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lunedì 12 ottobre 2015

IL RACCONTO DELLA NONNA

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Ai tempi della nonna ciò che accomunava la gente era la povertà e la paura: una miseria fiera perché capace di gesti di solidarietà e di indignazione, di chi lavora duramente nei campi 10 o 12 ore al giorno per assicurare la sopravvivenza di tutti, in un mondo comunque duro e vede minacciare la propria esistenza dalla durezza delle condizioni di vita. All’apertura del secolo nelle città permangono i segni drammatici della contrapposizione di una classe sociale, gli operai contro la borghesia che è la classe dominante aggiunta all’arretratezza femminile, dal diritto di famiglia legato al primato del marito, dalle morti per parto allo sfruttamento salariale.

Per conoscere meglio la vita in quel periodo è opportuno sapere che nel 1900 il pane costava 0,45 £/kg, la pasta 0,56 £/kg, la farina di granturco 0,25 £/kg, la farina di grano 0,43 £/kg, la carne 1,30 £/kg, il latte 0,26 £/l, lo zucchero 1,54 £/kg, 10 sigarette 0,18 £, un giornale 0,05 £ (un soldo), un operaio guadagnava 1,5÷2 £ al giorno ed una donna 0,80÷1 £ al giorno per giornate lavorative di 11÷12 ore e settimana di 6 giorni. Il salario di un contadino era sulle 0,60 £/giorno.

Le case d’abitazione erano, in generale, povere casupole di pietra intonacata parzialmente soltanto all’interno con copertura in lose, composte generalmente da una cucina col camino e la stalla al piano terreno, una o più stanze (dove si dormiva in molti) col fienile al piano superiore e in qualche caso la cantina interrata, le finestre erano molto piccole.

Non c’era l’elettricità e la luce era data da lampade a olio di noci, petrolio o dalle candele di cera (molto costose in quel tempo), che si stava ben attenti a non consumare.

I mobili erano pochi: letti, cassapanche e qualche armadio nelle stanze. In cucina si trovavano tavoli, sgabelli o panche, una madia per il pane e altri cibi , una trave alla parete con la stoviglieria attaccata ai chiodi, il camino e la stufa. D’altra parte tutta la vita della famiglia si svolgeva fuori, nel lavoro dei campi e quando si era in casa, si stava in cucina o, al più, nella stalla. Le stanze da letto erano riservate al dormire.

I vestiti generalmente erano di canapa e cotone o fustagno, rari gli abiti di lana, si calzavano zoccoli di legno oppure rozze scarpe con molte toppe: in ogni casa c’era sempre qualcuno che si improvvisava ciabattino , ingegnandosi ad aggiustare suole e tacchi. Gli uomini nelle feste portavano sempre sul capo un cappello di panno o feltro con la falda ed un nastro intorno alla fascia, il gilè abbottonato in alto, il fazzoletto annodato intorno al piccolo colletto della camicia e la giacca. Per ripararsi dal freddo erano frequenti pesanti mantelle nere in cui gli uomini si avvolgevano. Le donne vestivano con abiti semplici: una ampia sottana, un corpetto, una cuffia o fazzoletto in testa a coprire i capelli lunghi raccolti a crocchia sulla nuca e uno scialle per coprirsi le spalle. Per le solennità o andando alla messa coprivano il capo con qualche bel fazzoletto di lana a tinte vivaci.

In cucina c’era uno o più secchi che si andava a riempire d’acqua alla fontana. Un fiasco, invece, veniva riempito un po’ prima del pranzo direttamente alla sorgente, perché l’acqua da bere era così più fresca. 

Per lavarsi, si riempiva il catino d’acqua. Durante i mesi invernali nella stufa o sul camino, acceso dalla mattina alla sera, vi era sempre un paiolo d’acqua a scaldare di circa 5 litri, per cui almeno nei mesi freddi c’era sempre acqua calda disponibile. Solo il sabato si svolgeva la cerimonia del bagno completo, dentro una grande tinozza, che veniva piazzata nella stanza più calda (la cucina) o in alternativa nella stalla, e ci si lavava lì, a turno. Però, dopo due bagni l’acqua veniva cambiata. In estate ci si lavava con l’acqua scaldata dal sole.



I pochi che in camera da letto avevano un catino e una brocca, al mattino d’inverno trovavano l’acqua trasformata in ghiaccio, perché le stanze non erano riscaldate. Come unico sistema per avere meno freddo nel letto c’erano le pietre riscaldate nella brace del camino ed avvolte in un panno, usate soprattutto per gli anziani. Non ci si fermava mai, se non appunto all’ora della cena consumata in religioso silenzio sopraffatti più dalla stanchezza che dai profumi delle minestre, che bollivano e ribollivano nel paiolo di rame appeso nel camino sotto lo scoppiettante rumore e lo scintillio della legna secca, conferendo ai cibi quel particolare sapore che solo la cottura a “legna” sa dare.

Di anno in anno provvedeva a prepararsi la legna per quello successivo, attento alle fasi lunari e alle diverse proprietà delle essenze a disposizione. Ciascuno sapeva di avere un ruolo utile nell’interesse di tutti. Da una parte c’erano l’asprezza della vita, la povertà, la mortalità infantile, gli incidenti e l’emigrazione… dall’altra la tranquillità, la pazienza, l’aiuto reciproco, lo spirito comunitario,… le speranze, le illusioni, e l’orgoglio.

Il pane che si consumava a tavola era nero di segale. Era seminata un anno si ed uno no alternando la coltivazione delle patate. Il pane era fatto con l’impasto classico di farina, acqua, sale, lievito (lievito naturale riprodotto da un precedente pezzo d’impasto che si era lasciato riposare e prendere una naturale acidità sotto un piatto rovesciato in un angolo della dispensa) e patate bollite e schiacciate (come se si dovessero preparare degli gnocchi). Già, la patata, perché quest’ultima conferiva al pane una certa freschezza e permetteva una conservazione più lunga nel tempo (non lo si faceva tutti i giorni ma poche volte l’anno e nelle ricorrenze). Abitualmente, giornalmente o a giorni alterni, secondo il numero dei componenti della famiglia, si preparava una grossa pagnotta con un impasto di farina di segala anche mista ad altri farinacei disponibili che a tarda sera veniva cotta nel focolare seppellendola sotto le braci ancora accese e la cenere, residui della legna bruciata durante il giorno; dopo qualche ora ne veniva fuori una pagnotta piatta di colore piuttosto scuro, dura e non sempre cotta, impregnata di cenere; si lasciava appena raffreddare, si puliva con uno strofinaccio e quindi veniva messa nella madia.

Per condire si usava il burro o in qualche caso l’olio di noce (l’olio di oliva a quei tempi era una rarità). I cibi di ogni giorno erano: polenta, minestra (dove abbondavano patate, castagne, cipolle e legumi), in inverno qualche foglia di cavolo, in estate qualche bietola e i prodotti dell’orto.


La fame era tanta e sempre arretrata. Le uova non si toccavano perché venivano vendute al mercato per potere comperare il sale, la carne compariva in tavola due o tre volte l’anno ed era di pecora o pollo.

La conservazione degli alimenti era un problema molto serio, quelli deperibili venivano consumati in giornata o, al massimo nei due giorni successivi. Altri alimenti potevano essere messi sotto sale, sotto il grasso della sugna oppure essiccati o affumicati. Erano sistemi di conservazione degli alimenti che duravano da millenni e che continuano a durare e che hanno permesso all’uomo la sua crescita . Dobbiamo però anche ricordare che a causa della cattiva conservazione degli alimenti erano frequenti i casi di tenia o vermi intestinali.

Da novembre, quando la luce spariva sotto una fitta coltre di nuvole basse e la notte si faceva buia come la pece, davanti al camino, illuminati da una fioca luce proveniente da una lucerna, c’era ben poco da fare. Ci si riuniva nella stalla più grande della borgata. Ognuno portava la propria sedia e la propria lucerna. Gli uomini giocavano a carte, le donne chiacchieravano filando la lana, i giovani, sotto l’occhio vigile dei genitori, approfittavano di questa promiscuità per parlare d’amore. Ma chi si divertiva di più erano i bambini che, liberi come fringuelli saltavano a perdifiato sul fieno, oppure giocavano con le ombre prodotte dai lumi e, quando erano presi dalla stanchezza, ascoltavano le favole che venivano narrate da qualcuno che conosceva l’arte del racconto e li faceva rimanere a bocca aperta parlando di orchi, lupi, maschere, streghe e castelli fatati. 



L’istruzione era obbligatoria nel grado inferiore di due anni. L’obbligatorietà veniva però vanificata perché non c’erano sanzioni contro gli inadempienti. Molti bambini risultavano iscritti alla scuola ma poi, di fatto, la frequentavano solo quando non avevano incombenze lavorative o altre mansioni famigliari. L’economia famigliare, infatti, dipendeva molto dal lavoro minorile, allora legale a partire dai 12 anni di età: in pratica il bambino iniziava a lavorare appena poteva tenere in mano un attrezzo.

Solo la legge Coppino del 1877 sancirà l’obbligatorietà del corso inferiore della scuola elementare che da due anni passerà a tre, portando la durata totale in cinque anni (3+2) comminando sanzioni pecuniarie ai genitori che non provvedevano all’adempimento dell’obbligo scolastico dei figli. Le scuole furono distinte in urbane e rurali e furono aboliti i direttori spirituali. Il corso elementare inferiore che durava fino ai nove anni, comprendeva le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino, la lettura, la calligrafia, i rudimenti della lingua italiana, dell’aritmetica e del sistema metrico decimale.

Si accedeva al corso superiore di due anni per mezzo di un esame. In tale corso si studiava grammatica, storia, geografia e geometria. L’obbligo fu stabilito soltanto per il solo corso elementare inferiore, fino ai nove anni d’età, riconoscendo di fatto il lavoro infantile, diffuso tra i fanciulli d’età superiore, una necessità vitale delle masse popolari. La legge Orlando del 1904, estese l’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno d’età, riducendo di nuovo a quattro anni la scuola elementare, ma istituendo il V e VI anno nei comuni con più di 4000 abitanti. Dove previsti, il V e il VI anno costituivano il corso popolare. In tale situazione, dopo il quarto anno delle elementari, con un esame, si poteva accedere alle scuole secondarie, mentre gli alunni che non intendevano continuare gli studi potevano seguire il corso popolare. Nel 1900 i bambini/e generalmente terminavano gli studi alla terza classe, pochi maschi proseguivano sino alla quarta o quinta, poi non si era più considerati bambini, ma già due braccia che dovevano e potevano fare di tutto.

In ogni casa si acquistava un unico sussidiario che raccoglieva elementi di grammatica, aritmetica, geografia e storia e veniva poi passato ai numerosi fratelli più piccoli. Gli strumenti dello scolaro oltre il sussidiario erano la scatolina di legno che serviva da astuccio e che conteneva anche la matita, la gomma , la cannetta ed il pennino da intingere nell’inchiostro sul banco e il quaderno con copertina nera.

La cartella era fatta con la iuta che serviva a realizzare i sacchi per trasportare cereali o patate. La maestra, impartiva le lezioni a tre classi contemporaneamente in un’unica stanza. L’inchiostro lo dava la maestra, ogni mattina, in una boccetta di vetro.
Ci si recava a scuola a piedi perché allora non erano diffuse le automobili e le strade, per la maggior parte, erano fangose e non asfaltate. Le classi erano formate da molti alunni, arrivavano fino a un numero di 45 o 50. Maschi e femmine erano separati: infatti, c’erano classi femminili e classi maschili. I banchi erano alti, di legno, a due posti e avevano un buco per il calamaio, dove si trovava l’inchiostro per bagnare il pennino con cui si scriveva.

Gli insegnanti erano severissimi e si potevano permettere qualsiasi punizione corporale. In un angolo dell’aula, una sottile canna da sostenere i fagioli serviva alla maestra non solo per spiegare la lezione, ma anche per accarezzare le dita di qualcuno che chiacchierava o s’addormentava, con la testa sul quaderno. Ma non mancavano calci e schiaffi agli scolari disattenti o monelli e, la punizione più umiliante per un bambino, il cappello d’asino in testa. Non mancava anche quella dietro la lavagna in ginocchio su sassolini. Lo scolaro malmenato, non s’azzardava mai a lagnarsi con i genitori perché, altrimenti, a casa, avrebbe ricevuto il doppio delle botte. Come in tutte le scuole il corpo degli alunni era formato da intelligenti , meno intelligenti , diligenti , svogliati e da veri somari.

L’abbigliamento era assai misero: un berretto, una giacca, un paio di calzoni di fustagno a mezza gamba magari con rattoppi sulle ginocchia e sul di dietro, zoccoli di legno; le calze erano di lana filata in casa.

Le ragazze indossavano un gonnella lunga fino alle caviglie e d’inverno portavano sulle spalle uno scialle di lana. In generale il vitto giornaliero era: al mattino prima della scuola una scodella di latte crudo con pane o castagne secche ben cotte; a mezzogiorno polenta o minestra; condimenti, burro, latte, formaggio casalingo.



I bambini non avevano in genere molto tempo da concedere al divertimento, le bimbe aiutavano la mamma nelle faccende domestiche ed accudivano i più piccoli, i bimbi venivano avviati ai lavori nei campi. I bambini si costruivano da soli i loro giochi con i materiali che c’erano a disposizione e la fantasia diventava la materia primaria.

I giochi si facevano prevalentemente per strada o nei tanti spazi che la natura concedeva, c’era il piacere di fare parte del gruppo di mettersi alla prova riuscendo a superare le difficoltà. Molti giochi hanno un fondo comune di tradizione, in quanto l’uno l’ha imparato dall’altro e spostandosi lo ha modificato e adattata al nuovo ambiente e alle nuove abitudini. I giochi più frequenti erano il rincorrersi, il gioco del nascondino, il girotondo, il salto della cavallina e qualche bambola di pezza riempita di segatura per le bambine.
Allora non c’era ancora la televisione, c’era solo la radio e qualche volta il cinema, soprattutto all’aperto. Ogni tanto arrivava nella piazza del paese il “cantastorie” che raccontava alcune storie clamorose accompagnandosi soprattutto col suono di una chitarra e di un tamburo. 
In seguito si diffuse la televisione. I primi programmi televisivi, in bianco e nero, iniziarono in Italia solo nel 1954 e tra i primi a possedere la televisione furono i bar, dove la sera si riunivano parecchie persone per seguire alcuni programmi. Uno dei programmi più seguiti si chiamava “Lascia o Raddoppia?”. La televisione di allora non era come quella di oggi che trasmette i programmi ininterrottamente per l’intera giornata. Inizialmente i programmi duravano quasi quattro ore. La pubblicità non esisteva. Nei giorni feriali le trasmissioni iniziavano alle 17,30 con la TV dei ragazzi, poi s’interrompevano per riprendere con il TG delle 20,45. La pubblicità fu introdotta nel 1957 con “Carosello”. Nel 1961 nacque il secondo canale e la giornata TV durava quasi undici ore. Col passare degli anni la televisione entrò in quasi tutte le case contribuendo al cambiamento delle abitudini e ad arricchire il livello culturale e sociale delle persone. Alcuni personaggi televisivi molto amati, soprattutto da bambini e ragazzi, erano: Giovanna la nonna del Corsaro Nero, Topo Gigio, Calimero, Rin Tin Tin, Lassy, ecc., che sapevano offrire valori positivi. Il 1° febbraio 1977 iniziarono in Italia le trasmissioni a colori.

Per fare il bucato ci voleva tanto tempo e anche tanta fatica. Infatti, non essendoci ancora l’acqua corrente in casa, si preparavano i panni sporchi da lavare mettendoli nella conca che era sistemata vicino al caminetto, dove c’era il paiolo in cui si riscaldava l’acqua. Sui panni si metteva un lenzuolo con uno strato di cenere e dopo si cominciava a versare l’acqua calda. Quest’ultima filtrava lentamente attraverso i panni e scolava dal tubo che era attaccato al foro della conca. I panni erano lasciati nella conca fino all’indomani, quando, di buon mattino, si caricavano in una tinozza sopra un carretto e si andava al fiume. Arrivati al fiume, i panni venivano sistemati sulle sponde e nel frattempo si sceglievano delle pietre adatte per battere e sciacquare il bucato. Dopo averli lavati e sciacquati, i panni venivano stesi al sole poggiandoli su dei cespugli o attaccandoli a dei fili sistemati al momento.  Questo naturalmente quando c’erano delle belle giornate. Se invece il tempo era nuvoloso, il bucato veniva riportato a casa e asciugato con il fuoco dei bracieri o davanti al caminetto acceso. Per stirare i panni puliti si usava il ferro a carbone, all’interno del quale veniva messo del carbone infuocato. Oggi a noi sembra veramente incredibile pensare che per avere la biancheria pulita a quei tempi era necessario tutto questo lavoro e impiegare tutto questo tempo. A questo punto c’è da ringraziare coloro che hanno favorito lo sviluppo tecnologico dandoci tutti gli elettrodomestici che ci permettono di vivere meglio e in modo più sereno.






martedì 12 maggio 2015

LA PIANURA PADANA IN LOMBARDIA



In Lombardia oltre ai fiumi e laghi, traffico. e grandi città c'è anche la Pianura Padana da scoprire.
Vediamo dove e come nascono le materie prime per il nostro cibo e per nutrire il pianeta.
Pianura padana lombarda è una delle quattro aree turistiche in cui è suddivisa la Lombardia.

È l'area della campagna pianeggiante ma soprattutto dell'inurbamento anche selvaggio con le grandi aree metropolitane e le conurbazioni di Milano e del suo vasto hinterland, di Monza e della Brianza, di Saronno, Busto Arsizio, Gallarate, e Legnano, che tuttavia vantano un'offerta turistica da città d'arte o di buon livello.

Spostando lo sguardo dall'immenso agglomerato milanese, che monopolizza tutta l'area orientale, rivestono un interesse turisticamente importante, in un contesto di vita sicuramente meno caotico, le città di Crema, che fu a lungo enclave veneziana nel Ducato di Milano, e che vanta una bella cattedrale, oltre a resti di mura venete; Treviglio; Pandino e Soncino, con i loro turriti castelli; Castel Goffredo e Castiglione delle Stiviere, capitali gonzaghesche; Asola, gonzaghesca ma con importanti atmosfere venete che le derivano dal suo passato legato alla Serenissima.

L'area occupa una porzione centrale della Lombardia.

L'Altomilanese è composto da: Busto Arsizio, Saronno, Legnano, Gallarate, Castellanza sono le città principali di questa zona che amministrativamente è suddivisa fra le province di Milano e Varese, ma costituisce di fatto un unicum interprovinciale di notevole peso economico e demografico; a sottolinearne ulteriormente l'omogeneità basti pensare che Busto Arsizio, Castellanza e Legnano formano una conurbazione che di fatto vanifica i confini amministrativi. I centri dell'Altomilanese non sono però solo industria e sviluppo edilizio, ma offrono interessanti monumenti.
Milano e tutta la sua conurbazione sono il motore politico, industriale, economico, amministrativo della Lombardia; la città costituisce inoltre centro di primaria importanza a livello nazionale e fra le metropoli europee, e si è ritagliata una sua collocazione anche nel panorama mondiale. Nella sua cintura, sicuramente schiacciate dal peso della metropoli, ci sono importanti e popolose città: Sesto San Giovanni, Peschiera Borromeo, Abbiategrasso, Magenta, Rho, Trezzano sul Naviglio, Rozzano. Nella campagna milanese importanti architetture religiose, esemplari per la storia dell'arte lombarda: Chiaravalle, Viboldone, Mirasole, Morimondo.
I confini mai esattamente stabiliti non impediscono alla Brianza, il cui centro principale è Monza, di avere una ben salda omogeneità sociale, economica, storica. Collinare a nord, pianeggiante a sud dove si stempera nell'infinita conurbazione milanese, la Brianza conserva viva nei monumenti e nella memoria l'incisiva presenza longobarda, popolo del quale custodisce la famosa Corona ferrea rivestita d'oro e ricoperta di gemme, che la tradizione vuole sia stata forgiata con un chiodo della croce di Cristo. In epoca medievale incoronò i re d'Italia, e fu cinta anche da Napoleone.
La Bassa Bergamasca si trova fra le Prealpi bergamasche, l'Adda, l'Oglio ed il Cremasco, la Bassa Bergamasca ha in Treviglio il suo centro più importante e in Caravaggio un centro di spiritualità; il richiamo del suo Santuario mariano oltrepassa di gran lunga i confini del territorio, attirando pellegrinaggi non solo dalla Regione, ma anche da località più lontane.
L'omogenea area cremasca, che circonda tutt'attorno la città di Crema, è zona di borghi fortificati sopravvissuti (Pandino e Soncino a nord, a difesa dei confini con il Milanese, Pizzighettone a sud, o che lo furono Castelleone; terra di torri e torrazzi (Crema, Pizzighettone, Castelleone), terra di monumentali templi sacri (Cattedrale di Crema, Santa Maria della Croce, Santa Maria della Pietà, Santa Maria di Bressanoro).
La Bassa Bresciana è il territorio pianeggiante che si estende fra Brescia con le sue Prealpi e il corso dell'Oglio a sud, fra Bassa Bergamasca ad occidente e Alto Mantovano a oriente. Orzinuovi, Verolanuova, Pontevico, Gambara, Leno, Carpenedolo sono i suoi centri maggiori, che uniscono ad una solida tradizione agricola uno sviluppo industriale di notevole importanza.
L'Alto Mantovano è terra gonzaghesca, che si protende dall'Oglio fino alle prime colline moreniche del Garda (quest'ultimo invece fu per i Gonzaga un sogno mai raggiunto) conserva importanti monumenti e impianti urbanistici dei duchi di Mantova che in queste terre diedero vita con i rami cadetti a raffinate corti e a Signorie autonome con le città di Castiglione delle Stiviere, Castel Goffredo, Medole (per breve periodo). Terra di santi, ove si formò San Luigi Gonzaga. Terra di battaglie (Solferino) ma anche di grandi slanci umanitari: a Castiglione nascerà durante la prima guerra mondiale la Croce Rossa.

In questo paesaggio i campi, nell'alternarsi delle stagioni, acquistano colorazioni diverse che fanno intuire la molteplicità delle colture presenti. In pianura le forme sono più ordinate e geometriche: i campi abbastanza stesi e a forma rettangolare, sono delimitati da filari di alberi, da siepi e da fossati. In collina invece, a causa del rilievo, i campi variano di forma e dimensione e presentano una divisione geometrica più irregolare. Dovunque si coltivano soprattutto cereali (grano e granoturco), legumi  (fagioli, piselli e fave) e foraggi  (trifoglio, erba medica e lupinella). A queste colture erbacee si associano la vite e numerosi alberi da frutta, distribuiti irregolarmente oppure riuniti in vigneti o frutteti.
In queste regioni prevale l'azienda di piccole o medie dimensioni, condotta da una sola famiglia che perciò abita preferibilmente nella casa colonica situata nel fondo. Di conseguenza la campagna è punteggiata da una molteplicità di case sparse, anche se non mancano piccoli villaggi o città.
Questo frazionamento agrario è dovuto innanzitutto a ragioni ambientali. Nelle zone collinari infatti, il terreno irregolare, asciutto e spesso poco fertile, richiede la presenza e la cura continua  dell' agricoltore il quale perciò ha preferito insediarsi nel suo fondo.
Il paesaggio delle colture promiscue negli ultimi anni ha subito notevoli trasformazioni per l' introduzione di colture specializzate come frutta ed ortaggi, richiesti dai mercati cittadini. Le tecniche, inoltre, si sono modernizzate e le macchine agricole si sono diffuse sempre più, sebbene il loro uso sia difficile nei terreni in pendenza e poco conveniente per le aziende di piccole dimensioni.

La bassa pianura è costituita prevalentemente da materiali fini e poco permeabili, sabbie ed argille, che favoriscono il ristagno delle acque. I terreni, situati spesso a quote molto basse rispetto al livello del mare, formano talvolta delle depressioni, e i numerosi corsi d'acqua che l'attraversano si snodano, a causa della pendenza assai debole, con andamento sinuoso (a meandri), straripando nei momenti di piena e formando paludi ed aree umide.
Qui il paesaggio agrario presenta ampie e regolari superfici coltivate a foraggi, riso, mais, soia e frutta, aree intersecate dal disegno geometrico delle canalizzazioni. È il paesaggio dei seminativi intensi.
L'uniformità del paesaggio è accentuata dall' assenza, o quasi, degli alberi da frutta e delle viti; frequenti invece, sono i boschi coltivati e i lunghi filari di pioppi, salici ed olmi che interrompono la monotonia della campagna. Questi alberi spesso sono il segnale della presenza dei fiumi e dei numerosi canali di scolo o d'irrigazione, sulle cui rive si allineano.
L' elevata produzione di foraggio è resa possibile anche dall' impiego delle acque delle numerose risorgive. Questo paesaggio è facilmente individuabile per le distese sempre verdi di erba medica e trifoglio, interrotte da stretti canali dove scorrono le tiepide acque.
Nelle zone di bonifica i foraggi ed i cereali sono affiancati da piante industriali, specialmente dalla barbabietola da zucchero e dal tabacco.
Caratteristiche di questo paesaggio sono anche le vaste aree coltivate a riso, che si trovano soprattutto nelle campagne di Vercelli, di Novara, di Pavia e di Ferrara.
Si tratta di un'agricoltura industrializzata, organizzata in grandi aziende e fortemente collegata all'industria di trasformazione ed al mercato.
Fiorenti sono gli allevamenti, principalmente quelli bovini, allevati specialmente per la produzione di latte, e suini, che hanno in queste zone una resa molto alta.
Nelle aziende della bassa pianura intenso è l'uso delle macchine agricole e si sperimentano sempre nuove tecniche per aumentare i raccolti; massiccio è anche l'impiego di sementi selezionate, concimi chimici ed antiparassitari, mentre la scelta dei prodotti è orientata secondo le richieste dei mercati cittadini ai quali queste aziende forniscono latte, carne, ortaggi e frutta.
Un insediamento rurale tipico del paesaggio agrario della bassa pianura padana è la cascina. Orientata verso sud per ricevere meglio i raggi del sole, è spesso, un vero e proprio villaggio, per dimensioni e funzioni. Un'ampia corte al centro è circondata da vari edifici: la casa padronale, le stalle, i fienili, le rimesse per gli attrezzi agricoli. Le abitazioni dei contadini e dei salariati occupano un lato del perimetro che circonda l'area centrale, dove si svolgono la vita delle famiglie contadine e i lavori agricoli. In passato le cascine avevano al loro interno anche una cappella e, talvolta, una scuola per i figli degli agricoltori.
I villaggi agricoli, anche se popolosi, sono rari, mentre numerose ed importanti sono le città industriali con le quali questo tipo di agricoltura ha sviluppato sempre stretti rapporti economici, fornendo materie prime per numerose attività industriali.
La pianura padana, o padano-veneta, più propriamente pianura padano-veneto-romagnola e meno propriamente valle padana (valle che si riferisce al bacino del fiume Po, dalla valle Po al suo delta), è una pianura alluvionale, una regione geografica, unitaria dal punto di vista morfologico e idrografico, situata in Europa meridionale che si estende lungo l'Italia settentrionale, compresa principalmente entro il bacino idrografico del fiume Po, comprendendo parti delle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto comprese orientativamente nell'isoipsa dei cento metri di quota.

A nord-est, oltre l'Adige per alcuni, oltre la catena dei Colli Euganei e la laguna di Venezia per altri, la pianura assume la denominazione di pianura veneto-friulana. Queste due aree pianeggianti contigue sono separate dall'Europa Centrale dalla catena alpina, spartiacque geografico e climatico, e sono quindi considerate parte dell'Europa Meridionale. Le Alpi, le Prealpi, i rilievi delle Langhe e del Monferrato delimitano quindi la pianura padana lungo i versanti nord, ovest e sud-ovest, il versante meridionale è invece chiuso dalla catena degli Appennini mentre ad est è bagnata dal Mediterraneo nel suo settore più settentrionale, l'Adriatico.

La pianura padana, la cui superficie è di circa 47 000 km², è bagnata, oltre che dal Po e dai suoi numerosi affluenti, anche da Adige, Brenta, Piave, Tagliamento, Reno e dai fiumi della Romagna nei loro bassi corsi dallo sbocco in pianura fino alla foce.

La pianura padana è una delle più grandi pianure europee e, contemporaneamente, la più grande tra quelle dell'Europa mediterranea, occupa buona parte dell'Italia settentrionale, dalle Alpi Occidentali al mare Adriatico, e ha all'incirca la forma di un triangolo. Quasi al centro scorre il fiume Po, che l'attraversa in direzione ovest-est.

Il fiume le dà il nome, che deriva da Padus, nome latino del Po. Il termine "Padania", benché più recente, compare già nel 1903 in un articolo della Società Geografica Italiana scritto da Gian Lodovico Bertolini ed intitolato Sulla permanenza del significato estensivo del nome di Lombardia mentre pochi anni dopo il prof. Angelo Mariani pubblica per i tipi Hoepli un manuale dal titolo Geografia economico sociale dell'Italia in cui Padania si riferisce al territorio a nord dell'Appennino, Appenninia e Corsica costituiscono le rimanenti aree italiane.

L'attività dei fiumi presenti è la principale causa della formazione dell'ambiente attuale di pianura alluvionale con significativi condizionamenti dovuti alle glaciazioni ed ai fenomeni di subsidenza differenziali in corrispondenza di sinclinali e anticlinali sepolte.

Il suo assetto contemporaneo è il risultato dell'azione di numerosi corsi d'acqua che hanno, in successivi tempi geologici e storici, asportato e apportato sedimenti fluviali al bacino marino costiero, soggetto a fenomeni di subsidenza, che occupava l'odierna pianura padana. In particolare la gran parte dei depositi superficiali affioranti è il prodotto dell'attività fluviale, successiva alla glaciazione Würm che si concluse circa 18000 anni fa. Lo scioglimento dei ghiacciai, liberando una gran quantità d'acqua in tempi geologicamente brevi ha comportato l'erosione dei grandi corpi morenici, edificati precedentemente dall'attività dei ghiacciai; i materiali erosi a monte o in prossimità dei depositi morenici deposti all'inizio delle vallate, furono deposti a valle.

Tuttavia, al di sotto dei depositi continentali fluviali e fluvio—glaciali (che presentano spessori di svariate centinaia di metri) si sviluppa un basamento di origine marina con assetto strutturale complesso e non priva di significato neotettonico.

Sin dal tardo Cretacico, infatti, la pianura padana ha rappresentato la parte frontale di due catene di opposta convergenza: l'Appennino settentrionale e le Alpi meridionali. Studi sulla base della sequenza plio-quaternaria nella porzione centrale e meridionale della pianura padana, mostrano lo sviluppo di una serie di bacini sedimentari di tipo sin-orogenetici formatisi a seguito di movimenti ricollegabili a varie fasi tettoniche; la porzione settentrionale della pianura, invece, presenta una struttura monoclinale immergente verso Sud.

L'aspetto finale della pianura padana si è raggiunto con il riempimento definitivo (cominciato nel Pliocene), con depositi dapprima marini e poi continentali, dei bacini ampiamente subsidenti delle avanfosse padane.

Sebbene la definitiva strutturazione del substrato sepolto venga tradizionalmente associata a una fase tettonica pliocenica media-inferiore (databile dalla discordanza esistente tra i sedimenti plio-pleistocenici marini ed il substrato più antico), è opinione sempre più diffusa che i depositi alluvionali quaternari siano stati coinvolti in fasi neotettoniche, condizionando così anche la morfogenesi più recente.

Il clima è caratterizzato da un'ampia escursione termica annuale con temperature medie basse in inverno (0º/4 °C) ed alte in estate (le medie massime estive oscillano dai 25 °C misurati a Cuneo ai 30 °C della stazione meteorologica di Milano). Nella stagione fredda, le temperature minime possono attestarsi anche diversi gradi al di sotto dello zero nelle ore notturne, e talvolta permanere negative o prossime allo zero anche nelle ore centrali del giorno (specialmente in caso di nebbia); nella stagione invernale, causa il ristagno dell'aria le temperature massime si attestano su valori decisamente bassi: in alcuni casi si possono registrare, anche se di poco, giornate di ghiaccio ossia con valori termici che restano negativi anche durante il giorno, con fenomeni come la galaverna. In estate invece le temperature massime possono toccare, in caso di anticiclone sub-tropicale, punte di 38 °C, talvolta, superiori.

La piovosità è concentrata principalmente nei mesi primaverili ed autunnali, ma nelle estati calde e umide sono frequenti i temporali, soprattutto a nord del Po. La caratteristica conformazione "a conca" della pianura padana fa sì che sia in inverno che in estate vi sia un notevole ristagno dell'aria (è una delle aree meno ventilate d'Italia), con effetti diversi nelle due stagioni.

In inverno, quando vi è un accumulo di freddo e scarsità di vento, si forma un cuscinetto freddo che può perdurare anche diversi giorni, specie nelle giornate umide e nebbiose, causando giornate molto rigide e gelo. Tuttavia in questa stagione vi sono anche diverse giornate più secche, ma comunque sempre rigide, poiché entra direttamente sulla pianura vento freddo dalla "porta della bora" (da nord-est) e dalla valle del Rodano (da nord-ovest) sotto forma di fohn; ed è proprio la bora ad essere foriera di perturbazioni fredde provenienti dalle zone polari, che possono portare forte maltempo con temperature molto basse e neve. In alcune occasioni soffia anche il buran, vento orientale di origine russa che in certe occasioni riesce a raggiungere la pianura padana sferzandola con intense raffiche gelide. Ed è proprio in questi casi che fa spesso la sua comparsa la neve, con copiose precipitazioni derivanti da perturbazioni provenienti dalle latitudini polari, rinforzate dal vento freddo già presente sulla pianura. Le zone più nevose sono quelle a ridosso dell'Appennino del piacentino, tra Modena e Bologna e tra Forlì e Faenza, oltre alle zone collinari del Piemonte.

Per contro, nelle zone ai piedi delle Alpi possono soffiare venti di caduta (occidentali e nord-occidentali in Piemonte e Valle d'Aosta, settentrionali in Lombardia), come il comune föhn, che, oltre a rendere il cielo limpidissimo, porta giornate più miti e secche (l'umidità relativa può scendere anche fino al 10%) anche in pieno inverno. Cessato questo vento però, se il cielo è sereno, le temperature calano sensibilmente nella notte (anche 10 °C in 3-5 ore). La catena alpina esplica un'azione di difesa verso le perturbazioni invernali, ma ostacola anche il passaggio di masse d'aria umide e temperate di origine atlantica, che in tal caso non riescono a mitigare il clima come nelle regione atlantiche europee. Il bacino della pianura padana, delimitato dalle Alpi a nord e a ovest e dagli Appennini a sud che la isolano dalla regioni limitrofe, ha quindi un clima a sé, diverso in particolare dal comune clima mediterraneo a cui di solito viene abbinata l'Italia. Il mare Adriatico peraltro si limita a mitigare solo le zone costiere della pianura romagnola, veneta e friulana, poiché troppo basso e lungo per incidere profondamente sul clima padano, mentre le masse d'aria calda provenienti dal mar Ligure vengono bloccate dall'Appennino ligure e dalle ultime propaggini delle Alpi.

In estate, invece, l'effetto cuscinetto della pianura padana produce effetti opposti, favorendo il ristagno di aria calda e molto umida che produce temperature alte, connesse a tassi di umidità altrettanto alti, che causano frequenti giornate molto calde ed afose (specialmente in presenza dell'anticiclone africano). Tale umidità, inoltre, tende spesso a scaricarsi sotto forma di violenti temporali e grandine, che portano temporaneo refrigerio e permettono di rimescolare le masse d'aria, causando un rapido ridimensionamento termico. Ma di solito questa situazione dura poco, con un veloce aumento delle temperature e degli indici di umidità. Tuttavia questa regione geografica è una zona di "transizione", nel continente europeo, tra il tipico clima mediterraneo (a sud) e quello oceanico o marittimo temperato (a nord, nord-ovest)..

Una delle caratteristiche del clima padano, comune a tutta la pianura, è la scarsità della ventilazione, che in estate rende le giornate ancora più calde e afose e in generale accresce i livelli d'inquinamento dell'aria, contribuendo a fare della pianura padana una delle zone più inquinate d'Europa.

La particolare posizione geografica, che la vede chiusa tra alte catene montuose e aperta solo sul lato orientale, ostacolando in parte i venti e favorendo l'accumulo di forte umidità nell'aria, è causa del noto fenomeno della nebbia. Le località con maggior numero di giorni di nebbia in Italia sono infatti quelle dell'area padana, soprattutto verso la zona del delta.

A causa della scarsa ventilazione della pianura padana, soprattutto occidentale, dell'industrializzazione e dell'alta densità di popolazione (particolarmente in Lombardia, ma distribuita su tutta l'area di pianura, che conta circa 20 milioni di abitanti), dagli anni sessanta è molto cresciuto il problema dello smog e dell'inquinamento dell'aria in genere, inquinamento che non colpisce solo le grandi città o le aree industriali ma che si distribuisce ad interessare l'intera macroregione. I telerilevamenti da satellite mostrano come l'inquinamento dell'aria nella pianura padana sia il più grave in Europa, quarto nel mondo. Inoltre, a differenza delle altre grandi pianure europee, la pianura padana è quasi totalmente coltivata, lasciando spazi irrisori a boschi ed altri ambienti naturali.

Alcune amministrazioni provinciali e regionali, ad esempio la provincia di Milano e quella di Lodi, stanno prodigandosi per migliorare i pochissimi ambienti naturali rimasti nella pianura e per crearne artificialmente altri, ad esempio col progetto "Dieci grandi foreste per la pianura" della Regione Lombardia. Altre province restano in transizione verso un'agricoltura meno intensiva e più estensiva, creando i cosiddetti corridoi ecologici, con l'obiettivo di proteggere la residua biodiversità di una macroregione geografica tra le più impoverite d'Europa.

La dinamica demografica (a partire dagli anni Settanta) è caratterizzata dal crollo della natalità a fronte di una mortalità non ulteriormente comprimibile, trattandosi di popolazione molto invecchiata. Con tassi di natalità quasi ovunque inferiori al 10ı e tassi di mortalità spesso più elevati, l'incremento della popolazione è di segno negativo e rende problematico il ricambio generazionale. Le zone piemontesi e lombarde di più antica industrializzazione hanno esercitato una forte attrazione demografica negli anni Cinquanta e Sessanta in funzione di sistemi industriali concentrati in termini sia territoriali che strutturali, e sono entrate poi in una fase stazionaria. Invece le pianure dell'Emilia e del Veneto, intaccate ma non depauperate dall'emigrazione, hanno beneficiato di apporti migratori modesti ma continui. Nell'insieme le correnti migratorie, in passato concentrate sui capoluoghi regionali, si sono ora ripartite in una miriade di centri provinciali ricchi di opportunità di lavoro.

Nell'alta pianura piemontese e lombarda la frammentazione fondiaria si accompagna alla ''corte pluriaziendale'' che risulta frazionata tra piccoli proprietari o mezzadri. Questa frammentazione ha comportato redditi insufficienti al fabbisogno della famiglia e ha favorito l'abbinamento delle attività artigiane con quelle agricole. L'industria ha poi scalzato l'agricoltura assorbendo la manodopera contadina, specialmente quella giovanile.

Nella Pianura Padana si concentra il nerbo delle attività industriali e terziarie del paese. Di grande rilievo è il settore del terziario avanzato, costituito da quelle attività direttive e insieme decisionali e di promozione culturale che hanno in Milano e Torino i loro massimi centri a livello regionale e nazionale.

Fin dal primo avvio, l'attività industriale ha manifestato uno sviluppo polarizzato attorno ai maggiori centri urbani della Padania occidentale, assecondando l'esigenza di concentrare capitale, lavoro, infrastrutture, per fruire delle economie di scala e di agglomerazione. L'enorme sviluppo delle industrie, dei commerci e dei servizi si è tradotto in una forte crescita della popolazione delle città. L'industria si è successivamente propagata all'esterno dei distretti originari, irradiandosi in tutte le zone dotate di condizioni favorevoli, quali un solido tessuto urbano, una tradizione manifatturiera, la disponibilità di manodopera e di capitali e un positivo spirito imprenditoriale.

Fino agli anni Sessanta, la conseguenza dello sviluppo industriale, concentrato in grandi poli, era l'esodo nello stesso tempo agricolo e rurale. Viceversa, lo sviluppo industriale degli anni Settanta, con più poli situati ai vari livelli della gerarchia urbana, ha creato in loco posti di lavoro, favorendo un esodo agricolo senza esodo rurale. Si può dire che i poli distribuiti nel territorio, generando aree gravitazionali piccole, permettono anche alle zone più lontane, ma sempre relativamente vicine, di dare un contributo di lavoratori pendolari senza perciò venire abbandonate. Il decentramento produttivo ha comportato un rinnovato diffondersi della piccola impresa, non come residuo di forme premoderne di organizzazione economica, ma come struttura funzionale all'ulteriore crescita del sistema.

La mappa dell'industria padana evidenzia in primo luogo le due direttrici che corrono lungo il piede delle Alpi e degli Appennini racchiudendo nel mezzo le basse pianure agricole aderenti alle sponde del grande fiume. La linea che collega le città industriali del pedemonte alpino − quasi tutte eredi di tradizioni artigiane − va da Torino a Ivrea, abbraccia l'area metropolitana milanese e l'alta pianura bergamasca e bresciana, proseguendo poi per Verona e Vicenza con un'appendice verso Venezia, che rappresenta l'estremità portuale della sezione lombardo-veneta, così come Genova lo è per la sezione lombardo-piemontese.

Sul fianco appenninico la direttrice del popolamento e della industrializzazione è rappresentata dalla via Emilia con il rosario di città collocate ciascuna in corrispondenza con lo sbocco di una valle appenninica, quindi con un asse di comunicazione trasversale: più tenue e meno vistosa di quella che si snoda lungo il pedemonte alpino, presenta tuttavia forti concentrazioni come la conurbazione lineare Bologna-Modena-Parma, cui fa da contraltare l'asse di popolamento e di attività turistiche della riviera adriatica. Il progresso di queste aree, realizzato con la proliferazione di aziende medie o piccole, facili ad adeguarsi alla congiuntura e ai cicli economici, non ha creato eccessive congestioni e non ha suscitato flussi d'immigrazione da altre regioni, assorbendo essenzialmente le forze di lavoro locali o di aree adiacenti.

La diffusione delle industrie ha proceduto di pari passo con l'urbanizzazione; anzi, talvolta è stata motivata proprio dall'esistenza di un tessuto urbano abbastanza solido. Normalmente i livelli più elevati si raggiungono intorno alle città, ma esistono anche zone industriali defilate rispetto alle grosse concentrazioni urbane: aree di vecchia industrializzazione legate al mondo prealpino (il Biellese, la Brianza, il Vicentino). Alcune microaree industriali sono nate per iniziative strettamente locali, che hanno fatto sorgere altre industrie per processo d'imitazione: per es., il distretto di Sassuolo per la ceramica, Carpi per la maglieria, la Bassa veronese per i mobili.

Negli anni Settanta è iniziato il calo dei lavoratori dell'industria parallelamente alla crescita degli addetti al terziario, come in tutti i paesi a economia avanzata. La terziarizzazione si è affermata sia nel settore pubblico (burocrazia) sia in quello privato, dove esiste ampio spazio per iniziative singole o a livello di famiglia o di gruppo con invenzioni di lavoro in proprio, anche nel quadro dell'economia sommersa attraverso il moltiplicarsi di spezzoni di lavoro non istituzionale. Sono cresciuti soprattutto i servizi per il sistema produttivo: all'interno di questo terziario si è messo in evidenza il settore delle attività che comportano una più elevata utilizzazione di lavoro intellettualmente qualificato e che maggiormente contribuiscono alla valorizzazione della produzione, attività che vanno sotto il nome di ''terziario avanzato''. Il terziario avanzato si è sviluppato all'interno di imprese di grandi dimensioni come risposta ai crescenti problemi di organizzazione, controllo e innovazione del processo produttivo, per sfociare nella formazione di imprese autonome, che offrono i loro servizi sul mercato, utilizzando solitamente un'alta quota di collaboratori esterni.

La distribuzione territoriale del terziario avanzato presenta sensibili differenze: mentre l'area urbana di Torino, sviluppatasi essenzialmente nell'intorno immediato della città, vede i centri dotati di funzioni di terziario avanzato strettamente connessi con la metropoli, Milano è circondata − entro un raggio di 50 km − da una corona di centri forniti di servizi terziari e di terziario avanzato tali da costituire − almeno fino a un certo livello − autonome unità funzionali. Nel Veneto i centri con elevata entità di funzioni di terziario avanzato sono limitati alle città principali, a segno della tradizionale tendenza a concentrare questo tipo di funzioni nel centro storico. In Emilia emergono le funzioni di terziario avanzato di Bologna, che vanta pure un ruolo di primo piano nell'organizzazione dei trasporti e nel commercio all'ingrosso.

I capisaldi dell'area forte sono i sistemi urbani di Torino e Milano. Mentre l'industria torinese è più giovane e notoriamente legata alla FIAT, quella milanese è d'impianto più vecchio, con iniziative più variate e flessibili. Nell'un caso e nell'altro i centri circostanti sono divenuti satelliti della metropoli come sedi dell'indotto o di industrie decentrate, oppure semplicemente come dormitori per la manodopera. Lungo il pedemonte alpino si sono organizzati reticoli urbani costituiti dalle basse valli, che sono storicamente aree di addensamento demografico e di sviluppo di città nodali. Si delinea così un grande asse di concentrazione lungo la linea pedemontana, da cui si dipartono ramificazioni a pettine nelle valli. Gli insediamenti di attività lungo i fondivalle corrispondono talvolta ad aree di antica industrializzazione, talvolta al decentramento di industrie o a strutture di specializzazioni produttive.

La rete urbana della bassa pianura orientale, bonificata e trasformata dall'intervento di imprese capitalistiche, presenta una struttura piuttosto rarefatta, a maglie larghe e a bassa densità demografica in un ambiente agricolo in cui non si è radicata la piccola proprietà coltivatrice. In buona parte della fascia costiera, la valorizzazione turistica ha unificato i centri preesistenti in un continuo urbanizzato.




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