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martedì 30 giugno 2015

IL MUSEO ETNOGRAFICO A VALTORTA



“L’Ecomuseo di Valtorta recupera e preserva il patrimonio materiale e immateriale come strumento per progettare l’avvenire a partire dalle aspettative della sua gente”.

Un paese museo dove si respira ancora l’aria della tradizione: il museo etnografico insieme a mulini, maglio e segheria idraulica vi accompagnano nella scoperta della cultura e dei saperi di Valtorta.
Il museo etnografico ha sede in un antico edificio denominato “Casa della Pretura” in quanto un tempo ospitava il vicario che, oltre a governare la comunità aveva importanti compiti in materia civile e penale. Al suo interno si trovano gli strumenti e le attrezzature che un tempo facevano parte della quotidianità delle genti dell’Alta Valle Brembana, testimoni della povertà e della semplicità degli abitanti di Valtorta ma anche di ritmi e stili di vita totalmente differenti.
Mulini, maglio e segheria si ritrovano sparsi qua e là tra gli angoli del paese. Si tratta di strutture funzionanti grazie alla forza dell’acqua che, attivando gli antichi meccanismi, ancora oggi permette di vedere all’opera le storiche strutture.

L’ingresso del borgo di Valtorta è caratterizzato dalla torre dell’orologio, il cui funzionamento può essere seguito attraverso le pareti in vetro della struttura che contiene l’antico meccanismo con corredo di piccole campane. Appena sopra l’abitato sulla destra idrografica, un piccolo torrente alimenta le ruote idrauliche di un mulino, ricostruito utilizzando le attrezzature donate dai proprietari del cessato mulino Canfer di Ubiale. Appena sopra il mulino si trova la segheria idraulica, recentemente recuperata e resa funzionante utilizzando i resti di una segheria proveniente dall’Alta Valle Brembana. L’edificio della segheria è a due livelli. Al piano terra ci sono la ruota idraulica di grandi dimensioni e gli organi di trasmissione in ferro. Questa ultima caratteristica consente di collocare la data di costruzione della segheria originaria nel periodo a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Gli organi di trasmissione sono di tipo a doppio stadio, ovvero con il primo stadio costituito da una ruota moltiplicatrice e un pignone, il secondo da un sistema a cinghia. Al primo piano c’è il banco di sega in legno sul quale venivano posti i tronchi da tagliare. Un sistema di regolazione posto sul banco stesso consentiva di regolare lo spessore dei pezzi da tagliare (assi, travi, ecc.). Il telaio mobile sul quale è montata la sega è posto a metà tra il primo e secondo piano.

L'esposizione museale, che ricostruisce idealmente gli ambienti più comuni del passato, documenta come l'uomo brembano abbia saputo, nel corso dei secoli, modificare, abbellendoli e rendendoli più funzionali, gli stessi attrezzi del lavoro quotidiano utilizzati da secoli, dando così prova di intelligenza creativa e di capacità di far fronte, con strumenti sempre più efficaci, alle nuove esigenze imposte dal mutare dei tempi e dalle contingenze.

La sistemazione del materiale nelle sale del museo obbedisce al principio di fornire al visitatore l'opportunità di comprendere la funzione e l'uso dei vari oggetti e di immaginare allo stesso tempo particolari momenti della vita umana legati a tale uso. Di conseguenza vi sono meticolosamente ricostruiti vari ambienti tipici, luoghi di lavoro, di svago ed interni delle abitazioni.

Si possono così ammirare, assieme agli arredi propri della vita domestica, ambienti e strumenti tipici dell'artigianato: l'officina del fabbro, il desco del ciabattino e del fabbricante di zoccoli, il banco del falegname, la casera con i grandi caldari e le ramine, il filatoio della lana, il telaio, il tornio per il legno, il carretto dell'arrotino, ed una miriade di altri arnesi propri di attività un tempo importanti e di cui oggi resta solo il ricordo.L'interno delle abitazioni è riproposto dettagliatamente con la ricostruzione completa dei vari ambienti: una camera da letto con il pagliericcio, l'armadio, la culla, gli abiti da lavoro e quelli della festa; la cucina con le cassepanche, le credenze, la madia ed il focolare collocato al centro del locale; i giochi dei bambini e gli strumenti che accompagnavano la loro crescita, tanto semplici e poveri e pure così vicini nella funzionalità a quelli moderni.
Numerosi sono gli attrezzi della lavorazione dei campi e dell'allevamento del bestiame, occupazioni che nei secoli sono state di gran lunga preponderanti nella zona e che ancora oggi mantengono una loro vitalità: arnesi della fienagione, dell'aratura, del boscaiolo, dell'apicoltore e del cacciatore.
Anche i vari aspetti della vita religiosa trovano nel museo spazi adeguati: ex voto, affreschi, paramenti sacri, oggetti propri delle liturgie tradizionali, testimonianze di una fede semplice, ma dalle radici profonde che si esprimeva in svariate forme di devozione.
Non mancano infine documenti delle rare pause concesse allo svago e ai divertimenti: la ricostruzione di strumenti musicali, maschere, burattini, rudimentali giochi di società.
è tra queste testimonianze d'altri tempi che si può recuperare una dimensione più umana del vivere quotidiano e si può recuperare una coscienza più completa del passato.

Il Museo Etnografico Alta Valle Brembana di Valtorta è nato e si è sviluppato con questo preciso intento: riscoprire e conservare il passato, valorizzare e trasmettere alle nuove generazioni le testimonianze di una civiltà e di una cultura.
Una civiltà fatta di segni materiali (i luoghi, le case, i mobili, gli arredi, gli affreschi, gli strumenti di lavoro) ma anche e soprattutto di valori: quelli della fatica quotidiana, di una laboriosità pregna di ingegno e pazienza, di una fede genuina, di una semplicità e di una sobrietà di vita oggi del tutto inimmaginabili. Un Museo insomma attraverso cui esprimere l'essenza profonda della storia umana e sociale dell'Alta Valle Brembana.
Ed è sicuramente in risposta a questa ispirazione che l'idea del Museo, coltivata a metà degli anni settanta dal sindaco di Valtorta Pietro Busi e dall'allora parroco don Angelo Longaretti, ha trovato una piena e convinta adesione da parte degli abitanti del paese e dell'intera Alta Valle che non hanno esitato a rovistare centinaia di soffitte e scantinati per fornire una prima dotazione di centinaia e centinaia di oggetti e testimonianze delle più svariate epoche. Né poteva essere individuata sede migliore di quella Casa della Pretura che il Comune provvide ad acquistare e restaurare, rendendo i vari ambienti idonei alla funzione museale.
Da allora l'Eco-Museo etnografico è diventato una creatura viva, non solo come ricostruzione completa e accurata; della casa, degli ambienti, degli oggetti del passato, ma anche come perno di un vero e proprio sistema museale che si allarga a tutti i luoghi storici del territorio: la Chiesa della Torre con preziosi affreschi che decorano le pareti, i dipinti murali che adornano le 43 tribuline poste ai crocicchi di antiche mulattiere, gli affreschi esterni, il mulino, il maglio mulino, le miniere, le fucine e la segheria, un tempo cardini dell'economia locale e la torre dell'orologio.

L' itinerario museale prosegue con la visita agli edifici dei mulini, del maglio, della segheria, ai resti di una fucina, inseriti nel contesto della documentazione etnografica della vallata.La presenza di fucine, mulini e segherie azionate da ruote ad acqua che sfruttavano la ripida corrente dei torrenti fu una costante della vita economica di Valtorta e costituì per secoli la principale fonte di sussistenza di tutta la comunità.

Al mulino, ricostruito ai bordi della Val Marcia, il torrente che lambisce il paese, si è da qualche anno aggiunto il complesso del maglio per la lavorazione del ferro ed il mulino con le macine per il grano ed i pestoni per l'orzo, situati in riva al torrente Stabina, alla confluenza tra la valle di Caravino, proveniente dal Camisolo e la Val Grobbia, che scende dal Pizzo dei Tre Signori, lungo l'antica mulattiera verso le contrade Costa e Scasletto. In quel punto la strada scavalca il torrente su un bel ponticello romanico in pietra, detto del Bolgià, ben conservato e armonicamente inserito nell'ambiente. Dalle numerose fucine presenti sul territorio uscirono una gran quantità di chiodi, prodotti dai famosi "Ciodaroi".
Nei presso del torrente Caravino in località Frer, è possibile visitare i resti delle miniere dalle quali veniva estratto il ferro per il funzionamento delle fucine. (nella foto a fianco, la polveriera )Ed infine, la "calchera ", fornace nella quale veniva prodotta la calce facendo cuocere materiale lapideo, che si trova nei pressi della nuova centrale elettrica prima della frazione Fornonuovo.

La presenza di fucine, mulini e segherie che sfruttavano la ripida corrente dei torrenti fu una costante della vita economica di Valtorta e costituì per secoli la principale fonte di sussistenza di tutta la comunità. Col tempo queste strutture andarono lentamente perdendo la loro funzione, fino ad essere del tutto abbandonate; il recupero di alcune di esse consente ora di aprire una finestra su un aspetto importante della storia della valle. Il ponticelIo e i due edifici del mulino e del maglio costituiscono un complesso di grande interesse storico ed antropologico e sono ormai diventati parte integrante dell’itinerario museale. Consolidate staticamente le strutture murarie, sono stati sistemati e riattivati il bacino di raccolta e la condotta dell’acqua del torrente fino alle due ruote a pale che mettono in moto gli ingranaggi interni a cui sono collegati gli impianti del mulino e del maglio. Animate da questo motore ad acqua, possono così funzionare, da una parte le macine del mulino e i pestoni per l’orzo e dall’altra il martello del maglio, la forgia, le mole e tutti gli altri meccanismi che consentivano ai ciodaröi di Valtorta di lavorare il metallo con l’abilità ovunque riconosciuta. Nei locali sono disposti tutti gli attrezzi propri dell’attività di macinazione (pale, setacci, stadere) e di metallurgia (mazze battenti con stampi per bullonie puntoni, incudini, pinze, martelli), organizzati come se dovessero riprendere a funzionare dopo decenni di quiete. Una scoperta recente è poi quella dei resti di tre fucine che sorgevano ai bordi del torrente-cascata le cui acque azionano il maglio-mulino. Queste tre fucine, situate su tre minuscoli pianori paralleli in un contesto selvaggio di rara suggestione, furono distrutte e sommerse da un’alluvione nel 1890.
Dagli scavi di quella più a valle sono emersi cinque banchi di lavoro in pietra (si tramanda che ciascuno fosse assegnato di diritto ad una famiglia) ed una manciata di chiodi, a testimonianza di quella che era la classica “chiodarola”. La struttura è stata ora recuperata e consolidata e completa quindi la visita al mulino-maglio. E passiamo ad altri recuperi recenti. In primo luogo l’antica miniera che siapre in località Frér, lungo la strada per la Falghera, a monte dei paese, una delle tante che nei secoli hanno costituito la base della vita economica locale. Attualmente è possibile visitare un tratto della galleria e la piccola costruzione che era adibita a polveriera e deposito degli attrezzi da lavoro.



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martedì 16 giugno 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : ROZZANO

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Rozzano è un comune italiano della città metropolitana di Milano sulla direttrice che collega il capoluogo lombardo a Pavia. A Rozzano, l'Olona alimenta il Lambro meridionale.

Il termine Rozzano è probabilmente di origine romana. Secondo alcune fonti deriverebbe da Rutius o Rotius, nome di un antico legionario romano che si vide assegnare qui delle terre come compenso per il servizio prestato, secondo altri esperti deriverebbe invece dal nome comune "roggia", ovvero canale per l'irrigazione. Quest'ultima è un'interpretazione meno plausibile ma più semplice, data l'abbondanza di corsi d'acqua nel territorio.
In queste terre si insediarono i romani, come testimoniano il nome delle due frazioni di Quinto Stampi e Ponte Sesto, che indicano la distanza in miglia da Milano lungo i tracciati delle strade romane.
Nel 1010 la famiglia Stampa era feudataria di Quinto e nel 1148 papa Eugenio II concedeva al monastero di S. Ambrogio i diritti sui terreni di Rozzano e Ponte Sesto. Nel 1239, dopo una battaglia in queste campagne, le truppe di Federico II furono costrette a retrocedere davanti all'esercito dei milanesi fino a Pavia, dove vennero sconfitte. In seguito sia a Rozzano che nella località Cassino Scanasio furono costruiti castelli.
In particolare il Castello di Cassino è reso interessante da caratteristiche decorazioni a graffito e finestre ad archi acuti in stile gotico.
Il primo governo a configurare il Comune di Rozzano così come oggi è, fu quello di Napoleone che nel 1809 decretò l'annessione di Torriggio e nel 1811 quelle di Cassino Scanasio, Pontesesto e Quinto de' Stampi. Gli austriaci dapprima annullarono tutto nel 1816, ma poi ci ripensarono riguardo a Torriggio e Cassino Scanasio nel 1841, mentre fu Vittorio Emanuele II nel 1870 a sancire l'unione finale con Pontesesto, che portava in dote anche Quinto.

La Cascina Grande è la sede della biblioteca e polo culturale della zona. Nel 2007 è stata inaugurata a fianco dell'edificio principale la Biblioteca dei ragazzi, notevole sforzo dell'amministrazione comunale che ha dotato la zona sud di Milano della più ricca struttura nel suo genere.

La sede dell'Editoriale Domus (1982) su progetto di Marcello Nizzoli contiene il museo dell'automobile. L'editoriale Domus pubblica, tra le altre, la rivista Quattroruote e TuttoTrasporti.

La Torre Telecom Italia fu inaugurata nel 1990 è destinata alla trasmissione di segnali nell'ambito delle telecomunicazioni. Con i suoi 187 metri è la terza struttura architettonica più alta d'Italia dopo la ciminiera della Centrale termoelettrica di Porto Tolle e il Grattacielo Unicredit, facente parte del Progetto Porta Nuova.
La sommità, dove oltre alle antenne risiedono delle stanze panoramiche ad oggi utilizzate per servizio dai tecnici di Telecom Italia, è raggiungibile con un ascensore esterno alla torre stessa che scorre all'interno di una struttura trasparente. Alla base ci sono parecchi uffici e un auditorium dove si tengono i consigli di amministrazione dell'azienda.

La chiesa di Sant’Angelo fu prevista come parte del nuovo quartiere IACP, costruito nella seconda metà degli anni sessanta del XX secolo.
La parrocchia, dedicata a Sant’Angelo, venne istituita nel 1967 con un decreto dell’arcivescovo cardinale Colombo, ricavandone il territorio dalle parrocchie di Sant’Ambrogio di Rozzano e di San Giorgio di Pontesesto.
La costruzione della chiesa, progettata dagli architetti Mario Asnago, Claudio Vender e Mario Vender, venne iniziata nel 1971 e compiuta l’anno seguente.
La chiesa sorge al centro del quartiere IACP, lungo l’asse viario centrale, nei pressi della zona commerciale e del municipio. Essa ha pianta rettangolare, larga 26 metri e profonda 35 metri.
Il disegno delle facciate esterne di caratterizza dall’uso di linee spezzate nelle pareti e nelle aperture; il tetto, a capanna, è dominato da un’alta croce. L’interno, anch’esso privo di decorazioni, è movimentato dalle travi strutturali e dal disegno delle aperture, che determinano un’illuminazione varia e ricca di contrasti.
Piccolo gioiello artistico e storico della città, la chiesa di S. Ambrogio racchiude affreschi di notevole pregio.
Da una ricerca storica commissionata dal parroco di S. Ambrogio si ha la conferma che tali affreschi possono essere attribuiti al Luini, al Bergognone, al Morazzone ed anche ad un artista di scuola bramantesca (come indicato, tra l'altro, nei numerosi documenti trovati negli Archivi Diocesani).
Degno di nota è anche l’antico organo del Bernasconi risalente al 1874. L'artista varesino, capostipite di una famiglia di organari, ha realizzato anche il maestoso organo che si trova nella chiesa di S. Giovanni in Laterano a Roma.

Cassino Scanasio fu un antico comune del Milanese sede di parrocchia e confinante con Bazzana Sant'Ilario a nord, Quinto de' Stampi ad est, Rozzano a sud, e Bazzanella ad ovest. Nel 1751 aveva 195 abitanti.
Secondo il censimento voluto dall'imperatrice Maria Teresa nel 1771, Cassino Scanasio contava 227 anime, mentre alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 215 abitanti. Nel 1811 fu soppresso con regio decreto di Napoleone ed annesso a Rozzano. Il Comune di Cassino Scanasio fu ripristinato con il ritorno degli austriaci, che tuttavia tornarono sui loro passi nel 1841, stabilendo la definitiva unione comunale con Rozzano.
Il castello di Cassino Scanasio fu la dimora storica della famiglia Visconti di Modrone, oggi una parte del Castello è stata ristrutturata sotto l'egida delle Belle Arti. L'origine del Castello di Cassino non è di immediata datazione. Documenti risalenti all'anno mille citano, a proposito di passaggi di eredità, beni situati nel luogo di "casinae scanasane" e l'esistenza di un edificio rurale fortificato sarebbe documentata già a partire dall'XI secolo, ma la sua effettiva presenza territoriale è riconducibile alla più tarda epoca signorile.
Nel '400 il Castello venne restaurato e l'intero borgo divenne una sorta di casale agricolo fortificato. Nei primi anni del XVI secolo, il complesso venne acquistato dalla famiglia Trivulzio che ne trasformò completamente l'immagine. Esso si trasformò da "castrum" in dimora di campagna con la costruzione delle torri cilindriche tuttora visibili.
Nel 1836 fu acquistato dalla famiglia Visconti di Modrone, riacquistando importanza nel secolo XVIII, trovandosi in posizione centrale nelle grandi trasformazioni agrarie del milanese.
Il Castello di Cassino è reso interessante da caratteristiche decorazioni a graffito e finestre ad archi  in stile gotico. Attualmente è in fase di restauro. E' situato in via Cassino Scanasio.

Il Centro Commerciale Fiordaliso (1992) da una ristrutturazione del complesso nel 2010, diventa il giardino verticale più grande del mondo, con ben 1.262,85 metri entra nel Guinnes dei primati.
Il comune nel 2004 ha dedicato al suo ex concittadino Michele Alboreto, famoso pilota di Formula 1, un monumento alto quattro metri presso il Centro Culturale Cascina Grande e successivamente, nel dicembre 2006, gli ha dedicato una piazza del nuovo quartiere sorto sull'ex area Romagnoli.

A Rozzano è presente l'Oasi Smeraldino (costituita nel 2007), una vasta area adibita a parco sul territorio rozzanese, incastonata tra palazzi e fabbricati industriali, nella quale sono protette diverse specie animali tra le quali il rospo smeraldino che dà il nome all'oasi stessa.



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domenica 14 giugno 2015

PALAZZO BROLETTO A BRESCIA



Il Broletto fu eretto fra il XII e il XIII secolo, a lato del Duomo Nuovo di Brescia, ed è considerato fra i palazzi municipali più eleganti della Lombardia. Così chiamato perché costruito su un’area prima adibita a brolo, ossia ad orti, l’edificio è massiccio e severo e appare corroso dal tempo: tuttavia, nonostante le numerose trasformazioni ed aggiunte realizzate dai Visconti, dai Malatesta e dai Veneziani, la costruzione presenta ancora qualche elemento che testimonia l’originario stile romanico. Il Broletto è stato a lungo occupato dai magistrati della repubblica: attualmente è sede di pubbliche amministrazioni.
L’esterno è dominato dalla Torre del Popolo, detta del “Pégol”, e dalla chiesa di Sant'Agostino. La notevole facciata, caratterizzata da trifore e quadrifore, fu restaurata nel corso dell’Ottocento.
L’interno è formato da un ampio cortile, che si raggiunge superando un bell’ingresso decorato con affreschi del Trecento. Al centro del cortile s’innalza una preziosa fontana settecentesca; ai lati si allungano due bei porticati. L'ala più vecchia del cortile costeggia il Duomo e si appoggia alla torre. In un secondo cortile, chiamato settentrionale, è stato scoperto un bel loggiato del Quattrocento, voluto da Pandolfo III Malatesta.
Nella via attigua al Broletto, si notano ancora tracce interessanti di architettura romana, con finestre tipiche ed ornamenti di diverse epoche.

Si accede al Broletto attraverso il portale ovest del 1606 ornato da colonne monolitiche di epoca romana in granito egiziano, già elementi decorativi dell’accesso della demolita cattedrale di San Pietro de Dom; la parte superiore del portale è stata progettata dal Tagliaferri alla fine del XIX secolo. Nell’androne la lapide abrasa dai giacobini, posta sotto la scultura della Giustizia in trono, rappresentava il leone di San Marco. A destra è ancora visibile l’affresco trecentesco della Madonna con bambino in trono.

Nel grande cortile meridionale, ornato da una fontana settecentesca al centro, danno a ovest e a sud le ali di edificazione più antica del palazzo nuovo maggiore dove si aprivano portici oggi murati; pregevoli sono i capitelli antelamici delle polifore al primo piano, soprattutto quelli della quadrifora di sinistra che ha nella lunetta un oculo lobato, rappresentanti dodici figurazioni dei mesi. Si noti la ricostruzione dell’antica scala in legno che dava, nel Medioevo, accesso alla grande sala del Maggior consiglio al primo piano.

Il lato orientale e occupato dal palazzo nuovo minore così detto perché completato successivamente (1232) a quello del primo edificio del lato ovest. Nel primo ventennio del XV secolo fu arricchito dalla loggia malatestiana,con quattro raffinati archi a sesto leggermente acuto, volte a crociera e costoloni. Pandolfo Malatesta fu pure il committente degli affreschi di Gentile da Fabriano, dei quali sono stati recentemente rintracciati pochi frammenti; altri affreschi di Lattanzio Gambara, che decoravano la loggia, andarono purtroppo distrutti nel bombardamento che colpì il Broletto e la piazza Paolo VI il 13 luglio del 1944. La base dei pilastri recentemente messa a nudo, evidenzia il livello del terreno all’epoca, inferiore a quello attuale.

Il lato settentrionale del cortile è occupato da una costruzione del 1626 con portico di gusto classicheggiante, bugnato, con mascheroni nelle chiavi degli archi, e loggiato.

Il portale est (1610) è perfettamente allineato -sul tracciato di un antico decumano- con quello a ovest che dà su Piazza Paolo VI. Entrandovi per qualche metro, prima del secondo portale (1626) che dà nel cortile, si incontra sulla sinistra lo scalone del Lezze (1610) che conduce agli uffici dell’anagrafe.

Superati lo scalone e il corridoio con i soffitti decorati da Tommaso Sandrini e Francesco Giugno (1574-1651) si entra nella sala del Podestà, un tempo sala unica di 52 per 15 metri, ridotta nel ‘600 in quattro sale.

Anche l’altezza della sala originaria (9 metri) è stata ridotta ed ognuna delle quattro sale attuali ha una volta affrescata: La Forza che trattiene la Fortuna e Virtù sulle nubi che preme il mondo di Antonio Gandino, L’abbondanza nella seconda sala, sempre di Gandino, e nelle due successive affreschi di Tommaso Sandrini: L’allegoria del Tempo nella terza e figurazioni allegoriche femminili nella quarta. Nel vano tra le volte delle sale dell’anagrafe e il tetto a capriate dell’antica sala del Maggior consiglio, si trovano gli antichissimi affreschi della seconda metà del XIII secolo dei Cavalieri fatti prigionieri, interrotti nella parete nord dall’affresco dell’inizio del XIV secolo La pace di Berardo Maggi di ben più raffinata fattura.

La torre del Pegol o torre del popolo è un edificio in pietra alto circa 54 metri, annesso al palazzo Broletto.

Non si conosce con esattezza ne la data ne l'origine di questa costruzione medievale, ma si trovano alcune tracce in alcuni manoscritti del XII secolo, in cui si sottolinea la particolare resistenza dell'edificio che resistette ad un violento terremoto nel 1159 che provocò circa 20.000 morti.

Nel 1178 ai suoi piedi nacque la Laubia lignorum, prima sede del governo della città di Brescia, mentre nel 1235 venne innalzata la nuova Campana Militum, campana in bronzo che fungeva da richiamo per le truppe cittadine in caso di attacco nemico, finché dal 1434, sotto la dominazione veneziana, fino ad inizi dell'Ottocento, vennero ordinate numerose e continue ristrutturazioni del campanile e della campana, che ne modificarono in parte la struttura.

A seguito di queste ristrutturazioni venne sostituito anche l'antichissimo orologio che scandiva il tempo cittadino, di cui non si ha più alcuna traccia, e l'antica campana, di circa 800 Kg, che venne fusa per ricavarne quattro più piccole, tutt'oggi presenti nella sommità della torre.

Venne poi utilizzata dagli austriaci come roccaforte durante le dieci giornate di Brescia, passo ripreso anche dal poeta bresciano Angelo Canossi.

La torre si compone di quattro livelli ben visibili. Il primo al piano terra è formato da un grande basamento in pietra bianca di Botticino Il secondo livello è percorso longitudinalmente da uno stretto tunnel di due metri, mentre il terzo livello che rientra ancora nelle alte muraglie dell'antico palazzo è collegato al quarto ed ultimo livello da una scala interna, modificata poi nel XVI secolo ad opera di Dionisio Bolda, in uno scalone elicoidale.

Dopo alcune ristrutturazioni moderne, la torre è tornata visitabile dalla cittadinanza nel 2007.



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sabato 13 giugno 2015

LA TORRE DELLA VITTORIA A BRESCIA

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In Italia il grattacielo nacque durante il ventennio fascista, sulla scia dell'influenza internazionale esercitata dalla Scuola di Chicago, la madre di questo genere architettonico. I contatti tra progettisti europei e statunitensi sul tema "skyscraper" toccarono l’apice in occasione del concorso per la Chicago Tribune Tower nel 1922, a cui parteciparono da Loos a Gropius e Meyer, dai Taut all’italiano
Marcello Piacentini. E’ quest’ultimo l’artefice, non privo di contraddizioni, della nascita del grattacielo in Italia.
L’architetto del novecentismo di regime, dapprima ostile verso l’elevazione in altezza degli edifici, per ragioni storiche ed estetiche, ripiegò in un secondo tempo sulla necessità di variare le altezze del costruito, non disdegnando le "torri" con argomenti diametralmente opposti a quelli iniziali. E’ così che sorse, tra il 1928 e il ‘32, nell’ambito dei risanamenti urbanistici voluti dal regime nei centri
storici delle città medio-piccole del nord Italia, il Torrione (guai associarlo all'America, meglio allinearlo alla tradizione costruttiva italica della torre civica) di piazza della Vittoria a Brescia, di 13 piani, il primo grattacielo d'Italia. Il Novissimo Melzi del 1960 lo incluse nell’elenco degli edifici più alti del mondo, col nome "Casa Alta", attribuendogli 60 m di altezza.
L'Illustrazione Italiana, rivista settimanale degli avvenimenti e personaggi contemporanei sopra la storia del giorno, la vita pubblica e sociale, scienze, belle arti, geografia e viaggi, teatri, musica, mode, ecc. indicò nel 1932, il Torrione di Brescia, come il più alto edificio in cemento armato d’Europa.
E' interessante sottolineare almeno due aspetti di questa "importazione tipologica": per la gioia degli appassionati di numerologia, si ha il medesimo numero di piani, 13, del primo grattacielo americano (e mondiale); c'è un filo diretto che lega la storia del grattacielo, tipicamente americana, con la storia del grattacielo in Italia e in Europa, nel suo esordio bresciano.
Marcello Piacentini, adattò per la nuova piazza di Brescia il progetto di grattacielo (ma il regime impose di definirlo “edificio multipiano”, torre o “torrione”) con cui l'architetto nel ’22 aveva partecipato, con esito negativo, al noto concorso americano per la Chicago Tribune Tower. Con i medesimi presupposti realizzò poi, nel 1940, il grattacielo Piacentini di Genova.
Il Torrione di piazza Vittoria, con struttura in cemento armato, alto 57 metri, aveva un ristorante panoramico all’ultimo piano (poi studio dell’architetto Fedrigolli) raggiungibile per mezzo di un modernissimo ascensore elettrico. Nell’aspetto ricalca il gusto eclettico dei primi grattacieli nord-americani, con archi e rivestimento in mattoni a vista, scostandosi dal candore della bicromia marmorea degli altri edifici della piazza. Sul basamento porticato campeggiava un bassorilievo di Arturo Martini, oggi perduto.
Le cronache del giorno dell'inaugurazione narrano, con un filo di retorica, che il duce Benito Mussolini sfidò il nuovissimo ascensore elettrico: scelse le scale e salì a piedi i 13 piani del grattacielo, giungendo per primo alla terrazza panoramica, senza che i molti inseguitori riuscissero a tenergli il passo…
Fino al 1954 è rimasto il grattacielo più alto d'Italia e, fino al 1952, l'edificio in cemento armato più alto d'Europa.



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martedì 2 giugno 2015

LA TORRE CIVICA DI CASTEL GOFFREDO

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La Torre civica è una costruzione alta 27 metri, risalente al 1200.
Circa due secoli dopo fu elevata, in modo da ospitare la cella campanaria della Chiesa di Sant'Erasmo.
Sopra l'arco passante è infisso lo stemma marmoreo della famiglia Gonzaga, sul lato verso il Palazzo Municipale troviamo una epigrafe di Aloysio Gonzaga. Dello stesso Aloysio è il motto presente su un'altra epigrafe rivolta al lato della parrocchiale: "Ne superbia in la prospera ne viltà in la adversa". Entrambi le epigrafi sono datate all'inizio del XVI secolo.
Nel 1925 l'ultimo intervento di rilievo: la costruzione del coronamento merlato.

Inizialmente coperta da tetto e alta circa 20 metri, fu sottoposta a interventi di ampliamento che le permisero di raggiungere gli attuali 27 metri di altezza. Era dotata di una scala esterna, sul fianco est, che metteva il comunicazione la piazza con l'interno della torre, nella quale si amministrava la giustizia a partire dal XV secolo e dove era presente anche una camera di tortura.

Nel 1492 fu rialzata con una nuova cella campanaria che ancor oggi ospita il concerto di otto campane, alcune delle quali risalenti al Cinquecento, della Chiesa Prepositurale di Sant'Erasmo.

Nel 1925 fu rifatta la copertura e realizzata la merlatura ghibellina.

Nel 1983-1984 è stata oggetto di un radicale intervento di manutenzione in seguito al quale sono stati demoliti e ricostruiti gli intonaci esterni preesistenti e sono stato risolti alcuni problemi statici con operazioni di cucitura sulle murature e di realizzazione di solai intermedi in cemento armato e legno.

La torre presenta da secoli un accentuato scostamento dalla verticalità, con fuori piombo marcati verso Piazza Mazzini. Per questo, nel 2006, è stata oggetto di importanti verifiche statiche, poiché il fuori piombo risultava aumentato negli ultimi decenni.

Le sue caratteristiche tipicamente medioevali rendono la torre uno dei monumenti principali della città, tanto da essere ben visibile in avvicinamento a Castel Goffredo.






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martedì 12 maggio 2015

LE CITTA' DEL LAGO D' IDRO : ANFO

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Anfo (in origine Damphus) è un comune italiano della provincia di Brescia, in Lombardia, sul Lago d'Idro. Il comune appartiene alla Comunità Montana della Valle Sabbia.
Anfo sorge sulla sponda destra del lago d'Idro o Eridio, alla foce del torrente Re che scende dal monte Melino.

Anfo, data la sua posizione geografica, è fiorente località turistica e possiede buone capacità ricettive.
La montagna che sovrasta l'abitato invoglia a bellissime escursioni (Baremone, Meghè, Zeno, Porle, Brele e Monte Censo), che conducono a punti panoramici con ampie vedute del bacino del lago d'Idro e, nei giorni più limpidi, offrono uno splendido colpo d'occhio sul gruppo del Brenta.Vi si possono gustare piatti tipici locali come la tinca coi roei (piselli), i filetti di pesce persico, le aôle e la polenta taragna.

Le rive, paludose e malsane, dove oggi sorge l'abitato di Anfo, furono lentamente bonificate in periodo medioevale dai frati Benedettini del monastero di S. Pietro in Monte Orsino di Serle, che le cedettero poi ai padri Bianchi di S. Francesco Romano di Rodengo Saiano, quindi ai Padri di S. Lorenzo Giustiniano di Monte Oliveto in Brescia.
Alla loro opera tenace, difficle e insalubre, si deve la prima trasformazione degli acquitrini in prati e coltivi, la regolarizzazione dei torrenti, il consolidamento dei terreni franati dai monti che avvolgono il comune alle spalle.
Il nome Anfo appare per la prima volta in documenti del secolo XI. Era un povero paese di contadini e boscaioli. Solo nel 1429 poté acquistare, da gente di Bagolino, la montagna di Baremone per l'alpeggio, ove ancora oggi si continua a fare, con metodi tradizionali, il formaggio detto "Bagoss".
Ma l'alpeggio e il taglio della legna, pure favorito dall'industria del ferro fiorente in Valle Sabbia, non potevano corrispondere alle esigenze economiche della popolazione, per cui, nel 1531, gli abitanti azzardarono affrontare la pesca nel lago, malgrado i severi divieti stabiliti dal comune di Idro che, da tempo immemorabile, vantava diritti di pesca, di navigazione e difesa del lago stesso.
La contesa fra i due comuni rivieraschi (Anfo e Idro) assunse spesso aspetti drammatici, sia per il puntiglio dei contendenti, sia perché inclusi in diverse guirisdizioni amministrative (Idro dipendeva dal Provveditore di Salò, Anfo dai Rettori di Brescia), sia infine perché, approfittando della situazione, i conti di Lodrone colsero il momento propizio per estendere la loro presenza sul lago d'Idro.
I Lodroni infatti costruirono in quegli anni la rocca di S. Giovanni e le pescherie nel golfo di Camerella a Bondone, che affittarono a pescatori di Anfo.
Inoltre fecero costruire forni di ferro in Anfo, sollevando le gelosie e le preoccupazioni dei Bagolinesi. Questi ricorsero al Doge che, accogliendo l'istanza, impose ai Lodroni di abbandonare i forni. Così, dopo varie vicende, la contesa si concluse nel 1555 con un compromesso proposto dal conte Lodovico Calini al Provveditore di Salò e ai Rettori di Brescia; ma solo il 10 ottobre 1579 fu firmata la scrittura fra i due comuni, per cui, nel nome dello Spirito Santo, dovevano rimettere tutte le offese, controversie e dispiaceri passati.

Un documento particolarmente importante per la conoscenza della vita comunale di Anfo è dato dagli Statuti, riformati verso la metà del secolo XVI, essendo stati dispersi i precedenti in periodi tempestosi.
Lo studio e la stesura degli Statuti erano stati affidati a tre cittadini: Gottardo Brunori, Girolamo Mabellini e Bartolomeo Zanetti.
Dagli Statuti risulta che il comune era amministrato da sei consoli eletti dall'assemblea dei vicini, convocata il primo gennaio di ogni anno: ognuno dei consoli restava in carica due mesi, era aiutato da consiglieri, dal notaio e da altri ufficiali eletti a seconda delle necessità.
Appartenevano al comune l'osteria e il molino, oltre all'amministrazione del lascito di G. Battista Treboldi.
Gli Statuti erano severi nel mantenere il rispetto dell'autorità, imponendo l'osservanza di feste religiose, il buon comportamento durante le funzioni, "il bando alle bestie che fossero andate sul sagrato", la partecipazione con la croce alla processione della Pieve di Idro nel giorno dell'Ascensione.
Caduta la Repubblica Veneta, Anfo fu incluso nel Distretto XVII di Vestone.

Si suppone che il luogo fosse occupato nell'antichità dagli indigeni. Non vi sono però documenti che certifichino l'utilizzo della Rocca d'Anfo in epoca romana, dunque la storia va fatta iniziare dall’alto Medioevo. Dove oggi sorge il sito eretto nel 1450 dalla Serenissima Repubblica di Venezia, allora esisteva una fortezza deputata al controllo dei passaggi di merci e persone lungo al via di collegamento fra la pianura bresciana e il territorio teutonico. Alcuni ricercatori ritengono che la Rocca sia stata edificata su una preesistente fortezza di origine longobarda.

La Rocca d’Anfo è un complesso militare fortificato eretta nel secolo XV dalla Repubblica di Venezia nel Comune di Anfo, sul lago d’Idro, e posta a guardia del vicino confine
di Stato con il Principato vescovile di Trento. Edificata sul pendio del monte Censo su una superficie di 50 ettari, la Rocca fu rimaneggiata più volte dagli ingegneri di Napoleone Buonaparte e da quelli italiani, ma perse il suo valore strategico nel 1918, quando il Trentino passò definitivamente al Regno d'Italia . Dopo il 1860 l'esercito austriaco in contrapposizione alla Rocca, iniziò la costruzione del Forte d'Ampola a Storo e di quello di Lardaro. Adibita dall’esercito italiano a caserma per l'addestramento dei militari di leva, la Rocca fu anche luogo di detenzione e polveriera; fu dismessa nel 1975, ma restò vincolata al Ministero della Difesa fino al 1992.

La costruzione della fortezza di Rocca d’Anfo fu voluta nel 1450 dalla Repubblica di Venezia, che governò il territorio bresciano della Val Sabbia dal 1426 al 1797. Il compito di progettare e sovraintendere ai lavori di costruzione fu affidato al conte Gian Francesco Martinengo, “valoroso condottiero e valente ingegnere militare”. di Barco di Orzinuovi. In questo modo si cestinarono definitivamente i progetti originari dei Visconti di Milano, precedenti dominatori di queste terre, che prevedevano la fortificazione del confine con il Trentino lungo il fiume Caffaro a nord del rio Riperone, o l’eventuale ripristino e ampliamento del luogo fortificato posto sul dosso di Sant’Antonio di Caster situato nel Comune di Bagolino nei pressi di Monte Suello. I lavori durarono fino al 1490 e secondo alcuni ricercatori il nuovo complesso difensivo fu edificato su una precedente fortezza di origine longobarda.
Nel periodo veneziano, tutte le esigenze della Rocca, così come per tutte le altre fortificazioni, erano supervisionate dai Collegio dei Savi, poi dal 1542 la Serenissima diede l'incarico a due senatori con il titolo di Provveditori alle fortezze, portati a tre nel 1579. Il comando militare della struttura era affidato ad un patrizio con il titolo di provveditore, alle cui dipendenze vi era un capitano, una trentina di soldati e qualche bombardiere. Il presidio militare era soggetto per la milizia al capitano di Brescia e, per la logistica, al Podestà.
Delle originarie edificazioni viscontee sono ancor visibili solamente la doppia cinta muraria superiore, in quanto, con l’avvento dell’era napoleonica, le mutate tecniche belliche imposero una completa revisione di tutta la struttura fortificata.

Il generale François De Chasseloup-Laubat (1754-1833), ispettore delle fortificazioni, a seguito della pace di Lunéville sottoscritta dalla Francia e Austria il 9 febbraio 1801, ordinò al fine di completare la difesa e l'occupazione dell'Italia la fortificazione di Peschiera, Taranto, Alessandria, Mantova e la Rocca d'Anfo. L'ordine d'operazione era giunto direttamente da Napoleone Buonaparte preoccupato di garantire il controllo alle sue truppe della strada che univa Trento alla città di Brescia.
Il Primo Console di Francia si era subito reso conto dell'importanza strategica della vecchia fortezza per la "difesa dello Stato", ma la Rocca mostrava i segni decadenti di tante guerre sostenute. Quindi Napoleone diede ordine al suo generale François De Chasseloup-Laubat di provvedere all'ammodernamento delle disastrate strutture "senza ritardi e senza riguardo per la stagione".
Il progetto fu affidato ad ingegneri del genio militare di grande esperienza: prima al barone colonnello, comandante del Corpo Ingegneri, François Nicolas Benoit Haxo (1774-1838) e successivamente al colonnello François Joseph Didier Liedot. Gli ingegneri militari napoleonici abbandonarono saggiamente le strutture venete dando il via ad un grandioso progetto di ampliamento che aveva come fulcro il costone roccioso leggermente posto più a nord.
Questi affrontarono l’opera approntando preliminarmente una cartografia particolareggiata del luogo, adattando mirabilmente le strutture alla natura scoscesa e selvaggia del territorio, secondo le nuove teorie della famosa “Ecole Polytechnique” dell’esercito francese di Parigi. Il Liedot distribuì le varie batterie su piccole terrazze ricavate dallo scavo della roccia e proteggendole per mezzo di una grande Lunetta (la Rocca Alta) nella parte superiore dotata di casematte di artiglieria e fucileria. La strada Trento-Brescia che passava alla base della Rocca, secondo il progetto mai realizzato, doveva essere interrotta da profondi fossati e resa transitabile da ponti levatoi.
I progetti elaborati dai due tecnici francesi rappresentano una tappa fondamentale nella storia della cartografia. I lavori ebbero inizio nel 1802 e in soli 10 anni, nel 1812, furono portati a termine. La spesa sostenuta di militari francesi di 2,5 milioni di franchi testimoniano lo sforzo di fare della Rocca d’Anfo una delle più grandiose e possenti fortezze d’Europa. La caduta dell’impero napoleonico impedì il completamento dell’opera nella sua parte medioinferiore. Le integrazioni delle strutture, fino all’assetto definitivo attuale, vennero effettuate prima dagli Austriaci e poi portate a termine dal Regno d'Italia, dal 1860 al 1914 circa.

La Rocca è costituita da una trincea fortificata in direzione del paese di Anfo, difesa da una caserma detta Rocca Vecchia, a sua volta sovrastata dalla batteria veneta; entrambe dominate da un corpo di guardia, posto a 200 metri sul livello del lago e collegato alla batteria da un muro con feritoie e gradini. Verso il “nemico” Trentino si sviluppava una serie di batterie e casermette, sovrapposte a scalinata. A nord esisteva uno scosceso burrone.
Queste batterie di difesa erano chiamate:
batteria Tirolo, a 100 metri sul lago;
batteria Rolando, a 150 metri sul lago;
batteria Belvedere Superiore a 250 metri sul lago.
ridotto costituito da una Lunetta, detta Rocca Alta, che collegava i due fronti precedenti, a 200 metri sul lago, e conteneva una caserma e una batteria casamattate;
a 50 metri, sotto la Lunetta, c’era la batteria Bonaparte, poi ribattezzata Anfo, a difesa dela strada fra Rocca Vecchia e la batteria Tirolo.
sul tutto ad una altezza di 300 metri, sovrastava una torre rotonda a due piani.
Trincee, piazzole, rampe, strade coperte, polveriere, stalle per i muli, alloggi per la truppa e cisterne dell’acqua completavano la logistica della fortezza.
Il complesso di queste costruzioni militari è distribuito in una fascia di terreno di forma triangolare, di cui un lato corrisponde all’incirca ad un chilometro di riva del Lago d’Idro. Il resto si sviluppa sul versante orientale del monte Censo, fino quasi alla sua cima, con un dislivello che varia dai 371 metri sul livello del mare dalla riva del Lago ai 1050 metri dal vertice.

Di notevole interesse turistico la parrocchiale, l'oratorio di S. Antonio, la conca di Barèmo e la vetta del Cènso (per ammirare la vallata da Treviso a Condino con super vista sull'intero lago d'Idro). E' meta di notevole flusso turistico estivo ( campeggi e residence). E' del tutto privo di industrie.

Tra i personaggi recenti più illustri spicca la figura della serva di Dio, suor Irene Stefani, morta in concetto di santità il 31 ottobre 1930, di cui attualmente si è concluso il processo per la causa di beatificazione.



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venerdì 24 aprile 2015

VELATE E LA TORRE

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Velate è una frazione della città di Varese posta nel quadrante nordoccidentale dell'area urbana.

A Velate, borgo fortificato esistente fin dall'epoca tardoromana (“castrum de Vellate”), si trova una torre medioevale risalente all'XI secolo.

Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 316 abitanti, nel 1786 Velate con Fogliaro entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 630 abitanti. Nel 1809 e fino al ritorno degli austriaci il comune si allargò su risultanza di un regio decreto di Napoleone che gli annesse Santa Maria del Monte e Sant'Ambrogio Olona. L'abitato, che dal 1825 fu dotato di un proprio Consiglio comunale, crebbe poi discretamente tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 1137 anime, salite a 1247 nel 1871. Una sensibile crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo portò poi ai 2450 residenti del 1921. Fu però il fascismo a decidere nel 1927 la soppressione dell'autonomia municipale annettendo l'abitato a Varese, onde dare un adeguato rafforzamento al neocapoluogo provinciale.

La statuaria mole della Torre di Velate giganteggia sull'omonimo paese, località tranquilla già abitata in epoca romana, come testimoniato da vari ritrovamenti e dalla stessa Torre. I suoi ruderi sono visibili appena fuori dall'abitato, nei pressi del cimitero. La torre costituisce un punto fermo nel paesaggio collinare dei dintorni di Varese e, per la gente del luogo, ha un alto valore simbolico.

La possente Torre di Velate fu edificata intorno al secolo XI sulle alture dominanti la strada per il lago Maggiore. Venne eretta a scopo difensivo, al fine di proteggere la parte sud della cinta di Velate (il cosiddetto "Castrum de Vellate", un borgo fortificato fin dall'epoca tardoromana).
La torre venne parzialmente distrutta nel XII secolo, durante la guerra tra i Visconti di Milano e i Torriani di Como, la stessa che segnò la fine di Castel Seprio. Del poderoso quadrilatero originario, alto 25 metri, è rimasto un intero lato, reso più resistente dal corpo della scala che gli è solidale, e parte di un altro.
Grazie alle finestre monofore strombate che si aprono nella muratura di pietra spaccata sappiamo che la Torre originaria era costituita da cinque piani. Nel 2003 furono resi pubblici i risultati delle indagini archeologiche condotte sulla Torre a partire dal 2001, tali studi sono stati possibili grazie al sostegno della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, in collaborazione con il Centro Culturale e il Circolo Famigliare di Velate e la delegazione FAI di Varese.

All'interno della torre sono stati individuati il tratto di fondazione meridionale originario e un pilastro portante in pietra posto al centro della torre. Tale scoperta ha consentito di formulare nuove ipotesi sulla tecnica costruttiva dei piani pavimentali. È stato infine portato alla luce uno strato con evidenti segni di incendio che coincide probabilmente con la devastazione del XII secolo: qui gli archeologi hanno recuperato alcune monete d'argento coniate dalla Zecca di Milano; esse furono quasi certamente utilizzate durante la breve età comunale della Torre.
Se la vita dell'edificio come baluardo militare termina agli albori del Basso Medioevo, approfondite ricerche ci informano sulla sua conversione agricola (circoscrivibile ai secoli XIII e XIV ) per mezzo di vigneti a terrazzamenti dell'area circostante. Altri ritrovamenti tra cui monete sforzesche e frammenti ceramici testimoniano infine la vitalità del sito di Velate almeno fino al 1600.



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martedì 21 aprile 2015

IL CASTELLO DI BESOZZO

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Il complesso dell’antico castello di Besozzo, situato nella parte sopraelevata del borgo in una posizione che domina la parte bassa e più moderna del paese, è attualmente occupato da abitazioni private ed è composto da due edifici distinti, palazzo Cadario e palazzo Adamoli, che nel corso del XV secolo furono sovrapposti al nucleo fortificato originario. Ciò che resta di questo primitivo castello medievale è visibile nel giardino interno: si tratta di una torre datata al Duecento in massiccia muratura in pietra a vista. Posto a settentrione, il palazzo Cadario è contraddistinto da una torre d’ingresso rinascimentale coronata da beccatelli e da una leggera loggia, e presenta una portale fiancheggiato da due colonne e profilato da una decorazione a bugnato che caratterizza l’intero edificio. Accedendo al cortile, è possibile osservare un elegante portico cinquecentesco formato da colonne in pietra d’Angera. In posizione contigua si trova il palazzo Adamoli, i cui elementi di maggior richiamo sono rappresentati dal portale in serizzo di fattura rinascimentale, ornato di fiori stilizzati, e dal cortile interno aperto sul lato orientale, che reca tracce di decorazioni a graffito di età rinascimentale e balconcini risalenti con probabilità a modifiche settecentesche.

Il castello di Besozzo rappresenta la testimonianza più significativa del nucleo antico del borgo di Besozzo, sorto nei secoli centrali del Medioevo sulla sommità della collina che domina la valle del fiume Bardello. Lo sviluppo dell’abitato fu legato indissolubilmente all’affermazione del casato nobiliare dei Besozzi, radicato nel territorio fin dall’età precomunale. L’area dell’attuale Besozzo superiore reca infatti numerose tracce architettoniche, inserite nel tessuto abitativo odierno, delle decorazioni che caratterizzavano gli edifici di pregio abitati nel corso del Medioevo e del Rinascimento dai diversi rami nobiliari della famiglia Besozzi. In questo contesto, il castello che ospitò la dimora principale dei Besozzi documenta nella sua attuale configurazione sia la fase più antica della storia di Besozzo, con la torre di epoca duecentesca che era parte della fortificazione originaria, sia il momento della maggiore affermazione politica dei Besozzi. I due edifici principali della costruzione sono infatti di impianto quattrocentesco, e risalgono all’età in cui i Besozzi, anche grazie a una rete di relazioni parentali strette con altre importanti famiglie aristocratiche del territorio, ottennero direttamente dai Visconti di Milano l’investitura feudale su Besozzo e l’intera circoscrizione pievana di Brebbia. Secoli più tardi il castello, divenuto proprietà della famiglia Adamoli, ospitò a distanza di breve tempo sia Giuseppe Garibaldi che Giuseppe Mazzini, ospiti del generale e uomo politico Giulio Adamoli, che si distinse per la sua partecipazione alle vicende del Risorgimento.


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domenica 19 aprile 2015

LA TORRE IMPERIALE A MACCAGNO

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La Torre Imperiale è una torre con annessa casa fortificata eretta a Maccagno, frazione di Maccagno con Pino e Veddasca.

Edificata nel basso Medioevo con funzione di baluardo, la Torre cosiddetta "imperiale" faceva parte di una cinta muraria difensiva di cui si sono conservati alcuni tratti e consentiva la difesa del paese mediante il controllo della via che conduceva al lago; assolveva inoltre anche altri compiti assai importanti di avvistamento e di segnalazione dei pericoli.

Maccagno Inferiore presenta infatti ancora oggi un impianto urbano medievale, in cui gradinate e vicoli coperti da ampie volte mettono in comunicazione due percorsi paralleli, posti ad altezze differenti. In questo contesto la scelta del punto in cui costruire la Torre fu effettuata con grande cura: si optò per un'altura che dominava dall'alto l'odierna piazza Roma (in cui sorge l'edificio restaurato della Zecca risalente al 1622).

L'aspetto originario della torre ha subito parziali modifiche in seguito alle ristrutturazioni operate nel corso dei secoli: si può notare un ribassamento complessivo della struttura e l'aggiunta della merlatura ghibellina. La struttura, oggi abitazione privata e pertanto non visitabile, si è conservata quasi perfettamente.



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sabato 18 aprile 2015

LA ROCCA DI ANGERA

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La Rocca di Angera si erge maestosa su uno sperone di roccia che domina la sponda meridionale del Lago Maggiore. In posizione strategica per il controllo dei traffici, fu proprietà della casata dei Visconti, originaria del Verbano, e nel 1449 fu acquistata dai Borromeo, cui ancor oggi appartiene.
E' uno dei castelli meglio conservati del territorio lombardo.
Da un punto di vista militare, trovandosi infatti su una collina calcarea alta 200 metri, domina non solo la parte meridionale del Lago Maggiore, ma ha anche una buona vista sulle Alpi, e questo permetteva un controllo anche in caso di invasioni dei nemici oltralpe. Il Lago Maggiore era un centro nevralgico per il trasporto dei materiali di costruzioni, quali il granito di Baveno e il marmo di Candoglia, per le grandi costruzioni di Milano, e dalle due fortezze si controllava che si pagassero le tasse dovute. Le uniche barche esenti dal pagamento delle imposte di circolazione erano quelle della Fabbrica del Duomo, che (contrassegnate dalla iscrizione A.U.F.) non solo godeva del diritto di cavare gratuitamente la pietra dalle cave di marmo, ma aveva anche il diritto di transito di queste merci, completamente gratuito.

La struttura difensiva di base della Rocca di Angera risale ad un periodo precedente al X secolo, quando venne fondata dai Longobardi ed adibita a roccaforte di difesa e controllo. Le attuali mura della Rocca risalgono invece a secoli successivi, quando venne ricostruita e modificata in gran parte dalle famiglie Visconti e Della Torre.

Dopo il 1277 entrambe le fortificazioni diventano possedimenti vescovili in seguito alla Battaglia di Desio con la vittoria dei Visconti sui Della Torre, per passare poi alla famiglia Borromeo nel 1449, che ancora possiede la costruzione.

E' stato condotto un meticoloso studio sui codici e sui documenti dell’epoca che hanno portato prima alla realizzazione di una mostra temporanea su tre principali tipologie di giardini, Il Giardino dei Principi, Il Verzere e Il Giardino delle Erbe Piccole, poi alla realizzazione degli stessi nella grande spianata che si affaccia verso il Lago Maggiore.
All’esterno della Rocca i maestri giardinieri di casa Borromeo, hanno dunque dato il via alla realizzazione di un progetto che, con la gradualità richiesta da un’iniziativa di questa complessità, ha portato e porterà, anno dopo anno, ad aggiungere e completare quanto descritto da quegli antichi codici.

Lo stile architettonico della Rocca risale ai secoli XII e XIV e presenta 5 corpi eretti in epoche diverse. La Torre Principale o Castellana, eretta tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, poggia su di una pianta quadrata e permette di godere di una vista che abbraccia i monti e le sponde del Lago Maggiore. Alla torre maestra è addossato il palazzo conosciuto come Ala Viscontea mentre l’altra ala è detta Ala dei Borromei, alla cui famiglia vanno attribuiti i maggiori interventi successivi al XV secolo. Il piccolo palazzo “alla scaligera”, risalente al XIII secolo, si trova invece tra la cinta muraria e i resti di una torre più antica. Infine l’ultimo corpo è costituito dalla Torre di Giovanni Visconti, edificato intorno al 1350 durante l’arcivescovato di Giovanni Visconti, il corpo si trova nell’area adiacente all’estremità meridionale dell’Ala viscontea.

Tra le sale della Rocca vi è la bellissima Sala di Giustizia che ospita il ciclo di affreschi realizzato nel XII secolo dall’anonimo “Maestro di Angera”, il quale rappresentò vicende legate alla vita dell’arcivescovo Ottone Visconti.

La Rocca d’Angera ospita inoltre una meravigliosa collezione di bambole d’epoca, un vero e proprio excursus tra bambole,giocattoli, libri, mobili in miniatura, giochi da tavolo e di società dal Settecento ad oggi.
Il Museo della Bambola della Rocca di Angera, fondato nel 1988 per volere della Principessa Bona Borromeo Arese, espone oltre mille bambole realizzate a partire dal XVIII secolo fino ad oggi.

Le bambole sono poste all’interno di vere e proprie case di bambola arredate e di negozi in miniatura; i materiali con cui sono state realizzate sono dei più svariati, tra cui legno, cera, cartapesta, porcellana e tessuto.

Oltre ad una ricchissima esposizione di bambole d’epoca e contemporanee, grazie alla quale il Museo si colloca tra i più importanti d’Europa nel settore, è altresì possibile visitare una sezione dedicata ai giocattoli provenienti da culture extraeuropee e una collezione di automi francesi e tedeschi del XIX secolo proveniente dalla collezione Petit Muesée du Costume di Tours.

Da segnalare “La Stanza del collezionista”, vera e propria ricostruzione di un tipico salotto francese, ricco di oggetti curiosi e rari, dipinti e sculture e la sezione riguardante la moda per l’infanzia, che ripercorre l’evoluzione e le tendenze per l’abbigliamento dei bambini fino a metà del secolo scorso.

La Rocca d'Angera è stata il set per gli esterni del castello dell'Innominato dello sceneggiato RAI I promessi sposi girato nel 1989 e diretto da Salvatore Nocita (gli interni sono stati girati presso il Castello Visconteo di Somma Lombardo).

Recente è infine l’allestimento della coloratissima Collezione di Maioliche esposta nella Sala della Mitologia: trecento e più pezzi rarissimi di manifattura olandese, francese, tedesca, italiana, spagnola ma anche persiana e cinese. L’allestimento si presenta come una sorta di “tappezzeria” fitta e variopinta e ripropone l’aspetto originario della raccolta collezionata con cura e devozione da Madame Gisèle Brault-Pesché nella propria casa-museo di Tours.



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martedì 7 aprile 2015

LA TORRE DI SAN MARTINO

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La parte più alta del colle di San Martino, da secoli chiamato "il roccolo", è il luogo ove più accaniti e cruenti si svolsero i combattimenti fra l'Armata Sarda, comandata da Vittorio Emanuele II e l'VIII Corpo d'Armata austriaco, agli ordini del Luogotenente Maresciallo di Campo Ludwig von Benedek (1840 - 1881).

Iniziata nell'anno 1880, fu inaugurata il 15 Ottobre 1893 alla presenza di re Umberto I, della regina Margherita, ministri, i membri del Parlamento e di una grande folla accorsa da tutte le province di Italia

Alla base ha un tamburo cilindrico rastremato, coronato da merli e misura mm 22,80 mt di diametro e mt 19,80 di altezza. Da questo tamburo spicca il maschio della torre che è pure cilindrico rastremato ed ha 13 metri di diametro al basso ed 11,40 in alto.
Con i medaglioni che sostengono i merli la torre torna poi ad allargarsi in modo che il diametro del terrazzo è di mt. 13,90.
Il percorso che si snoda dalla sala di ingresso fino alla piattaforma superiore è impreziosito da statue di bronzo ed affreschi di pregio che rievocano fatti e protagonisti del periodo risorgimentale.
La Torre ha uno sviluppo interno di 490 metri, è alta 64 e nel centro della sua eccelsa piattaforma superiore, difesa da una mura merlata, si alza l'asta per la bandiera, trovandovi altresi' posto un grande faro che nella notte irradia i colori della bandiera italiana.

Dall'alto del monumento si possono ammirare magnifici panorami sulla sottostante pianura.
Quasi ai piedi della torre vi è la villa Contracagna , in passato di proprietà dei Conti Tracagni, che il giorno della battaglia fu obiettivo di ben sette assalti dell'armata sarda contro le truppe austriache.
Il monumento era molto vicino all’Ossario, una torre realizzata per celebrare le vicende del Risorgimento italiano. È possibile salire in cima alla torre attraverso una scala a spirale, a piano inclinato. Nell’atrio d’ingresso è possibile ammirare una statua in bronzo raffigurante Vittorio Emanuele II, realizzata da Dal Zotto. La decorazione delle pareti è stata effettuata da Vittorio Bressanin di Venezia. Ciascuna delle sale della Torre di San Martino della Battaglia è dedicata ad un diverso evento delle guerre risorgimentali. Molto interessanti sono gli affreschi che decorano le pareti, affini allo stile che Hayez, Gerolamo e Induno stavano definendo. Gli affreschi della Torre di San Martino della Battaglia sono enfatici e vedono prevalere il descrittivismo epico-celebrativo.


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giovedì 2 aprile 2015

IL PALAZZO MARTINENGO A SALO'

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Il palazzo Martinengo a Barbarano fu costruito su incarico del marchese Sforza Pallavicino capitano della Repubblica di Venezia. Possiede un grande parco con stupende fontane. Il palazzo è proprietà privata, quindi non visitabile.

Questo palazzo in riva al lago è stato costruito circa nel 1560 circa, ed è classificato come monumento nazionale. Questa casa è dotata di bellissimi pavimenti originali, di soffitti alti da sei ai nove metri, grandi saloni e camere da letto, una loggia imponente, con statue, fontane, giardini ornati con magnolie giapponesi e cipressi, e spiagge.

Il grande palazzo ricorda una fortezza, senza ornamenti e funzionale alla sicurezza dei suoi abitanti.
Dalla strada, la facciata si presenta bassa e possente, con il susseguirsi quasi monotono delle finestrature e il torrione squadrato, forse il più antico di tutto l’insieme, privo di caditoie e merlature, ormai inutili alla difesa dopo l’avvento delle armi da fuoco. Più bassa vi è una garitta pensile, dotata di feritoie, sufficiente per le operazioni di avvistamento e per la prima difesa al tempi degli archibugi. Suggestivi sono i due parchi adiacenti il palazzo. Verso oriente troviamo tutte le essenze tipiche del clima mediterraneo, dagli ulivi al lauro, dal leccio al cipresso e, nascosta nel verde, una fontana con al centro la statuta di Diana che sorge da una grande conchiglia. Al di là della strada Gardesana, abbiamo il giardino di cipressi, animato da una monumentale fontana alimentata da una piccola sorgente che, un tempo, serviva per irrigare le piante di aranci e limoni coltivate nelle serre. Visto dal lago, il palazzo presenta la sua struttura complessiva, organizzata su quattro corpi di fabbricati collegati tra loro. All’interno, il salone di rappresentanza, che occupa, in lunghezza, quasi la metà del primo  edificio, si caratterizza per il ricco soffitto a cassettoni, dove si susseguono ampi lacunari quadrati entro i quali sono circoscritti lacunari ottagonali. Alla parete di fondo, troviamo il grande camino in marmo di Rezzato, dove due cariatidi sostengono il potente architrave. Sulla bella galleria con soffitto a travetti, si affacciano varie stanze da letto e la biblioteca, tutte con soffitto a cassettoni, sempre di forma diversa e di rara bellezza. Le tre sale più belle dell’intero complesso sono nella parte che, partendo dalla torre si protende verso il lago. Nella torre vi è la sala da pranzo col soffitto ligneo che ne denota l’origine più antica rispettop al resto. Tutto attorno alle pareti della grande sala che segue corre una fascia affrescata, raffigurante gli animali più strani e mostri marini. Infine, l’ultima sala si affaccia direttamente sul lago.


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martedì 31 marzo 2015

LA TOUR EIFFEL

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Simbolo di Parigi e della Francia, la Tour Eiffel riscuote un successo che, al momento della sua costruzione nel 1889, nessuno avrebbe davvero potuto immaginare. Viene visitata ogni anno da quasi 7 milioni di persone ed è diventata nel corso dei decenni un monumento dal quale è impossibile prescindere.
Icona di Parigi e icona della Francia, la Tour Eiffel, la grande “signora di ferro”, domina la ville lumière dall'alto dei suoi 324 metri. Emblema vertiginoso della Rivoluzione industriale nel cuore di Parigi, attrazione principale dell'esposizione universale del 1889, la Tour Eiffel ringiovanisce continuamente e dimentica la propria età. Ornata d'oro non appena cala la notte (dal 1985), scintilla per cinque minuti all'inizio di ogni ora dal 2000 (un'installazione provvisoria poi divenuta permanente). Con la sua silhouette fragile, elegante e vertiginosa, quando venne realizzata da Gustave Eiffel nel 1889, la Tour Eiffel doveva essere una costruzione temporanea.

La tour Eiffel venne costruita da Gustave Eiffel in occasione dell'esposizione universale del 1899. Situata all'estremità del Campo di Marte, a pochi passi dalla Senna; questo monumento parigino é ben presto divenuto il simbolo della Francia e della capitale.
Inizialmente alta 300 metri, la sua altezza é ulteriormente aumentata, fino a raggiungere i 324 metri, in seguito all'istallazione di numerose antenne sulla sua cima.
La tour Eiffel é stata la torre più alta del mondo per più di quarant'anni, fino alla costruzione nel 1930 del Chrysler Building, a New York.
Utilizzata in passato per svariati esperimenti scientifici, serve oggi da emettitore per numerosi programmi radiofonici e televisivi.

Contestata inizialmente da una parte della popolazione parigina, la tour Eiffel fu in origine, in occasione dell'esposizione universale del 1899, la vetrina della tecnologia francese.
Le sue enormi dimensioni e la sua forma inconfondibile, la hanno fatta diventare ben presto l'emblema indiscusso della nazione, amata e apprezzata da tutti i francesi.
La Torre presenta 1665 scalini (1710 inizialmente). L'altezza della torre aumenta di 6-7 cm in seguito a forte caldo e si ritrae con le basse temperature.
Costruita in 2 anni, 2 mesi e 5 giorni, dal 1887 al 1889, da 300 operai, venne inaugurata ufficialmente il 31 marzo 1889.
Accoglie ogni anno più di 6 milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo.

Inizialmente a Eiffel era stato concesso di lasciare in piedi la Torre per 20 anni, ma vista la grande utilità di questa struttura sia a causa del grande sviluppo che in quegli anni ebbero le comunicazioni via etere sia come laboratorio per studi scientifici, le fu permesso di restare anche per le generazioni future.

Eiffel, che all'inizio non aveva altra ambizione che celebrare con questa costruzione i progressi della tecnica, si sentì presto obbligato a trovare delle utilità scientifiche alla sua Torre, come misurazioni meteorologiche, analisi dell'aria, esperienze come quella del pendolo di Foucault, e così via. Egli stesso contribuì da allora a tali ricerche che portarono all'installazione di un barometro, di un parafulmini e di un apparecchio per la radiotelegrafia.

Non sarebbe stato solo un oggetto di curiosità per il pubblico, sia durante l'esposizione che dopo, ma avrebbe reso ancora servigi alla scienza e alla difesa nazionale. Proprio la difesa nazionale, infatti, salvò la torre dalla distruzione cui era stata destinata dopo solo un ventennio di vita.

Dal 1898 Eiffel aveva consentito a Eugène Ducretet di realizzare esperimenti di telegrafia senza fili fra la Torre e il Panthéon, e offerto alla direzione dello scienziato di finanziarli egli stesso. Il generale Ferrié, che divenne poi amico di Eiffel, riuscì nelle prime comunicazioni di questo tipo sostenendo la causa della torre contro la demolizione.

Fu così che la Tour Eiffel permise di comunicare con le navi da guerra e con i dirigibili, oltre che di intercettare i messaggi del nemico. In questo modo fu possibile, poi, l'arresto di Gertrude Zelle, detta Mata Hari, e mobilitare in tempo i taxi parigini per inviarli sul fronte della Marna, dove divennero per sempre i "taxi della Marna", grazie all'antenna radio installata sulla sommità della torre.

Dal Capodanno del 2000 sulla torre sono installati quattro potenti fari ruotanti che, coprendo ciascuno un arco di 180°, illuminano tutta la città ogni sera.

Trecento metalmeccanici assemblarono 18 038 pezzi di ferro forgiato, utilizzando 2 milioni e mezzo di bulloni (che furono sostituiti, durante la costruzione stessa, con rivetti incandescenti). Considerate le condizioni di sicurezza esistenti a quell'epoca, è sorprendente osservare che solo un operaio abbia perso la vita durante i lavori del cantiere (durante l'installazione degli ascensori).

La torre è alta con la sua antenna 324 m (le antenne della televisione sulla sommità sono alte 20 m), pesa circa 8 000 tonnellate, ma le sue fondamenta discendono di appena 15 m al di sotto del livello del terreno. Per il suo mantenimento servono anche 50 tonnellate di vernice ogni 7 anni. A seconda della temperatura ambientale l'altezza della Torre Eiffel può variare di diversi centimetri a causa della dilatazione del metallo (sino a 15 cm più alta durante le calure estive). Nelle giornate ventose sulla cima della torre si possono verificare oscillazioni sino a 12 cm.

 Nel 2006 è stata al nono posto tra i siti più visitati della Francia, ed è il monumento a pagamento più frequentato del mondo con 6 893 000 visitatori nel 2007. Dalla sua apertura, nel 1889, è stata visitata da circa 250 milioni di persone. Dal 1964 è classificata come Monumento storico di Francia.

La struttura, che con i suoi 324 m è la più alta di Parigi, venne inaugurata il 31 marzo del 1889 e fu aperta ufficialmente il 6 maggio dello stesso anno, dopo appena due anni, due mesi e cinque giorni di lavori. La sua manutenzione, dal 1981 al 2005, è stata curata dalla Societé Nouvelle d'Exploitation de la Tour Eiffel (SNTE). Dal 2006 al 2014 essa è affidata alla Société d'Exploitation de la Tour Eiffel (SETE).
Per salire fino in cima vi sono due possibilità: i 1665 scalini oppure due ascensori trasparenti. La struttura è divisa in tre livelli aperti al pubblico, raggiungibili sia con l'ascensore sia con le scale. I meccanismi degli ascensori sono quelli originali del 1889 e percorrono, all'anno, 100,000 km. A sud-est della torre si allunga una distesa erbosa da cui un tempo partivano i primi voli in mongolfiera.

Quando fu costruita, si registrò una certa resistenza da parte del pubblico, in quanto si pensava che sarebbe stata una struttura poco valida esteticamente (ancor oggi è poco apprezzata da alcuni parigini, che la chiamano "l'asparago di ferro"). Nel 1909 la Torre Eiffel rischiò di essere demolita perché contestata dall'élite artistica e letteraria della città, ma fu risparmiata solamente perché si rivelò una piattaforma ideale per le antenne di trasmissione necessarie alla nuova scienza della radiotelegrafia. Tuttavia è generalmente considerata uno degli esempi di arte in architettura più straordinari e costituisce indiscutibilmente uno dei simboli di Parigi più rappresentativi nel mondo, proposta per le sette meraviglie del mondo moderno.

Al terzo livello Gustave Eiffel aveva creato un appartamento in cui riceveva gli ospiti più illustri; oggi vi si trovano le statue di Eiffel insieme a Thomas Edison e alla figlia Claire durante l'incontro avvenuto durante la Fiera Mondiale del 1889 in cui Edison portò un esemplare di Fonografo

Il suo destino è stato decisamente diverso: non venne infatti distrutta, salvata dall'immenso successo riscosso tra il pubblico in occasione delle esposizioni universali del 1889 e del 1900, oltre che dagli esperimenti scientifici che Eiffel rese possibili. Dopo una carriera dedicata unicamente alla radiofonia (prime trasmissioni radiografiche nel 1898 e prima trasmissione della radio pubblica nel 1925) e successivamente alle telecomunicazioni (fino al digitale terrestre), ha visto affluire i turisti a partire dagli anni Cinquanta, fino a diventare il secondo luogo turistico della Francia dopo i giardini del castello di Versailles. Da allora, i numeri delle sue visite sono in costante aumento. Oggi, dei 7 milioni di visitatori annuali, il 75% viene dall'estero e considera la Tour Eiffel un passaggio obbligato del soggiorno nella capitale. La “signora di ferro” occupa inoltre un'ottima posizione in ogni servizio dedicato a Parigi ed è stata usata come scenografia e ispirazione per numerosissimi film, in particolare da La fine del mondo di Abel Gance, nel 1930. Smisurata, possiede tutto il necessario per incarnare Parigi, la Francia e l'immaginario parigino.
Un monumento fuori dal comune, ricco di ristoranti e di attrazioni. È stata riverniciata una ventina di volte e si è anche alleggerita di 1340 tonnellate superflue in occasione della grande campagna di restauro del 1985. Per raggiungere i primi due piani, occorre prendere gli ascensori oppure salire le scale – 704 gradini fino al secondo piano. La salita offre una visita atipica nel cuore della struttura metallica della Torre, regalando delle viste uniche della capitale.
Il secondo piano permette di ammirare la Parigi dei monumenti, la cattedrale di Notre-Dame, il Louvre e la sua piramide, l'Arco di Trionfo e persino, in lontananza, il castello di Versailles. Ogni piano offre al visitatore un'ampia scelta di soste visive, culturali o gastronomiche: percorso “epopea Tour Eiffel” e Cineiffel al primo per scoprire delle immagini insolite della Torre, ristorante gastronomico Le Jules Verne al secondo, ricostruzione dell'ufficio di Gustave Eiffel e bar à champagne vertiginoso in cima… La sera, dalla Torre alla quale si può accedere fino alle 23, la ville lumière si svela in tutta la sua bellezza, regalando uno spettacolo di luci vivaci e colorate con, sullo sfondo, un cielo notturno spruzzato di stelle.                                
Con il Champ-de-Mars, magnifico parco parigino che si apre ai suoi piedi e, dall'altro lato della Senna, lo spiazzo del Trocadéro con la sua sublime vista della Torre, la signora Eiffel è da molto tempo teatro di illuminazioni spettacolari ed eventi significativi: i fuochi d'artificio il 14 luglio, lo spettacolo pirotecnico del 2000, la torre blu per la presidenza francese dell'Ue o multicolore per i suoi 120 anni, installazioni varie come la pista di pattinaggio e un giardino…. Dall'inizio è stata inoltre fonte d'ispirazione per artisti, pittori (Bonnard, Vuillard, Dufy, Chagall…), cantanti e scrittori. Il pittore cubista Robert Delaunay (1885-1941) le ha dedicato buona parte della propria opera. Durante la Belle Epoque, la cantante di cabaret Mistinguett si stupiva che fosse ancora al suo posto mentre il cantante Jacques Dutronc, negli anni Settanta, si preoccupava che avesse freddo ai piedi… Più che un monumento, è diventata “l'anima” della ville lumière, nel firmamento della Senna e del cielo di Parigi. “Edificio inutile e insostituibile, mondo familiare e simbolo eroico, testimone di un secolo e monumento sempre nuovo, oggetto inimitabile e incessantemente riprodotto…”, diceva Roland Barthes (La tour Eiffel, Delpirre éditeur, 1964.

La Torre Eiffel è illuminata da oltre 350 proiettori di 1000 watt cad., mentre la sera scintilla con oltre 22.000 lampadine e 900 luci di festa. L'idea di far scintillare la torre è stato pensata per festeggiare il passaggio all'anno 2000. La società, "Scieté Nouvelle d'Exploitation de la Tour Eiffel", che cura la manutenzione della Torre ha regalato ai parigini la possibilità di vederla brillare tutte le sere. Ogni singolo viaggio dell'ascensore riesce a trasportare 110 persone direttamente al secondo piano; é obbligatorio utilizzare le scale per poter andare fino in cima.
Quello del piede nord, con una capacità di 110 persone, é il principale ascensore della torre; costruito nel 1965 dalla ditta Schneider-Creusot e rinnovato nel 1995, permette di accedere al primo e al secondo piano della torre.
I turisti che desiderano proseguire la loro salita fino in cima dovranno cambiare d'ascensore giunti al secondo piano. In caso di grande affluenza viene aperto anche il piede Ovest della torre che presenta gli stessi servizi di quello Nord.
Il piede Sud permette di accedere direttamente al ristorante Jules Vernes mentre quello Est é riservato a coloro i quali desiderano effettuare una scalata della torre a piedi.

Fatta eccezione per i visitatori che decidono di salire a piedi, il primo piano é quello che viene visitato per ultimo, scendendo dal secondo.
Molti turisti rinunciano alla visita del primo piano pensando d’aver visto abbastanza dalla cima e dal secondo piano.
In realtà, il primo piano é il più vasto; ospita il padiglione Ferrié che contiene numerosi spazi espositivi, un cinema, un ristorante, negozi e anche un ufficio postale per inviare delle cartoline direttamente dall’alto della torre. Da segnalare, in particolar modo, la pompa idraulica originale che forniva l’acqua ai motori degli antichi ascensori che collegavano il secondo piano con la cima, un telescopio elettronico per scoprire Parigi dall’alto e una scatola magica con immagini virtuali rappresentanti Gustave Eiffel.
La vista panoramica offerta dal primo piano é veramente unica e permette d'abbracciare con un solo colpo d’occhio la Senna e il Campo di Marte.
Le ampie vetrate del ristorante "Altitude 95" danno sulla Senna e sul Trocadero.

Il secondo piano rappresenta una tappa obbligata per coloro i quali desiderano proseguire fino in cima. Presenta svariati elementi d'interesse tra i quali un rinomato ristorante, "le Jules Vernes" che presenta un accesso diretto dal piede Sud della torre. La cima della Torre Eiffel offre la più bella vista panoramica della capitale francese. L'accesso é possibile solamente a piedi.


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