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mercoledì 20 maggio 2015

PALAZZO VISCONTI A SARONNO

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Costruito nel XVI secolo fu di proprietà dell'omonima famiglia. Durante il XVIII secolo fu ceduto alla famiglia Rubini, che cambiarono parzialmente l’assetto del complesso, trasformandolo in una tipica villa nobiliare con il tipico cortile lombardo. Il palazzo fu ceduto in seguito alla famiglia Schenardi e poi a Giuseppe Morandine che la trasformò in un collegio nella metà del XIX secolo.

Sul finire del secolo (1882) il Comune divenne il nuovo proprietario e vi insediò il Municipio. Ma, a far capo dal 1926, dopo il trasferimento nella Villa Comunale in via Roma (Villa Gianetti), lo stabile venne utilizzato per uffici della Pretura. E ciò fino al 1985. Da allora, senza che l'Amministrazione Comunale abbia ancora definito la sua ristrutturazione e destinazione, il Palazzo Visconti attende di essere rimesso a nuovo. La struttura è abbellita da alcune colonne di granito di Baveno. Alcuni soffitti del Palazzo sono impreziositi da significativi affreschi attribuiti al pittore Giovanni Antonio Cucchi.

Il 28 settembre 2007, un incendio distrusse gran parte del tetto. Molti locali vennero danneggiati dall'acqua usata per spegnere il fuoco.

L'edificio è stato in seguito messo in sicurezza con una copertura provvisoria. Nel 2011 il Consiglio Comunale ha istituito una Commissione per proporre soluzioni per un recupero di Palazzo Visconti. Non è stato previsto alcun lavoro di manutenzione straordinaria né restauro a causa della crisi economica. L'edificio è attualmente in disuso ed è stato candidato tra i luoghi del cuore del FAI.





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mercoledì 29 aprile 2015

LA VILLA PORTA BOZZOLO

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Immerso nel tranquillo paesaggio della Valcuvia, valle prealpina nell'entroterra lombardo del lago Maggiore, quest'elegante complesso si è andato ampliando nei secoli attorno all'originario nucleo cinquecentesco.

Negli ultimi anni il FAI ha eseguito importanti interventi strutturali, riguardanti in particolare il restauro delle facciate minori e il recupero dei rustici, alcuni dei quali adibiti a spazi espositivi o convertiti in locali per manifestazioni e ricevimenti.

La villa venne costruita nella seconda metà del Cinquecento quando il nobile notaio Giroldino Della Porta acquistò a Casalzuigno una vasta estensione di terreno per realizzarvi una dimora signorile. All'inizio del Settecento la villa vide una delle sue più importanti trasformazioni per iniziativa di Gian Angelo III Della Porta (1690-1745), in occasione delle sue nozze nel 1711 con Isabella, figlia del conte Giorgio Giulini, antenato del noto storico milanese. Grazie all'architetto Antonio Maria Porani, egli volle impostare l'asse principale del giardino parallelamente alla facciata interna della dimora (contravvenendo così alle classiche norme secondo le quali l'asse principale doveva essere in asse con i saloni principali della villa, dividendo in due parti simmetriche il giardino stesso).

Al XVIII secolo risalgono invece ulteriori interventi di riqualificazione che aggiungono l'imponente giardino all'italiana con scale, fontane, giochi d'acqua e un'edicola affrescata. Intorno alla villa esistono interessanti rustici, come ad esempio un monumentale torchio contenente un ciclo di affreschi rococò dipinti nella bottega del pittore (di Varese ma originario di Vacallo in linea materna) Pietro Antonio Magatti. Al medesimo periodo risale la realizzazione di una ricca fontana realizzata nel 1723, ad opera dell'architetto Pellegatta.

Dopo queste realizzazioni la famiglia Della Porta entrò in declino e nell'Ottocento la residenza venne venduta dapprima ai Carpani, poi nel 1861 ai Richini e quindi nel 1877 ai Bozzolo che ne rimasero proprietari sino al 1989, anno in cui la struttura venne donata al FAI.

La facciata di Villa Della Porta Bozzolo è semplice ed elegante, in particolare per la linearità delle forme e per le decorazioni a tinte tenui concentrate soprattutto attorno alle finestre. Addenstrandosi all'interno, la prima stanza che si incontra è l'ampia sala da ballo, con il pavimento in cemento colorato e un imponente camino in marmo, affrescata con scorci paesaggistici che creano un interessante gioco di illusioni prospettiche. Nella volta sono invece rappresentate coppie di amorini che sorreggono dei tondi contenenti figure allegoriche e fanno da cornice all'immagine centrale dell'incontro tra la Pace e la Giustizia, richiamante un salmo di Davide.

Da qui dirigendosi a sinistra si incontrano la sala del biliardo coi busti di Camillo Bozzolo, senatore del Regno, e della moglie Caterina Belfanti, un salottino dotato di un prezioso arredamento ove spiccano un'ampia specchiera settecentesca, un pianoforte impero ed un orologio da parete di manifattura piemontese.

Andando invece verso destra, superato il camerino, si accede alla sala da pranzo dotata di una volta affrescata con l'immagine di San Francesco sul carro di Elia: in questa stanza è possibile ammirare una raccolta di vasi farmaceutici e, all'interno di un'antica credenza, un servizio da tavola in ceramica riportante lo stemma del casato fondatore. Si passa quindi attraverso le cucine ed un'anticamera impreziosita da un armadio settecentesco contenente parte della raccolta libraria della villa per poi raggiungere lo studio, il locale meglio conservato nel tempo con il suo austero arredo ligneo e, alle pareti, i ritratti dei fratelli Richini che divennero proprietari della villa poco dopo la metà del XIX secolo.

Salendo lo scalone si giunge al livello superiore dell'edificio, entrando in una galleria affrescata dove all'interno di finte nicchie sono rappresentate le figure femminili simbolo delle sette Virtù con al centro l'episodio biblico di Agar e Ismaele assistiti dall'Angelo. Sulla destra si apre il salone decorato con un fregio settecentesco opera del Romagnoli e, all'interno di cornici dipinte, ritratto di alcuni membri della famiglia Della Porta. Il piano si completa poi con una serie di stanze da letto: a destra del salone si trovano in successione la "camera del letto rosso" con il suo talamo a baldacchino della fine del XVIII secolo e la splendida "camera dal letto verde", dove spicca un originale letto del Settecento con le cortine del baldacchino damascate e il paramento alla base realizzato in seta intrecciata con fili d'argento; da notare anche le poltroncine e le sedie neoclassiche che completano l'arredo. Alla sinistra del salone, si costeggia una piccola alcova per giungere poi alla "camera del baldacchino giallo" che prende il nome appunto da un letto circolare in seta damascata collocato in un ambiente arricchito anche da una solida scrivania francese e da una specchiera d'epoca. Riattraversando la galleria si possono osservare le ultime tre stanze: "la camera del letto giallo" che ospita affreschi sulla vita di Mosè e un prezioso orologio da tavolo stile impero, e un'anticamera con un fregio decorato da vicende evangeliche che conduce ad un'ulteriore alcova.

Tratto distintivo della villa è sicuramente il ricchissimo giardino esterno, caratterizzato da un significativo patrimonio di piante e fiori, da edifici rustici che rimandano ad un passato in cui l'edificio era punto di riferimento dell'attività agricola della zona e da elementi monumentali che lo rendono una vera e propria "architettura dell'ambiente".

Varcato l'ingresso e superate le scuderie, ci si imbatte in una serie di strutture che erano adibite a scopi pratici: la ghiacciaia dove venivano conservati gli alimenti, il cinquecentesco monumentale torchio in legno (il più grande nel suo genere di tutta la Lombardia), utilizzato per la spremitura delle vinacce, la macina sfruttata per la produzione di olio, la vecchia filanda e la cantina, dove sono ancora conservate antiche botti.

Tutto questo fa da preludio allo stupefacente giardino barocco che si articola con scelta insolita, lungo un asse principale parallelo alla facciata dell'edificio, che risale la vicina collina attraverso quattro terrazzamenti ornati da balaustre e statue in pietra di Viggiù e collegati da un'elegante scalinata dello stesso materiale che raggiunge il cosiddetto "teatro", una vasta e scenografica area verde punteggiata da cipressi e impreziosita da un fontanile. Da qui è possibile proseguire lungo un sentiero sterrato che si inoltra nel bosco fino a raggiungere il vicino belvedere, dove godere della splendida vista sulla Valcuvia e le alture limitrofe e ammirare la chiesetta di San Bernardino, risalente al XV secolo. Partendo invece sempre dal parterre principale di fronte alla villa e superando una cancellata d'ingresso sulla quale spiccano le statue delle Quattro Stagioni, si giunge al "giardino segreto", uno spazio più raccolto e meditativo con un viale alberato che conduce ad un'edicola che racchiude un affresco raffigurante Apollo e le Muse. Dal punto di vista floreale il parco si presenta, in particolare da fine febbraio in poi, come una variopinta tavolozza di colori grazie soprattutto a roseti, ortensie ed una grandissima varietà di crocus.



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lunedì 27 aprile 2015

VILLA PANZA A VARESE

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Circondata da un magnifico giardino all'italiana, Villa Menafoglio Litta Panza di Biumo è stata costruita alla metà del XVIII secolo per volontà del marchese Paolo Antonio Menafoglio e ampliata in epoca neoclassica dall'architetto Luigi Canonica, su incarico del duca Pompeo Litta Visconti Arese.
La villa è celebre nel mondo per la collezione d'arte contemporanea che Giuseppe Panza di Biumo vi ha raccolto a partire dagli anni '50. Nei saloni e nelle grandi scuderie, sono oggi esposte oltre cento opere di artisti contemporanei, oltre a ricchi arredi del periodo che va dal XVI al XIX secolo e ad un'importante raccolta di arte africana e precolombiana.

Nel 1748 il marchese Paolo Antonio Menafoglio acquistò dei terreni sul colle di Biumo Superiore, fece innalzare dei grandi muri perimetrali, che furono in seguito riempiti di terra, e sulla sopraelevata così ottenuta fece erigere la sua villa: un grande fabbricato a tre piani, a forma di U, aperto verso un ampio giardino all'italiana (con elementi spontanei), quasi sospeso sopra la città di Varese, unito con un ponte all'altrettanto sontuoso parco confinante delle Ville Ponti.

L'abitazione era stata essenzialmente concepita come una "villa di delizia", atta cioè non ad essere la residenza del proprietario, ma bensì un luogo dove organizzare ricevimenti ed eventi mondani. In effetti, lo spazio riservato alla servitù era molto ridotto.

La mala gestione delle finanze spinse i Menafoglio, nel 1823, a cedere la villa al patrizio milanese Pompeo Litta Visconti Arese, che a partire dal 1829 diede incarico all’architetto Luigi Canonica di ampliare il fabbricato, probabilmente in vista della sua elevazione al rango ducale (titolo che gli sarebbe stato conferito nel 1832 dall’imperatore d’Austria Francesco II).

I lavori si protrassero all’incirca tra il 1829 e il 1831. Canonica ricavò dai rustici le nuove scuderie e le rimesse per le carrozze, determinando un allargamento della piazza di fronte all'ingresso principale del fabbricato (oggi Piazza Litta). Egli disegnò, inoltre, un nuovo fabbricato a un solo piano, a pianta rettangolare resa ovale scantonando gli angoli per mezzo di colonne, destinato a ospitare la grande e sontuosa sala da pranzo, noto come ‘salone impero’. All’architetto sono ascrivibili molti elementi della sala, inclusi la stufa, il disegno del pavimento, le console e tutti gli elementi di raccordo architettonico. In sostanza, Canonica trasformò la "villa di delizia" dei Menafoglio in una dimora signorile.

Nel 1956 il nuovo proprietario della villa, il conte Giuseppe Panza di Biumo, appassionato di arte contemporanea (soprattutto americana), iniziò a raccogliere nella villa un'ampia collezione di questo tipo di arte. In particolare invitò celebri artisti suoi contemporanei a trasformare alcune stanze della villa (specie nell'area dei Rustici) in altrettante opere d'arte ambientale: si possono tuttora ammirare le opere di arte ambientale create, tra gli altri, da Dan Flavin, James Turrell e Robert Irwin, appositamente per i locali della villa durante il soggiorno degli artisti in casa Panza.

Nella villa vera e propria raccolse invece opere quali tele monocromatiche e scultureminimaliste, opera degli artisti Phil Sims, David Simpson, Ruth Ann Fredenthal, Max Cole, Maria Nordman, Martin Puryear, Ford Beckman, Ross Rudell, Alfonso Fratteggiani Bianchi, Ettore Spalletti, Lawrence Carroll, Stuart Arends, Allan Graham, Winston Roeth. In totale sono raccolte cento opere di artisti contemporanei, armoniosamente accostate a preziosi arredi del XVI-XIX secolo ed esemplari di arte africana e precolombiana. Nel 1996 la villa entrò a far parte del patrimonio del Fondo Ambiente Italiano, a seguito della donazione dei proprietari Giuseppe e Rosa Giovanna Panza di Biumo (che si limitarono a mantenere il secondo piano come loro abitazione. Il FAI provvide ad effettuare i necessari restauri ed adeguamenti strutturali e, nel 2001, la villa fu aperta al pubblico. Nel 2013 riceve il certificato d'eccellenza da TripAdvisor.



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venerdì 24 aprile 2015

VELATE E LA TORRE

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Velate è una frazione della città di Varese posta nel quadrante nordoccidentale dell'area urbana.

A Velate, borgo fortificato esistente fin dall'epoca tardoromana (“castrum de Vellate”), si trova una torre medioevale risalente all'XI secolo.

Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 316 abitanti, nel 1786 Velate con Fogliaro entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 630 abitanti. Nel 1809 e fino al ritorno degli austriaci il comune si allargò su risultanza di un regio decreto di Napoleone che gli annesse Santa Maria del Monte e Sant'Ambrogio Olona. L'abitato, che dal 1825 fu dotato di un proprio Consiglio comunale, crebbe poi discretamente tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 1137 anime, salite a 1247 nel 1871. Una sensibile crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo portò poi ai 2450 residenti del 1921. Fu però il fascismo a decidere nel 1927 la soppressione dell'autonomia municipale annettendo l'abitato a Varese, onde dare un adeguato rafforzamento al neocapoluogo provinciale.

La statuaria mole della Torre di Velate giganteggia sull'omonimo paese, località tranquilla già abitata in epoca romana, come testimoniato da vari ritrovamenti e dalla stessa Torre. I suoi ruderi sono visibili appena fuori dall'abitato, nei pressi del cimitero. La torre costituisce un punto fermo nel paesaggio collinare dei dintorni di Varese e, per la gente del luogo, ha un alto valore simbolico.

La possente Torre di Velate fu edificata intorno al secolo XI sulle alture dominanti la strada per il lago Maggiore. Venne eretta a scopo difensivo, al fine di proteggere la parte sud della cinta di Velate (il cosiddetto "Castrum de Vellate", un borgo fortificato fin dall'epoca tardoromana).
La torre venne parzialmente distrutta nel XII secolo, durante la guerra tra i Visconti di Milano e i Torriani di Como, la stessa che segnò la fine di Castel Seprio. Del poderoso quadrilatero originario, alto 25 metri, è rimasto un intero lato, reso più resistente dal corpo della scala che gli è solidale, e parte di un altro.
Grazie alle finestre monofore strombate che si aprono nella muratura di pietra spaccata sappiamo che la Torre originaria era costituita da cinque piani. Nel 2003 furono resi pubblici i risultati delle indagini archeologiche condotte sulla Torre a partire dal 2001, tali studi sono stati possibili grazie al sostegno della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, in collaborazione con il Centro Culturale e il Circolo Famigliare di Velate e la delegazione FAI di Varese.

All'interno della torre sono stati individuati il tratto di fondazione meridionale originario e un pilastro portante in pietra posto al centro della torre. Tale scoperta ha consentito di formulare nuove ipotesi sulla tecnica costruttiva dei piani pavimentali. È stato infine portato alla luce uno strato con evidenti segni di incendio che coincide probabilmente con la devastazione del XII secolo: qui gli archeologi hanno recuperato alcune monete d'argento coniate dalla Zecca di Milano; esse furono quasi certamente utilizzate durante la breve età comunale della Torre.
Se la vita dell'edificio come baluardo militare termina agli albori del Basso Medioevo, approfondite ricerche ci informano sulla sua conversione agricola (circoscrivibile ai secoli XIII e XIV ) per mezzo di vigneti a terrazzamenti dell'area circostante. Altri ritrovamenti tra cui monete sforzesche e frammenti ceramici testimoniano infine la vitalità del sito di Velate almeno fino al 1600.



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giovedì 19 marzo 2015

ANDREA FANTONI

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Andrea Fantoni(Rovetta, 26 agosto 1659 – Bergamo, 25 luglio 1734) è stato uno scultore italiano e proveniva da una famiglia di grande vocazione artistica, dato che sia il padre che i fratelli, ed in seguito anche i figli e nipoti, lavorarono in una bottega ad ambito familiare rinomata in tutta l'Italia settentrionale.

Grandi intarsiatori, i Fantoni ebbero principalmente come committenti enti ecclesiastici: difatti le loro principali opere sono racchiuse nelle chiese della zona di Bergamo, della valle Seriana e della valle Camonica. Esponente di spicco di questa famiglia, Andrea Fantoni ebbe un'ottima educazione artistica: dapprima istruito presso la scuola di Pietro Ramus di Mù, si recò, ancora adolescente, a Parma dove ebbe modo di lavorare per qualche mese a Palazzo Ducale.

Tornato nel suo paese natale, lavorò nella bottega di famiglia, nella quale ricoprì ben presto il ruolo più importante. E riuscì a portare la sua bottega in una posizione di assoluto prestigio. Alla sua morte, avvenuta nel 1734, lasciò la gestione della bottega ai fratelli ed al nipote Grazioso Fantoni.

Ad Alzano Lombardo all'interno della Basilica di San Martino è conservato, e tuttora utilizzato per le messe solenni, il pulpito marmoreo, creato con la collaborazione con Giovan Battista Caniana (fantoniana è la parte bassa del pulpito, il così detto calice marmoreo, mentre dei Caniana è la realizzazione del baldacchino) e il bassorilievo in marmo bianco ai piedi dell'altare della Madonna del Rosario, che raffigura la Nascita di Maria. Sempre ad Alzano Lombardo, nel complesso della Basilica, vi sono gli arredi delle due sagrestie. Se nella prima sagrestia la quasi totalità degli arredi è da attribuirsi al padre Grazioso Fantoni, Andrea Fantoni realizzerà tutta la seconda sagrestia, più piccola, ma molto più ricca di dettagli e caratterizzata dal ciclo delle scene di martirio dei Santi, inserita in un ambiente decorato dagli stucchi policromi dei fratelli Sala.

A Clusone nella Basilica di Santa Maria Assunta vi sono molte sue opere tra cui l'altare maggiore, le cinque statue del coro, gli intagli policromi e le cariatidi del pulpito realizzate in marmo. A lui vengono attribuiti anche gruppi lignei policromi raffiguranti la deposizione di Cristo nel Sepolcro nell'oratorio dei Disciplini, così come a Gandino, l'abside in marmi policromi e le sculture della Vergine e degli angeli nella Basilica di Santa Maria Assunta.

A Rovetta, suo paese natale, nella chiesa parrocchiale di Tutti i Santi, vi sono l'altare maggiore in marmo con tabernacolo, due angeli adoranti sempre sull'altar maggiore, un bassorilievo (l'Annunciazione), un altorilievo (la nascita di Maria) e numerose altre opere lignee e ai piedi dell'altare della Madonna da lui realizzato vi è la sua sepoltura messa in evidenza da una semplice lastra in marmo nero. Nella chiesa dei Disciplini invece si conserva il "Compianto del Cristo morto", un gruppo di statue di grandezza naturale raffiguranti il Cristo ed altre tradizionali figure.

A Cerete, nella Chiesa di San Vincenzo martire a Cerete Basso è conservato il Cristo Grande e a Cerete Alto ha realizzato il progetto architettonico la nuova Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo e il relativo altare maggiore.

Inoltre, sempre nel suo paese d'origine, è visitabile la casa museo Fantoni, in cui sono conservati i locali in cui visse ed operò tutta la famiglia, con migliaia di disegni, numerose opere in svariati materiali (legno, marmo, terracotta, gesso), documenti che attestano momenti della vita dei proprietari della bottega, attrezzi utilizzati e tutto ciò che possa far comprendere le personalità che vissero ed operarono in quel luogo.Il suddetto museo è stato segnalato dal FAI come luogo del cuore.



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