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sabato 20 agosto 2016

TESTIMONI DI GEOVA E SESSUALITA'



Non c’è dubbio che la Bibbia influisce sulla vita dei Testimoni di Geova. Le coppie di sposi dovrebbero agire in modo da avere la coscienza pura, mentre prestano tutta la loro attenzione a coltivare “il frutto dello spirito”. — Galati 5:16, 22, 23; Efesini 5:3-5.
Che dire però se un coniuge vuole o perfino esige che la moglie o il marito partecipi a quella che è chiaramente un’attività sessuale pervertita? I succitati fatti indicano che porneia implica atti sessuali illeciti al di fuori dell’istituzione coniugale. Perciò, se un coniuge impone atti pervertiti, come sesso orale o anale, nell’ambito del matrimonio, questo non costituirebbe una base scritturale per ottenere un divorzio che renderebbe entrambi liberi di risposarsi. Anche se il coniuge credente è angustiato dalla situazione, il suo sforzo di attenersi ai principi scritturali gli farà ottenere una benedizione da Geova. In tali casi può essere utile che la coppia consideri francamente il problema, tenendo presente che in particolar modo le relazioni sessuali devono essere onorevoli, sane, un’espressione di tenero amore. Questo escluderebbe di sicuro qualsiasi cosa potesse angustiare o danneggiare il coniuge. — Efesini 5:28-30; I Pietro 3:1, 7. Se è noto che un componente della congregazione pratica o incoraggia apertamente relazioni sessuali pervertite nell’ambito del vincolo coniugale, egli non sarebbe certo irreprensibile e quindi non sarebbe adatto per speciali privilegi, come quello di servire in qualità di anziano, di servitore di ministero o di pioniere. Anzi chi avesse questa specie di relazioni o le incoraggiasse potrebbe anche finire per essere espulso dalla congregazione.
Galati 5:19-21 elenca molte cose immorali che non sono incluse in porneia, e che potrebbero portare a essere squalificati dal Regno di Dio. Fra queste ci sono l’“impurità” e la “condotta dissoluta”. Come la porneia, queste cose, quando si cade nella sfrenatezza, possono essere motivi per venire disassociati dalla congregazione cristiana, ma non per ottenere un divorzio scritturale. Chi incoraggiasse sfacciatamente attività sessuali disgustose e ripugnanti sarebbe colpevole di condotta dissoluta. Naturalmente, chi avesse un simile atteggiamento potrebbe arrivare al punto di commettere porneia; allora ci sarebbe la base per un divorzio scritturale. Tutti i cristiani devoti dovrebbero preoccuparsi vivamente di evitare e di combattere tutte queste “opere della carne”! — Galati 5:24, 25.
Tutti i servitori di Geova, sposati o no, dovrebbero rifuggire da ogni specie di immoralità. Dovrebbero sostenere lealmente tutte le disposizioni di Geova, inclusa l’istituzione matrimoniale. (Salmo 18:21-25) Gli sposati dovrebbero sforzarsi, come “una sola carne”, di onorare Geova, coltivando vero amore e rispetto nel matrimonio. (Genesi 2:23, 24; Efesini 5:33; Colossesi 3:18, 19) In questo come in altri modi possono dimostrare di non far “parte del mondo”, un mondo che Satana ha trascinato nel fango dell’immoralità e della corruzione e che sta per ‘passare insieme al suo desiderio’. Ricordando che “chi fa la volontà di Dio rimane per sempre”, tutti dovrebbero sforzarsi di fare la “volontà” di Dio in relazione alla Sua preziosa istituzione del matrimonio. — Giovanni 17:16; I Giovanni 2:17.

Molte pratiche comunemente accettate quando ci si frequenta sono in realtà dei peccati gravi. Per esempio la Bibbia comanda di evitare l’immoralità sessuale. Questa include non solo i rapporti sessuali ma anche altri atti impuri tra persone non sposate come ad esempio accarezzare i genitali di un’altra persona o fare sesso orale o anale (1 Corinti 6:9-11). Prima del matrimonio anche tenere un comportamento sessualmente eccitante, pur non arrivando all’immoralità sessuale, è una forma di “impurità” che dispiace a Dio (Galati 5:19-21). Anche i “discorsi osceni”, ovvero sconci o indecenti, nella Bibbia sono condannati (Colossesi 3:8, CEI).

Il Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova definisce fornicazione il praticare il sesso orale e anale anche nell’ambito coniugale e per questo motivo i testimoni di Geova non devono avere rapporti di questo tipo anche se i coniugi sono consenzienti.

Se scoperti, la coppia non avrà nessun privilegio nella congregazione e potrebbero essere disassociati se si rifiutassero di interrompere tale comportamento.

“La sodomia (o innaturali rapporti di un maschio come se fosse una femmina), il lesbismo (o relazioni omosessuali fra donne) e la bestialità (o innaturali relazioni sessuali dell’uomo o della donna con un animale) non sono motivi scritturali per ottenere il divorzio. … Ma tali atti non sono adulterio. Tuttavia arrecano la punizione della disassociazione.”
(Svegliatevi! 22/9/1958 pp. 25, 26)

“Se una coppia dedicata commette qualche atto moralmente sbagliato, che però non è adulterio o fornicazione, e che è quindi solo tra loro, per cui si tratta di una questione strettamente privata di cui nessuno nella congregazione o nel mondo può venire a conoscenza a meno che gli interessati non decidano di rivelarla, che cosa devono fare? È una cosa da presentare a Dio in preghiera. Se Dio vede che essi si rendono conto della scorrettezza di ciò che hanno fatto tra loro e che ne sono pentiti e afflitti e cercano di non ripetere mai tale atto, la loro confessione a lui e la preghiera per ottenere il perdono mediante Cristo Gesù è sufficiente… Ma se ogni altro sforzo fallisse, l’oppresso potrebbe rivolgersi al comitato della congregazione cristiana. In tal caso il comitato potrebbe ammonire il coniuge offensore. Il comitato può prestare assistenza mediante preghiera e consigli, per aiutare la coppia a vincere questa debolezza e a regolare le questioni coniugali private in modo da continuare la felice relazione matrimoniale con la minore distrazione possibile e servire così gli interessi del perfetto governo di Dio in modo migliore”.



“Il marito deve rendere i suoi doveri coniugali alla moglie, e la moglie allo stesso modo deve rendere al marito i suoi; una moglie non può fare quello che vuole con il proprio corpo – suo marito ne ha l’autorità, e allo stesso modo un marito non può fare quello che vuole con il proprio corpo – è sua moglie ad averne l’autorità. Non dovreste astenervi l’uno dall’altra, a meno che non concordiate di farlo per un periodo, allo scopo di dedicarvi alla preghiera. In seguito tornate nuovamente assieme. Non dovete dare modo a Satana di tentarvi tramite l’incontinenza. Ma tutto quello che ho appena detto è una concessione, non un comando.

È chiaro che qui l’apostolo Paolo non sta parlando solo del rapporto sessuale a scopo procreativo, ma anche dell’appagamento sessuale. Per questa ragione, dice, è meglio per alcune persone passionali contrarre matrimonio tra di loro in modo da non indulgere all’immoralità dilagante di questo mondo. Quindi le coppie sposate non dovrebbero astenersi dai rapporti sessuali; altrimenti Satana potrebbe tentare uno o entrambi i coniugi inducendoli a commettere immoralità con una persona al di fuori del vincolo matrimoniale. Ma, naturalmente, in questo campo deve essere esercitato autocontrollo in modo da non danneggiare spiritualmente il coniuge, anche interferendo con ‘la sua dedicazione alla preghiera’. Lasciate che ogni coppia regoli la propria vita coniugale e non provate ad imporre la vostra ad un’altra coppia”.

“Insolite pratiche sessuali erano seguite nel giorno dell’apostolo Paolo ed egli non tacque riguardo ad esse, come si può leggere in Romani 1:18-27. Perciò non facciamo altro che seguire il suo buon esempio considerando qui questa domanda… Non è certo responsabilità degli anziani o di qualcun altro in una congregazione cristiana indagare nella vita privata delle coppie di sposi. Ciò nondimeno, se futuri casi di condotta molto innaturale, come la pratica della copulazione orale o anale, sono portati alla loro attenzione, gli anziani devono agire per correggere la situazione prima che ne derivi ulteriore danno, come farebbero con qualsiasi altro serio errore… Ma se alcuni mancano volontariamente di rispetto alla disposizione matrimoniale di Geova Dio, è necessario rimuoverli dalla congregazione come pericoloso “lievito” che potrebbe contaminare altri… Che dire delle donne sposate a increduli e i cui coniugi insistono per farle partecipare a tali atti notevolmente innaturali? La dichiarazione dell’apostolo che “la moglie non esercita autorità sul proprio corpo, ma il marito” dà alla moglie il motivo per sottostare a queste richieste? No, poiché l’autorità del marito è solo relativa. L’autorità di Dio resta sempre suprema… È vero che il rifiuto di partecipare ad atti non santi può causare difficoltà a una moglie, o anche persecuzione, ma la situazione sarebbe la stessa se il marito chiedesse alla moglie di prendere parte a qualche forma di idolatria, errato uso del sangue, disonestà o altre simili trasgressioni.”
(La Torre di Guardia del 15/5/1973 pp. 317, 318)

“Quando oggi si menziona la “fornicazione”, comunemente si pensa alle relazioni sessuali fra persone di sesso opposto, relazioni avute fuori del matrimonio eppure consistenti di rapporti nel modo ‘normale’ o naturale. Quindi, molti hanno compreso che, allorché Gesù disse che la “fornicazione” era il solo motivo di divorzio, si riferisse solo ai rapporti nel modo ‘normale’ o naturale fra una moglie e un uomo che non è suo marito, o, per estensione, fra un marito e una donna che non è sua moglie. Ma è così? Porneia, la parola usata nel racconto di Matteo, si riferisce solo a tali relazioni sessuali naturali? O includeva tutte le forme di immorali relazioni sessuali, incluse quelle fra persone dello stesso sesso e anche forme pervertite di relazioni sessuali fra persone di sesso opposto?”
(La Torre di Guardia 1/6/1973 p. 351)




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domenica 3 luglio 2016

LEGGERE LE SACRE SCRITTURE

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La Bibbia è sconosciuta anche se è il libro più tradotto (2454 lingue diverse) e diffuso al mondo l’86% degli italiani ignora completamente le Sacre Scritture e, in materia di fede, non ha alcuna nozione di base. Appena uno su quattro ha letto nell’ultimo anno un brano biblico (negli Usa, due su tre) e solo una piccola minoranza sa se i Vangeli sono parte della Bibbia, se Gesù ha scritto libri della Bibbia, chi tra Mosé e Paolo era un personaggio dell’Antico Testamento e chi ha scritto un vangelo tra Luca, Giovanni, Paolo e Pietro. Secondo la ricerca-choc commissionata all’Eurisko dalla Commissione biblica cattolica e presentata in Vaticano dai vescovi Paglia e Ravasi e dagli accademici Cacciari e Diotallevi, la Bibbia in casa c’è, peccato che quasi nessuno la apra, la legga, la mediti.
«La colpa della scarsa diffusione è della Chiesa: detiene il monopolio dell’insegnamento della religione e impone l’autorizzazione vescovile agli insegnanti – spiega il filosofo e sindaco di Venezia, Massimo Cacciari -. La Bibbia non è libro di testo per l’insegnamento della religione e la conoscenza tecnica è scarsissima. Mi sono capitati studenti da 30 e lode in filosofia che confondevano San Paolo con Mosé e credevano che Gesù avesse scritto la Genesi». E, criticando «i comici nipotini di Voltaire, tipo Odifreddi», per la loro «stupida ironia sul cristianesimo e la pigrizia di negare cittadinanza e dignità culturale ai cristiani», Cacciari aggiunge che «se un intellettuale laico non si confronta con la Bibbia e non presuppone che quel libro è anche Parola di Dio, allora sbaglia mestiere». Nonostante i quarant’anni successivi al Concilio Vaticano II abbiano registrato in modo progressivo e massiccio l’entrata nelle famiglie delle Sacre Scritture, nell’era di Internet e della comunicazione multimediale per molti la Bibbia è un libro chiuso.
In diverse voci del sondaggio l’Italia è maglia nera su un un campione di 13 mila persone intervistate anche negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Francia, Germania, Spagna, Polonia e Russia. E i numeri scendono soprattutto quando si comincia a considerare la frequenza alla lettura». Gli italiani, che pure si proclamano cattolici all’88%, non si distinguono nemmeno per la partecipazione ai riti religiosi: solo il 32% frequenta assiduamente le chiese, contro un 55% dei polacchi e un 45% degli statunitensi. Tra gli ortodossi russi solo il 6% va a messa ogni domenica. Altissima invece (79%) la percentuale di credenti italiani che ha la sensazione di godere della protezione di Dio (in Francia solo il 47%). Interessanti pure i dati su come vada interpretata la Bibbia: se in modo fondamentalista (cioè presa alla lettera) o critico. Per il 27% negli Stati Uniti, il 23% in Italia, il 34% in Polonia e il 21% in Russia, i testi biblici vanno considerati «parola di Dio» alla lettera. Dunque, pur possedendola nella stragrande maggioranza, gli italiani considerano la Bibbia un oggetto misterioso. Se l’inchiesta statistica fotografa un presente segnato da molta confusione e ignoranza, gli italiani sembrano ben disposti a migliorarsi sul fronte biblico nel futuro: sei italiani su dieci sono favorevoli a far studiare la Bibbia a scuola. Mentre negli Usa i cristiani (cattolici e protestanti) pregano leggendo la Bibbia (43%) o altri testi sacri (37%), in Italia soltanto una minoranza del 24% si basa su letture per le preghiere. La quasi totalità (circa nove su dieci) recita parole a memoria e insieme usa parole sue. Una fede sempre meno attiva: il 54% degli italiani apprezza seguire le prediche e le tele-messe contro il 39% negli Stati Uniti.
L’Italia si è piazzata negli ultimi posti anche come lettura della Bibbia in generale. Se il 75% degli statunitensi afferma di aver letto un brano biblico negli ultimi 12 mesi, solo il 27% degli italiani può dire altrettanto.

Pertanto, se gli italiani dimostrano di essere un po' deficitari rispetto al contenuto - solo il 27% sa elencare i libri di cui il testo sacro è costituito -, non mancano di averlo in casa. In un'indagine è stato coinvolto un campione di 1.500 persone, attraverso interviste telefoniche. È emerso che la Bibbia è il libro più diffuso in assoluto, con 8 famiglie su 10 che ne hanno una. Il 30% dice di averla letta, il 70% di averla ascoltata, a messa, alla radio o alla tv, e qualcuno ce l'ha come App sul  telefonino.

Il primo “granchio” gli italiani lo prendono con il nome. «Per la maggior parte - spiega Ceccarini -, Bibbia significa testimonianza, quando invece significa semplicemente libro. L'altra convinzione è che la Bibbia sia il testo sacro dei cattolici (non dei cristiani), mentre pochi sanno che è anche degli ebrei. Il fatto che il riferimento sia ai cattolici e non ai cristiani, evidenzia che la Bibbia è parte della nostra cultura, della nostra storia, quindi si intreccia con la nostra tradizione cattolica. La sua presenza nelle case è trasversale anche all'orientamento politico. Il voto medio che si è dato agli italiani  rispetto alla loro conoscenza dei contenuti biblici è stato 5,9, sufficiente. Media significa che 1 su 4 prende da zero a 4, ma anche che il 24% prende un voto da 7 a 10. Altro dato interessante è che viene letta anche dai non praticanti, da quanti, cioè, non hanno la religione come prospettiva fondamentale della loro vita. Ognuno parte da sé stesso per trovarvi un senso: il credente vi trova un significato spirituale, chi non lo è, un significato etnico-culturale, un modo per sentirsi parte di una comunità».




Una prima considerazione che emerge è che in Nordamerica e in Europa la Bibbia non è soltanto il libro di un particolare gruppo religioso, ma un testo di riferimento capitale per tutti.

Non in tutte le nazioni, però, la Bibbia è presente e incide allo stesso modo. L'ondata secolarizzante produce effetti molto differenziati da regione a regione. Negli Stati Uniti e in Italia tali effetti appaiono più contenuti che in altri paesi dell'Europa Occidentale, tra i quali la Francia risulta essere la nazione più scristianizzata. E poi c'è l'Europa Orientale, con i casi a loro volta distinti della Polonia e della Russia. Ogni paese, inoltre, ha una sua storia e un suo profilo religiosi.

Per questo, raramente le risposte all'indagine coincidono tra paese e paese.

Ad esempio, tranne che in Francia dove meno della metà hanno in casa una Bibbia, negli altri paesi la grande maggioranza della popolazione ne possiede una copia. In Italia il 75 per cento e negli Stati Uniti addirittura il 93 per cento.

Alla lettura personale della Bibbia, in Germania, in Italia e in Polonia rispondono che preferiscono ascoltare un'omelia. In effetti, la partecipazione alla messa è per molti l'unico momento di contatto con le Sacre Scritture che vi vengono lette.

Anche il pregare utilizzando la Bibbia risulta più frequente negli Stati Uniti, col 37 per cento di risposte positive. E così in Polonia, col 32 per cento. Mentre in Italia si cala al 10 per cento e in Spagna all'8.

In genere, leggono di più la Bibbia coloro che partecipano a riti e gruppi che già praticano tale comportamento, E a sua volta chi legge personalmente la Bibbia è più portato a partecipare a tali riti e gruppi.

Alle domande se la Bibbia è vera o falsa, reale o astratta, interessante o noiosa, le risposte sono per lo più positive. Persino nella scristianizzata Francia il 62 per cento ritiene vero il contenuto delle Sacre Scritture.

Quasi dovunque, però, la Bibbia è anche considerata un libro "difficile". Che quindi richiede di essere accompagnato e spiegato nella lettura.

Ai fini dell'interpretazione della Bibbia, la definizione più condivisa dappertutto – anche in Francia – è che essa è "parola ispirata da Dio, ma non tutto in essa deve essere interpretato alla lettera, parola per parola".

Subito dopo c'è chi dice che la Bibbia è solo "un antico libro di leggende, fatti storici e insegnamenti scritti dall'uomo" . A tale definizione i consensi più bassi sono in Italia e negli Stati Uniti.

Molti meno sono quelli che definiscono la Bibbia "parola diretta di Dio, che deve essere interpretata alla lettera, parola per parola". Tale definizione "fondamentalista" ha un seguito ovunque scarso, tranne che in Polonia, col 34 per cento, e negli Stati Uniti, col 27 per cento.

Circa la conoscenza di nozioni elementari riguardanti la Sacra Scrittura, i record di ignoranza se li aggiudicano la Russia e la Spagna. Mentre i punteggi migliori vanno a Germania, Polonia, Italia e Stati Uniti. Qui più di un terzo della popolazione adulta risponde correttamente che i Vangeli sono una parte della Bibbia, che Gesù non ha scritto alcun libro, che Mosè è un personaggio dell'Antico Testamento e che Paolo e Pietro non sono autori di Vangeli.

Curiosamente, i fondamentalisti mostrano di conoscere la Bibbia meno di quelli che la interpretano con spirito più critico.

Un'altra sorpresa data dall'indagine è il largo e quasi universale consenso all'idea che "nelle scuole si dovrebbe studiare la Bibbia", così come si studiano i grandi classici della letteratura. In Russia, ad esempio, i favorevoli sono il 63 per cento, in Italia il 62, nel Regno Unito il 60, in Germania il 56, mentre i contrari sono rispettivamente il 30 per cento, il 26, il 30 e il 27. L'unico paese in cui le posizioni si rovesciano è la Francia, dove i favorevoli sono il 24 per cento e i contrari il 60.



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IL CORANO

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« In verità coloro che credono, siano essi Giudei, Cristiani o Sabei, tutti coloro che credono in Allah e nell'Ultimo Giorno e compiono il bene riceveranno il compenso presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti. »
(Corano, II:62)
« Dicono: «Siate giudei o nazareni, sarete sulla retta via». Dì: «Seguiamo piuttosto la religione di Abramo, che era puro credente e non associatore». »
(Corano, II:135)
« Chi vuole una religione diversa dall'Islam, il suo culto non sarà accettato, e nell'altra vita sarà tra i perdenti. »
(Corano, III:85)
« Coloro che credono, i Giudei, i Sabei o i Nazareni e chiunque creda in Allah e nell'Ultimo Giorno e compia il bene, non avranno niente da temere e non saranno afflitti. »
(Corano, V:69)
« Sono certamente miscredenti quelli che dicono: «Allah è il Messia, figlio di Maria!». Mentre il Messia disse: «O Figli di Israele, adorate Allah, mio Signore e vostro Signore». Quanto a chi attribuisce consimili ad Allah, Allah gli preclude il Paradiso, il suo rifugio sarà il Fuoco. Gli ingiusti non avranno chi li soccorra! »
(Corano, V:72)
« E dissero: Abbiamo ucciso Gesù il Messia, figlio di Maria, il messaggero di Dio. Essi non lo uccisero, non lo crocifissero, ma così parve loro... »
(Corano, IV:157, traduzione di Roberto Hamza Piccardo, 1994)
« In verità vi reco un segno da parte del vostro Signore. Plasmo per voi un simulacro di uccello nella creta e poi vi soffio sopra e con il permesso di Dio diventa un uccello. E prendo la morte per la vita con il permesso di Dio. E vi dico quel che mangiate e quel che accumulate nelle vostre case... »
(Corano, III:49, traduzione di Roberto Hamza Piccardo, 1994)
« In verità, per Dio Gesù è simile ad Adamo. Egli lo creò dalla polvere, poi disse: “Sii!” ed egli fu. »
(Corano, III:59, traduzione di Roberto Hamza Piccardo, 1994)
« Guidaci per la retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la Tua grazia, la via di coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che non vagolano nell'errore! »
(Corano, I:6-7, traduzione di Alessandro Bausani, 1955)
« Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che sono incorsi nella tua ira, né degli sviati. »
(Corano, I:6-7, traduzione di Roberto Hamza Piccardo, 1994)
Controversa è l'interpretazione di chi sarebbero gli "incorsi nell'ira di Dio" e gli "sviati", nel versetto 7 della prima sura, (al-Fatia, "l'Aprente".) Piccardo, nel suo commento, sostiene come "tutta l'esegesi classica, ricollegandosi fedelmente alla tradizione, afferma che con questa espressione Allah indica gli ebrei (yahud) ". Quindi gli ebrei sarebbero "coloro che sono incorsi nella Tua ira", non avendo riconosciuto come profeta Isa (Gesù); i cristiani sarebbero invece "gli sviati", in quanto trasgrediscono il Primo Pilastro dell'Islam, quello dell'unicità di Allah, poiché adorano la Trinità.

Studiosi occidentali invece si oppongono a un'interpretazione così "personalizzante" del versetto, giacché riferendosi esplicitamente a ebrei e cristiani sminuirebbe il valore universale del Libro. Si preferisce quindi riferirsi a due possibili errori nel seguire la Via, concettualmente opposti: uno, quello riconducibile alla maggior parte degli ebrei, sarebbe quello di perdersi in un astratto ed eccessivo formalismo nell'ubbidire al Messaggio Divino, l'altro, quello riconducibile alla maggior parte dei cristiani, sarebbe quello al contrario di seguire troppo lo spirito della Legge e non il suo dettato formale (antinomismo) e di fatto perdere la Via.

In particolare Bausani, nel suo commento, sostiene che "tali interpretazioni, oltre a diminuire il valore universalistico della bella preghiera sono anche difficilmente accettabili sintatticamente, data la forma negativa nella quale le espressioni suddette appaiono nel testo". Da altre parti del Corano risulterebbe inoltre che ebrei e cristiani avrebbero corrotto (cioè modificato volontariamente) le Rivelazioni precedenti, nascondendo alcune parti, modificandone altre (ad esempio, secondo il Corano, la frase evangelica "Verrà il Consolatore" nel Vangelo di Giovanni profetizzerebbe la venuta di Maometto). Non esistono versetti che esortino a uccidere o a convertire con la forza i politeisti (mushrikun), un cui sinonimo nel Corano è "idolatri". Per tutti costoro si reitera più volte la minaccia di tremendi castighi, riservati però loro da Allah solo nell'Aldilà. Le uniche esortazioni a combattere gli "associatori", i "negatori" e i politeisti e a ucciderli, come si può esemplarmente leggere nel versetto 191 della Sura II,

« Uccidete dunque chi vi combatte dovunque li troviate e scacciateli di dove hanno scacciato voi, ché lo scandalo è peggio dell'uccidere; ma non combatteteli presso il Sacro Tempio, a meno che non siano essi ad attaccarvi colà; in tal caso uccideteli. Tale è la ricompensa dei Negatori »
(Trad. di A. Bausani)
si trovano di fatto solo nei consimili passaggi riguardanti il "jihad minore", che storicamente il testo sacro sembra riferire alle azioni ostili che, fin dall'inizio della vita della Comunità organizzata da Maometto a Medina, contrapposero i nemici pagani della Umma islamica ai musulmani.

Fra i miscredenti non sono in ogni caso da annoverare gli appartenenti alla "Gente del libro" (Ahl al-Kitab), ovvero i cristiani, gli ebrei e i sabei, che sono considerati custodi di una tradizione divina precedente al Corano che, per quanto alterata da tempo e uomini, è ritenuta comunque basilarmente valida, anche se per difetto.

Ponendosi come Terza Rivelazione dopo la Torah e i Vangeli (Injil), ovvero come completamento del Messaggio trasmesso a ebrei e cristiani, il Corano contiene diversi riferimenti ai personaggi della Bibbia e a tradizioni ebraiche e cristiane. Sulla figura di Gesù in particolare il Corano ricorda dottrine gnostiche e docetiste, sostenendo che sulla croce sarebbe stato sostituito con un sosia o con un simulacro, solo apparentemente dotato di vita.

Il Corano, secondo i musulmani, contiene la parola di Dio (Allah), che l'arcangelo Gabriele ha dettato al profeta arabo Maometto (Muhammad). La parola Corano deriva dall'arabo al-Qur'an, che significa letteralmente "la recitazione" o "la lettura". Diviso in capitoli e in versetti, il Corano contiene sia precetti di ordine morale e religioso sia regole che riguardano il diritto.

La tradizione musulmana racconta che intorno all'anno 612, nella notte tra il 26 e il 27 del mese di ramadan, l'arcangelo Gabriele apparve in sogno a Maometto e gli dettò la prima rivelazione. A questa ne seguirono molte altre, anche dopo l'emigrazione l'egira  di Maometto da Mecca a Medina.

Le rivelazioni che Maometto cominciò a ricevere, nonostante la cultura araba (Arabi) fosse principalmente orale, furono annotate su vari materiali: pietre piatte, cuoio, ossa piatte (scapole) di cammello e di montone, fibre di palma. Qualche anno dopo la morte del profeta, i musulmani sentirono l'esigenza che quanto era stato dettato da Allah a Maometto non andasse perduto e soprattutto non venisse modificato: il califfo 'Umar mise insieme tutti questi materiali sparsi e li fece ricopiare su fogli, che vennero raccolti in un solo Libro, divenuto l'unica versione del Corano considerata autentica. Il Corano, in quanto parola di Dio, è inimitabile ed è considerato dall'ortodossia sunnita non creato, ma coeterno a Dio.

Il Corano è diviso in 114 capitoli (sure), composti di versetti (ayyàt) contrassegnati con numeri. L'ordine secondo il come è organizzato il Corano, quale ora lo possediamo, non è cronologico ma tiene conto della lunghezza dei singoli capitoli, ed è ordinato in modo decrescente: esclusa la prima breve sura, chiamata fàtiha ("aprente"), si parte da quella più lunga per terminare con quella più breve. Diversamente da quanto avviene per altre composizioni letterarie scritte in arabo, nel Corano sono segnate anche le vocali proprio per evitare ogni tipo di fraintendimento.

La lingua è straordinaria nel suo genere, soprattutto se si considera che nel 7° secolo  l'epoca in cui il Corano fu dettato a Maometto non esisteva altra forma letteraria tra gli Arabi che non fosse la poesia. Il Corano, invece, è scritto in prosa rimata (saj') ed è considerato una delle espressioni più alte di arte letteraria araba anche da chi non è musulmano. Il testo non dovrebbe essere letto con gli occhi, ma salmodiato, ossia recitato come una nenia: solo così se ne apprezza la musicalità. Sono pochi i musulmani che non conoscono almeno una sura del Corano a memoria.

Il contenuto del Corano è generalmente diviso in tre grandi parti: i precetti, ossia le leggi che regolano la vita del credente; le storie, racconti cioè che riguardano Maometto o altri profeti (l'Islam crede in tutti i profeti biblici precedenti, da Noè a Gesù, rispetto ai quali Maometto è l'ultimo o il sigillo) e varie leggende; le esortazioni e gli ammonimenti. Il Corano comprende quindi le regole che il musulmano è tenuto a seguire. Questi precetti riguardano sia il comportamento quotidiano del credente per esempio, quante preghiere deve fare in un giorno sia precetti di ordine morale-religioso per esempio, il divieto di credere negli dei pagani o adorare simboli. Ci sono anche regole che riguardano più strettamente il diritto, come nel caso in cui un uomo voglia divorziare dalla propria moglie: in base al Corano l'uomo deve assicurare una certa somma per lei e per i propri figli.

Il tafsir ("esegesi") è la scienza che studia il contenuto del Corano. È facile immaginare quanti possano essere i testi che analizzano frase per frase lo scritto, alla luce della tradizione musulmana e da un punto di vista filologico.

La prima parte della I sura del Corano dice: "Nel nome di Allah Clemente e Misericordioso": questa frase, che in arabo viene chiama basmala, costituisce l'inizio di molte altre sure coraniche. Sembra ormai appurato che questa frase è stata aggiunta in un secondo momento, posteriore a Maometto, il quale comunque la utilizzava già come formula propiziatoria. La basmala è utilizzata anche all'inizio di discorsi ufficiali: è un modo propiziatorio di cominciare un discorso, una lettera o qualsiasi altra attività rendendo omaggio ad Allah e ringraziandolo per la sua clemenza e la sua misericordia.

Il Corano è foriero di alcuni elementi fondamentali dell'Islam: rigoroso monoteismo senza termini mediani fra Dio creatore e l'universo creato; una provvidenza divina che si estende ai singoli individui; un'immortalità personale con un'eternità di felicità o di dolore a seconda della condotta tenuta nella vita terrena. La filosofia greca, che i musulmani conobbero dai siriaci e dai persiani, presentava invece un sistema dottrinario caratterizzato da una complessa tematica scientifica e dal razionalismo aristotelico, aspetti estranei alla precettistica coranica. Le correnti filosofiche musulmane, nate almeno un secolo prima della Scolastica occidentale, si divisero nell'accordo, spesso difficile, tra Corano e approccio filosofico razionalizzante. I mutakallimun ("coloro che disputano", i "dialettici") erano fedeli all'approccio coranico e sostenevano l'eternità del kalam (Parola) divino; i Mu'taziliti ("coloro che si allontanano"), pur con un preciso intento religioso, rappresentavano nei fatti una sorta di razionalismo e affermavano l'espressione nel tempo umano della Parola divina. I Fratelli della Purità elaborarono in una poderosa "Enciclopedia" (secolo X) tutti i motivi fondamentali della metafisica che erano trattati negli scritti pseudo-aristotelici (De Causis, Theologia Aristotelis); i sufi attinsero al pensiero del Neoplatonismo, elaborando una dottrina caratterizzata da un preciso afflato mistico. Grandi filosofi e scienziati furono poi al-Kindi, al-Farabi, Avicenna, Averroè e al-Ghazali.




Malgrado i musulmani considerino che qualsiasi traduzione dal testo arabo del Corano non possa evitare d'introdurre - in quanto traduzione - elementi di ambiguità se non di vero e proprio travisamento semantico, e siano pertanto tendenzialmente sfavorevoli a qualsiasi versione del loro testo sacro in idioma diverso da quello originale, l'estrema esiguità dei musulmani arabofoni (all'incirca il 10% dell'intera popolazione islamica mondiale) ha condotto ad approntare traduzioni nelle più diverse lingue del mondo anche islamico: dal persiano al turco, dall'urdu all'indonesiano, dall'hindi al berbero. La prima traduzione completa del Corano fu completata nell'884 ad Alwar (Sind, oggi Pakistan) per disposizione di Abd Allah b. Umar b. Abd al-Aziz, su richiesta del Raja hindu Mehruk. Non si sa tuttavia se detta traduzione fosse in hindi, sanscrito o nel locale linguaggio del Sind, dal momento che l'opera non ci è pervenuta.

Famosa è invece la traduzione in lingua latina commissionata da Pietro il Venerabile, abate di Cluny, a Roberto di Ketton (o Robertus Ratenensis) e a Ermanno Dalmata, cui partecipò anche l'ebreo convertito al Cristianesimo Petrus Alfonsi. Il lavoro fu completato nel 1143 ed ebbe duratura fortuna perché su di esso fu costruita la traduzione approntata da Bibliander e pubblicata a Basilea nel 1543.

Quattrocento anni dopo la traduzione cluniacense, giunse nel 1537-38 il lavoro stampato a Venezia (presso la stamperia Ad signum putei) da Paganino de Paganini da Brescia. Quest'ultima impresa traduttoria è di particolare interesse per le complesse vicende ad essa connesse. Non sappiamo se essa fosse stata commissionata dagli Ottomani o se (ancora una volta) il Corano dovesse servire ai sacerdoti nella loro opera missionaria o per la confutazione comunque del libro sacro dell'Islam ma si accertò che la traduzione latina era talmente zeppa di errori e di grossolani travisamenti, da essere probabilmente ritirata e fatta bruciare per disposizione di Papa Paolo III. Più tardo, a lungo rimasto un classico ancor oggi fruibile, è il lavoro di Ludovico Marracci (Padova, 1691-1698), che dette alle stampe la sua traduzione a Padova solo nel 1698, dopo quarant'anni di studio solerte e approfondito del Corano e di molte fonti arabe.

Per quanto riguarda la lingua italiana, il Corano fu per la prima volta proposto in volgare toscano nel 1547 a Venezia dal fiorentino Andrea Arrivabene, anche se l'opera fu preceduta da quella allestita da un tal Marco, canonico della Cattedrale di Toledo, che la curò tra il 1210 e il 1213. Di essa rimane un lacerto, scoperto, studiato ed edito da Luciano Formisano, dell'Università di Bologna, che l'ha rinvenuto all'interno del fiorentino codice Riccardiano 1910: autografo di Piero di Giovanni Vaglienti (Firenze, 1438- post 15-7-1514).

Al XX secolo vanno invece riferite le versioni di studiosi di vaglia quali Luigi Bonelli, Martino Mario Moreno, Alessandro Bausani e, da ultimo, Ida Zilio Grandi, che si è avvalsa della competenza di Alberto Ventura (un allievo di Bausani) e di Amir Moezzi.
La traduzione di Bausani, considerato tra i massimi islamisti italiani, è tuttora quella più diffusa tra gli studiosi non musulmani, malgrado la prima edizione risalga al 1955, oltre mezzo secolo prima cioè di quella, senz'altro soddisfacente, edita dalla Mondadori. Se ne contano numerose altre, di diversa qualità scientifica, spesso tradotte da musulmani che sono stati mossi all'impresa dalla loro convinzione che le traduzioni scientifiche anzidette fossero comunque tendenzialmente fuorvianti, proprio perché curate da orientalisti non musulmani, senza peraltro poter sfuggire anch'essi alle critiche di fondo di chi sostiene l'inevitabilità dell'adagio "traduttore traditore".

In particolare la traduzione di Hamza Roberto Piccardo, editore italiano convertito all'Islam, è di gran lunga la più diffusa nelle moschee e nei centri islamici italiani, essendo promossa e revisionata dall'UCOII. Secondo il giornalista (ora politico) arabo Magdi Allam, convertitosi per qualche tempo al Cattolicesimo dal natio Islam, prima di entrare in aperto contrasto con la politica vaticana, la versione di Piccardo sarebbe caratterizzata da "terrificanti commenti anticristiani, antiebraici, antioccidentali e lesivi della piena dignità della donna e, più in generale, dei diritti fondamentali della persona" e questo non farebbe che istigare all'odio e alla violenza i musulmani italiani, sfavorendo la pacifica convivenza tra persone di fedi diverse. Un esempio delle differenze tra le due correnti di pensiero (occidentale e orientale) nelle traduzioni è contenuto nel successivo paragrafo.

Prima di pontificare su quanto sia violenta la religione islamica, è bene riflettere sui risultati di un’analisi condotta sul contenuto della Bibbia e del Corano da parte di Tom Anderson, informatico e data scientist. Lo studio di Anderson mostra che la Bibbia (l’Antico Testamento, per la precisione) contiene quasi il doppio della violenza, in termini di omicidi, guerre, stragi e distruzioni, rispetto al testo sacro dell’Islam. “Il mio progetto”, ha spiegato Anderson, “cerca di approfondire la questione della violenza intrinseca apparentemente propagandata dalla religione islamica rispetto alle altre religioni maggiori”. Le cose, a quanto pare, non stanno così.

Per dimostrarlo, Anderson ha sviluppato un algoritmo, che ha chiamato Odin Text, con il quale ha analizzato la Bibbia e la versione inglese del Corano (nell’edizione del 1957). Il software ha analizzato i tre libri (Vecchio Testamento, Nuovo Testamento e Corano) in meno di tre minuti, classificandone i contenuti in otto emozioni (gioia, attesa, rabbia, disgusto, tristezza, sorpresa, paura/ansia, fiducia) e svelando che la Bibbia pende verso la rabbia molto più del Corano.

Un’analisi più approfondita ha mostrato, inoltre, che il Vecchio Testamento è decisamente più violento del Nuovo e molto più violento del Corano.

“Dei tre testi, il Vecchio Testamento sembra essere di gran lunga il più violento”, spiega l’autore della ricerca. “Si fa riferimento più spesso (2,8% delle parole totali del libro) a omicidi e distruzione nel Nuovo Testamento che nel Corano (2,1%), ma il Vecchio Testamento, con il 5,3%, è nettamente superiore. In ogni caso”, sottolinea ancora Anderson, “voglio che sia chiaro che non è mia intenzione provare, né smentire, che l’Islam sia più o meno violento delle altre religioni, anche perché esistono altri libri, che io non ho considerato, nelle rispettive letterature sacre di riferimento”.




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lunedì 7 dicembre 2015

LA FESTA DELL'IMMACOLATA

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« Quando non esistevano gli abissi, io fui generata;
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua. »   (Proverbi 8,24)
« Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia »   (Cantico 4,7)

L'Immacolata Concezione è un dogma cattolico, proclamato da papa Pio IX l'8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus, che sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, tale dogma non va confuso con il concepimento verginale di Gesù da parte di Maria. Il dogma dell'Immacolata Concezione riguarda il peccato originale: per la chiesa Cattolica infatti ogni essere umano nasce con il peccato originale e solo la Madre di Cristo ne fu esente: in vista della venuta e della missione sulla Terra del Messia, a Dio dunque piacque che la Vergine dovesse essere la dimora senza peccato per custodire in grembo in modo degno e perfetto il Figlio divino fattosi uomo.

La Chiesa cattolica celebra la solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria l'8 dicembre. Nella devozione cattolica l'Immacolata è collegata con le apparizioni di Lourdes (1858) e iconograficamente con le precedenti apparizioni di Rue du Bac a Parigi (1830).

Il Cattolicesimo vede in alcuni testi biblici non una prova, quanto un'avvisaglia di quella che sarà la dottrina del magistero. Bisogna ricordare che, secondo la teologia cattolica, la scrittura non è l'unica fonte della fede: anche la Tradizione della Chiesa è luogo teologico.

Nell'Antico Testamento, il cosiddetto Protovangelo della salvezza presenta la donna (Eva) come prefigurazione di Maria:

« Io porrò inimicizia tra te e la donna,
tra la tua stirpe
e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno »   (Genesi 3,15)

Maria ponendosi al servizio di Dio, permette l'entrata del Salvatore nel mondo (Luca 1,38). Maria quindi, nella lettura tradizionale della Chiesa, partecipa, anche se in forma subordinata, alla vittoria di Cristo sul peccato.

Nel Nuovo Testamento il passo principale che la tradizione cattolica ritiene spiegabile soltanto ammettendo l'Immacolata Concezione è il saluto rivolto dall'arcangelo Gabriele a Maria:

« Rallegrati, piena di grazia »   (Luca 1,28)

Il Protovangelo di Giacomo, composto tra il 140 e il 170, contiene l'idea che Maria fosse una persona "speciale" sin dal concepimento. Il testo presenta il concepimento di Maria come una grazia divina, anticipata da un angelo ai suoi genitori (cc. 1-5). L'infanzia di Maria (cc. 6-8) è estremamente pia, ella viene allevata nel tempio di Gerusalemme dai 3 ai 12 anni, dove "riceveva il vitto per mano di un angelo".

Nonostante il Protovangelo, per la sua tardività e il suo stile agiografico e leggendario, difficilmente possa basarsi su fondati elementi storici, esso sembra rappresentare «una prima presa di coscienza intuitiva e mitica della santità perfetta e originale di Maria nella sua stessa concezione».

Sulla base della narrazione del Protovangelo, la liturgia e la devozione della Chiesa greco orientale ha attribuito dall'antichità a Maria il titolo di Panaghìa, "tutta santa".

Agostino d'Ippona (354 - 430) è il primo teologo che parla della natura perfetta e speciale di Maria. Il suo pensiero va contestualizzato nella polemica anti-eretica che lo vide coinvolto: Pelagio e i suoi discepoli tendevano a ridimensionare il ruolo del peccato originale nella condotta morale dell'uomo e Agostino rispose indicando l'umanità come una "massa dannata", concetto poi ripreso nella riflessione dei padri della Riforma, in particolare Calvino. Da questo pessimismo antropologico però Agostino dissocia Maria: «...la pietà impone di riconoscere Maria senza peccato. Per l'onore del Signore Maria non entra assolutamente in questione quando si parla di peccati».

In oriente sono diversi i padri greci che, come Agostino, attribuiscono una speciale natura a Maria. Proclo di Costantinopoli (m. 446-7) scrive che Maria «...è il santuario dell'impeccabilità, il tempio santificato di Dio, il paradiso verdeggiante e incorruttibile». Theoteknos di Livia (VII sec.) la definisce «...tutta bella, pura e senza macchia. Nasce come i cherubini colei che è fatta di argilla pura e immacolata». Andrea di Creta (m. 740) scrive che «...il corpo della Vergine è una terra che Dio ha lavorato, la primizia della massa adamitica che è stata divinizzata nel Cristo, l'immagine del tutto somigliante della bellezza divina, l'argilla modellata dalle mani dell'artista divino». Sofronio di Gerusalemme dichiara Maria «...pura, santa, senza macchia, risplendente, dai sentimenti divini, santificata, libera da tutte le lordure del corpo, del pensiero, dell'anima.»

In occidente, secoli dopo Agostino, Pascasio Radberto (m. c.a 865) scrive che Maria "è stata esente da ogni peccato originale". In seguito il benedettino inglese Eadmero (circa 1064-1124), commentando la diffusione della festa liturgica dell'Immacolata che era osteggiata da alcuni ecclesiastici, "mosso dall'affetto della pietà e della sincera devozione per la madre di Dio" si pronuncia per la concezione di Maria libera da ogni peccato: "Non poteva forse (Dio) conferire a un corpo umano di restare libero da ogni puntura di spine, anche se fosse stato concepito in mezzo ai pungiglioni del peccato? È chiaro che lo poteva e lo voleva; se lo ha voluto lo ha fatto (potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit)".

Con la teologia scolastica medievale inizia la discussione sulle effettive modalità con cui descrivere teologicamente il concetto per cui Maria era senza peccato: i teologi precedenti, orientali e latini, sono concordi nell'affermarlo, ma non entrano nel merito della ragione teologica, lasciando dunque la cosa come una sorta di eccezione ad hoc immotivata, lasciando in filigrana il contrasto col dogma della natura umana universalmente corrotta e con la redenzione universale operata da Cristo.

Anselmo d'Aosta (m. 1109) sostenne che Maria, concepita come tutti gli uomini nel peccato originale, fu anticipatamente redenta da Cristo, prima della nascita del Salvatore. La redenzione anticipata di Anselmo è sostanzialmente ripresa dai grandi teologi scolastici: Bernardo di Chiaravalle (m. 1153); Alessandro di Hales (m. 1245); Alberto Magno (m. 1280); Tommaso d'Aquino (m. 1274); Bonaventura (m. 1274).



È solo con Duns Scoto (m. 1308), poi detto "Dottore dell'Immacolata", che prende forma il dogma come poi fu fissato dal magistero: il teologo francescano sostiene non la "redenzione anticipata" di Anselmo e degli scolastici, ma la "redenzione preventiva" o "preservativa". Diversamente dai predecessori infatti non dice che Maria fu concepita nel peccato originale e poi redenta, ma che fu concepita senza peccato originale. Il suo ragionamento ribaltò i termini della questione: Maria non fu un'anomala eccezione (o un caso anticipato) dell'opera redentiva di Cristo, ma la conseguenza della più perfetta ed efficace azione salvifica dell'unico mediatore. Scrive Scoto: "Cristo esercitò il più perfetto grado possibile di mediazione relativamente a una persona per la quale era mediatore. Ora, per nessuna persona esercitò un grado più eccellente che per Maria. Ma ciò non sarebbe avvenuto se non avesse meritato di preservarla dal peccato originale".

Nei secoli successivi i teologi cattolici furono sostanzialmente divisi sulla questione: a grandi linee, i domenicani sostenevano la redenzione anticipata degli scolastici ("macolisti"), mentre i francescani sostenevano la redenzione preventiva di Scoto ("immacolisti").

Nei primi decenni del XIV secolo le controversie si erano ormai accese.

Tra il 1320 e il 1321 ebbe luogo alla Sorbona una disputa tra uno dei discepoli di Scoto, Francesco de Mayronis († 1328), e il benedettino Pietro Roger, che sarebbe poi divenuto papa con il nome di Clemente VI († 1352). Gli animi si scaldavano tra chi difendeva Scoto e chi lo accusava di eresia.

Così un carmelitano, Giovanni Baconthorp († 1345), scriveva:

« La beata Vergine, in quanto figlia di Adamo, contrasse di fatto il peccato originale.  Aggiungo questo contro alcuni, si pensi a Scoto, il quale dice che la beata Vergine non contrasse il peccato originale; e contro l'opera dell'Aureolo. »
(Quodlibet, III, q. 12; Venetiis, 1527, f. 57vb)
Nel 1387 il domenicano Giovanni da Montesono († 1412) cominciò ad insegnare alla Sorbona che la tesi sull'Immacolata Concezione era nettamente contraria alla fede della Chiesa. Ciò diede vita ad una disputa con il francescano Andrea di Novocastro († 1380) e suscitò l'opera del suo confratello Giovanni Vidal, Defensorium Beatae Mariae Virginis Adversus Joannem de Montesono, che causò l'intervento di trenta teologi della Sorbona; costoro, dopo aver preso in considerazioni gli argomenti dei due maestri, giudicarono la tesi del domenicano «scandalosa, presuntuosa e offensiva», obbligandolo a ritrattare.

Ma né la condanna, né la minaccia di scomunica da parte di Pietro d'Orgemont, vescovo di Parigi, riuscirono a far ritrattare il Monzón, che, pur ricorrendo a papa Clemente VII († 1394), ottenne solo condanne.

In ogni caso, i trenta teologi parigini, che sostenevano come "possibile" l'opinione immacolatista, riconoscevano anche l'autorevolezza che si deve avere nei confronti della teologia dell'Aquinate. Questa prudente posizione cercava di tutelare la libertà di pensiero di fronte ad un argomento non ancora definito dalla Chiesa, ma contemporaneamente ammetteva l'importanza del pensiero di San Tommaso. In effetti, è da questo momento che l'Aquinate divenne il "maestro" degli avversari dell'Immacolata Concezione, e sembra anche che si possa far risalire a questo evento la nascita ufficiale della "scuola scotista dell'Immacolata"; ebbero cioè inizio le due correnti teologiche degli Scotisti e dei Tomisti.

Le discussioni continuarono nel 1400, inaugurando tra i teologi cattolici un periodo di discussioni tanto intense e durature da ispirare artisti del secolo successivo (come Sogliani, nel 1521; o Toschi, Portelli) per la rappresentazione di quadri allegorici nominati, appunto, Disputa sull'Immacolata Concezione. Nel 1566 il succitato Carlo Portelli dipinse una chiara Immacolata Concezione per ribadire il concetto teologico, che però non trovò conferma ufficiale per altri tre secoli.

Lungo i secoli la posizione del magistero è stata prudente: per quanto il chiaro e definitivo pronunciamento pontificio si ebbe solo nel 1854, furono diversi gli interventi a favore della posizione immacolista.

Papa Sisto IV (m. 1484) introdusse a Roma la festa liturgica della Concezione. Sul piano dogmatico non si pronunciò, ma con le bolle Cum Praeexcelsa (1477) e Grave Nimis (1482) proibì a macolisti e immacolisti di accusarsi vicendevolmente di eresia. Papa Alessandro VII emanò nel 1661 la bolla (che non ha l'autorevolezza e il significato teologico dell'enciclica) Sollicitudo, dove si dice a favore dell'Immacolata Concezione. Clemente XI nel 1708 rende universale la festa dell'Immacolata, già localmente celebrata a Roma e in altre zone della cristianità.

Nel 1848 Pio IX mostra l'intenzione di chiudere la questione in maniera autorevole e definitiva. Istituisce una commissione di teologi e una di cardinali, dalle quali però emerge il parere contrastante circa l'Immacolata. Anche Rosmini, pur ritenendola "moralmente sicura", sconsiglia di definirla dogmaticamente. Il Papa decide allora di valutare il parere collegiale dei vescovi, che nella tradizione cattolica ha valore magisteriale subordinato a quello pontificio, e lo fa con l'enciclica Ubi Primum del 1849. 546 dei 603 vescovi consultati si dichiarano a favore del dogma. Il Papa fa preparare la bozza dell'enciclica, che dopo 8 redazioni viene promulgata l'8 dicembre 1854 col nome Ineffabilis Deus.

Queste sono le parole che concludono l'enciclica e proclamano solennemente il dogma:

« declaramus, pronuntiamus et definimus, doctrinam quae tenet beatissimam Virginem Mariam in primo instanti suae conceptionis fuisse singulari omnipotentis Dei gratia et privilegio, intuitu meritorum Christi Iesu Salvatoris humani generis, ab omni originalis culpae labe praeservatam immunem, esse a Deo revelatam atque idcirco ab omnibus fidelibus firmiter constanterque credendam. »
(dichiariamo, affermiamo e definiamo la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli.)
Il dogma non afferma solamente che Maria è l'unica creatura ad essere nata priva del peccato originale - e ciò fin da 40 settimane prima della sua nascita, e cioè dal momento del suo concepimento da parte dei genitori, Anna e Gioacchino - ma aggiunge altresì che Maria, in quanto ritenuta madre di Dio, per speciale privilegio non ha commesso nessun peccato, né mortale né veniale, in tutta la sua vita.

La dottrina attuale della Chiesa è che Dio conferisca l'anima alla persona umana non appena essa si forma, nel suo primissimo istante, e cioè al momento del concepimento. La dottrina sull'Immacolata Concezione di Maria dà forza, nella visione cattolica, al pensiero della Chiesa sugli embrioni, ritenuti persone umane a tutti gli effetti, dotati di anima.

Il convincimento della Chiesa in ordine alla preservazione di Maria dalla macchia del peccato originale è relazionato a questa riflessione: non sarebbe stato "conveniente" che il Figlio di Dio si incarnasse nel grembo di una donna se questa non fosse stata perfettamente monda da qualsiasi peccato.

A differenza dell'apertura verso la dottrina dell'Assunzione, questo dogma non è condiviso dalle altre confessioni cristiane (con la parziale eccezione della Chiesa ortodossa che però si limita a non negarlo) in quanto da queste considerato in disaccordo con le Scritture e non supportato dalla Tradizione.

Molte persone credono erroneamente che l’immacolata concezione si riferisca alla concezione di Gesù Cristo. La concezione di Gesù fu nel modo più assoluto immacolata… ma questo concetto non si riferisce affatto a Gesù. L’immacolata concezione è una dottrina della Chiesa Cattolica Romana nei riguardi di Maria, la madre di Gesù. Una formulazione ufficiale della dottrina recita: “…la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale”. In buona sostanza, l’immacolata concezione è la dottrina secondo cui Maria fu protetta dal peccato originale, non aveva una natura di peccato ed era, di fatto, senza peccato.

Il problema di questa dottrina dell’immacolata concezione è che non è insegnata nella Bibbia. La Bibbia non descrive mai Maria come qualcosa di diverso da una donna umana normale che Dio scelse come la madre del Signore Gesù Cristo. Maria fu indubbiamente una donna santa (Luca 1:28). Maria fu sicuramente una moglie e una madre meravigliosa. Gesù amava Sua madre e se ne prendeva certamente cura (Giovanni 19:27). La Bibbia non ci dà alcun motivo di credere che Maria fosse senza peccato. In effetti, la Bibbia ci dà tutti i motivi per farci credere che Gesù Cristo sia l’unica Persona a non essere stata “infettata” dal peccato e a non aver mai commesso peccato (Ecclesiaste 7:20; Romani 3:23; 2 Corinzi 5:21; 1 Pietro 2:22; 1 Giovanni 3:5).



La dottrina dell’immacolata concezione scaturì dalla confusione sul modo in cui Gesù Cristo potesse essere nato senza peccato pur essendo stato concepito all’interno di una donna peccatrice. Si pensava che, se Maria fosse stata una peccatrice, Gesù avrebbe ricevuto una natura peccaminosa da lei. In contrasto con l’immacolata concezione, la soluzione biblica a questo problema sta nel comprendere che Gesù stesso fu protetto miracolosamente dall’essere contaminato dal peccato mentre era dentro il grembo di Maria. Se Dio fosse stato capace di proteggere Maria dal peccato, non sarebbe stato capace di proteggere Gesù? Pertanto, il fatto che Maria sia stata senza peccato non è né necessario né biblico.

La Chiesa Cattolica Romana sostiene che l’immacolata concezione è necessaria perché, senza di essa, Gesù sarebbe stato l’oggetto della Sua stessa grazia. Il ragionamento è questo: se Gesù fosse stato preservato miracolosamente dal peccato — il che sarebbe stato esso stesso un atto di grazia —, ciò avrebbe significato che, in buona sostanza, Dio aveva “graziato Se stesso”. Il termine grazia significa “favore immeritato”. Grazia significa dare a qualcuno qualcosa che non merita. Il fatto che Dio abbia operato un miracolo nel preservare Gesù dal peccato non è stato un atto di “grazia”. In nessun senso Gesù avrebbe mai potuto essere infettato dal peccato. Egli era umanità perfetta e senza peccato unita a divinità senza peccato. Dio non poteva essere infettato o contaminato dal peccato in quanto è perfettamente santo. Questa stessa verità si applica a Gesù. Non ci volle “grazia” per proteggere Gesù dal peccato. Essendo Dio incarnato, Gesù era nella Sua essenza “immune” dal peccato.

Pertanto, la dottrina dell’immacolata concezione non è né biblica né necessaria. Gesù fu concepito miracolosamente dentro Maria, che a quel tempo era vergine. Questo è il concetto biblico della nascita verginale. La Bibbia non suggerisce nemmeno che vi fosse qualcosa di speciale nella concezione di Maria. Se esaminiamo questo concetto in modo logico, anche la madre di Maria avrebbe dovuto essere concepita in modo immacolato. Come avrebbe potuto, Maria, essere stata concepita senza peccato se sua madre fosse stata peccatrice? Si sarebbe dovuto dire lo stesso della nonna di Maria, della bisnonna e così via. Perciò, in conclusione, l’immacolata concezione non è un insegnamento biblico. La Bibbia insegna la miracolosa nascita verginale di Gesù Cristo, non l’immacolata concezione di Maria.

Il dogma fu promulgato nella Cappella Sistina dal beato Pio IX l’8 dicembre 1854. Il Pontefice, durante il suo esilio in Gaeta (1849-1851) – dovuto alla Rivoluzione mazziniana che nel 1848-1849 aveva portato alla costituzione della Seconda Repubblica Romana, per sua natura massonica e anticristiana – aveva fatto voto in una cappella dedicata all’Immacolata che, qualora avesse ricevuto la grazia del ritorno a Roma e del ripristino dell’ordine cristiano nell’Europa allora sconvolta dalla Rivoluzione, avrebbe appunto impegnato tutto se stesso nell’attuazione della proclamazione del gran dogma mariano. Come Pio IX ebbe poi a dire, sentì tale esigenza come una chiamata interiore, che ricevette mentre era assorto in preghiera dinanzi all’immagine dell’Immacolata.

Si attese il XIX secolo per promulgare tale dogma perché è un dogma di approfondimento della Rivelazione (approfondimento vuol dire che è comunque contenuto implicitamente nella Rivelazione) per cui era naturale che tale approfondimento avvenisse nel corso della storia.
Tale dogma fu una risposta all’influenza illuminista (prima) e positivista (poi) che affermavano una sorta di “immacolata concezione” dell’uomo. Si tratta del mito del buon selvaggio secondo cui l’uomo sarebbe in natura buono ma poi verrebbe rovinato dalle strutture sociali. La conseguenza di questa errata antropologia era il ritenere che la soluzione di ogni male non stesse prima di tutto nella conversione del cuore dell’uomo ma solo nella teorizzazione di ideologie rivoluzionarie e utopiche atte a realizzare una sorta di “paradiso sulla terra.
Ebbene, il dogma dell’Immacolata Concezione nel 1854 e la sua conferma venuta dall’Alto che si avrà quattro anni dopo a Lourdes (La Vergine si presentò a Bernadette con queste testuali parole: “Io sono l’Immacolata Concezione”), furono una risposta cattolica a questo errore. Se la Vergine Maria è stata concepita immacolatamente vuol dire che tutti gli altri uomini nascono macchiati dal peccato. E la salvezza non ci viene dalla scienza o dal progresso, ma solo dalla grazia divina e dalla nostra adesione – di fede e di opere – alla Redenzione di Cristo.
Occorre aggiungere anche che il fatto che si sia atteso tanto tempo prima di promulgare il dogma, è fattore ulteriormente accertativo della validità della decisione di Pio IX, in quanto fu frutto di secolari discussioni teologiche, che, pur basate su iniziali posizioni distanti, portarono però alla scoperta della verità sulla materia del dogma.
Inoltre, un altro fattore decisivo, era costituito dal fatto che ormai già da secoli, ovunque nella cattolicità, si venerava Maria anche sotto il titolo di Immacolata, e centinaia erano le cappelle già consacrate al suo immenso privilegio. Proprio in una di queste, come detto, il beato Pio IX ebbe la suggestione di giungere alla grande epocale decisione del dogma.

Per sottolineare l'importanza del dogma la Chiesa cattolica celebra l'8 dicembre la solennità dell'Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria con la Messa Gaudens gaudebo. Questa festività era già celebrata in Oriente nel secolo VIII, e venne importata nell'Italia meridionale da monaci bizantini. In Sicilia, in particolar modo, il tema dell'Immacolata Concezione fu accolto subito e divenne molto sentito ancora prima della definizione del dogma. Nel 1439, al Concilio di Basilea era stato l'arcivescovo di Palermo a sostenere che Maria era stata concepita senza peccato. Il canonico e storico Mongitore racconta che addirittura già nel 1323 la Conceptioni di Maria era festa di precetto a Palermo, attestando in tal modo che la sua devozione nel capoluogo siciliano risultava persino allora così antica da «non sapersi l'incominciamento». Il Senato dell'isola fece voto di difendere la dottrina dell'Immacolato Concepimento e si impegnò ad onorarne la festa con una degna celebrazione. Ebbe così origine il «rito delle cento onze», somma donata al convento di San Francesco inizialmente per arredare la cappella dell'Immacolata, uno dei momenti identitari della città di Palermo. Il Senato (oggi il Comune) rinnovava ancora ogni anno il solenne Voto sanguinario, pronunciato per la prima volta nel 1624 e comune a gran parte dell'isola, giurando con un verbale di spargere il proprio sangue per la difesa dell'Immacolata, primaria e principale Patrona della Città e dell'Arcidiocesi di Palermo, divenuta patrona massima della Regione Siciliana. Dal meridione il culto per l'Immacolata si propagò poi a tutto l'Occidente, soprattutto su iniziativa degli ordini religiosi benedettini e carmelitani. Fu inserita nel calendario della Chiesa universale da papa Alessandro VII con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum dell'8 dicembre 1661.



Nonostante il dogma cattolico sarà proclamato solo nel lontano 8 dicembre 1854 da papa Pio IX, San Francesco Antonio Fasani (1681-1742) fu devotissimo dell’Immacolata Concezione e lui stesso spesso si definiva "il peccatore dell'Immacolata".

L'8 dicembre del 1857, papa Pio IX, inaugurò e benedisse a Roma, il monumento dell'Immacolata, detto di Piazza di Spagna, in realtà nell'adiacente Piazza Mignanelli, monumento interamente pagato dal re di Napoli Ferdinando II.

Papa Pio XII, nel giorno dell'Immacolata Concezione, ha iniziato a inviare dei fiori come omaggio alla Vergine; il suo successore, papa Giovanni XXIII, nel 1958, uscì dal Vaticano e si recò personalmente in Piazza di Spagna, per deporre ai piedi della Vergine Maria un cesto di rose bianche, e successivamente fece visita alla basilica di Santa Maria Maggiore. Tale consuetudine è stata continuata anche dai papi successivi.

La visita in Piazza di Spagna prevede un momento di preghiera, quale espressione della devozione popolare. L'omaggio all'Immacolata prevede il gesto della presentazione dei fiori, la lettura di un brano della Sacra Scrittura e di un brano della Dottrina della Chiesa cattolica, preghiere litaniche e alcuni canti mariani, tra cui il Tota pulchra.


Il tema dell'Immacolata Concezione iniziò ad apparire in opere artistiche fin da quando si accese il dibattito, che vedeva schierati da una parte i Francescani e le ramificazioni dell'Ordine benedettino, legate al pensiero di Anselmo d'Aosta e Bonaventura da Bagnoregio, e dall'altra i domenicani, legati alla trattazione offerta da Tommaso d'Aquino.

Inizialmente il tema veniva affrontato dagli artisti gotici in maniera "criptica", dove cioè si rimandava allo spettatore la conclusione, mettendo magari una serie di simboli e metafore facilmente decodificabili. Nel XV secolo le opere d'arte divennero più evidenti, propendendo per una o l'altra ipotesi, ben comprensibile dalla lettura di elementi che chiarivano l'intervento divino in taluni episodi della vita di Anna e Gioacchino e dell'infanzia della Vergine. Più coraggiose furono le opere legate al tema della Disputa sull'Immacolata Concezione, dove gli artisti ritraevano, caso più unico che raro nell'arte sacra, il parere contrastante dei dottori della Chiesa: ne è un esempio la tavola agli Uffizi di Piero di Cosimo.

Con la Controriforma venne stabilita l'iconografia fissa legata al concetto dell'Immacolata, che sarà quella ratificata dal dogma.




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domenica 13 settembre 2015

GLI EBREI NELLA STORIA

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Secondo la tradizione ebraica, la discendenza ebraica viene fatta risalire ai patriarchi biblici Abramo, Isacco e Giacobbe che vissero a Canaan verso il XVIII secolo p.e.v.. Storicamente, gli ebrei discendono in gran parte dalle Tribù di Giuda e Simeone, e parzialmente da altre tribù israelite, specialmente quelle di Beniamino e Levi, che insieme avevano formato l'antico Regno di Giuda e il Regno di Israele. La prima menzione di Israele come popolo è stata rinvenuta iscritta sulla Stele di Merneptah che risale agli anni 1213-1203 p.e.v.

Dato l'incontro-scontro degli Ebrei con i grandi imperi dell'antichità (Egizio, Assiro, Babilonese, Persiano, Macedone) è possibile rintracciare nelle loro fonti storiche alcuni fugaci accenni a questo popolo. Per il periodo attorno all'inizio dell'era cristiana, in concomitanza con l'incontro-scontro con l'Impero Romano, sono preziosissimi gli scritti di Giuseppe Flavio.

In seguito la storia degli Ebrei si fonde con quella dell'occidente cristiano e con la sua storiografia.
La storia degli ebrei e dell'ebraismo si può dividere in cinque periodi: Antico Israele prima del giudaismo, dagli inizi fino al 586 p.e.v.; inizio del giudaismo nei secoli VI e V p.e.v.; la formazione dell'ebraismo rabbinico dopo la distruzione del Secondo Tempio nel 70 e.v.; l'età dell'ebraismo rabbinico, dall'ascesa del cristianesimo al potere politico sotto l'imperatore Costantino il Grande nel 312 e.v. alla fine dell'egemonia politica del cristianesimo nel XVIII secolo; l'età dell'ebraismo differenziato, dalla rivoluzione francese e americana al presente.

La storia dei figli d'Israele inizia millenni avanti Cristo e continua sino a oggi: è un racconto avvincente, diverso da quello di ogni altro popolo. Gli Ebrei chiamano la storia toledot, una parola che in ebraico significa "generazioni": il passato è per loro come una lunga catena in cui ogni individuo costituisce un anello, piccolo ma indispensabile perché essa non si spezzi.

Gli Ebrei non sono una razza, e nemmeno i seguaci di una determinata religione. Costituiscono invece un popolo, che condivide una storia, un'identità spirituale e di fede (giudaismo).

La Bibbia racconta il cammino dell'uomo verso la fede in un unico Dio creatore dell'Universo e giudice. Abramo è fra i primi a ricevere la cosiddetta rivelazione, la parola di Dio, cioè, che dall'alto dei cieli gli parla e gli ordina che cosa fare. Il Dio della Bibbia è invisibile e inconoscibile, non va raffigurato per rispetto dell'immensa distanza che separa l'uomo da lui. Anche per questo, forse, Abramo è chiamato ivrih, una parola che probabilmente in origine significava "colui che sta dall'altra parte", "che ha attraversato".

Gli Ebrei sono detti dalla Bibbia anche figli d'Israele, o Israeliti: Israele è infatti il nome che prende Giacobbe, nipote di Abramo (perché figlio di Isacco suo figlio), dopo aver udito anch'egli la chiamata divina. Giacobbe è il capostipite delle dodici tribù (o grandi famiglie) che compongono il popolo ebraico: dalle due mogli, Lea e Rachele, e dalle serve Bila e Zilpa, Giacobbe ebbe infatti i dodici figli che diedero il nome alle tribù.

Partiamo dalle origini, cioè da quel lungo viaggio che Dio ordina ad Abramo: "vai per questa strada che ti dirò, verso una destinazione che ancora non conosci" gli dice Dio con una voce che viene da dentro Abramo stesso. È il racconto narrato nel primo libro della Bibbia, la Genesi. In cambio dell'obbedienza, il Signore fa una promessa ad Abramo, che ripeterà varie volte nel corso della lunga vita di questo patriarca: "renderò la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia sulla riva del mare".



L'altro momento cruciale delle origini è quello che ogni anno gli Ebrei celebrano con la festa di Pesach, cioè la Pasqua ebraica, che rievoca la conquista della libertà e l'esodo, cioè l'uscita dall'Egitto. Questo racconto è narrato nel secondo libro della Bibbia, detto dell'Esodo. Dopo molte vicissitudini, gli Egizi lasciarono uscire gli Ebrei, trattenuti nel loro paese. In quella notte Dio passò sull'Egitto e poi sul Mar Rosso, che si aprì davanti alle tribù guidate da Mosè, in fuga verso la libertà, e la terra promessa. Per quarant'anni, narra la Bibbia, gli Ebrei vagarono per il deserto, ricevettero la rivelazione dei comandamenti sul Sinai, e attesero di poter entrare nella terra che Dio aveva loro assegnato. Dietro questo mito delle origini c'è probabilmente la realtà storica di un'ondata migratoria verificatasi a cavallo della preistoria.

Dopo la conquista della terra promessa da parte delle tribù d'Israele, il paese è governato dai giudici e successivamente viene l'era della monarchia, con Saul, Davide e Salomone che si succedono al trono. Alla morte di Salomone, il sovrano che passò alla storia per le sue ricchezze, il suo potere e la sua saggezza, il regno però si divise in due: uno del Nord, che comprendeva dieci delle dodici tribù, e uno del Sud, con capitale Gerusalemme. Il territorio era infatti diviso in piccole regioni, ciascuna delle quali assegnata ai discendenti dei figli di Giacobbe.

Fra i momenti della storia ebraica destinati a lasciare ancora una volta un segno nella memoria del popolo vi è l'esilio di Babilonia. All'inizio del 6° secolo a.C. il regno del Sud, che comprende i territori delle tribù di Giuda e Beniamino e ha per capitale Gerusalemme, viene conquistato da Nabucodonosor, sovrano di Babilonia, il quale non si limita a prendere il potere, ma deporta gran parte della popolazione. Il regno del Nord, quello che comprendeva i territori delle altre dieci tribù, era già stato sconfitto e i suoi abitanti deportati anni addietro a opera di Salamanassar, re di Assur. Questi eventi sono narrati nel secondo libro dei Re della Bibbia. Finisce così l'epoca del Primo Regno in terra d'Israele, e comincia un breve esilio: grazie all'editto di Ciro (538 a.C.), infatti, una cinquantina d'anni dopo gli Ebrei poterono tornare alla loro terra. Dovranno passare alcuni secoli prima che il popolo ebraico viva di nuovo due svolte fondamentali.

Una prima svolta importante fu la predicazione di Gesù: un ebreo vissuto nella Palestina di allora che ha cambiato il volto del mondo. Il nome Palestina deriva probabilmente da quello dei Filistei, una popolazione di stirpe fenicia che viveva sulle coste. I primi cristiani, seguaci del messaggio di Gesù, furono Ebrei che vivevano all'epoca in quella terra e in altre regioni del Mediterraneo.

L'altro evento fu la conquista della regione da parte dei Romani, che arrivarono, dopo lunghe e travagliate successioni di potere, alla fine dell'epoca ellenistica. Conquistata la terra d'Israele, i Romani si trovarono di fronte a una situazione molto delicata e a un popolo ‒ quello ebraico ‒ piccolo ma estremamente difficile da domare. E soprattutto ben deciso a non prestare culto alle divinità pagane: furono anni di lotte, rivolte, disordini, finché nel 70 d.C. l'imperatore Tito decise di risolvere drasticamente la situazione, distruggendo il Tempio di Gerusalemme, l'unico luogo di culto in cui gli Ebrei offrivano sacrifici e preghiere al loro Dio, mettendo a fuoco tutta la città e cacciando il popolo ebraico dalla sua terra. In questa data precisa inizia dunque la seconda diaspora, che è esilio e dispersione al tempo stesso: cacciati dalla loro terra, gli Ebrei si sparpagliarono per il mondo, incominciando dalle città dell'Impero Romano.

Nella diaspora gli Ebrei hanno costituito delle piccole comunità: bisognava organizzare la liturgia (con la distruzione del Tempio, unico luogo di culto a Dio, la preghiera sostituì la pratica di offerte e sacrifici), garantire la distribuzione della carne macellata secondo le norme scritte nella Bibbia, provvedere all'istruzione dei bambini. La comunità è detta in ebraico qehillah ed è come una piccola società con le sue regole, all'interno della società più grande che detiene il potere.

Quando infatti il cristianesimo comprese che per diffondersi fra le genti era necessario penetrare nella civiltà romana, abbandonando il fronte dei vinti ‒ gli Ebrei sconfitti e privati della propria nazione ‒ per quello dei vincitori, rinnegò le proprie origini e iniziò a diffondere il disprezzo per la radice ebraica.

Furono secoli di cosiddetto antigiudaismo. Per un verso questo popolo doveva sopravvivere perché era il testimone della passione di Gesù Cristo; per l'altro era considerato colpevole di un delitto imperdonabile: la morte di Dio in croce, della quale erano invece storicamente responsabili i Romani che allora dominavano il paese. In questo modo gli Ebrei avevano rifiutato la rivelazione.

La diaspora, la dispersione del popolo ebraico, divenne così il marchio infamante, la dimostrazione della loro dannazione. La teologia e la politica, la letteratura e la fede contribuirono a diffondere questa immagine negativa degli Ebrei. Fra i tanti eventi di questa storia si possono ricordare le Crociate, che nel Medioevo fecero molte vittime innocenti: i combattenti diretti a liberare la terra santa dagli infedeli islamici che all'epoca la governavano, passando per l'Europa uccisero moltissimi Ebrei e incendiarono e distrussero le loro case.

Nel 1492 gli Ebrei di Spagna, una comunità molto numerosa e fiorente, furono posti di fronte all'alternativa tra la conversione e l'esilio. Più o meno a quell'epoca si definì la distinzione fra Ebrei vissuti nelle aree del Mediterraneo e dell'Oriente, detti sefarditi (in ebraico Sefarad significa "Spagna"), e quelli che abitavano nell'Europa del Nord, detti ashkenaziti (Ashkenaz significa "Germania"), cui si deve la creazione di una lingua con la sua grande letteratura, l'yiddish. Gli Ebrei spagnoli parlavano invece il ladino, un miscuglio di antico spagnolo ed ebraico.

Pochi anni dopo la cacciata dalla Spagna nacque in Italia il primo ghetto, a Venezia. Da molti secoli, peraltro, gli Ebrei erano costretti ad abitare in determinati quartieri e non in altri, non potevano possedere case né terreni, avevano un'assai limitata libertà di movimento.

In molte città dell'Europa agli Ebrei era concesso di abitare solo a patto che svolgessero una attività professionale all'epoca proibita dalla Chiesa. Si trattava del prestito, su pegno o a interesse, esercitato dagli Ebrei attraverso i banchi (gli antenati delle banche). Questa attività a cui furono per lo più costretti è alla radice della diceria secondo cui gli Ebrei sono avari, attaccati al denaro: ma non avevano altra scelta!

Così vissero dunque per molti secoli, finché fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento iniziò il lungo cammino per l'emancipazione (cioè la liberazione) degli Ebrei. Un cammino fatto anche di passi indietro e difficoltà, che si completò solo nel 20° secolo. Finalmente accolti nella società degli altri, molti di loro si gettarono a capofitto in questa nuova esperienza, liberandosi di un passato travagliato. Questo spiega anche la conseguente affermazione di molti Ebrei nelle scienze, nelle arti, nella letteratura, nell'impresa e nella finanza: è lo slancio di entusiasmo da parte di un popolo sempre rifiutato, che ora vuole dimostrare a sé stesso e agli altri le proprie capacità e la propria riconoscenza per essere stato finalmente affrancato e accettato.



Durante il 1870 e il 1880 la popolazione ebraica d'Europa cominciò più attivamente a considerare l'immigrazione in Israele e il ristabilimento della nazione ebraica nella sua presupposta terra d'origine nazionale, compiendo così le profezie bibliche relative allo Shivat Tzion. Nel 1882 nacque il primo insediamento sionista — Rishon LeZion — fondato da immigrati che appartenevano al movimento "Hovevei Zion", o anche Hibbat Zion. In seguito, il movimento "Bilu" fondò molti altri insediamenti in terra di Israele.

Il movimento sionista venne fondato ufficialmente dopo la "Convenzione di Kattowitz" (1884) ed il "Congresso Sionista Mondiale (World Zionist Congress, 1897), e fu Theodor Herzl che iniziò la lotta per stabilire uno stato degli ebrei.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, sembrava che le condizioni per stabilire tale stato fossero maturate: il Regno Unito conquistò la Palestina dall'Impero Ottomano e gli ebrei ricevettero la promessa di una "Patria nazionale" dai britannici nella forma della Dichiarazione Balfour (1917), data a Chaim Weizmann.

Nel 1920 iniziò il Mandato britannico della Palestina e il Visconte Herbert Samuel fu nominato Alto Commissario della Palestina, l'Università Ebraica di Gerusalemme fu costituita e si verificarono diverse grandi ondate di immigrazione ebraica verso la Palestina. Tuttavia gli abitanti arabi della Palestina non amavano la crescente immigrazione ebraica e cominciarono ad opporsi con mezzi violenti al loro insediamento e alla politica filo-ebraica del governo britannico.

Bande di arabi iniziarono a compiere atti di violenza e omicidi contro i convogli e la popolazione ebraica. Dopo i tumulti arabi del 1920 e quelli di Jaffa del 1921, la leadership ebraica in Palestina credettero che gli inglesi non avessero alcun desiderio di confrontarsi con le bande arabe locali per i loro attacchi contro gli ebrei palestinesi. Credendo di non poter contare sull'amministrazione britannica per la protezione contro tali bande, la leadership ebraica creò l'organizzazione Haganah per proteggere le proprie aziende agricole e i kibbutz.

Altri disordini si verificarono nel 1929 e negli anni 1936-1939 avvenne la "grande rivolta araba di Palestina". A causa della crescente violenza il Regno Unito iniziò gradualmente a fare marcia indietro dall'idea originaria di uno Stato ebraico e di speculare su una soluzione binazionale o di uno Stato arabo con una minoranza ebraica.

Nel frattempo, gli ebrei d'Europa e degli Stati Uniti avevano successo nei campi della scienza, della cultura e dell'economia. Tra quelli generalmente considerati i più famosi, si annoveravano lo scienziato Albert Einstein e il filosofo Ludwig Wittgenstein. Un alto numero di Premi Nobel in questo periodo furono ebrei, fatto che accade tuttora. In Unione Sovietica, molti ebrei furono coinvolti nella Rivoluzione d'ottobre e appartenevano al partito comunista.

L'Olocausto che avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale provocò lo sterminio sistematico (genocidio) di circa sei milioni di ebrei europei da parte della Germania nazista.
Nel 1933, con l'ascesa al potere di Adolf Hitler e del partito nazista in Germania, la situazione ebraica divenne più severa. Le crisi economiche, le leggi razziali antisemite, e la paura di una guerra imminente portò molti ebrei a fuggire dall'Europa verso la Palestina, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica.

Nel 1939 iniziò la Seconda Guerra Mondiale e fino al 1941 Hitler occupò gran parte dell'Europa, inclusa la Polonia — dove milioni di ebrei vivevano a quell'epoca — e la Francia. Nel 1941, a seguito dell'invasione dell'Unione Sovietica, cominciò la "Soluzione finale della questione ebraica" (in lingua tedesca Endlösung der Judenfrage), una vasta operazione organizzata su una scala senza precedenti, finalizzata alla distruzione del popolo ebraico mediante la conseguente persecuzione e sterminio degli ebrei nell'Europa politica, che includeva il Nordafrica europeo (il Nordafrica pro-nazista di Vichy e la Libia italiana). Questo genocidio, in cui circa sei milioni di ebrei furono uccisi con metodo e crudeltà, è noto come "Olocausto" o Shoah. In Polonia più di un milione di ebrei vennero trucidati in camere a gas nel solo campo di concentramento di Auschwitz.

L'enorme scala della Shoah e gli orrori che accaddero in quel periodo, influenzarono pesantemente il popolo ebraico e l'opinione pubblica mondiale, che capirono le dimensioni dell'Olocausto solo dopo la guerra. Nel dopoguerra gli sforzi quindi aumentarono per stabilire uno stato ebraico in Palestina.

Dalla fine dell'800 nacque e si diffuse in particolare tra gli Ebrei europei il Sionismo, cioè il movimento di pensiero che mirava a ricostituire uno stato ebraico in Palestina.

Nel 1945 le organizzazioni di resistenza ebraica in Palestina si unirono e formarono il Movimento di Resistenza Ebraica chiamato anche United Resistance Movement (URM), che iniziò ad attaccare le autorità britanniche. A seguito dell'attentato dinamitardo al King David Hotel, Chaim Weizmann, presidente del World Zionist Organization ammonì il movimento di cessare tutte le attività militari fintantoché una decisione non venisse presa dall'Agenzia Ebraica. Questa sostenne la raccomandazione di Weizmann di cessare ulteriori attività belliche, decisione accettata con riluttanza dalla Haganah, ma non dall'Irgun e dall'Lehi. Il Movimento di Resistenza Ebraica venne smobilitato e ciascuno dei gruppi fondatori continuarono ad operare per conto proprio, secondo la propria politica.

La leadership ebraica decise di concentrare la lotta a sostegno dell'immigrazione clandestina in Palestina e cominciò ad organizzare massicce quantità di profughi di guerra ebrei provenienti dall'Europa, senza l'approvazione delle autorità britanniche. Tale immigrazione contribuì moltissimo agli insediamenti ebraici in Israele, sostenuti dall'opinione pubblica mondiale, e le autorità britanniche decisero di lasciare alle Nazioni Unite la decisione sul destino della Palestina. Il 29 novembre 1947, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 181(II: "Piano di partizione della Palestina") che raccomandava la partizione della Palestina in uno Stato arabo, uno Stato ebraico e la Città di Gerusalemme. I leader ebraici accettarono la decisione ma la Lega Araba ed i capi arabi palestinesi si opposero. Iniziarono quindi i conflitti israelo-palestinesi, con un periodo di guerra civile ed il conflitto del 1948.

Nel corso della guerra, dopo che le ultime truppe britanniche ebbero lasciato il suolo palestinese, David Ben-Gurion proclamò nel giorno 14 maggio 1948 (5 Iyar, 5708) la fondazione dello stato ebraico a Eretz Israel da conoscersi ufficialmente come "Stato di Israele", emettendo la Dichiarazione d'indipendenza israeliana. La guerra terminò nel 1949 e lo stato di Israele iniziò ad assorbire grandi quantità di ebrei da tutto il mondo, nell'ordine di centinaia di migliaia di immigranti.

Dal 1948 Israele è stato coinvolto in una serie di conflitti militari, tra cui la Crisi di Suez (1956), la Guerra dei Sei Giorni (1967), la Guerra del Kippur (1973), la Guerra del Libano (1982), la Guerra del Libano (2006), come anche una serie quasi costante di conflitti minori.

Dal 1977, una continua serie di iniziative diplomatiche e incontri al vertice, in gran parte senza successo, sono stati avviati da Israele, dalle organizzazioni palestinesi, dai loro vicini e altri soggetti, tra cui gli Stati Uniti e l'Unione europea, per giungere ad un processo di pace che possa risolvere i conflitti tra Israele ed i suoi vicini, e soprattutto la sorte del popolo palestinese.

Correntemente, Israele è una democrazia parlamentare con una popolazione di oltre 8 milioni di abitanti, di cui circa 6 milioni sono ebrei. Le maggiori comunità ebraiche sono in Israele e negli Stati Uniti, con grandi comunità anche in Francia, Argentina, Russia, Inghilterra e Canada.

La Oblast' autonoma ebraica, creata durante l'era sovietica, continua ad essere una Oblast' autonoma dello Stato Russo. Il Rabbino capo di Birobidzhan, Mordechai Scheiner, afferma che ci sono 4 000 ebrei nella capitale. Il Governatore Nikolay Mikhaylovich Volkov ha dichiarato che intende "sostenere tutte le iniziative meritevoli proposte dalle organizzazioni ebraiche locali". La Sinagoga di Birobidzhan è stata inaugurata nel 2004, nel 70º anniversario della fondazione della regione nel 1934.

Gli Ebrei sono un popolo dal destino molto particolare: un popolo che ha vissuto buona parte della sua storia disperso fra le altre genti, in mezzo a culture, lingue, regimi diversi. In Italia così come in Marocco, India, Argentina, Russia, Etiopia e tanti, tanti altri paesi del mondo. E pur vivendo in questa situazione per millenni, gli Ebrei hanno continuato a custodire la propria identità (a essere, insomma, diversi dagli altri, per fede, costumi, usanze alimentari).

Oggi, quasi ovunque, gli Ebrei non sono più guardati con sospetto, diffidenza e magari anche odio a causa della loro diversità, del fatto cioè di continuare a essere sé stessi invece di assimilarsi, cioè diventare come gli altri. Gli Ebrei non sono più rinchiusi nei ghetti, i quartieri della città dove erano costretti ad abitare e da dove non potevano uscire se non con un permesso speciale delle autorità. Non sono più considerati perfidi, cioè infedeli, seguaci della fede sbagliata. Conservano invece quasi sempre un senso profondo della propria identità. Inoltre ci si può anche convertire all'ebraismo, così come si diventa cristiani, buddisti, musulmani. La conversione è però un lungo cammino di studi, di raccoglimento, di colloqui: il fatto è che quando si diventa Ebrei non si assume solo una nuova religione, un nuovo modello di vita fondato sui comandamenti della legge ebraica. Si entra anche a far parte di questa stirpe, della sua storia, delle sue convinzioni.

Vi sono alcune parole fondamentali per capire gli Ebrei e la loro storia. Innanzitutto la Bibbia, che in ebraico è detta Miqrah, cioè "oggetto di lettura" (mentre i cristiani la chiamano Scritture), oppure Tanach, sigla che sta a indicare i libri Torah, cioè Pentateuco, Nebi'im, cioè Profeti e Katubim, cioè Scritti.

Sinagoga è invece una parola greca e indica il luogo dove gli Ebrei si radunano a pregare insieme: in ebraico si chiama bet ha-knesset, cioè "casa di riunione", ma è detta anche "scuola". Kasher significa "adatto", ma indica in particolare i cibi conformi alle regole alimentari della Bibbia, per esempio il divieto di consumare carne di maiale (e altre) e di mischiare latte e carne nello stesso pasto.

L'antigiudaismo è l'atteggiamento contro i Giudei che ha segnato la storia della cristianità per molti secoli: in esso si mischiavano sentimenti di disprezzo per l'infedele, che non voleva saperne di convertirsi alla nuova religione e restava invece attaccato alla propria, e di diffidenza verso il diverso che aveva usanze tutte sue. L'antisemitismo è invece un sentimento moderno, nato nell'Ottocento su basi non più religiose ma razziali, per quanto errate: in questo caso l'ebreo resta tale anche se si converte. Non conta più la fede, bensì un presunto sangue impuro. Lo sterminio nazista è il culmine di quest'odio.


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