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sabato 20 agosto 2016

TESTIMONI DI GEOVA E SESSUALITA'



Non c’è dubbio che la Bibbia influisce sulla vita dei Testimoni di Geova. Le coppie di sposi dovrebbero agire in modo da avere la coscienza pura, mentre prestano tutta la loro attenzione a coltivare “il frutto dello spirito”. — Galati 5:16, 22, 23; Efesini 5:3-5.
Che dire però se un coniuge vuole o perfino esige che la moglie o il marito partecipi a quella che è chiaramente un’attività sessuale pervertita? I succitati fatti indicano che porneia implica atti sessuali illeciti al di fuori dell’istituzione coniugale. Perciò, se un coniuge impone atti pervertiti, come sesso orale o anale, nell’ambito del matrimonio, questo non costituirebbe una base scritturale per ottenere un divorzio che renderebbe entrambi liberi di risposarsi. Anche se il coniuge credente è angustiato dalla situazione, il suo sforzo di attenersi ai principi scritturali gli farà ottenere una benedizione da Geova. In tali casi può essere utile che la coppia consideri francamente il problema, tenendo presente che in particolar modo le relazioni sessuali devono essere onorevoli, sane, un’espressione di tenero amore. Questo escluderebbe di sicuro qualsiasi cosa potesse angustiare o danneggiare il coniuge. — Efesini 5:28-30; I Pietro 3:1, 7. Se è noto che un componente della congregazione pratica o incoraggia apertamente relazioni sessuali pervertite nell’ambito del vincolo coniugale, egli non sarebbe certo irreprensibile e quindi non sarebbe adatto per speciali privilegi, come quello di servire in qualità di anziano, di servitore di ministero o di pioniere. Anzi chi avesse questa specie di relazioni o le incoraggiasse potrebbe anche finire per essere espulso dalla congregazione.
Galati 5:19-21 elenca molte cose immorali che non sono incluse in porneia, e che potrebbero portare a essere squalificati dal Regno di Dio. Fra queste ci sono l’“impurità” e la “condotta dissoluta”. Come la porneia, queste cose, quando si cade nella sfrenatezza, possono essere motivi per venire disassociati dalla congregazione cristiana, ma non per ottenere un divorzio scritturale. Chi incoraggiasse sfacciatamente attività sessuali disgustose e ripugnanti sarebbe colpevole di condotta dissoluta. Naturalmente, chi avesse un simile atteggiamento potrebbe arrivare al punto di commettere porneia; allora ci sarebbe la base per un divorzio scritturale. Tutti i cristiani devoti dovrebbero preoccuparsi vivamente di evitare e di combattere tutte queste “opere della carne”! — Galati 5:24, 25.
Tutti i servitori di Geova, sposati o no, dovrebbero rifuggire da ogni specie di immoralità. Dovrebbero sostenere lealmente tutte le disposizioni di Geova, inclusa l’istituzione matrimoniale. (Salmo 18:21-25) Gli sposati dovrebbero sforzarsi, come “una sola carne”, di onorare Geova, coltivando vero amore e rispetto nel matrimonio. (Genesi 2:23, 24; Efesini 5:33; Colossesi 3:18, 19) In questo come in altri modi possono dimostrare di non far “parte del mondo”, un mondo che Satana ha trascinato nel fango dell’immoralità e della corruzione e che sta per ‘passare insieme al suo desiderio’. Ricordando che “chi fa la volontà di Dio rimane per sempre”, tutti dovrebbero sforzarsi di fare la “volontà” di Dio in relazione alla Sua preziosa istituzione del matrimonio. — Giovanni 17:16; I Giovanni 2:17.

Molte pratiche comunemente accettate quando ci si frequenta sono in realtà dei peccati gravi. Per esempio la Bibbia comanda di evitare l’immoralità sessuale. Questa include non solo i rapporti sessuali ma anche altri atti impuri tra persone non sposate come ad esempio accarezzare i genitali di un’altra persona o fare sesso orale o anale (1 Corinti 6:9-11). Prima del matrimonio anche tenere un comportamento sessualmente eccitante, pur non arrivando all’immoralità sessuale, è una forma di “impurità” che dispiace a Dio (Galati 5:19-21). Anche i “discorsi osceni”, ovvero sconci o indecenti, nella Bibbia sono condannati (Colossesi 3:8, CEI).

Il Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova definisce fornicazione il praticare il sesso orale e anale anche nell’ambito coniugale e per questo motivo i testimoni di Geova non devono avere rapporti di questo tipo anche se i coniugi sono consenzienti.

Se scoperti, la coppia non avrà nessun privilegio nella congregazione e potrebbero essere disassociati se si rifiutassero di interrompere tale comportamento.

“La sodomia (o innaturali rapporti di un maschio come se fosse una femmina), il lesbismo (o relazioni omosessuali fra donne) e la bestialità (o innaturali relazioni sessuali dell’uomo o della donna con un animale) non sono motivi scritturali per ottenere il divorzio. … Ma tali atti non sono adulterio. Tuttavia arrecano la punizione della disassociazione.”
(Svegliatevi! 22/9/1958 pp. 25, 26)

“Se una coppia dedicata commette qualche atto moralmente sbagliato, che però non è adulterio o fornicazione, e che è quindi solo tra loro, per cui si tratta di una questione strettamente privata di cui nessuno nella congregazione o nel mondo può venire a conoscenza a meno che gli interessati non decidano di rivelarla, che cosa devono fare? È una cosa da presentare a Dio in preghiera. Se Dio vede che essi si rendono conto della scorrettezza di ciò che hanno fatto tra loro e che ne sono pentiti e afflitti e cercano di non ripetere mai tale atto, la loro confessione a lui e la preghiera per ottenere il perdono mediante Cristo Gesù è sufficiente… Ma se ogni altro sforzo fallisse, l’oppresso potrebbe rivolgersi al comitato della congregazione cristiana. In tal caso il comitato potrebbe ammonire il coniuge offensore. Il comitato può prestare assistenza mediante preghiera e consigli, per aiutare la coppia a vincere questa debolezza e a regolare le questioni coniugali private in modo da continuare la felice relazione matrimoniale con la minore distrazione possibile e servire così gli interessi del perfetto governo di Dio in modo migliore”.



“Il marito deve rendere i suoi doveri coniugali alla moglie, e la moglie allo stesso modo deve rendere al marito i suoi; una moglie non può fare quello che vuole con il proprio corpo – suo marito ne ha l’autorità, e allo stesso modo un marito non può fare quello che vuole con il proprio corpo – è sua moglie ad averne l’autorità. Non dovreste astenervi l’uno dall’altra, a meno che non concordiate di farlo per un periodo, allo scopo di dedicarvi alla preghiera. In seguito tornate nuovamente assieme. Non dovete dare modo a Satana di tentarvi tramite l’incontinenza. Ma tutto quello che ho appena detto è una concessione, non un comando.

È chiaro che qui l’apostolo Paolo non sta parlando solo del rapporto sessuale a scopo procreativo, ma anche dell’appagamento sessuale. Per questa ragione, dice, è meglio per alcune persone passionali contrarre matrimonio tra di loro in modo da non indulgere all’immoralità dilagante di questo mondo. Quindi le coppie sposate non dovrebbero astenersi dai rapporti sessuali; altrimenti Satana potrebbe tentare uno o entrambi i coniugi inducendoli a commettere immoralità con una persona al di fuori del vincolo matrimoniale. Ma, naturalmente, in questo campo deve essere esercitato autocontrollo in modo da non danneggiare spiritualmente il coniuge, anche interferendo con ‘la sua dedicazione alla preghiera’. Lasciate che ogni coppia regoli la propria vita coniugale e non provate ad imporre la vostra ad un’altra coppia”.

“Insolite pratiche sessuali erano seguite nel giorno dell’apostolo Paolo ed egli non tacque riguardo ad esse, come si può leggere in Romani 1:18-27. Perciò non facciamo altro che seguire il suo buon esempio considerando qui questa domanda… Non è certo responsabilità degli anziani o di qualcun altro in una congregazione cristiana indagare nella vita privata delle coppie di sposi. Ciò nondimeno, se futuri casi di condotta molto innaturale, come la pratica della copulazione orale o anale, sono portati alla loro attenzione, gli anziani devono agire per correggere la situazione prima che ne derivi ulteriore danno, come farebbero con qualsiasi altro serio errore… Ma se alcuni mancano volontariamente di rispetto alla disposizione matrimoniale di Geova Dio, è necessario rimuoverli dalla congregazione come pericoloso “lievito” che potrebbe contaminare altri… Che dire delle donne sposate a increduli e i cui coniugi insistono per farle partecipare a tali atti notevolmente innaturali? La dichiarazione dell’apostolo che “la moglie non esercita autorità sul proprio corpo, ma il marito” dà alla moglie il motivo per sottostare a queste richieste? No, poiché l’autorità del marito è solo relativa. L’autorità di Dio resta sempre suprema… È vero che il rifiuto di partecipare ad atti non santi può causare difficoltà a una moglie, o anche persecuzione, ma la situazione sarebbe la stessa se il marito chiedesse alla moglie di prendere parte a qualche forma di idolatria, errato uso del sangue, disonestà o altre simili trasgressioni.”
(La Torre di Guardia del 15/5/1973 pp. 317, 318)

“Quando oggi si menziona la “fornicazione”, comunemente si pensa alle relazioni sessuali fra persone di sesso opposto, relazioni avute fuori del matrimonio eppure consistenti di rapporti nel modo ‘normale’ o naturale. Quindi, molti hanno compreso che, allorché Gesù disse che la “fornicazione” era il solo motivo di divorzio, si riferisse solo ai rapporti nel modo ‘normale’ o naturale fra una moglie e un uomo che non è suo marito, o, per estensione, fra un marito e una donna che non è sua moglie. Ma è così? Porneia, la parola usata nel racconto di Matteo, si riferisce solo a tali relazioni sessuali naturali? O includeva tutte le forme di immorali relazioni sessuali, incluse quelle fra persone dello stesso sesso e anche forme pervertite di relazioni sessuali fra persone di sesso opposto?”
(La Torre di Guardia 1/6/1973 p. 351)




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venerdì 15 luglio 2016

OBBLIGARE IL PARTNER AD AVERE RAPPORTI

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Se il marito obbliga la moglie ad avere rapporti sessuali, anche se lei non si oppone palesemente, è violenza. Dal matrimonio, infatti, discendono per entrambi i coniugi i medesimi diritti e doveri, ma è da escludere che sussista “un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali inteso come mero sfogo all'istinto sessuale contro la volontà del partner, tanto più se tali rapporti avvengano in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e/o violenze che costituiscono l'opposto rispetto al sentimento di stima, affiatamento e reciproca solidarietà in cui il rapporto sessuale si pone come una delle tante manifestazioni”.

Se c’è consenso tutto è lecito. Dal sadomaso all’uso di animali. Nella realtà è più facile a dirsi che a farsi. Quando è poco è motivo di addebito nella separazione, se si esagera si può arrivare alla condanna per stupro. La giurisprudenza rincorre l’evolversi dei costumi. Per i magistrati ecclesiastici dell’Ottocento era peccato mortale, per la donna, sedersi sulla ginocchia dell’uomo.
Si è passati da un’epoca in cui le cause di separazione venivano basate sul “difetto di verginità” (negli anni ’50 sul tema venivano scritti temi di diritto) a situazioni viceversa in cui sono le donne che citano in giudizio gli uomini chiedendo risarcimenti a cinque cifre per il mancato adempimento dei doveri coniugali.

Se si esamina la giurisprudenza, si evince come, a parte alcuni principi di diritto chiaramente espressi, poi quando ci si addentra nei casi concreti, ci si trova spesso di fronte a decisioni contrastanti tra loro.
Non infrequentemente infatti la Corte di Cassazione modifica sentenze di primo o secondo grado in senso diametralmente opposto.

Per comprendere gli attuali orientamenti giurisprudenziali è necessario partire dai presupposti del codice civile. Invero tra gli obblighi che derivano dal matrimonio e dai quali dipendono diritti e doveri vicendevoli, non emerge nulla di specifico in tema di rapporti sessuali (art.li 143 e seg.ti c.c.).
L’unico punto dal quale si può far discendere indirettamente una previsione legislativa è quello del secondo comma dell’art. 143 c.c. che prevede come “…Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia, ed alla coabitazione”.
Ovviamente va ricordato che il codice è stato promulgano nel 1942, e cioè in un’epoca in cui di sessualità non se ne parlava nemmeno o al massimo si parlava genericamente di debito coniugale.

Se dunque in ambito legislativo civilistico ben poco è dato rinvenire sul punto, del tutto diversa è la situazione sotto il profilo giurisprudenziale, laddove la questione dei rapporti sessuali tra coniugi è stata oggetto, ed è tuttora oggetto, di innumerevoli incisivi interventi.
Sostanzialmente i giudici hanno statuito come il diritto-dovere di intrattenere rapporti sessuali tra i coniugi, spetti ad entrambi in modo paritario ed è equiparabile a tutti gli altri diritti e doveri stabiliti nella normativa codicistica.
L’attuale orientamento indica dunque che sussiste in capo ad entrambi i coniugi un vero e proprio diritto-dovere vicendevole per ciò che concerne i rapporti sessuali, diritto-dovere che discende proprio dal contratto matrimoniale.
Da ciò ne deriva, come conseguenza giuridica, che il sottrarsi ripetutamente a tale obbligo, indipendentemente dal fatto che l’omissione si riferirebbe all’uomo o alla donna, possa dar luogo all’addebito della separazione, in quanto sussisterebbe una espressa violazione delle obbligazioni sul tema, previste dalla normativa vigente.
Tuttavia tale rifiuto deve apparire ingiustificato e comunque ripetuto nel tempo; ciò in quanto, diversamente, non potrà discenderne alcun addebito della separazione.
In sostanza dunque il mancato accordo tra coniugi circa i rapporti sessuali, il tipo di rapporti, la frequenza degli stessi e simili, legittima, inficiando la comunione materiale e spirituale tra gli interessati, la domanda di separazione.
Tutt’altro è il discorso che riguarda l’addebito.
Infatti la Cassazione ha ritenuto che l’addebito possa essere pronunciato per tale motivo, solo se sussista una “colpa” da parte del coniuge che si sottrae a tali rapporti, colpa che deve consistere appunto in un rifiuto ingiustificato e ripetuto nel tempo.
Tutto questo, secondo la giurisprudenza, in quanto il sottrarsi ad un “normale” rapporto fisico, comporta e legittima la richiesta dell’addebito all’altro coniuge.
Il rifiuto della sessualità infatti, senza alcuna giustificazione, dà luogo all’offesa della dignità della persona, comportante con la reiterazione di tale rifiuto anche un pregiudizio sul piano personale e psicologico ed una lesione del diritto costituzionalmente garantito alla salute psichica.

La questione dell’addebito della separazione non è rilevante nella maggioranza dei casi, ma può divenire particolarmente importante ove il coniuge “colpevole” dovesse avere diritto all’assegno di mantenimento.
Infatti va ricordato che gli unici effetti attuali dell’addebito della separazione, a parte quelli morali, sono di precludere i diritti ereditari (che comunque cesserebbero con il divorzio) e di comportare la perdita per il coniuge, (ove questi ne avesse teoricamente diritto), al mantenimento a carico dell’altro.
Tale conseguenza, deriva appunto dalla responsabilità nel fallimento dell’unione coniugale e cioè per aver violato gli obblighi matrimoniali.
Questo su un piano teorico.
Sul piano pratico va detto però, se l’omissione dei rapporti sessuali è uno dei motivi di addebito che frequentemente vengono richiesti nell’ambito della separazione, (è evidente che se sussiste contrasto fra coniugi vi sarà anche un rifiuto dei rapporti fisici), quasi sempre è ravvisabile il rigetto di tali pretese da parte dei giudici di merito.



Tale orientamento negativo dei giudici è ravvisabile sia in quanto è difficile dimostrare ciò che si assume essere accaduto o non accaduto tra le lenzuola, sia perché il rifiuto dei rapporti sessuali è quasi sempre giustificato e conseguenza degli altri motivi che già in precedenza avevano comportato il fallimento dell’unione, facendo cessare la pregressa comunione materiale e spirituale tra i coniugi.
Nei rari casi in cui il rifiuto di avere rapporti sessuali con l’altro coniuge è stato ritenuto rilevante, si trattava di situazioni limite, in cui il rifiuto di intrattenere rapporti sessuali appariva ammesso in sede di interrogatorio, ed ingiustificato, essendo utilizzato quale mezzo di punizione o ritorsione.

E’ dunque pacifico che, ove il rifiuto appaia giustificato, (si pensi a disturbi fisici o psichici che rendano inidoneo il coniuge ad intrattenere rapporti fisici e sessuali oppure ad una crisi di stima nella relazione, o alle innumerevoli fattispecie che minano dalle fondamenta il rapporto di coniugio), nulla quaestio per i giudici.
L’interessato potrà ricorrere, ove lo ritenga, al procedimento di separazione personale dei coniugi, ma senza invocare l’addebito.
Infatti, secondo la giurisprudenza, vi è certamente l’obbligo di tenere conto delle esigenze del proprio compagno di vita, di rispettarne i desideri.
Ciò, non solo sotto il profilo del tipo di rapporti sessuali richiesti o concessi, ma anche sotto il profilo della frequenza degli stessi.
In numerose occasioni, i giudici hanno considerato legittimo il legittimo rifiuto allorché la pretesa (in genere dell’uomo) sia eccessivamente continuativa o ripetitiva, senza alcun rispetto della sensibilità e delle esigenze dell’altro coniuge.
Dunque, se non esiste un diritto di uno dei due ad imporre le proprie pretese sul piano fisico, non esiste neanche il diritto di stabilire unilateralmente la frequenza, né la tipologia dei rapporti sessuali.
Ovviamente se emergono contrasti su tale punto, ciascun coniuge è libero di rivolgersi al tribunale e di richiedere la separazione, ma non è certo ravvisabile un diverso diritto, dell’uno sull’altro, di imporre forzatamente le proprie pretese.
E’ interessante notare sotto questo profilo come, in più occasioni, la Corte di Cassazione abbia precisato che, seppure determinati tipi di rapporti o costumi sessuali particolarmente aperti, fino a giungere ad incontri con altri partner o a scambi di coppia e simili, non costituiscano alcun illecito, se vengono accettati o richiesti anche dall’altro coniuge, poi un successivo ripensamento di questi appaia assolutamente legittimo, nè sussista un diritto del coniuge a proseguire in determinate pratiche sessuali se, ad un certo punto, l’altro decida di interrompere.
Ciò indipendentemente da un mutamento psicofisico, ma anche semplicemente per una diversa manifestazione di volontà.

Se si esaminano le sentenze di merito e di legittimità è pacifico come ormai manchi qualsiasi forma di censura relativamente alle modalità, al tipo ed alle caratteristiche dei rapporti sessuali di coppia.
La moralità fa sicuramente passi da gigante, complici i suggerimenti di internet che suppliscono alla mancanza di fantasia delle coppie.
Dalle sentenze emergono le situazioni più disparate, per non parlare di ciò che era oggetto delle sentenze dei magistrati ecclesiastici di qualche tempo fa: si va dal peccato “sicuramente mortale” di una ragazza che si siede sulle ginocchia del fidanzato (Mons. Bouvier – Manuale dei confessori 1837), ad acute dissertazioni sui rapporti sessuali in ascensore (Cassazione 10060/2001) alle galanterie di un elettricista che intratteneva sessualmente entrambe le sorelle (Cassazione 2012), al sesso di gruppo (quale motivo di addebito per entrambi Cass. Maggio 2004), fino all’utilizzo di animali nei rapporti sessuali (Trib. Bolzano 05/02/2010) per finire con pratiche sadomaso di gruppo (Corte Europea 17/02/2005).
Questa ultima decisione è di estrema importanza sia perché emessa a Strasburgo in ambito europeo consolidando un indirizzo ormai recepito dalla comunità internazionale, sia per la particolarità della fattispecie trattandosi di due cittadini belgi di cui uno magistrato sessantenne e l’altro un medico di cinquantasei anni che ricorrevano alla Corte Europea contestando la loro condanna nelle pratiche sadomasochistiche estreme con la moglie del magistrato, eccependo che fosse stato violato il diritto al rispetto della loro vita privata e che non sussistesse alcuna violazione del principio di legalità.
La Corte respingeva le censure, precisando che ciascun individuo può rivendicare il diritto di esercitare le pratiche sessuali che ritiene nel modo più libero possibile, purché però vi sia il rispetto dell’altra persona (nel caso in esame la vittima di tali pratiche ad un certo punto dei “giochi” si tirava indietro), costituendo tale obbligo di rispetto il limite alla libertà.
La Corte in sostanza non censurava la particolarità dei “giochi sessuali” (ove venivano usate secondo la dizione della sentenza, fruste, aghi, pinze, cera bollente, scosse elettriche, et similia), ma in quanto ad un certo punto era mancato il consenso della moglie del magistrato, pur se inizialmente consenziente.
Ogni pratica estrema e violenta, statuisce la sentenza, non è scriminata in quanto si esercita un diritto, ma viene censurata nei limiti della mancanza di disponibilità e di consenso della vittima.

Ma cosa accade se il clima di terrore che si respira in casa, induce la donna ad accettare qualsiasi compromesso – anche lesivo della propria libertà sessuale – pur di difendere fragili equilibri sociali, o di non mettere a repentaglio la sua vita, o quella dei figli?

Accade che la poverina finirà per accettare il “gioco al massacro”, acconsentirà a rapporti sessuali non realmente desiderati.

E lo farà in silenzio, senza nulla far percepire al partner. Troppo pericoloso dire NO! E allora, mi si permetta il termine, quella donna accetterà di essere “stuprata psicologicamente”.

Lo stupro coniugale – come dai più definito – è, purtroppo, un delitto “dai grandi numeri”. Altissime sono le percentuali delle violenze commesse proprio dall’uomo che si ha accanto. Del resto, non si può sottacere come in talune realtà, viga ancora la primitiva ottica per cui “il maschio”, con il matrimonio, acquista il debitum coniugale, ovvero il diritto alla fisica congiunzione con la moglie, ormai di sua “proprietà”. Diritto che, nei tempi passati, prendeva le forme di una sorta di esimente, di una causa di giustificazione (tacitamente recepita dai giudici), in virtù della quale, lo stupro era lecito – o comunque punito in maniera più leggera – proprio perché commesso nei confronti della coniuge.



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mercoledì 15 giugno 2016

L'OMOFOBIA

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Il termine omofobia significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso” e più precisamente si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali. Essa può manifestarsi in modi molto diversi tra loro, dalla battuta su un una persona gay che passa per la strada, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. In seguito all’omofobia, ad esempio, alcuni eterosessuali, raccontano di sentirsi a disagio in presenza delle persone gay o lesbiche, altri si mettono a ridere quando le incontrano per strada. Altri ancora dicono di essere disgustati dai loro comportamenti, arrabbiati o indignati. Anche la parola “frocio” può essere considerata come espressione di omofobia, perché di solito viene usata con una connotazione negativa.
L’omofobia deriva dall’idea che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto (eterosessismo). Tale considerazione è basata anche sulla falsa credenza che in natura non esistano comportamenti omosessuali (“L’omosessualità è contro natura”); molti animali, invece, presentano comportamenti omosessuali, tra cui topi, criceti, porcellini d’India, conigli, porcospini, capre, cavalli, maiali, leoni, pecore, scimmie, e scimpanzé.
L’omofobia, inoltre, si alimenta in vari modi. Innanzitutto la società è spesso diffidente nei confronti delle diversità, fino al punto di considerarle pericolose. Tale mancanza di fiducia riguarda tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o diversi (es. anche i primi cristiani) perché minacciano quelli convenzionali. Il pregiudizio anti-gay, inoltre, è rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatti con la comunità omosessuale. Gli individui che presentano alta omofobia, di fatto, non conoscono la realtà gay e lesbica e ne hanno un’idea astratta basata su ciò che hanno sentito dire dagli altri. Infine, noi tutti tendiamo ad agire in modo coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo, ad esempio, è alla base del fatto che si è soliti deridere i gay perché è consuetudine farlo.

È importante ricordare che non si nasce omofobi; lo si diventa attraverso l’educazione, i messaggi, diretti e indiretti, che la famiglia, la politica, la Chiesa e i media, ci trasmettono. Fin da bambini tutti noi acquisiamo convinzioni e valori che ci vengono presentati come assolutamente giusti e legittimi. Molto prima, dunque, di avere una reale comprensione di cosa significhi la parola omosessualità, ereditiamo, da una cultura omofoba, la convinzione che essere gay sia qualcosa di assolutamente sbagliato, innaturale e contrario alle norme del vivere comune.
Molto dipende anche dal posto antropologico in cui nasciamo e cresciamo. Nei paesi a prevalenza cattolica come l'Italia, la Chiesa esercita un’alta ingerenza sulle famiglie, sulla politica e sulla capacità legislativa conseguente. E la posizione ufficiale della Chiesa cattolica rispetto agli omosessuali è di accoglienza, solo a patto che gli omosessuali rinneghino se stessi, riconoscendo il disordine e il male della propria condizione di vita e accettando la castità e la costrizione come elemento permanente dell’intera loro esistenza.
Questo tipo di pressione morale, così pervasiva, non può non sfociare nell’omofobia interiorizzata (quell’insieme di sentimenti negativi come ansia, disprezzo, avversione che gli omosessuali provano nei confronti dell’omosessualità, propria e altrui) al punto che l’incidenza statistica dei suicidi è elevata tra gli omosessuali adolescenti, soprattutto se credenti.
Anche i media trasmettono messaggi ambigui e omofobi, attraverso la censura di scene di sesso omosessuale (anche senza nudo), o la tolleranza e lo spazio concesso a chi, cardinali o politici, promulga messaggi falsi e offensivi come l’equazione gay=pedofilo (il 95% dei pedofili è eterosessuale).

Va comunque precisato che il termine è utilizzato con diversi significati. Le definizioni di omofobia esistenti possono essere sintetizzate in tre principali prospettive: accezione pregiudiziale, accezione discriminatoria e accezione psicopatologica:
l'accezione pregiudiziale considera come omofobia qualsiasi giudizio negativo nei confronti dell'omosessualità. In questa definizione vengono considerate manifestazioni di omofobia anche tutte le convinzioni personali e sociali contrarie all'omosessualità come ad esempio: la convinzione che l'omosessualità sia patologica, immorale, contronatura, socialmente pericolosa, invalidante; la non condivisione dei comportamenti omosessuali e delle rivendicazioni sociali e giuridiche delle persone omosessuali. Non rientra in questa accezione la conversione in agito violento o persecutorio nei confronti delle persone omosessuali;
l'accezione discriminatoria considera come omofobia tutti quei comportamenti riconducibili al sessismo che ledono i diritti e la dignità delle persone omosessuali sulla base del loro orientamento sessuale. Rientrano in questa definizione le discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, gli atti di violenza fisica e psicologica (percosse, insulti, maltrattamenti). Questa definizione – che comprende anche l'acting out del sentimento discriminatorio – può essere considerata più pertinente al costrutto di omofobia in senso ristretto;
l'accezione psicopatologica considera l'omofobia come una fobia, cioè una irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti delle persone omosessuali che compromette il funzionamento psicologico della persona che ne presenta i sintomi. Tale valutazione diagnostica includerebbe quindi l'omofobia all'interno della categoria diagnostica dei disturbi d'ansia e rientrerebbe all'interno dell'etichetta di fobia specifica. A differenza delle prime due accezioni, l'omofobia come fobia specifica non è frutto di un consapevole pregiudizio negativo nei confronti dell'omosessualità quanto piuttosto di una dinamica irrazionale legata ai vissuti personali del soggetto. Quest'ultima definizione, per quanto più attinente alla radice etimologica del termine, ad oggi non è sostenuta da una letteratura sufficiente da farla inserire nei principali manuali psicodiagnostici.
Omofobia deriva dal greco homos (stesso, medesimo) e fobos (paura). Letteralmente significa "paura dello stesso", tuttavia il termine "omo" è qui usato in riferimento ad omosessuale. Il termine è un neologismo coniato dallo psicologo clinico George Weinberg nel suo libro Society and the Healthy Homosexual (La società e l'omosessuale sano), pubblicato nel 1971.

Un termine precursore è stato omoerotofobia, coniato dal dottor Wainwright Churchill nel libro "Homosexual behavior among males" (Comportamento omosessuale tra maschi), pubblicato nel 1967.

Intesa nel senso di "paura fobica e irrazionale", l'omofobia non è inserita in alcun manuale di diagnostica psicologica come patologia, è quindi errato pensare che sia medicalmente una fobia, come invece il nome potrebbe portare a credere. L'omofobia non è legata a una credenza politica o a un livello culturale, ma piuttosto al livello di equilibrio del singolo individuo. È stato infatti riscontrato dagli anni sessanta il fatto che tendano all'omofobia le "personalità autoritarie", rigide, insicure, che si sentono minacciate dal "diverso da sé" (ovviamente non solo omosessuale). Alti livelli di omofobia sono stati riscontrati anche in persone in lotta con una forte omosessualità latente o repressa.

In questo secondo senso l'omofobia può trarre nutrimento e soprattutto legittimazione da condanne ideologiche, religiose o politiche.

Per omofobia si può intendere anche la paura dell'omosessualità, ed in particolare la paura di venire considerati omosessuali, ed i conseguenti comportamenti volti ad evitare gli omosessuali e le situazioni considerate associate ad essi.

L'omofobia consiste nel giustificare, condonare o scusare atti di violenza o di discriminazione, di marginalizzazione e di persecuzione perpetrati contro una persona in ragione della sua reale o presunta omosessualità (si pensi ai soggetti bisessuali o anche semplicemente a persone che hanno un atteggiamento o un aspetto che non rientra nel comune stereotipo di genere sessuale, ad esempio le persone definite "effeminate").

Le ricerche psicosociali evidenziano come l'omofobia sia maggiormente legata a caratteristiche personali quali: anzianità, basso livello di istruzione, avere idee religiose fondamentaliste, non avere contatti personali con gay o lesbiche, essere autoritari, provare sensi di colpa nei confronti del sesso, avere atteggiamenti tradizionalisti rispetto ai ruoli di genere (mascolinità, etc.)

Probabilmente l'omofobia è correlata al timore di essere considerati omosessuali. Questo timore, dice Erich Fromm, è più frequente negli uomini che nelle donne, perché dal punto di vista culturale il maschio omosessuale viene considerato una "femminuccia", e nel pensiero sessista dominante.

« se un ragazzo viene definito "femminuccia", si sente bollato e umiliato dal gruppo. Se una ragazza è invece definita un "maschiaccio", a ciò non si accompagna uguale disapprovazione, anzi, spesso diventa motivo di orgoglio. Così la "femminuccia" è un codardo, un mammone, mentre la "maschiaccia" è una ragazza coraggiosa, capace di tener testa a un ragazzo. Probabilmente questi giudizi di valore vengono sussunti nell'atteggiamento che in seguito si sviluppa nei confronti dell'omosessualità nei due sessi.»
(Erich Fromm)

L'omofobia interiorizzata consiste nell'accettazione da parte di gay e lesbiche di pregiudizi, etichette negative e atteggiamenti discriminatori verso l'omosessualità. Questa interiorizzazione del pregiudizio è per lo più inconsapevole e può portare a vivere con difficoltà il proprio orientamento sessuale, a contrastarlo, a negarlo o addirittura a nutrire sentimenti discriminatori nei confronti degli omosessuali.

L'omofobia può diventare causa di episodi di bullismo, di violenza o di mobbing nei confronti delle persone LGBT. Secondo l'Agenzia per i diritti Fondamentali (FRA) dell'Unione europea l'omofobia nel 2009 danneggia la salute e la carriera di quasi 4 milioni di persone in Europa. L'Italia è il paese dell'Unione Europea con il maggior tasso di omofobia sociale, politica ed istituzionale. Secondo i dati del Dipartimento di Salute Pubblica i suicidi della popolazione gay, legati alla discriminazione omofoba in modo più o meno diretto, costituirebbero il 30% di tutti i suicidi adolescenziali.

Da altri studi in merito è emerso con chiarezza che gli adolescenti LGBT sono maggiormente a rischio di ideazione suicidaria rispetto ai coetanei eterosessuali. In aggiunta a ciò, una review di Haas e colleghi del 2011 sulla letteratura pubblicata in merito, suggerisce che i giovani LGBT siano dalle 2 alle 7 volte più a rischio, rispetto ai coetanei eterosessuali, di suicidio.
Sono anche stati riportati dei contesti in cui studenti LGBT hanno lamentato: la presenza di atti di discriminazione, come la negazione di servizi finanziari e sanitari, l'affibiazione di etichette verbali ingiuriose, tentativi di conversione e timore di atti di violenza sessuale ai loro danni. Tale situazione ha determinato il nascondimento della loro identità, l'evitamento di alcuni corsi, la prematura cessazione degli studi ed anche la messa in pratica di tentativi di suicidio.



A seguito dell'elevato rischio di ideazioni suicidarie e di tentativi di suicidio tra le cosiddette minoranze sessuali, i ricercatori hanno tentato di identificare i fattori che potessero spiegare tali marcate differenze. Le teorie sullo stress e lo stigma da minoranza hanno permesso di evidenziare il ruolo portante che i contesti sociali e strutturali così come le pratiche e le politiche istituzionali possono giocare nel contribuire a generare simili disparità nella salute mentale degli individui. In accordo con queste teorie, infatti, gli adulti LGBT che risiedono in stati con poche politiche sociali di tipo protettivo, hanno un maggior tasso di disordini psichiatrici e di abuso di sostanze rispetto a persone che vivono in stati con politiche protettive mirate. In linea con questi risultati, si pone anche un lavoro del 2014 di Hatzenbuehler e colleghi che ha indicato che giovani LGBT sono meno a rischio di sviluppare ideazioni suicidarie quando sono all'interno di strutture scolastiche che hanno adottato misure protettive verso le minoranze sessuali. L'ambiente sociale, inoltre, può esercitare delle influenze anche in maniera meno diretta. Uno studio condotto su una popolazione di circa 4098 maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi (MSM, Men who have sex with men) sieronegativi per HIV ha evidenziato, ad esempio, che un più basso livello di stigma sociale contro le persone LGBT è legato ad una diminuzione del rischio di rapporti anali non protetti (adjusted odds ratio, aOR=0,97, intervallo di confidenza al 95%, 95%CI 0,94-0,99), maggior consapevolezza riguardante la profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,09) e di quella pre esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,10), maggior utilizzo della profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,26) e di quella pre esposizione (aOR=1,21, 95%CI 1,01-1,44) ed un maggior livello di tranquillità nel discutere di sesso tra maschi con operatori sanitari (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,11).
Va, tuttavia, segnalato che sussiste anche la possibilità che il grado d'influenza esercitato dallo stigma da minoranza e da eventuali interventi di tipo protettivo o di supporto vari anche a seconda dell'etnia delle persone prese in considerazione.

L'importanza del contesto socioculturale che circonda le persone LGBT è stata evidenziata anche da un lavoro di Duncan e Hatzenbuehler del 2014 riguardante i cosiddetti crimini d'odio definiti come "condotte illegali, violente, distruttive o minacciose il perpetratore delle quali viene motivato dal pregiudizio contro il supposto gruppo sociale della vittima". Già altri studi in passato avevano evidenziato che le minoranze sessuali vengono colpiti da tali crimini e, secondo l'FBI, il 17,4% dgli 88.463 crimini d'odio registrati tra il 1995 ed il 2008 hanno coinvolto tali minoranze.

Lo studio di Duncan e Hatzenbuehler, condotto su un campione di studenti delle scuole superiori pubbliche di Boston, ha cercato di valutare l'effetto sulle persone LGBT del grado di vicinanza geografica alle aree ove sono stati perpretrati crimini d'odio ai danni di altre persone LGBT. Dai dati raccolti è emerso che gli adolescenti LGBT che hanno riferito di aver avuto ideazioni suicidarie tendevano a vivere a meno di 800 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (21,22 per 100.000 Vs 12,26 per 100.000, p value=0,013). Gli adolescenti LGBT che hanno tentato il suicidio, inoltre, avevano maggiori probabilità di vivere a meno di 400 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (33,61 per 100.000 Vs 13,18 per 100.000, p value=0,006). Tali associazioni statistiche non sono state rintracciate per quanto riguarda gli adolescenti eterosessuali. Nessuna significatività statistica è stata, inoltre, rintracciata per quanto riguarda l'associazione di problematiche suicidarie e crimini d'odio non ai danni di persone LGBT, indicando così che le significatività precedentemente presentate sono specifiche per gli adolescenti LGBT. I risultati di tale lavoro, sebbene preliminari soprattutto in considerazione della scarsa presenza di pubblicazioni analoghe, sono in accordo con la letteratura che documenta l'importanza dei contesti socioculturali nella determinazione dello Stato di salute mentale nelle minoranze sessuali.

In termini generali, il sentimento religioso sembra essere associato ad un buon livello di salute mentale. Sebbene tale dato sia variabile a seconda degli aspetti presi in considerazione, si può affermare che la religiosità sembra determinare effetti positivi: minor depressione e stress psicologico e migliore soddisfazione, felicità e stato psicologico personali. Per quanto riguarda le persone LGBT, al momento, sussistono pochi lavori che abbiano analizzato lo stato di salute mentale in rapporto con l'affiliazione religiosa. Sebbene, il sentimento religioso, come precedentemente accennato, sembri sortire effetti positivi, un ambiente sociale caratterizzato da stigma e rifiuto può produrre, in chi ne è vittima, effetti patologici.
La teoria dello stress da minoranza suggerisce che il differente livello di salute mentale tra le persone LGBT ed eterosessuali sia dovuto al differente livello di stigma e pregiudizio cui si va incontro.

Uno dei fattori presi in considerazione dalla teoria come fattore di stress è l'omofobia interiorizzata. Per omofobia interiorizzata s'intende l'internalizzazione, da parte delle persone LGBT, delle attitudini e delle credenze negative della società contro le persone LGBT stesse e poiché tale visione può essere appresa durante i normali processi di socializzazione, essa può costituire un fattore di stress particolarmente insidioso da individuare. Il suo superamento viene, inoltre, considerato un passo importante nel processo di coming out e viene considerato dai terapisti come necessario al fine di acquisire un buon livello di salute mentale. Di converso, l'omofobia interiorizzata è stata collegata ad una serie di sviluppi negativi: ansietà, depressione, ideazione suicidaria, condotta sessuale a rischio, problematiche nella vita intima ed uno stato generale di benessere più basso.

Sotto questo punto di vista, nei contesti religiosi gli insegnamenti possono essere parte di una socializzazione che si basi sullo stigma ed il permanere in tale contesto può contribuire ad potenziare il fenomeno dell'omofobia interiorizzata. Vistesi rifiutate da molte organizzazioni religiose, l'attendenza delle persone LGBT alle pratiche religiose istituzionali tende ad essere minore rispetto agli eterosessuali e vi è una maggior probabilità d'abbandono del loro credo. Al di là di ciò, comunque, le persone LGBT che si affiliano a gruppi religiosi, tendono a partecipare per lo più a denominazioni religiose “non supportive”. Alcuni lavori hanno, infatti, evidenziato che le persone LGBT tendevano ad affiliarsi a correnti di maggioranza o con maggioranza di eterosessuali sebbene tali gruppi potessero presentare un clima sociale poco ospitale. Tale dato, apparentemente contraddittorio, potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che le persone LGBT possano avvertire un profondo significato personale nell'appertenere ad un contesto religioso cui loro sono abituati, spesso dall'infanzia. In effetti, è noto che l'abbandono di un gruppo religioso possa risultare spiacevole sotto l'aspetto sociale, culturale e spirituale.

Tale situazione può diventare particolarmente pressante per persone appartenenti a minoranze etniche. Per le persone afro-americane, ad esempio, è noto come le chiese abbiano costituito un baluardo contro il razzismo sociale e siano state promotrici e sostenitrici di identità ed orgoglio etnico. Hanno, inoltre, provveduto a fornire servizi sociali e culturali in vario modo. Risulta, pertanto, chiaro come il processo di separazione, magari per confluire in contesti maggiormente supportivi per le persone LGBT, significhi anche perdere non solo i servizi ma anche tutto un contesto di profondo significato interiore.
Al fine di continuare la partecipazione in questi contesti, le persone LGBT tendono ad adottare svariate strategie per cercare di risolvere o di alleviare lo state di tensione che si può generare dalla partecipazioni in questi contesti non supportivi:
ritenere la Bibbia un documento che sarebbe stato ispirato da Dio ed in quanto tale, contenente occasionalmente punti di vista umani ormai antiquati, quali quelli sull'omosessualità;
separare le identità LGBT e religiosa così da sopprimere quella LGBT quando quella religiosa, in alcuni contesti, diviene preponderante;
neutralizzare i messaggi contro l'omosessualità questionando la credibilità a vario grado del pastore, sacerdote o di chi promuove tale visione (ciò può includere, tra le altre, la conoscenza biblica, la moralità o l'eccessiva enfasi sulla percepita eccessiva tendenza al legalismo contro il messaggio d'amore incondizionato promosso dal Nuovo Testamento).
Sebbene gli studi riguardanti la religiosità delle persone LGBT non abbiano preso molto in considerazione se il gruppo religioso fosse più o meno supportivo, un lavoro di Lease e colleghi ha mostrato che persone caucasiche LGBT coinvolte in attività religiose in contesti maggiormente supportivi erano collegate ad un minor livello di omofobia interiorizzata e che questa era legata ad un miglior livello dello stato di salute mentale. Altri lavori, di converso, hanno rilevato che contesti religiosi non supportivi possono avere un significativo effetto nel promuovere l'omofobia internalizzata nelle persone LGBT.

La problematica, tuttavia, può variare anche a seconda del gruppo etnico preso in considerazione dato che la religiosità tende a variare a seconda dell'etnia. Sebbene alcuni lavori abbiano suggerito che le persone latino-americane ed afro-americane tendano a dimostrare un maggior sentimento religioso, al momento non è stato rilevato che le persone LGBT appartenenti a questi gruppi siano maggiormente esposte a contesti non supportivi rispetto a quelle caucasiche. Alcuni lavori hanno, infatti, suggerito che alcune denominazioni evangeliche frequentate da caucasici possano essere caratterizzate da contesti particolarmente omofobi. Tuttavia, se l'affiliazione religiosa delle persone LGBT riflette quella della popolazione generale, c'è da aspettarsi che quelle latino-americane ed afro-americane siano esposte a contesti omofobi in misura maggiore rispetto a quelle caucasiche.

Un lavoro di Barnes e Meyer del 2012 condotto su 355 partecipanti LGBT ha cercato di valutare l'effetto del contesto religioso nello stato di salute delle persone LGBT attendenti. In generale, è emerso che le persone caucasiche tendevano a non dichiararsi religiose (58%) mentre solo il 36% ed il 35% degli afro-americani e dei latino-americani si è dichiarato non religioso. In termini di omofobia interiorizzata è emerso che, rispetto ai caucasici, gli afro-americani ed i latino-americani hanno maggiori livelli di essa sebbene il risultato sia statisticamente significativo solo per i latino-americani; in generale gli affiliati a contesti non supportivi hanno maggiori livelli di omofobia generalizzata rispetto agli affiliati a contesti supportivi ed ai non praticanti. La frequenza di pratica religiosa, in questo lavoro, non ha esercitato alcuna influenza sui livelli di omofobia interiorizzata dato che non è stata riscontrata nessuna differenza statisticamente significativa tra coloro che avevano un'elevata frequenza di pratica contro chi ne aveva una bassa. Va segnalato, tuttavia, che sia i latino-americani che gli afro-americani sono risultati maggiormente esposti, rispetto ai caucasici, a contesti non supportivi e che l'affiliazione a tali contesti si è dimostrata essere un buon mediatore statistico dei livelli di omofobia interiorizzata. Va segnalato infatti che la variabile affiliazione a contesti non supportivi nel modello statistico finale ha reso non più significativa la differenza dei livelli di omofobia interiorizzata tra latino-americani e caucasici ma ha anche diminuito il valore del coefficiente standardizzato B del 50% e del 25% nei modelli testati. I livelli di omofobia interiorizzata, infine, sono risultati essere statisticamente associati alla presenza di sintomi depressivi ed ad un minore benessere psicologico rendendo, nei due modelli testati, la variabile affiliazione a contesti non supportivi un miglior predittore sebbene non statisticamente significativo.

Gli autori di questo studio hanno quindi concluso che i dati presentati forniscono una base all'ipotesi che i contesti religiosi non supportivi determinino lo sviluppo di un ambiente sociale ostile alle persone LGBT il che può risultare in una maggior presenza di omofobia interiorizzata. I latino-americani, in particolare, hanno manifestato livelli significativamente maggiori, rispetto ai caucasici, di omofobia interiorizzata. La maggior affiliazione e pratica in contesti religiosi non supportivi sembra spiegare i maggiori livelli di omofobia interiorizzata. Per quanto riguarda gli afro-americani, i dati sembrano suggerire un quadro analogo sebbene non si sia raggiunta la significatività statistica.

Tali conclusioni, basate su un campione limitato e non casuale, non sono ovviamente generalizzabili. Risulta interessante, tuttavia, notare che uno studio di Gibbs e Goldbach del 2015 sembra concludere che giovani adulti LGBT che crescono e maturano in contesti religiosi sono a più alto rischio, rispetto ad altre persone LGBT, di ideazione suicidaria, più specificatamente di ideazione suicidaria cronica, così come di tentativi di suicidio.

In ambito legislativo, in molte nazioni, soprattutto europee sono previsti strumenti legislativi, di carattere civile e penale, finalizzati al contrasto dell'omofobia intesa principalmente come discriminazione basata sull'orientamento sessuale.

Va evidenziato che le legislazioni esistenti in molti casi mantengono distinto l'aspetto della non discriminazione dalle norme mirate invece a sanzionare in modo specifico azioni e comportamenti esplicitamente omofobici, quali atti violenti o di incitamento anche solo verbale all'odio. Ci sono legislazioni che fanno rientrare questo secondo aspetto in un ambito legislativo non specifico, non considerando quindi la motivazione dell'omofobia per il reato o non prevedendo sanzioni specifiche per le espressioni di odio o di incitamento all'odio legate all'orientamento sessuale.

L'omofobia, intesa come atto violento e/o incitamento all'odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni carcerarie e/o pecuniarie in Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia e a livello regionale in Tasmania (vietato l'incitamento all'odio). Con un emendamento allo Hate Crimes Bill approvato dal Congresso nell'ottobre 2009 e denominato Matthew Shepard Act, gli Stati Uniti d'America hanno stabilito che la violenza causata da odio basato sull'orientamento sessuale costituisce un reato federale.

Norme antidiscriminatorie che menzionano esplicitamente l'orientamento sessuale sono in vigore in Europa, oltre che nei paesi sopra citati, in Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, in quattro Länder della Germania (Berlino, Brandeburgo, Sassonia e Turingia), Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ungheria, Regno Unito, Repubblica Ceca, Serbia e Montenegro.

Al di fuori dell'Europa, leggi antidiscriminazione sull'orientamento sessuale sono in vigore in Canada, in alcuni degli Stati Uniti, in Australia, Nuova Zelanda, Isole Fiji, in alcuni stati del Brasile, Nicaragua, Uruguay, Colombia, Ecuador, Israele e Sudafrica.

Anche il regime castrista ha adottato forme di persecuzione nei confronti degli omosessuali. Considerati "controrivoluzionari", dagli anni sessanta agli anni ottanta anche i gay sono stati perseguitati e molti di loro sono stati rinchiusi nei campi di lavoro forzati UMAP ("Unidades Militares de Ayuda a la Producción") a causa del loro orientamento sessuale. Nell'ideologia castrista i maricones ("finocchi") erano infatti considerati espressione dei valori decadenti della società borghese:

« Agli omosessuali non dovrebbe essere concesso di stare in posizioni dove potrebbero essere capaci di mal influenzare i giovani. Nelle condizioni in cui viviamo, a causa dei problemi che il nostro paese deve affrontare, dobbiamo inculcare nei giovani lo spirito della disciplina, della lotta, del lavoro... Noi non arriveremmo mai a credere che un omosessuale possa incarnare le condizioni e i requisiti di condotta che ci permetterebbero di considerarlo un vero Rivoluzionario, un vero Comunista aggressivo. Una deviazione di questa natura si scontra con il concetto che abbiamo di ciò che un militante comunista deve essere.»
Nel marzo del 1965, Giangiacomo Feltrinelli riuscì ad ottenere da Fidel Castro una lunghissima intervista chiedendogli anche perché perseguitasse i gay, sul perché ce l'avesse tanto con gli omosessuali e cosa c'entrasse quel pogrom con la rivoluzione. Il líder máximo, dopo una risata per la domanda sfacciata, rispose alla domanda ed accennò alla paura di "mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio". Nel 2010 Castro ha ammesso pubblicamente di aver "commesso una grande ingiustizia" a perseguitare gli omosessuali. Tuttavia, almeno dal 1988, Cuba è all'avanguardia in America latina per le politiche contro l'omofobia ed ha eliminato ogni traccia di legislazione omofobica.

La legislazione di contrasto alla discriminazione tra cittadini trae principale fondamento dall'articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana (principio di uguaglianza formale e sostanziale):
« Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. »
Pur non citando espressamente l'orientamento sessuale, esso può rientrare per via interpretativa sia nella nozione di "sesso", sia tra le "condizioni personali e sociali".

La Legge 25 giugno 1993, n. 205 intitolata Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa (cosiddetta Legge Mancino), integra il diritto penale italiano per quanto attiene ad alcune forme di discriminazione, tra cui non rientrano quelle basate sull'orientamento sessuale che, inserite nella sua prima formulazione, furono espunte dal testo nella stesura definitiva.

La menzione esplicita dell'orientamento sessuale è invece presente nel Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216, che tutela dalle discriminazioni sul luogo di lavoro. Le eccezioni inizialmente previste per il personale delle Forze Armate, delle Forze dell'ordine e di soccorso furono poi abolite a seguito della procedura d'infrazione aperta dalla Comunità Europea contro l'Italia, in quanto contrarie alla direttiva comunitaria contro le discriminazioni.

Il 2 ottobre 2009, nel corso della XVI Legislatura la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha adottato un testo base, presentato dalla deputata Anna Paola Concia e costituito da un singolo articolo, che tra le circostanze aggravanti comuni previste dall'articolo 61 del codice penale inserisce anche quella inerente all'orientamento sessuale. Tale testo è stato poi bocciato il 13 ottobre 2009 dalla maggioranza parlamentare per una pregiudiziale di costituzionalità sollevata dall'Unione di Centro. La bocciatura ha sollevato dure critiche verso l'Italia da parte di rappresentanti dell'Unione europea e dell'ONU. Alla bocciatura ha reagito invece positivamente il vescovo Domenico Mogavero, che ha definito la proposta di legge «solo un primo passo, in quanto il vero obiettivo di questa campagna sono le nozze gay».

Mara Carfagna, Ministro per le pari opportunità del Governo Berlusconi IV, il 9 novembre 2009, ha presentato Nessuna differenza, la prima campagna istituzionale in Italia contro l'omofobia e le discriminazioni di genere.

Il 17 maggio 2011, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito «inammissibile in società democraticamente adulte» l'irrisione degli omosessuali. Il 18 maggio 2011 il testo base della deputata Anna Paola Concia, basato su una direttiva europea, è stato ripresentato alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che l'ha bocciato con 24 voti contrari e 17 favorevoli. Il ministro Carfagna ha commentato: «Il Popolo della libertà ha perso un'occasione». Il 26 luglio 2011 la Camera ha respinto per la seconda volta il ddl presentato dalla deputata Concia contro l'omotransfobia.

Un nuovo disegno di legge per l'estensione della legge Mancino ai casi di omofobia e transfobia è stato presentato durante la XVII Legislatura.

In vari paesi (per esempio Canada, Regno Unito, USA, Italia) sono stati annullati molti concerti di famosi esponenti della "scena reggae", quali Sizzla, Beenie Man, Capleton, Bounty Killer, T.O.K., Buju Banton, Elephant Man per i contenuti omofobi e sessisti dei loro testi.

L'omofobia non è inserita in alcuna classificazione clinica delle varie fobie; infatti, non compare né nel DSM né nella classificazione ICD; il termine, come nel caso della xenofobia, è solitamente utilizzato in un'accezione generica (riferita a comportamenti discriminatori) e non clinica.



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martedì 19 aprile 2016

L'ETICA DEI TESTIMONI DI GEOVA

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La posizione dei Testimoni di Geova sull'omosessualità si basa sul principio che le Sacre Scritture siano l'unica fonte universalmente valida anche in tema di morale sessuale. Secondo i Testimoni di Geova, le Sacre Scritture sono Parola di Dio infallibile e il testo biblico, sia nel Vecchio Testamento che nel Nuovo Testamento, esprime una netta condanna dei rapporti omosessuali: pertanto i precetti che ne ricavano sono per essi non discutibili e non negoziabili.

Ritenendo d'essere chiamati a un'opera d'insegnamento, e di doversi confrontare con un mondo in cui l'omosessualità è praticata liberamente, i Testimoni di Geova hanno trattato spesso nelle loro pubblicazioni questo tema, sostenendo che il testo biblico è molto esplicito e contiene molti passi di condanna delle pratiche omosessuali. Essi citano Levitico, Romani oppure Giuda. Ricordano, ad esempio, che nella lettera ai Romani, a proposito delle pratiche omosessuali, si legge (1,24-27): «Dio li ha abbandonati a vergognosi appetiti sessuali, poiché le loro femmine hanno mutato il loro uso naturale in uno contro natura; e similmente anche i maschi hanno lasciato l'uso naturale della femmina, e nella loro concupiscenza si sono infiammati violentemente gli uni verso gli altri, maschi con maschi, operando ciò che è osceno».

Mentre il Levitico (20,13) recita: «Se uno ha con un uomo relazioni sessuali come si hanno con una donna, tutti e due hanno commesso una cosa abominevole; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro.» E in Giuda  si sottolinea: «Allo stesso modo Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si abbandonarono, come loro, alla fornicazione e ai vizi contro natura, sono date come esempio, portando la pena di un fuoco eterno».

Per i Testimoni di Geova, l'omosessualità, sia maschile che femminile, è una pratica disapprovata da Dio ed è quindi considerata moralmente sbagliata e contro natura, anche per il suo aspetto di pratica sessuale al di fuori del matrimonio.

I Testimoni di Geova citano Paolo, che nel Nuovo Testamento accomunò, nella Prima Lettera ai Corinti (6,9-12), gli omosessuali ad altre categorie di persone che non rispettavano i precetti di Dio, quali «fornicatori, adulteri, idolatri, ladri, avari, ubriaconi, rapinatori...». Secondo i Testimoni di Geova questo passo biblico indica che, nella chiesa o congregazione cristiana primitiva, alcuni che avevano praticato rapporti omosessuali, li avevano cessati spontaneamente per seguire i precetti divini. Di conseguenza i Testimoni di Geova incoraggiano tutti quelli che compiono tali pratiche non accette a Dio ad abbandonarle così come consiglia la Bibbia.

Seguendo un esempio presente negli scritti di Paolo, i Testimoni di Geova disassociano chi si allontani dai principi biblici seguiti dalla congregazione. Di conseguenza, un Testimone di Geova che pratica l'omosessualità e che sia contrario ad adottare forzatamente un orientamento sessuale diverso dal proprio viene sottoposto a un "comitato giudiziario", composto da tre o più "anziani", per conoscere i motivi della sua condotta, prestargli aiuto e valutare i provvedimenti opportuni.

I provvedimenti in questione possono consistere nella riprensione o a volte nella disassociazione dell'omosessuale.
Chi è riconosciuto colpevole di una pratica di peccato, tra cui rientra l'omosessualità, può essere in primo luogo ripreso scritturalmente, e poi disassociato nel caso non sia disposto a rinnegare il proprio orientamento sessuale. Senza distinzione di parentela o di legame affettivo, ai Testimoni di Geova, in assenza di situazioni particolari (lavoro, scuola, vita nella stessa casa, minori, malattia), è consigliato di non fraternizzare con i disassociati e di troncare ogni rapporto con loro. Stesso giudizio tocca a chi persista nella pratica di comportamenti sessuali esterni al matrimonio, come l'adulterio e la fornicazione. I testimoni di Geova non provano nessuna avversione verso gli omosessuali, con cui tengono gli studi biblici e che possono assistere alle loro adunanze. Tuttavia, la pratica dell'omosessualità è incompatibile con l'appartenenza al movimento.

I Testimoni di Geova si dichiarano contro l'omofobia, poiché la Bibbia comanda al cristiano di "amare il prossimo" e di non giudicarlo. In una loro pubblicazione, alla domanda: «I cristiani non dovrebbero trattare tutti con rispetto, al di là del loro orientamento sessuale?», si risponde: «Certo. La Bibbia afferma: 'Onorate uomini di ogni sorta'. O come dice la versione Parola del Signore 'Rispettate tutti' (1 Pietro 2:17). Pertanto, i cristiani non sono omofobi. Mostrano considerazione per tutti, inclusi i gay» (Matteo 7:12). Nella rivista Svegliatevi! (gennaio 2012, p. 29) si legge che «Sebbene gli atti omosessuali siano condannati nella Bibbia, l'odio per gli omosessuali non vi trova riscontro.»

Le associazioni LGBT contestano la posizione e i comportamenti dei Testimoni di Geova in merito all'omosessualità.



Coloro che, a parere dei Testimoni di Geova, adottano comportamenti contrari ai principi biblici (tra cui l'omosessualità) sono sottoposti alla "disassociazione". Questo provvedimento disciplinare, criticato da alcuni come un provvedimento che porta alla "morte sociale", è considerato da alcune associazioni LGBT come un metodo per fare pressione psicologica sulle persone omosessuali, col fine di costringerle a una condotta eterosessuale. Il testimone di Geova omosessuale viene isolato socialmente, con lo scopo di "disciplinarlo", nel presupposto che la sua sia una condotta "deviante".

Gli attivisti LGBT replicano che non esistono evidenze scientifiche che l'omosessualità sia un comportamento deviante. Notano anche che la disassociazione è un provvedimento riservato non solo agli omosessuali, ma a chiunque persista in comportamenti disapprovati dal movimento.

Alla base della "disassociazione" vi è la convinzione che l'orientamento sessuale di una persona possa essere "mutato". Viene replicato dagli LGBT che questa convinzione non è supportata dalla ricerca scientifica, e che in molti Paesi le "terapie di conversione eterosessuale" sono considerate illegali (Brasile, Ecuador, Regno Unito, Stati Uniti d'America). I metodi volti al far cambiare l'orientamento sessuale altrui sono considerati privi di giustificazione medica e lesivi della salute umana, e una delle cause dell'inasprimento del clima e degli stereotipi negativi verso l'omosessualità.

Gli attivisti LGBT hanno spesso denunciato come offensivi e discriminatori i toni usati dai Testimoni di Geova nei confronti degli omosessuali nelle loro pubblicazioni ad uso interno: in particolare hanno lamentato l'analogia comparsa sulla rivista Svegliatevi! fra l'accettazione dell'orientamento omosessuale e l'incoraggiamento a bere rivolto a un'alcolista.

Alcune associazioni LGBT ritengono che la posizione dei testimoni di Geova, secondo la quale l'omosessualità è quasi sempre frutto di una "scelta" del singolo, deliberata o indotta dall'ambiente, e quasi mai una tendenza genetica, non troverebbe riscontro nella ricerca scientifica e incoraggerebbe la pratica di rapporti omosessuali vissuti in segreto, dietro la facciata del conformismo esteriore o di un matrimonio di comodo.

Il matrimonio è un’unione permanente (Matteo 19:6). I Testimoni di Geova considerano il fatto di frequentare una persona dell’altro sesso un passo verso il matrimonio, quindi lo ritengono una cosa seria.
È pronto per frequentare qualcuno solo chi è abbastanza grande per sposarsi e “ha passato il fiore della giovinezza”, ovvero ha superato il periodo in cui gli impulsi sessuali sono più forti (1 Corinti 7:36).
Chi si frequenta dovrebbe essere libero di sposarsi. Alcuni che sono divorziati legalmente non sono comunque liberi di risposarsi agli occhi di Dio, perché dal suo punto di vista l’unico motivo valido di divorzio è l’immoralità sessuale (Matteo 19:9).
Ai cristiani che vogliono sposarsi viene detto di scegliere il coniuge solo tra i compagni di fede (1 Corinti 7:39). Questo comando non si riferisce solo a una persona che rispetta le stesse convinzioni religiose ma a chi le condivide e agisce in armonia con esse come Testimone battezzato (2 Corinti 6:14). Ai suoi servitori Dio ha sempre dato il comando di sposare solo chi ha la stessa fede (Genesi 24:3; Malachia 2:11). Tra l’altro la validità di questo comando è stata riconosciuta anche dai ricercatori di oggi.
I figli dovrebbero ubbidire ai genitori (Proverbi 1:8; Colossesi 3:20). Questo significa che se i figli sono ancora a casa devono rispettare quanto stabilito dai genitori in relazione al frequentare qualcuno, il che può includere l’età alla quale iniziare a frequentarsi e quali attività svolgere.
Nel rispetto dei princìpi della Bibbia, ogni Testimone può decidere se e con chi frequentarsi. Questo è in armonia con il principio che dice: “ciascuno porterà il proprio carico di responsabilità” (Galati 6:5). Ad ogni modo, quando si tratta di frequentare qualcuno molti cercano saggiamente i consigli di Testimoni maturi che hanno a cuore i loro migliori interessi (Proverbi 1:5).
Molte pratiche comunemente accettate quando ci si frequenta sono in realtà dei peccati gravi. Per esempio la Bibbia comanda di evitare l’immoralità sessuale. Questa include non solo i rapporti sessuali ma anche altri atti impuri tra persone non sposate come ad esempio accarezzare i genitali di un’altra persona o fare sesso orale o anale (1 Corinti 6:9-11). Prima del matrimonio anche tenere un comportamento sessualmente eccitante, pur non arrivando all’immoralità sessuale, è una forma di “impurità” che dispiace a Dio (Galati 5:19-21). Anche i “discorsi osceni”, ovvero sconci o indecenti, nella Bibbia sono condannati (Colossesi 3:8, CEI).
Il cuore, vale a dire la persona interiore, è ingannevole (Geremia 17:9). Può spingerci a fare cose che sappiamo essere sbagliate. Per non farsi ingannare dal cuore, due persone che si frequentano possono evitare di stare da sole in situazioni che per loro rappresentano una tentazione. Magari possono decidere di cautelarsi stando in mezzo a sane compagnie o facendosi accompagnare da una persona adatta (Proverbi 28:26). I cristiani che stanno cercando un coniuge riconoscono che frequentarsi su Internet comporta dei pericoli, specialmente quello di legarsi a qualcuno di cui non si sa praticamente nulla (Salmo 26:4).
Frequentarsi include qualunque attività sociale in cui due persone sono sentimentalmente coinvolte. Due persone si possono frequentare in gruppo o da sole, apertamente o di nascosto, di persona, al telefono o scambiandosi messaggi. Per i Testimoni di Geova frequentarsi non è un divertimento come un altro, è un passo importante verso il matrimonio.

La cura del paziente Testimone di Geova presenta complessi problemi etici, legali e medici. Il paziente Testimone di Geova può prontamente aver bisogno di cure mediche, sia in elezione sia in emergenza, e accetterà tutti gli aspetti del trattamento, a parte le trasfusioni. Questo rifiuto del sangue o degli emoderivati, che include il sangue intero, emazie concentrate, bianchi concentrati, piastrine, plasma ed autotrasfusioni di sangue predepositato, crea un frustrante dilemma per il medico, dato che una procedura di routine e potenzialmente salvavita è inaccettabile per il paziente. L’anestesista è particolarmente coinvolto dato che è il responsabile della gestione delle trasfusioni intraoperatorie.

Il dettame dei Testimoni che la trasfusione di sangue violi la legge di Dio fu stabilito nel 1945 ed è basato sul seguente passaggio della Bibbia:

"Ogni animale che si muova e che sia vivo può servirvi da cibo. E così nel caso della verde vegetazione, Io ti do tutto questo. Solo la carne con il suo spirito –il suo sangue- tu non puoi mangiare". (Genesi 9:3,4)



"E verso ogni uomo della casa di Israele o per ogni straniero che vi abiti come colui che ci abiti come straniero nel suo mezzo, che mangi ogni sorta di sangue, Io rivolgerò via il mio viso contro quell’anima che mangi del sangue, e lo taglierò via dal mio popolo." (Levitico 17:10-16)

"Lo Spirito Santo e Noi stessi abbiamo stabilito di non aggiungervi altri obblighi, eccetto quelle cose necessarie, come l’astenersi da ciò che è stato sacrificato agli idoli e dal sangue e da ciò che è stato strangolato e dalla fornicazione. Se voi vi terrete lontani da ciò prospererete." (Atti 15:28,29)

A prescindere dalle circostanze d’elezione o d’urgenza, il Testimone di Geova crede che l’ingiunzione biblica riguardo il sangue contempli anche il sangue umano, e che la trasfusione di sangue attraverso le vene sia equivalente al "mangiare".  Anche l’uso del proprio sangue, raccolto e depositato in una banca del sangue in preparazione di un intervento chirurgico programmato, è vietato.

Il dilemma etico è ovvio: i medici sono spinti a preservare e prolungare la vita al meglio delle loro abilità e giudizi, ma, nel caso del paziente Testimone di Geova, è loro vietato il ricorrere all’unico trattamento che può essere necessario a salvare la vita. Il medico può quindi naturalmente trovarsi a combattere una dura lotta con la propria coscienza, quando gli viene richiesto di assistere e di permettere ad un paziente di morire anche se è convinzione certa del medico che il paziente possa sopravvivere se gli fosse praticata una trasfusione.

Da parte del Testimone di Geova, la trasfusione di sangue è una violazione della parola di Dio ed è un peccato grave quanto l’idolatria o una condotta sessuale immorale. Il rifiuto dei Testimoni all’accettare una trasfusione è basato sull’obbedienza ad una "più alta autorità" e sulla convinzione che il loro rapporto con Dio sia messo in pericolo. Quale è il beneficio per il Testimone se, come Gardner El et al. hanno puntualizzato, "la loro malattia corporea è curata ma la loro vita spirituale con Dio, come loro credono, è compromessa, cosa che porta ad una vita senza significato e forse peggiore della morte stessa?".

Da un punto di vista legale, l’interpretazione del tribunale del diritto del paziente di rifiutare o accettare un trattamento è basata sulla legge comune, e perciò è un processo in evoluzione e cambiamento. Le determinazioni delle corti diventano talvolta confuse da fattori come la mancanza di competenza, a seconda che vengano prese in considerazione bambini, minori o situazioni d’emergenza.

Il caso simbolo che ha confermato il diritto di un adulto competente di rifiutare un trattamento avvenne nel 1914 nel caso "Schloendorff contro la Società degli Ospedali di New York". In questo caso, una donna acconsentì ad un esame sotto anestesia ma rifiutò il consenso ad ogni procedura operativa. Una volta sotto anestesia, tuttavia, fu effettuata una procedura operativa. Inoltre, fu scoperto postoperativamente che la donna riportò un danno al plesso brachiale risultante in intenso dolore ed un eventuale amputazione di alcune dita. Benché la donna perdesse la causa perché l’ospedale era un’organizzazione caritatevole e quindi immune da responsabilità, il giudice che presiedeva al caso stabilì che "Ogni essere umano adulto e capace di intendere e di volere ha il diritto di decidere che cosa deve essere fatto del proprio corpo."

È questo il caso che stabilì la premessa sottostante al consenso informato ed al diritto di scelta del paziente. Assieme al diritto del cittadino degli Stati Uniti di libertà di religione, un paziente Testimone di Geova adulto e competente ha il diritto, difeso dalla legge, di rifiutare la trasfusione, anche se il risultato di tale rifiuto potrebbe essere la morte. Appare quindi che i punti chiave nel diritto del paziente a rifiutare un trattamento salvavita sono la "competenza" e "l’età adulta".

Secondo il dr. Phil Fontanarosa ed il dr. Gary Giorgio del Northeastern Ohio Universities College of Medicine in Akron, un paziente può essere incapace di prendere una decisione competente se ha:

Segni vitali anormali o instabili.
Stato mentale alterato
Giudizio evidentemente alterato come per un danno o una malattia del sistema nervoso centrale, o:
Ogni segno di intossicazione alcolica o da farmaci.
Se lo stato mentale di un paziente è normale, il medico dell’Ohio consiglia di eseguire il test di Schiller: "Il paziente è intellettualmente in grado di capire la condizione, la natura e l’effetto del trattamento proposto?". Se le risposte son tutte dei "sì" il paziente è considerato cognitivamente competente. Se no, il medico potrebbe affidarsi ad un altra persona in grado di decidere – in genere il coniuge del paziente, un figlio adulto, o altri parenti stretti od amici.

Inoltre, l’argomentazione che il paziente che rifiuti la trasfusione sia quindi un suicida, e perciò non competente, è una posizione non sostanziata e generalmente non un punto fermo. Il paziente Testimone di Geova vuole vivere e ricerca trattamenti medici che gli permettano di vivere. Infatti, la loro religione attualmente proibisce il suicidio allo stesso modo delle trasfusioni.

Nonostante il precedente Schloendorff, ci sono molti procedimenti giudiziari dove il diritto di un paziente a rifiutare un trattamento fu superato dall’interesse dello stato al benessere del paziente. Per esempio, nel caso "Raliegh Fitkin-Paul Morgan Memorial Hospital contro Anderson", la corte ordinò una trasfusione di sangue in una donna gravida per salvare sia la vita della madre sia quella del feto. Nel caso "Powell contro Columbia Presbyterian Medical Center", il tribunale ordinò una trasfusione in una donna "competente" con figli minori, ritenendo che , nel caso la donna fosse morta, i figli sarebbero potuti diventare a carico dello stato, e quindi porre un indebito carico allo stato stesso.

Riguardo alla definizione di minore, un individuo è generalmente considerato troppo giovane per prendere decisioni riguardo se stesso se di età inferiore ai 18 anni; tuttavia, possono essere fatte eccezioni per i "minori autosufficienti" e i "minori emancipati". Per il Codice Civile della California, sezione 34.6, un minore autosufficiente è chi ha un’età di 15 anni o più e:
Vive separato e diviso dai suoi parenti o custodi legali, sia con sia senza il consenso o il muto assenso dei genitori o dei custodi legali, e
Gestisce i propri affari finanziari, a prescindere dalla fonte di reddito.
Sotto la sezione 62 del Codice civile della California, un minore emancipato è ogni persona sotto i 18 anni di età che:

Ha contratto regolare matrimonio, a prescindere dal fatto che tale matrimonio sia stato o no dissolto, o
Sia in servizio attivo in una qualsiasi delle forze armate degli Stati Uniti d’America, o
Abbia ricevuto una dichiarazione di emancipazione secondo la sezione 64 del Codice Civile della California.
Nelle loro decisioni riguardanti i minori, i tribunali hanno ordinato trasfusioni in bambini in situazioni pericolose per la vita a dispetto delle obiezioni dei loro genitori o tutori legali. I tribunali hanno argomentato che il principio legale della "parens patriae" obblighi lo stato ad assumere un interesse prevalente riguardo la salute e il benessere dei propri cittadini. Di conseguenza, lo stato esercita un controllo sul trattamento dei bambini maggiore di quello sugli adulti. Il caso miliare concernente un bambino minore più frequentemente citato nei casi successivi fu il caso "Prince contro lo stato del Massachusetts" nel 1944.  Il caso non riguardò una trasfusione di sangue, ma nel verdetto, la Corte Suprema stabilì il seguente:

"I genitori sono liberi di diventare essi stessi dei martiri. Ma non ne consegue che essi in identiche circostanze siano liberi di fare martiri i propri figli, prima che questi ultimi abbiano raggiunto l’età della piena e legale maturità, quando potranno prendere decisioni riguardo se stessi."

In circostanze nelle quali appaia che "la vita (del minore) non è immediatamente messa in pericolo dalle sue condizioni fisiche", il tribunale ha generalmente stabilito che "lo Stato non ha un interesse di sufficiente peso da oltrepassare le credenze religiose dei genitori precludenti un trattamento medico."

Per quanto riguarda un adulto non competente, viene generalmente applicato lo stesso ragionamento che è stato steso riguardo ai minori incapaci di prendere decisioni riguardo se stessi. Appare che quando una procedura d’urgenza, come una terapia trasfusionale, è necessaria per salvare le vita di un paziente non competente, il tribunale ha prevalentemente stabilito che il medico ha il diritto legalmente riconosciuto di procedere anche contro le obiezioni dei familiari o dei cari del paziente.

Comprensibilmente, la cura dei Testimoni di Geova presenta una serie di sfide per l’anestesista, prima fra tutte la proibizione delle trasfusioni di sangue. Sorge spontanea la domanda: che vantaggi comporta la trasfusione di sangue?

La trasfusione di sangue è principalmente intesa ad aumentare la capacità di trasporto arterioso di ossigeno, e non ad aumentare il volume intravascolare. Benché sia i cristalloidi sia i colloidi siano utili per mantenere il volume intravascolare e siano accettati dai Testimoni di Geova, essi aumentano solo di poco il contenuto di ossigeno. (24) Il contenuto di ossigeno è essenziale nella gestione perioperatoria, benché molti pazienti sani possono tollerare bassi livelli di emoglobina senza una diminuzione misurabile del trasporto di ossigeno ai tessuti.

Le cure anestesiologiche cominciano con i preparativi preoperativi, con la discussione fra il paziente, la sua famiglia, e l’équipe chirurgica. Questo include l’esame di tutte le opzioni per identificare le preferenze o le avversioni del paziente. Una volta che tutte le parti in causa hanno raggiunto un accordo sulla gestione medica, il medico è tenuto eticamente e legalmente ad aderire alle limitazioni che sono state imposte dal paziente, specialmente nel caso del rifiuto di una trasfusione di sangue da parte di un Testimone di Geova.

Allo stesso tempo, il medico e la struttura ospedaliera dovrebbero assicurarsi che il paziente Testimone di Geova abbia firmato un consenso che attesti la richiesta di non trasfondere in ogni circostanza. Molti Testimoni di Geova sono a conoscenza, e talvolta lo portano essi stessi, di moduli standard di consenso come quello sviluppato dalla California Association of Hospitals and Healt Systems, "Rifiutare il Consenso alla Trasfusione di Sangue.  Il documento è stato riconosciuto avere valore legale e avere valore protettivo nel caso di procedimenti per negligenza come stabilito dalla Corte Suprema.

In circostanze normali, la preparazione standard all’intervento potrebbe anche includere la pratica di conservare il sangue del paziente per usarlo nel caso dell’intervento, tuttavia i Testimoni di Geova non accettano la trasfusione autologa del sangue predepositato. Come alternativa, per elevare al massimo i livelli di emoglobina, il paziente può essere sottoposto ad un regime di terapia marziale orale per 3-4 settimane prima dell’intervento.  Intraoperatoriamente, minimizzare il consumo di ossigeno e massimizzare il trasporto di ossigeno ai tessuti sono fattori che aiutano a ridurre la dipendenza dalle trasfusioni. A tal fine, le tecniche che possono essere impiegate includono l’emodiluizione acuta normovolemica, dispositivi di ripulitura salvacellule come autotrasfusioni, anestesia in ipotensione, e l’ipotermia deliberata. Nessuna tecnica potrà essere soddisfacente, tuttavia, a meno che il chirurgo non dedicherà una scrupolosa attenzione a minimizzare le perdite di sangue operatorie e ad assicurare l’emostasi.

L’emodiluizione acuta normovolemica (ANH) è un metodo che riduce, o può anche eliminare, la necessità di trasfusioni di sangue durante gli interventi. L’ANH è stata usata in pazienti di tutte le età per differenti procedure, incluse, ma non solo: chirurgia ginecologica, ortopedica, craniofacciale, cardiotoracica, e neurochirurgia. Inoltre, questa tecnica è stata usata in interventi su pazienti con emogruppi rari, o in pazienti che desideravano evitare i rischi inerenti talvolta associati con le trasfusioni di sangue come epatiti e AIDS. L’ANH può essere eseguita utilizzando sia sangue venoso sia sangue arterioso e deve essere completata prima dell’intervento chirurgico, dato che una perdita ematica chirurgica durante un’emodiluizione può dare luogo ad un’ipovolemia acuta.  Inoltre, l’ipovolemia può interferire con la tendenza dell’organismo ad aumentare la gittata cardiaca, che è il principale meccanismo compensatorio contro il ridotto contenuto di ossigeno ematico. Infine, con una ridotta quantità di emoglobina e la risultante diminuzione nella disponibilità di ossigeno, è importante monitorare la perfusione, i cambiamenti dell’HCT, e lo stato volemico del paziente.

I Testimoni di Geova non accettano il sangue conservato in nessun caso, tuttavia, l’adattare il processo di emodiluizione per effettuare un continuo prelievo e reinfusione, è stato accettato da qualche Testimone di Geova. Questo adattamento è stato effettuato flebotomizzando il paziente da un catetere venoso centrale o da un vaso periferico di grande diametro con un drenaggio per gravità fino ad un’appropriata sacca di recupero, appropriata nel senso che il paziente ritenga che il suo sangue fa ancora parte del suo sistema circolatorio.

I fluidi di reintegro possono essere sia cristalloidi sia colloidi. Se vengono usati cristalloidi, il reintegro si effettua con 3 ml. di cristalloidi per ogni ml. di sangue raccolto. Se vengono usati colloidi, in genere è sufficiente un rapporto di 1 a 1. Il principale svantaggio dei cristalloidi, e la ragione per cui si utilizza un rapporto maggiore, è la rapida ridistribuzione del fluido nello spazio interstiziale, con la conseguente diminuzione del volume vascolare. Lo svantaggio dei colloidi è che sono molto più costosi e possono essere associati con coagulopatie. Tuttavia, possono fornire un’emodinamica più stabile. L’albumina è un colloide che può essere usato in emodiluizione, ma non è accettato dalla maggior parte dei Testimoni di Geova perché derivata da plasma umano.

Bisognerebbe notare che una giudiziosa gestione del sangue autologo è imperativa nel paziente Testimone di Geova dato che una trasfusione prematura potrebbe depauperare l’unico deposito disponibile di sangue. Si può considerare prudente rinunciare al sangue finché permane il sanguinamento chirurgico. Tutto considerato, questa tecnica può essere usata con successo sia nei bambini sia negli adulti, e se usata assieme ad un’anestesia generale ed ad una moderata ipotermia, minimizzerà o preverrà il bisogno di trasfusioni di sangue.



Un’alternativa all’emodiluizione accettabile per qualche paziente Testimone di Geova è l’utilizzo di dispositivi di aspirazione con recupero. Questi dispositivi aspirano il sangue dal paziente, lo filtrano o lo centrifugano, e reinfondono le emazie così trattate. Per quanto riguarda il paziente Testimone di Geova, questo può soddisfare la condizione di un circuito continuo di recupero del sangue, ed è una tecnica utile anche per la chirurgia a cuore aperto. Questa tecnica intraoperatoria di risparmio di sangue è generalmente efficace se si prevede una perdita superiore alle 2 unità. Le complicazioni associate all’uso di questi dispositivi includono disturbi della coagulazione e reazioni emolitiche.
Esiste una varietà di agenti farmacologici che possono essere usati per eliminare o diminuire il bisogno di trasfusioni.

La desmopressina (DDVP) è un analogo sintetico dell’ormone antidiuretico che aumenta i livelli dell’attività del fattore VIII e del fattore di von Willebrand. Essa è stata usata efficacemente nei Testimoni di Geova, sia intraoperativamente sia postoperativamente, per migliorare l’emostasi e ridurre le perdite ematiche. L’acido aminocaproico, che è un altro agente emostatico, e agenti piastrinoprotettivi come l’aprotinina e la prostaciclina, sono potenziali terapie in pazienti con problemi di sanguinamento, dove il risparmio di sangue è una priorità. Inoltre, la produzione di sangue può essere aumentata con l’eritropoietina umana ricombinante, un fattore di crescita glicoproteico che stimola l’eritropoiesi. L’uso dell’eritropoietina è stato documentato in diverse circostanze, nelle quali è stata usata con successo in pazienti Testimoni di Geova.

Infine, sono in corso di sviluppo sostituti degli eritrociti che potrebbero essere usati per trasfondere Testimoni di Geova, tuttavia, essi sono generalmente limitati ai perfluorocarburi (PFC), dato che l’emoglobina libera da residui stromali è purificata da sangue conservato "scaduto", alternativa inaccettabile per i Testimoni di Geova. La generazione iniziale di PFC fu clinicamente un insuccesso a causa della loro limitata capacità di trasportare ossigeno, eccezion fatta per i pazienti da sottoporre ad angioplastica percutanea. Fortunatamente, i PFC di seconda generazione stanno mostrando capacità più promettenti.


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domenica 24 gennaio 2016

LE BABY SQUILLO

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Un vortice di sesso, droga, soldi e Internet che travolge l'Italia, tra scandalo e morbosa curiosità, illuminando una fascia oscura della società italiana. Adulti che cercano emozioni forti, ragazzine e ragazzini che vivono il sesso in una maniera inedita. Pura merce di scambio, nessun valore, nemmeno quello della trasgressione che fu. Dalla Tv ai giornali, gli esperti si scatenano sul fenomeno emerso in tutta la sua forza. Marida Lombardo Piola, giornalista e scrittrice (Facciamolo a skuola), che da 10 anni racconta il fenomeno della prostituzione minorile in Italia commenta: "Una storia normale, tragicamente normale. Di quelle che si ripetono, con poche variazioni sul tema, in molti licei e nelle scuole medie". E il sociologo Mauro Magatti afferma: "E' il segno del fallimento di due generazioni, un brivido forte per sostituire l'assenza di progetti e prospettive".

Il sesso ha perso qualsiasi valore e significato. "E' come mangiare un hamburger, fare un po' di ginnastica. Anzi, per metterla sul piano del guadagno, è molto meglio che fare la babysitter o un'esperienza di lavoro. Se andiamo in azienda per uno stage - dicevano le ragazze in tribunale con assoluta tranquillità -  guadagniamo 20-30 euro in una giornata; se spacciamo o ci prostituiamo, prendiamo 200 euro in poche ore".

Un cambiamento culturale che "è coinciso anche con  il proliferare di tante trasmissioni tv e di altrettanti scandali legati a politica e festini, a cui parte dell'opinione pubblica si è letteralmente abituata. Non solo le donne hanno interiorizzato il valore del loro corpo come prevalente su quello della persona, ma anche gli uomini sono rimasti sempre più ingabbiati nell'idea che l'unica cosa che possono permettersi nella vita è un corpo da pagare, usare e buttare".

A differenza delle baby squillo, le geishe e le cortigiane del passato avevano un valore come donne: "Erano belle, colte, conoscevano l'arte della femminilità e della seduzione, dimostravano empatia, erano ammirate e tenute in considerazione. Pensiamo alla Signora delle Camelie. Avevano qualità e la chiedevano in cambio. Oggi queste bambine e ragazze sono letteralmente depauperate".

L'idea di sesso e sessualità ovviamente subisce un'evoluzione di tempi e luoghi. "Pensiamo al Nepal: si fa sesso nel tempio perché il sesso è sacro". Rispetto al passato, nella cultura occidentale è invece caduto il tabù: "Ma il sesso precoce di pochi decenni fa aveva il senso della scoperta, della trasgressione, della voglia di bruciare le tappe e di diventare grandi. Aveva un significato importante". Oggi viene vissuto invece senza coinvolgimento, senza emozioni: "Siamo alla più totale anaffettività. La gravità di quel che sta succedendo è l'allontanamento forse definitivo delle nuove generazioni dalla possibilità di amare ed essere amati".

Nessun giudizio morale, ma uno sguardo di "tenerezza" verso queste ragazzine:  "Ci mostrano a specchio i limiti della nostra capacità di educatori e ci lanciano un'ultima richiesta di aiuto. Va recuperata l'idea del progettarsi come persone e del conquistare le cose che si desiderano. Altrimenti si butta alle ortiche il bisogno di essere animali sociali, come diceva Aristotele, ovvero individui felici nella relazione. Così è in atto il tradimento del valore umano".



"Meglio andare con i grandi che con i ragazzini". Lo scandalo delle baby escort. Una teenager racconta i motivi della sua scelta, del perché frequentare gente adulta invece dei ragazzi della sua età.

"Se ci stai con i tuoi coetanei - spiega - rischi che, quando tutto è finito, quelli vadano in giro a sputtanarti con i loro amici. E sai che bella vita fai dopo. Con i grandi no, questo rischio non c’è. E poi, alla fine, che c’era di male in ciò che facevo?". La giovane entra nel dettaglio della sua attività, che le permetteva di guadagnare più della sua famiglia, di vivere in una casa da sola e in modo indipendente.

"Ma la mia casa non era l'alcova del mio lavoro, andavo da un mio amico che mi prestava la sua. In cambio io pagavo le spese. Altre volte andavo direttamente dai clienti". Una attività tenuta segreta a tutti. "Per carità, nessuno dei miei amici sapeva nulla. E nessuno deve sapere nulla. Tantomeno i miei genitori. Ho commesso un errore e se in città sapessero... Il mio fidanzato? Quando è uscito lo scandalo forse ha intuito, ma è rimasto al mio fianco, senza fare domande". Non scarica responsabilità su nessuno, ancor meno sulla sua amica più grande. "Non mi ha adescata lei, siamo entrate insieme in questo giro. Insieme abbiamo fatto tutto, era il nostro segreto".

Sul rapporto con i clienti, la baby escort li difende. "Non sapevano che fossi minorenne, il loro unico errore è stato quello di non chiedermi la carta d'identità. Ma erano tutte brave persone, con famiglia e mi trattavano bene. Ho sempre scelto le persone con cui stare. Quelli che non mi piacevano li allontanavo. Avevo 16 anni è vero, ma l'abbigliamento spesso inganna". E le foto osé su facebook? "Un errore anche quello, devo cancellarle".

"C’è soltanto una persona di cui ho paura davvero. Che potrebbe rovinarmi la vita. Ma non è un cliente". Lo stesso che le procurava la cocaina. "Ora ho smesso, non la uso più", dice.

Un esercito silenzioso, sotterraneo. Ragazzine, perché di questo stiamo parlando, convinte di saper gestire un gioco tanto più grande di loro, ma vittime. Piccole donne che all’improvviso passano dalla tracolla da bancarella alla borsa griffata. Dal vecchio telefonino allo smartphone ultimo modello. Dalla tessera dell’autobus al taxi. Una vita dorata e senza sforzo, ma solo in apparenza. Perché il prezzo per tutto questo è vendersi. Vendere corpo e dignità a uomini adulti pronti a tutto per andare con una minorenne. Già, perché delle 120 mila prostitute censite in Italia, 20 mila non hanno compiuto 18 anni. Secondo il Gruppo Abele, l’associazione fondata a Torino da don Luigi Ciotti, le più piccole hanno l’età da terza media.

Stime, abbiamo detto. Perché quello delle piccole squillo italiane è un mondo quasi del tutto sommerso. Ci si prostituisce in appartamento, al chiuso.

«Dicevo di avere 20 anni e mi hanno creduta. Meglio loro del coetaneo che poi mette le tue foto su Internet».
«Il Web abbassa la percezione del reato, anche quando si tratta di prostituzione minorile», spiega Yasmin Abo Loha, segretario generale della onlus Ecpat Italia, che si batte per la difesa dei minori da prostituzione, turismo sessuale e pedopornografia. «Le ragazze non si vendono per fame, l’idea è che non siano vittime, ma seduttrici consapevoli». Non è così naturalmente. Qualunque atto sessuale di un adulto con un minore in cambio di un beneficio, che sia denaro, una ricarica del telefono, un regalo o un voto migliore a scuola, è prostituzione minorile», continua Abo Loha.

Oggi tutto comincia a scuola. «Si inizia a mercificare il proprio corpo con i compagni di classe ancora alle medie», avverte Marida Lombardo Pijola  «Allora la discoteca frequentata al pomeriggio era l’inizio di questa china pericolosa. Oggi non serve più, bastano i bagni della scuola. E la verginità è un marchio d’infamia del quale liberarsi entro il primo anno delle superiori». Giocano a fare le grandi, queste ragazzine, senza sapere di essere comunque manovrate. «Anche dai clienti», continua la Lombardo Pijola, «dai quali cercano attenzione, carezze, un riconoscimento per risollevare la propria autostima, perché sono disperatamente sole. Il loro mondo di riferimento è il gruppo dei pari. E lì sei accettata e popolare solo se dimostri un potere d’acquisto adeguato». Ed ecco che i vestiti firmati, i drink offerti nei locali, i make up di marca diventano un lasciapassare. «E invece dovrebbero essere un segnale, anzi, una sirena d’allarme per i loro genitori», avverte Luca Bernardo, direttore del Dipartimento materno-infantile dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano e responsabile dell’Ambulatorio per il disagio dell’adolescente. «La verità è che gli adulti sono distratti e non vogliono vedere cosa sta succedendo ai figli, non solo alle figlie. Perché magari in numero inferiore, ma è chiaro che si prostituiscono anche i maschi. Così tra le famiglie che non si accorgono e i clienti che ovviamente non hanno interesse a parlare, il fenomeno resta avvolto nell’omertà». Il meccanismo è sempre quello: «Questi adolescenti pensano di scegliere in autonomia, visto che nessuno sfruttatore ufficialmente li picchia o li maltratta come accade alle squillo di strada. E invece in quel disvalore per il proprio corpo comincia la tortura peggiore: quella psicologica». Danni di cui nessuno al momento è consapevole. «Il corpo è un accessorio del tutto separato dalle emozioni», riflette la Lombardo Pijola. «Sul sesso sanno tutto, è l’educazione sentimentale che manca: allora se un rapporto intimo non mi regala nessun sentimento, perché non monetizzarlo con gli adulti?».



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