttoria del processo vennero sentiti molti testimoni. Il quadro che ne risultò fu agghiacciante. I materiali utilizzati erano di qualità pessima, mentre le armature erano quantitativamente insufficienti. Non solo: le imprese che lavorarono sotto la supervisione del Viganò (impresario all'antica, che non tollerava l'intrusione di ingegneri in cantiere e gli sprechi di materiale) vennero pagate a cottimo e quindi meno tempo vi impiegavano tanto era di guadagnato. Durante i carotaggi sulla struttura eseguiti dai periti dopo il disastro, venne evidenziato che in alcuni casi i muratori avevano gettato direttamente i sacchi di cemento all'interno dei piloni. Ed ancora: venne criticato il tempo di maturazione del cemento delle arcate. Testimonianze affermarono che i muratori, nelle ultime fasi di costruzione, lavorarono direttamente sulle barche: si riempiva il lago mano a mano che i lavori progredivano. Con queste premesse (e ve ne furono molte altre) il disastro fu inevitabile.



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mercoledì 1 luglio 2015

LE FRAZIONI DI DARFO BOARIO TERME



Boario è centro turistico e termale.
La prima menzione di "polle medicinali" è da attribuire a Padre Gregorio Brunelli (Valle Camonica - 1698), ma le proprietà terapeutiche delle fonti termali sono note sin dal XV secolo e segnalate da medici illustri.
Con il trionfo della moda di "passare le acque", nella seconda metà dell'Ottocento Boario Terme divenne un "salotto all'aperto", luogo di cura e ritrovo mondano per la ricca borghesia cittadina: proprio in questo scorcio di secolo, l'acqua Antica Fonte compare nei negozi degli speziali milanesi, accolta come un vero e proprio toccasana.
Uno dei suoi più noti estimatori fu Alessandro Manzoni, che ne ordinò - tramite una lettera oggi conservata negli archivi delle Terme - più di cento bottiglie, per trattare un'affezione epatica. Anche la sua seconda moglie, Teresa Stampa, ebbe modo di apprezzare personalmente la straordinaria efficacia di queste acque termali, come testimonia una sua lettera datata 16 dicembre 1845: "...avevo poi anche desiderato e stabilito tante volte di volerle dir io, di mia mano, che la mia totale guarigione l'ho dovuta alle acque di Boario".
Risale invece al 1913 la costruzione della cupola Liberty di marmo bianco, con balconata sostenuta da colonne a capitelli ionici: un tempo sede di orchestre, oggi emblema e simbolo delle nuove Terme di Boario.
Le quattro acque di Terme di Boario sono vere fonti di benessere, i cui benefici si apprezzano giorno dopo giorno, per tutto l'anno. Le preziose qualità risiedono naturalmente nelle alpi che circondano la Valle Camonica.
Queste acque di tipo solfato – bicarbonato – calciche - magnesiche fredde (13-15°C), si purificano e si arricchiscono dei preziosi elementi minerali con cui entrano in contatto, determinando così l’insieme di proprietà terapeutiche.
Le fonti si differenziano per concentrazione di sali, caratteristica che permette diversi impieghi terapeutici di prevenzione, cura e riabilitazione.
Le acque delle Terme di Boario sono note per la loro azione benefica nell'alleviare i disturbi dell'apparato digerente ed epatico, disturbi da ricondurre allo stress e alle tensioni della vita quotidiana.
Bere queste acque e godere della natura del Parco termale che circonda le fonti è ideale per chi conduce un’esistenza intensa e ritmata.
Fra gli ospiti illustri dei primi anni di apertura delle terme, si riporta la frequentazione abituale di Alessandro Manzoni. A partire dai primi anni del XX secolo, le terme diventeranno un luogo di villeggiatura mondano, in seguito all'apertura dell'allora Grand Hotel des Thermes.
Da allora le attività termali hanno costituito la principale attrazione turistica attorno alla quale ruota la vita della cittadina. Dopo una fase di calo strutturale e di crisi delle attività termali avvenuta durante gli anni novanta, a partire dalla ristrutturazione del 2007 le terme hanno ripreso a essere un polo di attrazione, soprattutto per le cure estetiche e per i centri benessere. Le attività e le cure termali sono praticabili nel parco delle terme, nell'attiguo Centro Cure Violati, oltre che nei centri benessere dei numerosi hotel della zona.
Il parco comunale delle incisioni rupestri di Luine si trova in posizione rialzata rispetto al centro di Boario, sulla destra orografica della valle, ed è raggiungibile a piedi dalla strada che collega Boario Alta a Gorzone.
Si tratta di un luogo ricco di numerose rocce d'arenaria rossa recanti le caratteristiche incisioni rupestri della Val Camonica, oltre a un piccolo stagno e a sbalzi erbosi. Nel parco sono visibili anche alcune marmitte glaciali, testimonianza dell'ultima glaciazione.
Fra le incisioni visibili nel territorio di Boario, va menzionato il megalite con figure di alabarde, chiamato Masso dei Corni Freschi. Il megalite e i suoi petroglifi sono visibili al di là della piccola collina di arenaria rossa detta "Monticolo", che si trova a est del centro di Boario Terme. Le incisioni raffigurate sul megalite risultano essere isolate, dato che nella stessa area non sono stati rinvenuti altri petroglifi.
Dal punto di vista stilistico, queste raffigurazioni sono assimilabili alle molte statue stele rinvenute in Valle Camonica e attribuite al periodo del Calcolitico Camuno, come del resto i più noti Massi di Cemmo e il Capitello dei Due Pini, considerati anche dello stesso periodo.
L'Archeopark sorge in prossimità del megalite, un parco tematico dedicato alla preistoria alpina, costruito attorno ad un laghetto artificiale. Il parco mostra le condizioni e le tecniche di vita dei popoli della preistoria alpina. Ospita inoltre numerosi laboratori archeodidattici e di archeologia sperimentale. Vi si trova anche un piccolo labirinto di rocce che, secondo alcuni archeologi, venne usato come prova di coraggio per far diventare adulti i ragazzini. Inoltre, dalle incisioni esaminate dagli studiosi, si pensa che essi, alla fine del labirinto, combattessero con scudo e spada.
Il Santuario della Madonna degli Alpini è stato inaugurato nel 1957 per commemorare i caduti della Battaglia di Nikolaevka.
Oltre alle cure termali e di benessere e alle escursioni al Parco delle Terme e alle Incisioni rupestri, è agevole praticare una serie di sport.
Nel periodo invernale, gli impianti sciistici di risalita di Borno e di Monte Campione sono raggiungibili con 40 minuti circa di automobile.
Nel 1982 Boario Terme fu sede di arrivo di una tappa del Giro d'Italia.

Montecchio è costruito in un punto strategico della valle, a ridosso del Monticolo una collina presente nel fondovalle della Valle Camonica: a causa di tale rilievo il fondo valle in quel punto ha una strettoia naturale, da cui è facile controllare l'accesso alla media e alta valle.
Anticamente chiamato Monticulus, in seguito Montegio o Montigio.
La storia di Montecchio è strettamente legata al castello.
Il castello di Montecchio fu un'importante rocca di costruita in posizione strategica per il controllo della bassa Valle Camonica, in un punto dove un ponte congiungeva le due sponde del fiume Oglio, nel comune di Darfo Boario Terme in frazione Montecchio.
Sorgeva sul dosso a sud del Monticolo, monticello di arenaria posizionato nel centro della vallata, luogo già frequentato in epoca antica come mostrano le incisioni preistoriche dei "Corni freschi".
Un importante documento storico del 21 maggio 1200 si ricorda un accordo effettuato tra i signori di Montecchio (tra i quali è citato "Lanfranco capo dei Federici") e Vicini della corte di Darfo riguardo alla spartizione di alcune isole create probabilmente da un'esondazione del fiume Oglio che divideva le due comunità.
Nel 1249 Giovanni e Teutaldo figli di Saporito, e Teutaldo Pagnono di Montecchio ricevono privilegi da Brescia, per la quale avevano recuperato l' "arcem et locum de Montegio", presumibilmente caduto in mano alla fazione antibresciana camuna.
Negli "Statuti contro i ribelli di Valcamonica" emessi dal Comune di Brescia nel 1288 si vede come il castello fosse stato nuovamente riconquistato dalla parte antibresciana (a quel tempo legata alla famiglia Federici) e la città in cambio della cattura del "Castro, rocha et terra de Montegio" prometteva mille libbre imperiali.
A seguito della Transictio del 1291 il castello rimase sei anni sotto il controllo di un podestà scelto dal Capitano del Popolo di Milano, Matteo Visconti (il quale era intervenuto come arbitro tra le due parti), per poi passare allo scadere dei sei anni nelle mani del Comune di Brescia.
Nel 1415 il castello è sotto il controllo di Pandolfo III Malatesta, e ne fa castellano di rocca tale Ziletto de Londres, sostituito nel 1416 da Maimosio Foresti.
Nel 1427 Francesco da Bussone, detto il Carmagnola, occupa la rocca per la Repubblica di Venezia e decreta la distruzione del castello. Forse una ulteriore distruzione si ebbe nel 1455 quando la Serenissima decretò l'abbattimento di tutte le rocche della Valle Camonica.
All'inizio del XX secolo rimaneva il basamento di una torre ed un sotterraneo con volta a botte e tracce di affreschi (chiamato bus dei pagà).
Il paese fu quasi integralmente distrutto nel 1471 da una frana alluvionale.
Importante in passato per le comunicazioni: vi si riscuotevano le gabelle e vi era presente l'unico ponte esistente tra Cividate Camuno e Pisogne. Il ponte costruito nel 1686 sostituì un più antico ponte in legno. Nei pressi del ponte si teneva il mercato franco. Probabilmente aveva anche un porto (esiste ancora la Piazza del Porto).
La parrocchiale di Santa Maria Assunta, ricorda l'esondazione del torrente Rovinazza abbattutasi sull'abitato nel 1471, che cancellò quasi del tutto l'antica parrocchiale. L'attuale venne edificata nel 1623, ed ampliata nel 1911.

Erbanno si trova ai piedi del Monte Altissimo. Sorge sulle sponde del torrente Budrio. Prima di diventare frazione fu comune autonomo.
La Chiesa di Santa Maria del Restello si trova all'ingresso settentrionale del centro storico. costruita dai Federici nel '500, contiene affreschi di Callisto Piazza. San Carlo, pur lasciando alla chiesa il titolo di parrocchiale, consigliava l'amministrazione dei sacramenti in Santa Maria, poiché più adatta e posta in luogo più decente.
La Chiesa di San Martino ha sul portale la data 1465 e l'autore: Bartolomeo da Erbanno. Contiene affreschi del XIII secolo. All'esterno una lapide che ricorda come Abramo Federici deviò il corso dell'Oglio a Montecchio.
La parrocchiale di San Rocco fu iniziata nel '600 e ultimata nel 1844.
La chiesetta di Santa Caterina e Gottardo si trova tra la torre ed il palazzo Federici, è del secolo XVI (rimaneggiata nel XVII).
La chiesetta di San Valentino con annesso Eremo si erge lungo il sentiero che da Erbanno porta alla cima del Monte Altissimo.
Il borgo medievale è ricco di cortili e portali in pietra intagliata.
Erbanno si trova nella bassa Val Camonica. Il nucleo storico del paese è stato edificato alle pendici dei monti che circondano il lato occidentale delle valle, in particolare alle pendici del monte Altissimo e dell'omonimo monte Erbanno, leggermente al di sopra del fondovalle. Molti sono i sentieri che partendo dal paese raggiungono le vette, in particolare è doveroso citare il sentiero CAI n. 155 che parte dalla piazza del paese passa per il santuario di S. Valentino (663 m s.l.m.) e raggiunge la vetta del monte Altissimo a quota 1.703.
Tra il 1545 ed il 1549 Esine ed Erbanno si contendono il bosco delle Toroselle.
Nel 1610 Giovanni da Lezze sostiene che i migliori vini della Val Camonica provengano da Erbanno.

Gorzone sorge alle pendici del Monte Altissimo. Fino al 1929 fu comune a sé stante.
Risalendo la Val Camonica verso nord est lungo il fondovalle, giunti a Boario Terme i massicci montuosi che compongono il lato ovest della valle si aprono: tra i monti Pora e Altissimo preannunciano l'inizio della Val di Scalve. Poco prima di Angolo Terme, lungo la strade che da Boario si avvia alla Val di Scalve, si trova Gorzone. Il paese è arroccato sulle pendici meridionali del Monte Altissimo, qualche decina di metri al di sopra del fiume Dezzo. Da Gorzone è possibile giungere alla cima del monte Altissimo seguendo una strada sterrata che passa da Terzano (in territorio di Angolo Terme).
La zona di Gorzone è probabilmente una delle prime località ad avere una presenza umana stabile in Valle Camonica, come dimostrano le incisioni rupestri presenti nel Parco archeologico comunale di Luine.
Alla confluenza con la Valle di Scalve fu un centro nodale tra gli scambi alpini.
Il 3 agosto 1198 Brescia stipulò un patto con Bergamo dando 400 lire imperiali in compenso di quanto i bergamaschi avevano pagato ai Brusati per il feudo di Gorzone, chiamato curte Gorzolli e dopo castrum Gorzoni.
Il castello di Gorzone appartenne alla nobile famiglia dei Federici.
Il castello sorge su uno sperone roccioso compreso tra Gorzone ed il fiume Dezzo, è una costruzione spoglia, austera, con finestre ad arco acuto, senza più torri. In una foto del 1920 si vedono i resti di almeno una torre.
All'esterno un ampio parco orientato verso est, mentre sui lati meridionale e occidentale è presente una scoscesa scarpata che scende nel fiume Dezzo.
La struttura risalirebbe al 1160, ad opera della famiglia Brusati, poi divenuta Federici, ghibellini, alleati di Federico Barbarossa.
Nel 1287, a seguito della grande ribellione camuna, il comune di Brescia, emette un bando contro la famiglia Federici con una ricompensa per la distruzione delle sue rocche. Il castello venne distrutto e saccheggiato nel 1288, ma grazie alla riappacificazione tra la famiglia ghibellina ed il Comune bresciano, grazie all'arbitrato di Matteo Visconti, la rocca venne ricostruita tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo.
Negli anni 1490-1495, grazie alla pax veneta, il castello perde la sua funzione di rocca e si trasforma in residenza signorile, ampliandosi e costruendo un loggiato interno in stile veneziano.
Inciso sulla pietra simona del portale d'ingresso, oltre allo stemma dei Federici (scacchi d'argento trasversali in campo azzurro) c'è quello dei signori veronesi Della Scala.
Il giardino interno, sul quale si affaccia un loggiato con archi e colonne ricchi di stemmi, presenta un pozzo di raccolta d'acqua piovana.
All'interno sono presenti sale, pareti finemente decorate, soffitti a cassettone con pregevoli decorazioni.
Al di sotto del castello vi erano delle gallerie, oggi parzialmente crollate, che comunicavano con l'esterno, verso il Dezzo e la Casa Caffi, che apparteneva ai Federici del ramo cadetto.
L'importante complesso artistico gorzonese è l'unico castello in Valcamonica rimasto integro in tutta la sua struttura.
Il castello è separato dal gruppo di case della contrada da un muraglione in pietra viva che ha inizio dal portale d'ingresso e prosegue collegandosi con il fianco esterno della chiesa di S. Giovanni Battista. L'ampio portale trecentesco d'entrata è formato da conci in arenaria rossa. Sul muro di cinta alla destra del portale, si trova un concio di pietra disposto orizzontalmente che reca incisa l'iscrizione: 1.6 / 4 / GB.
Superato il portale, concluso il tratto di rampa a selciato è presente sulla destra un secondo muro di cinta, basso e terminato da merli che immette nella spianata antistante al lato sud-est del castello.
Il lato sud-est è costituito a destra da una porzione in pietra viva, una centrale dove è presente la porta di accesso al cortile principale e a sinistra un corpo su due livelli con l'entrata al cortile minore.
Il lato sud-ovest si affaccia sulla forra del fiume Dezzo, presenta le facciate dei due corpi di fabbrica che costituiscono i blocchi formanti il cortile minore del castello. Un muro di cinta a terminazione orizzontale più basso che chiude il cortile minore del castello e che presenta nel mezzo un ampio arco a pieno centro oggi murato, chiude lo spazio fra i due corpi di fabbrica.
La parete destra può essere divisa in tre fasce cronologiche: quella centrale è databile tra la fine del XIII e il primo quarto del XIV; l'estremo lato destro e il lato sinistro possono essere correlate al periodo a cavallo tra la fine del Quattrocento e l'inizio del secolo XVI.
Il muro della facciata del corpo di fabbrica di sinistra non presenta aperture di particolare rilievo ma nell'angolo in basso a sinistra, è presente una piccola apertura trecentesca che immette su una terrazza esterna.
Il lato nord-ovest è diviso in tre settori con differenti altezze, è fissato su una scarpata di arenaria rossa e si presenta nella sua totalità composto da varie successioni architettoniche tutte riferibili al XIV secolo.
Il lato nord-est è a tre livelli e mostra anch'esso una successione di varie fasi evolutive susseguitesi nel corso del Trecento. Nell'angolo in basso a destra è presente una scaletta con rampa che porta attraverso un pianerottolo ad una porta.
Il paese è ricordato (Ghorzò) nel 1509 nella mappa della Valle Camonica disegnata da Leonardo da Vinci e conservata a Windsor.
Nel 1929 viene aggregato al comune di Darfo Boario Terme.

Nel mese di agosto ad Angone si tiene una sagra con punto di ristoro dove viene servita l'anatra ripiena con verza e polenta, una specialità tipica.
Confina a nord con Pian di Borno a est con Sacca a sud con Erbanno e a ovest con il comune di Borno

Capo di Lago, costituita da un borgo di poche decine di abitanti, è sorto sulle sponde del lago Moro tra le colline delle Sorline e di Rodino alle pendici del Monte Pora.
Presso Capo di Lago passavano antiche strade di comunicazione, tra cui un troncone della via Valeriana costruita dai Romani, che ricalcava in gran parte antichi sentieri battuti da millenni dalle popolazioni autoctone.
Fino al 1959 ha fatto parte del comune di Angolo Terme.
La chiesetta di Sant'Apollonia fu costruita nel Settecento su una cappella preesistente.
Il paese ha una piccolo, ma significativo, indotto dovuto al turismo legato al vicino lago.



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DARFO BOARIO TERME

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Darfo Boario Terme è il più popoloso ed importante centro industriale, commerciale e termale della Valle Camonica. Si sviluppa lungo le due rive del fiume Oglio, alla confluenza di questo con il torrente Dezzo, in un’ampia pianura alluvionale, ai piedi di un imponente massiccio roccioso che culmina con il monte Altissimo.
La collocazione geografica di Darfo Boario Terme alla confluenza del torrente Dezzo, proveniente dalla Val di Scalve, nell’ Oglio e la presenza dei Monticoli a sbarrare il passo fra la media e la bassa Val Camonica ne hanno fatto, fin dall’antichità, un importante centro militare e commerciale.

Attorno al centro, cioè Darfo, Boario Terme, Corna, Montecchio, si sviluppano a raggiera: Erbanno, Gorzone, Sciano, Angone, Fucine, Pellalepre, Bessimo sup. e Capodilago.
I quattro più importanti rioni della città (Darfo, Boario Terme, Corna e Montecchio) sono compatti fra loro e formano una specie di quadrilatero, al centro del quale si trova la località "Isola", che prende il nome dal fatto che è situata in un'ansa del flume Oglio.

Il nome potrebbe derivare da "garf" (terreno franoso), o "dorf", nelle lingue germaniche "villaggio".

La zona era abitata già in epoca preistorica: sono presenti incisioni rupestri presso la località dei Corni Freschi (Attola), ai piedi del Monticolo, e nel Parco comunale delle incisioni rupestri di Luine.

Sempre a Luine sono state rinvenute terrecotte dell'età del bronzo (1969), mentre altre incisioni rupestri sono state trovate nei pressi del Lago Moro. Sul Monticolo è stata rinvenuta invece un'ascia in bronzo nel 1897.

Scarse sono le notizie in età romana, sebbene si supponga che il fondo valle sia stato a quel tempo disabitato a causa di alluvioni dell'Oglio e la presenza di zone paludose. Di età barbarica è probabilmente la necropoli scoperta nel 1808 presso Corna e le tombe scoperte nel 1939 e nel 1958 presso il Municipio.

Divenne centro importante in età medievale in quanto sede di un porto (presso Montecchio) e del Castello di Montecchio. Nel 1200 è ricordato come burgus fornito di castrum, dove risiedeva la curia, che aveva preso il posto dell'ormai decaduta pieve di Rogno.

Nel 1047 Enrico III elegge Darfo a Corte Regia, e permette che gli abitanti della Val di Scalve continuino l'antica usanza di portare annualmente 1000 libbre di ferro, con la pena per i trasgressori di 100 libbre di oro. In tal modo dovette essere residenza di un rappresentante o vicario imperiale.

Nel 1508 Darfo (Darf) compare nella mappa della Valle Camonica disegnata da Leonardo da Vinci e conservata al Castello di Windsor.

Nel 1591 vi è una contesa con Bovegno circa alcuni pascoli in quota.

Nel XVI secolo il porto venne fortemente danneggiato da una serie di alluvioni.

Dopo la metà del XVII secolo si distacca da Darfo la municipalità di Gianico.

Nel 1830 è eretto il ponte sull'Oglio, a sei arcate, in legno, tra Darfo e Corna.

Nel 1834 una rivolta dei popolani di Darfo si oppose al dominio austro-ungarico, ma venne subito stroncata.

Il 1º dicembre 1923 il disastro del Gleno comportò ingenti danni al paese e la morte di 150 persone. Anche re Vittorio Emanuele III visitò il paese devastato.

Il 15 aprile 1929 al comune vennero aggregati i soppressi comuni di Erbanno e Gorzone. Nel 1959 vennero aggregate la frazioni di Bessimo Superiore e Capo di Lago, staccate dal comune di Angolo Terme.

L'8 maggio 1968 il consiglio comunale cambiò la denominazione del comune in Darfo Boario Terme, ed il 28 gennaio 1969, con decreto del Presidente della Repubblica n.38 venne insignita del titolo di "Città".

Nel 1980 nasce il Parco comunale delle incisioni rupestri di Luine.

Scendendo lungo i tornanti che da Angolo Terme conducono fino nei pressi delle Terme di Boario si nota Castello Federici, edificato intorno al 1160 su un nucleo edilizio preesistente. Nel castello sono assenti mura difensive e torri, a causa dei numerosi lavori di manutenzione apportati dalla famiglia Federici, e ciò rende la struttura molto più somigliante ad un palazzo signorile che ad una fortezza tradizionale anche se ebbe notevole importanza anche militare vista la sua collocazione a difesa delle strette via d’accesso alla Val di Scalve e alle Valle Camonica. Al momento restano visibili soltanto il basamento di una torre, il sotterraneo a volta ed i presunti imbocchi di due strade sotterranee. All’interno vi sono invece sale decorate con soffitti a cassettone e caminetti artistici. Nel primo cortile un loggiato, un pozzo, una scala in pietra simona e una porta di forma ogivale. Nel secondo cortile due loggiati che si contrappongono sui due lati. In una sala è conserva una galleria di ritratti dei Federici. Nel parco, che circonda l’edificio principale vi è una chiesetta dedicata a San Giovanni Battista, cappella privata dei Federici, con affreschi, una Natività del ’600 e un paliotto d’altare di Giuseppe Picini.

Il parco del lago Moro si trova nella media-bassa Valle Camonica, tra i comuni di Darfo Boario Terme, nella frazione di Capo di Lago e Angolo Terme nella zona delle Sorline. Esso si trova all’incrocio di due corso del fiume Oglio e del torrente Dezzo, che si immette nel fiume Oglio.
Il lago è lungo 820 m, largo 320 m, profondità di 42,20 m.La sua genesi si deve sia a una base strettamente geologica, di tipo strutturale, sulla quale i processi erosivi dell’ultima glaciazione hanno dato origine al Lago Moro.
Nel Lago Moro si specchiano fantastici boschi formati da diverse tipologie di piante tra cui il castagno, il rovere, la betulla, il ceduo, l’orniello. I boschi ospitano molte specie di animali come la volpe, la biscia, il ragno, gli scoiattoli, i girini, le rane, le talpe; tra i pesci che vivono il lago ci sono il cavedano, la tinca, l’alborella e l’anguilla.
L'Archeopark è un parco tematico polifunzionale. I visitatori, i gruppi, le scolaresche possono svolgere, guidati da animatori, una serie di attività nei laboratori didattici: battere il rame, macinare il grano, cuocere il pane, tirare con l’arco, percorrere ritualmente il labirinto… Il parco State è un grande museo interattivo all’aperto, creato per rivivere il passato attraverso ricostruzioni di insediamenti preistorici realizzate su base scientifica.Si possono rivivere le varie fasi evolutive: dal paleolitico all’età romana attraversando il corso di 15.000 anni di storia. L’intero parco che si sviluppa su uno spazio di circa 100.000 mq, è immerso nella natura, tra boschi di castagni ai piedi e lungo le pendici del Monticolo di Boario Terme.

I centri storici delle numerose frazioni che circondano la cittadina di Darfo Boario Terme conservano un patrimonio artistico davvero importante. Per quanto riguarda Darfo sono da vedere: il convento Queriniano (XVIII sec.) di grande bellezza architettonica con il giardino ed il chiostro interno e con l'ex chiesa di Santa Maria della Visitazione che conserva affreschi dell'Inganni; la chiesa dei Santi Faustino e Giovita ricostruita nel 1656 in stile barocco sulle vestigia della chiesa esistente nel XV sec. contenente numerose opere d'arte: affreschi di G. Teosa, una pala ad olio su tela del Guadagnini e una Deposizione del 1612 o del 1649 attribuibile al Tintoretto, al Paglia, a Palma il Giovane.
A Boario Terme si segnala il santuario della Madonna degli Alpini (ultimato nel 1957) sulla cui facciata campeggia la gigantesca statua, in bronzo dorato, della Madonna col Bambino.
Da visitare a Pellalepre è la chiesa dei Santi Bernardo e Defendente ricostruita all'inizio del XVIII sec. sulla chiesetta quattrocentesca dedicata a San Defendente. L'interno, a navata unica, è ricco di affreschi alcuni dei quali attribuiti al Teosa; la Madonna in trono col Bambino del 1498 è attribuita al Foppa.
A Fucine si segnala la parrocchiale, ultimata nel 1646, dedicata alla Visitazione al cui interno, in stile barocco, sono conservate due statue del Ramus ed un palliotto attribuito al Fantoni; gli affreschi sono invece di G. Teosa.
Montecchio è famoso per il Castello Rocca Federici, di cui restano soltanto la base, alta circa 4 mt., di una torre a pianta quadrata, un ambiente sotterraneo a volte e gli imbocchi di due strade sotteranee. Il Ponte di Montecchio, ultimato nel 1686 su progetto di Francesco Cifrondi, è monumento nazionale. La parrocchiale di Santa Maria Assunta venne edificata nel 1623 sulle vestigia dell'antica parrocchiale distrutta nel 1471 da una frana. Altro monumento nazionale è la chiesa detta dell'"Oratorio" sulla cui parete laterale esterna si possono notare le tracce di un grande affresco del Giudizio Universale mentre all'interno è conservata una Crocifissione attribuita alla scuola del Da Cemmo.
Erbanno, antico borgo medievale, conserva un importante patrimonio artistico. Palazzo Federici conserva alcuni affreschi quattrocenteschi attribuiti alla scuola del Da Cemmo, un camino rinascimentale ed il soffitto composto da 36 tavolette di legno dipinte con figure allegoriche e profili di personaggi maschili e femminili. Casa Ballardini ( XVI sec.) con il suo loggiato con capitelli riccamente decorati; al suo interno vi è la famosa stanza con affreschi del 1600.
Ad Angone è da visitare la parrocchiale dedicata a San Matteo, ultimata nel 1646, sui resti di una chiesa precedente forse del '400. la chiesa è piccola ma contiene opere preziose come il palliotto in legno attribuito allo Zotti e il ciborio e la cornice dell'altare maggiore attribuiti al Ramus.
Il centro storico di Gorzone, nota nei secoli per le cave di pietra Simona, è ricco di opere d'arte custodite in quattro belle chiese e nelle dimore signorili, tra le quali ricordiamo l'imponente Castello Federici. La rocca (ultimata nel 1160) è circondata da un bel parco e da una cinta murata a strapiombo sulla profonda e stretta valle del Dezzo. All'interno vi sono sale affrescate, soffitti a cassettoni e una collezione di ritratti dei Federici. Nel parco sorge una piccola chiesa dedicata a San Giovanni Battista. La facciata è in stile tardo romanico mentre l'interno è arricchito da affreschi secenteschi. Un'altra testimonianza viene da Palazzo Minini, ex Federici, al cui interno troviamo una sala con soffitto ligneo a tavolette, antichi affreschi ed un camino del 1520. Fu residenza dei Federici anche Palazzo Rizzonelli (XIV sec.). Situata poco oltre il cimitero la chiesetta di San Rocco fu edificata nel 1522 in onore del santo patrono degli appestati; accanto ad essa furono sepolti i moltissimi morti di peste durante le epidemie scoppiate nel 1575-77 e nel 1630; durante gli ultimi restauri sono riapparsi alcuni ex-voto. La parrocchiale di Sant'Ambrogio, eretta sulle vestigia della chiesa medievale di cui sono ancora visibili un affresco (Madonna che allatta il Bambino) del '400 e il portale laterale in arenaria rossa. Un'altra importante opera è il Sarcofago di Isonno Federici, eretto dopo il 1336, in stile gotico lombardo in ottimo stato di conservazione.
A Corna si può vedere la parrocchiale di San Giuseppe, terminata nel 1926, che conserva affreschi del Longaretti ed una pala del 1611 del Gasparini. Da ricordare anche la chiesetta del Sacro Cuore di Gesù (XVII sec.), detta "Cappellino".
A Capo di Lago, piccolo paese sul lago Moro, si trova la chiesetta di Sant'Apollonia.
A Bessimo Inferiore si segnala la chiesa di San Giuseppe Operaio che custodisce alcuni affreschi del 1700.

Ai piedi del nucleo storico di Erbanno si estende la pianura alluvionale del fiume, oggi densa di abitazioni e di industrie, ma fino a pochi decenni fa destinata a colture agricole. Alcuni millenni fa tale pianura era sede di un bacino lacustre, che si estendeva dall'attuale lago d'Iseo fino a Cividate Camuno. Ciò è accertato, oltre che dalla natura del sottosuolo, anche dalla presenza nelle incisioni rupestri della zona di inequivocabili strumenti di pesca, quali rudimentali reti e gabbie.
Le rocce affioranti che formano i caratteristici Monticoli sono di arenaria rossa, detta anche "pietra Simona", dalla località Simoni di Gorzone dove viene cavata dai tempi remoti. La pietra Simona, elemento fondamentale e caratteristico della natura e del paesaggio della bassa Valcamonica (e di Darfo Boario Terme in particolare) è stata, per la sua naturale disponibilità, di base per 1'arte rupestre. La stessa pietra, che ci ha conservato i messaggi del passato, è stata usata anche per costruire castelli, torri, abitazioni, muri a secco e, tutt'oggi, continua ad essere utilizzata nell'architettura minore, nelle panchine, nelle aiuole, negli oggetti artistici di produzione artigianale e nei monumenti.

I Monticoli hanno più volte protetto la piana di Boario dalle piene del fiume Oglio. II più alto raggiunge m 394.
Il territorio del Comune di Darfo Boario Terme è percorso, oltre che dal fiume Oglio, dal torrente Dezzo, dal Rovinazza, dal Budrio, dal Re, dall' Ogliolo e dal canale idroelettrico Italsider. Fiumi e torrenti hanno causato, fin dai tempi antichi, seri danni con le loro inondazioni. E sufficiente ricordare i gravissimi disastri provocati dal crollo della diga del Gleno (1 dicembre 1923) e dall'alluvione del 16 settembre 1960.

Il Museo degli Alpini nasca negli anni 2001-2002, quando le Truppe Alpine erano comandate dal Gen.C.A. Roberto Scaranari (attuale Presidente del Museo), si fece largo l'idea di trasformare quella raccolta, importante ma un po' disordinata ed a carattere pressoché familiare, in un Museo vero e proprio, regolarmente riconosciuto e costituito con atto notarile depositato.
Oggi il Museo è una realtà, anche se in crescita e abbisognevole di tanto lavoro. I progressi sono quotidiani, grazie alla dedizione di tanti amici volenterosi e degli Alpini in congedo dei Gruppi di Fucine, Darfo-Boario Terme ed Angone e, soprattutto, grazie agli stanziamenti ottenuti dalla Regione Lombardia, dalla Provincia di Brescia e dal Comune di Darfo-Boario Terme.

La squadra di calcio del paese, l'Unione Sportiva Darfo Boario, nata nel 1937 è una delle prime società calcistiche della Val Camonica.


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