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martedì 1 maggio 2018

DIO ESISTE?

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L’esistenza di Dio non può essere né dimostrata né smentita. La Bibbia dice perfino che noi dobbiamo accettare per fede il fatto che Dio esiste: “Or senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa tutti quelli che lo cercano” (Ebrei 11:6). Se Dio lo desiderasse, Egli potrebbe semplicemente apparire e dimostrare al mondo intero che esiste. Però, se lo facesse, non ci sarebbe alcun bisogno della fede: “Gesù gli disse: ‘Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!’” (Giovanni 20:29).

I filosofi nel corso della storia hanno presentato un'estrema varietà di argomentazioni a favore o contro l'esistenza di Dio o anche in sostegno dell'irresolubilità della questione e della sospensione del giudizio (agnosticismo).

La teologia si occupa fin dai tempi della Grecia antica della natura e delle opere di Dio o degli dei. Le diverse teologie hanno spiegato in vario modo l'origine della fede in Dio facendo riferimento, per esempio, al ragionamento, alla rivelazione soprannaturale o alla libera scelta del singolo.

In Occidente, il termine Dio si riferisce tipicamente al concetto monoteistico di un essere supremo, ovvero un essere del quale non si può pensare nulla di più grande secondo la definizione di Anselmo d'Aosta: Deus est ens quo nihil maius cogitari potest (definizione contenuta nel Proslogion del 1077). Una definizione comune in questa tradizione afferma che Dio possiede ogni perfezione possibile incluse qualità quali onniscienza, onnipotenza e una perfetta benevolenza. Comunque, questa definizione non è l'unica possibile. Le religioni politeistiche usano la parola Dio per diversi esseri che sono tutti ritenuti come esistenti.

Alcune mitologie, come quelle di Omero e Ovidio, ritraggono questi dei che discutono, ingannano e si combattono l'un l'altro. Il periodo di tempo in cui avvengono questi conflitti (ad esempio, i dieci anni della guerra di Troia) implica che nessuna di queste divinità è onnipotente e particolarmente benevola. La metafisica panteista si fonda sui due concetti teoretici di origine e di causa.

Molti panteisti hanno utilizzato ed utilizzano nomi diversi da "dio" connotando e nominando il principio-origine-causa come Essere, Logos, Ragione, Intelligenza, Spirito, Assoluto ecc.

La definizione di Dio nell'ebraismo è estremamente rigida; gli attributi che contraddistinguono il Dio d'Israele dalle altre divinità sono contenuti per la maggior parte nel libro dell'Esodo, dove si narra che egli intervenne designando Mosè come suo profeta e guida del popolo ebraico per liberarlo dalla schiavitù in Egitto.

Il monoteismo assoluto degli ebrei è l'elemento più importante della loro identità etnico-religiosa. Oltre a questo, Dio per gli ebrei è trascendente, immateriale e invisibile (quindi anche impossibile da raffigurare in una qualunque maniera); onnisciente, onnipotente e onnipresente; geloso e benevolo, sovrano e giudice, severo ma misericordioso, Dio per gli ebrei è il sommo regnante, creatore e legislatore dell'universo.
La sua esclusività impone al popolo ebraico di non adorare niente e nessun altro all'infuori di lui, e ciò rende il loro rapporto stretto da un forte legame non solo di alleanza, ma anche di appartenenza.

Dio, secondo il cristianesimo, non è conoscibile dall'uomo, se egli stesso non si rivela a lui. Secondo il cattolicesimo, l'uomo può arrivare a provare l'esistenza di Dio attraverso percorsi filosofici e logici, ma non può comunque arrivare alla sua conoscenza con la pura ragione: usando cioè le parole di Tommaso d'Aquino, la ragione può arrivare a conoscere il quia est di Dio («il fatto che Egli è») ma non il quid est («che cosa è»), che è oggetto di mistero della fede; per sapere "chi" è Dio occorre il dato della Rivelazione. Dio si è rivelato agli uomini «nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti» e in generale nella storia di Israele, testimoniata dalla Bibbia.

La piena e definitiva rivelazione di Dio si è avuta con Gesù Cristo, poiché egli è al tempo stesso Figlio di Dio (e dunque Dio egli stesso) e uomo per effetto dell'incarnazione.

Tale rivelazione è stata tramandata nei Vangeli e in generale nel Nuovo Testamento, ed approfondita nella riflessione successiva. Dio secondo la religione cattolica è dunque (primo dogma) Uno e Trino, una Sostanza in tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo. Il Padre e il Figlio, l'Essere e il Pensiero (il Logos) sono in una reciproca dimensione relazionale di amore, espressa (e personificata) dallo Spirito Santo.



Dio è personale, eterno, onnipotente, onnisciente, perfettissimo, creatore dell'universo, provvidenza e salvezza degli uomini, creature poste al vertice dell'ordine del creato. Il secondo dogma del Cristianesimo è la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, Verbo eterno del Padre, che si incarnò in forma umana, nascendo dalla Vergine Maria. Dopo aver predicato l'amore infinito di Dio verso gli uomini, portò a compimento la sua missione con la sua passione e morte in croce. Il Padre lo resuscitò il terzo giorno (Pasqua di Risurrezione), aprendo agli uomini la possibilità della redenzione. Mandò poi lo Spirito Santo sui suoi discepoli, che formarono la Chiesa.

Nella religione induista, secondo la filosofia della scuola monista dell'Advaita Vedanta, la realtà viene in ultima analisi vista come un essere singolo, senza qualità, immutabile, eternamente beato e completo, chiamato Brahman (o nirguna Brahman, ossia Brahman senza attributi). Il Brahman, pur essendo immanente in tutta la manifestazione, viene visto come qualcosa che sta al di là della comprensione umana, in quanto non possono esistere strumenti cognitivi adatti per comprendere il Brahman all'interno di qualsiasi forma di esistenza duale. L'unico modo che l'uomo ha per comprendere il Brahman, infatti, è riscoprire di essere lui stesso il Brahman.

Quello che percepiamo ordinariamente, ovvero un mondo composto da molti aspetti (dai più grossolani a più sottili), è dovuto all'illusione ed è difficile, se non impossibile, emanciparsi dall'illusione e concepire il nirguna Brahman. Per rendersi accessibile agli esseri, alla nascita dell'universo si manifestò come Isvara (o Saguna Brahman, ossia Brahman con attributi), cioè l'aspetto personale di Dio, il Dio con una personalità e degli attributi, che si mostra ai suoi devoti sotto infinite forme. A Ishvara, a sua volta, vengono ascritte qualità come onniscienza, onnipotenza, e benevolenza.

Un problema posto dalla questione dell'esistenza di un Dio è che le credenze tradizionali solitamente attribuiscono a Dio vari poteri sovrannaturali. Gli esseri sovrannaturali possono essere in grado di nascondere o rivelare se stessi per i loro scopi, come ad esempio nella storia di Filemone e Bauci. Le capacità sovrannaturali di Dio sono spesso offerte per spiegare l'incapacità dei metodi empirici di investigarne l'esistenza. Nella filosofia della scienza di Karl Popper, l'asserzione dell'esistenza di un Dio sovrannaturale sarebbe una ipotesi non falsificabile, e quindi chiusa all'investigazione scientifica.

I sostenitori del disegno intelligente credono che esistano prove empiriche che indicano l'esistenza di un creatore intelligente, anche se le loro asserzioni sono rigettate dalla comunità scientifica poiché il disegno intelligente si affida ad un ristretto insieme di argomenti correlati al problema della sintonia fine, che non sono ancora stati risolti con spiegazioni naturali. Il creatore implicato dal disegno intelligente equivale al negativamente connotato Dio dei vuoti. I positivisti logici, quali Rudolph Carnap e A. J. Ayer, vedono qualsiasi discussione sulle divinità come un vero e proprio nonsense. Per i positivisti logici e per gli aderenti a simili scuole di pensiero, affermazioni sulla religione o altre esperienze trascendenti non possono avere un valore di verità e vengono considerate come prive di senso.

Ci sono diversi possibili modi di conoscere, alcuni fondati sulla giustificazione, altri basati sulla fede, che non si giustifica con argomenti puramente razionali oppure di tipo empirico. La conoscenza, nel senso di "comprensione di un fatto o di una verità" si può distinguere in conoscenza a posteriori, basata sull'esperienza o la deduzione , e in conoscenza a priori derivante dall'introspezione, da assiomi o dall'autoevidenza. La conoscenza può essere descritta anche come uno stato psicologico, poiché in senso stretto non potrà mai esserci una vera e propria conoscenza a posteriori.

Gran parte del disaccordo circa le "prove" dell'esistenza di Dio è dovuto alle differenti concezioni non solo del termine "Dio" ma anche dei termini "prova", "verità" e "conoscenza". La credenza religiosa derivante dalla rivelazione o dall'illuminazione (satori) ricade nel tipo di conoscenza a priori. Conclusioni differenti circa l'esistenza di Dio spesso si fondano su criteri differenti nel decidere quali metodi sono appropriati per decidere se qualcosa è vero o no. Esempi sono:

la logica conta come prova riguardante la qualità dell'esistenza?
l'esperienza soggettiva conta come prova per la realtà oggettiva?
possono la logica o la prova ammettere o escludere il sovrannaturale?

Le prove metafisiche o ontologiche sono quelle che nel tempo sono state proposte da diversi pensatori. Tra le più celebri forme in cui queste sono proposte, vi sono l'argomento ontologico del Proslogion di Anselmo d'Aosta e le "cinque vie" di Tommaso d'Aquino, con le quali gli autori intendono provare l'esistenza di Dio come primo motore immobile, prima causa incausata, essere necessario, essere perfettissimo, sapientissimo ordinatore.

Anselmo d'Aosta, teologo cattolico vissuto nel Medioevo, con la prova "ontologica" intende dimostrare che Dio, «l'Essere di cui non si può pensare nulla di più grande», esiste non solo come idea ma realmente, mediante un'argomentazione tutta interna alla logica (a priori), ossia un'argomentazione che non necessita dei dati dell'esperienza. Secondo Anselmo, infatti, anche l'ateo possiede implicitamente l'idea di Dio: persino l'insipiente che «dice in cuor suo Dio non esiste» deve convincersi che sia pensabile intellettualmente qualcosa di immensamente grande, che abbia il massimo di tutte le qualità, tale per cui non è possibile pensare alcunché di maggiore. Ad esempio non conosciamo l'essere più buono al mondo, ma riusciamo nella nostra mente a concepire l'essenza di una bontà assoluta e insuperabile.

Ciò che esiste nella realtà, secondo Anselmo, ha più valore di ciò che esiste nel solo intelletto, secondo la concezione tipicamente platonica che identificava il Bene con l'essere. L'albero esiste nella realtà e quindi anche nell'intelletto, mentre non tutto quel che esiste nella mente esiste anche nella realtà (ad esempio un cavallo alato). Ma non si può concepire Dio come il massimo delle qualità senza attribuirgli una reale esistenza, poiché anche l'esistenza è una qualità.

Il monaco benedettino francese Gaunilone (994-1083), pur non mettendo in dubbio l'esistenza di Dio, contestò la prova a priori di Anselmo nel suo Liber pro insipiente. Secondo Gaunilone non ci si può fondare sull'esistenza nel pensiero per concludere l'esistenza nella realtà sensibile (si possono pensare cose impossibili), per cui la definizione di divinità presa da Anselmo o è dedotta da qualcosa d'altro (dato di rivelazione, quindi non è prova a priori) o è completamente arbitraria e quindi si pone il problema della stessa pensabilità della definizione. In altri termini, egli obiettava che «se io penso un'isola perfettissima, allora questa esiste anche nella realtà?».

Anselmo obiettò alla critica sostenendo che non si potevano porre sullo stesso piano Dio e un'isola, poiché la sua prova era applicabile solo alla perfezione massima, ovvero Dio, «ciò di cui non si può pensare nulla di più grande». La seconda obiezione di Gaunilone fu la seguente: «ammettendo che la prova di Anselmo sia valida, com'è possibile che la mente umana, limitata, riesca ad ospitare il pensiero dell'infinita figura di Dio?». Anselmo rispose che la sua prova definiva Dio soltanto attraverso la teologia negativa, negandogli cioè ogni difetto ed imperfezione, affermando soltanto che Dio è, ma non che cosa Egli è. Inoltre, nel cap. XV del Proslogion, Anselmo asserisce che Dio è sempre più grandi di ciò che possa essere pensato su di Lui.

Cartesio (René Descartes) propose, nella quinta delle Meditazioni metafisiche, una prova analoga a quella di Anselmo d'Aosta ma leggermente differente: per Dio egli intende una sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente, sommamente potente, ovvero la somma di tutte le perfezioni la cui idea è innata nell'intelletto, ed improducibile da esso stesso, al pari dell'idea di infinito attuale.

Se Dio assomma tutte le perfezioni, contenute in sé come note di un concetto, non può mancare dell'esistenza; se non esistesse, sarebbe meno perfetto della perfezione che gli era stata accordata. Pensare un Dio perfettissimo manchevole dell'attributo dell'esistenza è contraddittorio, dice Cartesio: «Come pensare un monte senza valle».

Gottfried Wilhelm Leibniz, sia nello scritto del 1701 "Sulla dimostrazione Cartesiana dell'esistenza di Dio" che nella "Monadologia" nel 1714, svilupperà l'interpretazione cartesiana dell'argomento Anselmiano, e lo riformulerà in una maniera prettamente logica. Per Leibniz, infatti, la prova dell'esistenza di Dio è ridotta alla riflessione logica sulla Sua possibilità: se Dio è possibile, necessariamente esiste.

Dio è quell'Essere la cui esistenza è implicita nella sua essenza o natura, e allora basterà pensare la possibilità di un Essere la cui esistenza è implicita nella sua essenza che ne avremo dimostrato l'effettiva esistenza. Basterà, dunque, dimostrare la non-contraddittorietà logica, per dimostrare l'esistenza di quell'Essere la cui esistenza è inclusa nella sua essenza. In Leibniz abbiamo l'estrema logicizzazione dell'argomento Anselmiano.

Kant, pur ammettendo l'esistenza di Dio come postulato indimostrabile, ne ha contestate le tradizionali dimostrazioni, alla cui inconsistenza occorre rimediare, secondo Kant, con argomentazioni più filosofiche e meno fideiste. Nella Dialettica trascendentale distingue tre generi di prove: ontologica, cosmologica e fisico-teologica. La prova ontologica, di cui è esempio la prova ontologica di San Anselmo, presume, secondo Kant, di poter pervenire dalla semplice idea di qualcosa alla sua esistenza reale, prescindendo dal dato di esperienza.

Egli immagina in proposito, in maniera piuttosto ironica, di avere in tasca cento talleri e di pensarne cento: quelli che lui pensa dovrebbero essere meno di quelli che ha in tasca, poiché ciò che è pensato è meno perfetto di ciò che è esistente. Ma pur continuando a pensarne cento, non per questo ne avrebbe di più in tasca. E quindi è per lui impossibile una prova di questo genere. La confutazione kantiana, partendo dal presupposto che il concetto di essere potesse avere senso solo se applicato alla realtà empirica e fenomenica, come modo di operare del nostro intelletto, fu a sua volta accusata di rinchiudersi in un nominalismo astratto, incapace di aprirsi al noumeno e quindi all'autentica realtà ontologica.

Lo stesso Kant, d'altronde, che già aveva preso posizione contro gli scettici, accusati di «aborrire ogni stabile edificazione del suolo», nella Critica della ragion pratica farà dell'esistenza di Dio un postulato o assioma dell'agire etico, ossia la condizione moralmente necessaria che dia senso alla legge morale, compensando le ingiustizie e impedendo nel mondo ultraterreno il ripetersi della contraddizione logica tra la sofferenza del giusto e la sua aspirazione a vivere secondo ragione.

Le dimostrazioni procedono generalmente dagli effetti alla causa, con una struttura tra loro simile. Hanno origine da diverse fonti, per esempio da Platone e Aristotele (che formularono per primi una prova sul Motore Immobile), dal pensiero neoplatonico (per quanto riguarda i gradi di perfezione della quarta via), e da altre fonti (alcuni pensatori musulmani sottolinearono la differenza fra essere contingente ed essere necessario che è chiave della terza via di Tommaso). Un argomento dei critici è che queste vie utilizzano ciò che in matematica si chiama regresso infinito. Questa struttura si ritrova pure nei paradossi di Zenone, che furono risolti a secoli di distanza, dimostrando che il regresso infinito non è contraddittorio, ed è ammissibile nella logica. Inoltre, dimostrerebbero l'esistenza di Dio, ma non la sua unicità. Ad esempio, il filosofo Eudosso di Cnido ipotizzò che esistessero 55 motori immobili differenti.




La prova dell'esistenza di Dio formulata da John Locke si basa sul sillogismo in ogni effetto non può essere contenuto nulla più di quanto sia contenuto nella causa (secondo il principio di causalità ex nihilo nihil);
nel mondo esistono persone dotate di intelligenza; quindi la causa del mondo deve essere intelligente.
Altre argomentazioni a favore dell'esistenza di Dio si avvalgono di definizioni e assiomi.

L'argomentazione teleologica, che sostiene che l'ordine e complessità dell'universo mostrano segni di una volontà (telos), e che deve essere stato disegnato da un progettista intelligente dotato di proprietà che solo un Dio può avere.
L'argomentazione antropica si concentra su fatti basilari, come la nostra esistenza, per dimostrare Dio.
L'argomentazione morale sostiene che la moralità oggettiva esiste e che quindi esiste Dio.
L'argomentazione trascendentale dell'esistenza di Dio, che sostiene che logica, scienza, etica e altre cose che prendiamo seriamente, non hanno senso se non c'è Dio. Di conseguenza le argomentazioni atee devono alla fine confutare se stesse, se pressate con rigorosa coerenza. Per contro esiste anche una argomentazione trascendentale della non esistenza di Dio.
Le argomentazioni deduttive partono da premesse di tipo logico formale per arrivare ad affermazioni sul piano dell'esistenza, la quale viene ammessa per non urtare il principio di non contraddizione, avvalendosi dunque di una sorta di ragionamento per assurdo. Il passaggio dalla possibilità logica alla necessità dell'esistenza avviene perché ogni altra ipotesi che neghi l'esistenza di Dio risulterebbe logicamente impossibile.

Kurt Gödel nel suo trattato di matematica "Ontologischer Beweis" fornisce una dimostrazione logica dell'esistenza di Dio nel 1941, rivista nel 1954 e nel 1970. In questo libro, sostiene con argomenti matematici le sue convinzioni teologiche. Secondo la prova ontologica di Gödel, Dio è un Essere che assomma in sé le qualità positive di tutti gli enti reali. Dio deve esistere necessariamente come fondamento dell'ordine matematico dell'universo. La dimostrazione gödeliana, che parte da cinque assiomi e si avvale di un rigido teorema logico-formale, si basa sul fatto che non sarebbe logicamente plausibile ammettere la possibilità di un unico Essere provvisto di tutte le "proprietà positive", tra cui la stessa esistenza, senza attribuirgli una realtà effettiva, perché ciò sarebbe una contraddizione in termini.

Le argomentazioni induttive sostengono le loro conclusioni attraverso il ragionamento induttivo.

Un altro insieme di filosofi asserisce che le prove dell'esistenza di Dio presentano una probabilità abbastanza alta, anche se non la certezza assoluta. Un numero di punti oscuri, essi sostengono, rimane sempre. Allo scopo di superare queste difficoltà c'è necessariamente o un atto di volontà, un'esperienza religiosa, o il discernimento della miseria del mondo senza Dio, così che alla fine il cuore prenda una decisione. Questa visione è sostenuta, tra gli altri, dallo statista britannico Arthur Balfour nel suo libro The Foundations of Belief (1895). Le opinioni portate avanti in questo lavoro vennero adottate in Francia da Ferdinand Brunetière, editore di Revue des deux Mondes. Molti protestanti ortodossi si esprimono allo stesso modo, come ad esempio il Dott. E. Dennert, presidente della Kepler Society, nel suo lavoro Ist Gott tot.
Le argomentazioni soggettive si affidano principalmente sulla testimonianza o l'esperienza di determinati testimoni, o sulle proposizioni di una specifica religione rivelata.

L'argomentazione dei testimoni dà credibilità alle testimonianze personali, contemporanee o storiche. Una variante è l'argomentazione dei miracoli, che si affida alle testimonianze di eventi sovrannaturali per stabilire l'esistenza di Dio.
L'argomentazione cristologica o religiosa è specifica di religioni come il cristianesimo, e asserisce ad esempio che la vita di Gesù, come scritta nel Nuovo Testamento, ne stabilisce la credibilità, e quindi possiamo credere nella verità delle sue dichiarazioni su Dio. Un esempio di ciò è il Trilemma presentato da C.S. Lewis in Mere Christianity.
L'argomentazione della maggioranza sostiene che persone di tutte le epoche e in luoghi diversi hanno creduto in Dio, quindi è improbabile che non esista.
La Scuola Scozzese guidata da Thomas Reid insegna che il fatto dell'esistenza di Dio viene da noi accettato senza conoscenza delle ragioni, ma semplicemente per un impulso naturale. Che Dio esista, dice questa scuola, è uno dei principi metafisici fondamentali, che accettiamo non perché siano evidenti in sé o perché possono essere provati, ma perché il senso comune ci obbliga ad accettarli.
L'argomentazione da una base propria sostiene che la fede in Dio è "propriamente basilare", vale a dire, simile ad affermazioni come "vedo una sedia" o "sento dolore". Tali convinzioni sono non-falsificabili e quindi, non possono essere né provate né confutate; esse riguardano convinzioni percettive o stati mentali indiscutibili.
In Germania, la Scuola di Friedrich Heinrich Jacobi insegnava che la nostra ragione è in grado di percepire il sovrasensibile. Jacobi distingueva tre facoltà: sensi, ragione, e comprensione. Così come i sensi hanno una percezione immediata delle cose materiali, la ragione ha una percezione immediata dell'immateriale, mentre la comprensione porta queste percezioni alla nostra consapevolezza e le unisce l'una con l'altra. L'esistenza di Dio quindi non può essere provata—Jacobi, come Kant, rigettava il valore assoluto del principio di causalità—, deve essere sentita dalla mente.
Il grande illuminista francese Voltaire ripeteva un aforisma molto significativo che recita "Se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo". Seguace fin dalla giovinezza del deismo inglese, e in particolare di Samuel Clarke e di Antony Collins, elabora alla fine della sua vita una forma di teismo che così enuncia nel Dizionario filosofico:
« Il teista è un uomo fermamente persuaso dell’esistenza di un Essere supremo tanto benigno quanto potente, il quale ha formato tutti gli esseri estesi, vegetanti, o dotati di sentimento, o di sentimento e ragione; e perpetua la loro specie, e punisce senza crudeltà i delitti e ricompensa con bontà le azioni virtuose. Il teista non sa in qual modo Iddio punisce, né come egli premia. Le difficoltà che si oppongono all’idea della Provvidenza non lo scuotono nella sua fede. Egli è sottomesso a questa Provvidenza, benché non ne scorga se non alcuni effetti e alcune apparenze. La sua religione è la più antica e la più estesa, perché la semplice adorazione di un Dio ha preceduto tutte le dottrine del mondo. Egli parla una lingua che tutti i popoli intendono, mentre questi popoli non si intendono fra di loro. »
(Dizionario filosofico, Mondadori 1970, p.619)
Nello stesso tempo Voltaire si pronuncia duramente contro l'ateismo con queste parole:

« Che l’ateismo è un mostro assai pericoloso in quelli che governano; che lo è anche nelle persone di studio, se pure la loro vita è innocente, perché dal loro studio esso può arrivare sino a quelli che vivono in piazza; e che, se non è certo funesto quanto il fanatismo, è tuttavia quasi sempre fatale alla virtù. »
(Dizionario filosofico, cit., p.99)
Nel suo Emilio, Jean-Jacques Rousseau asseriva che quando la nostra comprensione pondera circa l'esistenza di Dio, non incontra altro che contraddizioni. Gli impulsi del nostro cuore, comunque, hanno più valore della comprensione, e questo ci proclama chiaramente le verità della religione naturale, ovvero l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima.
La stessa teoria venne sostenuta in Germania da Friedrich Schleiermacher (morto nel 1834), che assumeva un senso religioso interno per mezzo del quale sentiamo le verità religiose. Secondo Schleiermacher, la religione consiste solamente di questa percezione interna, e le dottrine dogmatiche non sono essenziali.
Molti teologi protestanti moderni seguono le orme di Schleiermacher, e insegnano che l'esistenza di Dio non può essere dimostrata; la certezza di questa verità è fornita solamente dalla nostra esperienza interiore, dai sentimenti e dalla percezione.
Anche la cristianità modernista nega la dimostrabilità dell'esistenza di Dio. Secondo questa, possiamo conoscere qualcosa di Dio solo tramite l'immanenza vitale, vale a dire che, in circostanze favorevoli, il bisogno di divino che dorme nel nostro subconscio, diventa conscio e risveglia il sentimento religioso o l'esperienza in cui Dio si rivela a noi. In condanna di questa visione il giuramento contro il modernismo formulato da Papa Pio X dice: "Deum... naturali rationis lumine per ea quae facta sunt, hoc est per visibilia creationis opera, tanquam causam per effectus certo cognosci adeoque demostrari etiam posse, profiteor" ("Dichiaro che per illuminazione naturale della ragione Dio può certamente essere conosciuto e quindi la Sua esistenza può essere dimostrata tramite le cose fatte, ovvero tramite l'opera visibile della creazione, in quanto la causa è nota attraverso i suoi effetti").

Il matematico italiano Vincenzo Flauti (1782-1863) pubblicò la "Teoria dei miracoli", una dimostrazione matematica dell'esistenza di Dio. George Boole (1815-1864), inventore dell'algebra della logica, nel capitolo XIII del suo libro "The Laws of Thought" (MacMillan 1854) espresse in formule la dimostrazione dell'esistenza di Dio ideata dal teologo non conformista Samuel Clarke (1675-1729), giungendo alla conclusione che la dimostrazione non è valida. Altri autori hanno espresso considerazioni riguardo ai limiti notevoli, in merito all'esito indeterminato del prodotto o divisione di due grandezze infinite, e al prodotto di una grandezza nulla per infinito.

Secondo Kierkegaard il termine stesso esistenza applicato a Dio è improprio. Il filosofo cristiano dichiara che la fede è un paradosso (non l'assurdo o l'irrazionale) e sostiene che Dio deve essere accettato per fede e basta, Dio non va "spiegato": «Dio non pensa, Egli crea. Dio non esiste, Egli è eterno. L'uomo pensa ed esiste e l'esistenza separa pensiero ed essere, li distanzia l'uno dall'altro nella successione». Vi è quindi una differenza assoluta fra uomo e Dio fra ciò che è finito e infinito. Si possono mediare differenze relative, non la differenza assoluta.

Sebbene la fede sia un rischio, Kierkegaard sostiene che la sua accettazione non è irrazionale: Il credente non solo possiede, ma usa la ragione, rispetta le credenze comuni, non ascrive a mancanza di ragione se qualcuno non è cristiano; ma per quello che riguarda la religione cristiana egli crede contro la ragione e in questo caso adopera la ragione per accertarsi che crede contro la ragione. Il cristiano non può accettare l'assurdo contro la sua ragione perché questa si accorgerebbe che è assurdo e lo respingerebbe. Egli adopera, quindi, la ragione per diventare consapevole dell'incomprensibile e poi si attacca ad esso e crede anche contro la ragione. La fede è quindi un rischio perché richiede l'adesione personale ad affermazioni che oggettivamente non presentano alcuna garanzia e sono in stridente contrasto con i normali criteri di verità. La fede è un rischio perché il suo oggetto è il paradosso, una verità che oltrepassa gli schemi della ragione umana, una verità priva di evidenza oggettiva. Per Kierkegaard quindi la fede è imprescindibile dalla credenza in Dio ed è la sola qualità che ci deve consentire di accettare la sua esistenza.

Il pensiero di Diagora di Milo, noto come l'ateo e perseguitato in vita per il suo ateismo, non è noto se non in misura frammentaria ed attraverso fonti terze, peraltro in misura prettamente aneddotica. Nel De Natura Deorum Cicerone riporta che un amico di Diagora aveva cercato di convincerlo dell'esistenza degli dèi ricordandogli quante immagini votive erano state erette in onore degli dèi da varie persone come ex voto per essere sopravvissute a tempeste in alto mare, al che Diagora avrebbe ribattuto ricordandogli quante immagini votive non erano state erette in onore degli dèi da coloro che invece erano morti per naufragio.

Nella medesima opera l'autore racconta come l'equipaggio di una nave su cui era imbarcato Diagora accusasse questi per aver attirato su di loro la collera degli dèi nella forma di una forte tempesta, al che Diagora rispose chiedendo se anche le altre imbarcazioni coinvolte dalla tempesta avessero Diagora a bordo. L'autore cristiano Atenagora di Atene scrisse nel II secolo d.C. che gli Ateniesi avevano perseguitato Diagora perché aveva apertamente dichiarato l'inesistenza degli dèi. Autori greci contemporanei al filosofo affermano che una delle argomentazioni che portava a sostegno di questa sua tesi era la mancata punizione divina di numerosi atti d'empietà e crudeltà commessi dagli uomini.

Crizia, vissuto tra il V ed il IV secolo a.C., tratta ne il Sisifo la dissoluzione del tradizionale concetto di nomos (dal greco legge) sul quale le polis dell'antica Grecia erano fondate e che ricomprendeva in sé i concetti di legge giuridica, sociale e religiosa. Ribaltando lo schema tradizionale, che voleva il diritto positivo fondato sulla morale divina, egli fonda nella paura del divino il vero caposaldo del potere politico, identificando con l'invenzione degli dèi il fondamento per la nascita della civiltà.

La divinità assume le caratteristiche di uno strumento politico atto al governo. Secondo Crizia, il divino è stato inventato dai governanti affinché gli uomini smettessero di infrangere le leggi di nascosto, convincendoli nella loro sfera personale dell'esistenza di una forza soprannaturale in grado di osservarli in qualsiasi momento e in seguito giudicarli. Egli non solo spiega razionalmente la religione, ma pretende di dimostrare la debolezza intrinseca della legge positiva e della morale collettiva.

Queste sono infatti frutto di convenzione, relative e basate sull'apparenza: come prima di lui aveva osservato il sofista Antifonte, giusto è colui che, di fronte a testimoni, si comporti in ossequio alla legge per evitare biasimo e pene, ma che poi, in privato, si comporti secondo la propria natura (physis). Qui sta appunto, anche per Crizia, la debolezza della legge, poiché essa cessa di avere valore quando l'individuo si trova solo. Qualsiasi oratore, poi, è in grado a parole di rigirare la legge a proprio vantaggio, insozzando ciò che di buono vi è in essa. Piuttosto che sul nomos, dunque, una società ordinata si dovrebbe basare sulla moderazione del singolo individuo. Come scrisse nel Piritoo, «un carattere nobile è più saldo della legge», poiché nessuno sarà mai in grado di storpiarlo.

A cavallo tra il IV ed il III secolo a.C. Evemero da Messina veicolò, attraverso La Storia Sacra, l'evemerismo. Evemero cercò di spiegare razionalmente la genesi degli dei, ritenendo che l'origine del concetto di "dio" fosse da rintracciarsi nella divinizzazione progressiva subita da personaggi storici di spicco, quali antichi sovrani e fondatori di regni e città.

In tal modo egli negava esplicitamente la natura divina degli dei, affermandone l'origine umana. In linea con questa impostazione, egli cercò di interpretare razionalmente gli antichi miti, epurandoli degli elementi mistici e fantasiosi e cercando di identificarne il nucleo storico di fondo.

Risulta incerto se Lucrezio (98-53 a.C.) si sia semplicemente limitato a esportare l'epicureismo di Epicuro in ambito latino o se avesse radicalizzato questa corrente filosofica facendone una forma di ateismo.

Sin dal primo libro del De rerum natura egli enuncia che gli dèi non esistono e che il mondo si è fatto da sé, scrivendo:

« Quas ob res ubi viderimus nil posse creari de nihilo, tum quod sequimur iam rectius inde perspiciemus, et unde queat res quaeque crearivet quo quaeque modo fiant opera sine divom »

(E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla, allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l’oggetto delle nostre ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia senza opera alcuna di dèi.)
Nel Libro V Lucrezio spiega perché il mondo si è fatto da solo:

« Ma ora spiegherò con ordine come il caotico ammasso di materia abbia stabilmente formato la terra, il cielo, le profondità marine, il corso del sole e della luna. Infatti di certo gli elementi germinali delle cose non si disposero ognuno al suo posto per il criterio d’una mente sagace né pattuirono i moti che ognuno avrebbe dovuto imprimere, ma poiché i numerosi germi della natura in molteplici modi ormai da tempo infinito sospinti dagli urti e dal loro stesso peso sogliono spostarsi velocemente,
aggregarsi in ogni guisa e produrre tutte le combinazioni »
Età moderna[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1729, alla morte del prete Jean Meslier, veniva reso pubblico il suo testamento, dal titolo di Memoria dei pensieri e delle opinioni di Jean Meslier, prete, curato di Ètrèpigny e di Balaives, su una parte degli errori e degli abusi del comportamento e del governo degli uomini da cui si dimostrano in modo chiaro ed evidente le vanità e le falsità di tutte le divinità e di tutte le religioni del mondo, affinché sia diretto ai suoi parrocchiani dopo la sua morte e per essere usata da loro e da tutti i loro simili quale testimonianza di verità. In questo testo il sacerdote chiedeva perdono per quanto di falso aveva predicato in tutta la vita e per aver mentito nell'esercizio di una vocazione spirituale divenuta non più consona alle sue convinzioni filosofiche.

Meslier mise in dubbio la coerenza della religione cristiana attraverso una critica all'attendibilità e alla verità storica dei Vangeli, contestandone le ritenute contraddizioni interne, alla Bibbia in generale, affermando la falsità delle presunte profezie dell'Antico Testamento, e alla dottrina e morale cristiane, enumerando quelli che a suo parere erano gli errori insiti in queste. Egli riteneva che la fede, in quanto "credenza cieca", fosse un principio di errori, di illusioni e di raggiri e che la divinità e l'anima fossero invenzioni umane.

Meslier sostenne che la religione origina dalla paura e che i tiranni se ne servono e la sostengono per imporre il proprio potere: idealizzando la sofferenza, la povertà e il dolore e condannando il piacere, la religione - in particolare quella cristiana - disarma gli uomini e li lascia alla mercé dei soprusi del potere. Monarchi, nobili e sacerdoti sono parassiti che il popolo deve abbattere per riappropriarsi della terra, dato che in natura tutti gli uomini sono uguali ed a loro appartengono i beni e la terra che lavorano. Egli ritiene che tutto quanto avviene nella storia non può né deve essere attribuito a Dio, in quanto solo la natura, eterna e già di per sé perfettamente regolata, basta a spiegare i mutamenti storici.

Il barone Paul Henri Thiry d'Holbach, sotto lo pseudonimo di Jean-Baptiste Mirabaud, pubblicò sotto questo falso nome il Sistema della Natura e Il Buon Senso rispettivamente nel 1770 e nel 1772. Nelle due opere nega l'esistenza dell'anima, descrivendo l'uomo come "un essere puramente fisico", e sostiene materialisticamente che materia e moto formano il mondo, il quale è auto-creato, eterno e governato da un rigido determinismo fondato sulla legge della causalità.

Conseguentemente a questa impostazione, la libertà è una pura illusione e con essa il libero arbitrio; in realtà l'uomo cerca ciò che ritiene utile al proprio benessere, secondo una sorta di legge fisica naturale, su di una "gravitazione dell'individuo su se stesso", fondata sul concetto di necessità. Egli ritiene che la ragione e l'esperienza dimostrino quanto afferma, arrivando a definire l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima sciocche superstizioni, mantenute in vita dagli interessi del clero che sfrutta l'ignoranza del popolo.

Egli è convinto che assolutismo politico e oppressione clericale sono sostanzialmente solidali e debbono quindi essere combattuti insieme, affermando che «Senza la Corte la Chiesa quasi non può prosperare, lo Spirito Santo vola con un'ala sola. È a corte che in ultima istanza si decide l'ortodossia. Gli eretici sono sempre coloro che non pensano come alla corte. Le divinità di quaggiù regolano comunemente la sorte delle divinità di lassù. Senza Costantino Gesù Cristo sulla terra avrebbe fatto una assai magra figura».

D'Holbach esalta l'ateismo, concepito come passo necessario verso la virtù essendo che "la vera virtù è incompatibile con la religione": il virtuoso è ateo e conosce le leggi della natura e la propria natura, sa ciò che essa gli impone e pertanto può seguirla, assecondando il proprio impulso verso la felicità. Pertanto, che non si debba condannare la ricerca del piacere e della felicità terrena, purché l'interesse singolo non contraddica l'interesse collettivo: la condotta di ognuno deve riuscire a conciliargli la benevolenza dei propri simili, necessaria alla sua stessa felicità, e pertanto dev'essere diretta all'utilità del genere umano.

Ludwig Feuerbach ne l'"Essenza del cristianesimo" (1841) afferma che la religione, con particolare riferimento a quella cristiana, ha un contenuto positivo che consente di scoprire quale sia l'essenza dell'uomo. Infatti, secondo Feuerbach l'uomo di fronte alle difficoltà della vita si affida ad un soggetto altro rispetto a lui, che è idealmente slegato dai tipici limiti umani e che egli chiama dio e, quando un soggetto entra in un rapporto essenziale e necessario con un oggetto trascendente (come dio appunto), questo significa che questo oggetto è la vera e propria essenza del soggetto, proiettata. Dio dunque non è altro che l'oggettivazione ideale dell'essenza dell'uomo che in Dio proietta se stesso.

La religione è l'oggettivazione dei bisogni e delle aspirazioni dell'uomo, la proiezione di essi in un ente immaginario, che viene falsamente considerato indipendente dall'uomo e nel quale tali aspirazioni si trovano pienamente realizzate idealmente. Nella religione è dunque l'uomo a fare Dio a propria immagine e somiglianza attraverso un processo psichico di assolutizzazione dell'umano. Non quindi Dio che ha creato l'uomo, ma viceversa (Non è Dio che crea l'uomo, ma l'uomo che crea l'idea di Dio afferma Feuerbach). In Dio e nei suoi attributi l'uomo può quindi scorgere oggettivati i suoi bisogni e i suoi desideri e, dunque, ri-conoscerli. Feuerbach ne conclude che «la religione è la prima, ma indiretta coscienza che l'uomo ha di sé».

La conoscenza che l'uomo ha di Dio non è altro, allora, che la conoscenza che l'uomo ha di sé stesso, ma solo con la filosofia ciò può giungere a piena consapevolezza. Secondo Feuerbach la colpa del cristianesimo nei confronti del genere umano è stata l'aver condotto all'ascetismo, alla fuga dal mondo, al sacrificio e alla rinuncia e in ultima analisi alla spogliazione delle qualità umane a favore di Dio. Rispetto al cristianesimo, il panteismo ha il merito di aver riconosciuto che il divino non è un'entità personale, ma è il mondo stesso.

Lo sviluppo della religione consiste dunque in una progressiva negazione di Dio da parte dell'uomo, la quale va di pari passo con la consapevole riappropriazione della propria essenza umana. Quanto c'è di vero e di essenziale nel cristianesimo deve quindi essere negato come teologia per essere conservato come antropologia. In quanto antropologia, la filosofia si assume il compito di liberare l'essenza dell'uomo e dalla sua alienazione religiosa in un ente estraneo. Secondo Feuerbach è ateo non chi elimina Dio, il soggetto dei predicati religiosi, bensì chi elimina i predicati con i quali Dio è designato nell'esperienza religiosa, come bontà o saggezza o giustizia. Anche quando si è riconosciuta la non esistenza di Dio come entità separata, questi predicati infatti permangono nella loro verità, ma come possibilità e prerogative dell'essenza umana.

L'inizio della filosofia non è dunque Dio o l'Assoluto, come in Hegel, ma ciò che è finito, determinato e reale. La filosofia dell'avvenire, in quanto antropologia, riconoscendo il finito come infinito, deve partire, non da come aveva fatto Hegel, dal pensiero autosufficiente, inteso come soggetto capace di costruirsi con le sue proprie forze, bensì dal vero soggetto, di cui il pensiero è soltanto un predicato. Esso è l'uomo in carne e ossa, mortale dotato di sensibilità e bisogni: in questo consiste l'umanesimo di Feuerbach. Occorre dunque partire da ciò che dà valore al pensiero stesso, ossia dall'intuizione sensibile perché veramente reale è soltanto ciò che è sensibile. Solo attraverso i sensi un oggetto è dato come immediatamente certo: il sensibile infatti non ha bisogno di dimostrazione, perché costringe subito a riconoscere la sua esistenza.

In questa prospettiva, la natura non si trova più ridotta a semplice forma estraniata dello spirito, come avveniva in Hegel, ma diventa la base reale della vita dell'uomo. L'argomento genealogico che utilizza Feuerbach a prima vista può sembrare molto convincente ma ha un difetto logico, non prova infatti la non esistenza di Dio: esso mette solo in evidenza un processo psicologico di proiezione che non tocca la questione dell'esistenza di Dio. Dio potrebbe infatti essere riconosciuto tramite questa proiezione delle più alte aspirazioni umane, così come potrebbe invece trattarsi di un'illusione umana: il problema rimane irrisolto.

Nell'introduzione alla «Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico», articolo pubblicato sugli "Annali franco-tedeschi" nel 1844, Karl Marx, in contrasto con Ludwig Feuerbach che sosteneva che l'epoca in cui viveva segnava il tramonto della religione, precisa come nella religione coabitino un'istanza critica oltreché quella illusoria teorizzata da Feuerbach. Se per Feuerbach la religione è frutto della coscienza capovolta del mondo, per Marx ciò è dovuto al fatto che la società stessa è un mondo capovolto. La religione è espressione, è critica della miseria reale in cui l'uomo si trova, con la sua stessa presenza denuncia l'insopportabilità del reale per l'uomo.

La religione è «il gemito della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza cuore, così come è lo spirito d'una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l'oppio dei popoli», ottunde i sensi nel rapporto con la realtà, è un inganno che l'uomo perpetra a sé stesso. Incapace di cogliere le motivazioni della propria condizione l'uomo la considera come dato di fatto (causa del peccato originale) cercando consolazione e giustificazione nei cieli religiosi. Una concreta liberazione dalla religione non si avrà eliminando la religione stessa bensì cambiando le condizioni e i rapporti in cui l'uomo si trova degradato e privato della sua propria essenza, ossia attraverso l'emancipazione politica e umana del proletariato.

Friedrich Nietzsche afferma che la società a lui contemporanea è "malata", perché fondata su illusioni e convenzioni che gli individui accettano passivamente: in tal senso egli stigmatizza la sua società, che definisce "nichilista", fondata su "menzogne" che impediscono all'uomo di rivelare la parte "dionisiaca" del suo essere e di diventare superuomo. Tra queste illusioni l'autore pone "dio": egli afferma che "Dio è morto" nel senso che il concetto di "dio" risulta essere divenuto non più necessario per spiegare il mondo e per capire la propria vita, cosicché tale concetto esprime una realtà non più creduta o cercata e si è rivelato per il suo carattere puramente illusorio.

In tal senso, nell'annunciare la "morte di dio", egli afferma che il sistema di convinzioni su cui si è basata la società "malata" per secoli è venuto meno sin dal suo concetto fondante, il concetto di dio. Egli prefigura dunque il necessario superamento di questa società e l'arrivo del superuomo: il superuomo è "dio" e "creatore" per sé stesso, perché egli determina da sé il proprio mondo e i suoi valori e le sue regole, essendo cosciente della intrinseca soggettività dell'etica. Celebre è la figura dell'uomo folle ne La gaia scienza (1882), che gira in pieno giorno con una lanterna accesa, urlando "Cerco Dio!", attirandosi così lo scherno dei presenti.

Alla richiesta di spiegazioni l'uomo afferma che Dio è morto, ovvero che nessuno crede più veramente. Ma nell'atto stesso di compiere questa affermazione si trova di fronte allo scetticismo e all'indifferenza, quando non alla derisione. Egli stesso si definisce come il "testimone" di un omicidio compiuto dall'intera Umanità. E allora: "Vengo troppo presto" egli ammette, poiché gli uomini non sono ancora pronti ad accettare questo cambiamento epocale. I valori tradizionali sono sempre più pallidi, sempre più estranei alla coscienza, ma i nuovi valori, quelli della gioiosa accettazione della vita e della fedeltà alla terra, sono ancora al di là dell'orizzonte: "Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino".

L'annuncio della morte di Dio ha una straordinaria efficacia retorica e forse anche per questo non è stato sempre compreso a fondo: taluni interpreti si sono limitati a leggerlo come l'ennesimo attacco al Cristianesimo e non ne hanno percepito la profondità e la complessità. Infatti Nietzsche con questa affermazione intende annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predichi tale realtà. Egli considera ciò come il compimento di un processo nichilistico necessario, le cui radici si ritrovano nell'atto di omissione e di oblio del dionisiaco, che ha consentito all'apollineo nel corso della secolarizzazione, di trovare modelli metafisici ragionevoli, capaci di giustificare il "senso dell'essere", ma che prima o poi, secondo l'autore tedesco, avrebbero dovuto fare i conti con la vera essenza vitale della natura umana, quale appunto, il dionisiaco, ossia ciò che lega alla terra e alla vita.

L'argomentazione delle rivelazioni inconsistenti contesta l'esistenza della divinità biblica mediorientale chiamata Dio come viene descritta nelle sacre scritture, come la Tanakh ebraica, la Bibbia cristiana o il Corano musulmano, identificando le contraddizioni tra le differenti scritture, quelle all'interno di una singola scrittura o le contraddizioni tra le scritture e i fatti noti.
La teodicea (o "problema della giustizia di Dio") in generale e le argomentazioni logiche ed evidenziali del male in particolare, contestano l'esistenza di un dio che sia contemporaneamente onnipotente e omnibenevolo, sostenendo che un tale dio non permetterebbe l'esistenza del male o della sofferenza percepibili, la cui esistenza può essere facilmente dimostrata. Tale argomento viene anche detto argomento morale: se Dio esistesse sarebbe non-morale dal punto di vista della comprensione umana, quindi inutile come riferimento. L'argomento non verte strettamente sull'esistenza di qualsiasi divinità, perciò viene sostenuto anche da teisti e altri gruppi oltre che da atei. Inoltre, essendo Dio infinito, per sua stessa natura dovrebbe contenere in sé il male, principio che cozza contro un dogma cattolico che dichiara che da Dio procede solo il bene senza la minima presenza di male in esso. Questo argomento viene contestato dai deisti concependo il male come assenza di bene, che appunto è l'essenza di Dio.
L'argomentazione del disegno insufficiente contesta l'idea che un dio abbia creato la vita, sulla base del fatto che le forme di vita mostrano una progettazione scarsa o malevola, che può essere spiegato facilmente usando l'evoluzione o il naturalismo.
Un risultato sperimentale che mostra con evidenza che è il caso a governare la sequenza delle mutazioni, è quello ottenuto da un gruppo di ricercatori dell'Oregon sull'evoluzione di un recettore dei glucocorticoidi: la sequenza delle mutazioni è risultata irreversibile, cosa incompatibile con l'idea di un disegno preordinato.

L'argomentazione della non credenza contesta l'esistenza di un dio onnipotente che vuole che gli esseri umani credano in lui, sostenendo che un tale dio farebbe un lavoro migliore per raccogliere i credenti. Questa argomentazione viene contestata dall'affermazione che Dio vuole mettere alla prova gli uomini per vedere chi ha più fede, ma a sua volta viene respinta dalle argomentazioni relative all'onniscienza (non ha senso che Dio metta alla prova gli uomini, perché essendo onnisciente sa già come andrà a finire e di fatto questo mina irreversibilmente il concetto di libero arbitrio).

Il paradosso dell'onnipotenza e gli altri paradossi teologici, sono una delle molte argomentazioni che sostengono che le definizioni o descrizioni di un Dio sono logicamente contraddittorie, e dimostrano così la sua non esistenza.
L'argomentazione del libero arbitrio contesta l'esistenza di un dio onnisciente dotato di libero arbitrio sostenendo che le due proprietà sono contraddittorie.
L'argomentazione trascendentale della non esistenza di Dio contesta l'esistenza di un creatore intelligente, dimostrando che un tale essere renderebbe dipendenti logica e morale, il che è incompatibile con l'affermazione presupposizionalista che esse sono necessarie, e contraddice l'efficacia della scienza. Una linea di argomentazione più generale basata sull'argomentazione trascendentale della non esistenza di Dio, cerca di generalizzare questa argomentazione a tutte le caratteristiche necessarie dell'universo e a tutti i concetti di dio.
La controargomentazione dell'argomentazione cosmologica ("l'uovo o la gallina") dichiara che se l'universo è stato creato da Dio perché doveva avere un creatore, allora Dio a sua volta avrebbe dovuto essere stato creato da un altro dio, e così via. Questo attacca la premessa che l'universo sia la "causa seconda" (dopo Dio, che si sostiene essere la "causa prima"). Una risposta comune a questo è che Dio esiste al di fuori del tempo e dell'universo, e quindi non necessita di una causa. Questa concezione genera alcuni problemi logici: in primo luogo cozza contro la natura infinita di Dio, non può esistere un "altrove" a un Dio che tutto permea e organizza; in secondo luogo, tale affermazione ricondurrebbe al rasoio di Occam facendo coincidere il caso con quello del primo argomento empirico: il modello logico causale non sarebbe più vantaggioso poiché dipende da un elemento senza causa, elemento che quindi è in più rispetto al necessario. Il fatto di spiegare il mondo e l'universo come creazione di dio è un rimandare la spiegazione, per il fatto che ora dall'inspiegabilità dell'universo si passa nell'assai più complessa inspiegabilità di Dio.
Il noncognitivismo teologico, come usato in letteratura, cerca solitamente di confutare il concetto di Dio mostrando che esso è inverificabile e senza significato.
Il paradosso di Curry mostra come il concetto di causa prima, una delle forme più generali cui si può ricondurre l'idea di Dio, si rivela privo di significato quando si prova ad esprimerlo nel linguaggio formale della logica matematica.

L'argomentazione atea-esistenzialista della non esistenza di un essere senziente perfetto, sostiene che poiché l'esistenza precede l'essenza, ne consegue dal significato del termine senziente che un essere senziente non può essere completo o perfetto. La questione viene affrontata da Jean-Paul Sartre in L'essere e il nulla. Secondo Sartre Dio sarebbe pour-soi (un essere per sé; un essere cosciente) che è anche en-soi (un essere in sé; una cosa): il che è una contraddizione in termini. L'argomentazione viene riecheggiata nel romanzo di Salman Rushdie, Grimus: "Ciò che è completo è anche morto." Hegel nella Fenomenogia dello Spirito sostiene che l'essere, come ogni cosa non pensata in relazione al suo contrario, come l'essere concepito come essere-per-sé, cade e diventa il suo contrario, appare identico al nulla. Tale movimento di pensiero è anche un movimento di essere, che trova nel divenire una sintesi superiore e successiva all'apparente identità di essere e nulla, che non è un'identità statica, ma un'identità dinamica, un evento nel pensiero che si ripete nell'essere.
L'argomentazione del "nessun motivo" cerca di mostrare che un essere onnipotente o perfetto non avrebbe alcuna ragione di agire in alcun modo, in particolare creando l'universo, perché non avrebbe desideri, in quanto il concetto stesso di desiderio è soggettivamente umano. Siccome l'universo esiste, c'è una contraddizione, e quindi, un dio onnipotente non può esistere. Questa argomentazione viene sposata da Scott Adams nel libro God's Debris.

Hawking sostiene da diversi anni l'ateismo, sebbene in passato abbia manifestato interesse per una visione panteista e non trascendente come quella di Albert Einstein, ad esempio nel capitolo finale del suo libro Dal Big Bang ai buchi neri. Egli sostiene, in un articolo del 2010, che Dio non può conciliarsi con la scienza e non è correlato col nostro mondo. Nei suoi libri non specifica mai se creda o meno nell'esistenza di un Dio o di un'altra entità superiore: in The Grand Design, scritto insieme al fisico Leonard Mlodinow, ha elaborato una teoria cosmologica che intende spiegare l'origine dell'universo, il quale, come dichiara lo scienziato in un'intervista sul Times, "non è stato creato da Dio". Hawking oggi si dichiara ateo.

Anche riguardo al rapporto tra religione e scienza, Hawking sostiene che non sono conciliabili, in quanto come ha dichiarato sempre sul Times: "c'è una fondamentale differenza tra la religione, che è basata sull'autorità, e la scienza, che è basata su osservazione e ragionamento. E la scienza vincerà perché funziona". Nel 2011 ha dichiarato di non credere, a livello strettamente personale e senza farne una verità assoluta, nell'esistenza di un Dio creatore (senza esprimersi sulle religioni che invece non parlano di "creazione"), perché non è necessario per spiegare l'universo, e siccome prima del Big Bang non esisteva il tempo (come non esiste all'interno di un buco nero), non sarebbe esistito nemmeno il tempo per creare l'universo, oltre al fatto che, a livello subatomico le particelle elementari quantistiche, come quella che ha dato origine all'universo, possono apparire e scomparire spontaneamente.

Egli afferma che questa sia la spiegazione più semplice, proprio per lo stesso motivo per cui una malattia che è derivata da una causa fisica non ha bisogno di una metafisica per spiegarla, portando ad esempio la propria situazione personale. Allo stesso tempo non ha mai escluso la teoria del multiverso, ossia la possibilità di più universi, ognuno con la sua relativa nascita e le sue leggi fisiche peculiari. Hawking, nonostante non sia un credente, è membro della Pontificia accademia delle scienze.

Per contro Hawking non spiegherebbe come possa esistere una legge di gravità senza gravi, così come non spiega come sia concepibile una legge che preceda l'universo dato che in realtà lo presuppone. Hawking risponde a queste obiezioni che non c'è bisogno di un creatore per creare le leggi fisiche, in quanto semplicemente esse esistono intrinsecamente alla materia, sempre esistente sotto qualche forma oppure apparsa dal nulla prima di tutto, ma non esistendo allora lo spaziotempo si può dire che essa deriva da un istante senza tempo, un eterno presente, come quello dell'orizzonte degli eventi.



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giovedì 2 marzo 2017

SUICIDIO ASSISTITO

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Il suicidio assistito differisce dall'eutanasia per il fatto che l'atto finale di togliersi la vita, somministrandosi le sostanze necessarie in modo autonomo e volontario, è compiuto interamente dal soggetto stesso e non da soggetti terzi, che si occupano di assistere la persona per gli altri aspetti: ricovero, preparazione delle sostanze e gestione tecnica/legale post mortem.

Il tema è oggetto di forte dibattito internazionale, sia per questioni di natura religiosa, sia per questioni di natura etica. In alcune nazioni, tra le quali il Belgio, la Colombia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Svizzera, gli stati dell'Oregon, Washington, Montana e California negli Stati Uniti, il suicidio assistito è permesso a patto del rispetto di condizioni che variano da ordinamento a ordinamento.

In riferimento al "suicidio assistito" e all'eutanasia, l'enciclica Evangelium Vitae cita varie fonti teologiche e dottrinali, tra cui Sant'Agostino:

«Non è mai lecito uccidere un altro: anche se lui lo volesse, anzi se lo chiedesse perché, sospeso tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare l'anima che lotta contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è lecito neppure quando il malato non fosse più in grado di vivere».(Epistula 204, 5: CSEL 57, 320.)
Allo stesso modo l'enciclica afferma che non bisogna confondere l'eutanasia con la rinuncia all'accanimento terapeutico, ossia i casi in cui la morte dell'ammalato sia ritenuta "imminente e inevitabile".

La posizione cattolica su questo argomento viene così descritta nel 2000 dalla Pontificia Accademia per la Vita: «Nell'immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile e imminente "è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita" (cfr Dich. su Eutanasia, parte IV), poiché vi è grande differenza etica tra "procurare la morte" e "permettere la morte": il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa».

Non essendo le posizioni etiche uniformi, ma più che altro frutto di una sintesi tra le sensibilità delle varie comunità e della maggior vicinanza dei pastori con il tessuto sociale in cui la comunità vive e opera, in altre confessioni cristiane il dibattito sull'eutanasia è più ampio. Nel caso dei Valdesi, il Sinodo si è pronunciato favorevolmente alla pratica dell'eutanasia per combattere l'inutile sofferenza e anche singoli pastori non mostrano, di principio, pregiudiziali all'adozione di misure a tutela della dignità dei malati. Afferma il pastore valdese prof. Ermanno Genre (peraltro in piena polemica con le posizioni della gerarchia cattolica), decano della Facoltà valdese di teologia di Roma: «…La legge approvata in Olanda merita di essere conosciuta prima che "scomunicata": è una legge che tutela il diritto del cittadino, per evitare che altri decidano per lui … È semplicemente vergognosa l'operazione vaticana che tende a screditare una nazione che in fatto di diritti umani e di dignità della persona non ha proprio nulla da imparare né dal Vaticano né dall'Italia».

Nel marzo 2006 il prof. Sergio Rostagno, coordinatore della Commissione bioetica della Tavola Valdese, dichiarò: «L'eutanasia non è un attentato alla vita umana, ma una norma che vuole indicare come si può morire con dignità. Ci batteremo perché venga introdotta in Italia». Riguardo all'incidente diplomatico con i Paesi Bassi causato da dichiarazioni espresse da Carlo Giovanardi (all'epoca sottosegretario alla presidenza del consiglio), Rostagno aggiunse che, al contrario, la legge olandese era stata ben valutata dai Valdesi al momento della sua promulgazione, pur con tutti i suoi limite.
Anche nella Chiesa d'Inghilterra è iniziata una discussione non pregiudizialmente ostile alla pratica dell'eutanasia: il primo a sollevare il tema è stato, nel novembre 2006, il reverendo Tom Butler, vescovo di Southwark, che ha sostenuto la giustezza della sospensione delle cure («in alcune circostanze») anche se si sa che esse porteranno alla morte. La discussione sull'argomento seguiva di poco la presa di posizione della Reale associazione degli ostetrici e ginecologi britannici, che aveva proposto l'eutanasìa infantile - anche attiva - per casi di gravissime invalidità neonatali che hanno come unico sbocco una vita vegetativa.

Ci sono diverse visioni del problema dell'eutanasia tra i buddisti. In generale vi è una posizione di netto rifiuto delle pratiche eutanasiche, ma non mancano le correnti di pensiero volte ad accettare possibili eccezioni in alcuni casi particolari.

Nel buddismo Theravada ogni upasaka (credente buddista laico) recita quotidianamente questa formula: "Io mi rifiuto di distruggere esseri viventi." Tuttavia per gli ordini monastici buddisti le regole sono più esplicite, come si può notare dal testo che segue: "Nessun monaco (bhikkhu) dovrebbe intenzionalmente privare ogni uomo della sua vita, o cercare un assassino per questi, o pregare per la sua morte, o incitarlo a morire ..."

Il Dalai Lama è stato citato dall'Agence France-Presse il 18 settembre 1996 in un articolo intitolato Il Dalai Lama riconsidera l'eutanasia per le circostanze eccezionali riguardo alle sue posizioni sull'eutanasia:

Alla domanda sulla sua opinione sull'eutanasia, il Dalai Lama ha detto che i buddisti credono che ogni vita sia preziosa e nessuna più della vita umana, aggiungendo: "Penso sia meglio evitarla" (l'eutanasia).
"Ma allo stesso tempo penso che come per l'aborto, che è considerato dal buddismo come un atto di omicidio il metodo buddista consiste nel giudicare il giusto e l'errore o i vantaggi e gli svantaggi."

Il 9 febbraio 2009 il Dalai Lama, in visita a Roma per ricevere la cittadinanza onoraria e intervistato sul concomitante caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo da 17 anni, ha ribadito le sue convinzioni sull'argomento:

L'eutanasia "dovremmo evitarla, ma in casi particolari si potrebbero fare delle eccezioni". Su Eluana: "Se veramente non c'è alcuna possibilità di guarigione, mantenere quello status è molto costoso e le famiglie soffrono, allora si potrebbe agire. In generale se pure una persona non cammina più, ma il suo corpo e il suo cervello sono ancora presenti, allora è meglio tenere una persona in vita, ma si possono fare eccezioni".
Le cure vanno fermate se non vi è "la possibilità di recuperare la coscienza e le funzioni mentali". Nel buddismo, "nei casi di male incurabile c'è una pratica che consente l'abbandono della coscienza dal corpo"; negli altri casi "anche noi parliamo di suicidio".
Il buddhismo Nichiren, specialmente quello della Soka Gakkai, ha invece un'attitudine più permissiva nei confronti dell'eutanasia e del suicidio.

In genere i teorici dell'ebraismo ortodosso si oppongono all'eutanasia, spesso in modo vigoroso, anche se alcuni dimostrano una certa comprensione per l'eutanasia passiva in circostanze limitate. All'interno dell'ebraismo conservativo e riformato, invece, c'è un sostegno abbastanza diffuso per l'eutanasia passiva.

L'induismo rispetta fortemente la vita umana, ed è in genere contrario all'eutanasia, ma lascia comunque libertà di coscienza. Considera invece il suicidio, cui è contrario in assoluto, un atto che causa impedimento alla liberazione finale, aumentando il "Karma" negativo individuale.

L'Islam vieta categoricamente tutte le forme di suicidio e tutte le azioni che possano agevolare il suicidio di qualcun altro. È inoltre vietato per un musulmano pianificare la propria morte per il futuro ma è possibile rifiutare terapie curative.



Il Codice penale svizzero traduce in norma l'interpretazione aperta del problema, per cui in uno degli articoli di legge viene sancita la possibilità di assistere al suicidio, salvo se dettato da interessi personali. In Europa, paesi come l'Olanda o il Belgio, hanno depenalizzato l'eutanasia attiva sotto controllo medico.

Per poter usufruire del suicidio assistito occorre presentare una domanda che deve essere innanzitutto seria e reiterata con l'andare del tempo. Secondariamente la persona deve essere affetta da un male incurabile, il cui esito fatale è prevedibile. Le sofferenze fisiche e psichiche causate dalla malattia devono inoltre essere tali da rendere insopportabile l'esistenza.
Tra la domanda di suicidio assistito e il passaggio all'atto, c'è sempre un periodo di grazia. Un tempo in cui le associazioni invitano il paziente a regolare i propri conti con la vita e a congedarsi da amici e familiari. Quando poi la scelta, ponderata e maturata, diventa definitiva, chiedono nuovamente al paziente un'ultimissima conferma.
Accertato che si tratta della sua volontà si somministra una soluzione farmaceutica che il paziente deve essere in grado di assumere autonomamente e di ingerire esclusivamente con le proprie forze. Se non fosse così, sarebbe eutanasia, e non suicidio assistito. È una sfumatura sottile, ma di estrema importanza.



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sabato 24 settembre 2016

SIMBOLI CRIMINALI

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I segni, i simboli sono dei codici molto importanti usati in mille aspetti della vita e della società. Sono utilizzati per i fini più nobili e sofisticati e per quelli più brutali, come nel caso della mafia siciliana. Sia nell’Ottocento che nel Novecento la mafia siciliana metteva in essere dei precisi “segni”, che avevano un chiaro significato verso le vittime e rappresentavano un minaccioso monito verso la popolazione tutta. Spesso veniva fatto rinvenire il cadavere di un avversario della mafia o un mafioso che aveva “sbagliato”, con dei determinati segni esteriori, in modo che tutti sapessero il perché di quella uccisione e si guardassero bene dal compiere certe azioni. Fra i tanti segnali attuati sul cadavere di un uomo vi era una mano tagliata: voleva dire che il morto aveva rubato, sapendo che non poteva rubare in quella zona o a quell’individuo protetto dalla mafia; gli occhi cavati e chiusi in un pugno significava che il morto aveva ucciso un uomo legato alla mafia; una pala di ficodindia sul petto significava che il morto si era impossessato di denaro che non gli pertineva. Ancora, un fazzoletto o un sasso in bocca significavano che quell’uomo avrebbe dovuto tacere; gli organi genitali intorno al collo significava che aveva molestato donne di mafiosi arrestati. Invece la lettera di scrocco, il petrolio sulla frutta, gli animali sgarrettati erano alcuni pressanti inviti a pagare il pizzo. La testa di un animale nei pressi dell’abitazione, un cuore di metallo bucherellato, una bara vuota, un uccello morto erano invece avvertimenti di una “promessa” di morte.

E’ il più tremendo degli avvertimenti mafiosi. Quando ti viene recapitato vuol dire che sei veramente in brutte acque. L’oggetto utilizzato rappresenta la vittima, ma la vittima a volte non è proprio tale. Stiamo parlando delle teste di agnello, pecora o capretto, spedite a chi si deve intimidire o a chi (comunque da intimidire) ha commesso un torto agli amici. La devono vedere tutti, la testa. Meglio se i familiari e magari la moglie che ti va su di giri. Se sanguinolenta, significa che è fresca. Chi ti vuole male l’hai sul collo, dietro l’angolo. Ti controlla e può prenderti quando vuole. Il sangue, se di vecchio taglio, non imbratterebbe più; cosa da principianti.

L’agnello da minaccia è anche una metafora di una Italia primitiva e niente affatto residuale. Sicuramente più presente di tante improbabili vittorie animaliste più attente alle sempre commerciabili foche canadesi che, ad esempio, ai cavalli di mafia liberi di circolare grazie al Codice della Strada .

Quello che sconvolge è che il regalino ti arriva fin dentro casa o comunque, ovviamente imprevisto, dove meno te lo aspetti. L’effetto non può che essere devastante. Come una bomba ad orologeria legata alle tue mani. Non è da escludere che molti di questi avvertimenti non vengano mai denunciati. Se hai deviato dall’ordine costituito, devi subito tornare sulla retta via.

I mandanti possono essere piccoli o grandi.

Da sempre la religione fornisce alimento alla mafia. Al punto che il padrino del rito religioso, il Godfather, è ormai l' archetipo del caposca. E il padrinato è diventato un' affiliazione mistico mafiosa. Vice padre, o "compadre", il devotissimo Bernardo Provenzano, mettendo la mano sulla spalla di un ragazzo, lo cresima e lo rende figlioccio per sempre. E la stessa cresima si trasfigura. La bellezza e il fascino della liturgia, ragnatela che cattura la ragione, diventano coreografia dell' iniziazione, danno sostanza di sacramento alla "punciuta". Nel covo di Provenzano abbiamo visto bibbie, altarini, santini di padre Pio e crocefissi. Ma è solo in questa esibita devozione che il miserabile padrino catturato nella sua Corleone somiglia al tenebroso padrino tipizzato da Marlon Brando. Per il resto, il padrino in carne e ossa non somiglia mai al padrino metafora del mafioso. In Sicilia gli omicidi di mafia non hanno le musiche di Nino Rota come colonna sonora. Nessuno dice al killer: «Live the gun and take cannoli», posa la pistola e prendi i cannoli. C' è però il segno della croce. Il padrino Provenzano prega e uccide, bacia il crocefisso e spara, recita la Bibbia e strangola. Ed è passato nella simbologia mafiosa l' intero sistema penale dell' Inquisizione, che in Sicilia fu uno Stato nello Stato, e faceva pagare il pizzo sulla fede, costringendo per esempio il non cattolico, l' ebreo soprattutto, a versare multe e a cedere parte del patrimonio. Ed è sorprendente ritrovare tutta la ferocia dell' Inquisizione, con le sue punizioni spettacolari che sono quelle ancora oggi decretate da Riina e Provenzano.


La faccia tagliata, per esempio, segno indelebile di infamia tra i mafiosi, era la tortura che la Chiesa infliggeva all' eretico. E il sasso in bocca è la variante mafiosa della mordacchia inquisitoriale, pena comminata al bestemmiatore. E si potrebbe continuare nell'illustrare il rapporto tra mafia e religione, che è davvero molto stretto e molto inquietante, e non solo perché i mafiosi sono padrini devotissimi e Provenzano porta al collo tre crocefissi. Tuttavia, se si esclude la religiosità, mai i padrini somigliano al Padrino. Nella Sicilia orientale si chiama patrozzu, ed è una figura arcaica che con la mafia c' entrava poco. Il padrinato, "godparenthood", infatti è una struttura probabilmente precristiana che gli studiosi hanno ritrovato in tutte le società mediterranee, tra gli albanesi, tra i serbi, tra i montenegrini. è una tecnica di rafforzamento familiare, con il padre che chiede protezione per il proprio figlio e in cambio offre la propria protezione al figlio del "compadre", del compare, in un' alleanza interfamiliare. Del resto, il padrino-garante esiste anche nella struttura massonica. Più in generale, c' è il padrino in tutte le organizzazioni segrete e nelle prassi iniziatiche. Ancora oggi sono necessari due padrini per l' iscrizione ai circoli privati. Ci volevano quattro padrini per fare un duello. E anche nei partiti comunisti il nuovo iscritto doveva essere garantito da almeno due padrini. Ma il padrino della mafia è il Godfather, il padre in nome di Dio. In inglese significa sia padrino sia compare. E sono italoamericani la fisiognomica mafiosa del Padrino e il potenziamento tribale dei riti e dei miti religiosi. L' incantesimo estetico delle vecchie cerimonie pietrificate dalla nostalgia, e persino la preghiera non sono più una manifestazione dello Spirito ma il dispiegamento pittoresco del potere interfamiliare tra gli immigrati, beduini senza Stato. Insomma, è da lì che nasce la tipizzazione letteraria. Nella famiglia allargata degli immigrati il padrino della cresima esprime l' autorità carismatica dell' uomo di potere, con la battuta giusta al posto giusto, il riserbo ironico, la cattiveria divertente, il delitto come necessità profonda, poche e maschie parole piene di pensiero. Il contrario, come si vede, dei Riina e dei Provenzano, che sono parchi di parole perché poveri di pensiero. è un codice che ha già prodotto la sua controtipizzazione letteraria, nei libri di John Fante per esempio. Ma è un codice che restituisce all' Italia e alla Sicilia una parola deformata dall' uso che se ne è fatto altrove. Il padrino è un tranello linguistico. Prima di Mario Puzo non c' erano mai stati padrini nella mafia. Non ne parlano i mafiologi e gli storici, da Franchetti e Sonnino a Salvatore Lupo, non ne fanno cenno gli inquirenti, non ce ne è traccia tra i mafiosi. Il padrino è un' invenzione del cinema americano, come il poliziotto rambo e l' avvocato Perry Mason. Ma in Sicilia non esiste. Brusca ha lo sguardo del macellaio inebetito e non quello penetrante di Robert Duvall. Liggio era uno psicopatico di campagna e non un Abramo biblico. Totò Riina è grasso e corto come Marlon Brando ma la sua pesantezza non appartiene al genere shakespeariano. Nella mafia siciliana esiste il capo, il don, lo zio, oppure "il Padrenostro" com'era Navarra a Corleone o "il Papa" Michele Greco che persino durante il processo rispondeva al giudice citando salmi e versetti. Ma nella mafia siciliana non esiste il padrino. C'è, invece, la parrina nel gergo della criminalità palermitana, nel baccaghiu. Ma la parrina era la tenutaria del bordello. Parrina come deformazione di madrina, dunque: la piccola madre delle ragazze perdute. Ebbene, il parrinu, in quell' antico gergo dei bassifondi palermitani, è l' uomo della parrina, vale a dire il magnaccia, il parassita «tutto sesso e calze di seta» che il mafioso tradizionalmente disprezzava. Nel repertorio delle parole utilizzate dalla mafia, il parrino era dunque il piccolo pappone, il ricottaro, il delinquente infame di poco conto. Esattamente il contrario del temuto e rispettato capocosca. Del resto, se così non fosse, Leonardo Sciascia non avrebbe dato il soprannome di Parrineddu all'idealtipo dei confidenti di questura, «miserabili uomini, fango di paura e di vizio». Se dunque il padrino è diventato il suo contrario è solo grazie alla religione fanatizzata custodita dagli immigrati. Al punto che il Godfather mafioso è ormai come il borghese di Balzac, il miserabile di Hugo, l' ebreo di Shakespeare, il capitalista di Marx è finzione a cui si aggrappa la realtà per farsi leggere meglio. Ma la letteratura, che ha definitivamente trasfigurato il rito religioso del padrino, lo ha poi restituito alla realtà mafiosa con un corto circuito vita-cinema-vita. Il padrino cinematografico ha infatti imposto un linguaggio, un' estetica e un' epopea che sono per sempre lo stile della mafia. Con quel film la testa mozza di cavallo diventa un annunzio di morte. Un cappello incartato con due pesci significa che la testa dell' uomo che lo indossava ora dorme in fondo al mare. «Gli faremo una proposta che non potrà rifiutare» è il modo mafioso di minacciare. Anche la preghiera è diventata sospetta. E così la confessione auricolare che assolve. E nel battesimo si distribuiscono confetti e pallottole. L' eccesso di Dio nasconde sempre l' assenza di Dio. L' esibizione di Dio è sempre ateismo.



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domenica 3 luglio 2016

LEGGERE LE SACRE SCRITTURE

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La Bibbia è sconosciuta anche se è il libro più tradotto (2454 lingue diverse) e diffuso al mondo l’86% degli italiani ignora completamente le Sacre Scritture e, in materia di fede, non ha alcuna nozione di base. Appena uno su quattro ha letto nell’ultimo anno un brano biblico (negli Usa, due su tre) e solo una piccola minoranza sa se i Vangeli sono parte della Bibbia, se Gesù ha scritto libri della Bibbia, chi tra Mosé e Paolo era un personaggio dell’Antico Testamento e chi ha scritto un vangelo tra Luca, Giovanni, Paolo e Pietro. Secondo la ricerca-choc commissionata all’Eurisko dalla Commissione biblica cattolica e presentata in Vaticano dai vescovi Paglia e Ravasi e dagli accademici Cacciari e Diotallevi, la Bibbia in casa c’è, peccato che quasi nessuno la apra, la legga, la mediti.
«La colpa della scarsa diffusione è della Chiesa: detiene il monopolio dell’insegnamento della religione e impone l’autorizzazione vescovile agli insegnanti – spiega il filosofo e sindaco di Venezia, Massimo Cacciari -. La Bibbia non è libro di testo per l’insegnamento della religione e la conoscenza tecnica è scarsissima. Mi sono capitati studenti da 30 e lode in filosofia che confondevano San Paolo con Mosé e credevano che Gesù avesse scritto la Genesi». E, criticando «i comici nipotini di Voltaire, tipo Odifreddi», per la loro «stupida ironia sul cristianesimo e la pigrizia di negare cittadinanza e dignità culturale ai cristiani», Cacciari aggiunge che «se un intellettuale laico non si confronta con la Bibbia e non presuppone che quel libro è anche Parola di Dio, allora sbaglia mestiere». Nonostante i quarant’anni successivi al Concilio Vaticano II abbiano registrato in modo progressivo e massiccio l’entrata nelle famiglie delle Sacre Scritture, nell’era di Internet e della comunicazione multimediale per molti la Bibbia è un libro chiuso.
In diverse voci del sondaggio l’Italia è maglia nera su un un campione di 13 mila persone intervistate anche negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Francia, Germania, Spagna, Polonia e Russia. E i numeri scendono soprattutto quando si comincia a considerare la frequenza alla lettura». Gli italiani, che pure si proclamano cattolici all’88%, non si distinguono nemmeno per la partecipazione ai riti religiosi: solo il 32% frequenta assiduamente le chiese, contro un 55% dei polacchi e un 45% degli statunitensi. Tra gli ortodossi russi solo il 6% va a messa ogni domenica. Altissima invece (79%) la percentuale di credenti italiani che ha la sensazione di godere della protezione di Dio (in Francia solo il 47%). Interessanti pure i dati su come vada interpretata la Bibbia: se in modo fondamentalista (cioè presa alla lettera) o critico. Per il 27% negli Stati Uniti, il 23% in Italia, il 34% in Polonia e il 21% in Russia, i testi biblici vanno considerati «parola di Dio» alla lettera. Dunque, pur possedendola nella stragrande maggioranza, gli italiani considerano la Bibbia un oggetto misterioso. Se l’inchiesta statistica fotografa un presente segnato da molta confusione e ignoranza, gli italiani sembrano ben disposti a migliorarsi sul fronte biblico nel futuro: sei italiani su dieci sono favorevoli a far studiare la Bibbia a scuola. Mentre negli Usa i cristiani (cattolici e protestanti) pregano leggendo la Bibbia (43%) o altri testi sacri (37%), in Italia soltanto una minoranza del 24% si basa su letture per le preghiere. La quasi totalità (circa nove su dieci) recita parole a memoria e insieme usa parole sue. Una fede sempre meno attiva: il 54% degli italiani apprezza seguire le prediche e le tele-messe contro il 39% negli Stati Uniti.
L’Italia si è piazzata negli ultimi posti anche come lettura della Bibbia in generale. Se il 75% degli statunitensi afferma di aver letto un brano biblico negli ultimi 12 mesi, solo il 27% degli italiani può dire altrettanto.

Pertanto, se gli italiani dimostrano di essere un po' deficitari rispetto al contenuto - solo il 27% sa elencare i libri di cui il testo sacro è costituito -, non mancano di averlo in casa. In un'indagine è stato coinvolto un campione di 1.500 persone, attraverso interviste telefoniche. È emerso che la Bibbia è il libro più diffuso in assoluto, con 8 famiglie su 10 che ne hanno una. Il 30% dice di averla letta, il 70% di averla ascoltata, a messa, alla radio o alla tv, e qualcuno ce l'ha come App sul  telefonino.

Il primo “granchio” gli italiani lo prendono con il nome. «Per la maggior parte - spiega Ceccarini -, Bibbia significa testimonianza, quando invece significa semplicemente libro. L'altra convinzione è che la Bibbia sia il testo sacro dei cattolici (non dei cristiani), mentre pochi sanno che è anche degli ebrei. Il fatto che il riferimento sia ai cattolici e non ai cristiani, evidenzia che la Bibbia è parte della nostra cultura, della nostra storia, quindi si intreccia con la nostra tradizione cattolica. La sua presenza nelle case è trasversale anche all'orientamento politico. Il voto medio che si è dato agli italiani  rispetto alla loro conoscenza dei contenuti biblici è stato 5,9, sufficiente. Media significa che 1 su 4 prende da zero a 4, ma anche che il 24% prende un voto da 7 a 10. Altro dato interessante è che viene letta anche dai non praticanti, da quanti, cioè, non hanno la religione come prospettiva fondamentale della loro vita. Ognuno parte da sé stesso per trovarvi un senso: il credente vi trova un significato spirituale, chi non lo è, un significato etnico-culturale, un modo per sentirsi parte di una comunità».




Una prima considerazione che emerge è che in Nordamerica e in Europa la Bibbia non è soltanto il libro di un particolare gruppo religioso, ma un testo di riferimento capitale per tutti.

Non in tutte le nazioni, però, la Bibbia è presente e incide allo stesso modo. L'ondata secolarizzante produce effetti molto differenziati da regione a regione. Negli Stati Uniti e in Italia tali effetti appaiono più contenuti che in altri paesi dell'Europa Occidentale, tra i quali la Francia risulta essere la nazione più scristianizzata. E poi c'è l'Europa Orientale, con i casi a loro volta distinti della Polonia e della Russia. Ogni paese, inoltre, ha una sua storia e un suo profilo religiosi.

Per questo, raramente le risposte all'indagine coincidono tra paese e paese.

Ad esempio, tranne che in Francia dove meno della metà hanno in casa una Bibbia, negli altri paesi la grande maggioranza della popolazione ne possiede una copia. In Italia il 75 per cento e negli Stati Uniti addirittura il 93 per cento.

Alla lettura personale della Bibbia, in Germania, in Italia e in Polonia rispondono che preferiscono ascoltare un'omelia. In effetti, la partecipazione alla messa è per molti l'unico momento di contatto con le Sacre Scritture che vi vengono lette.

Anche il pregare utilizzando la Bibbia risulta più frequente negli Stati Uniti, col 37 per cento di risposte positive. E così in Polonia, col 32 per cento. Mentre in Italia si cala al 10 per cento e in Spagna all'8.

In genere, leggono di più la Bibbia coloro che partecipano a riti e gruppi che già praticano tale comportamento, E a sua volta chi legge personalmente la Bibbia è più portato a partecipare a tali riti e gruppi.

Alle domande se la Bibbia è vera o falsa, reale o astratta, interessante o noiosa, le risposte sono per lo più positive. Persino nella scristianizzata Francia il 62 per cento ritiene vero il contenuto delle Sacre Scritture.

Quasi dovunque, però, la Bibbia è anche considerata un libro "difficile". Che quindi richiede di essere accompagnato e spiegato nella lettura.

Ai fini dell'interpretazione della Bibbia, la definizione più condivisa dappertutto – anche in Francia – è che essa è "parola ispirata da Dio, ma non tutto in essa deve essere interpretato alla lettera, parola per parola".

Subito dopo c'è chi dice che la Bibbia è solo "un antico libro di leggende, fatti storici e insegnamenti scritti dall'uomo" . A tale definizione i consensi più bassi sono in Italia e negli Stati Uniti.

Molti meno sono quelli che definiscono la Bibbia "parola diretta di Dio, che deve essere interpretata alla lettera, parola per parola". Tale definizione "fondamentalista" ha un seguito ovunque scarso, tranne che in Polonia, col 34 per cento, e negli Stati Uniti, col 27 per cento.

Circa la conoscenza di nozioni elementari riguardanti la Sacra Scrittura, i record di ignoranza se li aggiudicano la Russia e la Spagna. Mentre i punteggi migliori vanno a Germania, Polonia, Italia e Stati Uniti. Qui più di un terzo della popolazione adulta risponde correttamente che i Vangeli sono una parte della Bibbia, che Gesù non ha scritto alcun libro, che Mosè è un personaggio dell'Antico Testamento e che Paolo e Pietro non sono autori di Vangeli.

Curiosamente, i fondamentalisti mostrano di conoscere la Bibbia meno di quelli che la interpretano con spirito più critico.

Un'altra sorpresa data dall'indagine è il largo e quasi universale consenso all'idea che "nelle scuole si dovrebbe studiare la Bibbia", così come si studiano i grandi classici della letteratura. In Russia, ad esempio, i favorevoli sono il 63 per cento, in Italia il 62, nel Regno Unito il 60, in Germania il 56, mentre i contrari sono rispettivamente il 30 per cento, il 26, il 30 e il 27. L'unico paese in cui le posizioni si rovesciano è la Francia, dove i favorevoli sono il 24 per cento e i contrari il 60.



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mercoledì 15 giugno 2016

L'OMOFOBIA

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Il termine omofobia significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso” e più precisamente si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali. Essa può manifestarsi in modi molto diversi tra loro, dalla battuta su un una persona gay che passa per la strada, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. In seguito all’omofobia, ad esempio, alcuni eterosessuali, raccontano di sentirsi a disagio in presenza delle persone gay o lesbiche, altri si mettono a ridere quando le incontrano per strada. Altri ancora dicono di essere disgustati dai loro comportamenti, arrabbiati o indignati. Anche la parola “frocio” può essere considerata come espressione di omofobia, perché di solito viene usata con una connotazione negativa.
L’omofobia deriva dall’idea che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto (eterosessismo). Tale considerazione è basata anche sulla falsa credenza che in natura non esistano comportamenti omosessuali (“L’omosessualità è contro natura”); molti animali, invece, presentano comportamenti omosessuali, tra cui topi, criceti, porcellini d’India, conigli, porcospini, capre, cavalli, maiali, leoni, pecore, scimmie, e scimpanzé.
L’omofobia, inoltre, si alimenta in vari modi. Innanzitutto la società è spesso diffidente nei confronti delle diversità, fino al punto di considerarle pericolose. Tale mancanza di fiducia riguarda tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o diversi (es. anche i primi cristiani) perché minacciano quelli convenzionali. Il pregiudizio anti-gay, inoltre, è rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatti con la comunità omosessuale. Gli individui che presentano alta omofobia, di fatto, non conoscono la realtà gay e lesbica e ne hanno un’idea astratta basata su ciò che hanno sentito dire dagli altri. Infine, noi tutti tendiamo ad agire in modo coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo, ad esempio, è alla base del fatto che si è soliti deridere i gay perché è consuetudine farlo.

È importante ricordare che non si nasce omofobi; lo si diventa attraverso l’educazione, i messaggi, diretti e indiretti, che la famiglia, la politica, la Chiesa e i media, ci trasmettono. Fin da bambini tutti noi acquisiamo convinzioni e valori che ci vengono presentati come assolutamente giusti e legittimi. Molto prima, dunque, di avere una reale comprensione di cosa significhi la parola omosessualità, ereditiamo, da una cultura omofoba, la convinzione che essere gay sia qualcosa di assolutamente sbagliato, innaturale e contrario alle norme del vivere comune.
Molto dipende anche dal posto antropologico in cui nasciamo e cresciamo. Nei paesi a prevalenza cattolica come l'Italia, la Chiesa esercita un’alta ingerenza sulle famiglie, sulla politica e sulla capacità legislativa conseguente. E la posizione ufficiale della Chiesa cattolica rispetto agli omosessuali è di accoglienza, solo a patto che gli omosessuali rinneghino se stessi, riconoscendo il disordine e il male della propria condizione di vita e accettando la castità e la costrizione come elemento permanente dell’intera loro esistenza.
Questo tipo di pressione morale, così pervasiva, non può non sfociare nell’omofobia interiorizzata (quell’insieme di sentimenti negativi come ansia, disprezzo, avversione che gli omosessuali provano nei confronti dell’omosessualità, propria e altrui) al punto che l’incidenza statistica dei suicidi è elevata tra gli omosessuali adolescenti, soprattutto se credenti.
Anche i media trasmettono messaggi ambigui e omofobi, attraverso la censura di scene di sesso omosessuale (anche senza nudo), o la tolleranza e lo spazio concesso a chi, cardinali o politici, promulga messaggi falsi e offensivi come l’equazione gay=pedofilo (il 95% dei pedofili è eterosessuale).

Va comunque precisato che il termine è utilizzato con diversi significati. Le definizioni di omofobia esistenti possono essere sintetizzate in tre principali prospettive: accezione pregiudiziale, accezione discriminatoria e accezione psicopatologica:
l'accezione pregiudiziale considera come omofobia qualsiasi giudizio negativo nei confronti dell'omosessualità. In questa definizione vengono considerate manifestazioni di omofobia anche tutte le convinzioni personali e sociali contrarie all'omosessualità come ad esempio: la convinzione che l'omosessualità sia patologica, immorale, contronatura, socialmente pericolosa, invalidante; la non condivisione dei comportamenti omosessuali e delle rivendicazioni sociali e giuridiche delle persone omosessuali. Non rientra in questa accezione la conversione in agito violento o persecutorio nei confronti delle persone omosessuali;
l'accezione discriminatoria considera come omofobia tutti quei comportamenti riconducibili al sessismo che ledono i diritti e la dignità delle persone omosessuali sulla base del loro orientamento sessuale. Rientrano in questa definizione le discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, gli atti di violenza fisica e psicologica (percosse, insulti, maltrattamenti). Questa definizione – che comprende anche l'acting out del sentimento discriminatorio – può essere considerata più pertinente al costrutto di omofobia in senso ristretto;
l'accezione psicopatologica considera l'omofobia come una fobia, cioè una irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti delle persone omosessuali che compromette il funzionamento psicologico della persona che ne presenta i sintomi. Tale valutazione diagnostica includerebbe quindi l'omofobia all'interno della categoria diagnostica dei disturbi d'ansia e rientrerebbe all'interno dell'etichetta di fobia specifica. A differenza delle prime due accezioni, l'omofobia come fobia specifica non è frutto di un consapevole pregiudizio negativo nei confronti dell'omosessualità quanto piuttosto di una dinamica irrazionale legata ai vissuti personali del soggetto. Quest'ultima definizione, per quanto più attinente alla radice etimologica del termine, ad oggi non è sostenuta da una letteratura sufficiente da farla inserire nei principali manuali psicodiagnostici.
Omofobia deriva dal greco homos (stesso, medesimo) e fobos (paura). Letteralmente significa "paura dello stesso", tuttavia il termine "omo" è qui usato in riferimento ad omosessuale. Il termine è un neologismo coniato dallo psicologo clinico George Weinberg nel suo libro Society and the Healthy Homosexual (La società e l'omosessuale sano), pubblicato nel 1971.

Un termine precursore è stato omoerotofobia, coniato dal dottor Wainwright Churchill nel libro "Homosexual behavior among males" (Comportamento omosessuale tra maschi), pubblicato nel 1967.

Intesa nel senso di "paura fobica e irrazionale", l'omofobia non è inserita in alcun manuale di diagnostica psicologica come patologia, è quindi errato pensare che sia medicalmente una fobia, come invece il nome potrebbe portare a credere. L'omofobia non è legata a una credenza politica o a un livello culturale, ma piuttosto al livello di equilibrio del singolo individuo. È stato infatti riscontrato dagli anni sessanta il fatto che tendano all'omofobia le "personalità autoritarie", rigide, insicure, che si sentono minacciate dal "diverso da sé" (ovviamente non solo omosessuale). Alti livelli di omofobia sono stati riscontrati anche in persone in lotta con una forte omosessualità latente o repressa.

In questo secondo senso l'omofobia può trarre nutrimento e soprattutto legittimazione da condanne ideologiche, religiose o politiche.

Per omofobia si può intendere anche la paura dell'omosessualità, ed in particolare la paura di venire considerati omosessuali, ed i conseguenti comportamenti volti ad evitare gli omosessuali e le situazioni considerate associate ad essi.

L'omofobia consiste nel giustificare, condonare o scusare atti di violenza o di discriminazione, di marginalizzazione e di persecuzione perpetrati contro una persona in ragione della sua reale o presunta omosessualità (si pensi ai soggetti bisessuali o anche semplicemente a persone che hanno un atteggiamento o un aspetto che non rientra nel comune stereotipo di genere sessuale, ad esempio le persone definite "effeminate").

Le ricerche psicosociali evidenziano come l'omofobia sia maggiormente legata a caratteristiche personali quali: anzianità, basso livello di istruzione, avere idee religiose fondamentaliste, non avere contatti personali con gay o lesbiche, essere autoritari, provare sensi di colpa nei confronti del sesso, avere atteggiamenti tradizionalisti rispetto ai ruoli di genere (mascolinità, etc.)

Probabilmente l'omofobia è correlata al timore di essere considerati omosessuali. Questo timore, dice Erich Fromm, è più frequente negli uomini che nelle donne, perché dal punto di vista culturale il maschio omosessuale viene considerato una "femminuccia", e nel pensiero sessista dominante.

« se un ragazzo viene definito "femminuccia", si sente bollato e umiliato dal gruppo. Se una ragazza è invece definita un "maschiaccio", a ciò non si accompagna uguale disapprovazione, anzi, spesso diventa motivo di orgoglio. Così la "femminuccia" è un codardo, un mammone, mentre la "maschiaccia" è una ragazza coraggiosa, capace di tener testa a un ragazzo. Probabilmente questi giudizi di valore vengono sussunti nell'atteggiamento che in seguito si sviluppa nei confronti dell'omosessualità nei due sessi.»
(Erich Fromm)

L'omofobia interiorizzata consiste nell'accettazione da parte di gay e lesbiche di pregiudizi, etichette negative e atteggiamenti discriminatori verso l'omosessualità. Questa interiorizzazione del pregiudizio è per lo più inconsapevole e può portare a vivere con difficoltà il proprio orientamento sessuale, a contrastarlo, a negarlo o addirittura a nutrire sentimenti discriminatori nei confronti degli omosessuali.

L'omofobia può diventare causa di episodi di bullismo, di violenza o di mobbing nei confronti delle persone LGBT. Secondo l'Agenzia per i diritti Fondamentali (FRA) dell'Unione europea l'omofobia nel 2009 danneggia la salute e la carriera di quasi 4 milioni di persone in Europa. L'Italia è il paese dell'Unione Europea con il maggior tasso di omofobia sociale, politica ed istituzionale. Secondo i dati del Dipartimento di Salute Pubblica i suicidi della popolazione gay, legati alla discriminazione omofoba in modo più o meno diretto, costituirebbero il 30% di tutti i suicidi adolescenziali.

Da altri studi in merito è emerso con chiarezza che gli adolescenti LGBT sono maggiormente a rischio di ideazione suicidaria rispetto ai coetanei eterosessuali. In aggiunta a ciò, una review di Haas e colleghi del 2011 sulla letteratura pubblicata in merito, suggerisce che i giovani LGBT siano dalle 2 alle 7 volte più a rischio, rispetto ai coetanei eterosessuali, di suicidio.
Sono anche stati riportati dei contesti in cui studenti LGBT hanno lamentato: la presenza di atti di discriminazione, come la negazione di servizi finanziari e sanitari, l'affibiazione di etichette verbali ingiuriose, tentativi di conversione e timore di atti di violenza sessuale ai loro danni. Tale situazione ha determinato il nascondimento della loro identità, l'evitamento di alcuni corsi, la prematura cessazione degli studi ed anche la messa in pratica di tentativi di suicidio.



A seguito dell'elevato rischio di ideazioni suicidarie e di tentativi di suicidio tra le cosiddette minoranze sessuali, i ricercatori hanno tentato di identificare i fattori che potessero spiegare tali marcate differenze. Le teorie sullo stress e lo stigma da minoranza hanno permesso di evidenziare il ruolo portante che i contesti sociali e strutturali così come le pratiche e le politiche istituzionali possono giocare nel contribuire a generare simili disparità nella salute mentale degli individui. In accordo con queste teorie, infatti, gli adulti LGBT che risiedono in stati con poche politiche sociali di tipo protettivo, hanno un maggior tasso di disordini psichiatrici e di abuso di sostanze rispetto a persone che vivono in stati con politiche protettive mirate. In linea con questi risultati, si pone anche un lavoro del 2014 di Hatzenbuehler e colleghi che ha indicato che giovani LGBT sono meno a rischio di sviluppare ideazioni suicidarie quando sono all'interno di strutture scolastiche che hanno adottato misure protettive verso le minoranze sessuali. L'ambiente sociale, inoltre, può esercitare delle influenze anche in maniera meno diretta. Uno studio condotto su una popolazione di circa 4098 maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi (MSM, Men who have sex with men) sieronegativi per HIV ha evidenziato, ad esempio, che un più basso livello di stigma sociale contro le persone LGBT è legato ad una diminuzione del rischio di rapporti anali non protetti (adjusted odds ratio, aOR=0,97, intervallo di confidenza al 95%, 95%CI 0,94-0,99), maggior consapevolezza riguardante la profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,09) e di quella pre esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,10), maggior utilizzo della profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,26) e di quella pre esposizione (aOR=1,21, 95%CI 1,01-1,44) ed un maggior livello di tranquillità nel discutere di sesso tra maschi con operatori sanitari (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,11).
Va, tuttavia, segnalato che sussiste anche la possibilità che il grado d'influenza esercitato dallo stigma da minoranza e da eventuali interventi di tipo protettivo o di supporto vari anche a seconda dell'etnia delle persone prese in considerazione.

L'importanza del contesto socioculturale che circonda le persone LGBT è stata evidenziata anche da un lavoro di Duncan e Hatzenbuehler del 2014 riguardante i cosiddetti crimini d'odio definiti come "condotte illegali, violente, distruttive o minacciose il perpetratore delle quali viene motivato dal pregiudizio contro il supposto gruppo sociale della vittima". Già altri studi in passato avevano evidenziato che le minoranze sessuali vengono colpiti da tali crimini e, secondo l'FBI, il 17,4% dgli 88.463 crimini d'odio registrati tra il 1995 ed il 2008 hanno coinvolto tali minoranze.

Lo studio di Duncan e Hatzenbuehler, condotto su un campione di studenti delle scuole superiori pubbliche di Boston, ha cercato di valutare l'effetto sulle persone LGBT del grado di vicinanza geografica alle aree ove sono stati perpretrati crimini d'odio ai danni di altre persone LGBT. Dai dati raccolti è emerso che gli adolescenti LGBT che hanno riferito di aver avuto ideazioni suicidarie tendevano a vivere a meno di 800 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (21,22 per 100.000 Vs 12,26 per 100.000, p value=0,013). Gli adolescenti LGBT che hanno tentato il suicidio, inoltre, avevano maggiori probabilità di vivere a meno di 400 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (33,61 per 100.000 Vs 13,18 per 100.000, p value=0,006). Tali associazioni statistiche non sono state rintracciate per quanto riguarda gli adolescenti eterosessuali. Nessuna significatività statistica è stata, inoltre, rintracciata per quanto riguarda l'associazione di problematiche suicidarie e crimini d'odio non ai danni di persone LGBT, indicando così che le significatività precedentemente presentate sono specifiche per gli adolescenti LGBT. I risultati di tale lavoro, sebbene preliminari soprattutto in considerazione della scarsa presenza di pubblicazioni analoghe, sono in accordo con la letteratura che documenta l'importanza dei contesti socioculturali nella determinazione dello Stato di salute mentale nelle minoranze sessuali.

In termini generali, il sentimento religioso sembra essere associato ad un buon livello di salute mentale. Sebbene tale dato sia variabile a seconda degli aspetti presi in considerazione, si può affermare che la religiosità sembra determinare effetti positivi: minor depressione e stress psicologico e migliore soddisfazione, felicità e stato psicologico personali. Per quanto riguarda le persone LGBT, al momento, sussistono pochi lavori che abbiano analizzato lo stato di salute mentale in rapporto con l'affiliazione religiosa. Sebbene, il sentimento religioso, come precedentemente accennato, sembri sortire effetti positivi, un ambiente sociale caratterizzato da stigma e rifiuto può produrre, in chi ne è vittima, effetti patologici.
La teoria dello stress da minoranza suggerisce che il differente livello di salute mentale tra le persone LGBT ed eterosessuali sia dovuto al differente livello di stigma e pregiudizio cui si va incontro.

Uno dei fattori presi in considerazione dalla teoria come fattore di stress è l'omofobia interiorizzata. Per omofobia interiorizzata s'intende l'internalizzazione, da parte delle persone LGBT, delle attitudini e delle credenze negative della società contro le persone LGBT stesse e poiché tale visione può essere appresa durante i normali processi di socializzazione, essa può costituire un fattore di stress particolarmente insidioso da individuare. Il suo superamento viene, inoltre, considerato un passo importante nel processo di coming out e viene considerato dai terapisti come necessario al fine di acquisire un buon livello di salute mentale. Di converso, l'omofobia interiorizzata è stata collegata ad una serie di sviluppi negativi: ansietà, depressione, ideazione suicidaria, condotta sessuale a rischio, problematiche nella vita intima ed uno stato generale di benessere più basso.

Sotto questo punto di vista, nei contesti religiosi gli insegnamenti possono essere parte di una socializzazione che si basi sullo stigma ed il permanere in tale contesto può contribuire ad potenziare il fenomeno dell'omofobia interiorizzata. Vistesi rifiutate da molte organizzazioni religiose, l'attendenza delle persone LGBT alle pratiche religiose istituzionali tende ad essere minore rispetto agli eterosessuali e vi è una maggior probabilità d'abbandono del loro credo. Al di là di ciò, comunque, le persone LGBT che si affiliano a gruppi religiosi, tendono a partecipare per lo più a denominazioni religiose “non supportive”. Alcuni lavori hanno, infatti, evidenziato che le persone LGBT tendevano ad affiliarsi a correnti di maggioranza o con maggioranza di eterosessuali sebbene tali gruppi potessero presentare un clima sociale poco ospitale. Tale dato, apparentemente contraddittorio, potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che le persone LGBT possano avvertire un profondo significato personale nell'appertenere ad un contesto religioso cui loro sono abituati, spesso dall'infanzia. In effetti, è noto che l'abbandono di un gruppo religioso possa risultare spiacevole sotto l'aspetto sociale, culturale e spirituale.

Tale situazione può diventare particolarmente pressante per persone appartenenti a minoranze etniche. Per le persone afro-americane, ad esempio, è noto come le chiese abbiano costituito un baluardo contro il razzismo sociale e siano state promotrici e sostenitrici di identità ed orgoglio etnico. Hanno, inoltre, provveduto a fornire servizi sociali e culturali in vario modo. Risulta, pertanto, chiaro come il processo di separazione, magari per confluire in contesti maggiormente supportivi per le persone LGBT, significhi anche perdere non solo i servizi ma anche tutto un contesto di profondo significato interiore.
Al fine di continuare la partecipazione in questi contesti, le persone LGBT tendono ad adottare svariate strategie per cercare di risolvere o di alleviare lo state di tensione che si può generare dalla partecipazioni in questi contesti non supportivi:
ritenere la Bibbia un documento che sarebbe stato ispirato da Dio ed in quanto tale, contenente occasionalmente punti di vista umani ormai antiquati, quali quelli sull'omosessualità;
separare le identità LGBT e religiosa così da sopprimere quella LGBT quando quella religiosa, in alcuni contesti, diviene preponderante;
neutralizzare i messaggi contro l'omosessualità questionando la credibilità a vario grado del pastore, sacerdote o di chi promuove tale visione (ciò può includere, tra le altre, la conoscenza biblica, la moralità o l'eccessiva enfasi sulla percepita eccessiva tendenza al legalismo contro il messaggio d'amore incondizionato promosso dal Nuovo Testamento).
Sebbene gli studi riguardanti la religiosità delle persone LGBT non abbiano preso molto in considerazione se il gruppo religioso fosse più o meno supportivo, un lavoro di Lease e colleghi ha mostrato che persone caucasiche LGBT coinvolte in attività religiose in contesti maggiormente supportivi erano collegate ad un minor livello di omofobia interiorizzata e che questa era legata ad un miglior livello dello stato di salute mentale. Altri lavori, di converso, hanno rilevato che contesti religiosi non supportivi possono avere un significativo effetto nel promuovere l'omofobia internalizzata nelle persone LGBT.

La problematica, tuttavia, può variare anche a seconda del gruppo etnico preso in considerazione dato che la religiosità tende a variare a seconda dell'etnia. Sebbene alcuni lavori abbiano suggerito che le persone latino-americane ed afro-americane tendano a dimostrare un maggior sentimento religioso, al momento non è stato rilevato che le persone LGBT appartenenti a questi gruppi siano maggiormente esposte a contesti non supportivi rispetto a quelle caucasiche. Alcuni lavori hanno, infatti, suggerito che alcune denominazioni evangeliche frequentate da caucasici possano essere caratterizzate da contesti particolarmente omofobi. Tuttavia, se l'affiliazione religiosa delle persone LGBT riflette quella della popolazione generale, c'è da aspettarsi che quelle latino-americane ed afro-americane siano esposte a contesti omofobi in misura maggiore rispetto a quelle caucasiche.

Un lavoro di Barnes e Meyer del 2012 condotto su 355 partecipanti LGBT ha cercato di valutare l'effetto del contesto religioso nello stato di salute delle persone LGBT attendenti. In generale, è emerso che le persone caucasiche tendevano a non dichiararsi religiose (58%) mentre solo il 36% ed il 35% degli afro-americani e dei latino-americani si è dichiarato non religioso. In termini di omofobia interiorizzata è emerso che, rispetto ai caucasici, gli afro-americani ed i latino-americani hanno maggiori livelli di essa sebbene il risultato sia statisticamente significativo solo per i latino-americani; in generale gli affiliati a contesti non supportivi hanno maggiori livelli di omofobia generalizzata rispetto agli affiliati a contesti supportivi ed ai non praticanti. La frequenza di pratica religiosa, in questo lavoro, non ha esercitato alcuna influenza sui livelli di omofobia interiorizzata dato che non è stata riscontrata nessuna differenza statisticamente significativa tra coloro che avevano un'elevata frequenza di pratica contro chi ne aveva una bassa. Va segnalato, tuttavia, che sia i latino-americani che gli afro-americani sono risultati maggiormente esposti, rispetto ai caucasici, a contesti non supportivi e che l'affiliazione a tali contesti si è dimostrata essere un buon mediatore statistico dei livelli di omofobia interiorizzata. Va segnalato infatti che la variabile affiliazione a contesti non supportivi nel modello statistico finale ha reso non più significativa la differenza dei livelli di omofobia interiorizzata tra latino-americani e caucasici ma ha anche diminuito il valore del coefficiente standardizzato B del 50% e del 25% nei modelli testati. I livelli di omofobia interiorizzata, infine, sono risultati essere statisticamente associati alla presenza di sintomi depressivi ed ad un minore benessere psicologico rendendo, nei due modelli testati, la variabile affiliazione a contesti non supportivi un miglior predittore sebbene non statisticamente significativo.

Gli autori di questo studio hanno quindi concluso che i dati presentati forniscono una base all'ipotesi che i contesti religiosi non supportivi determinino lo sviluppo di un ambiente sociale ostile alle persone LGBT il che può risultare in una maggior presenza di omofobia interiorizzata. I latino-americani, in particolare, hanno manifestato livelli significativamente maggiori, rispetto ai caucasici, di omofobia interiorizzata. La maggior affiliazione e pratica in contesti religiosi non supportivi sembra spiegare i maggiori livelli di omofobia interiorizzata. Per quanto riguarda gli afro-americani, i dati sembrano suggerire un quadro analogo sebbene non si sia raggiunta la significatività statistica.

Tali conclusioni, basate su un campione limitato e non casuale, non sono ovviamente generalizzabili. Risulta interessante, tuttavia, notare che uno studio di Gibbs e Goldbach del 2015 sembra concludere che giovani adulti LGBT che crescono e maturano in contesti religiosi sono a più alto rischio, rispetto ad altre persone LGBT, di ideazione suicidaria, più specificatamente di ideazione suicidaria cronica, così come di tentativi di suicidio.

In ambito legislativo, in molte nazioni, soprattutto europee sono previsti strumenti legislativi, di carattere civile e penale, finalizzati al contrasto dell'omofobia intesa principalmente come discriminazione basata sull'orientamento sessuale.

Va evidenziato che le legislazioni esistenti in molti casi mantengono distinto l'aspetto della non discriminazione dalle norme mirate invece a sanzionare in modo specifico azioni e comportamenti esplicitamente omofobici, quali atti violenti o di incitamento anche solo verbale all'odio. Ci sono legislazioni che fanno rientrare questo secondo aspetto in un ambito legislativo non specifico, non considerando quindi la motivazione dell'omofobia per il reato o non prevedendo sanzioni specifiche per le espressioni di odio o di incitamento all'odio legate all'orientamento sessuale.

L'omofobia, intesa come atto violento e/o incitamento all'odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni carcerarie e/o pecuniarie in Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia e a livello regionale in Tasmania (vietato l'incitamento all'odio). Con un emendamento allo Hate Crimes Bill approvato dal Congresso nell'ottobre 2009 e denominato Matthew Shepard Act, gli Stati Uniti d'America hanno stabilito che la violenza causata da odio basato sull'orientamento sessuale costituisce un reato federale.

Norme antidiscriminatorie che menzionano esplicitamente l'orientamento sessuale sono in vigore in Europa, oltre che nei paesi sopra citati, in Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, in quattro Länder della Germania (Berlino, Brandeburgo, Sassonia e Turingia), Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ungheria, Regno Unito, Repubblica Ceca, Serbia e Montenegro.

Al di fuori dell'Europa, leggi antidiscriminazione sull'orientamento sessuale sono in vigore in Canada, in alcuni degli Stati Uniti, in Australia, Nuova Zelanda, Isole Fiji, in alcuni stati del Brasile, Nicaragua, Uruguay, Colombia, Ecuador, Israele e Sudafrica.

Anche il regime castrista ha adottato forme di persecuzione nei confronti degli omosessuali. Considerati "controrivoluzionari", dagli anni sessanta agli anni ottanta anche i gay sono stati perseguitati e molti di loro sono stati rinchiusi nei campi di lavoro forzati UMAP ("Unidades Militares de Ayuda a la Producción") a causa del loro orientamento sessuale. Nell'ideologia castrista i maricones ("finocchi") erano infatti considerati espressione dei valori decadenti della società borghese:

« Agli omosessuali non dovrebbe essere concesso di stare in posizioni dove potrebbero essere capaci di mal influenzare i giovani. Nelle condizioni in cui viviamo, a causa dei problemi che il nostro paese deve affrontare, dobbiamo inculcare nei giovani lo spirito della disciplina, della lotta, del lavoro... Noi non arriveremmo mai a credere che un omosessuale possa incarnare le condizioni e i requisiti di condotta che ci permetterebbero di considerarlo un vero Rivoluzionario, un vero Comunista aggressivo. Una deviazione di questa natura si scontra con il concetto che abbiamo di ciò che un militante comunista deve essere.»
Nel marzo del 1965, Giangiacomo Feltrinelli riuscì ad ottenere da Fidel Castro una lunghissima intervista chiedendogli anche perché perseguitasse i gay, sul perché ce l'avesse tanto con gli omosessuali e cosa c'entrasse quel pogrom con la rivoluzione. Il líder máximo, dopo una risata per la domanda sfacciata, rispose alla domanda ed accennò alla paura di "mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio". Nel 2010 Castro ha ammesso pubblicamente di aver "commesso una grande ingiustizia" a perseguitare gli omosessuali. Tuttavia, almeno dal 1988, Cuba è all'avanguardia in America latina per le politiche contro l'omofobia ed ha eliminato ogni traccia di legislazione omofobica.

La legislazione di contrasto alla discriminazione tra cittadini trae principale fondamento dall'articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana (principio di uguaglianza formale e sostanziale):
« Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. »
Pur non citando espressamente l'orientamento sessuale, esso può rientrare per via interpretativa sia nella nozione di "sesso", sia tra le "condizioni personali e sociali".

La Legge 25 giugno 1993, n. 205 intitolata Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa (cosiddetta Legge Mancino), integra il diritto penale italiano per quanto attiene ad alcune forme di discriminazione, tra cui non rientrano quelle basate sull'orientamento sessuale che, inserite nella sua prima formulazione, furono espunte dal testo nella stesura definitiva.

La menzione esplicita dell'orientamento sessuale è invece presente nel Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216, che tutela dalle discriminazioni sul luogo di lavoro. Le eccezioni inizialmente previste per il personale delle Forze Armate, delle Forze dell'ordine e di soccorso furono poi abolite a seguito della procedura d'infrazione aperta dalla Comunità Europea contro l'Italia, in quanto contrarie alla direttiva comunitaria contro le discriminazioni.

Il 2 ottobre 2009, nel corso della XVI Legislatura la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha adottato un testo base, presentato dalla deputata Anna Paola Concia e costituito da un singolo articolo, che tra le circostanze aggravanti comuni previste dall'articolo 61 del codice penale inserisce anche quella inerente all'orientamento sessuale. Tale testo è stato poi bocciato il 13 ottobre 2009 dalla maggioranza parlamentare per una pregiudiziale di costituzionalità sollevata dall'Unione di Centro. La bocciatura ha sollevato dure critiche verso l'Italia da parte di rappresentanti dell'Unione europea e dell'ONU. Alla bocciatura ha reagito invece positivamente il vescovo Domenico Mogavero, che ha definito la proposta di legge «solo un primo passo, in quanto il vero obiettivo di questa campagna sono le nozze gay».

Mara Carfagna, Ministro per le pari opportunità del Governo Berlusconi IV, il 9 novembre 2009, ha presentato Nessuna differenza, la prima campagna istituzionale in Italia contro l'omofobia e le discriminazioni di genere.

Il 17 maggio 2011, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito «inammissibile in società democraticamente adulte» l'irrisione degli omosessuali. Il 18 maggio 2011 il testo base della deputata Anna Paola Concia, basato su una direttiva europea, è stato ripresentato alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che l'ha bocciato con 24 voti contrari e 17 favorevoli. Il ministro Carfagna ha commentato: «Il Popolo della libertà ha perso un'occasione». Il 26 luglio 2011 la Camera ha respinto per la seconda volta il ddl presentato dalla deputata Concia contro l'omotransfobia.

Un nuovo disegno di legge per l'estensione della legge Mancino ai casi di omofobia e transfobia è stato presentato durante la XVII Legislatura.

In vari paesi (per esempio Canada, Regno Unito, USA, Italia) sono stati annullati molti concerti di famosi esponenti della "scena reggae", quali Sizzla, Beenie Man, Capleton, Bounty Killer, T.O.K., Buju Banton, Elephant Man per i contenuti omofobi e sessisti dei loro testi.

L'omofobia non è inserita in alcuna classificazione clinica delle varie fobie; infatti, non compare né nel DSM né nella classificazione ICD; il termine, come nel caso della xenofobia, è solitamente utilizzato in un'accezione generica (riferita a comportamenti discriminatori) e non clinica.



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