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venerdì 23 ottobre 2015

LA PROFEZIA DI GHEDDAFI



Gheddafi una volta aveva dichiarato: ”ci sono segni che mostrano che Allah darà la vittoria all’islam in Europa e senza l’utilizzo di spade, senza pistole senza battaglie, non abbiamo bisogno di terroristi oltre 50 milioni di musulmani in Europa renderanno il vostro continente un continente musulmano in pochi decenni”

"L'Italia sarà invasa, nel Mediterraneo sarà il caos". Una profezia nera, come le bandiere dell'Isis. A farla fu Muammar Gheddafi, nella sua ultima intervista italiana il 15 marzo 2011. Era appena iniziata la guerra in Libia, Tripoli era bombardata dai caccia della Nato e i ribelli della primavera araba stavano alle calcagna del Raìs. L'avrebbero catturato di lì a poco, oltraggiato in un video che ha fatto storia, linciato in pubblico e ucciso. Davanti al taccuino del giornalista, però, Gheddafi era ancora lucido e soprattutto lungimirante. Difendeva se stesso, certo, ma aveva capito quello che sarebbe potuto accadere nel suo Paese: "Se al posto di un governo stabile, che garantisce sicurezza, prendono il controllo queste bande legate a Bin Laden gli africani si muoveranno verso l'Europa. E il Mediterraneo diventerà un caos". Più o meno quanto dichiarano oggi i jihadisti dello Stato Islamico che stanno conquistando la Libia ("Se ci attaccate, vi manderemo 500mila immigrati") e le stesse autorità italiane, che temono nuovi sbarchi con 200mila persone da soccorrere.
Il mondo arabo stava cambiando nel giro di pochi mesi. L'Europa applaudiva sperando nel trionfo della democrazia ma Gheddafi aveva intuito lo scenario successivo, assai meno ottimistico: "Per il momento la striscia di Gaza è ancora piccola, ma si rischia che diventi grande. Tutto il Nord Africa potrebbe trasformarsi in una sorta di Gaza". Anche qui l'assonanza con quanto afferma oggi Hamas è inquietante: "Se attaccheranno la Libia, sarà una nuova crociata", è il messaggio minaccioso che giunge dalla Palestina, in un drammatico incrocio di interessi e ideologia tra il Califfato di Al Baghdadi e il partito guerrigliero che finora aveva sempre messo la questione religiosa e islamica in secondo piano rispetto alla sua priorità, la guerra territoriale contro Israele.



"Sarà un incubo per l'Italia" - Ancora oggi, come nel 2011, l'Occidente dibatte: meglio la guerra o la diplomazia? "Negoziare con i terroristi legati ad Osama bin Laden non è possibile - spiegava all'epoca Gheddafi, sfiorando l'ovvio -. Loro stessi non credono al dialogo, ma pensano solo a combattere ed uccidere, uccidere ed uccidere". Ora però a Tripoli Europa e Italia non hanno più un referente certo come lo era a suo modo il Colonnello-dittatore, che ricordava: "L'Europa tornerà ai tempi del Barbarossa. Se si minaccia, se si cerca di destabilizzare, si arriverà alla confusione. Avrete Bin Laden alle porte, ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo. La situazione è grave per tutto l'Occidente. Come possono i dirigenti europei non capirlo?". Domanda che sul Corriere della Sera e Repubblica, l'11 marzo 2011, ci rivolgeva anche Seif el Islam, il figlio di Gheddafi oggi detenuto in Libia, a Zintane: "Se le milizie prendessero il controllo del Paese, voi sareste le prime vittime, avreste milioni di immigrati illegali, i terroristi salperebbero dalle spiagge di Tripoli verso Lampedusa e la Sicilia. Sarebbe un incubo per l'Italia, svegliatevi!".
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lunedì 16 marzo 2015

IL PETROLIO E IL LAMBRO



Il disastro ambientale del fiume Lambro è il termine coniato dai mass media e della stampa, per indicare un disastro ecologico ed ambientale, causato dall'immissione dolosa di una ingente quantità di petrolio nel fiume Lambro, già da anni vittima di pesanti forme di inquinamento che lo fanno annoverare tra i corsi d'acqua più inquinati d'Europa, nella notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio 2010, provocando un disastro ambientale senza precedenti per questo fiume.
Oltre al Lambro, anche il Fiume Po venne "colpito" dal disastro, e una piccola quantità di idrocarburi si riversò nel Mare Adriatico, senza tuttavia creare pericoli.

Il disastro ebbe origine alle 3.30 della notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio 2010, quando degli ignoti sabotatori (ancora oggi non identificati), entrarono nella "Lombarda Petroli" situata a Villasanta nella provincia di Monza e Brianza, una raffineria in disuso dagli anni ottanta, e svuotarono dolosamente, senza un motivo ben preciso, il contenuto di sette "silos" carichi di petrolio per abitazioni e vari tipi di idrocarburi, il tutto pari a circa 2,5 milioni di litri (pari a circa 170 autocisterne), secondo una stima del direttore centrale ambiente della provincia di Milano, Cinzia Secchi.

Il petrolio fuoriuscito dalle cisterne defluì nei terreni vicini alla raffineria e da lì si riversò nel condotto fognario.
Dalle fogne, il petrolio, raggiunse in breve tempo il depuratore di "Monza - San Rocco", posizionato nei pressi del fiume Lambro.
Il petrolio inizialmente defluì in una "vasca", ma dopo pochi minuti, a causa dell'enorme quantità riversata "esondò" dalla vasca, finendo nel Lambro e scendendo verso valle trasportato dalla forte corrente del fiume, gonfio dalle piogge invernali. L'allarme fu lanciato verso le 5 del mattino del 23 febbraio, da un operatore del Depuratore di Monza, che insospettito dal mal funzionamento del depuratore, scoprì il petrolio.
In pochi minuti fu istituito un piano d'emergenza, atto a fermare o a quantomeno "mitigare" gli effetti di un Disastro che si preannuncia di proporzioni mai registrate, per un fiume lombardo.
Una task force formata dai Vigili del Fuoco, dai volontari dalla Protezione Civile e dai tecnici dell'ARPA, con l'aiuto del corpo forestale dello stato subito cominciò ad installare lungo tutto il corso del fiume delle dighe galleggianti in grado di fermare il petrolio. Intanto presso il centro del WWF a Vanzago cominciarono ad essere portati tutti gli animali contaminati dal petrolio. Centinaia furono gli animali estratti morti dal Lambro e quelli ancora vivi in gravi condizioni.

Intanto il petrolio superò il primo sbarramento, giungendo intorno alle 16 a Melegnano. Qui è previsto uno sbarramento fisso, creato per verificare lo stato delle acque del fiume, e quindi la task force decise di creare il secondo sbarramento. Le "chiuse" dello sbarramento vennero fatte alzare per consentire all'acqua pulita di defluire, mentre il petrolio fermo in superficie fu aspirato in apposite "autocisterne".

La quantità di petrolio era però enorme, e anche lo sbarramento di Melegnano cedette, consentendo alla "marea nera" di proseguire il viaggio. Superato lo sbarramento di Melegnano, il petrolio, intorno alle 20, giunse a San Zenone al Lambro, dove la task force, aveva creato il terzo sbarramento, utilizzando una diga, usata da Enel Energia per produrre energia elettrica da fonti rinnovabili (il fiume). Alla Diga di San Zenone, i vigili del fuoco e i volontari della Protezione Civile, con l'aiuto del Corpo Forestale, lavorarono duramente tutta la notte per impedire che il petrolio potesse raggiungere il Po.

Ma gli sforzi risultarono vani e il petrolio proseguì la sua corsa.

In tarda serata, la "marea nera" giunse a Lodi, inquinando i condotti agricoli, con gravissimi danni ambientali e al raccolto.

Qui la task force creò un quarto sbarramento, utilizzando dei prodotti assorbenti per poter fermare il petrolio, ma anch'esso cedette e il petrolio proseguì la sua corsa.

Verso le 6 del mattino di mercoledì 24, la "marea nera" arrivò a Sant'Angelo Lodigiano, sede dell'ultimo sbarramento prima dello sbocco del Lambro nel Po.
Per quanto la task force lavorasse duramente, gli idrocarburi superarono anche quest'ultimo sbarramento all'alba di mercoledì mattina, raggiungendo il fiume Po al punto di confluenza, nel tratto piacentino del fiume.

Verso le 11 di mercoledì 24 febbraio, il petrolio raggiunse il tratto piacentino del Po, e da qui in poi le operazioni per fermare il petrolio, passarono alla regione Emilia-Romagna e alla protezione civile nazionale.
Il peggior timore fu che il petrolio potesse raggiungere il delta del Po e di conseguenza il Mare Adriatico. Essendo l'ecosistema del delta fragilissimo, il passaggio della "marea nera" avrebbe causato danni gravissimi all'ambiente e all'economia della zona.

A Piacenza, con l'aiuto dell'esercito italiano, venne organizzata una seconda task force per fermare la "marea nera" prima che raggiungesse Ferrara, dove normalmente i cittadini bevono acqua del Po depurata. Sul luogo giunsero anche il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo e il responsabile della protezione civile Guido Bertolaso, fiducioso che la "marea nera" sarebbe stata bloccata prima di Ferrara.

Gli sforzi della task force si concentrarono sulla centrale idroelettrica di Isola Serafini (PC), una diga dell'Enel atta a produrre energia elettrica. Le paratoie della diga furono abbassate per consentire all'acqua pulita sul fondo di defluire e contemporaneamente fermare il petrolio galleggiante in superficie. Il petrolio bloccato sarebbe stato poi aspirato con idrovore.

Purtroppo per quanto bloccata la maggior parte dalla "marea nera", una piccola parte di essa riuscì comunque a superare la diga, e continuare il suo viaggio verso il delta del Po. Il giorno venerdì 26 febbraio, la "marea nera" raggiunse le province di Cremona e di Reggio Emilia, per poi passare in provincia di Ferrara il 27 febbraio. Infine, il petrolio raggiunse ugualmente il Mare Adriatico ma fortunatamente, grazie ad altri interventi attuati velocemente lungo il restante corso del fiume, il petrolio arrivato in mare era così poco da non costituire un pericolo per l'ambiente.

La massa di petrolio restante si è vaporizzata nei giorni seguenti per l'azione della brezza del mare e del sole senza lasciare segni duraturi sull'ecosistema.

Nonostante si temessero gravi danni all'ecosistema del Delta del Po e al Mare Adriatico, queste zone sono state le meno interessate dal fenomeno, perché quando il petrolio vi è giunto, era ormai quasi completamente diluito. Moltissimi invece i danni all'ecosistema del Lambro, con la conseguente morìa delle specie animali e vegetali. Danneggiata moltissimo è l'Oasi del Bosco di Montorfano a Melegnano, sede di numerose specie di piante, alcune anche rare. Della fauna recuperata nelle prime ore dopo il disastro e ricoverata presso l'Oasi non è sopravvissuto un solo animale, le autopsie non hanno riscontrato presenza di idrocarburi ma danni al fegato e neurologici ed emorragie. Dichiarazioni più gravi, fatte a distanza di mesi, sono state fatte del responsabile volontariato LIPU, Massimo Soldarini:

« Nonostante la scrupolosa applicazione dei protocolli internazionali per il salvataggio di animali imbrattati da petrolio, nessuno dei cormorani e dei germani recuperati è sopravvissuto. Non solo, ma l’esame autoptico sui cadaveri non ha rilevato alcuna traccia di petrolio, mentre emergono segni di avvelenamento compatibili con solventi chimici »

Soldarini denuncia anche la confusione sulle cifre ufficiali date dalle autorità a proposito delle quantità di idrocarburi, e la mancanza di "colpevoli" a maggio 2011.

L'8 maggio, a emergenza terminata, il responsabile del programma acque del WWF Andrea Agabito ha evidenziato la necessità di ulteriori analisi sui sedimenti delle sponde del fiume per capire il reale livello di inquinanti e ha dichiarato che, anche se non è più presente la chiazza di petrolio «di fatto gli sversamenti di sostanze inquinanti sono durati fino a pochi giorni fa. Solo da poco infatti è rientrato in funzione il depuratore di Monza, messo fuori uso dal gasolio uscito dalle cisterne della Lombarda petroli. Questo significa che per due mesi i liquami della Brianza sono finiti nelle acque del Po e di qui nell'Adriatico». Seppure l'emergenza sembrasse terminata, le risorse messe a disposizione per il dopo-disastro, denuncia Agabito, sembrano insufficienti, nonostante il Ministero dell'Ambiente abbia già annunciato lo stanziamento di 700.000 euro per un piano di verifica del bioaccumulo sulla flora e la fauna.

Il recupero dell'ecosistema si prevede lungo anche perché il Fiume Lambro è stato colpito ancora, anche se con danni minori:

il 28 febbraio 2010, quando un'azienda sconosciuta ha approfittato della situazione in cui si trovava il fiume per scaricare i suoi effluenti tossici nelle acque, evitando i costi di smaltimento
ad agosto 2010, con un altro svasamento di inquinanti ad altezza di Briosco. Secondo il presidente della Provincia di Monza e Brianza, Dario Allevi, "la vera causa di questi episodi è fortemente correlata all'occupazione urbana ed industriale".
Un nuovo allarme è scattato a gennaio 2011 quando nuovi idrocarburi provenienti dalla zona industriale di Villasanta sono stati immessi nel fiume, nel tratto brianzolo.
I danni non sono relativi solo all'ambiente ma anche alle strutture; canali artificiali e terreni vicino alle rive sono stati contaminati dal petrolio.

Il 24 febbraio, la Procura della Repubblica di Monza ha aperto un fascicolo contro ignoti, per l'ipotesi di reato di "disastro ambientale" e "inquinamento delle acque". L'indagine è iniziata interrogando i dipendenti della "Lombarda Petroli", inclusi quelli licenziati, senza però inserire nessuno nel registro degli indagati. È proseguita per comprendere come accadde che "Lombarda Petroli", per non rientrare nella direttiva Seveso, avesse dichiarato allo stato italiano di avere nei propri serbatoi una limitata quantità di prodotti chimici. Le indagini hanno seguito anche la pista degli appalti, dato che sui terreni dell'ex raffineria dovrebbe sorgere un nuovo complesso urbanistico della società Addamiano Engineering, di Nova Milanese, detto "Ecocity".


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venerdì 27 febbraio 2015

LEGGENDE MILANESI

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Tra le numerose leggende meneghine, le più gettonate sono quelle riguardanti i fantasmi. Una di queste riguarda lo spettro più famoso della città, ossia la Dama Nera. Molte testimonianze narrano che nelle sere di nebbia, quando Parco Sempione è ormai deserto capita di sentire odore di violette. Pochi istanti dopo una figura indistinta appare in lontananza e comincia in modo rapido ad avvicinarsi. Una volta vicina si notano il vestito lungo nero che avvolge la figura e un velo oscuro che ne copre il viso, avvicinandosi sempre più con passo elegante, è sempre più chiaro che sotto tali vesti si nasconde una donna bellissima. La donna una volta giunta a pochi centimetri dell'avventore le porge la mano gelida, chi la raccoglie viene trascinato in sentieri nascosti del parco, dentro una nebbia sempre più fitta, fino a raggiungere una grande villa. All'interno di tale villa la Dama si concede all'avventore, solo dopo l'uomo trova il coraggio di alzare il velo, scoprendo così un teschio con le orbite vuote. La scoperta tremenda fa fuggire tutti gli uomini dalla Dama in nero, che mai cerca di trattenerli, sapendo che sarebbero sempre tornati a cercarla. Secondo la famosa leggenda tutti gli uomini vittima della Dama perdono il senno e conoscono un amore così forte da portarli alla follia, trascorrendo la loro vita a cercare di ritrovare la grande villa in cui avevano ballato con la Dama oscura.

Altre leggende narrano la storia di processioni di anime disperate, queste riconosciute come spettri dei catari, bruciati vivi in Corso Monforte perché considerati eretici. Troviamo leggende di donne bruciate vive considerate streghe, antichi uomini malvagi che nel passato si aggiravano tra le vie della città meneghina o infine del fantasma dell'Opera che perseguita presso il teatro della Scala chiunque si rechi ad assistere agli spettacoli senza intendersi di musica lirica.

Appena fuori dalla Basilica di Sant'Ambrogio, sul suo lato sinistro, si trova una colonna di epoca romana. La leggenda vuole che Sant’Ambrogio, Vescovo di Milano nel IV secolo, fosse alle prese con i molteplici tentativi del Diavolo di farlo cadere in tentazione. Esasperato dai suoi continui fallimenti, Satana provò infine a trafiggere il Santo con le corna, mancando però il bersaglio e finendo per conficcarsi nella colonna. Dopo aver provato per lungo tempo a liberarsi, si trasformò in zolfo e scomparve. Per questa ragione, secondo la tradizione, avvicinandosi ai fori si sentirebbe odore di zolfo, mentre appoggiandoci sopra l’orecchio si può sentire il rumore dello Stige, il fiume dell’Inferno. Non solo: la notte prima della domenica di Pasqua, si può vedere un carro, guidato da Satana in persona e diretto negli Inferi, che conduce le anime dei dannati destinate a passare l’eternità all’Inferno. Nel quarto secolo la zona dove ora sorge la basilica era un cimitero.

Gli Angeli e i Santi, posti a protezione delle mura e delle porte di Milano dagli antichi arcivescovi, hanno dovuto lavorare parecchio non solo nel Medievo, ma anche nei secoli successivi fino alle Cinque Giornate del 1848,  quando i Milanesi sfondarono a Porta Tosa, o fino all’agosto del 1943, quando si trovarono forse impreparati davanti ad una minaccia che veniva dal cielo. Molti furono gli eserciti nemici accampati fuori Milano: qualcuno riuscì ad entrare, altri non vi riuscirono, ma i protettori della città, invocati ogni anno nelle Litanie Triduane, fecero sempre del loro meglio per limitare i danni o almeno per aiutare i superstiti a risollevarsi.

Dove riuscirono meglio nel loro compito, fu nella protezione dalle insidie della Natura - acqua, fuoco, terremoti, belve - dalle quali Milano è stata egregiamente preservata. Il drago di Porta Venezia, è vero, fece morire centinaia di persone con il suo fiato pestilenziale, ma fu subito ucciso dall’ingegnoso funzionario pubblico Uberto Visconti. L’opera dei protettori fu ancora più meritoria se pensiamo a com’era il territorio che circonda la città sino a due secoli fa, infestato da banditi e da un’altra razza dimenticata di predatori: i lupi.

La battaglia contro i lupi fu piuttosto dura e impensierì più volte le autorità laiche e religiose, raramente però nei secoli passati i lupi hanno portato la loro minaccia alle porte di Milano.  Grazie all’attento e minuzioso studio di Maria Comincini pubblicato nel 1991 possiamo conoscere meglio il paesaggio milanese, quando al posto di automobili, TIR ed aerei, sfrecciavano cervi, caprioli, lupi.

In questo ambiente, esterno ed estraneo alla città, i lupi erano numerosi e spadroneggiavano senza infastidire molto l’altro e più forte predatore: l’uomo. Soltanto nei periodi di carestia le due specie venivano allo scontro, ed era in genere il lupo che attaccava. Lo studio sopra menzionato riporta molti dati su questa guerra, relativamente agli ultimi secoli e nelle diverse province lombarde. Ho estratto da quell’elenco gli avvenimenti più rilevanti svoltisi non troppo lontano da Milano per poter inquadrare meglio l’evento più significativo,  ancora oggi ricordato in molte pubblicazioni: quello della Bestia Feroce.

La più antica storia di fantasmi, tra le poche che sono state raccolte, risale alla seconda metà del XIV secolo e riguarda Bernarda, figlia naturale di Bernabò Visconti. Rinchiusa nella Rocchetta di Porta Nuova per adulterio, Bernarda morì dopo pochi mesi per riapparire più volte come fantasma, prima a Bologna e poi nel chiostro di S. Radegonda a Milano. Il padre, da buon milanese, pensò più semplicemente che fosse riuscita a fuggire. Fece riesumare il cadavere e svolse accurate indagini, ma il mistero rimase.

Nel Seicento Carlo Torre racconta una bellissima storia, da lui vissuta in prima persona nella sua chiesa di S. Nazaro in Brolo:

 “Ma non potrei partirmi da questa moderna Fabbrica [la cappella di S. Matroniano], se prima non vi narrassi un’avvenuto prodigio nello smantellare dell’antica Cappella. Eransi qui dinanzi radunate tutte quelle Panche da voi vedute ora disposte in determinati siti, per rendere disimpacciata la Chiesa al lavorio, che si faceva per la nuova Erezione, quando al disfacimento delle vecchie muraglie videsi distesa per ogni dilungata sedia gran massa di polvere, atta à ricevere qualsisia impronta d’appoggiato oggetto: Una mattina all’aprire della Chiesa furono osservate nelle polverose Panche varie forme di disuniti Scheletri d’umane persone, quivi dimorando una Coscia, ivi dilungandosi una gamba, in altro sito veggendosi sdentata una faccia, poco distante riposandosi ravvoltato teschio, più da vicino allargandosi una spalla con il braccio contiguo, per un lato mirandosi un’ossatura di stomaco, tenendosi appresso distesa una schiena, doveche da sagge persone contemplata scena si lugubre, tennesi per prodigioso successo; fecersi coteste figure visitare da periti disegnatori, se mai con grande astuta vi havesse l’arte per ingannar gli occhi trafficata sua mano, fù conchiuso non potere umano ingegno giungere à delineamenti così perfetti: mentre stavasi considerando il fatto, quasiche non desiderasse memorabile la Fama, benche si fosse prodigioso, dispersesi ogni forma apparsa, lasciando per autentico raccordo, che tien poca durevolezza ciocche vien registrato nella polvere. Considerate voi se tal’accidente hebbe ardire di paventare tutti noi Calonaci, e me in particolare; s’impiegassimo subito in pubblici solenni suffragij, giudicando, che gli spiriti di que’ raffreddati Carcami n’havessero duopo; suffragati, che si furono, niuna altra novità mai più si vide.”

Nel Seicento i fantasmi si presentano dunque come scheletri che si divertono a disegnare ogni loro parte (anche l’ossatura di stomaco) sulle panche impolverate della chiesa. Il Torre, da bravo Canonico, sa comunque come evitare altri incontri con gli “spiriti di que’ raffreddati Carcami”: alcune messe solenni di suffragio, e il problema è risolto.

Neanche un milione di messe di suffragio avrebbe potuto far sparire il fantasma di Carlo Sala dai dintorni del suo luogo di sepoltura, che si trovava dalle parti del Foppone di Porta Vercellina, oggi piazza Aquileia. Carlo Sala era stato giustiziato in corso di Porta Tosa (oggi Verziere) il 25 novembre 1775 come ladro sacrilego per aver spogliato 38 chiese nelle campagne del Milanese. Poiché in punto di morte non aveva voluto dar segni di pentimento, venne sepolto in luogo sconsacrato. La ferma resistenza opposta dal condannato alla conversione e all’assunzione dei Sacramenti fece grande scalpore. Tranne alcuni rari miscredenti “volterriani”, tutti pensarono che la sua anima sarebbe stata certamente dannata. Per questo quel luogo per molto tempo fu ritenuto infestato dal suo spettro. L’avanzata di case e strade nella zona ha cancellato anche il ricordo di questa paura.

Nell’Ottocento romantico i fantasmi sono numerosi in letteratura, rari nella vita. La storia della bellissima Antonietta Fagnani Arese che compariva nelle notti di luna al balcone di Palazzo Arese in corso Venezia è così vaga da sembrare essa stessa un fantasma. Forse però questa storia ha i suoi segreti cultori: quando dopo l’ultima guerra Palazzo Arese è stato demolito, qualcuno ha salvato uno dei suoi balconi neoclassici e l’ha ricollocato sulla nuova facciata moderna, forse sperando nel perpetuarsi delle apparizioni.

Ancora più gentile fu lo spirito di Tommaso Marino che offrì tre numeri da giocare al lotto al bisnonno dell’architetto Paolo Mezzanotte. I numeri erano comparsi in sogno sotto la cornice dell’antico ritratto del banchiere che era nella sagrestia di S. Marco. Non essendo certo di averli letti bene, andò due giorni dopo a controllare e, sollevando la cornice, lesse chiaramente: 62-44-56. Purtroppo, dopo averli giocati per due sabati, non riuscì a giocarli per la terza volta quando naturalmente uscirono. Più tardi, per convincere gli amici increduli della sua storia, andò con loro in S. Marco, ma i numeri sotto il ritratto erano scomparsi. Oggi anche il ritratto è scomparso dalla sagrestia. Lo tiene al sicuro il parroco forse per sottrarlo all’eccessiva curiosità dei giocatori.

“Maestorum refugium, Deus, tribulantum consolator, clementiam tuam suppliciter exoramus, ut afflictis oppressione gentium auxilium tuae defensionis impedens eripere nos, et salvare digneris. Tribue, quaesumus, fortitudinem fessis, laborantibus opem, solatium tristibus, adjutorium tribulatis. Circumda civitatem hanc virtutis tuae praesidio, et omnes in ea manentes immensae pietatis tuae defende juvamine. Pone in muris et portis ejus Angelorum custodiam, salutis ancilia, munitionem omnium sanctorum tuorum: ut qui pro peccatis nostris juste affigimur, de sola misericordia tua confidentes, miserationis tuae munere adjuvemur. Quatenus a pressura hac, quae nos circumdedit, erepti liberis tibi mentibus gratia agentes servire possimus. Per Dominum nostrum ...”

Questa drammatica invocazione affinché le mura e le porte della città fossero poste sotto la custodia degli Angeli e di tutti i Santi, veniva recitata dai Milanesi penitenti in ciascun Carrobio che si trovava accanto alle sei porte della città durante le Litanie Triduane.

Le Litanie o Rogazioni Triduane si svolgevano dal V secolo con modalità diverse da città a città. Anche se i Milanesi vantavano la priorità dell’istituzione di questo rito che dicevano fondato dal vescovo Lazzaro nella prima metà del V secolo nell’imminenza dell’arrivo di Attila, in genere si pensa che siano state istituite, o meglio riorganizzate, nella seconda metà del secolo da Mamerto, vescovo di Vienne, quando questa città era “ridotta a condizione infelicissima pei frequenti terremoti, per gl’incendi, e per il guasto, cagionato ai contorni di essa dai cervi e dai lupi, che moltiplicati si erano a dismisura.”

Questo rituale, che doveva rassicurare i cittadini minacciati da pericoli provenienti dall’esterno, si svolgeva nei tre giorni seguenti la domenica successiva alla festa dell’Ascensione, che cade generalmente alla fine di maggio. I fedeli, dopo l’imposizione delle ceneri, si muovevano in processione dalla cattedrale verso le porte della città, che dovevano essere tutte raggiunte nell’arco dei tre giorni. Essendo un rito penitenziale, si doveva osservare il digiuno (solo pane e acqua), vestire abiti semplici e in origine anche andare scalzi. Ogni città aveva un proprio itinerario e preghiere adeguate alle chiese e ai santi che si trovavano sul percorso. La preghiera usata a Milano davanti alle sei porte è quella citata all’inizio, che rinvia ad una forte minaccia esterna e alla grave prostrazione dei cittadini. Oltre alla città, anche i paesi delle campagne lombarde celebravano questo Triduo sostituendo nella preghiera le parole “civitatem istam” con “plebem istam” e “muros nostros” con “fines nostros”.

In seguito le Litanie Triduane, specialmente quelle campestri, si trasformarono in feste molto scomposte tanto da far sorgere lamentele da parte dei monasteri che venivano attraversati da queste folle che percorrevano i campi “con tamburi o qualch’altro grossolano strumento siasi imitato il rombo del tuono, accompagnato poi da urla e schiamazzi, coi quali avrà forse creduto quella buona gente di fugar in tal guisa le aeree infeste podestà.” Anche a Milano le Litanie assunsero un carattere di festa della fertilità: per scongiurare le carestie si ponevano alle finestre vari tipi di pietanze tanto che ben presto furono chiamate le processioni “delle lasagne”.


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