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sabato 20 giugno 2015

LE PREALPI LOMBARDE



Confinate ad ovest dal Lago Maggiore e a est dal Lago di Garda si trovano le Prealpi lombarde le cui vette superano di poco i 2500 m di quota. Le Prealpi sono in prevalenza costituite da sedimenti calcarei. La loro origine sedimentaria ha permesso la formazione di solchi profondi nelle montagne, principalmente ad opera dei ghiacciai, che hanno portato alla formazione di strette e profonde valli solcate da fiumi e occupate in parte dei laghi prealpini, sbarrati verso la pianura da rilievi morenici. I rilievi morenici a sud delle prealpi, assieme alle prime sporgenze orografiche, formano quella fascia collinare (12,4% del territorio) che collega le prealpi alla pianura e che contiene numerosi laghi piccoli e poco profondi.

Di Prealpi Lombarde si parla più propriamente con riguardo ai gruppi montuosi posti fra il Lago Maggiore e il Garda. Se non che anche qui l'uso dei geografi non è costante e una distinzione fra Alpi e Prealpi non è sempre possibile perché variano la natura geologica, le forme e gli aspetti; i più profondi solchi longitudinali, come la Valtellina, l'alta Valcamonica e la Val di Sole, non possono servire per segnare la distinzione. Si usano con fondamento i nomi di Prealpi Luganesi (rilievi tra il Lago Maggiore e il Lago di Como; M. Generoso 1701 m.), di Prealpi Bergamasche, Bresciane, Giudicarie, ma già nelle Bergamasche si hanno forme ardite, prettamente alpine, come la Grigna; e carattere alpino ha poi la catena distesa fra il lago di Como e la Valcamonica che supera i 3050 m. nel Pizzo di Coca (Alpi Orobie), per non parlare dell'Adamello e della Presanella.

La Partizione delle Alpi considera le Prealpi Lombarde come un'unica sezione delle Alpi Centrali.

Invece la SOIUSA divide in tre sezioni le Prealpi Lombarde, chiamandole:
Prealpi Luganesi appartenenti alle Alpi Nord-occidentali,
Alpi e Prealpi Bergamasche appartenneti alle Alpi Sud-orientali,
Prealpi Bresciane e Gardesane appartenenti alle Alpi Sud-orientali.

Le Prealpi luganesi (o lombarde occidentali) si estendono tra il lago Maggiore a ovest, la linea Locarno-Bellinzona-Gravedona a nord, il lago di Como-lago di Lecco a est e la pianura padana a sud. Essendo situate ad ovest della linea lago di Lecco-lago di Como-passo dello Spluga-Reno, fanno parte delle Alpi Nord-occidentali, e comprendono due sottosezioni: Prealpi varesine e Prealpi comasche.

Le aree protette delle Prealpi luganesi sono il parco Regionale Campo dei Fiori, il parco del Monte Barro e la riserva naturale Sasso Malascarpa.

Le Prealpi varesine si estendono tra il lago Maggiore ed il lago di Lugano-val d'Agno (Svizzera) e sono delimitate a nord dal piano di Magadino, a sud dalle colline del varesotto. Si possono identificare due catene principali: Tamaro-Gambarogno-Lema e Piambello-Campo dei Fiori-Nudo. La prima, a nord del fiume Tresa, è dominata dal gruppo del monte Tamaro (1967 m); altre cime importanti sono il monte Gradiccioli (1936 m), il monte Magno (1640 m), il monte Lema (1621 m) e il monte Paglione (1554 m). La seconda catena raggiunge quote meno elevate: le cime più importanti sono il monte Nudo (1235 m), il monte Piambello (1129 m) ed il Campo dei Fiori (1226 m).

Le Prealpi Comasche (o Lariane) sono delimitate dal Lago di Lugano e dalla val d'Agno ad ovest, dalla val Morobbia e dalla valle di San Iorio a nord, dal lago di Como ad est, dalle colline della Brianza a sud. Le Prealpi comasche sono in media più elevate e più impervie delle Prealpi varesine. Possono essere suddivise in tre catene principali: Gino-Camoghè-Fiorina; Tremezzo-Generoso-Gordona; catena del Triangolo lariano.

La prima catena si trova a nord della Valle di Porlezza e comprende le cime più alte delle Prealpi luganesi: il Pizzo di Gino (2245 m), il Camoghè (2226 m), il monte Garzirola (2116 m) ed il Monte Bregagno (2107 m). Nella seconda catena, nella zona di Intelvi, non si raggiungono i 2000 metri di quota: la vetta più elevata è il monte Generoso (1701 m), che supera di poco il monte di Tremezzo (1700 m). Il Triangolo lariano è compreso tra i due rami del lago di Como e le colline della Brianza. La vetta più alta è il monte San Primo (1685 m); altre vette importanti sono il monte Palanzone (1436 m), il monte Preaola (1417 m) ed i Corni di Canzo (1373 m).

A sud, le Prealpi comasche digradano nei dolci rilievi collinari della Brianza, in cui, come nel caso delle Prealpi varesine, le glaciazioni hanno creato alcuni piccoli bacini lacustri (lago di Pusiano, lago di Annone e lago di Alserio).

Le Alpi e Prealpi Bergamasche (o Orobie o lombarde centrali) sono comprese tra il fiume Adda (tra il passo dell'Aprica ed il lago di Como) e la valle di Corteno a nord, la val Camonica ed il lago d'Iseo a est, la pianura padana a sud ed il lago di Lecco-Lago di Como a ovest.

Sono tradizionalmente suddivise nelle Alpi Orobie vere e proprie e nelle meno elevate Prealpi Bergamasche, e rappresentano la sezione più elevata ed estesa delle Prealpi lombarde. La maggior parte del territorio delle Alpi e Prealpi Bergamasche è tutelato dal parco delle Orobie Valtellinesi e dal parco delle Orobie Bergamasche.

Le Alpi Orobie sono separate a sud dalle Prealpi Bergamasche da una serie di valli secondarie della val Brembana, val Seriana e val Camonica: la Valsassina, la Valtorta, la val Secca, la val Canale, la val Nembo, la val di Scalve e la val Paisco.

Sullo spartiacque si trovano le vette più elevate di tutte le Prealpi lombarde: il Pizzo di Coca (3050 m), il Pizzo Redorta (3037 m) ed il Pizzo di Scais (3039 m) nel gruppo del Coca; il monte Telenek (2753 m), il monte Sellero (2743 m) e il monte Torsoleto (2708 m) nel gruppo del Telenek; il monte Masoni (2663 m) ed il Pizzo dei Tre Signori (2554 m). Altre cime importanti sono la Cima Vallocci (2510 m), la Cima Tonale (2544 m), la Cima Campaggio (2502 m) ed il Pizzo di Rodes (2831 m) nel versante valtellinese; il monte Pradella (2626 m), il monte Cabianca (2601 m) ed il Pizzo Tornello (2687 m) nel versante bergamasco.

Oltre al parco delle Orobie Valtellinesi ed al parco delle Orobie Bergamasche, le aree protette delle Alpi Orobie sono la riserva naturale Valle di Sant'Antonio e la riserva naturale orientata Bosco dei Bordighi.

A sud delle Alpi Orobie si staccano alcune dorsali secondarie che scendono gradualmente verso la pianura e dividono tra di loro il lago di Lecco, la val Brembana, la val Seriana e la val Camonica). Su queste dorsali si innalzano alcuni massicci calcareo-dolomitici, caratteristici del panorama orobico.

I principali gruppi montuosi sono le Grigne (2410 m), il Resegone (1875 m), lo Zuccone Campelli (2159 m) ed il monte Sornadello (1580 m) tra il Lario ed il Brembo; il Pizzo Arera (2512 m), la Cima di Menna (2300 m), il monte Secco (2267 m) ed il monte Alben (2019 m) tra il Brembo ed il Serio; la Presolana (2521 m), il monte Parè (1641 m), il Pizzo Formico (1637 m), il Pizzo Camino (2492 m) e la Concarena (2549 m) tra il Serio e l'Oglio.

Fanno parte delle Prealpi Bergamasche il parco dei Colli di Bergamo, la riserva naturale Valle del Freddo, la riserva naturale Boschi del Giovetto di Palline e il parco delle Grigne.

Le Prealpi bresciane e gardesane (o lombarde orientali) sono delimitate a ovest dal lago d'Iseo e dalla val Camonica, a nord dal passo di Crocedomini e dalle valli Giudicarie, a est dal fiume Adige e a sud dalle colline bresciane e veronesi. Secondo la classificazione SOIUSA (e la tradizionale Partizione delle Alpi) rientrano quindi nelle Prealpi lombarde anche i rilevi compresi tra il lago di Garda e l'Adige, i quali, pur essendo in territorio veneto e trentino, fanno parte a tutti gli effetti delle Prealpi gardesane. Al contrario, secondo la suddivisione delle Alpi italiane adottata dal Club Alpino Italiano e dal Touring Club Italiano, i rilievi ad est del lago di Garda fanno parte delle Prealpi venete.

Il ristretto settore delle Prealpi Bresciane è delimitato dal bacino del Sebino ad ovest e dalla val Sabbia ad est. Il suo limite settentrionale è convenzionalmente fissato lungo la valle del fiume Caffaro, che culmina al passo di Crocedomini (1892 m), a nord del quale vanno a spegnersi i contrafforti meridionali del gruppo dell'Adamello.

Si possono individuare due catene principali, separate dalla val Trompia: Setteventi-Muffetto-Guglielmo a ovest e Dosso Alto-Monte Palo a est. Nella prima si trovano le cime più elevate delle Prealpi Bresciane: il monte Colombine (2215 m), il monte Matto (2200 m) ed il montre Frà (2160 m). Altre vette importanti sono il monte Muffetto (2060 m) ed il monte Guglielmo o Gölem (1957 m). Ad est della val Trompia le vette più elevate sono il Dosso Alto (2065 m) e la Corna Blacca (2006 m) a nord del passo delle Piazze; il monte Palo (1462 m), il Corno di Sonclivo (1351 m) ed il monte Doppo (1217 m) a sud.

Le aree protette delle Prealpi bresciane sono il monumento naturale Altopiano di Cariadeghe, il monumento naturale regionale del Masso di arenaria rossa del Permico e la riserva naturale Piramidi di Zone.

Le Prealpi gardesane sono limitate a ovest dalle valli Giudicarie, a nord dal fiume Sarca, a est dal fiume Adige e a sud dalle colline bresciane e veronesi. Si possono suddividere in tre catene principali: Prealpi Gardesane Sud-occidentali e Prealpi Giudicarie a ovest del Benaco, Prealpi Gardesane Orientali a est del lago.

La prima si trova a sud della val di Ledro e della val d'Ampola; le cime più importanti sono il monte Cablone (1977 m), il monte Tremalzo (1975 m), la Cima Spessa (1820 m), il monte Manos (1517 m) ed il monte Pizzocolo (1582 m). Gran parte del suo territorio fa parte del parco regionale dell'Alto Garda Bresciano. Le Prealpi Giudicarie si trovano interamente nella provincia di Trento, a nord della val di Ledro-val d'Ampola, a sud-ovest del fiume Sarca e a est delle valli Giudicarie. Le vette principali sono il monte Cadria (2254 m), il monte Tofino (2156 m) ed il monte Altissimo (2127 m).

A est del lago di Garda si elevano la catena del monte Baldo (2218 m), di cui fa parte anche il monte Altissimo di Nago (2078 m), il gruppo del monte Stivo (2059 m) ed il gruppo del monte Bondone (2160 m). La catena del monte Baldo è separata dai due gruppi dalla valle di Loppio.

Oltre al parco regionale dell'Alto Garda Bresciano, le Prealpi gardesane ospitano i biotopi del lago d'Idro, del lago di Loppio, del lago d'Ampola, della Lomasona, del monte Brione, delle Marocche di Dro e della torbiera di Fiavè; la riserva naturale integrale Lastoni Selva Pezzi, la riserva naturale integrale delle Tre Cime del Monte Bondone e la riserva naturale integrale Gardesana Orientale.



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LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : CARPENEDOLO

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Carpenedolo è un comune della provincia di Brescia.
Il toponimo di Carpenedolo deriva da carpinus, ovvero la pianta del carpino, che è tuttora simbolo del paese. Un esemplare della pianta si trova nella piazza principale. Al toponimo si riferisce anche il nome della chiesa più antica, la pieve di Santa Maria in Carpino. Il nome ricorre come Carpanetulo nel sec. XII, Carpenedulo nel sec XIII, Carpenedolo nel sec. XVI. Il suffisso in edolo è comune a molti toponimi in provincia e indica un collettivo. Pertanto il toponimo indica la presenza storica di una moltitudine di carpini, da cui quindi Carpenedolo, il paese dei carpini.
Un ”paalstab” scoperto nei pressi del paese è segno dell’insediamento umano fin nell’età dell’E neolitico. Altri reperti confermano che il luogo fu abitato dai Cenomani. Celtica è una piccola ara pure rinvenutavi. Suggestiva è poi 1’ipotesi dello studioso inglese Conway, che tra Carpenedolo e Calvisano sia esistito il podere di Virgilio. Sicura è la presenza dei romani come indicano alcune iscrizioni (a Mevia Marcella, a P.Livio, a M.Elio). Tombe barbariche scoperte nel 1903 indicano la continuità di Carpenedolo anche negli oscuri secoli barbarici, mentre oggetti longobardi indicano il fiorire del paese nell’ alto medioevo. Benefica fu la presenza dei benedettini del monastero di Leno che vi avviarono utili bonifiche. Il paese tuttavia si raccolse soprattutto intorno alla pieve cristiana, dedicata a Maria Assunta e dal sec. XIV, a S. Giovanni Battista. Intorno al mille venne eretto il Castello, che da primitiva difesa dalle orde ungare, divenne presto simbolo di lotte fratricide nell’epoca comunale. Dominato dai Poncarali, il castello cadde, dopo strenua resistenza nelle mani di Federico II, il Barbarossa. Nel 1237 infatti fu incendiato dai Reggiani, condotti da un certo Manfredo, capo ghibellino agli ordini del Barbarossa che fece uccidere Ardizzone Losco Poncarale, di parte guelfa, e uccise o disperse la popolazione distruggendone le abitazioni, che sorgevano dove ora è il Borgo dell’Asino. Nel contempo però gli abitanti erano andati organizzandosi in vicinia e poi in comune riuscendo a resistere alle prepotenze dei signorotti locali fra i quali i Mezzani. Nel periodo delle Signorie Carpenedolo passo sotto il dominio di Filippo Gonzaga e dei suoi discendenti duchi di Mantova. Ad essi lo tolse nel 1348 Luchino Visconti. Ai Visconti rimase per qualche tempo, nel quale Bernabò fece costruire l’ampio canale detto ”Fossa Magna”. Nel 1413 Pandolfo Malatesta signore di Rimini, divenuto padrone del Bresciano, distrusse nuovamente Carpenedolo e il suo castello, dopo che gli abitanti si erano rifiutati di riconoscerlo come loro nuovo Signore. A lui fu tolto nel 1420, Carmagnola, allora comandante delle truppe di Giovanni Maria Visconti, dopo una dura battaglia svoltasi a Nord Ovest del paese, lungo la strada di Montichiari. Finalmente nel 1428 il paese passava per merito ancora del Carmagnola entrato al servizio di Venezia, dalla dominazione Viscontea a quella della Serenissima, alla quale rimase fedele fino al 1797, nonostante che fosse spesso costretto a contribuire con armi e danari alle spedizioni militari e a subire saccheggi e incendi da parte di eserciti nemici di passaggio. Il doge Agostino Barbarigo poteva attestare nel 1484 che ”gli homeni di Carpenedolo furono i primi dopo l’annessione della città di Brescia, che vennero sotto la nostra protezione, sempre fedeli stettero e devoti al nostro Stato”. In effetti alto fu il contributo di sangue e sofferenze offerto da Carpenedolo alla Repubblica. Nel 1482 ben 75 carpenedolesi vennero fatti prigionieri e in gran parte uccisi nelle carceri di Mantova, dove erano stati trascinati dal duca di Calabria; nel 1512, 22 carpenedolesi su 70 perirono sotto le mura di Brescia, nell’assedio stretto dall’esercito veneto alla città occupata da Francesi e Spagnoli. Il paese subì un assedio nel 1701-1702 da parte delle truppe imperiali, finito con trattative il 7 maggio 1702. Il paese fu percorso anche da pestilenze (nella sola peste del 1630 si contarono circa mille vittime) e carestie ma ebbe però anni di prosperità specie durante il sec. XVIII avvantaggiati da particolari privilegi. La Repubblica Veneta cadde a Carpenedolo il 29 marzo 1797 quando comparvero in paese le truppe della Repubblica bresciana ma gia’ il 1 aprile i simpatizzanti del vecchio regime veneto bruciarono il tricolore e innalzarono di nuovo la bandiera con il Leone di S. Marco. Fu pero un ritorno di paglia, giacchè pochi giorni dopo, il paese fu occupato dalle truppe francesi del gen. Chevalier. Il 9 luglio 1797 venne poi innalzato l’albero della libertà, mentre il 28 luglio soldati francesi saccheggiarono la chiesa parrocchiale e la sagrestia rubando oro e argento e requisendo il bestiame. I nostalgici del dominio veneto, chiamati ”goghi” tornarono alla ribalta, il 13 aprile 1799, con il sopravvento dell’esercito austro-russo. Bruciato l’albero della libertà, distrussero tutti gli stemmi e le insegne della Repubblica Cisalpina e il 26 ottobre in luogo dell’albero della libertà innalzarono una grande croce di pietra con una iscrizione latina che suonava: ”Per lignum servi facti sumus / per crucem liberati sumuc”. Il ritorno dei francesi il 21 ottobre 1800, segnò nuovi e continui passaggi e accantonamenti di truppe con requisizioni, devastazioni di campi e ruberie. Carpenedolo diede il suo contributo anche alle guerre napoleoniche sia in uomini che in derrate alimentari per l’esercito e, soprattutto, in gravose tasse. Abbastanza pacifico fu per Carpenedolo il dominio austriaco, funestato soltanto da una grave carestia iniziale e dal colera degli anni 1836 e 1855. La parentesi del 1848 iniziatasi con la costituzione della Guardia civica il 22 marzo, non portò particolare trambusto in paese. Carpenedolo visse invece momenti difficili nel 1859 per la vicinanza dei campi di battaglia di S. Martino e Solferino. La borgata, infatti, e specialmente le chiese e i palazzi, vennero trasformati in un grande ospedale militare. Nell’assistenza ai feriti si segnalarono Angelina Zecchi, ed altri pietosi infermieri. In seguito, specie nel 1866, il paese registrò nuovi passaggi di armati e il 23 giugno dello stesso anno, una sosta di Garibaldi. Più tardi, il 10 settembre 1878 e nel 1890 assistette alla vincita di Umberto I. Ma il paese, causa specialmente la ”Fossa Magna” e le condizioni di povertà soffrì anni terribili di scorbuto, pellagra, febbri intermittenti, fino a quando opere di risanamento igienico e lo sviluppo economico e sociale del paese apportarono migliori condizioni di vita. A queste si accompagnarono la creazione nel 1884 di un circolo popolare democratico e di una Società operaia cattolica maschile, e di altre associazioni economico sociali.
La carità e l’assistenza sociale carpenedolese è sempre stata animata da generosi benefattori. Nel 1575 Diodato Laffranchi diede vita al ricovero per infermi poveri e per orfani e che grazie ad altri lasciti (don G.B. Scolari, don Giuseppe Mancabelli, Lorenzo Marini. ecc ) sono diventati un Ospedale con annesso un Orfanotrofio. Con essi si sono affiancati l’opera Pia Baliatico (1895), e 1’Orfanotrofio Girelli (1856). Anche sul piano dell’istruzione Carpenedolo si è distinto da antica data. Fin dal 1500 la Comunità aveva aperto una scuola di grammatica e di aritmetica e fin dal 1859 il Comune apri un corso superiore. Nel 1907 – 1908 venne aperta una VI classe elementare mista mentre venivano costruiti edifici scolastici al centro e nelle frazioni. Nel 1868 don Egidio Cattaneo apriva un suo collegio convitto durato fino al 1872 mentre le Figlie del S. Cuore aprivano un Educandato. L’asilo infantile fondato nel 1874 ebbe pure ampio sviluppo.
Circondato in gran parte da campagna ghiaiosa e arida, Carpenedolo ha saputo svilupparsi economicamente e socialmente con tenacia e intelligenza. Nel 1690 vennero appaltate le Lame e nel 1750 vennero suddivise vaste estensioni di terreno con la concessione di due piò di terra ad ogni originario fondando così le Masserie. Diresse ed incrementò il lavoro di colonizzazione il deputato provinciale G.B. Meli, pittore, agrimensore e idraulico di grande valore che traccio canali, scavò fontanili, avviando una vasta opera di bonifica e di progresso agricolo. Al contempo si moltiplicavano mulini che da due nel sec. XVI divennero cinque nel sec. XIX. Di pari passo si sviluppò la produzione di olio da semi attraverso diverse macine oggi scomparse. Nel 1600 vi esistevano già sette fornaci che davano lavoro a molti operai. Nel 1700 invece si sviluppò la lavorazione della seta. Il primo filatoio venne aperto da Lorenzo Ercoliani nel 1756. Ne seguirono altri aperti nel 1757 da Stefano Callegari, nel 1769 da G.B. Pari, nel 1776 da Bortolo Bellini. Nel 1800 i filatoi, fornelli e filande, mossi dalle acque della Lametta o Fossa Magna, moltiplicarono ancor più attraverso le ditte Molteni, Astori, Azzi, Boselli, Erba, Dell’Oro poi Gatti che assorbì fino a 300 filatrici. Un nuovo ponte sul Chiese costruito nel 1877, la linea tranviaria costruita nel 1911 il continuo miglioramento della rete stradale diedero sempre nuovo impulso anche alla vita economica. Nuovo impulso all’agricoltura venne nel 1900 da parte della Cattedra Ambulante di Agricoltura specie per merito del prof. Moretti. Vennero estese e razionalizzate le culture, introdotta la vite americana, intensificata la bachicoltura. A quella della seta si accompagno l’industria tessile con la ditta Compagnoni. Don Severino Bettinazzi apriva un ”Calzificio cattolico” che diede lavoro a 60 operaie. Il mercato fissato al giovedì e poi trasferito al mercoledì risale ad un provvedimento del Doge Luigi Mocenigo del 28 maggio 1768. Comprendeva anche un mercato del bestiame finito verso il 1885.
Risalgono al 1551 circa la fiera di S. Bartolomeo, al 1787 quella della Madonna del Castello.



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LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : PONTEVICO

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Pontevico è un comune italiano della provincia di Brescia.

Il nome di Pontevico deriva da Pons Vici, mentre i nomi delle frazioni derivano:
Bettegno dal romano Betutius;
Campazzo, probabilmente, da campaccio.

Il fiume Oglio fu per Pontevico un notevole porto militare e commerciale sin dalla preistoria, numerosi sono i ritrovamenti di piroghe conservate per secoli nel suo letto di sabbia. Con la “barbotta” (tipiche barche di fiume con la chiglia piatta) si trasportava la sabbia e la ghiaia che i cavatori estraevano dal fiume, ammucchiata sulla riva e poi venduta ai costruttori di fabbricati.

Abitato fin dall’antichità, è posto in posizione strategica sul fiume Oglio, naturale confine con Cremona. I bresciani, dopo l’anno Mille, vi costruirono un castello che inizialmente appartenne ai Martinengo, i quali, nel 1127 lo promisero al vescovo e ai consoli di Brescia. Nel 1208 i fuoriusciti bresciani cercarono di impossessarsene per consegnarlo ai cremonesi.
Si ritiene che Pontevico fosse il "portus brixianus" punto di arrivo delle merci provenienti dal Po e dirette a Brescia. Fin dal sec. VI l'importanza della navigazione era tale che Teodorico aveva imposto di togliere le attrezzature da pesca lungo il corso d’acqua affinchè non impedissero il passaggio dei natanti.

Antichi documenti risalenti al 1255 narrano di undici mulini funzionanti sull'Oglio in territorio di Pontevico, a testimonianza della rilevanza economica della zona.
Il borgo antico era in realtà costituito da due nuclei distinti, ciascuno caratterizzato da una chiesa e una rocca; l’attuale Pontevico si è sviluppata a partire da uno dei due, crescendo intorno alla pieve di Sant'Andrea.

Il 1° novembre 1237 l'imperatore Federico II, prima dell'assedio di Brescia, marciò verso la propria alleata Cremona e incendiò Pontevico. Tuttavia, dopo la sconfitta dell'imperatore a Parma nel 1248, i bresciani riconquistarono la rocca che, alcuni anni più tardi (1260) subì la devastazione da parte di Oberto Pallavicino.
Nel 1308 gli abitanti di Pontevico fecero prigioniero il vescovo di Butrinto (Albania), inviato dall'imperatore Enrico VII. Il vescovo ottenne il permesso di recarsi a Soncino ad acquistare del vino, sorvegliato da un religioso di fiducia dei pontevichesi. Ma, appena giunto a Robecco, finse di essere stato fatto prigioniero dal castellano cremonese e rispedì a Pontevico il religioso col vino.
Nel 1362 Pontevico fu occupata dalla lega anti-viscontea, salvo la rocca, che resistette.
Ai primi del 400 Pandolfo Malatesta, diventato signore di Brescia, usò il castello come base per osteggiare la nemica Cremona.
Il periodo seguente al passaggio sotto il dominio veneziano fu caratterizzato da anni avventurosi, ma anche di prosperità per il paese che godette da parte della Serenissima di privilegi ed esenzioni.
Nel 1438 Iacopo Piccinino, diretto all'assedio di Brescia, conquistò Pontevico senza violenza.
Nel 1452 lo Sforza, che al servizio di Venezia aveva rioccupato il castello nel 1440 ed era nel frattempo diventato duca di Milano, attaccò Pontevico e la prese in due giorni. Nuovo assedio l'anno successivo da parte dello stesso Piccinino: dopo un lungo bombardamento occupò il paese e ne potenziò le fortificazioni. Nell'autunno dello stesso anno nuovo bombardamento, questa volta da parte dello Sforza, che concesse ai suoi soldati il saccheggio, particolarmente spietato soprattutto da parte dei mercenari francesi. Solo dopo la pace di Lodi del 1454 gli abitanti tornarono in paese e ricostruirono la fortezza, innalzando tre anni più tardi due nuovi torrioni, col munifico contributo di Venezia.
Nel '500 alcuni monaci agostiniani collocarono a Torchiera dei torchi da lino, dando inizio a un'attività che durò fino all'800.
Nel 1509 la rocca fu occupata dall'esercito francese (vi sostò il re Luigi XII). L'anno seguente la popolazione si rivoltò contro gli oppressori, provocando il tempestivo intervento di Giangiacomo Trivulzio, il quale vinse la pur strenua difesa consentendo ai propri soldati il saccheggio. Dopo queste vicissitudini ebbe inizio un'intensa vita culturale che portò alla nascita, nel corso del '500, di accademie-scuole.
Il castello dei Martinengo rimase agli spagnoli fino al 1519; nella seconda metà del 500 la sua importanza strategica cominciò a declinare. Il capitano veneto di Brescia, Giovanni da Lezze, scrive nel suo Catastico del 1610: "Con grandissimo disordine vi è permesso la distrutione delle case che vi son dentro". Restava una guarnigione: il "ponte è guardato da una fortissima rocca con guardia di soldati, bombardieri". Il perimetro della rocca era di 800 passi e gli abitanti del paese erano 5 mila. Pontevico contava all'epoca undici frazioni o fienili alle proprie dipendenze.
Nel 1630, la peste manzoniana falcidiò duemila persone tra la guarnigione e gli abitanti.
Durante la guerra di successione spagnola, nel 1701 il generale austriaco Eugenio di Savoia fece del castello la sede del proprio stato maggiore.
Nel lungo periodo di pace che seguì fiorirono iniziative economiche e benefiche. L'estimo del 1750 conta numerosi mulini, due dei quali con quattro ruote, e un maglio.
Nel 1816-18 fu costruito il teatro.
Nel 1880 divenne parroco e abate di Pontevico don Bassano Cremonesini, originario di Lodi, che suddivise le proprietà della parrocchia affidandole a un forte gruppo di piccoli conduttori agricoli, che ne aumentarono la redditività. Costituì una società operaia cattolica, una latteria sociale (1903) e una cantina sociale.
Nel 1898, in clima di repressione contro il proletariato, la società "San Giuseppe", che organizzava oltre 300 tra contadini e operai, fu tra le prime a essere sciolte dall'autorità militare.
Nell'estate 1882 dieci braccianti agricoli furono condannati a diversi mesi di carcere perché colpevoli di aver chiesto di essere pagati per il taglio del frumento e una retribuzione durante l'inverno.
Tra gli avvenimenti recenti si ricorda, nel 1977, il crollo del ponte sull'Oglio.

Il castello edificio glorioso, fu fondato poco dopo il mille e vide succedersi nel suo interno personaggi di altissimo rango. Con la caduta della Repubblica Veneta (che l'ebbe in dominio dal 1426 al 1797) perse qualsiasi importanza militare e strategica e, dopo alcuni anni di abbandono nelle mani del Demanio, venne acquistato dall'industriale cremonese Pietro Cadolini per collocarvi una fonderia.

Con cinque forni a riverbero, la fonderia funzionò una trentina d'anni, in collegamento con l'altra che da molti più anni era attiva nella parte bassa del paese, poco distante dal cimitero. Ritiratosi dall'attività industriale il Cadolini vendette il Castello ad un principe tedesco, certo Kewmuller, che era intenzionato a ricostruirlo dalle fondamenta per un'abitazione signorile e per varie attività industriali.

Nel 1844, su progetto dell'Ing. Emilio Brilli, iniziarono i lavori di demolizione e di inalzamento dei nuovi edifici, ma dopo quattro anni erano state innalzate soltanto due ali del grande quadrilatero.

Quando Mons. Cremonesini acquistò il complesso il 6 febbraio 1900 dalla nobile contessa Costanzina Borromeo D'Adda, cui era pervenuto per eredità dal Kewmuller per dote matrimoniale, godette della raccomandazione fraterna dell'Eccellentissimo Mons. Geremia Bonomelli, intimo dei Borromeo.

L'abate che non era solito perdere tempo nell'affrontare i problemi che riteneva pressanti per la loro gravità, si affrettò appena perfezionato l'atto di acquisto del castello e la sua liberazione da parte dell'affittuale Casarotti, a predisporre i locali per l'accoglienza delle ammalate che, per natura dei loro disturbi e la speciale sorveglianza di cui avevano bisogno, erano rifiutate dagli altri istituti. La casa venne ufficialmente aperta il 18 marzo 1901, con l'accoglienza di due ricoverate da parte del fondatore e di tre suore Ancelle della Carità che la Rev.ma Madre Generale Felice Passi fu lieta di accordare al Cremonesini avendo compreso l'importanza dell'opera che stava sorgendo a Pontevico.

Nei primi tempi nella Casa regnò sovrana la povertà. Tuttavia per la nuova Opera l'Abate seppe attivare in molti abitanti del paese una catena di cordiale carità che contribuì ad attenuare i disagi della prima ora e, in pochi mesi, a garantire alle ospiti dell'Istituto una vita decorosa.

Nel 1910 fu emanato il Decreto Reale di riconoscimento con il titolo di "Casa di ricovero per Frenasteniche ed Epilettiche" in Pontevico. Contemporaneamente venivano approvati lo Statuto Organico ed il regolamento Interno. L'assestamento giuridico della fondazione parve porre le ali al suo cammino, tanto che il fondatore decise di completare in breve tempo il quadrilatero del castello: nel 1911 fece innalzare l'ala a sera e nel 1912  quella a mattina.

La morte improvvisa dell'Abate Cremonesini nel pomeriggio del 29 dicembre del 1917 non interruppe il cammino dell'opera da lui fondata. Nel 1926 la Comunità pontevichese celebrò con gran pompa il XXV di fondazione dell'Istituto, presente il Vescovo diocesano Mons. Giacinto Gaggia.

Un serio incidente capitò nel 1929 allorquando scoppiò un incendio nel III reparto, che provocò la caduta di una trave. Il bilancio del malaugurato incidente fu di una ragazza morta e di una ventina di ferite. Nello stesso periodo si dovette provvedere d'urgenza alla demolizione della grande torre centrale del corpo sud del castello perchè minacciava rovina.

Nonostante la richiesta di ricostruzione da parte di molti pontevichesi che la ritenevano un elemento tipico del paesaggio di Pontevico, non se ne fece nulla fino agli anni settanta. Un evento gravissimo fu lo scoppio della seconda guerra mondiale che, nell'ultimo periodo di belligeranza arrecò danni ingentissimi alle strutture murarie del castello.

Agli inizi degli anni sessanta si presentò come indilazionabile la soluzione di due grossi problemi: quello attinente il personale in servizio all'Istituto e quello attinente il personale in servizio all'Istituto e quello riguardante il rifacimento dell'antica struttura del quadrilatero del castello.
Al piano terra troviamo i soggiorni, i refettori, le sale per le visite alle ospiti, la portineria, la sala consigliare e gli uffici amministrativi. Al I e al II piano furono sistemati i vari dormitori. Un reparto venne allestito per le Suore e quattro sale vennero destinate per la scuola. Ogni reparto ebbe a disposizione un proprio cortile.

Ai grandi cambiamenti strutturali si pensò di far seguire anche il cambiamento del nome dell'Istituto: da "Casa di ricovero per Frenasteniche ed Epilettiche" si passò a "Istituto Neuropsichiatrico Abate Cremonesini". L'approvazione arrivò l'8 novembre 1966 col Decreto Presidenziale della Repubblica Giuseppe Saragat.

La chiesa Parrocchiale dei Santi Tommaso e Andrea apostoli fu edificata nel '500, per essere poi ricostruita nel 1700.
Essa contiene dipinti di Grazio Cossali, Antonio Gandino, Angelo Paglia.
La chiesa subì danni in un incendio nel 1959.

Il territorio di Pontevico è situato all’interno del “Parco del fiume Oglio” e fa parte con la verde oasi delle Vincellate, insieme con Verolanuova, Verolavecchia e S.Paolo, del “Parco sovvraccomunale del fiume Strone” ultimo lembo esistente delle zone umide della bassa bresciana.

Poco fuori dell'abitato, nei pressi del cimitero, sorge la Palazzina, una delle più notevoli case signorili della Bassa.

Cinquecentesca, oggi ridotta a cascina, fatta con mattoni rossi provenienti dalle fornaci cremonesi. Le tre atipiche arcate della facciata giungono fino alla gronda del tetto e sono sostenute da grosse colonne in muratura. A nord e a sud due grandi portali consentivano il passaggio dei carri, mentre su uno spigolo vi è anche una guardiola.

All'interno vi sono belle sale decorate con stucchi e numerosi affreschi.
La volta più bella è quella di una piccola sala a nord, con affreschi, forse di scuola cremonese, di storie ed episodi biblici.

Villa Martinoni costruzione di mole massiccia risalente alla prima metà del 700, con un originale cornicione ad archetti sotto la gronda. Sopra il tetto una specie di torretta con quattro finestre. Nel muro di cinta un grande arco monumentale in pietra chiara.

Il portale d'ingresso al salone è in bel stile rococò. Antistante il portale prospicente la contrada vi è una bella cancellata in ferro, di puro stile settecentesco, che immette nel brolo. E' la classica vista di gusto barocco: il cono ottico fra Palazzo e giardino. Qua siamo in campagna e allora la vista si perde su uno spazio più utile del gaio giardino di città: il brolo.

Il complesso subì vari ritocchi e aggiunte nelle case a mattina dove sono presenti edifici ottocenteschi tra i quali una torretta passeraia in stile neogotico visibile fiancheggiando la strada che immette sulla strada statale.

Il portale di villa Simonelli è molto semplice, se non addirittura povero, non fa presagire invece quale notevole corte e scenari architettonici racchiuda all'interno. Infatti si presenta con una splendida aia, ancora parzialmente pavimentata in cotto, delimitata da barchesse e porticato con loggiato in legno, quest'ultimo per nulla tipico della Bassa.

Interessante il locale della scuderia nella porzione rustica. Esaminando la facciata del Palazzo ci si trova di fronte ad un bel esempio di architettura del seicento bresciano. Comignoli ben disposti, gronda rigorasamente a mensoloni (anche se nella versione già leggermente aggraziata), portale massiccio a forti bugne assai diffuso nel XVII secolo anche in città.

Le finestre sono adeguate alla sua epoca. L'interno dei locali a piano terra è a volta a carena. al piano superiore i soffitti sono piani con travetti in legno non decorati. Si menzionano due bei camini. Proseguendo l'itinerario verso est, merita attenzione la canna fumaria e relativo comignolo sul lato sinistro.

Di fronte, un edificio, probabilmente una casa a torre, con tracce di una finestra ogivale tamponata. Le banchine sono in cotto, e se originarie, sono tra le poche rimaste a documentarci il passaggio dalla cultura del cotto a quella della pietra, avvenuto in terra bresciana intorno alla metà del '400.

L'edificio di fronte, con le finestre quadrangolari leggermente arcuate, doveva fungere da magazzino alla proprietà dei nobili Archetti. Le finestre originarie si intravedevano appena sopra gli archivolti di quelle esistenti. le iniziali di Carlo Archetti sono riportate sulla chiave di volta del portale settecentesco al civico n° 21, unitamente ai due archetti che ne erano lo stemma di famiglia.

A lato del portale una finestra di forma quadrangolare riquadrata in pietra, che, se superstite originaria, contribuirebbe a comunicarci che questa porzione di edificio esisteva già fra XIV e XV secolo. Anche le volte nell'androne ed i pilastri in pietra del cascinale interno fanno pensare a quel periodo.



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venerdì 19 giugno 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : VEROLANUOVA


Verolanuova è un comune della provincia di Brescia.

Nel territorio verolese non vi sono tracce rilevanti di presenze umane e men che meno di centri abitati.
Lungo il corso del fiume Oglio, tuttavia, sono testimoniati spostamenti e frequentazioni con piroghe di gruppi preistorici, certamente dal Neolitico in poi, come dimostrano tanti ritrovamenti di resti di queste primitive imbarcazioni a nel suo alveo.
La mancanza di abbondanti reperti non significa che questa zona fosse allora sconosciuta o non attraversata dagli uomini del tempo ma, soltanto che essi non vi si stanziarono per lunghi periodi.

C'è da ricordare che la zona era paludosa, che il Mella sfociava nell'Oglio e che questi fiumi, parecchio più estesi di oggi, erano caratterizzati da forte instabilità..

A Verolanuova, in località "Dosso Negrone", sono stati trovati nell'ottocento, due reperti di bronzo attribuiti alla "Cultura del Bronzo medio" (1600 - 1200 a. C.) presentati alla "Esposizione di archeologia preistorica e delle belle arti della provincia di Brescia" nel 1875
Materiali ceramici della stessa epoca e tre piroghe di difficile datazione sono stati trovati nella vicina Monticelli d'Oglio tra il 1957 ed il 1967.
Il ritrovamento più antico finora scoperto ai confini del territorio verolese è avvenuto a Bassano Bresciano, nei pressi di Fornace Quadri, i cui reperti vengono attribuiti al Neolitico.

Prima dell'invenzione e dell'uso diffuso della scrittura (1000 - 500 a.C.) in Lombardia si registrano fenomeni antropologici di notevole interesse.
Nella bassa pianura a nord dell'Oglio le genti che vi risultano stanziate presentano una maggiore e meglio definita territorialità stabilita sulla base dei caratteri di somiglianza e sulla scorta della loro cultura materiale ovvero, su quali utensili adoperavano.
L'epoca successiva (500 - 350 a.C.) ci introduce nella storia vera e propria tramite un lento ma evidente cambiamento tecnologico e culturale dovuto all'arrivo in pianura di genti portatrici: Liguri, Veneti, Etruschi e Celti.
Nel territorio del bresciano si stanziò il popolo celtico dei "Cenomani", organizzato per gruppi tribali ma con federazione e governo unico a Brescia. Queste tribù si sono diffuse nelle zone più fertili della pianura e di preferenza su dossi o terrazze nei pressi dei fiumi.
Numerosi i reperti ritrovati dagli archeologi in tutta la pianura bresciana. Significativi sono anche i "relitti" linguistici ancora presenti nei nomi locali di fiumi, paesi, cascine, persone, piante, animali, utensili, vie..

Dal nord provengono gli Ongari o Ungari lungo i tre Decumani che attraversano la pianura. Questo popolo forma il primo insediamento Verolese sulle rive a nord del fiume Strone, in questo modo l'insediamento era protetto su tre lati dal fiume e dall'altro da un terrapieno di cui si possono vedere ancora i resti.
La zona più antica è individuabile nel quartiere che sorge intorno al Castel Merlino, residenza della famiglia Gambara, ed è delimitabile da via Ricurva, via Dante e dalla chiesa della Disciplina. Le notizie certificate da atti notarili risalgono solo al 1400 con la carta topografica Malatestiana.
A tal proposito Mons. Pietro Faita scrive:
"Verolanuova ebbe conferma feudale oltre che da Pandolfo Malatesta (1408) anche da Filippo Maria Visconti (1422) e dalla Repubblica Veneta (1427). Però in data 5 gennaio 1344 l'aveva già avuta dall'imperatore di Germania, re dei Romani, nella persona del conte Matteo Gambara. Tutte queste conferme erano necessarie perché ad ogni cambiamento di signoria la città di Brescia tentava di riprendere il controllo sui territori dei Gambara per rendere questa famiglia meno indipendente. Sia nell'archivio di Stato di Brescia che nell'archivio parrocchiale di Verolanuova vi sono copiosi documenti riguardanti l'amministrazione dei beni della famiglia Gambara nonché i loro diritti, privilegi, concessioni, eredità, ecc. ..."
Il palazzo dei Gambara risale al secolo XIV e circa dello stesso periodo è la chiesa della Disciplina.

Il nucleo del paese dal palazzo Gambara si espande con l'arrivo degli Ebrei che edificano la parte dietro il Castel Merlino. Attorno al 1630 viene fondata la chiesa principale del paese, dedicata a S. Lorenzo martire.
La costruzione del palazzo comunale di Verolanuova risale agli stessi anni, detto palazzo era la residenza di uno dei due fratelli Gambara, allontanatosi da Castel Merlino per una lite.
La piazza principale del paese, Piazza della Libertà, risale al 1600 come il palazzo del Comune; al tempo infatti questa era parte del giardino privato del Palazzo tant'è vero che si può osservare la sua forma ad anello tipica dei maneggi dell'epoca.
La fase storica attendibile successiva al 1600 è costituita dal primo Catasto Napoleonico risalente al 13/06/1809. Si nota che il paese non subisce grandi modifiche urbanistiche in quegli anni. Si estende fino a sotto il fiume Strone anche se per poche centinaia di metri.
Da una carta del Catasto Austriaco del 1852 si nota che nell'arco di 45 anni lo sviluppo urbanistico è tutto sommato ridotto, il vero grande cambiamento si nota nell'area chiaramente destinata alla ferrovia; ferrovia che è definitivamente documentata nel 1898 sulla carta del Regno Unito.
Dal 1809 al 1898 l'ambiente urbano non si è espanso, ha però subito un completamento, ovvero sono state edificate abitazioni e cascine che hanno dato più organicità alla struttura dell'abitato.

Giunti alle soglie della Prima Guerra Mondiale con una situazione stabile data dallo sviluppo ottocentesco per quanto riguarda il periodo inter bellico si può notare che non esistono significative espansioni abitative, si può solo ipotizzare la costruzione di singoli edifici, peraltro non documentabile.
In seguito alla ricostruzione immediatamente successiva alla Seconda Guerra Mondiale (1945-1965) il comune di Verolanuova è caratterizzato a Nord da uno sviluppo pressoché uniforme con distribuzione semicircolare al limite del preesistente abitato; a Sud del fiume Strone invece l'espansione è più articolata.
Punti salienti dell'intero sviluppo del primo periodo post bellico sono alcune delle zone industriali più importanti del Comune quali l'Ocean, sorta sul confine con Verolavecchia a Sud del fiume, un gruppo di calzaturifici a Nord - Est, adiacenti alla strada che porta a Breda Libera ed un grande complesso (nel suo interno integrato verticalmente) per la lavorazione dell'amianto oggi riconvertito.
Alla stessa epoca risalgono anche le costruzioni del campo sportivo, della scuola elementare, della scuola media e della casa di riposo per anziani.
Il periodo analizzato successivamente è quello che arriva all'inizio degli anni Ottanta.
Anche in quest'epoca si assiste ad un'espansione di caratteristiche analoghe a quelle della precedente: a Nord dello Strone una fascia limitrofa al preesistente, a Sud invece il completamento della maglia urbana.
E' da evidenziare il fatto che a questi anni risale la costruzione del quartiere delle "ville nel verde", del complesso industriale che travalica la circonvallazione Nord, delle due aree industriali presso le cascine Caselle e Bettolino e della scuola superiore di ragioneria.
Gli anni Novanta vedono sostanzialmente un forte incremento industriale nelle aree già a questa vocazione ed il completamento del tessuto abitativo con le tipologie a schiera e a condominio.

Le prime notizie certe su Cadignano risalgono al 1192 con l'atto dei feudi di Leno che attesta la consistenza del feudo di Delfino di Cadignano.
Precedentemente non esistono documenti in cui compare il nome della frazione, e d'altronde sembra plausibile che Cadignano e Verolanuova abbiano origine circa nello stesso periodo.
E' un'ipotesi e come tale viene qui riportata quella fatta da Angelo Bonaglia: "... la fondazione di Cadignano per un certo verso, potrebbe avere origini celtico - galliche cioè essere anteriore di qualche secolo alla conquista romana...".
Altro rilievo di notevole importanza avrebbe poi la strada che congiunge Cadignano con Manerbio, da una parte, e con S. Paolo, dall'altra, in quanto sarebbe più o meno, il tracciato della precedente rotabile gallica, raddrizzata poi dai Romani, restata infine tale per tutto il Medioevo e, salvo lievi varianti fino a noi.
Come per Verola ,proprio durante il regno di Desiderio, nel 760 il territorio di Cadignano viene donato alla Badia di Leno. Sembra accertato ancora che dopo il Mille Cadignano come paese non esistesse ancora, ma facesse parte di un comprensorio di alcune "curtes", collegate da una strada rotabile romana e di un ospizio "curtis" intitolato ai Ss. Nazaro e Celso.
Le opere di bonifica e l'aumento di popolazione fecero poi di Cadignano un ricco centro agricolo, tanto che nel 1400 già esiste un castello e un Comune, in cui è certa la presenza di un fabbro e di un mulino sulla strada per Scarpizzolo. Da un documento 1195 sembra ci fosse a quel tempo un convento benedettino nel paese di cui però ai nostri giorni si è persa quindi ogni traccia.
E' però individuabile sul territorio il quadrilatero medioevale più antico: est e sud delimitato dal Fiumazzo, ovest dallo Strone, nord dalla strada romana. Quando nel sec. XIV, per motivi politici, religiosi e tecnico - economici, crolla l'organizzazione dell'abbazia lenese, anche perché sono venute meno le vocazioni monastiche e sono rimasti deserti i monasteri, soprattutto e dapprima quelli periferici, Cadignano diventa un Comune e si trova a gestire in parte i beni monastici rimasti. Nel 1410 si ha notizia di una parrocchia di Cadignano.
Le notizie successive a questi anni sono frammentarie e di difficile reperimento, Cadignano infatti non è ancora parte del territorio verolese, non rientra quindi in alcun catasto ne Napoleonico ne Austriaco del comune di Verolanuova.
L'accorpamento con Verolanuova avverrà solo in epoca fascista nel 1928. Da rilevare che dallo stesso anno e fino al 1948 nel medesimo comune è annessa anche Verolavecchia.

Della frazione di Breda Libera non se ne conoscono le origini che, a giudicare dal nome sembrerebbero longobarde.
Non esistono notizie storiche anteriori al 1100 (come per Verolanuova) anche se la strada che attraversa il centro è di sicura origine romana.
Bisogna notare con attenzione la posizione strategica di Breda Libera situata, a brevissima distanza, a sud di un incrocio fra due strade romane: quella che, da Offlaga scende in linea retta da Nord verso Verolanuova e l'Oglio, quella che collega trasversalmente la via cremonese con la via quinzanese.
Non è improbabile che i Longobardi vi tenessero non solo un allevamento di cavalli e di bestiame, ma anche una piccola guarnigione, per il controllo sia dell'allevamento, sia delle due importanti strade.
La prima notizia su Breda Libera è un atto notarile di compravendita tra Guelmino, figlio di Ottone, e Alberto Gambara per un piccolo appezzamento di terreno su cui nascerà il castello Gambara. L'atto risale al 1197.
A quel tempo il paese prende il nome di Breda Gambara. Le notizie di ordine urbanistico su Breda Libera sono quindi nulle, esistono una serie di atti notarili di divisione dei beni, compravendita, testamentari risalenti agli anni 1371, 1468, 1473, 1504, 1527, 1563, che però non forniscono indicazioni utili all'individuazione dell'abitato nei vari anni. Sulla carta malatestiana del 1408 non compare comunque Breda anche se già esistente.
La prima carta che dà indicazioni urbanistiche su Breda è il Catasto Napoleonico del 1809. Da qui si può vedere l'estrema regolarità dei confini di Breda Libera, delimitata su tutti i lati da strade perpendicolari fra loro.
Nel 1898 Breda non è cambiata molto, sono state edificate due aree a sinistra di via della Chiesa e sotto via degli Abbeveratoi. Fino agli anni 1965-1970 Breda Libera non cambia in modo sostanziale la sua configurazione urbanistica, sorge quindi, in quel periodo, un complesso industriale di dimensioni consistenti, all'incrocio tra la strada (ex via romana) che congiunge Cadignano con Manerbio e la strada che congiunge Verolanuova con la statale Orzinuovi - Brescia - Mantova.
Successivamente Breda Libera non subisce ulteriori apprezzabili sviluppi del tessuto urbano.




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LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : ORZINUOVI



Orzinuovi è un comune della provincia di Brescia.
Non ci sono risposte certe sull'origine del nome di Orzinuovi, ma soltanto risposte attendibili, il Codagli nella sua opera Historia Orceana narra che durante le invasioni barbariche del V-VI secolo d.C., i barbari avrebbero costruito in questo territorio due rocche fortissime che in latino, la lingua dei romani, sarebbero definite Arces, appunto da questa parola sarebbero arrivati a Orci, ma Codagli si rese conto dalle storie degli anziani del paese che il nome non sarebbe potuto derivare dalle Rocche, bensì dai vasi che i Romani chiamavano Orzi ritrovati dal fondo di quelle. Sempre Codagli ipotizza che sia stato S.Ursicino, Vescovo di Brescia dal 347 al 380 d.C., a dare il nome alla città. Inoltre, ipotizza che possa essere stata Oritia moglie di Borea e figlia di Eritteo, re di Atene. Oritia avendo fatto edificare il tempio dedicato a Giove nei pressi della località spettava lei dare il nome alla città.

Monsignor Guerrini, l'arciprete della Curia di Brescia presuppone che il nome della città derivi dall'aggettivo Arsus che tradotto dal latino all'italiano significa latifondi, che Orzinuovi possedeva prima che il Comune di Brescia nell'XI secolo vi bonificasse. Lo stesso Guerrini dice che l'origine del nome deriva da J-urs, che potrebbe essere una ricostruzione dialettale di San Giorgio, poiché, Orzinuovi, fondata nel XII secolo, è stata chiamata castrum San Georgi o San Jorii quindi a risalire a J-ursus. Però Monsignor Guerrini smentisce questa sua ipotesi, per due ragioni una fonetica e una storica:

Nel dialetto bresciano il nome Giorgio si pronuncia Zors e perciò si dice Sant'Zors, che non può essere tanto facilmente trasformato in J-urs. (Ragione fonetica)
Il nome Orzi spetta prima a Orzivecchi e non a Orzinuovi, perché il primo è più antico del secondo. A Orzivecchi il culto di San Giorgio non viene praticato, mentre è tuttora vivo a Orzinuovi (congiuntamente con quello di San Bartolomeo), in quanto sotto la protezione e il nome di San Giorgio venne dal comune di Brescia, che come già detto in precedenza, edificò il territorio chiamando il paese San Georgi a difesa del confine con la provincia di Cremona. È ciò accadde quando il castello di Orzivecchi aveva già più di un secolo di vita e il nome esclusivo De Urceis.
Carlo Antonio Mor sostiene, invece, che ricostruendo il nome Orci viene da Urcei la cui probabilissima radice vuol dire acqua, Orci vuol perciò denotare che il significato del nome è abitato vicino all'acqua.

Orzinuovi, situato a Sud Ovest di Brescia a pochi chilometri dal fiume Oglio, fu fondato l’11 luglio del 1193 (data certa e documentatata) per espressa volontà della città di Brescia, al fine di perfezionare le proprie difese rispetto ai cremonesi lungo la delicata linea dell’Oglio: l’intero centro storico conserva ancora, nella regolare suddivisione in strade ortogonali disposte attorno all’asse centrale della lunga piazza orientata Nord – Sud, l’antica organizzazione urbanistica castrense; l’intervento avvenne su un unico antico dosso fluviale dell’Oglio, in una località già occupata dall’ antica chiesa di S. Giorgio cui verrà dedicato l’intero centro.

L’atto di fondazione di cui si conservano solo delle trascrizioni, pone fine alle discussioni sorte in passato, anche a seguito di una certa confusione fatta dal Codagli, il primo storico oceano. Questi infatti citando altri storici, sembra far risalire al 1191, con due anni di anticipo, la decisione del Comune di Brescia di costruire un nuovo castello per gli antichi Urcei.

E’ opportuno ricordare che gli storici successivi commisero un altro errore in conseguenza a quello fatto dal Codagli nel descrivere la fondazione di Orci Novi, cioè che l’antico castello al Bigollio fu distrutto per utilizzare il materiale per la costruzione del nuovo castello, chiamato S. Giorgio al Theze. Questa sarà, infatti, la prima denominazione di Orzinuovi: Castrum Sancti Georgi. Solo successivamente verrà chiamato Orci Novi per diventare, più tardi ancora, Orzinuovi.

Le vicende storiche di Orzinuovi si ricollegano, ovviamente a quelle di Brescia; nei primi 250 anni Urcei conosce la dittatura di Ezzelino da Romano, di Oberto Pelavicino, dei Torrianio, degli Angiò, degli Scaligeri, dei Visconti e dei Malatesta, con un breve intervallo per i Gonzaga; in ultimo passa quasi definitivamente sotto Venezia, dal 1426 al 1797.

Gli episodi salienti del periodo pre-veneto sono trattati con dovizia di particolari e secondo un’interpretazione a volte drammatica dal Codagli e in parte riesumati anche dal Mor.

Basti ricordare la breve sosta in Orzinuovi di Ezzelino da Romano, il quale nel 1258, il primo settembre, occupa Brescia, costringendo alcune famiglie guelfe ad uscire dalla città e a rifugiarsi nelle roccheforti della provincia.

Il truce tiranno l’anno successivo seguendo i consigli del Dovera, traditore di Milano, tenta di impossessarsi della città e per eludere le sue manovre militari, finge di attaccare Orzinuovi, che assedia devastandone le campagne; si dirige poi verso il milanese ad incontrare la definitiva sconfitta del suo esercito e la morte sul ponte di Cassano d’Adda.

Nel 1282, stranamente, data l’antichissima rivalità con i Soncinesi, gli Orceani inviano aiuti alla città di Cremona, impegnata a difendersi dal marchese di Monferrato.

Nel 1341 Azzone Visconti emette gli statuti, una raccolta, cioè, di disposizioni che regolano la vita politica amministrativa e sociale del comune. (In essi, per esempio, sta scritto come si debbano mantenere le strade, le condizioni igieniche da rispettare da parte dei mugnai e dei fornitori da farina, come debba comportarsi il podestà, quando il capitano del popolo può incontrare i residenti….ecc.).

Nel 1383 è consacrata la chiesa principale detta “Il Duomo”, già intitolata a S. Lorenzo ed ora a Santa Maria della Pieve, con la facciata rivolta verso ovest, stretta ed alta, col battistero esterno. Nello stesso periodo ad Orzinuovi capita a predicare San Bernardino, ed in occasione della sua venuta si fonda l’ordine dei Francescani zoccolanti, con residenza al convento dell’Aguzzano.

Nel 1421 il duca Filippo Visconti rinforza le fortificazioni ed ordina la costruzione di una torre con murata all’ingresso della contrada Navagera, ora via Roma.

Il Codagli cita anche lo spaventoso episodio del passaggio delle cavallette “che avendo rovinato insino le fronde cagionassero una crudel fame, dalla corrottione delle quali, n’uscì una sì esecrabile peste che per tre anni continuosi”.

Orci, comunque, passa i guai più grossi della sua storia tra il 1427 ed il 1454, dopo la relativa tranquillità di circa un ventennio.

Galeazzo Visconti lascia un buon ricordo di sé; gli succede Pandolfo Malatesta, messo fuori da Brescia nel 1420; i suoi rappresentanti in Orci sono scacciati dal Carmagnola, al servizio di Filippo Visconti, nello stesso anno. Il Carmagnola, restituisce alla comunità orceana i vecchi statuti soppressi dal Malatesta, riporta il numero dei consiglieri a 48, esenta i residenti dai dazi e dalle gabelle per cinque anni, aggiunge agli Orci le terre di Villachiara e di Rudiano, ma si ripaga di tanta generosità, prendendosi come ostaggi, da conservare sotto chiave in prigione, due della famiglia Zenucchi antighibellini ed esige la partecipazione dei locali alla spesa di 30.000 ducati per la costruzione delle difese, con una imposizione dell’esborso in sei anni dei due terzi della somma.

Per consolare i cittadini della gravosa tassa, decide di renderli autonomi da Brescia e con un atto di somma fiducia consegna ai maggiorenti l’amministrazione delle munizioni.

Nel 1426 i guelfi bresciani tramano contro il Visconti a favore di Venezia e la repubblica coglie l’occasione per mettere le mani sulla città; a cosa fatta, vuol imbastire, per l’ennesima volta, la pace con Milano. E’ stipulata, ma non rispettata; di conseguenza la repubblica invia nel contado ed a Orci, ghibellina, guidata dai Corniani, Trezzi, Angoli, Barbari, Rodenghi, una enorme quantità di truppe, al comando del Carmagnola, passato al servizio di Venezia. L’assedio dura 16 giorni, le artiglierie venete smantellano parte delle mura e molte torri; alcune palle arrivano in piazza e colpiscono la chiesa centrale. Intorno alla fortezza si muovono più di trentamila soldati, con una quantità enorme di cavalli. Finalmente la fortezza si arrende; Caramagnola proibisce con i proclami l’applicazione dei diritti del vincitore, ma alcuni rapaci ufficiali sequestrano le persone più facoltose e le costringono alla consegna di somme enormi.

Il privilegio del doge Foscari riporta tutto alle condizioni di prima, ma offre la possibilità di perseguitare i ghibellini ed impone a tutti nuove taglie.

Decapitato il Carmagnola in Venezia, viene agli Orci Francesco Gonzaga, che guerreggia contro Filippo Visconti attestato nel cremonese; segue un brevissimo periodo di pace, rotta di nuovo nel 1437.

Questa volta si porta sotto le mura per conto di Filippo Visconti, il Piccinino; egli stringe d’assedio la fortezza, che è presa per il tradimento di un certo Pietro da Lucca, armigero inviato sul posto con 200 soldati dal Gattamelata, per dare man forte a Dandolo, comandante della piazza. Ovviamente, per l’occasione si verificano le devastazioni, le taglie, i sequestri e altre brutture collegati a fenomeni del genere.

Nel 1440 Filippo Visconti cede Orci al comandante Ludovico Gonzaga, ma questi non si interessa della faccenda; subito Francesco Sforza, ora al servizio di Venezia, scaccia i viscontei dal paese e li batte sulla strada vecchia per Soncino. Segue una nuova breve pace; ad Orci si reca anche Muzio Attendolo, per svernare. Nella nuova guerra Francesco Sforza, ora al servizio di Milano, smantella le mura della fortezza con le artiglierie, ed invano attenta alla sua vita un certo Giorgio Zenucca.

Con la pace di Lodi del 1454, Orci non è più disturbato dagli eventi della guerriglia tra Venezia e Milano.

Segue un periodo di grandiosità: la repubblica veneta ordina la ricostruzione delle mura e dei bastioni, sostituisce le torri alte e merlate con i torroncelli più atti alla difesa, costruisce la rocca.

I civili iniziano le costruzioni murarie, fabbricano anche palazzi di una certa pretesa, a ridosso della piazza centrale, le organizzazioni religiose aumentano il proprio prestigio, fondano il monastero di S. Francesco della Pace, con relativa chiesa, molto bella e riccamente ornata, e quello di S. Chiara.

Sono pure istituite associazioni culturali ed assistenziali di ogni genere, come la compagnia dei Disciplini, il monte di Pietà e la prima congregazione di carità. Alcuni privati cittadini mettono a dsposizione del pubblico i loro capitali per iniziative sociali.

Questo si può definire il periodo del primo rinascimento orceano, che, dopo la parentesi paurosa della calata di Carlo VIII, del passaggio di Gastone di Foix, dei lanzichenecchi e della micidiale peste, viene rappresentato da illustri personalità operanti nei vari campi dell’attività umana.

Nasce in Orci la magnifica Stefana Quinzani, più tardi beatificata, fondatrice del monastero delle donne di Soncino. Per le scienze e le lettere, acquistano fama l’oriundo orceano Condro, insegnante presso l’Università di Bologna, celebre latinista e grecista, che sembra abbia avuto tra gli alunni Niccolò Copernico; Giovanni Braccesco, latinista, scienziato, filosofo.

Illustrano le arti figurative Bagnadore e Montagna, celebrati pittori e architetti, mentre arriva in Orci il Sanmicheli, a disegnare le costruzioni dei bastioni e delle porte della fortezza.

La società locale è sostanzialmente povera, o appena benestante; non conta famiglie patrizie e nemmeno eccessivamente facoltose, perché nel trambusto dei secoli e specie nel ‘400 e ‘500, i fatti d’arme piuttosto frequenti e la indisponibilità di terre da comperare, il succedersi dei privilegi che garantiscono soprattutto il mantenimento della situazione, impediscono l’inserimento o l’attecchimento dei potentati, sia militari che civili.

Il centro è abitato da qualche famiglia danarosa, che esercita le attività professionali o gode dei benefici delle piccole proprietà terriere; vi si installano i bottegai, ai quali si aggiungono in buon numero gli artigiani dei mestieri inerenti ai bisogni della campagna (sellai, fabbri, ecc.) ed alle richieste degli abitanti in generale.

Ai margini s’incontra una piccola folla di lavoratori occasionali, di pescatori e cacciatori meno esigenti degli altri e viventi alla giornata, fiduciosi nella generosità delle opere caritative e dei conventi per gli anni magri.

Nel contado le piccole proprietà terriere dei professionisti e dei “ricchi” del centro sono condotte dagli affittuali e dai massari, con l’aiuto dei poveri braccianti e con un patrimonio zootecnico ridottissimo, con prodotti miseri, salvati a stento tra un’epidemia e l’altra. La proprietà terriera è ammassata nelle mani del comune, della Chiesa, e di monasteri delle opere di beneficenza.

La potestà amministrativa, tranne la parte che riguarda le fortificazioni militari, è affidata al consiglio comunale, composto da oceani genuini e retto da consoli.

Sulla popolazione non gravano eccessivi pesi fiscali, se non per motivi occasionali, quali le malattie, carestie, fatti d’arme per i quali si richiede il pagamento di dazi a favore del Comune.

I fatti straordinari della vita sociale provengono dalle liti tra civili e militari, per la solita prepotenza dei componenti il presidio e fra agricoltori per i diritti di irrigazione e la manutenzione delle strade, dalle feste pubbliche di carattere religioso e civile, dai contrasti fra le confraternite e gli ordini monasteriali ed ecclesiali.

Orzi è agricolo, artigianale, proletario; gli intellettuali tendono ad abbandonare la terra d’origine per trasferirsi in città.

Nella comunità il fervore generale e la speranza si annunciano pieni, dopo lo smarrimento conseguente ai disastri bellici ed alla peste tra il 1509 e d il 1530 circa.

Nel ‘600 e ‘700 nella fortezza la vita è monotona e stantia, eccezion fatta per la peste del 1630-31 e per qualche traversia collegata alla guerra di successione spagnola (1701-1713), fenomeni innestati nelle vicende comuni a tutta l’Alta Italia.

Nei primi decenni del ‘600 opera l’artista Cossali, autore generoso e laborioso, detto “il pittore di S. Carlo”, chiamato a dipingere dai reggenti delle chiese di un largo territorio, dai domenicani di Soncino e da qualche privato.

Nel 1779 l’ordine dei domenicani chiude il monastero di Orzinuovi, i cui beni sono ceduti ad un Corniani, che li passa successivamente all’ospedale Tribandi.

Le novità arrivano con la rivoluzione francese e la soppressione della Repubblica di Venezia.

Si istituisce il Governo provvisorio, si pianta l’albero della libertà, si organizza il comitato per la valutazione dei beni espropriabili, con interventi dei giovani liberali e del popolo minuto, ma senza la convinta partecipazione della massa. La fortezza ed i suoi abitanti sono tenuti sotto controllo da Brescia, i cui rappresentanti pregano gli Orceani di adeguarsi alle novità e di essere degni patrioti e nel contempo fanno trasferire in città le armi e le munizioni.

Sono espropriati i beni dei monasteri, della chiesa e delle opere ecclesiali, si unificano le entrate dei vari enti caritativi locali in una organizzazione assistenziale civile ed unica, si aprono scuole pubbliche per l’istruzione primaria.

La successiva pubblica Cisalpina ed il Regno Italico di Napoleone intraprendono alcune opere pubbliche, fra le quali la costruzione di una strada per Soncino e del cimitero centrale nel campo “Foppa”; legiferano anche in materia di riti religiosi, sopprimono i conventi di S. Francesco della Pace, dei francescani di S. Maria dell’Aguzzano e cancellano l’ordine della scuola di S. Pietro.

Il comune è indebitato per le antiche ruberie dei francesi e per gli oneri imposti dagli Austriaci vittoriosi su Napoleone. Le idee rivoluzionarie della comunità diminuiscono di interesse e la società locale ritorna pressoché uguale a 50 anni prima, con i vertici rappresentati dagli aristocratici, provenienti dalle solite famiglie ricche e dai militari, con l’aggiunta di qualche liberale che ha allargato la proprietà e si è costituito un lignaggio con l’acquisto dei beni espropriati nel decennio d’oro.

Nel 1828 il governo austriaco ordina l’abbattimento della fortezza a carico del comune; l’opera di demolizione è appaltata ad un impresario privato, con una decisione di massima; la spesa supera di gran lunga il preventivo e la comunità ricorre al prestito di un privato, sempre un Martinengo; il paese è privato della decorosa e storica corona delle mura, invidiata dai vicini e si obbliga a vendere qualche proprietà per affrontare il brutto momento economico e finanziario.

Verso il 1839 il Comune dona agli Orceani il teatro, ricavandolo dallo svuotamento dell’ex chiesa di S. Giuseppe, già affittata a privati, nel 1797.

Nel 1848, l’anno dei fasti d’Italia e delle illusioni, Orzinuovi brinda ai Piemontesi, ai patrioti, con l’intervento delle rappresentanze religiose; l’anno dopo ritorna nella quiete di prima, con l’arresto e l’imprigionamento di Don Giuseppe Perini e con il controllo della Famiglia Pavoni, troppo scopertamente antiaustriacante ed indiziata di sovversivismo.

Nel 1859, dopo l’ennesima definitiva liberazione del comune è eletto sindaco l’Avvocato Maestrazzi. La nuova strutturazione politica coincide con l’inizio del rinnovamento sociale e civile delle campagne della bassa, lento se si vuole, ma massiccio.

Nelle campagne appaiono i primi coltivatori proprietari, e in larga misura i cosiddetti mandriani nomadi, i quali, qualche decennio dopo, divengono acquirenti dei fondi lasciati dai signori di prima.

Alcune leggi sociali costringono gli agricoltori tradizionalisti ad abbandonare le proprietà od a rinnovarsi con grossi sacrifici; nel centro i bottegai si organizzano in iniziative varie, come sollecitati da nuova fiducia.

Compiuto il primo decennio della costituzione del Regno d’Italia (1861-1871), gli entusiasmi si smorzano ed il paese ritorna alla solita routine, anche se qualcosa di nuovo sembra essere impostato da alcune iniziative sociali.

Nell’ultimo decennio del secolo, si realizzano i primi investimenti pubblici, per i quali è costruito il nuovo edificio delle scuole elementari, sono sistemate alcune strade interne e si compiono i primi sparuti tentativi dell’iniziativa privata in materia edilizia. Il comune è servito con una linea tranviaria elettrica e con una ferrovia per la Valle Camonica e Cremona; il centro viene illuminato.

Nei primi anni del secolo nuovo e fino al 1925 circa, tralasciata la parentesi della prima guerra mondiale, si realizza l’espansione dell’edilizia privata, che ricopre molte aree a ridosso delle mura, in ogni direzione, facendo sparire o riducendo a pochi spazi i resti dell’antica fortezza.

Sono pure modificate alcune case della piazza o dei quartieri centrali, secondo un impulso economico che riguarda in modo particolare commercianti e professionisti.

Nel periodo cruciale dell’avvento del fascismo, la comunità orceana accetta senza eccessive rimostranze la nuova situazione, sia per la sua naturale propensione al pacifismo, sia per l’alto numero dei piccoli imprenditori e degli agricoltori tradizionalmente disponibili alla quiete.

Nessun avvenimento degno di nota s’incontra nel ventennio; solo la figura di Mor, direttore didattico, che pubblica due volumi ricchi di notizie particolari sulla vita del comune.

Dopo la seconda guerra mondiale, Orzinuovi conta 12.000 abitanti, la stragrande maggioranza dei quali vive di agricoltura. La ripresa economica e nazionale in un decennio prepara il campo per l’esodo della campagna e per la trasformazione sociale dei paesi agricoli lombardi, in cui i primi aspetti riguardano il generale aumento del tenore di vita, l’espansione edilizia pubblica e privata, l’aumento della scolarità e del numero di tecnici, l’industrializzazione delle campagne e del centro, l’allargamento dei servizi sociali di ogni genere.

In un ventennio la popolazione diminuisce di circa 3.000 abitanti, ma il paese si raddoppia per il numero di case, funzionalmente distribuite intorno all’abitato centrale, secondo l’adozione di un relativo piano regolatore; si arricchisce di giardini e di aree verdi e di ampie strade.

Gli occupati in agricoltura passano dal 60 per cento di prima al 20 per cento e si triplicano al numero degli addetti all’industria e ai servizi terziari.

A Orzinuovi nel 1223 ci fu un terremoto,nel 1380 ci fu peste, con l'apertura di un piccolo lazzaretto, divenuto poi ospedale di San Bartolomeo fuori porta, a nord dell'abitato, gestito dall'Ordine degli Umiliati,nel 1471 un altro terremoto nella bassa bresciana e nel cremonese: la gente, impaurita, uscì nei campi circostanti la fortezza e vi sostò per vari giorni.
Nel 1474 ci fu un'invasione di locuste, con devastazione dei raccolti e conseguente carestia; moria di bestiame e nel 1481 un'altra epidemia di peste o malattia simile; definita dagli autori "mal del zucchetto" e pare abbia mietuto 2000 vittime a Orzinuovi e 400 a Orzivecchi.
Negli anni 1512-1513 ci fu la più dura peste che abbia mai colpito il paese: 3500 morti (su 3900 abitanti) a Orzinuovi, 1000 (su 1100) a Orzivecchi, 450 (su 1000) a Soncino, 1000 nei comuni limitrofi. Descritta con toni angosciosi dal Codagli.
Nel 1570 la carestia e pestilenza ha provocato centinaia di morti che sono sepolti nell'orto della canonica.
Tra il 1576-1577 una nuova minaccia di peste e venne eretta la cappella di San Rocco e un presunto miracolo ferma quindi l'epidemia.
Nel 1630 ci fu la grande peste descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi esteso a tutto il Nord Italia. Dei 2200 cittadini, solo 900 sopravvissuti. I morti sono sepolti nella chiesa di San Giacomo e Filippo.
Nel 1712 Orzinuovi fu colpita da carbonchio e afta epizootica con grande moria di bestiame.
Tra il 1735 e il 1763 ci furono morie di bestiame e pollame praticamente totali.
Il 27 giugno 1783 comincia un pauroso temporale; per tre giorni cadono fulmini ovunque con danni gravi ad abitazioni e raccolti. Per fortuna non ci furono vittime.
Il 12 maggio 1802 un terremoto danneggia la fiancata destra del Duomo.
Nel 1816 Orzinuovi fu investita da carestia e diffusione della febbre petecchiale: 183 morti nel 1816, 198 nel '17
Tra aprile e luglio del 1836 ci fu una violenta epidemia di colera
A dicembre del 1850 ci fu una breve epidemia di colera.
Nel 1866 a seguito di una nuova epidemia di colera fu istituito un lazzaretto pubblico nei pressi dell'ospedale vecchio detto El pasterù'. In occasione dell'epidemia, furono emesse decreti che punivano le famiglie che non denunciavano di avere dei malati.
Negli anni 1885-1886 ci fu una nuova ondata di colera seguito dal vaiolo.
Negli anni 1918-1919 la violenta influenza spagnola uccide 200 persone.
Nel 1978 a Coniolo ci fu una moria di pollame.
Nel 2001 a causa dello scarico di liquami nel lago, viene isolata una parte del piccolo laghetto artificiale presso la città.
Nel 2008 le cavallette devastano i raccolti.
Il 26 luglio e l'11 ottobre del 2014 a causa di fortissime precipitazioni (il solo evento di luglio ha riversato 187 mm di pioggia in poche ore) vengono allagate diverse zone della città con gravi danni ad attività e case private.



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mercoledì 17 giugno 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : CARAVAGGIO



Caravaggio è un comune della provincia di Bergamo, collocato nella pianura bergamasca occidentale. Il territorio comunale comprende anche due frazioni, Masano e Vidalengo, oltre a nuclei rurali minori.

Caravaggio è anche nota per aver dato il soprannome a Michelangelo Merisi, celeberrimo pittore italiano, i cui genitori erano originari del paese, ma poi si erano trasferiti a Milano dove poi il pittore è nato. Per lungo tempo si è ritenuto che fosse nato a Caravaggio, dato che egli stesso dichiarò, in un documento ufficiale dell'Ordine cavalleresco di Malta, di essere nato in città, e gli archivi parrocchiali corrispondenti agli anni della presunta nascita del Caravaggio, intorno al 1571, sono andati perduti.

Dal 22 dicembre 1954 Caravaggio si fregia, per decreto dell'allora Presidente della Repubblica Italiana Luigi Einaudi, del titolo di città.

Dall'etimologia incerta il nome di Caravaggio appare per la prima volta in un documento del 27 novembre del 962: "in villa que dicitur Caravagio" il conte Giselberto, feudatario della Contea Bergomense, tiene corte di giustizia in veste di rappresentante dell'imperatore. Di quello che avviene prima di questa data non si ha notizia esplicita: sul processo di formazione di Caravaggio manca ogni testimonianza. Quello che sembra certo è che la sua origine non sembra essere romana ma che piuttosto la sua nascita sia da legarsi agli insediamenti longobardi.
I documenti che la riguardano continuano ad essere scarsi fino al XII secolo.
In un documento del 22 novembre 1182 viene citato per la prima volta il Comune Caravagii che risulta essere il Comune più antico della Gera d'Adda.

Quando Federico Barbarossa sconfisse Crema, ad ogni modo i vassalli dovettero sottomettersi nuovamente all'autorità di Cremona.
Il nucleo più antico della città era caratterizzato da una pianta quadrata; il borgo era circondato da un terrapieno e da un fossato.

All'epoca del primo documento scritto risale forse la prima impalcatura della chiesa parrocchiale, intitolata ai santi Fermo e Rustico, oggi un chiaro esempio di architettura lombardo-gotica. Sempre in questo periodo era già presente, all'estremo nord-occidentale della città, un castello, volto ad agevolare la difesa del borgo dagli attacchi dei Milanesi.

Nel 1186 il Barbarossa, ora alleatosi con Milano, assegnò quasi tutta la Gera d'Adda, Caravaggio compresa, alla communitas mediolanensis. La città non mancò di ribellarsi anche contro le autorità milanesi, sfruttando l'occupazione della Geradadda del 1237 da parte di Federico II, nipote del Barbarossa, in guerra contro Milano. Quando Federico II fu sconfitto a Gorgonzola, nel 1247, i milanesi tornarono e la città fu sottoposta (1251) ad una spedizione punitiva. Con questi eventi aveva avuto inizio una lunga stagione di guerre ed occupazioni fra Milanesi e Veneziani che avrebbero interessato l'intera regione sino al Risorgimento.

Nel frattempo, già agli inizi del XIII secolo Caravaggio era divenuto un borgo di discreta importanza; l'attuale centro storico era protetto da una cinta muraria e da un fossato, attraversato da ponti levatoi in corrispondenza delle quattro entrate di Porta Vicinato, Porta Prata, Porta Folcero e Porta Seriola (corrispondenti ai quattro rioni storici della città).

La signoria della città passò nel 1278 alla famiglia Torriani, e successivamente tornò (circa 1310) a quella dei Visconti. Essi non godevano tuttavia di particolare autorità nella Geradadda; quando il Papa mosse contro di loro una crociata, Caravaggio subì un'occupazione da parte dell'esercito papale (1320).

Nel 1335 Caravaggio venne occupata da Azzone Visconti, che poco prima aveva vinto a Vaprio d'Adda l'esercito della Santa Sede, senza tuttavia aver liberato Caravaggio dalla protezione papale; con lui iniziò il dominio della dinastia viscontea.

Le vicende del borgo, a partire da questo periodo, furono complementari a quelle del casato dei nobili Secco, che per decenni ne furono signori.

Ad un periodo di rivalità interne fra comuni della zona (specialmente fra Caravaggio e Treviglio) seguì il ritorno, entro il volgere di un secolo, alla guerra vera e propria, stavolta con Venezia; nel 1427/1437 Caravaggio venne occupata dalle truppe venete comandate da Francesco Sforza, che, passato alla Repubblica Ambrosiana, la rioccupò per conto dei milanesi sconfiggendo le truppe di Bartolomeo Colleoni nel 1448. Assunta la Signoria di Milano, lo Sforza venne a patti con Venezia e le cedette una nuova volta l'intera Gera d'Adda, che tuttavia tornò sotto Milano nel 1452. Grazie al suo importante castello difensivo, Caravaggio aveva giocato un ruolo di primo piano nella difesa della Geradadda da parte degli attacchi delle varie fazioni nemiche. Particolarmente notevole fu la battaglia di Caravaggio del 1448, combattuta nelle campagne fra il borgo e Fornovo San Giovanni.

Durante questo difficile periodo si segnala, nel 1432, l'apparizione, secondo la tradizione cattolica, di Nostra Signora di Caravaggio, nelle campagne circostanti il borgo. La Madonna pronunciò un messaggio di pace di fronte ad una giovane contadina del posto, Giannetta Varoli, e chiese che fosse portato ai cittadini e alle autorità competenti. Da allora il luogo dell'apparizione fu incessante meta di pellegrinaggi, soprattutto in seguito alla costruzione del Santuario di Caravaggio.

Dopo qualche anno di tranquillità, l'arrivo di Luigi XII, alleato dei veneziani, segnò, con il 1499, la ripresa delle guerre e dei saccheggi, che avrebbero caratterizzato la vita del borgo sino alla fine del XVI secolo.

Fra il 1509 ed il 1529, nell'ambito del conflitto fra Francia e Spagna, la città venne saccheggiata due volte; nel 1524, in particolare, avvenne un saccheggio ad opera di Giovanni delle Bande Nere.

Nel 1529 Francesco II Sforza, duca di Milano, elevò a marchesato la Geradadda, ponendo la "capitale" a Caravaggio; tale configurazione geopolitica era destinata a durare fino al 1778. Il primo marchese cittadino fu Giovanni Paolo I Sforza, un fratellastro di Francesco, che il 19 maggio 1528 aveva contratto matrimonio con Violante Bentivoglio. Il marchese andò tuttavia incontro ad una morte prematura, lasciando il feudo al figlio Muzio I, ancora infante.

Lo stesso Muzio, appena raggiunta la maggiore età, venne arruolato nell'esercito di Carlo V e perì nella battaglia di Metz; l'amministrazione del marchesato ricadde allora sulle spalle della madre, in attesa che il primo erede in ordine di successione, Francesco I, che allora aveva appena tre anni, raggiungesse la maturità.

Circa un secolo dopo il saccheggio di Giovanni delle Bande Nere, nel 1629, la città subì la discesa dei Lanzichenecchi, che al saccheggio aggiunsero la peste. La popolazione si ridusse notevolmente: si stima che oltre 3600 caravaggini morirono per la malattia, ed il borgo rimase popolato da poco più di duemila abitanti.

Risalgono a questo periodo numerosi edifici di culto attualmente presenti in città, come la chiesa ed il convento di San Bernardino, la chiesetta bramantesca di Santa Liberata, la chiesa di Sant'Elisabetta con il convento delle Agostiniane, e la chiesa di San Giovanni con il monastero dei Cistercensi. Altre chiese del periodo, come San Carlo, San Defendente, San Valeriano e San Rocco, sono scomparse.

Agli spagnoli subentrarono, nel 1707, gli austriaci; il passaggio di dominazione non diede luogo ad avvenimenti di rilievo. Nessun evento rilevante accadde per tutto il secolo XVIII.

Nel maggio 1796 la Gera d'Adda, e con essa Caravaggio, fu occupata dalle truppe di Napoleone Bonaparte; in seguito alla nuova ripartizione territoriale francese la città abbandonò la provincia di Lodi (in cui era stata collocata dall'Austria) ed entrò a far parte del dipartimento del Serio, con capoluogo Bergamo. Dopo la caduta di Napoleone, ad ogni modo, l'Austria rioccupò la Lombardia.

Terminate le guerre risorgimentali, Caravaggio trovò finalmente un periodo di relativa tranquillità. Alla fine del XIX secolo il borgo aveva raggiunto ormai i novemila abitanti, nonostante le condizioni sanitarie generali deficienti per via della diffusa presenza di risaie nelle campagne circostanti. L'uniformità e la scarsità dell'alimentazione erano causa di tubercolosi e pellagra, soprattutto fra operai e contadini in condizioni di inferiorità rispetto alla borghesia possidente. In questo clima sociale ed economico nacquero inevitabilmente i primi contrasti ideologici fra cattolici e liberali.

Ristabilita una certa pace sociale, il secolo XX si aprì con un miglioramento della situazione; l'ammodernamento dell'agricoltura e la scomparsa delle risaie, assieme alla nascita dell'industria, avevano allontanato lo spettro della malaria e aperto nuove occasioni di lavoro. Passata la Prima guerra mondiale venne il Fascismo, e con esso il Podestà (dal 1927 al 1942).

Anche nel corso della seconda guerra mondiale Caravaggio offrì alla Patria il suo tributo di sangue; l'ultima vittima del conflitto, oggi simbolicamente ricordata attraverso la dedica di una via diretta al cimitero cittadino, fu una bambina di nome Anna Maria, uccisa il 26 aprile del 1945 nella camera da letto, fra le braccia della madre che la stava svestendo, colpita da un proiettile vagante di una mitragliatrice usata durante uno scontro fra tedeschi e americani in pieno centro.

Già nel XVI secolo il borgo era segnalato come fiorente centro rurale, anche grazie alla particolare orografia del suo territorio, ricco di sorgenti naturali. Oggi la Città di Caravaggio oltre alla vocazione agricola è una città industriale con numerose ditte di livello rilevante come la Kraft, la Isover, la Kahle Automation S.r.l., etcc. ben distribuite sul territorio in due zone industriali e una zona artigianale. Caratteristica della città è il commercio al dettaglio che non ha mai subito forti flessioni nonostante la presenza sul territorio di numerosi centri di distribuzione.

Caravaggio ha dato i natali a diversi artisti tra cui Gianfrancesco Straparola, letterato, al quale solo recentemente è stata resa giustizia riconoscendogli la paternità della fiaba “Il gatto con gli stivali”; il musicista Gian Giacomo Gastoldi, compositore e maestro di Cappella presso i signori di Mantova e il pittore Polidoro Caldara, allievo e collaboratore di Raffaello. Ma soprattutto, al suo nome si è
ricondotto uno dei più straordinari pittori che l’umanità abbia mai conosciuto, Michelangelo Merisi, che, col nome del borgo, patria della sua famiglia e nel quale era cresciuto prima di imparare il mestiere a Milano nello studio del Peterzano, aveva voluto lui stesso farsi chiamare e ricordare.

Ma non solo arte, tra le personalità sportive legate a Caravaggio Marino Morettini, caravaggino di adozione che proprio all’ombra del Viale che porta al Santuario
vinse le sue prime volate partecipando ad alcune corse libere tra ragazzi, fu olimpionico di ciclismo, vincendo la medaglia d’argento nel chilometro e l’oro
nell’inseguimento a squadre a Helsinki nel 1952 diventando il primo bergamasco a fregiarsi del titolo Olimpico.
Tra le “nuove leve” Riccardo Montolivo, centrocampista del Milan e della nazionale,
che nella squadra di Caravaggio tirò i primi calci al pallone prima di andare alle giovanili dell’Atalanta.



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