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giovedì 9 marzo 2017

AMNISTIA

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L'amnistia è una causa di estinzione del reato e consiste nella rinuncia, da parte dello Stato, a perseguire determinati reati. Si tratta di un provvedimento generale di clemenza, ispirato, almeno originariamente, a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale.

Mentre l'amnistia estingue il reato, che quindi è come non fosse stato commesso, l'indulto estingue solo la pena.

Inizialmente in Italia l'amnistia era prevista con decreto regio come un atto di grazia che il sovrano poteva concedere in virtù dei poteri che gli spettavano, cioè una grazia non diretta ad un singolo caso, ma generalizzata. Con la caduta della monarchia l'amnistia ha cominciato a subire una progressiva evoluzione: con l'instaurazione della Repubblica, il capo dello Stato è andato a sostituire il sovrano anche se su impulso delle parti politiche. Dal 1992, l'ultima riforma costituzionale ha attribuito questo potere al Parlamento, come espressione della volontà popolare abbracciando un principio più democratico, con votazione a maggioranza qualificata e particolare proprio per la serietà della materia che si va a deliberare.

L'amnistia in Italia è prevista dall'art. 79 della Costituzione, e normata dall'articolo 151 del codice penale, il quale recita:

L'amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie.
Nel concorso di più reati, l'amnistia si applica ai singoli reati per i quali è concessa.
L'estinzione del reato per effetto dell'amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca la data diversa
L'amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi.
L'amnistia non si applica ai recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell'articolo 99 Codice Penale, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente.
Come fissato dalla Costituzione, l'amnistia si applica ai reati commessi anteriormente alla data di presentazione del disegno di legge in Parlamento. A partire dal 1992 l'amnistia viene disposta con Legge dello Stato, votata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Precedentemente era prerogativa del Presidente della Repubblica.

Le figure di reato interessate dall'amnistia vengono di regola individuate con riferimento al massimo edittale della pena ma possono essere utilizzate altre modalità: possono essere previste preclusioni oggettive (p.e. rispetto ad alcune tipologie di reati). L'amnistia non si applica, salvo espressa previsione di legge, ai recidivi aggravati o reiterati, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Può estinguere il reato mentre il procedimento penale è in corso (amnistia propria), oppure può intervenire dopo che è stata pronunciata una sentenza penale definitiva di condanna (amnistia impropria ex art. 151 comma I parte 2° c.p.). La Corte costituzionale ha riconosciuto sempre e comunque la possibilità per l'imputato di rinunciare ai benefici dell'amnistia e chiedere l'esame di merito, al fine di ottenere una eventuale assoluzione.

L'amnistia impropria fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie anche se permangono gli altri effetti penali; perciò malgrado il provvedimento di clemenza, la condanna costituisce titolo per la dichiarazione di recidiva, di abitualità, di professionalità nel reato o per escludere il beneficio della sospensione condizionale della pena.

La concessione dell'amnistia può essere sottoposta a condizioni (sia sospensive che risolutive) o ad obblighi, previsti dalla legge di concessione (amnistia condizionata).

Per l'applicazione dell'amnistia impropria è competente il giudice dell'esecuzione, il quale procede (senza formalità con procedura de plano) con ordinanza comunicata al pm e notificata all'interessato. Contro l'ordinanza il p. m., l'interessato e il difensore possono proporre opposizione, a pena di decadenza entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza. L'amnistia propria è invece applicata direttamente dal giudice penale (di merito o di legittimità) che deve dichiarare l'imputato non punibile e il reato estinto "per intervenuta amnistia".

Il decreto di amnistia può essere redatto secondo due distinte modalità tecniche:

previsione qualitativa positiva: il provvedimento specifica i tipi di reato (il nomen juris delle figure criminose) che fa estinguere
previsione quantitativa positiva: il provvedimento opera per reati con pena edittale stabilita entro certi limiti
In realtà sono tecniche più di scuola, in quanto si preferisce un sistema misto che prevede certi tipi di reato a patto che non superino una pena comminata (e non edittale).

Il limite temporale dal quale un decreto di amnistia opera ed ha efficacia, attualmente la data della presentazione del disegno di legge in Parlamento, ha creato vari spunti e notevoli perplessità, specialmente alla modalità di commissione di alcuni reati.

Il primo aspetto riguarda il rapportare l'amnistia alla normale successione di leggi penali, regolate dal principio cronologico mitigato da quello del favor rei: ci si è chiesti in dottrina se l'amnistia operasse in termini identici o quantomeno simili in modo da stabilire su quali fatti precedenti operasse l'istituto. La differenza ad una lettura sistematica è stata rilevata da una parte dei giuristi in merito alla commissione del reato, che nel primo caso porterebbe alla condotta dell'agente mentre nel secondo alla commissione e consumazione della fattispecie criminosa, in modo tale che sia terminata e non protratta ulteriormente nel tempo, in altre parole determinale ed estinguibile.

Direttamente conseguente a questa chiave interpretativa del dettato normativo si pone il problema su come agisca allora l'amnistia per particolari categorie di reati, ovvero quelli continuati.



Tre sono gli orientamenti riguardo alla prima tipologia:

Unità reale del reato: è l'impostazione secondo la quale a tacer di legge viene considerato il reato in maniera unitaria
Fictio iuris
Perseguimento della ratio: più recente delle precedenti, che critica per la deformazione ed astrazione della realtà quando è possibile un approccio più semplice, in particolare seguendo la ratio che è quella di favorire un reo con l'estinzione della pena e del reato, pertanto il reato andrebbe scisso se continuato fino al termine della presentazione della legge in Parlamento in quanto l'unificazione in un reato unico continuato è un aspetto del principio di favor rei, che diverrebbe al contrario espressione di un peggiore trattamento in totale contrasto col principio stesso.
A favore di quest'ultima impostazione sembrerebbe anche la giurisprudenza costante anche della Cassazione che prevede sempre possibile la rinuncia all'amnistia da parte del reo (che ha diritto alla reputazione e all'onore).

La questione si riallaccia alla tipologia affrontata precedentemente di atto redatto in Parlamento: se viene adottata la previsione qualitativa, il nomen juris del reato è lo stesso sia per il reato base che per quello circostanziato, pertanto l'amnistia opererà per entrambi (sempre che la forma circostanziata non diventi un titolo autonomo di reato).

Vale quanto sopra, per un principio di a majori ad minus, il reato tentato è ovviamente incorporato in una previsione qualitativa in quanto sarebbe assurdo amnistiare un reato consumato, e considerato più grave rispetto al tentativo, e lasciare in piedi l'altro.

È concessa amnistia:
a) per ogni reato non finanziario per il quale è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, avvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena;
b) per i reati previsti dall’articolo 57 del codice penale commessi dal direttore o dal vicedirettore responsabile, quando è noto l’autore della pubblicazione
c) per i delitti previsti dai seguenti articoli del codice penale:
1.) 336, comma primo (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e 337 (resistenza a un pubblico ufficiale, sempre che non ricorra taluna delle ipotesi previste dall’articolo 339 del codice penale o il fatto non abbia cagionato lesioni personali gravi o gravissime ovvero la morte;
2.) 558, comma secondo (rissa), sempre che dal fatto non siano derivate lesioni personali gravi o gravissime ovvero la morte;
3.) 614, comma quarto (violazione di domicilio), limitatamente al fatto in cui il fatto è stato commesso con violenza sulle cose;
4.) 640, comma secondo (truffa), sempre che non ricorra la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, n°7, del codice penale;
d) per i reati di cui all’articolo 7 in relazione agli articoli 1,2 e 4 della LEGGE 14 ottobre 1967, n° 895 (disposizioni di controllo delle armi), come modificata dalla L: 14 ottobre 1974, n° 497, quando ricorre l’attenuante di cui all’articolo 5 della predetta legge;
e) per il reato di cui al comma terzo dell’articolo 23 della LEGGE 18 aprile 1975, n° 110 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), quando concerne armi la cui detenzione l’imputato o il condannato aveva denunciato all’autorità di pubblica sicurezza;
f) per il reato previsto dall’articolo 1 del DECRETO Legislativo 22 gennaio 1948, n° 66, commesso a causa e in occasione di manifestazioni sindacali o in conseguenza di situazioni di gravi disagi dovuti a disfunzioni di pubblici servizi o a problemi abitativi, a anche se il suddetto reato è aggravato dal numero o dalla riunione delle persone e dalle circostanze di cui all’articolo 61 del codice penale, fatta esclusione per quella prevista dal numero 1, nonché da quella di cui all’articolo 112, n° 2 del codice penale, sempre che non ricorrano altre aggravanti e il fatto non abbia cagionato ad altri lesioni personali o la morte;
g) per ogni reato commesso da minore degli anni diciotto, quando il giudice ritiene che possa essere concesso il perdono giudiziale ai sensi dell’articolo 19 del R. DECRETO LEGGE 20 luglio 1934, n° 1404, convertito con modificazioni, dalla LEGGE 27 maggio 1935, n° 835, come sostituito da ultimo dall’articolo 112 della LEGGE 24 novembre 1982, n° 689, ma non si applicano le disposizioni dei commi terzo e quarto dell’articolo 169 del codice penale;
h) per i reati relativi a violazioni delle norme concernenti il monopolio dei tabacchi e le imposte di fabbricazione sugli apparecchi di accensione, limitatamente alla vendita al pubblico e all’acquisto e alla detenzione di quantitativi di detti prodotti destinati alla vendita al pubblico direttamente da parte dell’agente;
i) per i reati di cui al secondo capoverso dell’articolo 9 dell’allegato C al R.DECRETO LEGGE 16 gennaio 1936, n° 54, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 4 giugno 1936, n° 1334. Ed all’articolo 20 del testo unico delle disposizioni di carattere legislativo concernenti l’imposta sul consumo del gas e dell’energia elettrica approvato con DECRETO M. 8 luglio 1924, e successive modificazioni, limitatamente all’evasione dell’imposta erariale sull’energia elettrica;
2. A seguito dell’applicazione dell’amnistia ad uno dei delitti previsti dall’articolo 8 della LEGGE 15 dicembre 1972, n° 772, l’imputato o il condannato è esonerato dalla prestazione del servizio di leva.
3. Non si applica l’ultimo comma dell’articolo 151 del codice penale.

Articolo 2
(Amnistia per i reati minori in materia tributaria concernenti enti non commerciali e condizioni per la concessione dell’amnistia per taluni reati tributari)

1. È concessa amnistia per i reati di cui all’articolo 1 del DECRETO LEGGE 10 luglio 1982, n° 429, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 7 agosto 1982, n° 516, commessi fino a tutto il giorno 28 luglio 1989 in relazione ad attività commerciali svolte da enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali di cui alle lettere c) e d) dell’articolo 87, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con DECRETO P.R. 22 dicembre 1986, n° 917;
2. È concessa altresì amnistia per i reati previsti dal secondo comma dell’articolo 2 del DECRETO LEGGE 10 luglio 1982, n°429, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE7 agosto 1982, n° 516. Se il versamento delle ritenute è stato effettuato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta.
3. In conseguenza dell’errata indicazione del termine del 31 dicembre 1989 per la per la presentazione dell’istanza di definizione ad ogni effetto amministrativo e penale contenuto nel comma 1 dell’articolo 21 del DECRETO LEGGE 2 marzo 1989, n°69, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 27 aprile 1989, n° 154, si considerano regolarmente adempiuti gli adempimenti eseguiti entro il 31 dicembre 1989.

Articolo 3
(Esclusioni oggettive dall’amnistia)

1. L’amnistia non si applica:
a) ai reati commessi in occasione di calamità naturali approfittando delle condizioni determinate da tali eventi, ovvero in danno di persone danneggiate ovvero al fine di approfittare illecitamente di provvedimenti adottati dallo Stato o da latro ente pubblico per far fronte alla calamità, risarcirne i danni e portare sollievo alla popolazione ed all’economia dei luoghi colpiti dagli eventi;
b) ai reati commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione previsti dal capi I del titolo II del libro secondo del codice penale ed ai reati di falsità in atti previsti dal capo III del titolo VII del libro secondo del codice penale, quando siano compiuti in relazione ed eventi di calamità naturali ovvero ai conseguenti interventi di ricostruzione sviluppo dei territori colpiti;
c) ai reati previsti dai seguenti articoli del codice penale:
1) 316 (peculato mediante profitto dell’errore altrui);
2) 318 (corruzione per un atto d’ufficio);
3) 319, comma quarto (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio);
4) 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio), in relazione ai fatti previsti negli articoli 318, comma primo e 319, comma quarto;
5) 321 (pene per il corruttore);
6) 353 e 354 (turbata libertà degli incanti e astensione dagli incanti), quando siano compiuti in relazione ad eventi di calamità naturali ovvero ai conseguenti interventi di ricostruzione e sviluppo dei territori colpiti;
7) 335 (inadempimento di contratti di pubbliche forniture), salvo che si tratti di fatto commesso per colpe;
8) 371 (falso giuramento della pace);
9) 372 (falsa testimonianza), quando la deposizione verte su fatti relativi all’esercizio di pubbliche funzioni espletate dal testimone;
10) 378 (favoreggiamento personale), fuori delle ipotesi previste dal comma secondo;
11) 385 (evasione), limitatamente alle ipotesi previste dal comma secondo;
12) 391 (procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive), limitatamente alle ipotesi previste dal comma primo. Tale esclusione non si applica ai minori degli anni diciotto;
13) 420 (attentato a impianti di pubblica utilità);
14) 443 (commercio o somministrazione di medicinali usati);
16) 445 (somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica);
17) 452 (delitti colposi contro la salute pubblica), comma primo, n° 3, e comma secondo;
18) 471 (uso abusivo di sigilli e strumenti veri), quando sia compiuto in relazione ad eventi di calamità naturali ovvero ai conseguenti interventi di ricostruzione e sviluppo dei territori colpiti;
19) 478 (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti);
20) 501 (rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio);
21) 501 bis (manovre speculative su merci);
22) 521 (atti di libidine violenti), in relazione all’articolo 520;
23) 590, commi secondo e terzo (lesioni personali colpose), limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative l’igiene del lavoro, che abbiano determinato le conseguenze previste dal comma primo, n° 2, o dal comma secondo dell’articolo 583 del codice penale;
24) 595, coma terzo (diffamazione), quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato ed è commessa con mezzi di diffusione radiofonica o televisiva:
25) 610 (violenza privata), nelle ipotesi di cui al comma secondo;
26) 644 (usura);
27) 733 (danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale);
28) 734 (distruzione o deturpamento di bellezze naturali);
d) al delitto previsto dall’articolo . 218 del codice penale militare di pace (peculato militare mediante profitto dell’errore altrui);
e) ai reati previsti:
1) dall’articolo . 20, comma primo, lett. b) e c), della LEGGE 28 febbraio 1985, n° 47 (norme in materia di controllo dell’attività urbanistico - edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), come modificato dall’articolo 3 del DECRETO LEGGE 23 aprile 1985, n° 146, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 21 giugno 1985, n° 298, salvo che si tratti di violazioni riguardanti un’area di piccola estensione, in assenza di opere edilizie, ovvero di violazioni che comportino limitata entità dei volumi illegittimamente realizzati o limitate modifiche dei volumi esistenti, e sempre che non siano violati i vincoli di cui all’articolo 33, comma primo, della predetta LEGGE N° 47 del 1985 o il bene non sia assoggettato alla tutela indicata nel comma secondo del medesimo articolo ;
2) dall’articolo 1sexies del DECRETO LEGGE 27 giugno 1985, n° 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 8 agosto 1985, n° 431, salvo che sia conseguita in sanatoria l’autorizzazione da parte delle competenti autorità;
3) dagli articoli 21,22,23, comma secondo, e 24 bis della LEGGE 10 maggio 1976, n° 319 (norme per la tutela delle acque dall’inquinamento), salvo che il fatto consista nella mancata presentazione della domanda di autorizzazione o di rinnovo di cui all’articolo 15, comma secondo, della stessa legge; dagli articoli 24, 25 e 26 del DECRETO P.R. 24 maggio 1988, n° 203;
4) dall’articolo 9, commi sesto e settimo, della LEGGE 16 aprile 1973, n°171 (interventi per la salvaguardia di Venezia), come sostituiti dall’articolo 1ter del DECRETO LEGGE 10 agosto 1976, n° 544, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 8 ottobre 1976, n°690;
5) dagli articoli 24, 25, 26, 27, 29, 31 e 32 del DECRETO P.R. 10 settembre 1982, n°915 (norme in materia di smaltimento dei rifiuti);
6) dall’articolo 2 della LEGGE 26 aprile 1983, n° 136 (biodegradabilità dei detergenti sintetici);
7) dagli articoli 17 e 20 della LEGGE 31 dicembre 1982, n° 979 (disposizioni per la difesa del mare)
8) dall’articolo 21 del DECRETO P.R. 17 maggio 1988, n°175 (attuazione della direttiva CEE n°82/501 relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali);
9) dagli articoli 3 e 10, commi sesto, ottavo nono e decimo, della LEGGE 18 aprile 1975, n° 110 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), salvo che il fatto, limitatamente alle ipotesi previste dai commi sesto e ottavo dello stesso articolo 10, debba ritenersi di lieve entità per la qualità e il numero limitato delle armi;
10) dagli articoli10 bis, commi settimo e nono, quando si tratti di condotta dolosa, e 10 quinquies, comma primo, della LEGGE 31 maggio 1965, n° 575 (disposizioni contro la mafia);
11) dall’articolo 21 del DECRETO P.R. 24 maggio 1988, n° 236 (attuazione della direttiva CEE n° 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano);
12) dagli articoli 3 e 4 della LEGGE 20 novembre 1971, n° 1062 (norme penali sulla contraffazione od adulterazione di opere d’arte);
2. Quando vi è stata condanna ai sensi dell’articolo 81 del codice penale, ove necessario, il giudice dell’esecuzione applica l’amnistia secondo le disposizioni del decreto, determinando le pene corrispondenti ai reati estinti.

Articolo 4
(Computo della pena per l’applicazione dell’amnistia)

1. Ai fini del computo della pena per l’applicazione dell’amnistia:
a) si ha riguardo alla pena stabilita per ciascun reato consumato o tentato;
b) non si tiene conto dell’aumento di pena derivante dalla continuazione e dalla recidiva, anche se per quest’ultima la legge stabilisce una pena di specie diversa;
c) si tiene conto dell’aumento di pena derivante dalle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o dalle circostanze ad effetto speciale. Si tiene conto della circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, n° 7, del codice penale. Non si tiene conto delle atre circostanze aggravanti;
d) si tiene conto della circostanza aggravante di cui all’articolo 98 del codice penale nonché, nei reti contro il patrimonio, delle circostanze attenuanti di cui ai n° 4 e 6 dell’articolo 62 del codice penale. Quando le predette circostanze attenuanti concorrono con circostanze aggravanti di qualsiasi specie, si tiene conto soltanto delle prime, salvo che concorrano le circostanze di cui agli articoli 583 e 625, numeri 1 e 4, seconda parte, del codice penale, nel caso si tiene conto soltanto di queste ultime. Ai fini dell’applicazione dell’amnistia la sussistenza delle predette circostanze è accertata, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche dal giudice per le indagini preliminari; nonché dal giudice in camera di consiglio nella fase degli atti preliminari al dibattimento ai sensi dell’articolo 469 del codice di procedura penale. Nei procedimenti indicati negli articoli 241 e 242 del DECRETO Legislativo 28 luglio 1989, n° 271, la sussistenza delle predette circostanze è accertata dal giudice istruttore o dal pretore nel corso dell’istruzione, ovvero dal giudice in camera di consiglio nella fase degli atti preliminari al giudizio ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura penale abrogato;
e) si tiene conto delle circostanze attenuanti previste dell’articolo 48 del codice penale militare di pace quando siano prevalenti o equivalenti, ai sensi dell’articolo 69 del codice penale, rispetto ad ogni tipo di circostanza aggravante;

Articolo 5
(Rinunciabilità dell’amnistia)

1. L’amnistia non si applica qualora l’imputato, prime che sia pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere per estinzione del reato per amnistia, faccia espressa dichiarazione di non volerne usufruire.

Articolo 6
(Termine di efficacia dell’amnistia)

1. L’amnistia ha efficacia per i reati commessi fino a tutto il giorno 24 ottobre 1989.

Articolo 7
(Entrata in vigore)

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

La Chiesa ha spesso favorito la concessione di amnistie o indulti, ma non tutti i giubilei sono stati accompagnati da un'amnistia. Nel 2000, ad esempio, Papa Wojtyla la chiese con forza, ma non fu concessa. Per il giubileo del 2000 si parlò di amnistia: il dibattito venne stimolato da Giovanni Paolo II, che chiese un gesto di clemenza nel documento per il Giubileo nelle carceri, e nella visita al carcere romano di Regina Coeli (9 luglio 2000) rinnovò la sua richiesta. Per superare gli scogli, la maggioranza di centrosinistra pensò anche al cosiddetto 'indultino', con l'espulsione degli extracomunitari irregolari clandestini e l'aumento degli sconti di pena. Ma anche questo si bloccò. Wojtyla, tra l'altro, tornò a fare un appello per un provvedimento di clemenza il 14 novembre 2002, quando tenne il suo discorso in Parlamento, ma passarono diversi anni prima che le Camere approvassero un indulto.

Nel 1963, in occasione del Concilio Vaticano II, lo Stato italiano decretò una delle 27 amninistie che si sono succedute dal dopoguerra fino al 1990, anno a cui risale l'ultimo provvedimento in tal senso. Più in generale, spesso la concessione di amnistie e indulti è legata a importanti eventi pubblici. Nel 1959 l'amnistia fu legata alle celebrazioni del quarantennale di Vittorio Veneto. Nel 1966 al ventennale della Repubblica. Molto prima il regime fascista aveva concesso amnistie o sconti di pena per il ventiquattresimo anniversario del regno di Vittorio Emanuele III, per le nozze del principe di Piemonte, per il primo decennale del regime e per le nascite degli eredi di casa Savoia.

Altri provvedimenti sono stati concessi dallo Stato italiano nel 1968, 1970 e 1990: i primi rivolti a chiudere le vicende penali derivanti dai movimenti sociali di quegli anni, l'ultimo per decongestionare gli uffici giudiziari nell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. L'indulto è stato concesso invece, l'ultima volta, nel 2006, preceduto tre anni prima dal cosiddetto "indultino".

A dicembre di quell'anno erano scesi a 62.536. L'ultima rilevazione del 31 luglio scorso indica 52.144 presenze a fronte di una capienza regolamentare di 49.655 posti. Sul calo ha inciso una serie di interventi messi in campo da governo e parlamento. In cima alla lista, i provvedimenti per incentivare il ricorso alle misure alternative al carcere (applicate in 33.309 casi, dicono le ultime cifre, tra affidamento in prova, domiciliari, lavoro di pubblica utilità, semilibertà). A decongestionare le carceri ha concorso anche la riforma della custodia cautelare, l'introduzione della tenuità del fatto che consente al pm di chiedere l'archiviazione per fatti di piccola entità evitando la reclusione, le 13 convenzioni firmate dal ministero del altrettante Regioni per agevolare la riabilitazione in comunità e il lavoro per i detenuti tossicodipendenti. Effetti importanti ha avuto anche la sentenza della Corte Costituzionale che ha 'bocciato' la legge Fini-Giovanardi e l'equiparazione, anche sul piano delle pene, delle droghe leggere con quelle pesanti.



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sabato 8 ottobre 2016

LA LEVA

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Già prima dell'unità d'Italia alcuni stati preunitari italiani della penisola prevedevano il servizio militare obbligatorio, come ad esempio nel caso dell'esercito delle Due Sicilie, seppur in tale caso riscattabile. Grazie all'influenza dell'impero francese, la leva obbligatoria fu introdotta nella Repubblica Italiana napoleonica il 13 agosto 1802 su proposta di Francesco Melzi d'Eril, inizialmente per i maschi di età compresa dai 20 ai 25 anni e per quattro anni e si ampliò con l'estendersi dello Stato, man mano che le operazioni militari consentivano l'annessione di altri territori: nel 1802 in Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia; nel 1805 in Friuli; nel 1806 nei territori veneti a sinistra dell'Adige. Chi era sposato prima di tale data o aveva particolari menomazioni era esonerato dal partire.

Mantenuto ancora nel successivo Regno d'Italia napoleonico, il servizio di leva fu poi adottato dal Regno di Sardegna con la riforma promossa dal generale Alfonso La Marmora (legge 20 marzo 1854, n. 1676, cosiddetta riforma La Marmora) e con il compimento dell'unità d'Italia fu estesa a tutto il Regno d'Italia in modo graduale e progressivo; il 25 giugno 1862 il ministro della guerra Agostino Petitti Bagliani di Roreto annunciò ai deputati del Regno, riuniti a Palazzo Carignano a Torino, che l'obbligo di leva era esteso a tutte le province italiane.

Benché lo statuto albertino non contenesse disposizioni particolari, si limitava ad affermare un generico principio di cui all'art. 75 che statuiva:

« La Leva militare è regolata dalla legge. »
Tuttavia il nuovo stato unitario ebbe l'esigenza di adottare una serie di provvedimenti per garantire la capacità di mobilitazione di un congruo numero di uomini in tempi brevi, così prendendo a modello il servizio di leva vigente nel Regno di Prussia, venne così applicato il principio delle coscrizione generale. Furono quindi emanate una serie di norme: in particolare, la legge 26 maggio 1861 n. 35 autorizzò una leva di 56.000 uomini nelle province che furono del Regno delle Due Sicilie; la legge 30 giugno 1861, n. 63, autorizzò una leva in Sicilia sui nati nel 1840; la legge 22 agosto 1861, n. 223, disciplinò la leva militare per le nuove province dello stato, ovvero Lombardia, Emilia, Marche, Umbria, Sicilia; la legge 13 luglio 1862, n. 695, intervenne ancora in ordine alle province napoletane dell'ex regno delle Due Sicilie e la legge 13 luglio 1862 n. 696 dello stesso giorno disciplinò la leva obbligatoria per tutte le province dello Stato a partire da tale anno per i nati nel 1842.

Una prima disciplina generale venne dettata dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248: i nominativi dei cittadini soggetti alla chiamata (esclusivamente i maschi di maggiore età) erano contenuti nelle liste di leva, formate dal comune italiano di residenza del cittadino interessato (legge 20 marzo 1865, n. 2248 allegato A), nelle quali venivano iscritti tutti i giovani al compimento del 17º anno di età. Del fatto veniva data notizia mediante affissione di manifesti presso l'albo pretorio e nel territorio del comune interessato. Successivamente, il R.D. 13 novembre 1870 n. 6026 istituì a far data dal 16 dicembre i distretti militari - che dovevano provvedere ad accertare l'idoneità psico-fisica dei coscritti ed alla mobilitazione iniziale; presso gli stessi veniva anche somministrato l'addestramento iniziale delle truppe - sopprimendo nel contempo i comandi militari di provincia. Dal punto di vista formale, la coscrizione obbligatoria di tutti i cittadini di sesso maschile fu sancita definitivamente dalla legge 7 giugno 1875 n. 2532. Tuttavia, solo il Testo unico delle leggi sul reclutamento dell'Esercito (legge 26 luglio 1876 n. 3260) dava precise indicazioni riguardo alla formazione delle liste di leva. Tale legge prevedeva che ogni comune tenesse due tipi di registri: le liste di leva e i ruoli matricolari. La legge 30 giugno 1889 n. 6168 introdusse in ogni comune i registri dei quadrupedi dove erano indicati gli animali ed i rispettivi proprietari ai fini della requisizione che poteva essere ordinata in caso di mobilitazione generale o parziale.

La normativa sul reclutamento del Regio Esercito, risistemata con il R.D. 6 agosto 1888 n. 5655 (Nuovo testo unico delle leggi sul reclutamento del regio Esercito) venne nuovamente modificata con una serie di provvedimenti normativi: legge 28 giugno 1891 n. 2346, legge 15 dicembre 1907 n. 763, legge del 24 dicembre 1908 n. 783, legge del 30 giugno 1910 n. 362 (dove la ferma si ridusse a due anni per tutte le armi) legge 5 agosto 1927 n. 1437 ed infine legge 24 febbraio 1938 n. 329.

I coscritti chiamati alle armi, affluivano presso i rispettivi distretti militari e da questi inviati ai reggimenti di assegnazione, che si occupavano direttamente di tutto il ciclo addestrativo: vestizione presso il deposito di reggimento (di battaglione/gruppo nelle unità alpine), addestramento di base presso un apposito plotone di istruzione e in breve tempo affiancamento al personale più anziano (addestramento per imitazione). L'introduzione del servizio militare di massa suscitò notevole scontento tra le popolazioni meridionali e contribuì ad alimentare il brigantaggio postunitario, in risposta così i governi dell'epoca adottarono misure straordinarie ed estremamente repressive - come la legge Pica - che oltre a punire la renitenza alla leva con la reclusione nelle carceri italiane, colpiva anche i parenti ed eventuali complici di coloro che si sottraessero agli obblighi militari.

Alla vigilia della prima guerra mondiale la normativa venne nuovamente modificata dal R.D. 24 dicembre 1911 n. 1497 (Testo unico delle leggi sul reclutamento del regio Esercito).

Durante il conflitto, si diffuse il termine volgare-dialettale naja, come sinonimo di vita militare, soprattutto nell'Italia settentrionale, quindi successivamente esteso a tutto il territorio italiano. Probabilmente derivato dal dialettale veneto (teatro delle battaglie del conflitto) te-naja, inteso come morsa, tenaglia, il termine indica, in senso dispregiativo, la vita militare che obbliga un individuo a strapparsi dai propri affetti per subordinarsi alle gerarchie istituzionali.

Una diversa spiegazione etimologica fa risalire il termine naja dal veneto antico naia, "razza, genia", che a sua volta deriva dal termine latino natalia, pl. neutro di natalis, "attinente, relativo alla nascita", con riferimento alla classe generazionale che veniva coscritta ogni anno.

Durante la guerra cominciarono inoltre a verificarsi i primi significativi episodi di obiezione di coscienza: i primi casi di obiezione al servizio militare obbligatorio furono quelli di Remigio Cuminetti, un testimone di Geova, che nel 1916 in piena grande guerra finì sotto processo per diserzione a causa del suo rifiuto di indossare l'uniforme, e di Luigi Lué e Alberto Long.

Il regime fascista introdusse l'istruzione premilitare, "impartita con carattere continuativo a tutti i giovani dall'anno in cui compiono l'8º anno di età a quello in cui compiono il 21°. Tale istruzione comprendeva due periodi: il primo, dal 1º gennaio dell'anno in cui si compie l'ottavo, al compimento del 18º anno di età, era di competenza della Opera Nazionale Balilla creata nel 1926; il secondo, di servizio premilitare obbligatorio, dal compimento del 18º anno di età (leva fascista) alla chiamata alle armi della rispettiva classe di leva". Il cittadino italiano iscritto nelle liste di leva diventava così soldato e da quel giorno, incombeva su di lui l'obbligo militare (obbligo di leva). Il servizio di leva poteva essere svolto anche presso la milizia fascista (MVSN).

La normativa relativa al reclutamento venne poi raccolta nel regio decreto 8 settembre 1932, n. 1332 ("Testo unico delle leggi sul reclutamento del Regio Esercito"). Il servizio di leva poteva essere altresì prestato come ausiliario presso le varie forze armate italiane e forze di polizia italiane (come ad esempio in qualità di carabiniere ausiliario presso l'Arma, Polizia di Stato, Corpo degli agenti di custodia, Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco), o anche come ufficiale di complemento.

Con la riforma di cui al regio decreto legge 21 novembre 1934 n. 1879, seguita dal R.D 24 febbraio 1938 n. 329 (Testo unico delle disposizioni legislative sul reclutamento del regio Esercito), si modificò il testo unico del 1932, prevedendo che per l'esercito i giovani venissero chiamati alla leva ed esaminati, nel 20º anno e la chiamata alle armi normalmente nel 21º anno.

Si prevedeva, in particolare:

« Le ferme di leva si distinguono, in ordine decrescente di durata, in: ordinaria (18 mesi), minore di 1° grado (12 mesi), minore di 2° grado (6 mesi), minore di 3° grado (3 mesi). »
Nella Regia Marina era prevista la ferma volontaria ordinaria di 6 anni, quella volontaria a premio di 4 anni e la ferma di leva di 28 mesi. Infine nella Regia Aeronautica il personale di leva era assegnato dai distretti militari e dalle capitanerie di porto in base ai quantitativi stabiliti.

Con la nascita della Repubblica Italiana venne affermato nella carta costituzionale il dovere dell'obbligatorietà del servizio, contenuto nell'art. 52 della costituzione della Repubblica Italiana, ma tuttavia temperato dalle modalità e nelle limitazioni imposte dalla legge. Infatti, il 2° comma dell'articolo afferma che:

« Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. »
Nell'immediato secondo dopoguerra, vennero poi istituiti i centri addestramento reclute, presso i quali i coscritti dovevano recarsi per sostenere apposito corso di addestramento e successivamente essere assegnati ad una sede di servizio. Le leggi 25 aprile 195, n. 308 e 8 luglio 1961, n. 645 disciplinarono la composizione delle commissioni mobili e dei consigli di leva, mentre ai sensi della legge di delega 13 dicembre 1962 n. 1862, venne emanato il DPR 14 febbraio 1964 n. 237 ("Leva e reclutamento obbligatorio nell'Esercito, nella Marina e nell'Aeronautica").

I soggetti destinatari della chiamata, ai sensi dell'art. 1 del DPR 237/1964, continuavano ad essere tutti i cittadini italiani esclusivamente di sesso maschile e maggiorenni inclusi nelle liste di leva. Si era quindi chiamati (tramite la cosiddetta chiamata alle armi tramite apposita cartolina-precetto) a presentarsi presso il distretto militare competente e sottoposti alla visita medica di leva; se dichiarati idonei si svolgeva servizio obbligatorio nella Marina Militare, nell'Esercito Italiano o nella Aeronautica Militare; solitamente con incarichi di impiego nei servizi (approvvigionamento, logistica, ecc.) o incarichi di servizio in una determinata arma (ad esempio fuciliere dell'esercito); solitamente dalla visita all'arruolamento passava un certo periodo di tempo, generalmente non superiore all'anno.

Il servizio di leva continuava a poter essere prestato presso le varie forze armate italiane (e a partire dal 1958 anche nella Vigilanza Aeronautica Militare per l'aeronautica militare italiana) e forze di polizia italiane e come ufficiale di complemento. Coloro che invece, dopo aver ricevuto la chiamata non si fossero presentati presso il distretto competente, rifiutandosi di prestare il servizio di leva (come nel caso degli obiettori di coscienza), ponevano in essere condotte che integravano la fattispecie del reato di renitenza alla leva, punito con la reclusione in carcere.

A seguito dell'emanazione della prima legge 15 dicembre 1972 n. 772 ("Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza"), si ebbe per la prima volta una disciplina dell'obiezione di coscienza nonché l'istituzione del servizio civile, obbligatorio, alternativo e sostitutivo a quello militare per chi, risultato idoneo alla visita di leva, non volesse prestare servizio armato.
Inizialmente il servizio civile obbligatorio aveva una durata maggiore rispetto al servizio militare, durata via via equiparata mentre il rapporto fra il numero di persone che svolgevano i due tipi di servizio si attestava sulla parità. Negli anni, inoltre, la richiesta di effettuare il servizio civile fu progressivamente svincolata dal soddisfacimento di particolari requisiti, ad esempio, di natura religiosa.

Anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale aveva cominciato a prendere atto del cambiamento espresso da alcune parti dell'opinione pubblica: la sentenza n. 164 del 23 maggio 1985 aveva stabilito, il diritto del cittadino a servire la patria anche espletando un servizio alternativo a quello armato. Con la legge 6 marzo 2001 n. 64 verrà successivamente istituito nel 2001 il servizio civile nazionale.

Con la legge 20 ottobre 1999, n. 380 venne previsto, per la prima volta nella storia italiana, la possibilità per le donne di arruolarsi, su base volontaria, nelle forze armate italiane, introducendo così, per la prima volta in italia, il servizio militare femminile volontario.

Intanto il periodo di ferma obbligatorio continuò a subire riduzioni nel tempo con vari provvedimenti legislativi:

ferma di leva di 15 mesi per Esercito/Aeronautica e 24 mesi per la Marina (sino al 1975)
dal 1976 ferma di leva di 12 mesi per Esercito/Aeronautica e 18 mesi per la Marina, e rispettivamente 15/18 per gli ufficiali di complemento
dal 1987 ferma di leva di 12 mesi per Esercito/Aeronautica/Marina e 15 mesi per gli ufficiali di complemento
dal 1997 ferma di leva di 10 mesi per Esercito/Aeronautica/Marina, 12 mesi nell'Arma dei Carabinieri quale Carabiniere ausiliario e 14 mesi per gli ufficiali di complemento.
Tuttavia, la società italiana nel corso del tempo aveva già cominciato progressivamente a nutrire una generale e crescente avversione alla coscrizione obbligatoria; infatti dati ufficiali che registrarono il dissenso della popolazione risalgono già all'inizio del XX secolo, anche a causa dei diversi episodi di nonnismo e omicidi verificatisi nel corso degli anni. Un impulso decisivo al superamento della leva obbligatoria si ebbe coi fatti emersi nell'agosto del 1999 con la morte, avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite, del paracadutista siracusano Emanuele Scieri in forza alla Brigata paracadutisti "Folgore", in servizio presso la Caserma Gamerra C.A.PAR Centro Addestramento Paracadutisti di Pisa. Sulla vicenda, che ebbe un certo impatto sull'opinione pubblica, vennero effettuate anche alcune interrogazioni parlamentari. Il 3 settembre 1999, il Consiglio dei ministri approvò il disegno di legge proposto dall'allora Ministro della difesa Carlo Scognamiglio che doveva avviare il processo per giungere al superamento della coscrizione obbligatoria. Il provvedimento fu presentato al Senato l'8 ottobre 1999 quale disegno di legge n. 6433 ("Delega al Governo per la riforma del servizio militare") e, dopo essere stato approvato con modificazioni il 14 giugno 2000, passò alla Camera dei deputati per diventare successivamente legge 14 novembre 2000 n. 331.



Nella relazione di accompagnamento della legge si afferma:
« Le forze militari oltre al tradizionale e perdurante ruolo di difesa della sovranità ed integrità nazionale, sono chiamate ad una funzione più dinamica per garantire la stabilità e la sicurezza collettiva con operazioni di gestione delle crisi e di supporto della pace. Ciò implica la necessità di trasformare lo strumento militare dalla sua configurazione statica ad una più dinamica di proiezione esterna, con più rapidi tempi di risposta all'insorgere dell'esigenza ed una più completa e complessa preparazione professionale.
Il modello interamente volontario è quello che meglio risponde a questa nuova connotazione e funzione dello strumento militare. Non si tratta, peraltro, di abolire la coscrizione obbligatoria, ma solo di prevederla in casi eccezionali, quali quelli di guerra o di crisi di particolare rilevanza, che richiedano interventi organici.
Tra l'altro non è possibile sottacere che il rilevante calo demografico in atto in Italia unito all'incremento del fenomeno dell'obiezione di coscienza rende sempre più difficile raggiungere contingenti di leva idonei a soddisfare le esigenze qualitative e quantitative delle forze armate. Difficoltà acuite sia dalla spinta alla regionalizzazione sia dalla riduzione a dieci mesi della durata del servizio militare che ha ridotto il periodo di reale operatività dei militari di leva, insufficiente per determinati settori o particolari sistemi d'Arma.
Per procedere alla trasformazione dello strumento militare, occorre innanzitutto definire le nuove dimensioni delle forze armate professionali, ovvero il punto di arrivo della connessa contrazione. Pur tenendo ferma l'esigenza di rispettare gli impegni operativi assunti, il passaggio da un modello misto ad uno tutto professionale, composto da personale maschile e femminile, potrà permettere di conseguire una ulteriore riduzione quantitativa per il più alto coefficiente di utilizzo del personale tutto volontario e per il recupero discendente dal riordino del settore del reclutamento e della componente addestrativa e formativa. Partendo dall'attuale (anno 1999) livello di circa 270.000 uomini, l'insieme di questi fattori fa ritenere perseguibile, pur rispettando gli attuali impegni operativi assunti, una riduzione dello strumento militare interamente professionale a 190.000, ovvero di ben 80.000 unità in meno della consistenza attuale. »
Durante il governo D'Alema I fu emanata la legge 14 novembre 2000 n. 331, elaborata durante il Governo Amato II e promossa principalmente dal senatore Carlo Scognamiglio. La legge conferiva al governo italiano la delega a emanare disposizioni concernenti la graduale sostituzione, entro sette anni, dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa, e fissò l'organico dell'esercito italiano in numero di 190.000 unità. La norma non aboliva radicalmente l'obbligo della coscrizione, ma ne statuì la possibilità del ripristino - per una o più classi - in caso di carenza di soldati, e in due casi particolari, ossia:
qualora venga deliberato lo stato di guerra, ai sensi dell'art. 78 della Costituzione
in caso di gravissime crisi internazionali in cui l'Italia sia coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale.
Il d.lgs 8 maggio 2001 n. 215, emanato durante il governo Amato II, che introdusse alcune modifiche in tema di rinvio per motivi di studio, disposizioni sugli ufficiali ed altre norme per il superamento progressivo del servizio di leva, stabilì che le chiamate fossero sospese a partire dal 1º gennaio 2007. Nel contempo Corte costituzionale della Repubblica Italiana confermava inoltre il suo orientamento giurisprudenziale con la pronuncia della sentenza del 16 luglio 2004 n. 228, riguardo alcune questioni di legittimità costituzionali riguardo al servizio civile, rimarcando ulteriormente che il dovere, sancito dalla carta costituzionale, dei cittadini della difesa della patria potesse essere assolto in maniera equivalente con modalità diverse e/o estranee alla difesa militare. La sospensione venne infine anticipata con la legge 23 agosto 2004, n. 226 promulgata durante il governo Berlusconi II: la norma, modificando il decreto legislativo n. 215/2001, fissava la sospensione delle chiamate per lo svolgimento del servizio di leva a decorrere dal 1º gennaio 2005, disponendo comunque la chiamata al servizio, fino al 31 dicembre 2004, per tutti i soggetti nati entro il 1985 incluso.(quest'ultima quindi l'ultima classe di leva chiamata alle armi) tranne nel caso che costoro avessero presentato domanda di rinvio per motivi di studio. Il decreto del Ministero della Difesa del 20 settembre 2004 (emanato in attuazione dell'art. 11 bis del d.lgs. 215/2001) fissava al 30 settembre 2004 il termine delle visite di leva.

Il successivo decreto legge 30 giugno 2005 n. 115 - convertito in legge 17 agosto 2005 n. 168 - introdusse infine la possibilità a decorrere dal 1º luglio, per il personale in servizio espletante sia il servizio di leva che il servizio civile sostitutivo, di poterne cessare anticipatamente la prestazione, con apposita domanda.

Nel settembre del 2009 il governo Berlusconi IV promosse un'iniziativa denominata Pianeta Difesa consistente in un breve periodo durante il quale 145 giovani (100 ragazzi e 45 ragazze), appositamente selezionati dall'ANA, potevano partecipare a una breve esperienza di vita militare (15 giorni/1 mese). Questo periodo di servizio, soprannominato la mini naja, mirava a far conoscere ai partecipanti lo stile vita militare. La sperimentazione si svolse presso corpo degli alpini, e quindi i giovani hanno passato il periodo di addestramento nelle caserme del 6º Reggimento alpini per il solo progetto Pianeta Difesa; per il progetto "Vivi le Forze Armate, Militare per tre settimane" invece i reparti impegnati sono stati vari dell'Esercito, della Marina Militare, dell'Aeronautica Militare ed Arma dei Carabinieri. Complessivamente, nel 2010 furono stanziati fondi per una durata triennale per un progetto, più ampio rispetto al precedente Pianeta Difesa, denominato "Vivi le Forze Armate, Militare per 3 settimane".

Nello stesso 2010, la materia venne infine raccolta e risistemata nel codice dell'ordinamento militare di cui al d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66, e dal relativo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare).

L'art. 52 della Costituzione della Repubblica italiana prevede l'obbligatorietà del servizio militare, ma solo nei modi e nei limiti previsti dalla legge, nella fattispecie l'istituto è regolato dal codice dell'ordinamento militare di cui al d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66. Il D.P.R. del 15 marzo 2010 n. 90 ne regolamenta invece aspetti applicativi (come ad esempio gli adempimenti circa le liste di leva). L'arruolamento quindi, si divide in obbligatorio e volontario, ambo le fattispecie sono previste e normate dal predetto codice.

Per quanto riguarda il servizio di leva il nuovo codice limita l'operatività della coscrizione obbligatoria, o meglio la sua attuazione, alle condizioni riportate in tale norma all'art. 1929, in particolare al comma 2°:

«Il servizio di leva è ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, se il personale volontario in servizio è insufficiente e non è possibile colmare le vacanze di organico, in funzione delle predisposizioni di mobilitazione, mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni, nei seguenti casi:
a) se è deliberato lo stato di guerra ai sensi dell'articolo 78 della Costituzione;
b) se una grave crisi internazionale nella quale l'Italia è coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle Forze armate. »
(comma 2° art. 1929 dlg 66/2010)
Dopo aver ricevuto la chiamata, si prevede il superamento di visite mediche in un periodo di due giorni, con esito diverso, in particolare si è dichiarati:
Idoneo: in questo è previsto l'arruolamento.
Rivedibile: si viene invitati a ripresentarsi l'anno seguente per effettuare nuovamente le visite in quanto giudicato temporaneamente inabile. Nel caso tale infermità perdurasse anche alla seconda visita il soggetto viene riformato.
Riformato: Questo giudizio sancisce la permanente inidoneità al servizio militare.
La competenza alla formazione delle liste di leva è dei comuni italiani, nelle quali vengono ad essere iscritti i cittadini italiani di sesso maschile all'anno del compimento del loro 17º anno di età e, in caso di ripristino della leva, suscettibili di chiamata a visita al compimento del 18º anno di età ma comunque non oltre il 45º anno. I requisiti psico-fisici sono accertati dalle commissioni di leva, le imperfezioni che costituiscono causa di inidoneità sono stabilite dall'art. 582 del D.P.R. 90/2010; il personale di leva inoltre riceve una paga adeguata a quella di soldato, così come pure i richiamati e le forze di complemento. Ad ogni modo il periodo di ferma dei militari di leva e degli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio civile è di 10 mesi, prolungabili con decreto del ministero della difesa sempre nelle ipotesi previste per la riattivazione della leva, essi possono essere utilizzati per particolari attività operative, logistiche, addestrative, e riguardanti il benessere del personale militare ed i servizi generali di caserma o per fornire soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali ed il ripristino di infrastrutture pubbliche per non più di 6 mesi; hanno inoltre diritto ad usufruire di vitto ed alloggio presso la struttura ove prestino servizio e sono generalmente assegnati ad una sede di servizio distante non più di 100 km dalla propria residenza, e sono tenuti come tutti i militari a prestare giuramento militare. I renitenti alla leva continuano ad essere puniti con la reclusione carceraria, e con la conseguente applicazione di sanzioni ulteriori ove previsto dalla legge.

I soggetti di sesso maschile appartenenti sino alla classe del 1985 inclusa possono consultare la loro posizione relativa all'adempimento degli obblighi militari presso i centri documentali che dal 30 ottobre 2000 hanno sostituito i vecchi distretti del 1870. Nei centri inoltre continuano ad essere versate le liste di leva, elaborate dai comuni d'Italia ai sensi della vigente normativa, relative a tutte le classi.

L'esonero al servizio militare (diverso dalla riforma, in quanto non prevedeva l'effettuazione degli accertamenti medici) è previsto per alcune situazioni familiari:

figlio o fratello di militare deceduto in guerra;
fratello di militare deceduto durante la prestazione del servizio;
orfano di entrambi i genitori (primogenito);
vedovo o celibe con prole;
arruolati con prole;
unico fratello convivente di disabile non autosufficiente;
primo figlio maschio di genitore invalido per servizio o caduto in servizio;
terzo (o successivo) figlio maschio se (almeno) due fratelli avevano già assolto completamente il servizio di leva;
responsabile diretto della conduzione di impresa familiare.
Alle suddette si aggiunge la casistica del decreto legislativo 30 dicembre 1997 n. 504, il quale ha stabilito che "qualora si prevedano eccedenze rispetto alle esigenze di incorporazione" potessero altresì essere dispensati i cittadini che versassero in difficoltà economiche o familiari ovvero particolari responsabilità lavorative.

Gli studenti delle scuole superiori e gli universitari potevano domandare il rinvio del servizio ma non della visita; negli ultimi anni fu ammesso anche il rinvio della visita, come nel caso di cittadini italiani residenti all'estero. In particolare, per gli studenti universitari, le norme per la concessione del beneficio di esenzione dal servizio per motivi di studio furono modificate dal predetto d.lgs 504/1997:

Per gli studenti immatricolati prima dell'anno accademico 1998/1999 poteva essere concesso a seconda dell'anno di età e di iscrizione al corso di studi universitari:
fino al compimento del venticinquesimo anno di età, per i corsi aventi la durata di tre anni
fino al compimento del ventiseiesimo anno di età, per i corsi aventi la durata di quattro anni
fino al compimento del ventisettesimo anno di età, per i corsi aventi la durata di cinque anni
fino al compimento del ventottesimo anno di età, per i corsi aventi una durata maggiore di cinque anni.
Per gli studenti immatricolati dopo l'anno accademico 1998/1999:
Per la prima richiesta era sufficiente l'iscrizione ad a un corso di istruzione universitaria di diploma e di laurea presso università statali o legalmente riconosciute
Per la seconda richiesta era necessario aver superato n. 1 esame di quelli previsti dal piano di studi
Per la terza richiesta era necessario aver superato complessivamente n. 3 esami di quelli previsti dal piano di studi del 1º e del 2º anno
Per la quarta richiesta era necessario aver superato complessivamente n. 6 esami di quelli previsti dal piano di studi del 1°, del 2°, e del 3º anno
Per la quinta richiesta e successive era necessario aver superato altri 3 esami per anno rispetto alla quarta richiesta.
Il d.lgs 8 maggio 2001, n. 215, modificando il d.lgs 504/1997, apportò cambiamenti circa i requisiti per gli studenti universitari ammessi al beneficio del rinvio per motivi di studio, in particolare a decorrere dal 1º gennaio 2004 e per i soggetti appartenenti alla "classe di leva" anno 1985 e precedenti:
per la prima richiesta di ritardo, di essere iscritto a un corso di istruzione universitaria di diploma e di laurea presso università statali o legalmente riconosciute;
per la seconda richiesta, di aver sostenuto con esito positivo quattro esami previsti dal piano di studi;
per la terza richiesta, di aver sostenuto con esito positivo otto esami previsti dal piano di studi;
per la quarta richiesta e le successive, di aver sostenuto ulteriori quattro esami previsti dal piano di studi per anno rispetto alla terza richiesta e alle successive.
Attualmente, la disciplina delle dispense e dei rinvi per motivi di studio è contenuta nel d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66 (libro VIII, titolo II, capo IV, sezioni V, VII VII e VIII).

Il servizio militare obbligatorio è stato sempre oggetto di dibattito nella società italiana. Tra le argomentazioni favorevoli possiamo annoverare:
esso poteva favorire la conoscenza, soprattutto per i giovani di realtà disagiate, di aree lontane, e anche l'integrazione linguistica;
i giovani potevano conoscere realtà diverse da quelle quotidiane, con possibilità di stringere forti legami di amicizia;
secondo alcuni medici, l'abolizione del servizio obbligatorio (con conseguente abolizione dell'obbligo di visita medica), non permetterà di identificare alcune patologie dell'apparato riproduttivo maschile che, molto spesso a causa di pigrizia o pregiudizi da parte dell'interessato, venivano identificati proprio dai medici militari durante la visita. Tra le patologie più comunemente riscontrate, la più frequente era il varicocele;
esso poteva costituire un momento di formazione per l'individuo e dal punto di vista caratteriale e nello spirito.
il servizio assicurava un costante afflusso di soldati a costi poco elevati; inoltre potendo essere prestato presso corpi di polizia, poteva garantire alle amministrazioni interessate un flusso continuo di personale giovane da impiegare per svariati compiti a seconda delle necessità che si presentavano, dall'ordine pubblico, ai disastri naturali e la lotta alla criminalità;
la coscrizione obbligatoria aiutava a dare una disciplina e uno spirito di cooperazione di gruppo; inoltre forze armate costituite non da coscritti creerebbero una sorta di "casta".

Si partiva per il servizio militare e dall’estremo Nord ci si trovava all’estremo Sud e viceversa.

Era un rimescolamento di razze e di lingue, come quello che Tito usò per fare la Jugoslavia unita. Se si era un soldato semplice, si capitava al Car, Centro Addestramento Reclute,  piemontese o lombardo o veneto insieme con sardi e pugliesi. Si facevano subito esperienze inaudite. Distribuivano le lenzuola, e c’erano figli di pastori che domandavano cosa sono e a cosa servono. Idem per la carta igienica, mai vista prima. Si dormiva in grandi camerate, i fucili venivano deposti al centro sulla rastrelliera, dritti in su, ma di notte qualche soldato si metteva la baionetta sotto il cuscino, perché non si sa mai. Ci si doveva adattarsi ad una gerarchia che cominciava da zero. Col passare delle settimane e dei mesi, qualcuno veniva scremato e saliva di grado. Il vero trauma della naia era l’obbedienza.  

L’obbedienza ha un prezzo psichico enorme, non c’è soldato che, una volta congedato, non ricordi per filo e per segno le volte in cui ha dovuto obbedire anche se era assurdo. Ci si staccava a vent’anni dalla famiglia, dove padre e madre diventavano pazzi per assicurarti la felicità, ci si trovava fra sconosciuti di tutt’Italia e ci si doveva «arrangiarsi», «cavarsela». Se in ufficio, in fabbrica, a scuola, in azienda, fra tanti ex-soldati di leva c’era qualcuno che non aveva fatto il servizio militare, c’era sempre qualche superiore che commentava: «Si vede». Nella naia nascevano amicizie che non morivano più. Gli ex-compagni di camerata continuavano a informarsi sulla vita dei colleghi, e tra le ragioni ce n’era anche una che loro non capivano, ed era questa. Ognuno esponeva sull’armadietto la foto della propria ragazza, c’era sempre chi s’innamorava della ragazza del vicino e poi, congedato, andava a trovarlo non per incontrare lui, ma per incontrare lei. Non ci riusciva mai. O, se ci riusciva, era tardi. La naia era anche questo, e forse soprattutto questo: una fusione collettiva degli amori dei ventenni. Non c’è niente di uguale nel mondo borghese. Allora si amava e si cresceva «per generazioni», adesso si ama e si cresce ognuno per sé. Adesso l’unico collegamento generazionale è via Internet. Ma la differenza tra quegli amori e quelli d’Internet è la differenza tra donne di carne e donne di carta.

Tra le argomentazioni contrarie si può osservare che:

il servizio era considerato come un'imposizione contro la libertà personale, che creando una "cittadinanza in armi", si poneva potenzialmente in contrasto con taluni movimenti (come il pacifismo e l'antimilitarismo), per ragioni etiche; peraltro durante gli accertamenti di leva i coscritti erano tenuti a consentire il rilevamento delle impronte digitali, aspetto ritenuto discutibile da taluni.
un ambiente di rigorosa gerarchica disciplina non è adatto a tutti gli individui, tanto meno può essere imposto;
sottraeva tempo utile alla vita civile ed al completamento degli studi, impegnando forzosamente migliaia di giovani, che espletando il servizio di leva entravano nel mondo del lavoro con un anno di ritardo (o più nel caso di leva di mare o servizio come ufficiale) discriminandoli rispetto agli esentati dal servizio;
il servizio poteva non fornire una preparazione militare adeguata e sovente consisteva nel puro addestramento formale e in lavori di manovalanza per il semplice mantenimento della struttura cui il coscritto era stato assegnato;
Data l'obbligatorietà del servizio spesso potevano essere arruolati soggetti provenienti da aree con disagio sociale e/o con precedenti giudiziari (la legge italiana fa divieto espressamente che questi ultimi vengano cancellati dalle liste di leva);
Durante il servizio le reclute più giovani erano sovente vessati da militari più anziani, solitamente anch'essi di leva, con atti di bullismo e violenza, pratiche inquadrabili nel fenomeno del nonnismo, poiché esercitate dagli anziani (i cosiddetti "nonni") episodi talvolta riportati anche da cronache giornalistiche;
la coscrizione obbligatoria esclusivamente maschile configurava una forma di sessismo, essendo obbligatoria solo per gli individui di sesso maschile;
avere forze armate non basate sulla coscrizione permette di avere personale meglio motivato, formato, addestrato ed in generale più preparato ad operare in diverse situazioni ed attività.



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mercoledì 15 giugno 2016

L'OMOFOBIA

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Il termine omofobia significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso” e più precisamente si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali. Essa può manifestarsi in modi molto diversi tra loro, dalla battuta su un una persona gay che passa per la strada, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. In seguito all’omofobia, ad esempio, alcuni eterosessuali, raccontano di sentirsi a disagio in presenza delle persone gay o lesbiche, altri si mettono a ridere quando le incontrano per strada. Altri ancora dicono di essere disgustati dai loro comportamenti, arrabbiati o indignati. Anche la parola “frocio” può essere considerata come espressione di omofobia, perché di solito viene usata con una connotazione negativa.
L’omofobia deriva dall’idea che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto (eterosessismo). Tale considerazione è basata anche sulla falsa credenza che in natura non esistano comportamenti omosessuali (“L’omosessualità è contro natura”); molti animali, invece, presentano comportamenti omosessuali, tra cui topi, criceti, porcellini d’India, conigli, porcospini, capre, cavalli, maiali, leoni, pecore, scimmie, e scimpanzé.
L’omofobia, inoltre, si alimenta in vari modi. Innanzitutto la società è spesso diffidente nei confronti delle diversità, fino al punto di considerarle pericolose. Tale mancanza di fiducia riguarda tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o diversi (es. anche i primi cristiani) perché minacciano quelli convenzionali. Il pregiudizio anti-gay, inoltre, è rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatti con la comunità omosessuale. Gli individui che presentano alta omofobia, di fatto, non conoscono la realtà gay e lesbica e ne hanno un’idea astratta basata su ciò che hanno sentito dire dagli altri. Infine, noi tutti tendiamo ad agire in modo coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo, ad esempio, è alla base del fatto che si è soliti deridere i gay perché è consuetudine farlo.

È importante ricordare che non si nasce omofobi; lo si diventa attraverso l’educazione, i messaggi, diretti e indiretti, che la famiglia, la politica, la Chiesa e i media, ci trasmettono. Fin da bambini tutti noi acquisiamo convinzioni e valori che ci vengono presentati come assolutamente giusti e legittimi. Molto prima, dunque, di avere una reale comprensione di cosa significhi la parola omosessualità, ereditiamo, da una cultura omofoba, la convinzione che essere gay sia qualcosa di assolutamente sbagliato, innaturale e contrario alle norme del vivere comune.
Molto dipende anche dal posto antropologico in cui nasciamo e cresciamo. Nei paesi a prevalenza cattolica come l'Italia, la Chiesa esercita un’alta ingerenza sulle famiglie, sulla politica e sulla capacità legislativa conseguente. E la posizione ufficiale della Chiesa cattolica rispetto agli omosessuali è di accoglienza, solo a patto che gli omosessuali rinneghino se stessi, riconoscendo il disordine e il male della propria condizione di vita e accettando la castità e la costrizione come elemento permanente dell’intera loro esistenza.
Questo tipo di pressione morale, così pervasiva, non può non sfociare nell’omofobia interiorizzata (quell’insieme di sentimenti negativi come ansia, disprezzo, avversione che gli omosessuali provano nei confronti dell’omosessualità, propria e altrui) al punto che l’incidenza statistica dei suicidi è elevata tra gli omosessuali adolescenti, soprattutto se credenti.
Anche i media trasmettono messaggi ambigui e omofobi, attraverso la censura di scene di sesso omosessuale (anche senza nudo), o la tolleranza e lo spazio concesso a chi, cardinali o politici, promulga messaggi falsi e offensivi come l’equazione gay=pedofilo (il 95% dei pedofili è eterosessuale).

Va comunque precisato che il termine è utilizzato con diversi significati. Le definizioni di omofobia esistenti possono essere sintetizzate in tre principali prospettive: accezione pregiudiziale, accezione discriminatoria e accezione psicopatologica:
l'accezione pregiudiziale considera come omofobia qualsiasi giudizio negativo nei confronti dell'omosessualità. In questa definizione vengono considerate manifestazioni di omofobia anche tutte le convinzioni personali e sociali contrarie all'omosessualità come ad esempio: la convinzione che l'omosessualità sia patologica, immorale, contronatura, socialmente pericolosa, invalidante; la non condivisione dei comportamenti omosessuali e delle rivendicazioni sociali e giuridiche delle persone omosessuali. Non rientra in questa accezione la conversione in agito violento o persecutorio nei confronti delle persone omosessuali;
l'accezione discriminatoria considera come omofobia tutti quei comportamenti riconducibili al sessismo che ledono i diritti e la dignità delle persone omosessuali sulla base del loro orientamento sessuale. Rientrano in questa definizione le discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, gli atti di violenza fisica e psicologica (percosse, insulti, maltrattamenti). Questa definizione – che comprende anche l'acting out del sentimento discriminatorio – può essere considerata più pertinente al costrutto di omofobia in senso ristretto;
l'accezione psicopatologica considera l'omofobia come una fobia, cioè una irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti delle persone omosessuali che compromette il funzionamento psicologico della persona che ne presenta i sintomi. Tale valutazione diagnostica includerebbe quindi l'omofobia all'interno della categoria diagnostica dei disturbi d'ansia e rientrerebbe all'interno dell'etichetta di fobia specifica. A differenza delle prime due accezioni, l'omofobia come fobia specifica non è frutto di un consapevole pregiudizio negativo nei confronti dell'omosessualità quanto piuttosto di una dinamica irrazionale legata ai vissuti personali del soggetto. Quest'ultima definizione, per quanto più attinente alla radice etimologica del termine, ad oggi non è sostenuta da una letteratura sufficiente da farla inserire nei principali manuali psicodiagnostici.
Omofobia deriva dal greco homos (stesso, medesimo) e fobos (paura). Letteralmente significa "paura dello stesso", tuttavia il termine "omo" è qui usato in riferimento ad omosessuale. Il termine è un neologismo coniato dallo psicologo clinico George Weinberg nel suo libro Society and the Healthy Homosexual (La società e l'omosessuale sano), pubblicato nel 1971.

Un termine precursore è stato omoerotofobia, coniato dal dottor Wainwright Churchill nel libro "Homosexual behavior among males" (Comportamento omosessuale tra maschi), pubblicato nel 1967.

Intesa nel senso di "paura fobica e irrazionale", l'omofobia non è inserita in alcun manuale di diagnostica psicologica come patologia, è quindi errato pensare che sia medicalmente una fobia, come invece il nome potrebbe portare a credere. L'omofobia non è legata a una credenza politica o a un livello culturale, ma piuttosto al livello di equilibrio del singolo individuo. È stato infatti riscontrato dagli anni sessanta il fatto che tendano all'omofobia le "personalità autoritarie", rigide, insicure, che si sentono minacciate dal "diverso da sé" (ovviamente non solo omosessuale). Alti livelli di omofobia sono stati riscontrati anche in persone in lotta con una forte omosessualità latente o repressa.

In questo secondo senso l'omofobia può trarre nutrimento e soprattutto legittimazione da condanne ideologiche, religiose o politiche.

Per omofobia si può intendere anche la paura dell'omosessualità, ed in particolare la paura di venire considerati omosessuali, ed i conseguenti comportamenti volti ad evitare gli omosessuali e le situazioni considerate associate ad essi.

L'omofobia consiste nel giustificare, condonare o scusare atti di violenza o di discriminazione, di marginalizzazione e di persecuzione perpetrati contro una persona in ragione della sua reale o presunta omosessualità (si pensi ai soggetti bisessuali o anche semplicemente a persone che hanno un atteggiamento o un aspetto che non rientra nel comune stereotipo di genere sessuale, ad esempio le persone definite "effeminate").

Le ricerche psicosociali evidenziano come l'omofobia sia maggiormente legata a caratteristiche personali quali: anzianità, basso livello di istruzione, avere idee religiose fondamentaliste, non avere contatti personali con gay o lesbiche, essere autoritari, provare sensi di colpa nei confronti del sesso, avere atteggiamenti tradizionalisti rispetto ai ruoli di genere (mascolinità, etc.)

Probabilmente l'omofobia è correlata al timore di essere considerati omosessuali. Questo timore, dice Erich Fromm, è più frequente negli uomini che nelle donne, perché dal punto di vista culturale il maschio omosessuale viene considerato una "femminuccia", e nel pensiero sessista dominante.

« se un ragazzo viene definito "femminuccia", si sente bollato e umiliato dal gruppo. Se una ragazza è invece definita un "maschiaccio", a ciò non si accompagna uguale disapprovazione, anzi, spesso diventa motivo di orgoglio. Così la "femminuccia" è un codardo, un mammone, mentre la "maschiaccia" è una ragazza coraggiosa, capace di tener testa a un ragazzo. Probabilmente questi giudizi di valore vengono sussunti nell'atteggiamento che in seguito si sviluppa nei confronti dell'omosessualità nei due sessi.»
(Erich Fromm)

L'omofobia interiorizzata consiste nell'accettazione da parte di gay e lesbiche di pregiudizi, etichette negative e atteggiamenti discriminatori verso l'omosessualità. Questa interiorizzazione del pregiudizio è per lo più inconsapevole e può portare a vivere con difficoltà il proprio orientamento sessuale, a contrastarlo, a negarlo o addirittura a nutrire sentimenti discriminatori nei confronti degli omosessuali.

L'omofobia può diventare causa di episodi di bullismo, di violenza o di mobbing nei confronti delle persone LGBT. Secondo l'Agenzia per i diritti Fondamentali (FRA) dell'Unione europea l'omofobia nel 2009 danneggia la salute e la carriera di quasi 4 milioni di persone in Europa. L'Italia è il paese dell'Unione Europea con il maggior tasso di omofobia sociale, politica ed istituzionale. Secondo i dati del Dipartimento di Salute Pubblica i suicidi della popolazione gay, legati alla discriminazione omofoba in modo più o meno diretto, costituirebbero il 30% di tutti i suicidi adolescenziali.

Da altri studi in merito è emerso con chiarezza che gli adolescenti LGBT sono maggiormente a rischio di ideazione suicidaria rispetto ai coetanei eterosessuali. In aggiunta a ciò, una review di Haas e colleghi del 2011 sulla letteratura pubblicata in merito, suggerisce che i giovani LGBT siano dalle 2 alle 7 volte più a rischio, rispetto ai coetanei eterosessuali, di suicidio.
Sono anche stati riportati dei contesti in cui studenti LGBT hanno lamentato: la presenza di atti di discriminazione, come la negazione di servizi finanziari e sanitari, l'affibiazione di etichette verbali ingiuriose, tentativi di conversione e timore di atti di violenza sessuale ai loro danni. Tale situazione ha determinato il nascondimento della loro identità, l'evitamento di alcuni corsi, la prematura cessazione degli studi ed anche la messa in pratica di tentativi di suicidio.



A seguito dell'elevato rischio di ideazioni suicidarie e di tentativi di suicidio tra le cosiddette minoranze sessuali, i ricercatori hanno tentato di identificare i fattori che potessero spiegare tali marcate differenze. Le teorie sullo stress e lo stigma da minoranza hanno permesso di evidenziare il ruolo portante che i contesti sociali e strutturali così come le pratiche e le politiche istituzionali possono giocare nel contribuire a generare simili disparità nella salute mentale degli individui. In accordo con queste teorie, infatti, gli adulti LGBT che risiedono in stati con poche politiche sociali di tipo protettivo, hanno un maggior tasso di disordini psichiatrici e di abuso di sostanze rispetto a persone che vivono in stati con politiche protettive mirate. In linea con questi risultati, si pone anche un lavoro del 2014 di Hatzenbuehler e colleghi che ha indicato che giovani LGBT sono meno a rischio di sviluppare ideazioni suicidarie quando sono all'interno di strutture scolastiche che hanno adottato misure protettive verso le minoranze sessuali. L'ambiente sociale, inoltre, può esercitare delle influenze anche in maniera meno diretta. Uno studio condotto su una popolazione di circa 4098 maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi (MSM, Men who have sex with men) sieronegativi per HIV ha evidenziato, ad esempio, che un più basso livello di stigma sociale contro le persone LGBT è legato ad una diminuzione del rischio di rapporti anali non protetti (adjusted odds ratio, aOR=0,97, intervallo di confidenza al 95%, 95%CI 0,94-0,99), maggior consapevolezza riguardante la profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,09) e di quella pre esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,10), maggior utilizzo della profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,26) e di quella pre esposizione (aOR=1,21, 95%CI 1,01-1,44) ed un maggior livello di tranquillità nel discutere di sesso tra maschi con operatori sanitari (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,11).
Va, tuttavia, segnalato che sussiste anche la possibilità che il grado d'influenza esercitato dallo stigma da minoranza e da eventuali interventi di tipo protettivo o di supporto vari anche a seconda dell'etnia delle persone prese in considerazione.

L'importanza del contesto socioculturale che circonda le persone LGBT è stata evidenziata anche da un lavoro di Duncan e Hatzenbuehler del 2014 riguardante i cosiddetti crimini d'odio definiti come "condotte illegali, violente, distruttive o minacciose il perpetratore delle quali viene motivato dal pregiudizio contro il supposto gruppo sociale della vittima". Già altri studi in passato avevano evidenziato che le minoranze sessuali vengono colpiti da tali crimini e, secondo l'FBI, il 17,4% dgli 88.463 crimini d'odio registrati tra il 1995 ed il 2008 hanno coinvolto tali minoranze.

Lo studio di Duncan e Hatzenbuehler, condotto su un campione di studenti delle scuole superiori pubbliche di Boston, ha cercato di valutare l'effetto sulle persone LGBT del grado di vicinanza geografica alle aree ove sono stati perpretrati crimini d'odio ai danni di altre persone LGBT. Dai dati raccolti è emerso che gli adolescenti LGBT che hanno riferito di aver avuto ideazioni suicidarie tendevano a vivere a meno di 800 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (21,22 per 100.000 Vs 12,26 per 100.000, p value=0,013). Gli adolescenti LGBT che hanno tentato il suicidio, inoltre, avevano maggiori probabilità di vivere a meno di 400 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (33,61 per 100.000 Vs 13,18 per 100.000, p value=0,006). Tali associazioni statistiche non sono state rintracciate per quanto riguarda gli adolescenti eterosessuali. Nessuna significatività statistica è stata, inoltre, rintracciata per quanto riguarda l'associazione di problematiche suicidarie e crimini d'odio non ai danni di persone LGBT, indicando così che le significatività precedentemente presentate sono specifiche per gli adolescenti LGBT. I risultati di tale lavoro, sebbene preliminari soprattutto in considerazione della scarsa presenza di pubblicazioni analoghe, sono in accordo con la letteratura che documenta l'importanza dei contesti socioculturali nella determinazione dello Stato di salute mentale nelle minoranze sessuali.

In termini generali, il sentimento religioso sembra essere associato ad un buon livello di salute mentale. Sebbene tale dato sia variabile a seconda degli aspetti presi in considerazione, si può affermare che la religiosità sembra determinare effetti positivi: minor depressione e stress psicologico e migliore soddisfazione, felicità e stato psicologico personali. Per quanto riguarda le persone LGBT, al momento, sussistono pochi lavori che abbiano analizzato lo stato di salute mentale in rapporto con l'affiliazione religiosa. Sebbene, il sentimento religioso, come precedentemente accennato, sembri sortire effetti positivi, un ambiente sociale caratterizzato da stigma e rifiuto può produrre, in chi ne è vittima, effetti patologici.
La teoria dello stress da minoranza suggerisce che il differente livello di salute mentale tra le persone LGBT ed eterosessuali sia dovuto al differente livello di stigma e pregiudizio cui si va incontro.

Uno dei fattori presi in considerazione dalla teoria come fattore di stress è l'omofobia interiorizzata. Per omofobia interiorizzata s'intende l'internalizzazione, da parte delle persone LGBT, delle attitudini e delle credenze negative della società contro le persone LGBT stesse e poiché tale visione può essere appresa durante i normali processi di socializzazione, essa può costituire un fattore di stress particolarmente insidioso da individuare. Il suo superamento viene, inoltre, considerato un passo importante nel processo di coming out e viene considerato dai terapisti come necessario al fine di acquisire un buon livello di salute mentale. Di converso, l'omofobia interiorizzata è stata collegata ad una serie di sviluppi negativi: ansietà, depressione, ideazione suicidaria, condotta sessuale a rischio, problematiche nella vita intima ed uno stato generale di benessere più basso.

Sotto questo punto di vista, nei contesti religiosi gli insegnamenti possono essere parte di una socializzazione che si basi sullo stigma ed il permanere in tale contesto può contribuire ad potenziare il fenomeno dell'omofobia interiorizzata. Vistesi rifiutate da molte organizzazioni religiose, l'attendenza delle persone LGBT alle pratiche religiose istituzionali tende ad essere minore rispetto agli eterosessuali e vi è una maggior probabilità d'abbandono del loro credo. Al di là di ciò, comunque, le persone LGBT che si affiliano a gruppi religiosi, tendono a partecipare per lo più a denominazioni religiose “non supportive”. Alcuni lavori hanno, infatti, evidenziato che le persone LGBT tendevano ad affiliarsi a correnti di maggioranza o con maggioranza di eterosessuali sebbene tali gruppi potessero presentare un clima sociale poco ospitale. Tale dato, apparentemente contraddittorio, potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che le persone LGBT possano avvertire un profondo significato personale nell'appertenere ad un contesto religioso cui loro sono abituati, spesso dall'infanzia. In effetti, è noto che l'abbandono di un gruppo religioso possa risultare spiacevole sotto l'aspetto sociale, culturale e spirituale.

Tale situazione può diventare particolarmente pressante per persone appartenenti a minoranze etniche. Per le persone afro-americane, ad esempio, è noto come le chiese abbiano costituito un baluardo contro il razzismo sociale e siano state promotrici e sostenitrici di identità ed orgoglio etnico. Hanno, inoltre, provveduto a fornire servizi sociali e culturali in vario modo. Risulta, pertanto, chiaro come il processo di separazione, magari per confluire in contesti maggiormente supportivi per le persone LGBT, significhi anche perdere non solo i servizi ma anche tutto un contesto di profondo significato interiore.
Al fine di continuare la partecipazione in questi contesti, le persone LGBT tendono ad adottare svariate strategie per cercare di risolvere o di alleviare lo state di tensione che si può generare dalla partecipazioni in questi contesti non supportivi:
ritenere la Bibbia un documento che sarebbe stato ispirato da Dio ed in quanto tale, contenente occasionalmente punti di vista umani ormai antiquati, quali quelli sull'omosessualità;
separare le identità LGBT e religiosa così da sopprimere quella LGBT quando quella religiosa, in alcuni contesti, diviene preponderante;
neutralizzare i messaggi contro l'omosessualità questionando la credibilità a vario grado del pastore, sacerdote o di chi promuove tale visione (ciò può includere, tra le altre, la conoscenza biblica, la moralità o l'eccessiva enfasi sulla percepita eccessiva tendenza al legalismo contro il messaggio d'amore incondizionato promosso dal Nuovo Testamento).
Sebbene gli studi riguardanti la religiosità delle persone LGBT non abbiano preso molto in considerazione se il gruppo religioso fosse più o meno supportivo, un lavoro di Lease e colleghi ha mostrato che persone caucasiche LGBT coinvolte in attività religiose in contesti maggiormente supportivi erano collegate ad un minor livello di omofobia interiorizzata e che questa era legata ad un miglior livello dello stato di salute mentale. Altri lavori, di converso, hanno rilevato che contesti religiosi non supportivi possono avere un significativo effetto nel promuovere l'omofobia internalizzata nelle persone LGBT.

La problematica, tuttavia, può variare anche a seconda del gruppo etnico preso in considerazione dato che la religiosità tende a variare a seconda dell'etnia. Sebbene alcuni lavori abbiano suggerito che le persone latino-americane ed afro-americane tendano a dimostrare un maggior sentimento religioso, al momento non è stato rilevato che le persone LGBT appartenenti a questi gruppi siano maggiormente esposte a contesti non supportivi rispetto a quelle caucasiche. Alcuni lavori hanno, infatti, suggerito che alcune denominazioni evangeliche frequentate da caucasici possano essere caratterizzate da contesti particolarmente omofobi. Tuttavia, se l'affiliazione religiosa delle persone LGBT riflette quella della popolazione generale, c'è da aspettarsi che quelle latino-americane ed afro-americane siano esposte a contesti omofobi in misura maggiore rispetto a quelle caucasiche.

Un lavoro di Barnes e Meyer del 2012 condotto su 355 partecipanti LGBT ha cercato di valutare l'effetto del contesto religioso nello stato di salute delle persone LGBT attendenti. In generale, è emerso che le persone caucasiche tendevano a non dichiararsi religiose (58%) mentre solo il 36% ed il 35% degli afro-americani e dei latino-americani si è dichiarato non religioso. In termini di omofobia interiorizzata è emerso che, rispetto ai caucasici, gli afro-americani ed i latino-americani hanno maggiori livelli di essa sebbene il risultato sia statisticamente significativo solo per i latino-americani; in generale gli affiliati a contesti non supportivi hanno maggiori livelli di omofobia generalizzata rispetto agli affiliati a contesti supportivi ed ai non praticanti. La frequenza di pratica religiosa, in questo lavoro, non ha esercitato alcuna influenza sui livelli di omofobia interiorizzata dato che non è stata riscontrata nessuna differenza statisticamente significativa tra coloro che avevano un'elevata frequenza di pratica contro chi ne aveva una bassa. Va segnalato, tuttavia, che sia i latino-americani che gli afro-americani sono risultati maggiormente esposti, rispetto ai caucasici, a contesti non supportivi e che l'affiliazione a tali contesti si è dimostrata essere un buon mediatore statistico dei livelli di omofobia interiorizzata. Va segnalato infatti che la variabile affiliazione a contesti non supportivi nel modello statistico finale ha reso non più significativa la differenza dei livelli di omofobia interiorizzata tra latino-americani e caucasici ma ha anche diminuito il valore del coefficiente standardizzato B del 50% e del 25% nei modelli testati. I livelli di omofobia interiorizzata, infine, sono risultati essere statisticamente associati alla presenza di sintomi depressivi ed ad un minore benessere psicologico rendendo, nei due modelli testati, la variabile affiliazione a contesti non supportivi un miglior predittore sebbene non statisticamente significativo.

Gli autori di questo studio hanno quindi concluso che i dati presentati forniscono una base all'ipotesi che i contesti religiosi non supportivi determinino lo sviluppo di un ambiente sociale ostile alle persone LGBT il che può risultare in una maggior presenza di omofobia interiorizzata. I latino-americani, in particolare, hanno manifestato livelli significativamente maggiori, rispetto ai caucasici, di omofobia interiorizzata. La maggior affiliazione e pratica in contesti religiosi non supportivi sembra spiegare i maggiori livelli di omofobia interiorizzata. Per quanto riguarda gli afro-americani, i dati sembrano suggerire un quadro analogo sebbene non si sia raggiunta la significatività statistica.

Tali conclusioni, basate su un campione limitato e non casuale, non sono ovviamente generalizzabili. Risulta interessante, tuttavia, notare che uno studio di Gibbs e Goldbach del 2015 sembra concludere che giovani adulti LGBT che crescono e maturano in contesti religiosi sono a più alto rischio, rispetto ad altre persone LGBT, di ideazione suicidaria, più specificatamente di ideazione suicidaria cronica, così come di tentativi di suicidio.

In ambito legislativo, in molte nazioni, soprattutto europee sono previsti strumenti legislativi, di carattere civile e penale, finalizzati al contrasto dell'omofobia intesa principalmente come discriminazione basata sull'orientamento sessuale.

Va evidenziato che le legislazioni esistenti in molti casi mantengono distinto l'aspetto della non discriminazione dalle norme mirate invece a sanzionare in modo specifico azioni e comportamenti esplicitamente omofobici, quali atti violenti o di incitamento anche solo verbale all'odio. Ci sono legislazioni che fanno rientrare questo secondo aspetto in un ambito legislativo non specifico, non considerando quindi la motivazione dell'omofobia per il reato o non prevedendo sanzioni specifiche per le espressioni di odio o di incitamento all'odio legate all'orientamento sessuale.

L'omofobia, intesa come atto violento e/o incitamento all'odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni carcerarie e/o pecuniarie in Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia e a livello regionale in Tasmania (vietato l'incitamento all'odio). Con un emendamento allo Hate Crimes Bill approvato dal Congresso nell'ottobre 2009 e denominato Matthew Shepard Act, gli Stati Uniti d'America hanno stabilito che la violenza causata da odio basato sull'orientamento sessuale costituisce un reato federale.

Norme antidiscriminatorie che menzionano esplicitamente l'orientamento sessuale sono in vigore in Europa, oltre che nei paesi sopra citati, in Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, in quattro Länder della Germania (Berlino, Brandeburgo, Sassonia e Turingia), Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ungheria, Regno Unito, Repubblica Ceca, Serbia e Montenegro.

Al di fuori dell'Europa, leggi antidiscriminazione sull'orientamento sessuale sono in vigore in Canada, in alcuni degli Stati Uniti, in Australia, Nuova Zelanda, Isole Fiji, in alcuni stati del Brasile, Nicaragua, Uruguay, Colombia, Ecuador, Israele e Sudafrica.

Anche il regime castrista ha adottato forme di persecuzione nei confronti degli omosessuali. Considerati "controrivoluzionari", dagli anni sessanta agli anni ottanta anche i gay sono stati perseguitati e molti di loro sono stati rinchiusi nei campi di lavoro forzati UMAP ("Unidades Militares de Ayuda a la Producción") a causa del loro orientamento sessuale. Nell'ideologia castrista i maricones ("finocchi") erano infatti considerati espressione dei valori decadenti della società borghese:

« Agli omosessuali non dovrebbe essere concesso di stare in posizioni dove potrebbero essere capaci di mal influenzare i giovani. Nelle condizioni in cui viviamo, a causa dei problemi che il nostro paese deve affrontare, dobbiamo inculcare nei giovani lo spirito della disciplina, della lotta, del lavoro... Noi non arriveremmo mai a credere che un omosessuale possa incarnare le condizioni e i requisiti di condotta che ci permetterebbero di considerarlo un vero Rivoluzionario, un vero Comunista aggressivo. Una deviazione di questa natura si scontra con il concetto che abbiamo di ciò che un militante comunista deve essere.»
Nel marzo del 1965, Giangiacomo Feltrinelli riuscì ad ottenere da Fidel Castro una lunghissima intervista chiedendogli anche perché perseguitasse i gay, sul perché ce l'avesse tanto con gli omosessuali e cosa c'entrasse quel pogrom con la rivoluzione. Il líder máximo, dopo una risata per la domanda sfacciata, rispose alla domanda ed accennò alla paura di "mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio". Nel 2010 Castro ha ammesso pubblicamente di aver "commesso una grande ingiustizia" a perseguitare gli omosessuali. Tuttavia, almeno dal 1988, Cuba è all'avanguardia in America latina per le politiche contro l'omofobia ed ha eliminato ogni traccia di legislazione omofobica.

La legislazione di contrasto alla discriminazione tra cittadini trae principale fondamento dall'articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana (principio di uguaglianza formale e sostanziale):
« Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. »
Pur non citando espressamente l'orientamento sessuale, esso può rientrare per via interpretativa sia nella nozione di "sesso", sia tra le "condizioni personali e sociali".

La Legge 25 giugno 1993, n. 205 intitolata Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa (cosiddetta Legge Mancino), integra il diritto penale italiano per quanto attiene ad alcune forme di discriminazione, tra cui non rientrano quelle basate sull'orientamento sessuale che, inserite nella sua prima formulazione, furono espunte dal testo nella stesura definitiva.

La menzione esplicita dell'orientamento sessuale è invece presente nel Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216, che tutela dalle discriminazioni sul luogo di lavoro. Le eccezioni inizialmente previste per il personale delle Forze Armate, delle Forze dell'ordine e di soccorso furono poi abolite a seguito della procedura d'infrazione aperta dalla Comunità Europea contro l'Italia, in quanto contrarie alla direttiva comunitaria contro le discriminazioni.

Il 2 ottobre 2009, nel corso della XVI Legislatura la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha adottato un testo base, presentato dalla deputata Anna Paola Concia e costituito da un singolo articolo, che tra le circostanze aggravanti comuni previste dall'articolo 61 del codice penale inserisce anche quella inerente all'orientamento sessuale. Tale testo è stato poi bocciato il 13 ottobre 2009 dalla maggioranza parlamentare per una pregiudiziale di costituzionalità sollevata dall'Unione di Centro. La bocciatura ha sollevato dure critiche verso l'Italia da parte di rappresentanti dell'Unione europea e dell'ONU. Alla bocciatura ha reagito invece positivamente il vescovo Domenico Mogavero, che ha definito la proposta di legge «solo un primo passo, in quanto il vero obiettivo di questa campagna sono le nozze gay».

Mara Carfagna, Ministro per le pari opportunità del Governo Berlusconi IV, il 9 novembre 2009, ha presentato Nessuna differenza, la prima campagna istituzionale in Italia contro l'omofobia e le discriminazioni di genere.

Il 17 maggio 2011, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito «inammissibile in società democraticamente adulte» l'irrisione degli omosessuali. Il 18 maggio 2011 il testo base della deputata Anna Paola Concia, basato su una direttiva europea, è stato ripresentato alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che l'ha bocciato con 24 voti contrari e 17 favorevoli. Il ministro Carfagna ha commentato: «Il Popolo della libertà ha perso un'occasione». Il 26 luglio 2011 la Camera ha respinto per la seconda volta il ddl presentato dalla deputata Concia contro l'omotransfobia.

Un nuovo disegno di legge per l'estensione della legge Mancino ai casi di omofobia e transfobia è stato presentato durante la XVII Legislatura.

In vari paesi (per esempio Canada, Regno Unito, USA, Italia) sono stati annullati molti concerti di famosi esponenti della "scena reggae", quali Sizzla, Beenie Man, Capleton, Bounty Killer, T.O.K., Buju Banton, Elephant Man per i contenuti omofobi e sessisti dei loro testi.

L'omofobia non è inserita in alcuna classificazione clinica delle varie fobie; infatti, non compare né nel DSM né nella classificazione ICD; il termine, come nel caso della xenofobia, è solitamente utilizzato in un'accezione generica (riferita a comportamenti discriminatori) e non clinica.



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