Visualizzazione post con etichetta porta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta porta. Mostra tutti i post

mercoledì 17 giugno 2015

I RIONI DI CARAVAGGIO



Caravaggio ha quattro rioni storici.

Porta Vicinato deve il suo nome ad una delle quattro porte che attraversavano la cinta muraria del borgo medievale e consentivano l'accesso all'esterno.
Il rione Vicinato nacque probabilmente dalla maggiore delle corti da cui ebbe origine, per successive espansioni, l'agglomerato urbano di Caravaggio. Già entro la fine del XIII secolo Vicinato si era unita alle vicine corti di Corenzo, di cui oggi non rimane traccia, e Prata, per lungo tempo sede del castello cittadino; a questo periodo risale la suddivisione del centro storico nei quattro rioni attuali.
Il nome del rione è probabilmente dovuto alla sua centralità storica, che fece sì che i suoi abitanti originari, vicini fra loro all'interno dell'antica corte, fossero considerati i primi cittadini di Caravaggio.
L'origine antichissima di Vicinato lo rende un elemento centrale di numerose leggende e tradizioni popolari. Si tramanda, ad esempio, che il rione ospitò la famiglia di Giannetta de' Vacchi, la giovane contadina cui, il 26 maggio 1432, secondo la tradizione cattolica apparve la Madonna di Caravaggio.
Un'altra tradizione legata alla religione cattolica vuole che san Fermo e san Rustico, patroni della città, transitarono per Porta Vicinato mentre erano diretti a Verona, ove furono decapitati nel 306; durante il loro breve soggiorno nel borgo, i santi avrebbero resuscitato in paese un morto. Naturalmente questo resoconto fantasioso, pur se molto radicato nella tradizione locale, si scontra con la totale assenza di reperti o testimonianze che lascino intendere un'origine così antica della corte.

Porta Prata deve il suo nome ad una delle quattro porte che attraversavano la cinta muraria del borgo medievale e consentivano l'accesso all'esterno, in direzione nord-ovest, verso la vicina Treviglio.
Il rione Prata ebbe origine come piccola corte già nel Medioevo; un valido terminus ante quem è il Duecento, periodo nel quale la corte venne agglomerata dalla vicina corte di Vicinato, assieme alla corte di Corenzo, oggi scomparsa. Nello stesso periodo è documentata l'esistenza di una chiesa, citata come Sancta Maria de Prata, e di una struttura difensiva laddove più avanti sorgerà il castello di Caravaggio.
Il pittore Giovanni Moriggia, morto nel 1878, trascorse gli ultimi anni della sua vita in un elegante palazzo situato al termine dell'antica via Prata; la sua permanenza nel rione è oggi ricordata da una targa commemorativa.
Sulla piazza Locatelli, situata all'estremo nordoccidentale del centro storico, si affacciava l'antico castello posto a difesa del borgo, che fu più volte distrutto e ricostruito; in epoca medievale vi era insediato il Governatore della città. Perduta la propria funzione difensiva, il castello iniziò a subire un progressivo smantellamento nel corso del XVIII secolo, quando, in occasione della peste, si decise di riutilizzare i suoi materiali per altre costruzioni. La piazza è tuttora popolarmente nota come piazza Castello.
Verso la fine del Settecento fu eretta in piazza Locatelli una chiesa dedicata a san Defendente; in occasione della ricorrenza onomastica del santo la piazza era sede della cerimonia di benedizione dei cavalli. Avendo progressivamente perso la propria funzione di luogo di culto, la chiesa fu smantellata nel 1920; negli ultimi anni era stata impiegata come deposito comunale.
L'edificio che oggi domina la piazza, attualmente sede delle scuole elementari, fu inaugurato l'8 dicembre 1912; il progetto originario prevedeva ampi giardini prospicienti alla costruzione.
Sempre a inizio Novecento, quando la piazza era intitolata a Felice Cavallotti, vi sorgeva la stazione locale dei tram a vapore per Treviglio e Bergamo, le cui corse erano iniziate nel 1883.

Porta Folcero deve il suo nome ad una delle quattro porte che attraversavano la cinta muraria del borgo medievale e consentivano l'accesso all'esterno.
Si tratta forse del rione più antico, situato nella parte sud-orientale del borgo; con il passare del tempo, il termine è stato esteso fino a comprendere tutti i quartieri più recenti costruiti all'esterno della cinta muraria nelle immediate prossimità della Porta corrispondente.
All'interno di Folcero è situata la Chiesa di San Fermo e Rustico, il più antico edificio di culto della città; vi si trovavano inoltre il primo cimitero cittadino, un convento e probabilmente anche il palazzo della famiglia Secco.
Il nome Folcero, citato da alcune testimonianze medievali (riprese da Tullio Santagiuliana) come Folceru o Folzeru, sembra derivare dall'espressione dialettale fols, "falce" (cfr. l'espressione latina falciarius, ovvero "falciatore"); si tratta di un evidente riferimento alla professione più diffusa fra gli abitanti del rione, tuttora testimoniata dalla particolare toponomastica di alcune strade locali (via degli Orti, vicolo della Spiga, vicolo del Fieno).
Altre ipotesi sull'etimologia del nome lo ricollegano al ricordo dell'isola Fulcheria, oppure al passaggio in città della principessa Pulcheria (che peraltro si rese responsabile della distruzione della porta stessa).
Il rione Folcero ospitò, nella seconda metà del XVI secolo, la famiglia di Michelangelo Merisi; è possibile che la madre Lucia Aratori, nativa del quartiere, e il padre Fermo Merisi vi abbiano contratto matrimonio in un'ipotetica chiesetta dedicata a san Pietro e sant'Andrea, di cui oggi non rimane traccia. È inoltre certo che nel 1577, alla morte del padre, il celeberrimo pittore si trasferì nell'abitazione dei nonni, in Folcero, e vi soggiornò fino al 1592, quando partì per Roma.

Porta Seriola deve il suo nome ad una delle quattro porte che attraversavano la cinta muraria del borgo medievale e consentivano l'accesso all'esterno, in direzione nord, verso Bergamo.
Il rione è compreso fra la Chiesa di Santa Elisabetta e la Chiesa di Santa Liberata (situata appena fuori porta). Si tratta di uno dei rioni più antichi del borgo; era già sviluppato nel Duecento, tanto che l'antica cinta muraria della città, risalente a quel periodo, segue un percorso irregolare proprio in sua corrispondenza, di modo da inglobarne completamente la parte più antica.
Appena fuori porta, e quindi in direzione nord rispetto al centro abitato, si trovava anticamente un'area rurale irrigata grazie alle canalizzazioni provenienti dal vicino fiume Serio, note, appunto, con l'appellativo di seriöle.
A tutt'oggi il rione ospita la confluenza di due importanti rogge bergamasche, la Roggia Basso e la Rognola, che in passato alimentavano il fossato posto a corona delle mura difensive e le cui acque, attorno al 1300/1400, erano anche utilizzate per alimentare un grande mulino (oggi informalmente conosciuto come Mulino Mascaretti). L'antico sistema di rogge è tuttora in funzione, sebbene all'interno dell'attuale centro urbano i corsi d'acqua siano stati in gran parte coperti dal Dopoguerra ad oggi.
Secondo fonti non confermate, la casa della famiglia Merisi, da cui trasse i natali il celeberrimo pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio, si sarebbe trovata all'interno del rione Seriola; quest'ipotesi è supportata dalla presenza, nello stemma dei Merisi, di un mazzo di spighe, che figura anche nel gonfalone ufficiale del rione.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/06/in-visita-caravaggio.html





.

FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



venerdì 5 giugno 2015

LE VILLE DI LODI



Il Centro direzionale della Banca Popolare di Lodi, noto anche come Bipielle Center o Bipielle City è la sede dell'omonimo istituto bancario.

Progettato da Renzo Piano e sorto nei pressi della stazione ferroviaria a pochi passi dal centro storico di Lodi, è una struttura di grandi dimensioni che rappresenta la costruzione più interessante della città sotto il profilo architettonico tra quelle della seconda metà del Novecento.

È stato scelto come ambientazione per alcuni spot pubblicitari televisivi.
Il complesso si sviluppa su oltre tremila metri quadrati e comprende diversi edifici che ospitano – oltre alla sede centrale della banca – spazi sociali (come un auditorium), negozi e bar. L'edificio principale presenta una facciata di oltre 250 metri di larghezza con pannelli modulari in cotto.

Lo spazio interno è in parte coperto da una tensostruttura in vetro e cavi d'acciaio, che si estende dall'edificio principale all'auditorium, una struttura circolare con circa 800 posti; al centro è ospitata una fontana in movimento perenne creata dall'artista giapponese Susumu Shingu.

Il teatro alle Vigne è il principale teatro della città di Lodi. Originariamente si trattava di una chiesa, canonica dell'ordine degli Umiliati, ma nel 1570 passò ai padri barnabiti che lo convertirono in istituto superiore di teologia, morale e filosofia. Dopo numerosi cambiamenti di destinazione d'uso ed una radicale ristrutturazione, nel 1985 divenne sede del teatro; il suo primo direttore artistico fu Carlo Rivolta.

In origine si trattava di una chiesa appartenente all’ordine religioso degli Umiliati (chiesa di San Giovanni e Ognissanti alle Vigne). Nel 1604, in seguito alla soppressione dell'ordine da parte di Papa Pio V, la struttura venne donata ai Barnabiti, i quali, su progetto dell'architetto Giovanni Ambrogio Mazenta, nel 1618 fecero apportare alcune modifiche secondo le esigenze di solennità della Controriforma: lo spazio interno fu trasformato in una grande aula e il presbiterio venne reso ben visibile da tutti. La chiesa fu quindi consacrata nel 1627, anche se i lavori continuarono fino al 1693, per poi riprendere nuovamente in periodo austriaco (1731-1734) quando furono rifatte le volte, il pavimento e la sagrestia. Negli anni successivi la chiesa divenne sempre più ricca e sfarzosa grazie all'installazione delle campane (1752) ed una serie di arredi e tappezzerie; tuttavia nel 1810, sul finire dell'epoca napoleonica, l'ordine fu sciolto e la chiesa, spogliata di tutti gli ornamenti, divenne prima deposito di granaglie, ed in seguito (1874) palestra. Le operazioni di recupero iniziarono nel 1976, ma l'attività teatrale ebbe inizio solo nel 1985.

Casa Biancardi ha una planimetria irregolare e si affaccia su un cortile in comune. In origine al suo posto vi si trovava la fabbrica di ceramiche dei fratelli Coppellotti, che produceva oggetti decorati in stile Vecchia Lodi, ma nel 1930 dopo un incendio al suo posto viene costruita Casa Biancardi.
Bello il contrasto tra il colore rosso quasi pompeiano ed il bianco-grigio dei bassorilievi che contengono al loro interno le finestre.
Le principali decorazioni Liberty sono il balcone, con motivi floreali, e le colonnine su cui è costruito.
Al primo piano gli ornamenti superiori delle finestre sono caratterizzati da bassorilievi in calcestruzzo che rappresentano severi visi femminili incorniciati da nastri fluenti, fiori e foglie; le finestre del piano superiore sono abbellite da fiori (girasoli o margherite), mentre all'ultimo piano troviamo esclusivamente forme geometriche.
 
La Casa degli Angeli si articola attorno a un cortile rettangolare porticato. Il lato che si affaccia su via Solferino è a quattro piani (l'ultimo è un loggiato aperto); gli altri tre lati sono a tre piani.

Casa Joli Riccardo ha una pianta irregolare e si articola intorno a un vasto cortile quadrato.
Il corpo principale, che si affaccia su corso Adda, ha una struttura su quattro piani fuori terra, con il portone d'ingresso situato in posizione leggermente asimmetrica. Il fabbricato che occupa il lato destro del cortile, è a due piani; gli altri due lati  sono a tre piani.
L'edificio venne costruito su un antico convento "San Cristoforino" appartenuto alle Umiliate: dell'antico monastero rimangono le tracce degli archi a tutto sesto nel cortile interno.
 
Casa Piontelli fu progettata e costruita nel 1903 dall'arch. Maisetti su commissione dell'ing. Piontelli.
Tipica architettura di una residenza privata. Edificio a pianta a L, con struttura a pilastri intonacata. Si distinguono 2 corpi separati, ma la suddivisione interna ed i collegamenti sono in comune. Le due parti hanno subito differenti trattamenti decorativi.                                    
La costruzione è riccamente decorata, a partire dal pianterreno dove le finestre delle cantine presentano un contorno curvilineo con decorazioni raffiguranti foglie e bacche di ippocastano incavate. Le ringhiere in ferro battuto sono curvilinee con fiori. Anche le inferriate delle finestre sono in ferro battuto, ma sono più lineari. Sculture a foglie di ippocastano ornano le finestre del primo e del secondo piano. La decorazione continua anche al terzo ed ultimo piano con bassorilievi intorno alle finestre, una fascia dipinta ad affresco con motivi floreali stilizzati. Nei due settori laterali, che hanno caratteristiche diverse rispetto al resto della costruzione, all'ultimo piano, due visi femminili affiancano le finestre.      
 
Casa de Vizzi è un'elegante palazzina che nel tratto prospiciente Corso Roma ospita al piano terra alcuni negozi.
E' caratterizzata da accurate decorazioni Liberty, soprattutto ai piani superiori.
Sono da ammirare anche alcune finestre che mantengono i vetri colorati originali. Spicca il lungo balcone d'angolo del primo piano con rilievi floreali di papaveri in calcestruzzo e ringhiere in ferro battuto che rappresentano foglie di ippocastano e bacche. Gli stessi bassorilievi coronano le finestre del primo piano. Al secondo piano ritroviamo le ringhiere in ferro battuto mentre le decorazioni intorno alle finestre sono di tipo geometrico.
All'ultimo piano le finestre hanno il profilo superiore curvilineo e diventano quasi delle bifore, mentre permane la decorazione floreale nelle ringhiere. Una cornice racchiude la fascia pittorica con motivi floreali presente nel sottotetto.
Alcuni tondi che decorano le finestre del secondo e terzo piano hanno una colorazione a smalto.di e arancioni.
L'ultima parte di questa palazzina si discosta da tutto il resto.
Il piano terra è occupato da un negozio mentre i piani superiori sono occupati da tre finestre affiancate, quasi delle bifore, che presentano un coronamento curvilineo. Al primo piano notiamo un balcone, realizzato in ferro battuto, con la ringhiera a motivi floreali riproducenti foglie di quercia.
Ritroviamo la stessa decorazione nei balconcini dei piani superiori mentre un bassorilievo decora il sottotetto.
Sono interessanti i due pilastri che racchiudono la facciata: a fianco del balcone del primo piano, infatti, troviamo due tondi a bassorilievo contornati da pigne e aghi di pino mentre una ricca decorazione conclude in alto i pilastri stessi.
L'edificio si articola intorno a un cortile rettangolare; tre lati sono a tre piani , mentre il fabbricato collocato nel lato di fondo è a un solo piano.

Casa Subinaghi si trova nel centro abitato, integrato con altri edifici.
Casa Subinaghi è un'elegante palazzina, forse progettata dall'architetto Maisetti, che si sviluppa prevalentemente in altezza. L'ingresso del negozio posto al pianterreno è caratterizzato da eleganti pilastri decorati da foglie d'edera che sembrano uscire dal calcestruzzo. Tipicamente Liberty sono anche i capitelli floreali.
Il primo piano presenta un lungo balcone con decorazioni floreali a bassorilievo e una ringhiera curvilinea rifinita con vetri colorati.
La stessa decorazione si ripete nei balconi poco sporgenti presenti nei due piani superiori.
Una fascia pittorica decora la curva zona del sottotetto.

Casa Arosio, una delle palazzine Liberty più eleganti di Lodi, è sorta come sede del Cinema Mignon, su progetto dell'ingegnere Piontelli.
Sulla facciata sono presenti elementi caratteristici Liberty: dalla decorazione pittorica e scultorea floreale, alle vetrate colorate, al ferro battuto.
Al piano terra le parti superiori delle vetrine conservano vetri colorati gialli, verdi e blu.
Subito sopra corre una fascia marcapiano riccamente decorata: si possono notare anche splendidi mascheroni (forse teste di leoni o di fauni) anteposti a cetre, antichi strumenti musicali spesso identificativi delle muse dell'arte e della musica.
Al di sopra corre la decorazione pittorica che ha come soggetto tralci di rose.
Ritroviamo gli stessi fiori in calcestruzzo sugli angoli delle cornici delle finestre e sul lungo balcone.
La ringhiera invece si stacca dal contesto naturalistico, diventando quasi astratta.
Il lungo balcone del piano superiore presenta rose in bassorilievo solo sugli angoli inferiori, mentre la ringhiera riprende il motivo del piano sottostante.
 
Villa Braila fu ideata nel 1901 dall'architetto Gallavresi ed è ora sede di Associazioni e di una sede distaccata della Biblioteca Laudense. L'imponente costruzione si sviluppa su tre piani fuori terra ed uno seminterrato, ed è circondata da un ampio parco riccamente piantumato, le annesse scuderie e la casa dei custodi. La villa vera e propria, situata in mezzo al parco, conta diverse aperture tra cui la principale sul lato est, preceduta da un porticato ligneo con solaio a cassettoni decorato con motivi floreali e sostenuto da colonnine in cemento armato. Le diverse aperture in questo lato (sette portefinestre e otto finestre, accostate a bifore ed intervallate da decorazioni con soggetto naturalistico) sono chiuse da serramenti in legno o inferriate. La decorazione ricorre anche su altri lati che presentano ulteriori motivi ornamentali: su quello sud il balcone, l'unico della villa, presenta una ringhiera in ferro battuto che richiama il disegno delle inferriate di alcune finestre; sul lato ovest si staglia, invece, un alto porticato vetrato a veranda, sempre sorretto da colonnine in cemento armato.
Il quarto lato presenta l'ingresso di rappresentanza sopra al quale posiamo leggere la scritta, voluta dagli antichi proprietari, "Domus Amica".
Altri elementi Liberty sono le inferriate delle finestre delle cantine e la fascia pittorica che, all'altezza delle finestrelle dell'ultimo piano, gira tutto intorno all'edificio.

Il Ponte sull'Adda ad archi ribassati che, attraversando il fiume, collega il quartiere Borgo Adda con Revellino-Campo di Marte. Fu costruito nel 1864 per rimpiazzare l'originario ponte di legno dove si svolse la battaglia di Lodi, bruciato dalle truppe austriache nel 1859, durante la seconda guerra di indipendenza.

La sua struttura, costituita da otto archi in muratura a sostegno del piano stradale, fu realizzata nel 1864; doveva rimpiazzare l'antico ponte di legno, distrutto nel 1859.

Le prime testimonianze storiche di un'opera che permettesse l'attraversamento dell'Adda parlano di un ponte “del Fanzago” Torretta, che gli abitanti di Laus Pompeia usavano per recarsi verso Crema, Brescia e Bergamo, ma si trattava più propriamente di una passerella per pedoni.

Nel 1158, Federico Barbarossa permise la costruzione di un nuovo ponte a nord-est della nuova città; fu eretto dall'architetto Muzio della Gatta e divenne fonte di guadagno per i lodigiani.

Cento anni più tardi, nel 1258, fu edificato un secondo ponte a Vallicella (Borgo Adda), in corrispondenza dell'attuale via XX settembre.
Durante la Guerra tra gli Sforza e la Repubblica di Venezia, nel 1447, i veneziani entrano vittoriosi in città attraversandolo, ma con la Pace di Lodi, l'esercito dovette lasciare la città.

Nel 1454, Francesco Sforza fece erigere un nuovo ponte, ma già nel 1473 Andrea da Foligno, ingegnere ducale, dovette procedere a lavori di riparazione; all'inizio del Cinquecento il ponte fu distrutto nuovamente, ma venne ricostruito molte volte già a partire dal 1508, come ponte di barche.

Nel 1649 transitò sul ponte Marianna d'Austria, figlia dell'imperatore Ferdinando III, la quale stava andando in Spagna da Vienna per sposare Filippo IV. In suo onore furono fatti festeggiamenti speciali.

Il 10 maggio 1796 Napoleone vi combatté contro l'esercito austriaco, in quella che rimase nella storia come la battaglia del ponte di Lodi. All'epoca il ponte di legno era lungo circa 200 metri e largo 8. Era formato da 57 campate, 31 delle quali poggiavano nel corso principale del fiume e altre 5 in un ramo secondario, le rimanenti poggiavano su terra.

Nel 1859 durante la seconda guerra di indipendenza, gli austriaci bruciarono il ponte che fu ricostruito in cotto, su progetto dell'architetto Gualini di Milano, nel 1864, 15 metri più a monte rispetto al precedente. Il nuovo ponte, dal 1880 al 1931, fu percorso dalle tranvie interurbane per Bergamo e Soncino.

Nel 2000 furono realizzate due passerelle ciclopedonali. Nel novembre dell'anno seguente venne inaugurato un secondo ponte, 500 metri più a sud.

Porta Cremona, nota anche come Porta Cremonese, è l'unica rimasta tra le antiche porte di accesso alla città, impiegate per secoli come barriere daziarie.

In epoca medievale, per accedere alla città da sud bisognava attraversare un ponte levatoio sulla roggia Molina, e quindi la porta detta "cremonese". Per difendere e controllare il territorio della sottostante palude di Selvagreca, l’imperatore Federico II, nipote di Federico Barbarossa, nel 1234 fece erigere in questa zona anche un castello che ebbe però vita breve: dopo la morte dell'imperatore, nel 1251 i milanesi, entrati in città con l'aiuto di Sozzo Vistarini, ne imposero la distruzione. Al giorno d'oggi, dalla scalinata che porta il nome dell'imperatore si può vedere una torretta di guardia, detta specola. La porta cremonese presenta tre ingressi: quello centrale veniva utilizzato dai carri con le merci e dai nobili a cavallo, e veniva chiuso con un portone in legno al tramonto, i due laterali erano riservati ai pedoni. L'aspetto attuale è dovuto al completo rifacimento realizzato tra il 1790 e il 1792 dall'architetto Antonio Dossena.

La barriera daziaria a Lodi venne abolita il 30 aprile 1911, in esecuzione della deliberazione del Consiglio Comunale del 23 aprile 1910; a ricordo dell'evento venne posta sulla Porta una lapide commemorativa.





.

FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



giovedì 14 maggio 2015

LA CHIESA DI SANTA MARIA DEL CARROBIOLO A MONZA

.


La chiesa di Santa Maria al Carrobiolo si trova a Monza.

Del preesistente volto medioevale della Santa Maria sopravvivono oggi solo la torre campanaria, l'abside a terminazione piana e alcune porzioni di muratura esterna, mentre l'interno a tre navate scandite da colonne e la facciata aperta da una grande serliana sono il frutto di una rimodellazione esemplata sul prototipo alessiano del milanese San Barnaba, ora e per i successivi due secoli punto di riferimento per la fondazione monzese per l'assetto architettonico e liturgico e le scelte artistiche.
A Simone Peterzano, artista in più occasioni coinvolto in commissioni per i Barnabiti, furono affidate le pale degli altari laterali, con la Gloria di Ognissanti (in memoria della chiesa distrutta) e della Sacra Famiglia con san Giovannino, santa Elisabetta e i santi Pietro e Paolo, opere il cui composto indirizzo neocinquecentista appare pienamente adeguato alle istanze controriformate (le pale hanno oggi una diversa collocazione). Lo stretto rapporto di san Carlo con i Barnabiti è testimoniato da una preziosa anconetta con la Crocefissione e scene della Passione di Cristo, recante sulla cornice l'iscrizione SANCTI CAROLI DONUM. L'altarolo, già nell'oratorio privato del primo vescovo Borromeo nel Palazzo arcivescovile di Milano, e ora conservato nel Collegio annesso alla chiesa, fu lasciato in morte dal santo ai Barnabiti monzesi; il dipinto, tradizionalmente assegnato ad Antonio Campi (attribuzione spostata nel 1993 dalla Gregori sul fratello Vincenzo), è in rapporto tematico e compositivo con una più complessa Crocefissione con scene della Passione di Antonio Campi, datata 1569, donata dal santo alle Angeliche di Milano, congregazione femminile legata ai Barnabiti, oggi ai Musei del Louvre. I cremonesi Campi furono a Milano i maestri prediletti da san Carlo, per la loro pittura capace di combinare l'aggiornamento sul manierismo tosco-romano con ricerche naturalistiche e luministiche di matrice lombarda, e con una tensione patetica di forte impatto devozionale. Ricercato a Milano, secondo quanto scriveva il Borsieri nel 1619 nel Supplimento alla Nobiltà di Milano del Morigia, dai devoti e dagli ordini religiosi, per la gratia conferita alla sua pittura da un raffinato e sereno classicismo, assecondato dal colorire leggero e delicatamente sfumato, Guglielmo Caccia detto il Moncalvo lavora assiduamente per i Barnabiti in San Barnaba e in Sant'Alessandro. Sempre il Borsieri informa di un suo soggiorno a Monza, "dove ha fatto moltissime opere". Non meraviglia quindi che per i Barnabiti di Monza egli sia stato chiamato a realizzare una serie di tele di altissima qualità, originariamente destinate alla cappella maggiore, eseguite sullo scorcio del secondo decennio del Seicento: l'Adorazione dei pastori, l'Adorazione dei Magi, l'Assunta, Sant'Agata, il Redentore benedicente, la Vergine in preghiera, cui si aggiungevano gli Apostoli, dispersi, nella navata maggiore. Per la cappella del Noviziato nel Collegio, Giovanni Mauro Della Rovere detto il Fiammenghino dipinse la bella pala della Madonna col Bambino, opera molto curata nella finitura lucente, quasi smaltata, della cromia, di una cordiale ispirazione gaudenziana filtrata attraverso il Morazzone e, anche più, attraverso il Moncalvo.
Unica cappella laterale della chiesa è quella sul fianco sinistro, fondata nel 1649 da Francesco Bernardino Castiglioni con l'intitolazione alla Vergine e a san Giuseppe, più tardi dedicata all'Addolorata. La pala d'altare originaria del Matrimonio della Vergine, oggi esposta nella navata, è una rara opera del milanese Rizzardo de' Tavolini, imparentato con la famiglia degli intagliatori Taurino (operosi a Monza nel Duomo e in San Gerardo), allievo secondo le fonti di Camillo Procaccini.
Fortunatamente è giunta fino a noi nella navata maggiore la vasta impresa decorativa di Andrea Porta, con la collaborazione di Donato Mazzolino e, per le quadrature, dei varesini Giovanni Battista e Gerolamo Grandi.

A Monza numerose furono le chiese costruite ex novo, oppure profondamente trasformate, nel clima del riformismo borromaico che esercitò una forte presa soprattutto sulle fondazioni conventuali. A fronte delle copiose elencazioni e descrizioni contenute nelle fonti, fra cui si segnalano le Memorie storiche di Monza e sua corte dello storico ed erudito locale Anton Francesco Frisi, edite alla fine del Settecento (1794), va constatato peraltro il grave impoverimento subìto dal patrimonio architettonico ecclesiastico, in conseguenza, dapprima, delle soppressioni giuseppine e napoleoniche di ordini religiosi e congregazioni, quindi, delle nuove soppressioni post-unitarie, e degli sconvolgimenti urbanistici con le conseguenti distruzioni occasionate fra Otto e Novecento dal decollo economico e industriale della Brianza.
L'esempio più organico sopravvissuto fino ad oggi di rinnovamento post-tridentino di un complesso ecclesiastico è costituito dalla chiesa e dal collegio di Santa Maria del Carrobiolo, non casualmente di pertinenza dei Barnabiti, congregazione di origine milanese profondamente legata al riformismo borromaico. Dalla demolizione della medievale chiesa di Ognissanti, concessa da san Carlo nel 1573, i Barnabiti monzesi ottennero il materiale di recupero con cui affrontare il rifacimento della chiesa di Santa Maria, entrambe antiche prepositure degli Umiliati.
Avviato nel 1581, il corso dei lavori fu rapido, e il 5 giugno del 1584 veniva officiata la solenne consacrazione dallo stesso Carlo Borromeo. A quella data erano stati ultimati la cappella maggiore e i due altari principali in testa alle navate laterali; le quattro antine del tabernacolo del primo altar maggiore (poi rinnovato nel Settecento) furono dipinte dal manierista genovese Ottavio Semino, maestro a Milano del Duchino, con episodi biblici allusivi al mistero eucaristico (1581); gli stalli corali di severa sobrietà furono predisposti dall'intagliatore Giovan Pietro Locarno (1582).
Nel Settecento la chiesa fu sottoposta a importanti interventi di riqualificazione, solo in parte sopravvissuti. Scomparse al di sotto dei rifacimenti ottocenteschi sono le prospettive architettoniche del coro - documentate al 1696 al caposcuola della scuola quadraturistica locale, Giuseppe Antonio Castelli detto il Castellino, con la collaborazione del nipote Giuseppe - un apparato prospettico molto ammirato nelle fonti settecentesche. Ricoperte dal rifacimento novecentesco di Luigi Morgari le quadrature di Giovan Battista Riccardi sulle voltine delle navate minori, e gli affreschi di figura e di quadratura della cappella dell'Addolorata (eseguiti nel 1755 da Federico Ferrario e Francesco Antonio Bonacina).
Degli interventi settecenteschi sopravvive al Carrobiolo anche la Gloria angelica di Giovan Antonio Cucchi, entro quadrature del Riccardi, intorno alla porta che dalla navata destra introduce nel Collegio; del Cucchi è altresì la tela ovale di San Carlo posta al di sopra della targa marmorea con l'iscrizione che commemora la solenne consacrazione della chiesa da lui officiata nel 1584. Grazie alla generosità del novizio Carlo Alessandro Beria, fra il 1748 e l 1750 venne eretto il nuovo altar maggiore in marmi misti, pietre dure e bronzi dorati; esecutore fu il marmoraro Carlo Nava, mentre rimane sconosciuto l'autore del progetto.

Dei tempi passati la piazza del Carrobiolo ha conservato molto, dall'aspetto, che non deve essere molto diverso rispetto a quello settecentesco, alla denominazione. "Carrobiolo" è, infatti, il nome che i monzesi già dal Medioevo utilizzavano per designare quell'area che si trovava allora al limite settentrionale del borgo murato, lungo il tratto terminale della direttrice che attraversava la città in direzione nord-sud. "Porta carrobiola" era chiamata la porta che si apriva nel tratto nord orientale delle mura viscontee, dove l'odierna via Frisi incrocia la via D'Azeglio. In questo piccolo slargo che si apriva alla confluenza di diverse vie (questo è il significato etimologico del termine "carrobiolo") gli Umiliati, che nel 1201 si erano stanziati a Monza presso l'antichissima chiesa di Sant'Agata (nei pressi dell'attuale via De Amicis), ottennero di costruire una chiesa dedicata alla Madonna, la più antica tra quelle da essi fondate in città e successivamente anche la più ricca e prestigiosa se nel 1248 i della Torre, in cerca di denaro per finanziare la loro lotta contro i Visconti per il possesso del Ducato di Milano, proprio agli Umiliati del Carrobiolo lasciarono in pegno numerosi oggetti del Tesoro del Duomo di Monza tra cui la celeberrima Corona Ferrea.

Negli ambienti del convento, un tempo in gran parte adibito a noviziato, sono stati ricavati un teatro e un birrificio che produce dell'ottima birra che si può acquistare in loco o bere nei locali della città e della Brianza.




LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-monza.html



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://mundimago.org/



mercoledì 29 aprile 2015

LA VILLA PORTA BOZZOLO

.


Immerso nel tranquillo paesaggio della Valcuvia, valle prealpina nell'entroterra lombardo del lago Maggiore, quest'elegante complesso si è andato ampliando nei secoli attorno all'originario nucleo cinquecentesco.

Negli ultimi anni il FAI ha eseguito importanti interventi strutturali, riguardanti in particolare il restauro delle facciate minori e il recupero dei rustici, alcuni dei quali adibiti a spazi espositivi o convertiti in locali per manifestazioni e ricevimenti.

La villa venne costruita nella seconda metà del Cinquecento quando il nobile notaio Giroldino Della Porta acquistò a Casalzuigno una vasta estensione di terreno per realizzarvi una dimora signorile. All'inizio del Settecento la villa vide una delle sue più importanti trasformazioni per iniziativa di Gian Angelo III Della Porta (1690-1745), in occasione delle sue nozze nel 1711 con Isabella, figlia del conte Giorgio Giulini, antenato del noto storico milanese. Grazie all'architetto Antonio Maria Porani, egli volle impostare l'asse principale del giardino parallelamente alla facciata interna della dimora (contravvenendo così alle classiche norme secondo le quali l'asse principale doveva essere in asse con i saloni principali della villa, dividendo in due parti simmetriche il giardino stesso).

Al XVIII secolo risalgono invece ulteriori interventi di riqualificazione che aggiungono l'imponente giardino all'italiana con scale, fontane, giochi d'acqua e un'edicola affrescata. Intorno alla villa esistono interessanti rustici, come ad esempio un monumentale torchio contenente un ciclo di affreschi rococò dipinti nella bottega del pittore (di Varese ma originario di Vacallo in linea materna) Pietro Antonio Magatti. Al medesimo periodo risale la realizzazione di una ricca fontana realizzata nel 1723, ad opera dell'architetto Pellegatta.

Dopo queste realizzazioni la famiglia Della Porta entrò in declino e nell'Ottocento la residenza venne venduta dapprima ai Carpani, poi nel 1861 ai Richini e quindi nel 1877 ai Bozzolo che ne rimasero proprietari sino al 1989, anno in cui la struttura venne donata al FAI.

La facciata di Villa Della Porta Bozzolo è semplice ed elegante, in particolare per la linearità delle forme e per le decorazioni a tinte tenui concentrate soprattutto attorno alle finestre. Addenstrandosi all'interno, la prima stanza che si incontra è l'ampia sala da ballo, con il pavimento in cemento colorato e un imponente camino in marmo, affrescata con scorci paesaggistici che creano un interessante gioco di illusioni prospettiche. Nella volta sono invece rappresentate coppie di amorini che sorreggono dei tondi contenenti figure allegoriche e fanno da cornice all'immagine centrale dell'incontro tra la Pace e la Giustizia, richiamante un salmo di Davide.

Da qui dirigendosi a sinistra si incontrano la sala del biliardo coi busti di Camillo Bozzolo, senatore del Regno, e della moglie Caterina Belfanti, un salottino dotato di un prezioso arredamento ove spiccano un'ampia specchiera settecentesca, un pianoforte impero ed un orologio da parete di manifattura piemontese.

Andando invece verso destra, superato il camerino, si accede alla sala da pranzo dotata di una volta affrescata con l'immagine di San Francesco sul carro di Elia: in questa stanza è possibile ammirare una raccolta di vasi farmaceutici e, all'interno di un'antica credenza, un servizio da tavola in ceramica riportante lo stemma del casato fondatore. Si passa quindi attraverso le cucine ed un'anticamera impreziosita da un armadio settecentesco contenente parte della raccolta libraria della villa per poi raggiungere lo studio, il locale meglio conservato nel tempo con il suo austero arredo ligneo e, alle pareti, i ritratti dei fratelli Richini che divennero proprietari della villa poco dopo la metà del XIX secolo.

Salendo lo scalone si giunge al livello superiore dell'edificio, entrando in una galleria affrescata dove all'interno di finte nicchie sono rappresentate le figure femminili simbolo delle sette Virtù con al centro l'episodio biblico di Agar e Ismaele assistiti dall'Angelo. Sulla destra si apre il salone decorato con un fregio settecentesco opera del Romagnoli e, all'interno di cornici dipinte, ritratto di alcuni membri della famiglia Della Porta. Il piano si completa poi con una serie di stanze da letto: a destra del salone si trovano in successione la "camera del letto rosso" con il suo talamo a baldacchino della fine del XVIII secolo e la splendida "camera dal letto verde", dove spicca un originale letto del Settecento con le cortine del baldacchino damascate e il paramento alla base realizzato in seta intrecciata con fili d'argento; da notare anche le poltroncine e le sedie neoclassiche che completano l'arredo. Alla sinistra del salone, si costeggia una piccola alcova per giungere poi alla "camera del baldacchino giallo" che prende il nome appunto da un letto circolare in seta damascata collocato in un ambiente arricchito anche da una solida scrivania francese e da una specchiera d'epoca. Riattraversando la galleria si possono osservare le ultime tre stanze: "la camera del letto giallo" che ospita affreschi sulla vita di Mosè e un prezioso orologio da tavolo stile impero, e un'anticamera con un fregio decorato da vicende evangeliche che conduce ad un'ulteriore alcova.

Tratto distintivo della villa è sicuramente il ricchissimo giardino esterno, caratterizzato da un significativo patrimonio di piante e fiori, da edifici rustici che rimandano ad un passato in cui l'edificio era punto di riferimento dell'attività agricola della zona e da elementi monumentali che lo rendono una vera e propria "architettura dell'ambiente".

Varcato l'ingresso e superate le scuderie, ci si imbatte in una serie di strutture che erano adibite a scopi pratici: la ghiacciaia dove venivano conservati gli alimenti, il cinquecentesco monumentale torchio in legno (il più grande nel suo genere di tutta la Lombardia), utilizzato per la spremitura delle vinacce, la macina sfruttata per la produzione di olio, la vecchia filanda e la cantina, dove sono ancora conservate antiche botti.

Tutto questo fa da preludio allo stupefacente giardino barocco che si articola con scelta insolita, lungo un asse principale parallelo alla facciata dell'edificio, che risale la vicina collina attraverso quattro terrazzamenti ornati da balaustre e statue in pietra di Viggiù e collegati da un'elegante scalinata dello stesso materiale che raggiunge il cosiddetto "teatro", una vasta e scenografica area verde punteggiata da cipressi e impreziosita da un fontanile. Da qui è possibile proseguire lungo un sentiero sterrato che si inoltra nel bosco fino a raggiungere il vicino belvedere, dove godere della splendida vista sulla Valcuvia e le alture limitrofe e ammirare la chiesetta di San Bernardino, risalente al XV secolo. Partendo invece sempre dal parterre principale di fronte alla villa e superando una cancellata d'ingresso sulla quale spiccano le statue delle Quattro Stagioni, si giunge al "giardino segreto", uno spazio più raccolto e meditativo con un viale alberato che conduce ad un'edicola che racchiude un affresco raffigurante Apollo e le Muse. Dal punto di vista floreale il parco si presenta, in particolare da fine febbraio in poi, come una variopinta tavolozza di colori grazie soprattutto a roseti, ortensie ed una grandissima varietà di crocus.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/04/le-citta-del-lago-maggiore-laveno.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://mundimago.org/le_imago.html



domenica 22 marzo 2015

LE VILLE DI COMO : VILLA MELZI

.


Il complesso fu realizzato tra il 1808 e il 1810 per Francesco Melzi d'Eril, duca di Lodi e vice presidente della Repubblica Italiana con Napoleone. Egli affidò l'incarico all'architetto e decoratore Giocondo Albertolli, di tendenze neoclassiche.

Dimora estiva del duca Melzi d'Eril al termine della carriera politica e sua residenza estiva fino alla morte, la villa venne decorata ed arredata dai più noti artisti dell'epoca: oltre all'Albertolli, autore di gran parte degli arredi e della decorazione interna, si segnalano i pittori Andrea Appiani e Giuseppe Bossi, lo scenografo Alessandro Sanquirico, gli scultori Antonio Canova, Giovan Battista Comolli, Pompeo Marchesi, e il bronzista Luigi Manfredini.

La facciata della villa, semplice e regolare, è arricchita da una scalinata a doppia rampa e da quattro leoni di stile egizio. Ai lati del terrazzo e del parterre a lago si ergono due statue in marmo del Cinquecento, rappresentanti Apollo e Meleagro, già attribuite allo scultore Guglielmo della Porta.

Il complesso è costituito, oltre che dalla villa:
dalla cappella, nell'estremità sudoccidentale della proprietà, dove sono conservate le spoglie della famiglia Melzi;
dai giardini, che si estendono per 800 m lungo la costa del lago tra il Borgo di Bellagio e la frazione Loppia;
dall'aranciera, posta a nord-est della villa, oggi adibita a museo;
dalla collina-pineta (che si estende per vari ettari verso la frazione di Aureggio), in origine contigua ai giardini, poi separata dalla strada comunale costruita in seguito.
Aperti al pubblico sono oggi i giardini, la cappella e il museo.

I giardini all'inglese, arricchiti da sculture, furono progettati dall'architetto Luigi Canonica e dal botanico Luigi Villoresi, entrambi responsabili della sistemazione del parco della Villa Reale di Monza. Nel giardino, ricchissimo di piante rare ed esotiche, sono presenti alberi secolari, siepi di camelie, boschi di azalee e rododendri giganti, pietre e monumenti, imbarcazioni e cimeli di pregio storico e artistico.

Il terreno fu sapientemente adattato con terrazzamenti e piccoli dossi. Gli alberi, apparentemente spontanei, sono frutto di sapienti scelte; alle essenze tradizionali si aggiungono quelle esotiche, tipiche del gusto dell’epoca; l’ornamento è completato da una serie di sculture distribuite in tutto il parco, come la statua egizia in basalto di Sekhnetz, dea della guerra e un gruppo scultoreo che raffigura l’incontro tra Dante e Beatrice.

Di particolare fascino è il laghetto giapponese con piante acquatiche tra cui ninfee e tutt’intorno, aceri e cedri giapponesi. Ricche fioriture di azalee e rododendri, nei mesi di aprile e maggio, danno vita a variopinti prati e pendii che circondano la villa.

Accedendo dall'ingresso di Bellagio si trova sulla sinistra una parte adattata a "giardino orientale", con un laghetto di ninfee. Procedendo, si apre la visuale sul lago e si incontra la prima fra le antichità egizie distribuite nel parco: la statua di un dignitario (arricchita da geroglifici) risalenti ai tempi di Ramses II.

Più oltre, un chiosco in stile moresco conserva i busti degli imperatori d'Austria Ferdinando I e Marianna di Savoia, e del duca Lodovico Melzi con la consorte Josephine Melzi Barbò, ultimi proprietari della casata Melzi prima del passaggio alla famiglia Gallarati Scotti. Di fronte al chiosco si erge il monumento a Dante e Beatrice dello scultore Giovan Battista Comolli — di fronte al quale Franz Listz, ospite di Villa Melzi, compose la Sonata a Dante (1847-1855).

Proseguendo all'ombra di un filare di platani si arriva in prossimità della villa, preceduta da quella che in origine era l'orangerie, cioè la serra dove venivano ricoverate le piante di aranci durante l'inverno.

Oggi è un museo che contiene preziosi cimeli del periodo napoleonico (busto di Napoleone, le chiavi della città di Milano, stampe della Milano napoleonica, i cannoni della prima campagna d'Italia del 1796, rari reperti archeologici e due affreschi rinascimentali di provenienza lariana.

Al limite sud del giardino, a fianco dell'approdo turistico di Loppia, si trova la cappella gentilizia dei Melzi: un tempio neoclassico progettato e decorato da Giocondo Albertolli, con stucchi a rosoni e affreschi di Angelo Monticelli, su disegni di Giuseppe Bossi.

Notevoli sono le opere di scultura: il palio d'altare con la soprastante statua di Cristo Redentore di Giovan Battista Comolli, e i monumenti funerari disposti sulle pareti:

il monumento per Lodovico Melzi d'Eril, opera di Vincenzo Vela (1890);
per Francesco Melzi, opera di Vittorio Nesti (1830);
per il giovane Carlo Lodovico Melzi, opera di Girolamo Oldofredi (1877);
e per Giovanni Francesco Melzi, nipote di Francesco, opera di Giovanni Maria Benzoni (1854).
Nella sacrestia a destra dell'altare si trovano le tombe dei Melzi; a sinistra quelle dei Gallarati Scotti.

Nella parete nord esterna, verso il giardino, è stata murata la porta dell'antica casa Melzi di Milano, attribuita a Bramante, e arricchita da una lapide di famiglia. Di fronte al portale si trova un fregio in pietra del XIII secolo, proveniente dalla vicina chiesa di Santa Maria in Loppia, con i simboli dei quattro Evangelisti.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/03/laghi-lombardi-il-lago-di-como.html



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://mundimago.org/le_imago.html



lunedì 2 marzo 2015

QUARTIERI MILANESI : TICINESE

.


Il Quartiere Ticinese è un quartiere di Milano appartenente alla zona 1, congiunto al Duomo da via Torino.

Il quartiere ha avuto uno sviluppo fondamentalmente lineare lungo l'antica strada che portava a Pavia, dal cui nome antico, Ticinum, deriva il proprio toponimo. Un tempo era uno dei quartieri propriamente popolari di Milano, tanto da caratterizzarsi per le tipiche case a ringhiera, rivalutate e imborghesitesi col tempo. Fino ai primi decenni del Novecento la zona era ad elevata densità, per essere poi ridisegnata negli anni trenta, con lo sventramento della Vetra e la successiva realizzazione del parco delle Basiliche, nonché la demolizione dell'isolato interposto fra le Colonne di San Lorenzo e la vicina basilica.

Il quartiere Ticinese è famoso per l'omonima porta e per le Colonne di San Lorenzo, uno dei poli della vita notturna milanese, ma anche per la limitrofa zona dei Navigli.


LEGGI ANCHE : asiamicky.blogspot.it/2015/02/milano-citta-dell-expo-conosciamola.html


http://www.mundimago.org/

FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE
LA NOSTRA APP


http://mundimago.org/le_imago.html



.

venerdì 20 febbraio 2015

LE PORTE DI MILANO





Girando per la città si possono vedere le porte della città che sarebbero i resti delle antiche mura.

Per porte di Milano si intendono le aperture stradali ricavate in varie epoche nelle cinte murarie romane, medievali e spagnole della città. Tali accessi potevano risultare come semplici varchi ricavati nel perimetro murario cittadino, o aperture fortificate o talvolta addirittura monumentali. Ogni diversa epoca s'è portata dietro con sé le relative porte, tuttavia sono poche quelle giunte, per quanto rimaneggiate, fino a noi. Le stesse porte più comuni della città, quelle che si sentono nominare quotidianamente e che si vedono -laddove sopravvissute - lungo la circonvallazione dei bastioni non sono altro, nella quasi totalità dei casi, che nuove edificazioni risalenti al periodo napoleonico, o al primo Ottocento.
La prima cinta muraria medievale di Milano, in legno, venne travolta dal Barbarossa nel 1162. Emerse pertanto la necessità di un sistema difensivo più solido e all'avanguardia, che venne realizzato a partire dal 1171. Le nuove mura, in muratura, erano intervallate da sei porte principali, che identificavano i relativi sestieri in cui era divisa la città; a queste dovevano aggiungersi - come riportato nel 1288 da Bonvesin de la Riva - una decina di accessi fortificati secondari, comunemente chiamati pusterle. Architettonicamente le porte principali si costituivano di un doppio varco d'accesso (ad esclusione di Porta Ticinese, denominata appunto Porta Cicca (cioè piccola), perché caratterizzata da un solo fornice), fortificato con la presenza di una torre; le pusterle si caratterizzavano invece per la presenza di un solo fornice, ricavato all'interno di una fortificazione.

Le porte principali della città erano pertanto:

Porta Orientale
Porta Romana
Porta Ticinese
Porta Vercellina
Porta Comasina
Porta Nuova
A queste andava aggiunta la Porta Giovia, che non viene citata dal Bonvesin de la Riva nel De magnalibus Mediolani (1288) e che sorgendo in uno spazio all'interno del successivo Castello Sforzesco, sarebbe definitivamente scomparsa con la costruzione della Rocca Giovia (1358-1368). Le altre porte minori (o pusterle) della città erano invece:

Pusterla di Monforte
Porta Tosa
Pusterla Lodovica (già Pusterla di Sant'Eufemia)
Pusterla della Chiusa
Pusterla dei Fabbri
Pusterla di Sant'Ambrogio
Pusterla delle Azze
Pusterla Beatrice (già Pusterla di San Marco)
Pusterla del Borgo Nuovo

La costruzione delle cosiddette mura spagnole avvenne tra il 1548 e il 1562, per volere dell'imperatore Carlo V e di Ferrante I Gonzaga, governatore della città all'epoca. L'iniziale progetto di rafforzamento delle difese cittadine. Completata nel 1562, la cinta era costituita da un muraglione con torri e lunette; in alcuni punti le mura erano dotate di fossati, ricavati dai numerosi canali presenti nella Pianura Padana. Nella cerchia muraria si aprivano anche in questo caso lei sei porte principali, che avevano già dato il nome ai relativi sestieri di Milano. Anche in età spagnola pertanto le porte principali della città erano:

Porta Orientale
Porta Romana
Porta Ticinese
Porta Vercellina
Porta Comasina
Porta Nuova
Esse erano poi affiancate da quattro porte minori, ciascuna delle quali succursale di una delle precedenti (ad eccezione di Porta Tenaglia, che faceva riferimento al vicino Castello Sforzesco:

Porta Tenaglia, succursale del Castello, di vita effimera (demolita già nel 1571)
Porta Tosa, succursale di Porta Orientale
Porta Vigentina, succursale di Porta Romana
Porta Lodovica, succursale di Porta Ticinese
Dopo il primo rifacimento monumentale di Porta Venezia, per mano del Piermarini, con l'avvento di Napoleone si stabilì di dare alla città accessi più degni e monumentali. A partire dai primi anni dell'Ottocento cominciarono i rifacimenti delle varie porte cittadine, ad eccezione di Porta Romana, l'unica fra le porte spagnole ad essere già monumentali. Alle nuove realizzazioni in stile neoclassico s'affiancarono - più o meno contemporaneamente - i caselli daziari, necessari per la riscossione e le procedure del dazio cittadino. Il modello, importato in Italia da Napoleone era quello - sia dal punto di vista istituzionale che da quello architettonico - delle Barrières di Parigi, le barriere realizzate nella cinta daziaria di Parigi da Claude-Nicolas Ledoux fra il 1785 e il 1789, alle soglie della Rivoluzione francese. Architettonicamente parlando si componevano di due edifici a pianta quadrangolare, simili a tempietti peripteri, posti a controllo di una via d'accesso alla città (esternamente all'arco di trionfo, nel caso in cui ce ne fossero).

I lavori di rifacimento della Porta Ticinese (allora Porta Marengo), la porta da cui Napoleone era rientrato a vittorioso Milano nel 1800 dopo la Battaglia di Marengo, sono i primi a cominciare già nel 1802. Il progetto vincitore è quello dell'architetto Luigi Cagnola, che batte anche quello presentato dal Canonica: la porta ideata dal Cagnola richiama idealmente (e nel nome) i propilei, l'antico accesso monumentale dell'Acropoli di Atene e si presenta con un doppio prospetto tetrastilo di ordine ionico, con pilastri angolari e frontoni triangolari, accompagnato da due caselli, in posizione più arretrata. La porta vedrà una realizzazione piuttosto travagliata, e sarà terminata soltanto nel 1814.

La prima ad essere realizzata sarebbe stata infatti Porta Vercellina nel 1805, su progetto del Canonica, realizzata in occasione dell'entrata trionfale a Milano di Napoleone per l'incoronazione a Re d'Italia. Questa, in particolare, costituì anche il primo esempio di arco trionfale permanente eretto fino ad allora a Milano. Nel 1807 cominciarono invece i lavori - su progetto del Cagnola per l'erezione dell'arco di trionfo in onore di Napoleone, progetto abbandonato con la caduta del Regno d'Italia, ma ripreso successivamente e concluso solo nel 1838, in tempo perché Ferdinando I d'Austria potesse inaugurarlo dedicandolo alla Pace che aveva riunito le potenze europee nel 1815.

Negli anni successivi nuove porte monumentali e caselli daziari vennero eretti a Milano; contemporaneamente le mutate esigenze cittadine e la crescita della città spingevano all'apertura di nuovi varchi all'interno della cinta muraria spagnola. Nel 1864 venne aperta la Barriera Principe Umberto, per collegare la città alla Stazione Centrale; nel 1870 fu la volta di Porta Genova, per consentire una comunicazione diretta fra la città e la Stazione di Porta Ticinese. A queste vanno poi aggiunte Porta Volta, come nuovo itinerario per Como, realizzata in seguito all'interruzione da parte della ferrovia del tracciato storico in uscita da Porta Garibaldi (Milano) e Porta Monforte, l'ultima ad essere aperta prima che in ottemperanza al Piano Beruto si procedesse alla demolizione dei bastioni e al conseguente prolungamento degli assi viari interni ed esterni alla città, che prima sfociavano contro le mura.

In età risorgimentale diverse porte, fino ad allora chiamate col toponimo geografico di riferimento, cambiarono nome (come già era avvenuto parzialmente in età napoleonica per Porta Riconoscenze e Porta Marengo) per celebrare le Cinque Giornate di Milano (Porta Vittoria) e alcuni eventi connessi alla Seconda guerra d'indipendenza italiana (Porta Garibaldi, Porta Venezia, Porta Magenta).


 .

Post più popolari

Elenco blog AMICI