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lunedì 29 giugno 2015

CASALZUIGNO



Casalzuigno è un comune della provincia di Varese in Lombardia situato lungo la Valcuvia e attraversato dalla strada statale che collega Cittiglio con Luino.

Casalzuigno è un paese dal territorio estremamente articolato, comprende essenzialmente tre nuclei: Zuigno, Casale ed Arcumeggia. Zuigno, l’antica Sovinium divenuta poi in epoca medievale Civignum, risulta già esistente in epoca romana, come dimostrano i ritrovamenti di tombe in quel periodo.

Agli inizi del 1200 Zuigno diede i natali ad una delle personalità più illustri della Valle: quel Jacobus De Civignio che diventerà prima canonico poi prevosto della Chiesa plebana di San Lorenzo in Cuvio. Casale e la piccola frazione di Aga sono parimenti documentati a partire dal medesimo secolo quando “Marcadus” figlio del fu Ugo “de Aga de Casale” partecipa in qualità di testimone ad una permuta rogata “in plebe de Cuvio”. Un gruppo cospicuo di atti rogati intorno al 1300 riguarda la piccola frazione di Sanda, dove si era stabilita la nobile famiglia dei “Tissinallo” proveniente dalla Valtravaglia.

Arcumeggia, l’antica “Arx media” posta a difesa della strada che unisce la Valvuvia e la Valtravaglia, si ricorda innanzitutto per il ritrovamento di una testa d’ascia in serpentino di epoca neolitica, cui si aggiungono tutta una serie di riscontri a partire dal tredicesimo secolo. Casalzuigno nel XVII secolo fu eletta come dimora dalla nobile famiglia Della Porta che in poco tempo estese le sue proprietà su quasi tutta la valle.

A livello amministrativo le due comunità originali di Casalzuigno e Arcumeggia vantano istituzioni di democrazia e partecipazione popolare legate agli istituti del comune rustico. Entrambe infatti erano rette da una vicinìa composta da tutti i capifamiglia convocata in giorni di festa, dopo la messa, sulla pubblica piazza al suono della campana e presieduta da un sindaco coadiuvato da un console, entrambi eletti all’inizio di gennaio. Il moderno Comune di Casalzuigno nasce in virtù del R.D. 16.09.1927, n. 2438, che riunisce le comunità di Casalzuigno e di Arcumeggia in un unico Comune.

Vi si trova Villa Della Porta Bozzolo, una villa di campagna del XVI secolo appartenente al Fondo per l'Ambiente Italiano, donata dagli eredi del senatore e patologo italiano Camillo Bozzolo.

Una frazione che merita una menzione particolare è quella di Arcumeggia, annessa nel 1927, perché dal 1956 l'Ente Provinciale per il Turismo lo trasformò in un borgo dipinto da noti artisti dell'epoca.



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CUVIO

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Cuvio è un comune della provincia di Varese ed è posto ai piedi delle Prealpi Varesine, capoluogo della Valcuvia a 10 km dal lago Maggiore.

Cuvio, capo di pieve, compare citata negli Statuti delle strade e delle acque del contado di Milano, compartecipe delle spese per la manutenzione della strada di Bollate (1346).

Con l'intera Valcuvia fu infeudata nel 1450 ai Cotta che la tennero finché non passò nel 1727 al conte Giulio Visconti Borromeo.

In età napoleonica, con decreto 4 novembre 1809 b, a Cuvio furono aggregati i soppressi comuni Cabiaglio, Bedero, Brinzio, Cavona, Ferrera, Masciago, Rancio, e fu inserito nel cantone I di Varese del distretto II di Varese.  Successivamente a seguito di rettificazione e concentrazione dei comuni del dipartimento del Lario, per "convenienze topografiche”, Bedero, Brinzio, Cavona, Ferrera furono sottratte a Cuvio a riunite con Rancio a formare un comune nel cantone di Luvino. Con decreto 30 luglio 1812 fu creato un nuovo comune denominato Cuvio con i comuni aggregati di Cuvio, Cabiaglio, Vergobbio, Arcumeggia, Cuveglio, Duno, Azzio e Orino, nel cantone II di Gavirate del distretto II di Varese. La situazione tornò alla situazione precedente con il ripristinato dell'ordinamento precedente sotto il Regno Lombardo-Veneto.

Cuvio fu ancora interessata alle aggregazioni comunali durante l'epoca fascista, quando con R.D. 12 gennaio 1928, n. 63, furono soppressi e aggregati ad esso Cavona, Cuveglio in Valle, Duno e Vergobbio. Nel 1954 Duno riottene la propria autonomia amministrativa mentre due anni dopo Cavona, Cuveglio in Valle e Vergobbio furono staccati da Cuvio ed eretti in comune con la denominazione di Cuveglio (D.P.R. 5 ottobre 1956, n. 1256). Nel 1961 dal comune di Cuvio fu staccata la frazione di Canonica, aggregata al quello di Cuveglio (D.P.R. 9 maggio 1961, n. 468) e da ultimo nel 1969 a Cuvio fu aggregata una zona di territorio disabitata, in precedenza di Cuveglio.

Cuvio è il capoluogo storico della Valcuvia. Piero Chiara, nel suo romanzo Il pretore di Cuvio ne ha esaltato le bellezze nascoste. Il centro infatti è antico, ricco di angoli suggestivi raccolti attorno alla Parrocchiale. Dell'antica supremazia politico - amministrativa su tutta la valle, a Cuvio restano solo le vestigia dell'imponente palazzo Litta - Arese. Costruito intorno alla metà del XVIII secolo esso conserva ancora sul portone dell'ingresso principale lo stemma visconteo con il caratteristico biscione. L'ala signorile è quella settentrionale, organizzata, probabilmente nel XVII secolo, secondo il comune schema della villa: con il portico a tre arcate, lo scalone e la grande sala alle spalle, che si affaccia su un giardino di non grandi proporzioni. segnaliamo ancora la Casa Porta, la Casa Maggi e la Casa Appia. Suggestivi ed estremamente interessanti per i cultori di archeologia industriale sono i mulini posti lungo il torrente Broveda. Attorno al nucleo antico c'è la Cuvio vacanziera e residenziale.
Nelle zone archeologiche sono stati rinvenuti reperti (armille e vasetti) dell'Età del Bronzo e "spadoni gallici" dell'Età del Ferro, in località Corte.
Il Comune di Cuvio comprende la frazione Comacchio e le località di Ronco Broggini, Gaggio, Carreggio, Fornaci, Roncora, Pianezze, Punta Merigett (Campo dei Fiori). Fa parte del Parco Naturale Regionale Campo dei Fiori, istituito dalla Regione Lombardia nel 1984.

Tra i personaggi noti nati a Cuvio vi è Virgilio Savini, il quale è stato per molti anni il più noto ristoratore milanese. Anche il lottatore Enrico Porro vincitore della medaglia d'oro nelle lotta grecoromana nel 1908 a Londra aveva origini cuviesi, ed ancor oggi i suoi genitori sono seppelliti nel cimitero del paese. Lo scrittore Piero Chiara ha ambientato a Cuvio il proprio romanzo Il pretore di Cuvio.

Al centro del paese sorge il palazzo Litta Visconti di Arese, appartenuto ai Cotta dal 1450 al 1728 e poi ai Litta Visconti di Arese, il cui stemma campeggia tuttora sopra il portone d'ingresso. L'edificio sorge verosimilmente su una precedente fortificazione della quale conserva la caratteristica struttura a quadrilatero con cortile interno. L'ala settentrionale è l'ala signorile, rifatta nel sec XVII .
Di fronte al palazzo, sorge la parrocchiale dedicata ai SS. Pietro e Paolo.

La chiesa dei Santi Pietro e Paolo fu costruita agli inizi del 1600, più volte ristrutturata. Di pregevole fattura sono gli affreschi di Pasquale Arzuffi nelle navate.

Nella frazione Comacchio è tuttora attiva la fabbrica di organi che venne fondata da Bernardino Mascioni nel 1829.



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mercoledì 29 aprile 2015

LA VILLA PORTA BOZZOLO

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Immerso nel tranquillo paesaggio della Valcuvia, valle prealpina nell'entroterra lombardo del lago Maggiore, quest'elegante complesso si è andato ampliando nei secoli attorno all'originario nucleo cinquecentesco.

Negli ultimi anni il FAI ha eseguito importanti interventi strutturali, riguardanti in particolare il restauro delle facciate minori e il recupero dei rustici, alcuni dei quali adibiti a spazi espositivi o convertiti in locali per manifestazioni e ricevimenti.

La villa venne costruita nella seconda metà del Cinquecento quando il nobile notaio Giroldino Della Porta acquistò a Casalzuigno una vasta estensione di terreno per realizzarvi una dimora signorile. All'inizio del Settecento la villa vide una delle sue più importanti trasformazioni per iniziativa di Gian Angelo III Della Porta (1690-1745), in occasione delle sue nozze nel 1711 con Isabella, figlia del conte Giorgio Giulini, antenato del noto storico milanese. Grazie all'architetto Antonio Maria Porani, egli volle impostare l'asse principale del giardino parallelamente alla facciata interna della dimora (contravvenendo così alle classiche norme secondo le quali l'asse principale doveva essere in asse con i saloni principali della villa, dividendo in due parti simmetriche il giardino stesso).

Al XVIII secolo risalgono invece ulteriori interventi di riqualificazione che aggiungono l'imponente giardino all'italiana con scale, fontane, giochi d'acqua e un'edicola affrescata. Intorno alla villa esistono interessanti rustici, come ad esempio un monumentale torchio contenente un ciclo di affreschi rococò dipinti nella bottega del pittore (di Varese ma originario di Vacallo in linea materna) Pietro Antonio Magatti. Al medesimo periodo risale la realizzazione di una ricca fontana realizzata nel 1723, ad opera dell'architetto Pellegatta.

Dopo queste realizzazioni la famiglia Della Porta entrò in declino e nell'Ottocento la residenza venne venduta dapprima ai Carpani, poi nel 1861 ai Richini e quindi nel 1877 ai Bozzolo che ne rimasero proprietari sino al 1989, anno in cui la struttura venne donata al FAI.

La facciata di Villa Della Porta Bozzolo è semplice ed elegante, in particolare per la linearità delle forme e per le decorazioni a tinte tenui concentrate soprattutto attorno alle finestre. Addenstrandosi all'interno, la prima stanza che si incontra è l'ampia sala da ballo, con il pavimento in cemento colorato e un imponente camino in marmo, affrescata con scorci paesaggistici che creano un interessante gioco di illusioni prospettiche. Nella volta sono invece rappresentate coppie di amorini che sorreggono dei tondi contenenti figure allegoriche e fanno da cornice all'immagine centrale dell'incontro tra la Pace e la Giustizia, richiamante un salmo di Davide.

Da qui dirigendosi a sinistra si incontrano la sala del biliardo coi busti di Camillo Bozzolo, senatore del Regno, e della moglie Caterina Belfanti, un salottino dotato di un prezioso arredamento ove spiccano un'ampia specchiera settecentesca, un pianoforte impero ed un orologio da parete di manifattura piemontese.

Andando invece verso destra, superato il camerino, si accede alla sala da pranzo dotata di una volta affrescata con l'immagine di San Francesco sul carro di Elia: in questa stanza è possibile ammirare una raccolta di vasi farmaceutici e, all'interno di un'antica credenza, un servizio da tavola in ceramica riportante lo stemma del casato fondatore. Si passa quindi attraverso le cucine ed un'anticamera impreziosita da un armadio settecentesco contenente parte della raccolta libraria della villa per poi raggiungere lo studio, il locale meglio conservato nel tempo con il suo austero arredo ligneo e, alle pareti, i ritratti dei fratelli Richini che divennero proprietari della villa poco dopo la metà del XIX secolo.

Salendo lo scalone si giunge al livello superiore dell'edificio, entrando in una galleria affrescata dove all'interno di finte nicchie sono rappresentate le figure femminili simbolo delle sette Virtù con al centro l'episodio biblico di Agar e Ismaele assistiti dall'Angelo. Sulla destra si apre il salone decorato con un fregio settecentesco opera del Romagnoli e, all'interno di cornici dipinte, ritratto di alcuni membri della famiglia Della Porta. Il piano si completa poi con una serie di stanze da letto: a destra del salone si trovano in successione la "camera del letto rosso" con il suo talamo a baldacchino della fine del XVIII secolo e la splendida "camera dal letto verde", dove spicca un originale letto del Settecento con le cortine del baldacchino damascate e il paramento alla base realizzato in seta intrecciata con fili d'argento; da notare anche le poltroncine e le sedie neoclassiche che completano l'arredo. Alla sinistra del salone, si costeggia una piccola alcova per giungere poi alla "camera del baldacchino giallo" che prende il nome appunto da un letto circolare in seta damascata collocato in un ambiente arricchito anche da una solida scrivania francese e da una specchiera d'epoca. Riattraversando la galleria si possono osservare le ultime tre stanze: "la camera del letto giallo" che ospita affreschi sulla vita di Mosè e un prezioso orologio da tavolo stile impero, e un'anticamera con un fregio decorato da vicende evangeliche che conduce ad un'ulteriore alcova.

Tratto distintivo della villa è sicuramente il ricchissimo giardino esterno, caratterizzato da un significativo patrimonio di piante e fiori, da edifici rustici che rimandano ad un passato in cui l'edificio era punto di riferimento dell'attività agricola della zona e da elementi monumentali che lo rendono una vera e propria "architettura dell'ambiente".

Varcato l'ingresso e superate le scuderie, ci si imbatte in una serie di strutture che erano adibite a scopi pratici: la ghiacciaia dove venivano conservati gli alimenti, il cinquecentesco monumentale torchio in legno (il più grande nel suo genere di tutta la Lombardia), utilizzato per la spremitura delle vinacce, la macina sfruttata per la produzione di olio, la vecchia filanda e la cantina, dove sono ancora conservate antiche botti.

Tutto questo fa da preludio allo stupefacente giardino barocco che si articola con scelta insolita, lungo un asse principale parallelo alla facciata dell'edificio, che risale la vicina collina attraverso quattro terrazzamenti ornati da balaustre e statue in pietra di Viggiù e collegati da un'elegante scalinata dello stesso materiale che raggiunge il cosiddetto "teatro", una vasta e scenografica area verde punteggiata da cipressi e impreziosita da un fontanile. Da qui è possibile proseguire lungo un sentiero sterrato che si inoltra nel bosco fino a raggiungere il vicino belvedere, dove godere della splendida vista sulla Valcuvia e le alture limitrofe e ammirare la chiesetta di San Bernardino, risalente al XV secolo. Partendo invece sempre dal parterre principale di fronte alla villa e superando una cancellata d'ingresso sulla quale spiccano le statue delle Quattro Stagioni, si giunge al "giardino segreto", uno spazio più raccolto e meditativo con un viale alberato che conduce ad un'edicola che racchiude un affresco raffigurante Apollo e le Muse. Dal punto di vista floreale il parco si presenta, in particolare da fine febbraio in poi, come una variopinta tavolozza di colori grazie soprattutto a roseti, ortensie ed una grandissima varietà di crocus.



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lunedì 13 aprile 2015

L' ALPE SAN MICHELE

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L'alpe San Michele, nonostante superi di poco gli ottocento metri d'altitudine, è senza dubbio uno tra i più punti panoramici più belli del Lago Maggiore, in un area geografica nevralgica, dove Valcuvia e Valtravaglia si fondono.

La località San Michele, negli anni passati, era stazione d'alpeggio e faceva parte del territorio comunale di Musadino con Ligurno, dove malghe, pascoli e prati magri si alternavano a fitti boschi di castagno.

Oggi, questo incantevole lembo di terra è parte del comune di Porto Valtravaglia, ed è un ideale punto di partenza per passeggiate che abbracciano il monte Colonna o per escursioni di trekking.

Vari sono gli itinerari percorribili, da Muceno o da Arcumeggia, lungo la Via Verde Varesina, oppure seguendo uno spettacolare itinerario circolare che permette di raggiungere il Monte Colonna, con un cammino di circa quattro ore, in una cornice paessagistica che offre ampie vedute panoramiche sul Lago Maggiore.

Tra boschi di faggio, si superano i 1200 metri d'altitudine, con una veduta a dir poco mozzafiato, che spazia dal terreno pianeggiante del Varesotto e dell'altomilanese, alle vallate dell'alto Verbano, tra piccoli borghi prealpini che si mescolano a boschi e lago.

In una convalle verdeggiante della catena che collega i monti Sasso di Ferro e Cuvignone con Pian Nave, Colonna e San Martino, sul discrimine tra Valcuvia e Valtravaglia, sono tuttora riconoscibili un piccolo nucleo alpestre, una doppia filagna di edifici rustici e, poco più in alto alla quota di 820 m slm, la millenaria chiesetta di San Michele. Alcuni ruderi sul versante a lago denotano un originario maggior sviluppo dell'insediamento. Nonostante che siano proliferate intorno residenze turistiche non sempre intonate all'ambiente, l'antichità dei luoghi offre tuttora motivi di grande suggestione.

San Michele, nel territorio dell'antico comune di Musadino con Ligurno, oggi riunito a Porto Valtravaglia, era in passato stazione d'alpeggio. Due sono i tipici luoghi di montagna, pertinenti agli abitati di mezza costa, che ospitavano bestiame e pastori durante la buona stagione. I «monti» – a quota intermedia – sovvenivano al pascolo nei mesi primaverili e autunnali. D'estate greggi e armenti venivano portati «in alp» (maschile nel nostro idioma), oltre i 1000 m slm. Nel caso della Valtravaglia centrale, mancando rilievi di grande altezza, la stazione era unica. In origine la proprietà di prati e boschi era comune, magari goduta per «sorti», cioè con l'estrazione a sorte di porzioni temporaneamente assegnate in godimento esclusivo. Era questa caratteristica specifica degli «alpi», mentre per solito i «monti» erano divisi. Per il S. Michele possediamo l'atto del 1845 con cui furono divisi fra i 98 capifamiglia, a titolo di «livello perpetuo duraturo in infinito», i boschi e i ceppi nudi detti «Betole di Sant Michele», «Valone del Fo», «Fontana», «Tagliata del Sasso Bianco», per una estensione di quasi 71 ettari.  Vi furono poi trasferimenti di diritti e ultimamente ultimamente solo cinque famiglie godevano l'alpe. La forma dei lotti, la numerazione dei termini, l'impegno al taglio unitario dei boschi, divisi in sette compendi per cicli settennali di taglio e comprendenti una quota di ciascun proprietario, denotavano pur sempre la comunanza originaria.

La chiesa protoromanica ha una bella abside ed affreschi del XI - XVI secolo.
Rischiò di andare distrutta nel '600, quando prese fuoco il carbone ammassatovi da due carbonai.
Ancora nel '700 serviva agli "alpari" che preferivano non allontanarsi dalle greggi, insidiate da lupi e pericoli di ogni genere.
Sorge in un mirabile scenario di prati, boschi, monti ed offre un panorama incantevole.
L'elemento architettonico più interessante è l'abside semicircolare, in cui a tratti compare una caratteristica disposizione a "spina di pesce" della muratura, realizzata in grossi ciottoli regolari e ben curata.
Nell'estate del 2001 sono stati riportati alla luce importanti affreschi attribuibili al XI-XIV sec. il cui restauro è terminato nel 2005 grazie ad un contributo della Provincia e della Comunità Montana.
Un grande affresco è stato portato interamente alla luce: la Madonna in trono con San Antonio Abate e San Bernardo, datato 1517. Al piedi delle tre figure è apparsa la firma del pittore Gugliemo da Montegrino e la dedica dell'offerente, tale "... de Ligurno". Nell'inverno del 2000 è stata consolidata la struttura edilizia e rifatto il tetto in beola con un contributo della Regione Lombardia e secondo le disposizioni della Soprintendenza di Milano.
Un secondo grande affresco, più antico, rappresenta s. Michele arcangelo, altri due angeli ed un offerente, indicato come "Dominus cusstos". Nella parte sottostante è raffigurato un velario con una fiera mitica alata.
Il ciclo di affreschi comprende inoltre una teoria di apostoli nell'abside (ben recuperato S. Giacomo), un arcangelo sulla controfacciata con S. Ambrogio; Dio Padre con Abramo ed Isacco sulla parete sud. L'intero interno è fasciato da un velario molto caratteristico.



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venerdì 13 marzo 2015

LA VALCUVIA

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La Valcuvia è una valle situata a nord della provincia di Varese.

È caratterizzata da aree prettamente montane che si estendono tra il Monte Nudo (1235 m) ed il Monte Campo dei Fiori (1226 m), aprendosi sul Lago Maggiore, e da un orientamento prevalentemente est-ovest. Una parte della valle è attraversata dal torrente Boesio che sfocia nel lago in località Laveno.

Il suo nome deriva dal villaggio storicamente più importante che era Cuvio, capoluogo del Feudo dove risiedevano le autorità civili: il Feudatario appunto e il Pretore, ed era sede di Pieve e di Distretto. Alcuni vogliono farlo derivare dal latino "vallis cum via", "Valle con via", in quanto probabilmente è stata fin dai tempi degli antichi romani un luogo di passaggio. Se così fosse sarebbe un'eccezione unica perché altre valli avevano la stessa caratteristica senza che nessuna ha preso il nome dalla rispettiva generica strada. Altro luogo particolare è Arcumeggia (frazione di Casalzuigno), il cui nome deriva dal latino "arx (rocca)" e "media (di mezzo)", in quanto si trova a metà strada tra due valli e fu sede di una fortezza, ora non più esistente.


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giovedì 12 marzo 2015

IL LAGHETTO DI BRINZIO

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Il laghetto di Brinzio è un piccolo lago italiano, dal 1984 riserva naturale orientata, situato nella zona orientale del territorio comunale di Brinzio, in provincia di Varese, a un'altitudine di circa 510 metri s.l.m.. Presenta una profondità media di 3,5 metri ed un bacino complessivo di 1,5 ettari.

Prima delle glaciazioni avvenute nel corso del Pleistocene non esisteva il colle della Motta Rossa e la val di Rasa scendeva verso sud, solcata dall'alveo del fiume Olona. Durante il Pleistocene i ghiacciai alpini sono avanzati numerose volte, invadendo le principali valli prealpine, compresa la Valcuvia e la Valle di Brinzio, e colmandole quasi completamente. Sui monti che circondano Brinzio si trovano tracce delle avanzate glaciali fino a 900-1000 metri di quota: solo le cime dei principali rilievi (Monte Campo dei Fiori, Monte Martica, Monte San Martino, Monte Nudo) emergevano dai ghiacci per poche centinaia di metri, come dei piccoli e freddi isolotti.

L'ultima avanzata glaciale, denominata Wurm, ha avuto il suo culmine circa 18.000 anni fa ed è stata un po' meno rigida delle altre. Ciò nonostante il ghiacciaio verbano ha invaso nuovamente la valle di Brinzio e il bacino del torrente Intrino, trasportando nuovamente grossi massi erratici strappati alle Alpi alcune decine di chilometri più a monte.

Quando il ghiacciaio ha incominciato a ritirarsi ha abbandonato i materiali che trasportava con sé. In corrispondenza della Motta Rossa i materiali sono stati abbandonati repentinamente, dando luogo a un deposito allungato, che prende il nome di morena; essa è riconoscibile proprio in corrispondenza del passo, a destra della strada provinciale (provenendo da Brinzio). La morena ha bloccato la strada dell'acqua verso sud, creando uno spartiacque; da quel momento si è formato un corso d'acqua con direzione nord, verso la Valcuvia, ovvero il sistema Rio di Brinzio-Brivola. Nella valle dell'Intrino il ghiacciaio abbandonò invece grosse quantità di materiali sparsi, anche di grosse dimensioni ("massi erratici"), ben visibili lungo la strada per il Passo Varrò. Questi materiali furono facilmente preda dell'erosione da parte delle acque, soprattutto immediatamente dopo la glaciazione, quando la vegetazione non aveva ancora stabilizzato i versanti. L'Intrino e gli altri corsi d'acqua provenienti dal versante settentrionale del Campo dei Fiori cominciarono quindi a trasportare grandi quantità di sedimenti, formando, alla base dei versanti, dove la pendenza diminuisce, dei grossi accumuli, denominati conoidi di deiezione. Essi sono ben riconoscibili, in quanto corrispondono ai prati situati a sud di Brinzio, sui quali si sviluppa la pista di sci nordico. Queste strutture si sono formate rapidamente (in senso geologico) durante le alluvioni; i materiali trasportati hanno invaso il torrente Brivola, sbarrandolo e formando così il lago di Brinzio.

Fino al XIX secolo il lago di Brinzio era alimentato esclusivamente dal Rio di Brinzio e da alcune sorgenti sublacuali. In data non precisata venne deviato il percorso dell'Intrino, che fino a quel momento sfociava nel Brivola in vicinanza del ponte presso il lavatoio. Probabilmente l'intento era quello di rivitalizzare il laghetto, oppure di allontanare l'Intrino, con le sue alluvioni, dal centro abitato e dai campi. La deviazione dell'Intrino causò effettivamente un grave problema per la vita del laghetto, ovvero l'inizio del suo interramento da parte dei sedimenti trasportati ancora in abbondanza dal torrente. Il fenomeno di interramento si accentuò anche a causa dell'apertura della cava di porfido: il taglio della vegetazione, l'asportazione del suolo e la messa a nudo della roccia determinarono l'aumento del trasporto solido del Rio di Brinzio, contribuendo al riempimento del lago. Per limitare questo fenomeno, a fine anni novanta la società proprietaria della cava realizzò delle vasche di decantazione, in grado di ridurre il problema.

Alla fine degli anni settanta il lago aveva approssimativamente la forma attuale, con una profondità massima di quattro metri. L'interramento nell'ultimo trentennio del XX secolo è tuttavia avanzato rapidamente: una prima operazione di dragaggio venne effettuata dalla provincia a metà anni novanta. L'incremento delle piogge violente, avvenuto a partire dal 1990, ha tuttavia determinato un aumento della velocità di interramento: un nuovo rilievo batimetrico, effettuato nel 2003, ha evidenziato un riempimento consistente del lago, con tutto il settore di valle avente profondità massima di 70 cm, formazione di un isolotto di fronte alla foce dell'Intrino, invasione dello specchio lacustre da parte della vegetazione.

Gli interventi effettuati nel corso del 2004 hanno riguardato due settori: il bacino dell'Intrino e il laghetto stesso. Nella valle dell'Intrino sono state realizzate una serie di opere di ingegneria naturalistica, necessarie per stabilizzare le frane e le erosioni di sponda che continuano a fornire al corso d'acqua nuovi materiali da trasportare a valle, nel laghetto, durante le piene. Nel laghetto è stata ridotta la vegetazione palustre; sono stati dragati il fondo, fino a una profondità massima di un metro, e il canale in uscita, ovvero il Brivola, fino al lavatoio, sito circa 300 metri più ad ovest.

Al lago è altresì associata una leggenda, attestata dai primi del '900: nel corso di un furioso temporale, qualcuno avrebbe avvistato nel lago una sagoma nerastra, simile a un grosso pesce. Subito si gridò al miracolo: quella sagoma altro non poteva essere che una balena! Un gruppo di giovani ardimentosi accorse al lago e si diede a pescare la balena, che non dava segni di vita. Tuttavia bastò tirare a riva il supposto cetaceo per capire che altro non era se non un grosso tronco abbattuto dalla tempesta. I paesani seppellirono di risate i mancati balenieri, ma da allora il laghetto rimase noto come "lago della balena" e anche gli abitanti di Brinzio vennero soprannominati "balena". Il simbolo del cetaceo è stato recuperato nei primi anni novanta come logo della locale pro loco.


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