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lunedì 29 giugno 2015

LA VILLA DELLA PORTA BOZZOLO A CASALZUIGNO



La famiglia notarile dei Della Porta, originaria di Porto Valtravaglia, nel Cinquecento aveva eletto Casalzuigno a propria dimora. Qui, Giraldino della Porta acquistò un vasto possedimento terriero dove edificò una residenza denominata “domus magna” le cui vestigia sono visibili ancora oggi. Tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo, Gian Angelo Seniore della Porta e Carlo Girolamo I apportarono consistenti modifiche e migliorie all’edificio, che assunse l’aspetto attuale.
Al figlio di Carlo Girolamo, Gian Angelo III si deve la creazione del magnifico giardino all’italiana. Egli, in aperto contrasto con la moda del tempo, che prevedeva i giardini in asse con le sale di rappresentanza, diede ordine di realizzare un viale d’accesso che congiungesse la grandiosa aiuola principale alle altre, commissionò quattro terrazze accessibili da una monumentale scalinata e un ampio prato (il cosiddetto teatro) chiuso da una fontana a nicchioni. Da qui si snodava un maestoso viale zigzagante, in origine fiancheggiato da soli cipressi, che scortava al belvedere situato sulla cima del colle.
Internamente, Gian Angelo III fece decorare la villa con fregi mitologici e floreali che richiamavano idealmente il giardino. Nel 1752 fece edificare l’Oratorio della Beata Assunta che venne utilizzato dapprima come cappella di famiglia, ma che divenne poi la chiesa parrocchiale del paese. Con l’estinzione della famiglia della Porta avvenuta nel 1814, la tenuta, dopo alterne vicende, venne ereditata dalla famiglia Bozzolo che, raggiunto un accordo con il Fondo Ambiente Italiano (FAI), nel 1989 gli donò la proprietà. La fondazione, dopo aver svolto le necessarie opere di ristrutturazione, ha aperto ai visitatori la villa e il giardino.

La facciata di Villa Della Porta Bozzolo è semplice ed elegante, in particolare per la linearità delle forme e per le decorazioni a tinte tenui concentrate soprattutto attorno alle finestre. Addenstrandosi all'interno, la prima stanza che si incontra è l'ampia sala da ballo, con il pavimento in cemento colorato e un imponente camino in marmo, affrescata con scorci paesaggistici che creano un interessante gioco di illusioni prospettiche. Nella volta sono invece rappresentate coppie di amorini che sorreggono dei tondi contenenti figure allegoriche e fanno da cornice all'immagine centrale dell'incontro tra la Pace e la Giustizia, richiamante un salmo di Davide.

Da qui dirigendosi a sinistra si incontrano la sala del biliardo coi busti di Camillo Bozzolo, senatore del Regno, e della moglie Caterina Belfanti, un salottino dotato di un prezioso arredamento ove spiccano un'ampia specchiera settecentesca, un pianoforte impero ed un orologio da parete di manifattura piemontese.

Appeso ad una parete della Sala del Biliardo è esposto il biribissi, un antico e popolare gioco d’azzardo in voga nel ‘700, da molti considerato l’antenato della roulette.

Andando invece verso destra, superato il camerino, si accede alla sala da pranzo dotata di una volta affrescata con l'immagine di San Francesco sul carro di Elia: in questa stanza è possibile ammirare una raccolta di vasi farmaceutici e, all'interno di un'antica credenza, un servizio da tavola in ceramica riportante lo stemma del casato fondatore. Si passa quindi attraverso le cucine ed un'anticamera impreziosita da un armadio settecentesco contenente parte della raccolta libraria della villa per poi raggiungere lo studio, il locale meglio conservato nel tempo con il suo austero arredo ligneo e, alle pareti, i ritratti dei fratelli Richini che divennero proprietari della villa poco dopo la metà del XIX secolo.

Salendo lo scalone si giunge al livello superiore dell'edificio, entrando in una galleria affrescata dove all'interno di finte nicchie sono rappresentate le figure femminili simbolo delle sette Virtù con al centro l'episodio biblico di Agar e Ismaele assistiti dall'Angelo. Sulla destra si apre il salone decorato con un fregio settecentesco opera del Romagnoli e, all'interno di cornici dipinte, ritratto di alcuni membri della famiglia Della Porta. Il piano si completa poi con una serie di stanze da letto: a destra del salone si trovano in successione la "camera del letto rosso" con il suo talamo a baldacchino della fine del XVIII secolo e la splendida "camera dal letto verde", dove spicca un originale letto del Settecento con le cortine del baldacchino damascate e il paramento alla base realizzato in seta intrecciata con fili d'argento; da notare anche le poltroncine e le sedie neoclassiche che completano l'arredo. Alla sinistra del salone, si costeggia una piccola alcova per giungere poi alla "camera del baldacchino giallo" che prende il nome appunto da un letto circolare in seta damascata collocato in un ambiente arricchito anche da una solida scrivania francese e da una specchiera d'epoca. Riattraversando la galleria si possono osservare le ultime tre stanze: "la camera del letto giallo" che ospita affreschi sulla vita di Mosè e un prezioso orologio da tavolo stile impero, e un'anticamera con un fregio decorato da vicende evangeliche che conduce ad un'ulteriore alcova.

Tratto distintivo della villa è sicuramente il ricchissimo giardino esterno, caratterizzato da un significativo patrimonio di piante e fiori, da edifici rustici che rimandano ad un passato in cui l'edificio era punto di riferimento dell'attività agricola della zona e da elementi monumentali che lo rendono una vera e propria "architettura dell'ambiente".

Varcato l'ingresso e superate le scuderie, ci si imbatte in una serie di strutture che erano adibite a scopi pratici: la ghiacciaia dove venivano conservati gli alimenti, il cinquecentesco monumentale torchio in legno (il più grande nel suo genere di tutta la Lombardia), utilizzato per la spremitura delle vinacce, la macina sfruttata per la produzione di olio, la vecchia filanda e la cantina, dove sono ancora conservate antiche botti.

Tutto questo fa da preludio allo stupefacente giardino barocco che si articola con scelta insolita, lungo un asse principale parallelo alla facciata dell'edificio, che risale la vicina collina attraverso quattro terrazzamenti ornati da balaustre e statue in pietra di Viggiù e collegati da un'elegante scalinata dello stesso materiale che raggiunge il cosiddetto "teatro", una vasta e scenografica area verde punteggiata da cipressi e impreziosita da un fontanile. Da qui è possibile proseguire lungo un sentiero sterrato che si inoltra nel bosco fino a raggiungere il vicino belvedere, dove godere della splendida vista sulla Valcuvia e le alture limitrofe e ammirare la chiesetta di San Bernardino, risalente al XV secolo. Partendo invece sempre dal parterre principale di fronte alla villa e superando una cancellata d'ingresso sulla quale spiccano le statue delle Quattro Stagioni, si giunge al "giardino segreto", uno spazio più raccolto e meditativo con un viale alberato che conduce ad un'edicola che racchiude un affresco raffigurante Apollo e le Muse. Dal punto di vista floreale il parco si presenta, in particolare da fine febbraio in poi, come una variopinta tavolozza di colori grazie soprattutto a roseti, ortensie ed una grandissima varietà di crocus.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/06/casalzuigno.html



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sabato 27 giugno 2015

VILLA BORROMEO A VIGGIU'



La Villa Borromeo è una costruzione del 1800 in forme tardo neoclassiche con soffitti affrescati e parco; la facciata che dà sulla strada ha un monumentale colonnato di ingresso.

Di proprietà comunale è un elegante edificio tardo-neoclassico ed è inserito in una graziosa cornice di verde, che la rende meta ideale per le escursioni quotidiane dei viggiutesi.
La villa, con pianta a "C" è aperta con un cortile; tale delimitazione è ottenuta mediante un leggero colonnato che, nella parte centrale, rientra, formando una specie di esedra, così da facilitare la veduta e la sosta.
La parte dell'edificio prospettante verso il parco ha un disegno molto lineare; l'ingresso principale è arricchito da un austero porticato, sorretto da pesanti colonne tuscaniche. Nel giardino ha collocazione la scuderia, dalla pianta circolare, decorata lungo le pareti da teste equine in terracotta; oltre a questo edificio, sono visibili le testimonianze dell'antica orangerie.
La villa attualmente è utilizzata per esposizioni artistiche estemporanee, organizzate nel periodo estivo.Sicuramente da visitare anche il complesso del Museo Butti che è composto da diverse collezioni di opere dei famosi scultori viggiutesi quali Enrico Butti, Giacomo Buzzi Reschini, Nando Conti, Luigi Bottinelli, Vincenzo Cattò, Gottardo Freschetti ed Ettore Cedraschi.

All'interno della villa troviamo al pianterreno sale vastissime, anche a colonne, per serate musicali e da balli, sale da conversazione, sale per ricevere visite, sale da bigliardo, per giuochi.

Un gran porticato, chiuso a cristalli, serve per accedere a tutte le sale del pian terreno sopra accennate.
E qui travasi pure il sontuoso scalone che mette in comunicazione coi piani superiori. Oltre questa gran scala, ben altre interne furono costruite per il passaggio del personale di servizio.
Per addobbare i molti e variati locali furono chiamati i migliori artisti.
Intagliatori in legno valentissimi, vi fornirono porte e mobili d'ogni genere. Qui la sala dipinta a gotico è mobiliata con lo stile medesimo; là un gabinetto di stile renaissance con suppellettili in carattere; tutto insomma è in bella armonia coll'edificio, pitture e mobilio.

Il pittore Pietro Mariani, vi ornò la maggior parte dei locali con quel gusto che mezzo secolo fa era in gran voga. Le pareti sono dipinte a guisa di tappezzerie; le volte delle sale sono dipinte fantasticamente. Molti giovani artisti lavorarono con lui per oltre un anno.

Anche Alessandro Montanara vi lavorò con rara abilità, varietà e leggiadria di concetto.
Giacomo Pellegatta, di Viggiù, vi dipinse il gabinetto del primo piano, a colori e chiaroscuro, nonché una sala d'angolo verso il giardino.
Antonio Bignoli, fu chiamato a dipingere a colori tutte le belle testine e figure che si ammirano nei diversi scompartimenti ornamentali, fregi e candelabri.
Dal palazzo che presenta, oltre quanto s'è detto sopra, tutti i servizi di cucina, forni, salotti per guardaroba, cantine, locali per lavori delle persone di servizio, rimesse, alloggio a parte del custode, un passaggio privato e coperto per assistere alle sacre funzioni nell'attigua chiesa. In fondo al giardino si trova una grande scuderia capace di contenere ventiquattro cavalli, coi loro riparti, e con tutti gli annessi e connessi per le persone addette allo speciale servizio.
Questa grande scuderia ha la forma circolare e per mezzo di una scala a chiocciola, nel centro, si accede ai locali superiori ove sono collocati i foraggi.

L'erezione dell'edificio, quasi isolato, costò parecchie migliaia di lire; è dipinto affresco, ornato all'esterno di teste da cavallo, ben modellato dal defunto Francesco Monti, di Viggiù, padre di quei bravi giovani che tanto ci distinguono nell'arte scultoria in Milano.
Dello stesso Monti è pure lo stemma Borromeo in marmo bianco che orna l'interno della gran porta gotica che dalla Via Borromeo mette nel giardino.
Il giardino è molto ben ideato con aiole, variazioni nel piano del terreno, e colline. Si vedono qua e là belle caricature del Fraccaroli, del Galli, del F.M. Buzzi-Gilberto di Viggiù.

La collina principale, con bosco di sempreverdi d'alto fusto, è ornata alla sua sommità d'una ricca Pagoda, costruita in legno a base ottagonale. Sotto questa collina vi sono grotte coi passaggi sotterranei che mettono alla ghiacciaia; questa di forma circolare è capace di contenere ghiaccio.

Il giardino in complesso è grandissimo, e l'area tutta è gradevolmente ripartita con filari di piante, aiuole, dolci declivi, serpeggianti sentieri.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/06/viggiu.html



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martedì 19 maggio 2015

LE VILLE DI ARCORE : VILLA CAZZOLA



Villa "La Cazzola" deve il suo nome all'omonima antica famiglia milanese dei conti Cazzola. Secondo la tradizione fu in origine progettata da Pellegrino Tibaldi (Architetto capo del Duomo Milano dal 1567 al 1585). Nel luglio del 1669 Giambattista Durini 1° Conte di Monza acquistò "la possessione della Cazzola" che fu riedificata secondo il progetto di Gerolamo Quadrio Architetto capo dal della Fabbrica del Duomo di Milano dal 1658 al 1679. Lo stesso realizzò la villa del Mirabello nel parco reale di Monza per il fratello di Giambattista, Giuseppe I Durini. Al piano nobile era presente un importante ciclo di affreschi ora scomparsi, realizzati tra il 1670 e il 1675 attribuiti a Giovanni Mariani, pittore presente ancora al Mirabello. Nel 1812 Luigi Durini affidò all'architetto neoclassico Carlo Amati (anch'egli Architetto capo del Duomo di Milano dal 1806 al 1813) il compito di adattare la villa secondo lo stile imperante. E' circondata da un parco di 30 ettari. Nel 1929 la villa è passata alla proprietà dei conti Gallarati Scotti ed eredi.

La costruzione più antica fu probabilmente destinata a casa di caccia, come è facile dedurre osservandone l'ubicazione a nord di Arcore, isolata rispetto al nucleo antico abitato, sulle prime propaggini collinari in una zona elevata che era ricca di boschi, brughiere e roccoli. Dall'inizio del Seicento, le notizie sono più sicure; Giovanni Battista Durini abitò la "Cazzola" e non è improbabile che sia stato da lui affidato al futuro autore del palazzo di Milano, Francesco Maria Ricchino, il lavoro di rimaneggiamento nel 1630, come ricorda la lapide; per tutto il secolo successivo la villa fu residenza estiva e di caccia dei Durini e nel 1812 Luigi Durini affidò a Carlo Amato il compito di una ulteriore trasformazione.

L'intervento dell'Amati è però in definitiva abbastanza limitato: la struttura non viene sostanzialmente modificata: è demolita una scala esterna sul lato occidentale e vengono effettuate alcune aperture interne, mentre all'esterno vengono modificate le finestre, con l'aggiunta dei timpani, del balcone sul lato settentrionale e del corncione a dentelli.
Nel 1892 Giacomo e Giuseppe Durini vendono la villa a Battista Vittadini che fa eseguire importanti restauri e modifiche interne con decorazioni di quello stile barocchetto quasi di prammatica in quell'epoca per le ville dalla Brianza, e vi riunisce una importante collezione di opere d'arte. A lui è dovuta anche la trasformazione dei rustici e notevoli lavori nel giardino, soprattutto nella parte di parco paesaggistico, che conferiscono al complesso la struttura attuale: alla sua morte viene poi costruita la cappella su disegno dei fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi.

Nel 1909 gli eredi Vittadini vendono la Cazzola che, nelle intenzioni dei nuovi proprietari, avrebbe dovuto essere trasformata in albergo; ma il progetto non viene realizzato e la villa decade in completo abbandono fino al 1929 quando viene acquistata dalla contessa Erminia Gallarati Scotti Scheibler; dopo di allora la casa ed il parco vengono perfettamente restaurati portandoli alle condizioni attuali.
Il complesso sorge su un basso terrapieno circondato da un parapetto ornato di statue, così che ne derivano due piazzali a giardino a nord ed a sud della casa; l'aspetto formale di questi spazi è arricchito da elementi architettonici, dalla grande fontana del piazzale a mezzogiorno, e dai cancelli barocchi con bellissimi ferri battuti settecenteschi sui due ingressi assiali della casa.
Intorno degrada il vasto parco che, verso sud, scende, con sistemazione all'inglese, fino all'ingresso principale, mente verso nord due lunghi viali alberati, di cui uno in asse con la casa, collegano i piazzali alla zona boscosa circondante da quel lato la proprietà. Il collegamento diretto delle sale della villa è ottenuto poi, oltre che dalle logge sui piazzali, con un terrazzo situato sul lato orientale.
E' interessante la fusione degli elementi di architettura originaria(i due piazzali) e le zone a parco, a bosco e decisamente agresti.
Il fabbricato padronale a due piani rivela l'impianto planimetrico cinquecentesco; due porticati a tre arcate, sui lati nord e sud danno accesso al salone centrale che a sua volta collega i corpi di fabbrica laterali. L'architettura della facciata è dominata dal doppio loggiato, ora chiuso con vetrate. Al piano terreno le colonne toscane reggono gli archi sormontati dalle balconate sulle quali si eleva il secondo loggiato con archi però ribassati. Le finestre ai lati dei loggiati, due per piano, sono sormontate dai timpani triangolari aggiunti dall'Amati. La facciata a nord presenta al piano terreno un loggiato identico a quello meridionale. Il fianco ovest della villa è collegato ai rustici che, più bassi, formano il cortile, con un corpo di fabbrica rettilineo a tre piani.
All'interno della villa l'elemento più interessante ed originale è certamente la scala elicoidale con parapetto in ferro battuto, a cui si accede dal porticato di ingresso. La decorazione delle sale presenta poi difficili problemi per il riconoscimento delle parti originali, sia per i soffitti decorati a "passasotto", sia per gli affreschi a contorno delle aperture.
La Cazzola rappresenta un caso pittosto raro di casa di caccia e villeggiatura che, attraverso le vicende dei tempi, ha mantenuto sostanzialmente la sua destinazione ed una fama di nobile tradizione, nonostante la relativa modestia.



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LE VILLE DI ARCORE : VILLA RAVIZZA



La villa  Ravizza è situata in Via Monte Grappa e risalente al XVIII secolo, presenta, cinto da cancellate in ferro battuto, un giardino - tra i più belli e suggestivi della Brianza, progettato dall'architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso - composto da una serie di terrazzamenti e di statue e piante pregiate, nonché un ponticello a più archi che lo collega alla villa di proprietà privata.

Esso fu creato nei primissimi decenni del secolo probabilmente quando furono unificate in una unica villa alcuni fabbricati di epoca eclettica e a questa, pur circondata da un dignitoso giardino, si volle collegare la collinetta retrostante, adiacente il parco Borromeo e separata da una via pubblica. Fu un intervento paesistico sullo stile di quelli settecenteschi per la sua grandiosità; ma mentre quelli erano concepiti come cornice fondale o introduzione del fatto architettonico questo, anche per motivi logistici, sembranella sua cornice fastosa essere fine a se stesso, perché avulso dalla villa, sia materialmente che otticamente e quindi di difficile godimento.
Il raccordo tra casa e giardino avviene da un balcone che corre lungi il primo piano della villa e che si allarga a terrazza e sfocia nella scenografica scalinata a tenaglia che si alza per tre rampe successive fino alla sommità della breve e ripida collinetta ingigantendola e creandole una monumentalità che abbiamo visto non trovare riscontro nella casa.
Tutto l'apparato decorativo, balaustre in cemento e pietra traforata o in ferro battuto, statue, vasi, fontane e mosaici ne completano la ricchezza e la suggestione barocca al punto che questo giardino (tra i più suggestivi e curati della Brianza) è stato considerato di matrice settecentesca da più di uno specialista, mentre è interessante notare come i suoi ideatori abbiano ricorso ai nuovi materiali che l'epoca andava offrendo, come il cemento ed il porfido, uso che il revival barocchetto a cavallo tra i due secoli sperimentava, e sollecitava come innovazione tecnica.
Sulla cima pianeggiante una galleria di carpini e una sapiente distribuzione arborea collegano senza soluzione di continuità questo parco a quello adiacente della villa Borromeo e a quello più lontano della Cazzola.



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lunedì 27 aprile 2015

VILLA PANZA A VARESE

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Circondata da un magnifico giardino all'italiana, Villa Menafoglio Litta Panza di Biumo è stata costruita alla metà del XVIII secolo per volontà del marchese Paolo Antonio Menafoglio e ampliata in epoca neoclassica dall'architetto Luigi Canonica, su incarico del duca Pompeo Litta Visconti Arese.
La villa è celebre nel mondo per la collezione d'arte contemporanea che Giuseppe Panza di Biumo vi ha raccolto a partire dagli anni '50. Nei saloni e nelle grandi scuderie, sono oggi esposte oltre cento opere di artisti contemporanei, oltre a ricchi arredi del periodo che va dal XVI al XIX secolo e ad un'importante raccolta di arte africana e precolombiana.

Nel 1748 il marchese Paolo Antonio Menafoglio acquistò dei terreni sul colle di Biumo Superiore, fece innalzare dei grandi muri perimetrali, che furono in seguito riempiti di terra, e sulla sopraelevata così ottenuta fece erigere la sua villa: un grande fabbricato a tre piani, a forma di U, aperto verso un ampio giardino all'italiana (con elementi spontanei), quasi sospeso sopra la città di Varese, unito con un ponte all'altrettanto sontuoso parco confinante delle Ville Ponti.

L'abitazione era stata essenzialmente concepita come una "villa di delizia", atta cioè non ad essere la residenza del proprietario, ma bensì un luogo dove organizzare ricevimenti ed eventi mondani. In effetti, lo spazio riservato alla servitù era molto ridotto.

La mala gestione delle finanze spinse i Menafoglio, nel 1823, a cedere la villa al patrizio milanese Pompeo Litta Visconti Arese, che a partire dal 1829 diede incarico all’architetto Luigi Canonica di ampliare il fabbricato, probabilmente in vista della sua elevazione al rango ducale (titolo che gli sarebbe stato conferito nel 1832 dall’imperatore d’Austria Francesco II).

I lavori si protrassero all’incirca tra il 1829 e il 1831. Canonica ricavò dai rustici le nuove scuderie e le rimesse per le carrozze, determinando un allargamento della piazza di fronte all'ingresso principale del fabbricato (oggi Piazza Litta). Egli disegnò, inoltre, un nuovo fabbricato a un solo piano, a pianta rettangolare resa ovale scantonando gli angoli per mezzo di colonne, destinato a ospitare la grande e sontuosa sala da pranzo, noto come ‘salone impero’. All’architetto sono ascrivibili molti elementi della sala, inclusi la stufa, il disegno del pavimento, le console e tutti gli elementi di raccordo architettonico. In sostanza, Canonica trasformò la "villa di delizia" dei Menafoglio in una dimora signorile.

Nel 1956 il nuovo proprietario della villa, il conte Giuseppe Panza di Biumo, appassionato di arte contemporanea (soprattutto americana), iniziò a raccogliere nella villa un'ampia collezione di questo tipo di arte. In particolare invitò celebri artisti suoi contemporanei a trasformare alcune stanze della villa (specie nell'area dei Rustici) in altrettante opere d'arte ambientale: si possono tuttora ammirare le opere di arte ambientale create, tra gli altri, da Dan Flavin, James Turrell e Robert Irwin, appositamente per i locali della villa durante il soggiorno degli artisti in casa Panza.

Nella villa vera e propria raccolse invece opere quali tele monocromatiche e scultureminimaliste, opera degli artisti Phil Sims, David Simpson, Ruth Ann Fredenthal, Max Cole, Maria Nordman, Martin Puryear, Ford Beckman, Ross Rudell, Alfonso Fratteggiani Bianchi, Ettore Spalletti, Lawrence Carroll, Stuart Arends, Allan Graham, Winston Roeth. In totale sono raccolte cento opere di artisti contemporanei, armoniosamente accostate a preziosi arredi del XVI-XIX secolo ed esemplari di arte africana e precolombiana. Nel 1996 la villa entrò a far parte del patrimonio del Fondo Ambiente Italiano, a seguito della donazione dei proprietari Giuseppe e Rosa Giovanna Panza di Biumo (che si limitarono a mantenere il secondo piano come loro abitazione. Il FAI provvide ad effettuare i necessari restauri ed adeguamenti strutturali e, nel 2001, la villa fu aperta al pubblico. Nel 2013 riceve il certificato d'eccellenza da TripAdvisor.



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VILLE PONTI A VARESE

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Le Ville Ponti sono un complesso di ville residenziali edificate sulla collina di Biumo Superiore (nel territorio comunale di Varese) tra il XVII e il XIX secolo. Il nome deriva dall'industriale Andrea Ponti, che acquisì il complesso nel 1838, unì i vari giardini che lo componevano e fece costruire la dimora principale.

La dimora signorile di Villa Ponti, costruita nel 1858 in stile veneziano neo-rinascimentale dell'architetto Giuseppe Balzaretti, era stata commissionata dall'industriale tessile Andrea Ponti. Costui, nato a Gallarate nel 1821, aveva assunto con il fratello la guida della ditta che divenne in seguito la "Antonio & Andrea Ponti": in questa famiglia emersero due personaggi destinati a divenire, nel campo economico e sociale, tra i più rappresentativi nell'ambito dell'imprenditoria lombarda dell'epoca, Andrea e suo figlio Ettore.

Il cantiere della Villa procedette a rilento e il disegno iniziale non venne mai portato a totale compimento forse per intervento del proprietario che ritenne l'inserimento delle due ali laterali pregiudizievole per l'aspetto monumentale del corpo centrale. Nel 1961 la proprietà della Villa passò dal marchese Gian Felice alla Camera di Commercio di Varese che, pur lasciando intatto il prezioso patrimonio d'arte in essa custodito, la destinò, con l'attigua Villa Napoleonica, ad essere utilizzata come Centro Congressi.

Il complesso, comprendente tre edifici, è circondato da un parco esteso per diversi chilometri quadrati. Nel 1961 il marchese Gian Felice Ponti, ultimo discendente della famiglia, vendette l'intero complesso delle ville, compresi i loro arredi, alla locale Camera di Commercio, che lo adibì a centro congressi.

La villa principale del complesso (villa "Andrea Ponti") venne costruita tra il 1858 ed il 1859 ad opera dell'architetto milanese Giuseppe Balzaretto (che si occupò altresì della riprogettazione dei giardini). La struttura, di stile neogotico e caratterizzata dai contrasti cromatici di rosa e bianco sulle facciate, si sviluppa in un corpo cubico, ispirato al mastio di un castello, posto nel punto più alto della collina. Il progetto originario comprendeva anche due ali laterali di grandi dimensioni, che sarebbero state costruite con il medesimo stile, ma per volere del committente non furono realizzate.

Le sale interne si dispongono attorno ad un atrio ottagonale e sono riccamente decorate con affreschi e stucchi. Il tema delle decorazioni varia nelle diverse sale: una di esse è ad esempio dedicata ai grandi talenti italiani, da Galileo Galilei a Dante Alighieri, da Alessandro Volta a Cristoforo Colombo; la decorazione comprende anche statue in bronzo raffiguranti altri personaggi di rilievo della cultura, delle arti e delle scienze italiane.

La "Villa Napoleonica"' o villa "Fabio Ponti", costruita sul finire del XVII secolo, è l'edificio più antico del complesso, modificato in stile neoclassico tra il 1820 e il 1830. Fu acquistato dalla famiglia Ponti come residenza estiva nel 1838 e successivamente il parco (originariamente a sé stante) fu unito a quello della nuova villa "Andrea Ponti".

L'edificio fu il quartier generale di Giuseppe Garibaldi nella cosiddetta battaglia di Varese, combattuta presso Biumo il 26 maggio 1859.

Alla "Villa napoleonica" si affiancano le "Sellerie", una struttura dal tetto a capanna, un tempo utilizzata come scuderia del complesso residenziale.

Essa comprende non solo le stalle propriamente dette e la rimessa per le vetture, ma anche tutti gli alloggi degli stallieri e del personale addetto alle carrozze, oggi trasformati in sale per conferenze.

Dal verde tenero dei prati lo sguardo s'allarga d'improvviso a quello più intenso di piante secolari mentre, in alto, l'azzurro stupendo del bel cielo di Varese racchiude e fascia questa autentica “gemma dei congressi”.

Immergersi nello charme delle Ville Ponti vuol dire cogliere l'occasione unica di scegliere per i propri incontri, meeting e convegni un prestigioso complesso di eleganti dimore storiche immerse nel verde di un lussureggiante parco secolare.

Oggi il Centro Congressi è distribuito su tre suggestive costruzioni d'epoche diverse - la Villa Andrea, la Villa Napoleonica e le Sellerie - circondate da un parco di 56 mila metri quadrati, ricco di essenze rare e realizzato da un personaggio di spicco quale l'architetto milanese Giuseppe Balzaretto. Insieme ai suoi collaboratori, il ticinese Isidoro Spinelli per la parte realizzativa e il botanico tedesco Rudolph Weinhold, ha dato vita a un Parco di stile inglese che presenta pittoresche sistemazioni a roccaglia. Una vegetazione lussureggiante, dove spiccano specie ad alto interesse botanico come il Cedro atlantica e il C. glauca, la Lagestroemia indica, l'Aucuba japonica, il Fagus pendula e il F. asplenifoglia, la Betula pendula, il Quercus rubra, il Pinus wallichiana e il Picea smithiana, la Cunninghamia lanceolata. E inoltre tasso, tiglio, liriodendro magnolia, acero, camelia, rododendro con fioriture caratterizzate da svariati cromatismi, cipresso, tuia e tsuga, olmo, abete, bagolaro, catalpa ed agrifoglio, comprese le splendide carpinate e numerose altre specie vegetali di elevato pregio botanico e paesaggistico-architettonico sono caratterizzanti l'ambiente. Un percorso ben strutturato e con pannelli informativi consente al visitatore di addentrarsi nei luoghi storici del parco, alla scoperta delle specie arboree di maggiore interesse botanico.




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venerdì 24 aprile 2015

LE CITTA' DEL LAGO MAGGIORE : VARESE

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Varese  è un comune italiano, capoluogo dell'omonima provincia in Lombardia.

Il documento più antico che riporta il nome di Varese è una pergamena datata 8 giugno 922 conservata presso l'Archivio di Stato di Milano.
Il toponimo Varese sembra derivare dal celtico Vara (acqua), connesso alla vicinanza dell'omonimo lago. E il nome sarebbe venuto al luogo, non tanto per la presenza del torrente Vellone, ma dall'essere un tempo il fondovalle, dove sorge il borgo, acquitrinoso per le acque defluenti dai colli circostanti. Una volta la falda si trovava infatti pochi metri sotto il suolo, e in tempo di piogge insistenti le cantine si riempivano d'acqua e nelle piazze, anche per il terreno argilloso, le pozzanghere stagnavano a lungo.
E' ipotizzata anche la derivazione dai nomi gentilizi romani Varia, Varius, nonché dal pretore Publio Quintilio Varo. Non è esclusa neppure l'origine da Vallexitum o Vallesium da cui Varisium per la mutazione della l in r comune da lontani tempi nella parlata della zona (se ne hanno tracce dal XII secolo) e ciò per essere la località allo sbocco delle valli. La vicinanza dei numerosi boschi fa propendere anche per il termine virens, equivalente appunto a verdeggiante.

Le prime tracce di un insediamento abitativo ritrovate sul territorio risalgono alla preistoria, infatti i numerosi reperti esposti nel museo di Villa Mirabello e i ritrovamenti di insediamenti palafitticoli sull'isolino Virginia dimostrano che il territorio era abitato già nel 3000 a.C. Su questo isolotto al largo di Biandronno nel 1863 l'abate Stoppani con due archeologi svizzeri rinvennero infatti dei resti palafitticoli. Successive ricerche portarono al ritrovamento sul lago di un'altra decina di insediamenti sparsi tra gli attuali comuni di Bardello, Cazzago Brabbia e Bodio Lomnago, datati tra il neolitico inferiore e la prima età del ferro. Tuttavia non si hanno notizie precise del borgo fino allo sviluppo della cultura di Golasecca, estesa a tutta l'area lombarda-piemontese, e la cui evoluzione sarebbe continuata ben oltre la fondazione dell'Impero Romano. Le importanti vie di comunicazione utilizzate soprattutto da mercanti e militari che collegavano Milano con l'attuale Svizzera attraverso la Valganna, Ponte Tresa e il Canton Ticino, avrebbero presto accentuato l'importanza di Varese come luogo di transito.

Nell'Alto Medioevo Varese partecipò alle vicende storiche del Seprio e alle lotte intestine tra Como e Milano, i cui rapporti risalivano al 1045 con l'elezione ad arcivescovo del varesino Guido da Velate e all'alleanza che avrebbe determinato la sconfitta di Federico Barbarossa nel 1176. Con al caduta di Castelseprio nel 1287 e l'ascesa dei Visconti il legame di Varese con Milano diventò ancora più stretto e duraturo. Investita nell'XI secolo dalla costruzione di numerosi presìdi difensivi - ancora oggi in parte esistenti - destinati a controllare l'accesso in Pianura Padana da settentrione, nel corso del Trecento Varese si dotò dei primi statuti che avrebbero regolato la vita cittadina, fondata su una sostanziale e privilegiata autonomia di governo che durò, tranne rare eccezioni, fino alla seconda metà del Settecento. Dopo i disordini scoppiati con la morte di Gian Galeazzo Visconti, nel 1407 il condottiero Facino Cane, conte di Biandrate si proclamò signore di Varese, usurpando quei privilegi che sarebbero stati restituiti al borgo tre anni dopo da Giovanni Maria Visconti. Il successivo periodo sforzesco assicurò a Varese un certo sviluppo economico, con il potenziamento del locale mercato, scelto come sede di un'importante fiera per la vendita di cavalli provenienti da oltralpe. Con la successiva invasione di mercenari svizzeri, l'inizio della dominazione spagnola e lo scoppio di numerose epidemie, la località scivolò in un'epoca di decadenza, da cui si sarebbe ripresa solo con il passaggio al nuovo secolo.

L'avvento di Carlo Borromeo ad arcivescovo di Milano segnò per Varese un'importante stagione di rinnovamento politico e culturale. La sua visita nel 1567 contribuì infatti a modificarne l'istituzione ecclesiastica, dando nuovo vigore al monastero di Santa Maria del Monte, che da lì a poco avrebbe visto aprirsi una delle più importanti imprese artistiche della Lombardia. La fabbrica, che prevedeva la realizzazione di una via Sacra per raggiungere il santuario, ebbe inizio quando Padre Giovanni Battista Aguggiari riuscì a raccogliere la somma di 1 milione di lire imperiali, coinvolgendo anche alcune nobili famiglie milanesi. In precedenza l'unico accesso al Santuario seguiva l'impervio sentiero che ancor oggi collega il rione di Velate al Sacro Monte e al Campo dei Fiori, passando da un luogo, il Monte San Francesco in Pertica, che per secoli aveva ospitato una torre di avvistamento romana prima e una delle più antiche comunità francescane poi. Fu probabilmente il Borromeo a decretare il definitivo declino del luogo e il drastico cambiamento di rotta a favore di una comunità monastica femminile legata alle più importanti famiglie nobiliari dell'epoca. La realizzazione dell'opera, iniziata nel 1604 e conclusa nella forma attuale nel 1698, vide la partecipazione di celebri artisti quali il Morazzone e il Cerano sotto la direzione iniziale dell'architetto Giuseppe Bernascone. L'impresa, che trasformò Varese in un autentico baluardo del cattolicesimo contro la minaccia protestante, venne condotta attraverso le crisi epidemiche d'inizio Seicento, la più grave delle quali - registrata nel 1628 - procurò forti carestie e numerosi decessi per peste. Nella seconda metà del secolo la situazione politica si stabilizzò e, nel Settecento, furono anche fissati i confini con la Svizzera (Congresso di Varese, 1752), che anticiparono la riforma dell'amministrazione comunale appena cinque anni dopo quando, abolite tutte le frazioni, il governo municipale fu affidato in forma oligarchica al convocato generale di tutti i benestanti con più di 3000 lire di patrimonio, che eleggeva una propria deputazione permanente e una giunta di reggenza, oltre a varie magistrature specifiche quali il cancelliere, il sindaco e il bidello, il tutto sottoposto all'autorità suprema del podestà di nomina regia. Nel 1765 Maria Teresa concesse Varese in feudo personale a Francesco III d'Este, Duca di Modena e Signore di Varese. Fu quello un periodo particolarmente felice e prospero, anche dal punto di vista culturale. Sorsero nuovi conventi, alcuni grandiosi come quello dei Cappuccini e dei Carmelitani Scalzi, delle Monache di Sant'Antonino; nuove confraternite costituirono i loro oratori e maturò quel "periodo d'oro" della villeggiatura varesina, sviluppatosi soprattutto nell'Ottocento e fino alla prima guerra mondiale. Salito al trono l'Imperatore Giuseppe II, Varese divenne residenza di un Intendente e designata capoluogo di una delle sei provincie in cui era stata suddivisa la Lombardia nel 1786: con l'elevazione del borgo a capoluogo dell'omonima provincia il territorio comprendeva anche il circondario di Gallarate. Nel 1797 la città divenne capoluogo dell'effimero dipartimento del Verbano, per poi essere inclusa nel dipartimento d'Olona e nel 1801 ridotta a Viceprefettura del dipartimento del Lario con capoluogo Como. Il governo di Napoleone decretò la prima espansione del territorio comunale, deliberando nel 1809 l'annessione di Bobbiate e Capolago, e nel 1812 quelle di Lissago, Masnago e Induno.

Tramontata la potenza napoleonica e ripristinato l'Ancien régime dopo gli sconvolgimenti francesi, nel 1816 il ridimensionato borgo fu elevato al rango di città - con le sue prerogative politiche e amministrative, compresa l'elezione del primo Consiglio comunale - dall'imperatore Ferdinando I d'Austria, che ne confermò tuttavia l'appartenenza alla Provincia di Como, nuovo nome del previgente Dipartimento del Lario.

Prima della definitiva cacciata degli Austriaci con la vittoriosa battaglia di Magenta del 4 giugno 1859, Varese visse il suo momento di gloria il 26 maggio 1859, in cui Garibaldi e i garibaldini prevalsero sulle truppe del generale Karl von Urban. L'Unità nazionale costituì per la città il trampolino di lancio del suo sviluppo economico e sociale che, protrattosi fino alla prima guerra mondiale, avrebbe investito l'industria cartiera, conciaria, calzaturiera, meccanica ed aeronautica. Una tale diffusa crescita determinò non solo un notevole benessere tra la popolazione, ma anche un ordinato sviluppo urbanistico, che valse a Varese il titolo di città giardino. La realizzazione di almeno un centinaio di grandi ville con parco, cui si aggiunsero lussuosi alberghi in stile liberty - progettati tra gli altri dall'architetto milanese Giuseppe Sommaruga - accentuarono l'interesse turistico di Varese nei primi anni del Novecento.

Con l'avvento al governo d'Italia del partito fascista, nel 1927 Mussolini elevò Varese a capoluogo del nuovo ente provinciale, scindendo così il legame con la città di Como. Poco dopo il territorio comunale venne ampliato con l'aggregazione dei comuni limitrofi di Bizzozero, Bobbiate, Capolago, Induno Olona, Lissago, Masnago, Sant'Ambrogio Olona, Santa Maria del Monte e Velate.

Varese e il suo territorio furono oggetto di importanti e significative azioni partigiane, in particolare negli anni della Repubblica Sociale Italiana, allorché la città e il suo territorio caddero in mano alle rinate truppe nazifasciste. La fallita, ma pur importante azione partigiana del gruppo "Regio Esercito Italiano-Gruppo 5 giornate" del colonnello dei bersaglieri Carlo Croce, segnò l'inizio di una rapida quanto brutale repressione contro antifascisti, disertori ed ebrei. Questi ultimi, affluendo dai principali centri d'Italia, diretti in Svizzera - quando non catturati in territorio italiano o vittime di ingiustificati respingimenti - beneficiarono talvolta di aiuti dalle popolazioni locali. Un ruolo decisivo per la loro salvezza lo giocò a Varese Calogero Marrone, capo ufficio anagrafe del comune, oggi giusto fra le nazioni che, mettendo a rischio la propria vita, falsificò decine di documenti, permettendo così una più agevole via di fuga per molti di loro.

Al termine della Seconda guerra mondiale la città e il suo territorio, dal quale nel 1950 fu staccato Induno Olona, andarono progressivamente espandendosi, sulla spinta di quello sviluppo economico-sociale che, causa di importanti e controverse trasformazioni urbanistiche già negli anni Trenta - come la creazione della centrale Piazza Monte Grappa su progetto di Vittorio Ballio Morpurgo - determinò una forte crescita industriale accompagnata da un parallelo incremento demografico.

Il caratteristico appellativo di Città giardino deriva dai numerosi parchi e giardini che si trovano nell'ambito del comune, in gran parte pertinenze di ville ivi edificate tra il XVIII secolo e l'inizio del XX secolo, prima da famiglie di nobili e più recentemente da industriali e rappresentanti dell'alta borghesia, originari soprattutto di Milano. Varese fa parte della Regione Agraria n° 4 - Colline di Varese, del Parco Regionale Campo dei Fiori, e della Rete delle Città Strategiche (RECS).

Gli abitanti della città sono chiamati Varesini, mentre gli abitanti dell'hinterland sono detti Varesotti. Analogamente buona parte del territorio della provincia oltre i confini della città viene chiamato Varesotto.

La città di Varese si trova in una posizione caratteristica, ai piedi del Sacro Monte di Varese che fa parte del Campo dei Fiori ed è sede di un osservatorio astronomico, nonché del Centro Geofisico Prealpino. La frazione che occupa la parte mediana della montagna prende il nome di Santa Maria del Monte in ragione del santuario medioevale, a cui si giunge tramite il viale delle cappelle del Sacro Monte. A segnare il margine più basso della città l'omonimo lago che la lambisce a livello di alcune frazioni. Varese è adagiata su sette colli: il Colle di San Pedrino (il quartiere di Bosto,402 m), il Colle di Giubiano (407 m), il Colle Campigli (453 m), il Colle di Sant'Albino (l'altura di fronte a Bosto a fianco di viale Europa)(406 m), il Colle di Biumo Superiore (439 m), Colle di Montalbano (Villa Mirabello, 411 m) e il Colle dei Miogni (492 m). Il territorio del comune risulta quindi essere compreso tra i 238 e i 1.150 m s.l.m. L'escursione altimetrica complessiva risulta essere pari a 912 metri. La casa comunale si trova a 382 m s.l.m.

Il territorio di Varese è bagnato da numerosi corsi d'acqua, ed è interessato dal lago di Varese. Nella frazione Rasa di Varese, il fiume Olona ha tre delle sue sorgenti, sempre in questa frazione l'Olona riceve le acque dei torrenti Legnone, Des e Sesnivi (o Valle del Forno). Più a valle, in località Bregazzana confluiscono nell'Olona anche i torrenti Braschè, Pissabò, Boscaccia e Grassi. A nord est, lambisce Varese il ramo sorgentizio orientale dell'Olona che scorre in Valganna; al confine tra Varese ed Induno Olona, confluisce nel fiume il torrente Pedana della Madonna. Sotto Santa Maria del Monte sgorga quello che può considerarsi come il corso d'acqua di Varese, il torrente Vellone. Dopo aver bagnato il rione di Velate, attraversa coperto la città, per poi sfociare nell'Olona in località Belforte.

A nord della frazione Rasa, nasce invece il torrente Buragona, alimentato dall'affluente Valgallina, tributario del lago di Brinzio. All'estremo nord del territorio varesino, in cresta al Campo dei Fiori, nascono l'Intrino ed il Riazzo, che bagnano l'abitato di Brinzio. Dalla zona montuosa di Varese nascono alcuni torrenti che confluiscono nel Lago di Varese, in particolare il Val Luna e il Rio di Casciago. A sud di Varese scorre la Roggia Nuova che confluisce nel lago presso Capolago. A Bizzozero nasce il torrente Selvagna, che confluisce nell'Olona presso Castiglione Olona. In località Torre San Quirico, quasi al confine con Gazzada Schianno, nasce il torrente Arno o Arnetta, uno dei principali corsi d'acqua del Basso Varesotto e dell'Altomilanese. Da sottolineare anche che Varese è chiamata "La terra dei laghi" per i 7 bacini che la bagnano :lago di Varese, lago Maggiore, lago di Comabbio, lago di Monate, lago di Lugano, lago di Ghirla, lago di Ganna.

I monumenti di Varese sono costituiti da un ricco patrimonio storico-artistico, di cui quelli più antichi sono conservati nell'antico borgo.

Di particolare rilevanza è infatti la Basilica Collegiata di San Vittore, edificata tra XVI e XVII secolo su struttura trecentesca: il presbiterio fu eretto nel 1542 e il corpo della chiesa su progetto di Pellegrino Pellegrini nel 1580.
A fianco della Basilica sorge l'antico battistero di San Giovanni Battista, eretto tra XII e XIII secolo. All'interno sono presenti testimonianze del preesistente edificio esagonale risalente all'VIII-IX secolo. Al centro, sopra la vasca battesimale del VII-VIII secolo, è la fonte ottagonale monolitica scolpita da un maestro campionese attivo tra il tra Duecento e Trecento. Sull'altare una Madonna in trono e santi di maestro vercellese del XVI secolo.
Tra le altre chiese sparse in città sono da ricordare quella di San Martino, parte di un ex convento benedettino con affreschi di Francesco Maria Bianchi (1689-1757) e Pietro Magatti (1687-1765);
la chiesa di Sant'Antonio alla Motta, trasformazione di un edificio tardoquattrocentesco realizzata nel 1606-1614 da Giuseppe Bernascone (1565-1627) con interventi interni di Giuseppe Baroffio e opere di Giovanni Battista Ronchelli.
A ridosso della centrale piazza Monte Grappa sorge invece la chiesa di San Giuseppe, edificata come oratorio nel corso del 1504. L'interno è arricchito da preziosi affreschi seicenteschi di Giovan Battista Del Sole, Melchiorre Gherardini e Giovanni Battista Ronchelli, autore degli affreschi sulla parete del coro. La tela nella parete centrale, risalente alla prima metà del Seicento, è attribuita invece a Giulio Cesare Procaccini.
A poca distanza dal centro storico, in località Biumo Inferiore, sorge il santuario mariano della "Madonnina in prato", le cui prime notizie risalgono al 1574, in occasione di una visita pastorale nel borgo di San Carlo Borromeo. All'interno dell'edificio è conservato un pregevole affresco d'inizio Quattrocento, forse parte di un'edicola votiva, raffigurante la Vergine in trono con Bambino e numerosi affreschi di Antonio Busca risalenti al 1667. La facciata della chiesa fu eseguita invece tra il 1678 e il 1686 in pietra arenaria di Viggiù.
Sono da ricordare inoltre la chiesa di San Giorgio in località Biumo Superiore per alcuni affreschi del XIV-XV secolo e una "Adorazione con Bambino" di Pietro Magatti;
la chiesa di Santo Stefano a Bizzozero, pregevole esempio di romanico lombardo del X-XI secolo, epoca cui risale anche l'oratorio della Schirannetta a Casbeno e
la chiesa di San Cassiano in località Avigno, quest'ultima caratterizzata da un affresco trecentesco su una parete esterna.
Degna di nota è infine la chiesa di Sant'Imerio - un tempo dedicata a San Michele Arcangelo - nel quartiere di Bosto, edificio risalente all'XI secolo con affreschi quattrocenteschi e un sarcofago in pietra scolpito dei secoli XI-XII.
Di particolare interesse storico-artistico è il Sacro Monte di Varese o "Fabbrica del Rosario", importante complesso concepito nel tardo Cinquecento da Giovanni Battista Aguggiari come sistemazione del preesistente percorso pedonale per il santuario di Santa Maria del Monte. Si tratta di una via sacra di circa due chilometri fiancheggiata da 14 cappelle votive che ripercorrono i misteri del Rosario. Realizzate a partire dal 1604 da Giuseppe Bernascone, dal 2003 il complesso è stato inserito con gli altri nove sacri monti di Piemonte e Lombardia nella lista UNESCO del patrimonio dell'umanità. Le cappelle, come i Misteri del Rosario, sono divise in gruppi di cinque, separati tra loro da archi trionfali e da fontane per il ristoro dei pellegrini. Le cappelle sono quattordici, una in meno dei Misteri del Rosario, poiché il santuario – meta del percorso – assume la funzione di quindicesima ed ultima cappella, grazie alla costruzione avvenuta in quegli anni, di un nuovo altare in marmo dedicato alla Incoronazione della Vergine, che racchiude una trecentesca statua lignea, icona oggetto di speciale venerazione. Il percorso devozionale si conclude ad oltre 800 metri di altezza nell'abitato di Santa Maria del Monte. Qui spicca il santuario, sorto su una chiesetta di remote origini e realizzato dal 1472 su disegno di Bartolomeo Gadio. Il prezioso interno dell'edificio conserva affreschi di Giovan Mauro della Rovere e Antonio Busca. La chiesa, meta del pellegrinaggio, risale al Medioevo e conserva, sotto il presbiterio, una cripta romanica databile intorno all'XI secolo. L'interno è d'impianto barocco, e le navate sono opera di Giovanni Battista della Rovere, del comasco Giovanni Paolo Ghianda, nonché dei fratelli Giovanni Battista e Giovanni Francesco Lampugnani, questi ultimi autori di alcuni affreschi alla XII cappella e nella chiesa dell'Immacolata Concezione, posta a inizio della via Sacra. Oltre al campanile del santuario, ideato da Giuseppe Bernascone nel 1599, rilevante è la fontana del Mosè, costruita per rendere esecutiva una deliberazione assunta dall'Amministrazione del Santuario nel 1803. Posta al termine del percorso devozionale, la fontana - ideata dall'architetto Francesco Maria Argenti di Viggiù e dallo scultore ravennate Gaetano Monti - è formata da un prospetto neoclassico impostato su un alto basamento a bugne regolari. Terminata nel 1834 non fu mai completata mancando due statue in posizione seduta ai lati del piedistallo e quattro sulla balaustra in corrispondenza delle colonne. Il monumento ha alla base una vasca che riceve acqua sorgiva da una testa leonina. Dal 2010 si svolge la rassegna "Tra Sacro e Sacro Monte", festival teatrale voluto dalla fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese

La città di Varese è ricca di ville e castelli, spesso edificati dalla famiglia Borromeo o in stile liberty. Si tratta di ville storiche, per la maggior parte sedi di musei o di enti istituzionali provinciali, di grande fascino, tanto per le costruzioni che per i magnifici giardini che le circondano. Oltre ad alcuni edifici sparsi nel centro storico della città, come Palazzo Pretorio o villa Cagna, un complesso residenziale che ospita anche il civico Liceo Musicale di Varese, figurano alcuni importanti edifici già destinati nel passato a lussuosi alberghi e importanti strutture ricettive.

Tra questi emerge Villa Recalcati in località Casbeno edificata nella prima metà del XVIII secolo, poi ampliata nel corso del 1756-75, fu concepita come albergo di lusso, ora è sede della Provincia di Varese e della Prefettura. A ridosso del centro città si incontra invece Villa Mylius, ceduta al comune di Varese nel 2007. Già di proprietà dei Padri Gesuiti di Varese, nel 1773 la villa e il parco furono ceduti al notabile Francesco Torelli, che la trasformò da modesto edificio in una vera e propria villa, poi venduta nel 1902 all'industriale Giorgio Mylius. Con la sua morte la proprietà venne frazionata tra vari eredi, che nel 1946 si accordarono per cederla al varesino Achille Cattaneo, e da lui donata all'amministrazione.

In località Sant'Ambrogio sorge Villa Toeplitz, considerata una delle più belle ville con parco pubblico della città. Il complesso prende nome da Giuseppe Toeplitz (1866-1938), banchiere di origini polacche che l'acquistò nel 1914. Già modesta residenza di campagna della famiglia tedesca Hannesen, venne ampliata dal Toeplitz quando nel secondo dopoguerra la moglie Edvige Mrozowska e il figlio Ludovico la vendettero ai fratelli Mocchetti di Legnano. Il complesso con l'elegante parco all'italiana passò al Comune di Varese nel 1972.

Sono da ricordare inoltre le Ville Ponti, edificate tra il 1850 e il 1870 su progetto dell'architetto milanese Giuseppe Balzaretto (1801-1874), furono ristrutturate nel 1976 e convertite in un importante centro congressuale. L'edificio principale, immerso in un pregevole parco pubblico, è decorato internamente da Giuseppe Bertini (1825-1898), mentre la villa neoclassica detta "Fabio Ponti" - l'edificio più antico dell'intero complesso - è ricordata per essere stata il quartier generale di Garibaldi nel 1859. Sempre in località Biumo Superiore, di fronte all'ingresso delle Ville Ponti, è la Villa Menafoglio Litta Panza. Costruita a partire da metà Settecento per iniziativa del marchese Paolo Antonio Menafoglio, è uno degli esempi meglio conservati di casa di villeggiatura di tutto il territorio varesino, sia dal punto di vista dell'architettura sia da quello dell'importanza territoriale. La villa con il giardino all'italiana fu in parte trasformata nel periodo napoleonico (salone neoclassico) insieme al parco a cui furono aggiunte delle parti sistemate all'inglese. Annoverata dal 1996 come bene tutelato dal FAI, attualmente l'edificio ospita la collezione d'arte contemporanea della famiglia Panza.

In località Giubiano è invece da ricordare Villa Augusta, edificata nella seconda metà dell'Ottocento. Già di proprietà Testoni, passò all'Ospedale di Circolo di Varese e poi, il 30 settembre 1952, fu ceduta all'ordine delle suore Ausiliatrici del Purgatorio di Roma. Acquistata dall'amministrazione comunale il 12 dicembre 1968, la villa ospita un'azienda municipalizzata, mentre il parco è aperto al pubblico dal 5 aprile 1970.

Nel rione di Masnago è presente invece Villa Baragiola, da menzionare soprattutto per il parco all'inglese. Sul lato nord, all'ombra del monte Campo dei Fiori, nel 1895 l'avvocato Andrea Baragiola inaugurò uno dei primi ippodromi italiani, che si estendeva sino all'area oggi occupata dallo stadio "Franco Ossola" e al suo ampio parcheggio. La villa, d'impianto Ottocentesco, fu ristrutturata nei primi anni trenta e ancora nel decennio successivo, quando fu destinata a seminario di ordine religioso. Passata al Comune di Varese nel 2001, oggi ospita una parte dei suoi uffici, mentre il parco è aperto al pubblico.
Sul promontorio che domina il quartiere di Belforte sorge un antico maniero in rovina, oggi conosciuto come castello di Belforte. Il toponimo, contrazione di "Bellum-Fortis", sarebbe di derivazione romana e confermerebbe l'esistenza di una postazione militare precedente al periodo medievale. La documentazione registra la presenza di una fortificazione esistente già nel 1164, con funzione di baluardo e vedetta delle vie lungo l'Olona. Agli inizi del XV secolo la proprietà passò nelle mani della famiglia Biumi, che trasformò l'edificio in una lussuosa residenza di notevole pregio architettonico. Abbandonato nel corso dei secoli, oggi è un complesso diroccato in attesa di restauri.

In località Masnago sorge il Castello Mantegazza. La massiccia torre quadrata del XII secolo testimonia lo scopo difensivo del complesso architettonico, sviluppato nel corso del Quattrocento e completato con un'ala Sei-Settecentesca che ha dato all'antica fortezza l'attuale aspetto di una dimora signorile. Dal XV secolo residenza dei Castiglioni, famiglia originaria del vicino borgo medievale di Castiglione Olona, la scomparsa del casato a inizio Novecento con la morte del marchese Paolo Castiglioni Stampa segnò il passaggio del castello ad Angelo Mantegazza di Varese, quindi alla famiglia Panza negli anni sessanta e infine al Comune nel 1981 che lo ha destinato a sede del Museo d'arte Moderna e Contemporanea. All'interno dell'edificio sono conservati rari esempi di affreschi profani in Lombardia, espressione dello stile gotico internazionale. Di notevole interesse, per la straordinaria ricchezza di specie vegetali, il parco del castello, un vero e proprio giardino botanico con oltre un centinaio di alberi a arbusti, tra i quali spiccano maestosi esemplari di leccio e corbezzolo.

In località Varese - un borgo fortificato esistente fin dall'epoca tardoromana (“castrum de Vellate”) - si trova una delle più belle testimonianze medievali presenti sul territorio. Si tratta di una torre risalente all'XI secolo che, inserita nell'antica struttura difensiva del Limes prealpino, era destinata a presidio militare della sottostante via per Angera e il lago Maggiore. La struttura, in pietra viva, con pianta quadrangolare, raggiunge i 33.50 metri d'altezza, con cinque piani fuori terra serviti da un articolato corpo scale posto sul lato orientale. Il poderoso fortilizio, del quale rimangono solo due lati e uno soltanto è integralmente conservato, fu gravemente danneggiato alla fine del XII secolo dai milanesi vittoriosi sulle milizie imperiali e sugli alleati del Barbarossa, tra i quali figuravano i nobili di Velate. Attualmente la torre, che costituisce un punto fermo nel paesaggio collinare dei dintorni di Varese, è proprietà del Fondo per l'Ambiente Italiano.

Oltre ai numerosi parchi pubblici della città, spesso pertinenze di ville storiche, è da segnalare in località Schiranna il Parco Luigi Zanzi, istituito negli anni sessanta attraverso un parziale riempimento della costa del lago di Varese. Si tratta di un ampio giardino botanico che sorge sulle sponde varesine del lago, ricche di numerose essenze arboree e da un'avifauna che trova in parte riparo nei canneti lungo le rive. Lido balneare in estate, il parco offre anche possibilità di tranquille passeggiate ed escursioni in bicicletta sulla pista ciclabile.

A ridosso della città di Varese sorge invece il Parco regionale Campo dei Fiori, area naturalistica di oltre cinquemila ettari costituita dai massicci monte Campo dei Fiori e monte Martica, separati da quella valle Rasa che è punto di congiunzione tra Valcuvia e valle dell'Olona. Un tempo la vetta del Campo dei Fiori era caratterizzata da estese superfici prative, motivo per il quale fu meta storica del turismo varesino e milanese. Oggi sono le spettacolari fioriture - che hanno dato il nome all'area - a costituire una delle sue principali attrattive. Si tratta di un luogo molto diversificato che mostra aspetti di estremo interesse, legati sia all'ambiente naturale, sia a testimonianze storiche e culturali, riferite a un passato denso di avvenimenti e tradizioni. Si trovano piccoli borghi contadini, complessi monumentali di rara bellezza, sistemi di grotte articolati e una curata rete di sentieri: alcuni percorribili, oltre che a piedi, anche a cavallo e in bicicletta. All'interno del Parco sono istituite sei riserve naturali che racchiudono gli ambienti più importanti e caratteristici.

Il Museo civico archeologico di Villa Mirabello raccoglie materiali dalla preistoria all'alto Medioevo, provenienti da collezioni, scavi e scoperte casuali, che lo rendono un prestigioso centro riconosciuto a livello scientifico. Ospita inoltre una biblioteca archeologica e storico-artistica aperta al pubblico con un patrimonio di oltre 10 000 pubblicazioni tra monografie e riviste di settore.
Il Museo preistorico Ponti, distaccamento del Museo archeologico di Villa Mirabello, si trova sull'isolino Virginia, in una più vasta area archeologica e ambientale vincolata. Su concessione ministeriale, dal 2006 sono riprese indagini archeologiche che hanno portato alla luce monumentali resti lignei di sistemazione di sponde e abitazioni risalenti al V millennio a.C. Nel parco archeologico si può visitare il Percorso didattico all'aperto e, col procedere degli scavi, la musealizzazione delle fasi della vita dell'abitato.
Il Museo di arte moderna e contemporanea, che ha sede presso il castello di Masnago, conserva opere di numerosi artisti moderni e contemporanei pervenute da alcune illustri famiglie varesine. Forte è l'impronta della cultura pittorica lombarda ottocentesca e del primo Novecento con opere di Francesco Hayez, Giuseppe Bertini, Tranquillo Cremona, Giacomo Balla e Giuseppe Pellizza da Volpedo. Oltre alla stagione pittorica sei-settecentesca, documentata dalle opere di Giulio Cesare Procaccini, del Morazzone e da Pietro Antonio Magatti, è da segnalare anche la sezione del Novecento varesino con i lavori di Innocente Salvini, Domenico De Bernardi e Leo Spaventa Filippi.
La Casa Museo Lodovico Pogliaghi al Sacro Monte di Varese fu residenza dell'artista milanese Lodovico Pogliaghi (1857-1950), ed è testimonianza dell'eclettismo ottocentesco. La casa raccoglie gli oggetti più disparati per epoca e area geografica raccolti da Pogliaghi nei suoi frequenti viaggi in giro per il mondo. Di particolare interesse alcune sculture del Giambologna, due tele del Magnasco e un bozzetto in terracotta del Bernini, nonché vari reperti archeologici e una significativa collezione di tappeti antichi.
Il Museo Baroffio, riaperto nel 2001 dopo una chiusura decennale, fu inaugurato nel 1936 dal card. Ildefonso Schuster con il lascito del barone Giuseppe Baroffio dall'Aglio (1859-1929). Tra le numerose opere conservate spiccano dipinti di Camillo Procaccini, Bartolomeo Schedoni, Pietro Antonio Magatti, nonché lavori di maestri del XX secolo quali Aldo Carpi, Aligi Sassu e Renato Guttuso, conservati in una sezione di arte sacra contemporanea voluta da mons. Pasquale Macchi.
Il Museo di villa Panza, ospitato all'interno dell'edificio oggi di proprietà del Fondo Ambiente Italiano - edificato nel XVIII secolo dal marchese Paolo Antonio Menafoglio e ampliato in epoca neoclassica dall'architetto di origini ticinesi Luigi Canonica - è celebre per le rinomate collezioni di arte contemporanea raccolte dagli anni cinquanta da Giuseppe Panza di Biumo. Sono conservati inoltre arredi dei secoli XVI-XIX e un'importante raccolta di arte africana e precolombiana. Di notevole rilevanza è anche il parco della villa, ridisegnato nei primi decenni dell'Ottocento rispettando i canoni del giardino formale settecentesco.
L'Osservatorio astronomico G.V. Schiaparelli fu fondato nel 1956 da Salvatore Furia e dedicato all'astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli. Si tratta di un complesso che sorge sul monte Campo dei Fiori ad oltre 1200 m di altezza, immerso in un importante giardino botanico di circa sessanta ettari, destinato a ricreare un habitat prealpino, incrementandone la biodiversità. L'osservatorio ospita un piccolo museo con fotografie e oggetti astronomici.
Il Museo Tattile è stato inaugurato nell'aprile 2011 nelle sale di villa Baragiola a Masnago. Affiancando quelli già esistenti di Madrid e Ancona, il Museo Tattile di Varese ha l'obiettivo di promuovere una conoscenza che sia punto di riferimento per vedenti e non vedenti attraverso un'articolata serie di percorsi di apprendimento multisensoriale.
Il refettorio dell'ex-convento di Sant'Antonino, conosciuto come sala Veratti - dall'omonima famiglia che acquistò il complesso dopo la soppressione del monastero nel 1789 da parte dell'imperatore Giuseppe II - è attualmente uno spazio pubblico destinato a conferenze, mostre e temporanee esposizioni d'arte. Alla sala, di pianta rettangolare, si accede per quella che anticamente era la parete di fondo (inizialmente senza aperture), mentre l'antica porta che si affacciava sul chiostro di Sant'Antonino è stata murata. Il raffinato apparato decorativo, risalente al XVI secolo, è stato completato a partire dal 1736 con interventi di Pietro Antonio Magatti e dai fratelli Baroffio.

La città di Varese si è sviluppata in modo del tutto anomalo rispetto ad altre città lombarde: dall'antico borgo medievale che gravitava sulla basilica di San Vittore, erano sorti infatti cinque nuclei che, pur mantenendo una certa indipendenza, erano comunque legati a livello economico, sociale e religioso con il borgo primitivo. A questi piccoli centri, chiamati anche "castellanze" - Biumo Superiore, Biumo Inferiore, Giubiano, Bosto e Casbeno - andarono ad aggiungersi nel 1927, a seguito dell'elevazione di Varese a capoluogo di provincia, di alcuni comuni circostanti - Santa Maria del Monte, Velate, S. Ambrogio Olona, Masnago, Lissago, Bobbiate, Capolago, Cartabbia, Bregazzana e Bizzozero. La loro aggregazione contribuì al successivo sviluppo urbanistico di quelle aree agricole che, di fatto, separavano Varese ed i nuclei a lei uniti. Quell'antico spazio di vigne e arativi venne poi gradualmente trasformato, accogliendo - a partire dall'Ottocento per raggiungere il suo apice negli anni '30 del XX secolo - le ville della ricca borghesia industriale, che avrebbero contribuito a ricucire il "diffuso" tessuto urbano.

Il centro storico di Varese si sviluppa attorno al "broletto", cortile dal fondo acciottolato appartenente all'attiguo Palazzo Biumi, nobile dimora seicentesca di una delle famiglie più in vista del borgo. Su due lati della corte, precedenti la costruzione dell'edificio, sono tuttora visibili alcuni affreschi di illustri personaggi locali. Il broletto, oggi area di passaggio, era in origine un mercato di granaglie, anche se l'etimologia "piccolo brolo" (verziere, piccolo orto o giardino) richiama precedenti attività diverse da quelle di natura agro-alimentare. Fino al 1882 il cuore della vita civile e amministrativa di Varese era il palazzo Pretorio in piazza Podestà, uno spazio pubblico che, ampliato nel 1599 con la demolizione di alcuni preesistenti edifici, ospitava anche le locali carceri. Dal 1850 il cuore civile del vecchio borgo fu collegato attraverso l'"arco Mera" al centro religioso, dominato dalla basilica di S. Vittore e dall'imponente torre campanaria del Bernascone, dietro la quale sorge una delle più antiche testimonianze monumentali della città, il battistero di S. Giovanni Battista.
Almeno fino a metà del XIX secolo il centro storico ospitava diversi edifici religiosi. Piazza Carducci, con un impianto immutato nel corso del tempo, accoglieva infatti la chiesa di Sant'Antonino appartenente al convento omonimo voluto da San Carlo, oltre ad una piccola cappella inserita in un collegio di Gesuiti che vi sorgeva nel Settecento. Ancora oggi è presente invece la casa dei nobili Comolli, dal 1817 sede di un « Casino », luogo di ritrovo di patrioti e maggiorenti del borgo, più volte chiuso sotto dominazione austriaca. La vicina piazza intitolata a Cesare Beccaria accoglie invece un complesso già parte del duecentesco convento degli Umiliati, innalzato sul lato settentrionale di via Vetera. Aperta nel 1830-'32 la piazza ospitava anche un "Casotto" dove il boia teneva il palco e gli attrezzi per le esecuzioni. L'ipotesi iniziale di erigere un monumento a Sant'Arialdo, già canonico varesino e maggiore protagonista della cosiddetta Guerra dei preti che coinvolse il Milanese nell'XI secolo, cadde dopo il vivace dibattito locale sull'abolizione della pena di morte nel 1865, che spostò la decisione di dedicare il nuovo spazio pubblico al giurista milanese.

Nella prima metà del Novecento parte del centro storico di Varese fu demolito per fare spazio a edifici in stile razionalista. Fu così che la vecchia piazza Porcari, fino agli anni trenta importante crocicchio cittadino e collegamento con piazza della Motta - citata già nel XII secolo come sede del mercato settimanale e della fiera - lasciò spazio ai nuovi volumi progettati da Vittorio Ballio Morpurgo e Mario Loreti. La creazione dell'attuale Piazza Monte Grappa, progettata per essere il salotto moderno di Varese, accolse così imponenti strutture architettoniche, testimonianza di quella monumentalità e di una certa retorica del tempo. Tuttavia non mancano alcuni spunti interessanti come la Torre Littoria che, con il suo slancio verso l'alto, accresce il senso spaziale all'interno della piazza, puntando a interrompere la monotonia dei ritmi orizzontali con un accentuato senso di verticalismo.

Tra gli edifici in stile razionalista sono da annoverare anche il Palazzo delle Poste dell'architetto Angelo Mozzoni. Edificato nel 1933, è un compromesso stilistico tra l'accentuato monumentalismo della facciata, determinato dalle gigantesche semicolonne sulle quali svettano sculture in bronzo, e la maggiore modernità delle parti restanti non in vista che evidenziano un linguaggio, al contrario, più sobrio ed antiretorico. Della stessa impostazione sono anche il Palazzo di Giustizia, progettato nel 1928 dall'architetto Morpurgo, le sedi di partito quali la Casa del Fascio, la Casa del Balilla e la Casa del Mutilato, oggi edificio di proprietà comunale con una sala adibita a concerti e manifestazioni cultura.

Il territorio del Comune di Varese era suddiviso in sei Circoscrizioni: organismi di partecipazione e consultazione che svolgono una funzione di tramite tra il Comune e i cittadini. Ognuna aveva un proprio Consiglio di Circoscrizione. A seguito delle abolizioni delle stesse, ora è suddiviso in 9 aggregazioni rionali.

Un Boeing 727 dell'Alitalia era intitolato CITTÀ DI VARESE.
Un Airbus A319-112 della Lufthansa Italia avente marche D-AKNG è intitolato Varese.
Ad un incrociatore corazzato della Regia Marina venne attribuito il nome Varese.
I varesini sono anche chiamati bosini, termine che inizialmente riguardava solo il nucleo storico della città ma che col passare del tempo ha finito col comprendere tutti gli abitanti delle castellanze del comune. L'origine di bosino viene in genere associata ad Ambroeus, ovvero sant'Ambrogio, in quanto la storia di Varese è particolarmente legata a questo vescovo di Milano del IV secolo.

Ogni anno, nel mese di agosto, si svolge tra Varese e provincia (la parte nord in particolare) la Tre Valli Varesine.
Varese ha ospitato per due volte una tappa del Giro d'Italia:

Il 10 giugno 1990 la 19ª tappa del Giro d'Italia 1990, una cronometro individuale, che si è conclusa al Sacro Monte di Varese con la vittoria di Gianni Bugno, poi vincitore di quella corsa.
Il 26 maggio 2008 la 18ª tappa del Giro d'Italia 2008 con la vittoria del tedesco Jens Voigt.
Varese dal 22/09/2008 al 28/09/2008 è stata sede principale dei Mondiali di ciclismo su strada, che si sono conclusi con la vittoria dell'Italiano Alessandro Ballan. In occasione dei Mondiali è stato emesso un francobollo commemorativo, che riporta anche il simbolo di Varese 2008. A Varese si erano svolti anche i Mondiali di ciclismo su strada del 1951. Anche in quella occasione fu emesso un francobollo commemorativo. Anche i Mondiali di ciclismo su strada del 1939 avrebbero dovuto svolgersi a Varese, ma furono sospesi in vista degli imminenti eventi bellici.

Tra il 14 e il 16 settembre 2012 sul lago di Varese si è svolta la sesta edizione dei Campionati europei di canottaggio.

Si sono svolti in città dal 29 giugno all'11 luglio 2009 i campionati mondiali di hockey in line, che hanno visto ben 41 squadre partecipanti al torneo. Tutte le gare si sono svolte presso il "Palalbani", sede storica dei Mastini Hockey Varese.

Gli sport principali, ovvero i più seguiti, sono la pallacanestro, il calcio, il canottaggio, il ciclismo e la canoa.

Persone legate a Varese:
Flaminio Bertoni, designer e scultore
Giulio Bizzozero, istologo
Floriano Bodini, scultore, nato a Gemonio
Laura Bono, cantautrice
Matteo Bordone, giornalista e conduttore radiofonico
Angelo Branduardi musicista e compositore, residente a Bedero Valcuvia
Giacomo Campiotti, regista
Lilli Carati, attrice
Bernardino Castelli, scultore
Angelo e Alfredo Castiglioni, archeologi, antropologi, etnologi, registi e scrittori
Massimiliano Cavallari, comico e attore
Juri Chechi, ginnasta
Andrea Chiodi, regista
Vittorio Cosma, musicista
Emilio Dandolo, patriota
Enrico Dandolo, patriota
Speri Della Chiesa Jemoli, giornalista, scrittore e poeta
Renato De Maria, regista
Mauro della Porta Raffo, saggista e scrittore
Liliano Frattini, giornalista
Salvatore Furia, nato a Catania e nominato cittadino onorario di Varese, fondatore dell'osservatorio G.V. Schiaparelli e promotore del Parco Campo dei Fiori. È stato assessore al verde pubblico della città di Varese. Deceduto nel 2010
Renato Guttuso, pittore, nato in Sicilia ma legato alla località di Velate per le sue vacanze
Miguel Galluzzi, designer, nato a Buenos Aires ma residente a Varese
Dante Isella, critico letterario
Roberto Maroni, politico
Mario Monti, economista e Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana
Emilio Morosini - patriota
Guido Morselli, scrittore nato a Bologna ma per molti anni vissuto a Varese, dove morì nel 1973
Attilio Nicora, cardinale
Aldo Nove, scrittore
Flavio Premoli, tastierista e compositore
Silvio Raffo, poeta e scrittore
Luigi Sacco, medico pioniere della vaccinazione anti-vaiolosa
Francesco Scardamaglia, sceneggiatore, produttore e regista
Carlo Scognamiglio, già presidente del Senato
Mario Talamona, economista
Vittorio Tavernari, scultore
Stefano Garzelli al Giro d'Italia 2007
Gabriele Ambrosetti, calciatore, nato a Varese il 7 agosto 1973.
Pietro Anastasi, calciatore, nato in Sicilia ma residente a Varese.
Stefania Bianchini, pugile campionessa mondiale dei pesi mosca nella versione WBC.
Pietro Carmignani, calciatore e allenatore, nato in Toscana ma residente a Varese.
Stefano Garzelli, ciclista, nato a Varese il 16 luglio 1973.
Paride Grillo, ciclista, nato a Varese il 23 marzo 1982.
Manuel Iori, calciatore, nato a Varese il 12 marzo 1982
Elia Luini, canottiere, nato a Gavirate, 23 giugno 1979
Fabrizio Macchi, ciclista, nato a Varese il 26 luglio 1970.
Laura Macchi, cestista, nata a Varese il 24 maggio 1979.
Giuseppe Marotta, dirigente sportivo, nato a Varese il 25 marzo 1957.
Andrea Meneghin, cestista, nato a Varese il 20 febbraio 1974.
Dino Meneghin, cestista e allenatore, nato ad Alano di Piave 18 gennaio 1950 ma residente a Varese.
Luigi Mentasti, cestista, nato a Varese il 25 marzo 1958.
Antonio Mirante, calciatore, nato a Castellammare di Stabia ma cresciuto a Varese.
Daniele Nardello, ciclista, nato a Varese il 2 agosto 1972.
Aldo Ossola, cestista, nato a Varese il 13 marzo 1945.
Franco Ossola, calciatore nato a Varese il 23 agosto 1921.
Andrea Peron, ciclista, nato a Varese il 14 agosto 1971.
Gigi Riva, calciatore, nato a Leggiuno.
Paolo Vanoli, calciatore, nato a Varese il 12 agosto 1972.
Francesco Vescovi, cestista, nato a Varese il 10 ottobre 1964.




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domenica 22 marzo 2015

LE VILLE DI COMO : VILLA MONASTERO

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Un vasto parco, popolato da alberi secolari, ospita la storica Villa Monastero Pax. La proprietà si affaccia direttamente sull’acqua ed è circondata da alte mura di pietra.
L’effetto scenografico è garantito dalla posizione unica, dagli orizzonti aperti sui panorami comaschi, dagli scorci architettonici romantici e dai riflessi della fonte di acqua purissima che irrora le antiche rose e le secolari magnolie del parco.

Il complesso risale ad un'epoca molto antica: lo raccontano le alte mura di cinta con base romana e le terme.

Villa Monastero nasce infatti dalla continua ristrutturazione dell'antico monastero cistercense femminile di Santa Maria dal 1208 circa.
E' probabile che la sua fondazione sia da mettere in relazione con gli insediamenti religiosi della sponda opposta del lago: con il monastero dei SS. Faustino e Giovita sull' lsola Comacina, da cui provenivano i profughi del 1169.

Villa Monastero è una villa eclettica di gusto nordico. L'edificio è inizialmente un monastero femminile cistercense fondato a fine XII secolo a Varenna, che all'inizio del Seicento viene trasformato dalla famiglia valsassinese Mornico e successivamente ristrutturato e decorato in stile eclettico in particolare tra il 1897 e il 1909 dal suo ultimo proprietario tedesco Walter Kees, della città di Lipsia. L'ultimo intervento amplia inoltre il giardino. Nel 1936 la villa viene donata per diventare bene pubblico e museo dalla famiglia milanese di origini svizzere De Marchi. Nel 1940 viene aperto al pubblico il giardino e nel 1953 viene creato il centro congressi. Negli anni Settanta il compendio è di proprietà del Consiglio Nazionale delle Ricerche e la villa è gestita dall'amministrazione della Provincia di Como; nel 1996, con l'istituzione delle nuove province, la sua gestione passa all'amministrazione della Provincia di Lecco che istituisce la casa museo. Nel 2009 l'intero compendio viene acquistato dalla Provincia di Lecco.

All'interno di Villa Monastero è istituita e aperta al pubblico nel 2003 una casa museo, riconosciuto nel 2005 dalla Regione Lombardia. Già nel 1996 era stata realizzata la parte monumentale della Casa Museo con 14 sale con decorazioni originali e l'arredamento originale dei vari proprietari. La casa museo è stata visitata da più di 40'000 visitatori. La casa museo conserva inoltre la collezione di strumenti scientifici appartenuti a Giovanni Polvani (1892-1970, Presidente della Società Italiana di Fisica e del Consiglio Nazionale delle Ricerche) (strumenti di ottica, elettronica e meccanica)

Villa Monastero è circondato da un giardino con numerose rare specie botaniche. Il giardino, in allestimento a terrazze, è stata strutturata in diversi modelli nel corso degli anni, pur mantenendo un principale tema ricorrente. Il clima mite, peculiare al lago, permette numerose specie botaniche provenienti da tutto il mondo a crescere. Più specie sono aggiunti ogni anno. Nel 2013, più di 1.000 nuove specie sono stati piantati. Ad ogni volta che dei visitatori anno possono godere di una vera esplosione di colori, forme e profumi.

Oggi Villa Monastero è anche una casa museo in cui sono esposti un gran numero di oggetti appartenenti ai suoi diversi proprietari. Stile e gusto caratterizzano questo gioiello unico che è stato splende sul lago di Como per quattro secoli. Nel 18 ° secolo, personaggi di spicco italiani e stranieri della scena culturale e artistica frequentavano la villa, che è stata poi abitata. Le 14 stanze della casa sono completamente arredati. Tutti, dal Pool Hall al Music Hall, dal Mornico Parlour alla stanza principale, offrono  l'opportunità di tornare al passato attraverso i vari stili, i materiali preziosi e le decorazioni di lusso.

I fabbricati del monastero rimasero di proprietà dei Mornico dal 1569 al 1862, e durante questi tre secoli molte furono le ristrutturazioni funzionali. Dalla seconda meta dell'Ottocento, villa Monastero cominciò a subire una serie di trasformazioni ad opera dei successivi proprietari (Genazzini, Maumary Seufferheld, Kees, De Marchi).

Di particolare interesse è lo scalone, realizzato con marmi policromi, ceramiche, stucchi; anche il bagno detto pompeiano o di re Faruk, e un singolare documento di questo gusto.
Nel 1918 la proprietà fu confiscata e passò all' Opera Nazionale Combattenti; venne poi venduta al dott. Marco De Marchi il quale in seguito la lasciò in donazione all'lstituto Italiano di Idrobiologia Marco De Marchi.

Se il Mornico, primo proprietario privato, nella realizzazione della propria dimora si era ispirato a prestigiosi edifici tardorinascimentali lariani, Kees sembrò tenere presente non solo altre residenze locali, quali la villa Melzi di Bellagio e Villa Balbianello di Lenno, ma anche le suggestioni che gli provenivano dalla terra d'origine, che conferiscono alla dimora un aspetto piuttosto inconsueto nel panorama lariano. Seguendo il proprio gusto, che risente dello storicismo della seconda metà del XIX secolo, egli trasformò l'edificio seicentesco in una comoda residenza di villeggiature, dotata di notevoli comfort (un impianto di riscaldamento centralizzato, ovviamente germanico), arredandola con mobili ed oggetti che rivisitano gli stili del passato. Citazioni dal barocco tedesco compaiono soprattutto nella decorazione a stucco con lumeggiature dorate dell'imponente scalone in marmi vari, completata con ancor più evidenti richiami al mondo germanico con pannelli in maiolica in cui sono raffigurati Bach, Kant, Helmotz e Schlueter, il maggior architetto barocco. Vi sono però anche analogie nell'esuberanza decorativa degli arredi con le residenze che Luigi II di Baviera si era fatto costruire pochi anni prima, in particolare con Linderhof ed Herrenchiemsee.
L'elegante prospetto, su due piani, si affaccia direttamente sul lago lungo le cui sponde fa bella mostra di sé un singolare giardino, lungo e stretto, dove un'abbondante vegetazione accompagna il visitatore fra terrazze e belvedere panoramici con inconsueti scorci sul bacino centrale del lago. Statue e sculture ornamentali scandiscono il vialetto antistante cui si può accedere dal lago attraverso un'elegante scalea monumentale. Lo spiazzo antistante l'edificio, costruito a terrapieno, è ornato da balaustre e colonne tortili con un pregevole esempio di fontana barocca a quattro bacini sovrapposti. Fra il verde e i fiori del parco spiccano grandi vasi in pietra lavorata e un gruppo marmoreo incompiuto del Comolli noto come La Clemenza di Tito sul cui basamento si può ancora leggere un'antica iscrizione: "Morte trasse di mano a Gio. Battista Comolli lo scalpello che preparava questo storico emblema, nel 20 dicembre 1830". Tutto intorno eleganti cancellate in ferro battuto con lo stemma dei Mornico cingono la villa stagliandosi contro l'azzurro delle acque.
In questo scenario incantevole Fogazzaro scelse di ambientare la commedia "Nadejde" che gli fu probabilmente ispirata da un soggiorno presso questa elegante dimora. Dell'antico convento rimane la cappella che oggi è adibita a sala di studio e convegni.



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