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mercoledì 15 giugno 2016

L'OMOFOBIA

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Il termine omofobia significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso” e più precisamente si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali. Essa può manifestarsi in modi molto diversi tra loro, dalla battuta su un una persona gay che passa per la strada, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. In seguito all’omofobia, ad esempio, alcuni eterosessuali, raccontano di sentirsi a disagio in presenza delle persone gay o lesbiche, altri si mettono a ridere quando le incontrano per strada. Altri ancora dicono di essere disgustati dai loro comportamenti, arrabbiati o indignati. Anche la parola “frocio” può essere considerata come espressione di omofobia, perché di solito viene usata con una connotazione negativa.
L’omofobia deriva dall’idea che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto (eterosessismo). Tale considerazione è basata anche sulla falsa credenza che in natura non esistano comportamenti omosessuali (“L’omosessualità è contro natura”); molti animali, invece, presentano comportamenti omosessuali, tra cui topi, criceti, porcellini d’India, conigli, porcospini, capre, cavalli, maiali, leoni, pecore, scimmie, e scimpanzé.
L’omofobia, inoltre, si alimenta in vari modi. Innanzitutto la società è spesso diffidente nei confronti delle diversità, fino al punto di considerarle pericolose. Tale mancanza di fiducia riguarda tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o diversi (es. anche i primi cristiani) perché minacciano quelli convenzionali. Il pregiudizio anti-gay, inoltre, è rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatti con la comunità omosessuale. Gli individui che presentano alta omofobia, di fatto, non conoscono la realtà gay e lesbica e ne hanno un’idea astratta basata su ciò che hanno sentito dire dagli altri. Infine, noi tutti tendiamo ad agire in modo coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo, ad esempio, è alla base del fatto che si è soliti deridere i gay perché è consuetudine farlo.

È importante ricordare che non si nasce omofobi; lo si diventa attraverso l’educazione, i messaggi, diretti e indiretti, che la famiglia, la politica, la Chiesa e i media, ci trasmettono. Fin da bambini tutti noi acquisiamo convinzioni e valori che ci vengono presentati come assolutamente giusti e legittimi. Molto prima, dunque, di avere una reale comprensione di cosa significhi la parola omosessualità, ereditiamo, da una cultura omofoba, la convinzione che essere gay sia qualcosa di assolutamente sbagliato, innaturale e contrario alle norme del vivere comune.
Molto dipende anche dal posto antropologico in cui nasciamo e cresciamo. Nei paesi a prevalenza cattolica come l'Italia, la Chiesa esercita un’alta ingerenza sulle famiglie, sulla politica e sulla capacità legislativa conseguente. E la posizione ufficiale della Chiesa cattolica rispetto agli omosessuali è di accoglienza, solo a patto che gli omosessuali rinneghino se stessi, riconoscendo il disordine e il male della propria condizione di vita e accettando la castità e la costrizione come elemento permanente dell’intera loro esistenza.
Questo tipo di pressione morale, così pervasiva, non può non sfociare nell’omofobia interiorizzata (quell’insieme di sentimenti negativi come ansia, disprezzo, avversione che gli omosessuali provano nei confronti dell’omosessualità, propria e altrui) al punto che l’incidenza statistica dei suicidi è elevata tra gli omosessuali adolescenti, soprattutto se credenti.
Anche i media trasmettono messaggi ambigui e omofobi, attraverso la censura di scene di sesso omosessuale (anche senza nudo), o la tolleranza e lo spazio concesso a chi, cardinali o politici, promulga messaggi falsi e offensivi come l’equazione gay=pedofilo (il 95% dei pedofili è eterosessuale).

Va comunque precisato che il termine è utilizzato con diversi significati. Le definizioni di omofobia esistenti possono essere sintetizzate in tre principali prospettive: accezione pregiudiziale, accezione discriminatoria e accezione psicopatologica:
l'accezione pregiudiziale considera come omofobia qualsiasi giudizio negativo nei confronti dell'omosessualità. In questa definizione vengono considerate manifestazioni di omofobia anche tutte le convinzioni personali e sociali contrarie all'omosessualità come ad esempio: la convinzione che l'omosessualità sia patologica, immorale, contronatura, socialmente pericolosa, invalidante; la non condivisione dei comportamenti omosessuali e delle rivendicazioni sociali e giuridiche delle persone omosessuali. Non rientra in questa accezione la conversione in agito violento o persecutorio nei confronti delle persone omosessuali;
l'accezione discriminatoria considera come omofobia tutti quei comportamenti riconducibili al sessismo che ledono i diritti e la dignità delle persone omosessuali sulla base del loro orientamento sessuale. Rientrano in questa definizione le discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, gli atti di violenza fisica e psicologica (percosse, insulti, maltrattamenti). Questa definizione – che comprende anche l'acting out del sentimento discriminatorio – può essere considerata più pertinente al costrutto di omofobia in senso ristretto;
l'accezione psicopatologica considera l'omofobia come una fobia, cioè una irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti delle persone omosessuali che compromette il funzionamento psicologico della persona che ne presenta i sintomi. Tale valutazione diagnostica includerebbe quindi l'omofobia all'interno della categoria diagnostica dei disturbi d'ansia e rientrerebbe all'interno dell'etichetta di fobia specifica. A differenza delle prime due accezioni, l'omofobia come fobia specifica non è frutto di un consapevole pregiudizio negativo nei confronti dell'omosessualità quanto piuttosto di una dinamica irrazionale legata ai vissuti personali del soggetto. Quest'ultima definizione, per quanto più attinente alla radice etimologica del termine, ad oggi non è sostenuta da una letteratura sufficiente da farla inserire nei principali manuali psicodiagnostici.
Omofobia deriva dal greco homos (stesso, medesimo) e fobos (paura). Letteralmente significa "paura dello stesso", tuttavia il termine "omo" è qui usato in riferimento ad omosessuale. Il termine è un neologismo coniato dallo psicologo clinico George Weinberg nel suo libro Society and the Healthy Homosexual (La società e l'omosessuale sano), pubblicato nel 1971.

Un termine precursore è stato omoerotofobia, coniato dal dottor Wainwright Churchill nel libro "Homosexual behavior among males" (Comportamento omosessuale tra maschi), pubblicato nel 1967.

Intesa nel senso di "paura fobica e irrazionale", l'omofobia non è inserita in alcun manuale di diagnostica psicologica come patologia, è quindi errato pensare che sia medicalmente una fobia, come invece il nome potrebbe portare a credere. L'omofobia non è legata a una credenza politica o a un livello culturale, ma piuttosto al livello di equilibrio del singolo individuo. È stato infatti riscontrato dagli anni sessanta il fatto che tendano all'omofobia le "personalità autoritarie", rigide, insicure, che si sentono minacciate dal "diverso da sé" (ovviamente non solo omosessuale). Alti livelli di omofobia sono stati riscontrati anche in persone in lotta con una forte omosessualità latente o repressa.

In questo secondo senso l'omofobia può trarre nutrimento e soprattutto legittimazione da condanne ideologiche, religiose o politiche.

Per omofobia si può intendere anche la paura dell'omosessualità, ed in particolare la paura di venire considerati omosessuali, ed i conseguenti comportamenti volti ad evitare gli omosessuali e le situazioni considerate associate ad essi.

L'omofobia consiste nel giustificare, condonare o scusare atti di violenza o di discriminazione, di marginalizzazione e di persecuzione perpetrati contro una persona in ragione della sua reale o presunta omosessualità (si pensi ai soggetti bisessuali o anche semplicemente a persone che hanno un atteggiamento o un aspetto che non rientra nel comune stereotipo di genere sessuale, ad esempio le persone definite "effeminate").

Le ricerche psicosociali evidenziano come l'omofobia sia maggiormente legata a caratteristiche personali quali: anzianità, basso livello di istruzione, avere idee religiose fondamentaliste, non avere contatti personali con gay o lesbiche, essere autoritari, provare sensi di colpa nei confronti del sesso, avere atteggiamenti tradizionalisti rispetto ai ruoli di genere (mascolinità, etc.)

Probabilmente l'omofobia è correlata al timore di essere considerati omosessuali. Questo timore, dice Erich Fromm, è più frequente negli uomini che nelle donne, perché dal punto di vista culturale il maschio omosessuale viene considerato una "femminuccia", e nel pensiero sessista dominante.

« se un ragazzo viene definito "femminuccia", si sente bollato e umiliato dal gruppo. Se una ragazza è invece definita un "maschiaccio", a ciò non si accompagna uguale disapprovazione, anzi, spesso diventa motivo di orgoglio. Così la "femminuccia" è un codardo, un mammone, mentre la "maschiaccia" è una ragazza coraggiosa, capace di tener testa a un ragazzo. Probabilmente questi giudizi di valore vengono sussunti nell'atteggiamento che in seguito si sviluppa nei confronti dell'omosessualità nei due sessi.»
(Erich Fromm)

L'omofobia interiorizzata consiste nell'accettazione da parte di gay e lesbiche di pregiudizi, etichette negative e atteggiamenti discriminatori verso l'omosessualità. Questa interiorizzazione del pregiudizio è per lo più inconsapevole e può portare a vivere con difficoltà il proprio orientamento sessuale, a contrastarlo, a negarlo o addirittura a nutrire sentimenti discriminatori nei confronti degli omosessuali.

L'omofobia può diventare causa di episodi di bullismo, di violenza o di mobbing nei confronti delle persone LGBT. Secondo l'Agenzia per i diritti Fondamentali (FRA) dell'Unione europea l'omofobia nel 2009 danneggia la salute e la carriera di quasi 4 milioni di persone in Europa. L'Italia è il paese dell'Unione Europea con il maggior tasso di omofobia sociale, politica ed istituzionale. Secondo i dati del Dipartimento di Salute Pubblica i suicidi della popolazione gay, legati alla discriminazione omofoba in modo più o meno diretto, costituirebbero il 30% di tutti i suicidi adolescenziali.

Da altri studi in merito è emerso con chiarezza che gli adolescenti LGBT sono maggiormente a rischio di ideazione suicidaria rispetto ai coetanei eterosessuali. In aggiunta a ciò, una review di Haas e colleghi del 2011 sulla letteratura pubblicata in merito, suggerisce che i giovani LGBT siano dalle 2 alle 7 volte più a rischio, rispetto ai coetanei eterosessuali, di suicidio.
Sono anche stati riportati dei contesti in cui studenti LGBT hanno lamentato: la presenza di atti di discriminazione, come la negazione di servizi finanziari e sanitari, l'affibiazione di etichette verbali ingiuriose, tentativi di conversione e timore di atti di violenza sessuale ai loro danni. Tale situazione ha determinato il nascondimento della loro identità, l'evitamento di alcuni corsi, la prematura cessazione degli studi ed anche la messa in pratica di tentativi di suicidio.



A seguito dell'elevato rischio di ideazioni suicidarie e di tentativi di suicidio tra le cosiddette minoranze sessuali, i ricercatori hanno tentato di identificare i fattori che potessero spiegare tali marcate differenze. Le teorie sullo stress e lo stigma da minoranza hanno permesso di evidenziare il ruolo portante che i contesti sociali e strutturali così come le pratiche e le politiche istituzionali possono giocare nel contribuire a generare simili disparità nella salute mentale degli individui. In accordo con queste teorie, infatti, gli adulti LGBT che risiedono in stati con poche politiche sociali di tipo protettivo, hanno un maggior tasso di disordini psichiatrici e di abuso di sostanze rispetto a persone che vivono in stati con politiche protettive mirate. In linea con questi risultati, si pone anche un lavoro del 2014 di Hatzenbuehler e colleghi che ha indicato che giovani LGBT sono meno a rischio di sviluppare ideazioni suicidarie quando sono all'interno di strutture scolastiche che hanno adottato misure protettive verso le minoranze sessuali. L'ambiente sociale, inoltre, può esercitare delle influenze anche in maniera meno diretta. Uno studio condotto su una popolazione di circa 4098 maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi (MSM, Men who have sex with men) sieronegativi per HIV ha evidenziato, ad esempio, che un più basso livello di stigma sociale contro le persone LGBT è legato ad una diminuzione del rischio di rapporti anali non protetti (adjusted odds ratio, aOR=0,97, intervallo di confidenza al 95%, 95%CI 0,94-0,99), maggior consapevolezza riguardante la profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,09) e di quella pre esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,10), maggior utilizzo della profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,26) e di quella pre esposizione (aOR=1,21, 95%CI 1,01-1,44) ed un maggior livello di tranquillità nel discutere di sesso tra maschi con operatori sanitari (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,11).
Va, tuttavia, segnalato che sussiste anche la possibilità che il grado d'influenza esercitato dallo stigma da minoranza e da eventuali interventi di tipo protettivo o di supporto vari anche a seconda dell'etnia delle persone prese in considerazione.

L'importanza del contesto socioculturale che circonda le persone LGBT è stata evidenziata anche da un lavoro di Duncan e Hatzenbuehler del 2014 riguardante i cosiddetti crimini d'odio definiti come "condotte illegali, violente, distruttive o minacciose il perpetratore delle quali viene motivato dal pregiudizio contro il supposto gruppo sociale della vittima". Già altri studi in passato avevano evidenziato che le minoranze sessuali vengono colpiti da tali crimini e, secondo l'FBI, il 17,4% dgli 88.463 crimini d'odio registrati tra il 1995 ed il 2008 hanno coinvolto tali minoranze.

Lo studio di Duncan e Hatzenbuehler, condotto su un campione di studenti delle scuole superiori pubbliche di Boston, ha cercato di valutare l'effetto sulle persone LGBT del grado di vicinanza geografica alle aree ove sono stati perpretrati crimini d'odio ai danni di altre persone LGBT. Dai dati raccolti è emerso che gli adolescenti LGBT che hanno riferito di aver avuto ideazioni suicidarie tendevano a vivere a meno di 800 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (21,22 per 100.000 Vs 12,26 per 100.000, p value=0,013). Gli adolescenti LGBT che hanno tentato il suicidio, inoltre, avevano maggiori probabilità di vivere a meno di 400 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (33,61 per 100.000 Vs 13,18 per 100.000, p value=0,006). Tali associazioni statistiche non sono state rintracciate per quanto riguarda gli adolescenti eterosessuali. Nessuna significatività statistica è stata, inoltre, rintracciata per quanto riguarda l'associazione di problematiche suicidarie e crimini d'odio non ai danni di persone LGBT, indicando così che le significatività precedentemente presentate sono specifiche per gli adolescenti LGBT. I risultati di tale lavoro, sebbene preliminari soprattutto in considerazione della scarsa presenza di pubblicazioni analoghe, sono in accordo con la letteratura che documenta l'importanza dei contesti socioculturali nella determinazione dello Stato di salute mentale nelle minoranze sessuali.

In termini generali, il sentimento religioso sembra essere associato ad un buon livello di salute mentale. Sebbene tale dato sia variabile a seconda degli aspetti presi in considerazione, si può affermare che la religiosità sembra determinare effetti positivi: minor depressione e stress psicologico e migliore soddisfazione, felicità e stato psicologico personali. Per quanto riguarda le persone LGBT, al momento, sussistono pochi lavori che abbiano analizzato lo stato di salute mentale in rapporto con l'affiliazione religiosa. Sebbene, il sentimento religioso, come precedentemente accennato, sembri sortire effetti positivi, un ambiente sociale caratterizzato da stigma e rifiuto può produrre, in chi ne è vittima, effetti patologici.
La teoria dello stress da minoranza suggerisce che il differente livello di salute mentale tra le persone LGBT ed eterosessuali sia dovuto al differente livello di stigma e pregiudizio cui si va incontro.

Uno dei fattori presi in considerazione dalla teoria come fattore di stress è l'omofobia interiorizzata. Per omofobia interiorizzata s'intende l'internalizzazione, da parte delle persone LGBT, delle attitudini e delle credenze negative della società contro le persone LGBT stesse e poiché tale visione può essere appresa durante i normali processi di socializzazione, essa può costituire un fattore di stress particolarmente insidioso da individuare. Il suo superamento viene, inoltre, considerato un passo importante nel processo di coming out e viene considerato dai terapisti come necessario al fine di acquisire un buon livello di salute mentale. Di converso, l'omofobia interiorizzata è stata collegata ad una serie di sviluppi negativi: ansietà, depressione, ideazione suicidaria, condotta sessuale a rischio, problematiche nella vita intima ed uno stato generale di benessere più basso.

Sotto questo punto di vista, nei contesti religiosi gli insegnamenti possono essere parte di una socializzazione che si basi sullo stigma ed il permanere in tale contesto può contribuire ad potenziare il fenomeno dell'omofobia interiorizzata. Vistesi rifiutate da molte organizzazioni religiose, l'attendenza delle persone LGBT alle pratiche religiose istituzionali tende ad essere minore rispetto agli eterosessuali e vi è una maggior probabilità d'abbandono del loro credo. Al di là di ciò, comunque, le persone LGBT che si affiliano a gruppi religiosi, tendono a partecipare per lo più a denominazioni religiose “non supportive”. Alcuni lavori hanno, infatti, evidenziato che le persone LGBT tendevano ad affiliarsi a correnti di maggioranza o con maggioranza di eterosessuali sebbene tali gruppi potessero presentare un clima sociale poco ospitale. Tale dato, apparentemente contraddittorio, potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che le persone LGBT possano avvertire un profondo significato personale nell'appertenere ad un contesto religioso cui loro sono abituati, spesso dall'infanzia. In effetti, è noto che l'abbandono di un gruppo religioso possa risultare spiacevole sotto l'aspetto sociale, culturale e spirituale.

Tale situazione può diventare particolarmente pressante per persone appartenenti a minoranze etniche. Per le persone afro-americane, ad esempio, è noto come le chiese abbiano costituito un baluardo contro il razzismo sociale e siano state promotrici e sostenitrici di identità ed orgoglio etnico. Hanno, inoltre, provveduto a fornire servizi sociali e culturali in vario modo. Risulta, pertanto, chiaro come il processo di separazione, magari per confluire in contesti maggiormente supportivi per le persone LGBT, significhi anche perdere non solo i servizi ma anche tutto un contesto di profondo significato interiore.
Al fine di continuare la partecipazione in questi contesti, le persone LGBT tendono ad adottare svariate strategie per cercare di risolvere o di alleviare lo state di tensione che si può generare dalla partecipazioni in questi contesti non supportivi:
ritenere la Bibbia un documento che sarebbe stato ispirato da Dio ed in quanto tale, contenente occasionalmente punti di vista umani ormai antiquati, quali quelli sull'omosessualità;
separare le identità LGBT e religiosa così da sopprimere quella LGBT quando quella religiosa, in alcuni contesti, diviene preponderante;
neutralizzare i messaggi contro l'omosessualità questionando la credibilità a vario grado del pastore, sacerdote o di chi promuove tale visione (ciò può includere, tra le altre, la conoscenza biblica, la moralità o l'eccessiva enfasi sulla percepita eccessiva tendenza al legalismo contro il messaggio d'amore incondizionato promosso dal Nuovo Testamento).
Sebbene gli studi riguardanti la religiosità delle persone LGBT non abbiano preso molto in considerazione se il gruppo religioso fosse più o meno supportivo, un lavoro di Lease e colleghi ha mostrato che persone caucasiche LGBT coinvolte in attività religiose in contesti maggiormente supportivi erano collegate ad un minor livello di omofobia interiorizzata e che questa era legata ad un miglior livello dello stato di salute mentale. Altri lavori, di converso, hanno rilevato che contesti religiosi non supportivi possono avere un significativo effetto nel promuovere l'omofobia internalizzata nelle persone LGBT.

La problematica, tuttavia, può variare anche a seconda del gruppo etnico preso in considerazione dato che la religiosità tende a variare a seconda dell'etnia. Sebbene alcuni lavori abbiano suggerito che le persone latino-americane ed afro-americane tendano a dimostrare un maggior sentimento religioso, al momento non è stato rilevato che le persone LGBT appartenenti a questi gruppi siano maggiormente esposte a contesti non supportivi rispetto a quelle caucasiche. Alcuni lavori hanno, infatti, suggerito che alcune denominazioni evangeliche frequentate da caucasici possano essere caratterizzate da contesti particolarmente omofobi. Tuttavia, se l'affiliazione religiosa delle persone LGBT riflette quella della popolazione generale, c'è da aspettarsi che quelle latino-americane ed afro-americane siano esposte a contesti omofobi in misura maggiore rispetto a quelle caucasiche.

Un lavoro di Barnes e Meyer del 2012 condotto su 355 partecipanti LGBT ha cercato di valutare l'effetto del contesto religioso nello stato di salute delle persone LGBT attendenti. In generale, è emerso che le persone caucasiche tendevano a non dichiararsi religiose (58%) mentre solo il 36% ed il 35% degli afro-americani e dei latino-americani si è dichiarato non religioso. In termini di omofobia interiorizzata è emerso che, rispetto ai caucasici, gli afro-americani ed i latino-americani hanno maggiori livelli di essa sebbene il risultato sia statisticamente significativo solo per i latino-americani; in generale gli affiliati a contesti non supportivi hanno maggiori livelli di omofobia generalizzata rispetto agli affiliati a contesti supportivi ed ai non praticanti. La frequenza di pratica religiosa, in questo lavoro, non ha esercitato alcuna influenza sui livelli di omofobia interiorizzata dato che non è stata riscontrata nessuna differenza statisticamente significativa tra coloro che avevano un'elevata frequenza di pratica contro chi ne aveva una bassa. Va segnalato, tuttavia, che sia i latino-americani che gli afro-americani sono risultati maggiormente esposti, rispetto ai caucasici, a contesti non supportivi e che l'affiliazione a tali contesti si è dimostrata essere un buon mediatore statistico dei livelli di omofobia interiorizzata. Va segnalato infatti che la variabile affiliazione a contesti non supportivi nel modello statistico finale ha reso non più significativa la differenza dei livelli di omofobia interiorizzata tra latino-americani e caucasici ma ha anche diminuito il valore del coefficiente standardizzato B del 50% e del 25% nei modelli testati. I livelli di omofobia interiorizzata, infine, sono risultati essere statisticamente associati alla presenza di sintomi depressivi ed ad un minore benessere psicologico rendendo, nei due modelli testati, la variabile affiliazione a contesti non supportivi un miglior predittore sebbene non statisticamente significativo.

Gli autori di questo studio hanno quindi concluso che i dati presentati forniscono una base all'ipotesi che i contesti religiosi non supportivi determinino lo sviluppo di un ambiente sociale ostile alle persone LGBT il che può risultare in una maggior presenza di omofobia interiorizzata. I latino-americani, in particolare, hanno manifestato livelli significativamente maggiori, rispetto ai caucasici, di omofobia interiorizzata. La maggior affiliazione e pratica in contesti religiosi non supportivi sembra spiegare i maggiori livelli di omofobia interiorizzata. Per quanto riguarda gli afro-americani, i dati sembrano suggerire un quadro analogo sebbene non si sia raggiunta la significatività statistica.

Tali conclusioni, basate su un campione limitato e non casuale, non sono ovviamente generalizzabili. Risulta interessante, tuttavia, notare che uno studio di Gibbs e Goldbach del 2015 sembra concludere che giovani adulti LGBT che crescono e maturano in contesti religiosi sono a più alto rischio, rispetto ad altre persone LGBT, di ideazione suicidaria, più specificatamente di ideazione suicidaria cronica, così come di tentativi di suicidio.

In ambito legislativo, in molte nazioni, soprattutto europee sono previsti strumenti legislativi, di carattere civile e penale, finalizzati al contrasto dell'omofobia intesa principalmente come discriminazione basata sull'orientamento sessuale.

Va evidenziato che le legislazioni esistenti in molti casi mantengono distinto l'aspetto della non discriminazione dalle norme mirate invece a sanzionare in modo specifico azioni e comportamenti esplicitamente omofobici, quali atti violenti o di incitamento anche solo verbale all'odio. Ci sono legislazioni che fanno rientrare questo secondo aspetto in un ambito legislativo non specifico, non considerando quindi la motivazione dell'omofobia per il reato o non prevedendo sanzioni specifiche per le espressioni di odio o di incitamento all'odio legate all'orientamento sessuale.

L'omofobia, intesa come atto violento e/o incitamento all'odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni carcerarie e/o pecuniarie in Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia e a livello regionale in Tasmania (vietato l'incitamento all'odio). Con un emendamento allo Hate Crimes Bill approvato dal Congresso nell'ottobre 2009 e denominato Matthew Shepard Act, gli Stati Uniti d'America hanno stabilito che la violenza causata da odio basato sull'orientamento sessuale costituisce un reato federale.

Norme antidiscriminatorie che menzionano esplicitamente l'orientamento sessuale sono in vigore in Europa, oltre che nei paesi sopra citati, in Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, in quattro Länder della Germania (Berlino, Brandeburgo, Sassonia e Turingia), Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ungheria, Regno Unito, Repubblica Ceca, Serbia e Montenegro.

Al di fuori dell'Europa, leggi antidiscriminazione sull'orientamento sessuale sono in vigore in Canada, in alcuni degli Stati Uniti, in Australia, Nuova Zelanda, Isole Fiji, in alcuni stati del Brasile, Nicaragua, Uruguay, Colombia, Ecuador, Israele e Sudafrica.

Anche il regime castrista ha adottato forme di persecuzione nei confronti degli omosessuali. Considerati "controrivoluzionari", dagli anni sessanta agli anni ottanta anche i gay sono stati perseguitati e molti di loro sono stati rinchiusi nei campi di lavoro forzati UMAP ("Unidades Militares de Ayuda a la Producción") a causa del loro orientamento sessuale. Nell'ideologia castrista i maricones ("finocchi") erano infatti considerati espressione dei valori decadenti della società borghese:

« Agli omosessuali non dovrebbe essere concesso di stare in posizioni dove potrebbero essere capaci di mal influenzare i giovani. Nelle condizioni in cui viviamo, a causa dei problemi che il nostro paese deve affrontare, dobbiamo inculcare nei giovani lo spirito della disciplina, della lotta, del lavoro... Noi non arriveremmo mai a credere che un omosessuale possa incarnare le condizioni e i requisiti di condotta che ci permetterebbero di considerarlo un vero Rivoluzionario, un vero Comunista aggressivo. Una deviazione di questa natura si scontra con il concetto che abbiamo di ciò che un militante comunista deve essere.»
Nel marzo del 1965, Giangiacomo Feltrinelli riuscì ad ottenere da Fidel Castro una lunghissima intervista chiedendogli anche perché perseguitasse i gay, sul perché ce l'avesse tanto con gli omosessuali e cosa c'entrasse quel pogrom con la rivoluzione. Il líder máximo, dopo una risata per la domanda sfacciata, rispose alla domanda ed accennò alla paura di "mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio". Nel 2010 Castro ha ammesso pubblicamente di aver "commesso una grande ingiustizia" a perseguitare gli omosessuali. Tuttavia, almeno dal 1988, Cuba è all'avanguardia in America latina per le politiche contro l'omofobia ed ha eliminato ogni traccia di legislazione omofobica.

La legislazione di contrasto alla discriminazione tra cittadini trae principale fondamento dall'articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana (principio di uguaglianza formale e sostanziale):
« Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. »
Pur non citando espressamente l'orientamento sessuale, esso può rientrare per via interpretativa sia nella nozione di "sesso", sia tra le "condizioni personali e sociali".

La Legge 25 giugno 1993, n. 205 intitolata Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa (cosiddetta Legge Mancino), integra il diritto penale italiano per quanto attiene ad alcune forme di discriminazione, tra cui non rientrano quelle basate sull'orientamento sessuale che, inserite nella sua prima formulazione, furono espunte dal testo nella stesura definitiva.

La menzione esplicita dell'orientamento sessuale è invece presente nel Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216, che tutela dalle discriminazioni sul luogo di lavoro. Le eccezioni inizialmente previste per il personale delle Forze Armate, delle Forze dell'ordine e di soccorso furono poi abolite a seguito della procedura d'infrazione aperta dalla Comunità Europea contro l'Italia, in quanto contrarie alla direttiva comunitaria contro le discriminazioni.

Il 2 ottobre 2009, nel corso della XVI Legislatura la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha adottato un testo base, presentato dalla deputata Anna Paola Concia e costituito da un singolo articolo, che tra le circostanze aggravanti comuni previste dall'articolo 61 del codice penale inserisce anche quella inerente all'orientamento sessuale. Tale testo è stato poi bocciato il 13 ottobre 2009 dalla maggioranza parlamentare per una pregiudiziale di costituzionalità sollevata dall'Unione di Centro. La bocciatura ha sollevato dure critiche verso l'Italia da parte di rappresentanti dell'Unione europea e dell'ONU. Alla bocciatura ha reagito invece positivamente il vescovo Domenico Mogavero, che ha definito la proposta di legge «solo un primo passo, in quanto il vero obiettivo di questa campagna sono le nozze gay».

Mara Carfagna, Ministro per le pari opportunità del Governo Berlusconi IV, il 9 novembre 2009, ha presentato Nessuna differenza, la prima campagna istituzionale in Italia contro l'omofobia e le discriminazioni di genere.

Il 17 maggio 2011, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito «inammissibile in società democraticamente adulte» l'irrisione degli omosessuali. Il 18 maggio 2011 il testo base della deputata Anna Paola Concia, basato su una direttiva europea, è stato ripresentato alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che l'ha bocciato con 24 voti contrari e 17 favorevoli. Il ministro Carfagna ha commentato: «Il Popolo della libertà ha perso un'occasione». Il 26 luglio 2011 la Camera ha respinto per la seconda volta il ddl presentato dalla deputata Concia contro l'omotransfobia.

Un nuovo disegno di legge per l'estensione della legge Mancino ai casi di omofobia e transfobia è stato presentato durante la XVII Legislatura.

In vari paesi (per esempio Canada, Regno Unito, USA, Italia) sono stati annullati molti concerti di famosi esponenti della "scena reggae", quali Sizzla, Beenie Man, Capleton, Bounty Killer, T.O.K., Buju Banton, Elephant Man per i contenuti omofobi e sessisti dei loro testi.

L'omofobia non è inserita in alcuna classificazione clinica delle varie fobie; infatti, non compare né nel DSM né nella classificazione ICD; il termine, come nel caso della xenofobia, è solitamente utilizzato in un'accezione generica (riferita a comportamenti discriminatori) e non clinica.



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mercoledì 16 marzo 2016

DACHAU

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Filo spinato carico di morte
è teso intorno al nostro mondo.
Sopra, un cielo senza pietà
manda gelo e raggi roventi.
Lontani da noi son tutti gli amici,
lontana è casa, lontane le donne
quando muti marciamo al lavoro,
a migliaia sul far del giorno.

Ma abbiamo imparato la parola d’ordine di Dachau
e l’abbiamo rispettata rigorosamente.
Sii un uomo, compagno,
rimani un uomo, compagno.
Fa’ tutto il lavoro, sgobba, compagno,
poiché il lavoro, il lavoro rende liberi.

Arbeit macht frei!

Con addosso la canna dei fucili
noi viviamo notte e giorno.
La vita qui è per noi una lezione
più dura di quel che mai pensavamo.
Nessuno più conta giorni e settimane,
molti più nemmeno gli anni.
E poi tanti sono distrutti e hanno perso il loro aspetto.

Arbeit match frei!

Ma abbiamo imparato la parola d'ordine di Dachau
e l’abbiamo rispettata rigorosamente.
Sii un uomo, compagno,
rimani un uomo, compagno.
Fa’ tutto il lavoro, sgobba, compagno,
poiché il lavoro, il lavoro rende liberi.

Arbeit macht frei!

Porta via la pietra, tira la carriola,
nessun carico ti sia troppo peso.
Quel che eri in giorni lontani
oggi non lo sei più da tempo.
Pianta la vanga nel terreno.
seppelliscici dentro la pena,
diverrai nel tuo sudore
anche tu pietra ed acciaio.

Arbeit macht frei!

Ma abbiamo imparato la parola d’ordine di Dachau
e l’abbiamo rispettata rigorosamente.
Sii un uomo, compagno,
rimani un uomo, compagno.
Fa' tutto il lavoro, sgobba, compagno,
poiché il lavoro, il lavoro rende liberi.

Arbeit macht frei!

Una sola volta chiamerà la sirena
all'ultimo appello di conta.
Fuori dunque, dove siamo,
compagno, tu sei presente.
La libertà ci sorriderà serena,
si va avanti con nuovo coraggio.
E il lavoro che facciamo,
questo lavoro, diventa buono.

Arbeit macht frei!
Testo della Canzone di Dachau (Arbeit macht frei)

A circa 15 km a nord-ovest di Monaco si trova Dachau che vanta una storia millenaria strettamente legata ai conti di Dachau e dalla metà del 1500 ai Wittelsbach che trasformarono l'antico castello dei conti in una residenza estiva che dalla collina domina l'abitato.

Il 21 marzo del 1933 inizia per la città il periodo più buio e drammatico di tutta la sua lunga esistenza: nel "Münchner Neuesten Nachrichten" apparve con una freddezza agghiacciante questa notizia firmata da Heinrich Himmler, Presidente della Polizia della città di Monaco:

Mercoledì 22 marzo 1933 verrà aperto nelle vicinanze di Dachau il primo campo di concentramento. Abbiamo preso questa decisione senza badare a considerazioni meschine, ma nella certezza di agire per la tranquillità del popolo e secondo il suo desiderio.

La prima costruzione del campo era una fabbrica di munizioni, costruita durante la prima guerra mondiale e ampliate nel '37-'38, periodo in cui furono costruite le nuove baracche, l'economato e i vecchi capannoni per le munizioni vennero trasformati in officine.

Dachau servì da modello a tutti i lager nazisti eretti successivamente; fu la scuola dell'omicidio delle SS che esportarono negli altri lager "Lo spirito di Dachau", il "terrore senza pietà".

Il lager di Dachau, insieme a quello di Auschwitz, è, nell'immaginario collettivo, il simbolo dei campi di sterminio nazisti.

Nel 1933 inizia così per la città di Dachau un lungo periodo buio e drammatico, a causa di questo nefasto avvenimento, al quale il nome della cittadina rimarrà per sempre legato.

« Il campo di concentramento di Dachau fu l'unico ad esistere per tutti i 12 anni del regime nazista. Nei primi anni della dittatura fu il più grande ed il più noto dei campi di concentramento, ed il suo nome divenne ben presto sinonimo di paura e di terrore in tutta la Germania.»

Il 21 marzo 1933, Heinrich Himmler, a Monaco di Baviera, in una conferenza stampa, annunciò la creazione di un campo di concentramento a Dachau. Dachau fu, in assoluto, il primo campo di concentramento di quello che sarebbe diventato "l'universo concentrazionario nazista", una gigantesca rete che nel 1945 arrivò a contare circa 20.000 lager, costruiti prima in Germania e poi in tutti i territori d'Europa caduti sotto l'occupazione tedesca; Dachau divenne pertanto il prototipo e il modello d'ispirazione per i campi successivi. Fu la scuola dell'assassinio per le SS, un vero e proprio banco di prova per ogni tipo di violenza.

Originariamente venne destinato agli oppositori politici di Hitler, a chi non si adeguò subito all'ideologia nazista. Gl'internati venivano rieducati tramite il lavoro duro e l'indottrinamento. Nei primi mesi di funzionamento il lager, a parte qualche episodio di violenza e la rigida disciplina, aveva ancora un volto un po' umano, che nulla lasciava presagire la mostruosità degli sviluppi futuri. I prigionieri erano prevalentemente sottoposti a lavori pesanti al fine di "punire" in loro il sentimento antinazista. Altro sistema era "rieducarli" al nazismo facendoli accedere a materiali vari di propaganda, presenziare a riunioni, veri e propri corsi, dibattiti e ascoltare dalla radio gli eventuali discorsi di Hitler, che i prigionieri udivano anche arrampicati sulle vecchie strutture del lager. Estenuanti marce erano effettuate inoltre, tra gli edifici e baracche del campo su cui erano state dipinte, a monito, enormi scritte della nascente dottrina nazionalsocialista.

Si prometteva la liberazione per coloro che si fossero riabilitati e in effetti a Natale del 1933, fatto più unico che raro, vennero graziati 600 prigionieri che, felici, poterono tornare a casa.

Solo in seguito divenne un campo di concentramento destinato, oltre che agli oppositori politici, anche ad ebrei e a minoranze "sgradite", come testimoni di Geova, omosessuali, emigranti, zingari e prigionieri polacchi, russi e così via.

L'organizzazione, la disposizione delle varie baracche e dei servizi, così come il programma di sviluppo e di ampliamento, vennero elaborate da uno dei primi comandanti del campo, Theodor Eicke, e tale modello poi venne sistematicamente utilizzato anche negli altri campi.

Eicke destinò il centro di comando e gli altri servizi per la gestione, come i quartieri per le guardie, l'amministrazione e l'armeria, in un'area ben protetta del campo. La sua gestione e l'esperienza accumulata a Dachau, gli valsero la nomina a "Ispettore dei campi di concentramento" (Inspekteur des Konzentrationslagerwesens).

Già il 22 marzo vi furono internati circa 150 detenuti. Nei primi giorni, sotto la sorveglianza della polizia bavarese e, dall'11 aprile, anche delle SS. Il 23 marzo si registrarono i primi omicidi e le prime vittime furono i prigionieri Benario Rudolf, Ernst Goldmann e Arthur Kahn. Nel mese di maggio, Hans Beimler, che sino al momento del suo arresto era stato membro del Reichstag, riuscì ad evadere e fuggire all'estero, dove rese pubbliche le informazioni riguardanti quello che lui definì il campo di omicidio a Dachau.
Ai primi di giugno, le SS assunsero il controllo completo ed alla fine dello stesso mese venne nominato comandante del campo Theodor Eicke. Eicke isolò completamente la struttura dagli estranei e neppure ai vigili del fuoco fu permesso entrare nei locali per verificare il rispetto delle norme di sicurezza antincendio.

Il Campo di concentramento di Dachau divenne da questo momento una zona al di fuori della legge.

Il regime divenne sempre più forte, grazie alla polizia politica ed alla magistratura. I sindacati invece, sempre più deboli, i partiti politici sciolti e la democrazia di fatto abolita. Radio e cinema furono messi sotto controllo. Ogni opposizione veniva ridotta al silenzio. Si diffusero sul territorio molte piccole strutture per raccogliere ed imprigionare i dissidenti, del tutto soggetti alla volontà dei politici nazisti locali.
Il 16 luglio 1933 venne pubblicato sulla rivista Münchner Illustrierte Presse un articolo di propaganda nazista con il titolo La verità su Dachau, che riportava una serie d'immagini sul lager, che avrebbe dovuto dissipare le voci emergenti sulle condizioni di vita drammatiche del campo. Furono mostrate fotografie dell'appello del mattino, della giornata tipo, con prigionieri lindi e pinti, sorridenti, in forma e ben trattati; foto che mostravano i loro abbondanti pasti, comprensivi di surrogato di caffè, pane, stufato e anche il pranzo della domenica, con minestra ed un pezzo di carne di maiale con insalata di patate. La realtà era assai diversa.

Venne aperta una biblioteca interna, contenente, ad esempio il Mein Kampf di Adolf Hitler per agevolare il programma di rieducazione. All'inizio di ottobre però venne emanato il regolamento definitivo del campo, che sostituì quello provvisorio preparato dal primo comandante Hilmar Wäckerle; questo nuovo programma, molto più rigido e spietato, fu l'inizio del terrore. Alla fine del 1933, dopo il rilascio delle circa 600 persone per la grazia di Natale, il campo conteneva quasi 5.000 prigionieri.

Durante il 1934 Himmler aumentò sempre più il suo potere e contemporaneamente i giochi politici estromisero le formazioni delle SA. Il loro capo, Ernst Röhm, cadde in disgrazia e numerosi appartenenti a quella formazione finirono nel campo di Dachau. Sempre nel corso del 1934 vennero chiusi vari campi non organizzati in modo adeguato e, di conseguenza, quello di Dachau, aumentò la sua importanza per tutta l'area della Baviera.

Con l'anno 1935 aumentò il numero degli internati. Arrivarono al campo non solo gli oppositori politici ma anche criminali comuni, zingari, ebrei, testimoni di Geova e omosessuali. Nel 1936 la polizia bavarese incominciò ad arrestare e a deportare i "parassiti dello Stato" (mendicanti, vagabondi, zingari, nullafacenti, sfruttatori di prostitute, bevitori abituali, autori gravi di infrazioni stradali e persone dal temperamento sociale psicopatico), classificati nel lager sotto il termine di "Asociali", oltre ai malati mentali. Un giro di vite si ebbe in occasione delle Olimpiadi di Berlino, dello stesso anno.

Nel 1936 s'iniziarono lavori per la costruzione di nuovi edifici che porteranno il lager di Dachau a diventare uno smisurato complesso tra i più grandi dell'universo concentrazionario nazista.

Moltissimi detenuti di Dachau, scelti tra i più pratici ed alacri, furono inviati in altri luoghi per cominciare a costruire altri nuovi campi di concentramento che divennero con il tempo anche loro, tristemente famosi.

Gli anni successivi furono un periodo di transizione, col terrore ormai instaurato nel campo. Fu usata la tortura per punire anche le più lievi mancanze disciplinari; una tortura molto usata era quella di appendere i prigionieri per le mani legate dietro la schiena senza che i piedi toccassero terra: le braccia si slogavano tra atroci dolori. Stessa punizione anche per chi non si toglieva il berretto davanti a una SS o non riusciva a stare in piedi sull'attenti davanti a loro.

Se a Dachau un prigioniero veniva trovato con un mozzicone di sigaretta, anche nascosto in tasca, riceveva dalle 25 alle 50 frustate. Altra punizione era "La scatola": era un casotto delle dimensioni di una cabina del telefono, fatta in modo che il detenuto non potesse stare in piedi, né seduto né tanto meno sdraiarsi; vi venivano stipati dentro fino a 4 detenuti che venivano lasciati lì dentro per tre giorni e tre notti, senza mangiare, bere o servizi igienici. Dopodiché li aspettavano 16 ore ininterrotte di lavori forzati.

Dagli archivi della Wilhelmstrasse, Documento 215, si parla di altri due famigerati Kommandos di Dachau, Il Moor-express e le "Piantagioni".

Un'altra tortura psicofisica ideata dalle SS a Dachau era il Moor Express (Espresso della palude), pesantissimi carri a cui venivano aggiogati come animali da soma i prigionieri, obbligati a trascinarli di corsa per trasportare anche minimi carichi da una parte all'altra del lager, per otto-dieci ore al giorno.

Le "Piantagioni" erano dei veri e propri bagni penali. Vi erano destinati specialmente ecclesiastici ed ebrei che vi lavorano a mani nude con ogni tempo. La terra fu strappata alla palude al costo di centinaia di vite umane e vi si coltivavano soprattutto piante medicinali.

Vi era anche il Commando della Cava, che come in tutti i campi è sconsigliabile: solo nell'inverno del 1942 vi muorirono di sfinimento trecento religiosi.

S'introdusse un nuovo sistema d'identificazione dei gruppi di prigionieri e, nel 1937, si ampliò notevolmente l'area del campo, con lavori che proseguirono per tutto il 1938. Vennero costruite baracche di legno, un bunker, una fattoria con cucina e altri edifici.

Nel bunker vi erano piccole celle dove avvenivano segregazioni e torture varie. Nel campo c'erano poi il piazzale dell'appello, dove ogni giorno, alla mattina e alla sera, si svolgeva l'appello generale dei detenuti, la cantina-bar, dove si potevano comprare sigarette e ogni tanto anche alimentari come marmellata di rape, pasta di avena e cetrioli. I detenuti avevano accesso anche al paradossale "museo del campo", dove venivano conservate figure in gesso dei prigionieri caratterizzati da particolari menomazioni fisiche o tare ereditarie (in ossequio certamente al pregiudizio razziale nazista). A volte, in questo museo, come fosse uno specie di zoo umano, vi venivano addirittura mostrati e anche percossi pubblicamente detenuti importanti, come il vescovo Kozal, politici, artisti, nobili, tra i quali i duchi di Hohenberg, figli dell'Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austriaco, assassinato a Sarajevo nel 1914.

Le prigioni di Dachau erano un lunghissimo edificio stretto e dotato di numerose piccole celle. Lì erano rinchiusi quelli che i deportati chiamavano NN, la sigla Nacht und Nebel, notte e nebbia. Non avevano il permesso di vedere nessuno e non venivano mai portati fuori all'aria aperta; furono condannati all'isolamento totale per anni e alla facile possibilità di impazzire. Il venerdì prima della domenica in cui fu liberato il campo dagli americani, 8.000 prigionieri furono condotti dalle SS sui "Treni della morte", e tra essi vi erano i reclusi delle celle d'isolamento; di loro non si è mai saputo più nulla.

Il 1º aprile 1938 arrivarono al campo i primi prigionieri provenienti dall'Austria da poco annessa, senza alcun combattimento, con l'Anschluss.

Nell'agosto dello stesso anno venne scritta, clandestinamente, la Canzone di Dachau, una marcia con testo di Jura Soyfer con un ritornello che ripeteva più volte: Arbeit macht frei. Jura Soyfer era un ebreo di origine ucraina trasferitosi a Vienna, arrestato e deportato a Dachau, dove scrisse la canzone, in collaborazione con il compositore viennese Herbert Zipper. Questa drammatica canzone esorta i compagni di prigionia a non lasciarsi sopraffare e abbrutire dal lavoro disumano e bestiale di Dachau ma di reagire allo slogan Arbeit macht frei, trascendendolo anche con sofferenza e stoicismo in modo da riconquistare la dignità umana lesa dalla violenza nazista, di resistere con tutta la forza della disperazione e dell'orgoglio fino all'ultimo appello, quando si apriranno le porte del lager verso l'immancabile libertà. Dachaulied divenne l'inno di resistenza antinazista e regalò una speranza a milioni di condannati a morte durante l'Olocausto.

Nel frattempo le ispezioni internazionali che si fecero al campo lasciarono soddisfatti gli ispettori. Il 19 agosto Guillaume Favre, membro del Comitato internazionale della Croce Rossa, scrisse un commento molto favorevole, ignorando ciò che realmente avveniva dentro le recinzioni. Nel mese di ottobre arrivarono i primi prigionieri dai Sudeti, in maggioranza ebrei. Poi diversi di questi vennero rilasciati, ma invitati ad espatriare, lasciando i loro beni, nei luoghi di origine, che vennero comprati a poco prezzo dai tedeschi.
Nel corso del 1939, prima dello scoppiò della seconda guerra mondiale, le persecuzioni contro gli ebrei divennero ancora più forti e vennero emanate leggi per espropriarli delle loro proprietà. Poi, in occasione dell'anniversario dell'Anschluss, vennero rilasciati molti austriaci. La guerra ormai era alle porte.

Il primo settembre 1939, con l'invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, scoppiò la seconda guerra mondiale. Cominciarono così ad arrivare al campo, in un numero sempre maggiore, prigionieri provenienti dai paesi occupati. Questi vennero impiegati sia nell'industria bellica, per la produzione di armi, sia nelle altre attività industriali e anche nelle cave od ovunque servisse manodopera a basso costo.
Le nuove normative in tema di eutanasia emanate da Hitler ridussero il numero di prigionieri in cattivo stato di salute, poiché vennero semplicemente uccisi.
Tra il 27 settembre 1939 e 18 febbraio 1940 molti prigionieri vennero trasferiti in altri campi, come Buchenwald, Mauthausen e Flossenbürg.
Con l'inizio del 1940 il controllo del campo passò alla sezione delle SS che curava gli armamenti e si aprirono fucine, falegnamerie e sellerie. Da ricordare che è l'anno dell'uscita del film di Charlie Chaplin, Il grande dittatore, dove si parla dei campi di concentramento.

Sempre nel 1940, di fronte al forte aumento del numero dei morti, si rese necessaria la costruzione di un crematorio in un'area alberata adiacente all'estremità del campo. In un capannone di legno, camuffato come una casa stile bavarese, fu installato un forno crematorio J.A. Topf und Söhne, a doppia muffola, di modello identico a quello che la stessa ditta installò a Gusen di Mauthausen. Il capannone (come tuttora si vede) aveva sul davanti una grande porta a due ante che accedeva immediatamente al forno crematorio; i cadaveri venivano raccolti con carri che facevano il giro del campo e il caricamento dei cadaveri nei forni avveniva in un orario indicato dalle sette di sera alle sette di mattina, affinché la notte nascondesse le operazioni di cremazione.

Molti furono i religiosi rinchiusi a Dachau, ripartiti principalmente nel Blocco 26 e, in misura minore, nel 28. Nel gennaio 1941, su ordine di Himmler, nel Blocco 26, denominato appunto il "Blocco dei preti", venne costruita una cappella provvisoria. Ciò per accordi avuti con il Vaticano, accordi che prevedevano un trattamento migliore per i sacerdoti reclusi e anche di evitare la cremazione per quelli che vi fossero eventualmente deceduti. Un sacerdote venne autorizzato a celebrare la Messa ogni giorno, sotto la supervisione di una SS. A partire dal mese di aprile a tutto il clero cattolico vennero concesse, grazie a finanziamenti del Vaticano, razioni di cibo migliore. Il privilegio tuttavia portò ad una reazione degli altri detenuti e, per evitare disordini, nel mese di settembre tale privilegio venne annullato.



Sempre nel 1941 venne creata in infermeria una stazione sperimentale, che iniziò le attività con un trattamento omeopatico su 114 pazienti affetti da tubercolosi. Kapo in infermeria, per tutti i 6 anni della guerra, fu il detenuto Josef Heiden.
Dal 1º giugno fu istituito il Registro dei Decessi all'interno del Campo. Fino ad allora, il numero totale dei decessi in base al registro del comune di Dachau era di 3486 persone. Da ottobre 1941 arrivarono migliaia di prigionieri di guerra sovietici. Durante la guerra contro l'Unione Sovietica vennero reclusi a Dachau ragazzi tra i 12 e i 15 anni e perfino di 7 anni; cosa sia avvenuto di loro non si seppe mai.

Nel 1941 la Germania è vincitrice su tutti i fronti; l'esaltazione paranoide di Hitler è al massimo. Egli vede concretizzarsi il suo ideale di un nuovo potere mondiale nazista. Promette persino "Mille anni di felicità al popolo tedesco". La vittoria sembra vicina e nel nuovo ordine nazista non c'è posto per gli "indesiderabili", siano essi Ebrei, Polacchi, Russi ecc., che si possono ribellare al padrone tedesco, zingari, oppositori, asociali o di "vita indegna". Hitler ordina che i nemici del Reich siano eliminati senza pietà, "in un sol colpo" e una volta per sempre. Himmler le chiama "Grandiose azioni previste" ed esegue. Di conseguenza a ciò i campi in mano alle SS diventarono praticamente tutti campi di sterminio, da attuarsi soprattutto con il lavoro, mentre le Einsatzgruppen furono utilizzate come unità mobili di sterminio. Dall'espropriazione coatta dei beni di milioni e milioni di Ebrei, slavi, zingari e deportati di ogni nazionalità, si ricavarono migliaia di tonnellate d'oro, platino, argento, di altri metalli, oggetti e pietre preziose, valute nazionali e straniere, Titoli del Tesoro e Azioni per miliardi di marchi, beni mobili e immobili, opere d'arte, oceani di suppellettili, come masserizie, oggetti personali, calzature, pellicce pregiate ecc., il lavoro a costo zero di milioni di lavoratori schiavi e la pulizia etnica di immensi territori destinati all'annessione tedesca. Più si deportava, più si uccideva e più guadagnava. Ancora oggi si stenta a calcolare l'immenso tesoro sottratto.

A Dachau le SS iniziarono, prima nel cortile del bunker, poi a Hebertshausen, ad esercitarsi al tiro sparando sui prigionieri di guerra sovietici. Le vittime divennero subito migliaia. Il campo si trasformò quindi da campo di lavoro a vero e proprio campo di sterminio. Circa 30.000 persone vennero uccise, in gran parte da quel momento in avanti. Altre migliaia morirono di fame e di stenti a causa delle condizioni infernali di vita nel campo.

La stragrande maggioranza dei decessi tra gli internati a Dachau avvenne negli anni 1942-45. In conseguenza del numero crescente di morti e di uccisioni, l'unico forno crematorio a doppia muffola, installato in un capannone di legno nel 1940 dalla J.A. Topf und Söhne, non fu più in grado di far fronte al compito d'incenerire tale massa di vittime.

Nel 1942 si rese quindi necessario iniziare la costruzione di un nuovo grande crematorio in muratura, denominato sinistramente Baracke X, che venne edificato accanto al primo. Esso fu dotato di un'ampia camera a gas e di una vasta sala d'incenerimento con quattro forni "Reform" (modello TII), installati dalla ditta Heinrich KORI GmbH di Berlino e realizzati con doppie porte per ridurre l'esplosione di calore quando venivano aperti.

Si deve notare che i forni di Dachau, come quelli di altri lager nazisti, non furono "forni crematori" nel senso più stretto del termine; un forno crematorio è progettato per cremare un corpo alla volta, seguendo un preciso ciclo di riscaldamento, d'incenerimento, di raffreddamento e di recupero delle ceneri.
Un forno che crema, invece, corpi in modo continuo è più esattamente chiamato "inceneritore". In questo caso le cremazioni sono effettuate senza periodo di raffreddamento e di recupero delle ceneri, dove nuovi corpi sono gettati nel forno senza aspettare la fine della cremazione precedente. Questo consentiva un risparmio sul combustibile e sul ricambio dei mattoni refrattari e ciò portava il costo di gestione di un "inceneritore" notevolmente inferiore a quello di un "crematorio", con un'efficienza di cremazione assai più elevata. La stessa ditta costruttrice, nelle sue istruzioni per l'uso ottimale dei forni crematori, conferma: «Nel forno crematorio a doppia muffola, riscaldato a coke, possono essere cremati dai 50 ai 100 cadaveri al giorno. Inoltre, ove l'Azienda lo richieda, le cremazioni possono essere effettuate incessantemente giorno e notte, senza che ciò ne risulti di sovraccarico per il forno. I mattoni refrattari durano di più se nel forno è mantenuta costante una temperatura uniforme.» Si stima che a pieno regime ci volessero circa 10-15 minuti per cremare un corpo. Neanche questa drammatica capacità distruttiva dei crematori era sufficiente a smaltire i corpi delle vittime, tanto che si doveva ricorrere anche allo scavo di fosse comuni. Inspiegabilmente il primo forno a sinistra dei quattro, quello sul lato della camera a gas, per ordine dei nazisti, veniva usato solo per gli Ebrei anche se dopo le ceneri venivano mischiate con quelle degli altri forni.

Inizialmente si effettuava anche il recupero delle ceneri, vendute poi dentro a urne alle famiglie delle vittime che ne facevano richiesta. Le ceneri erano mischiate e non corrispondevano mai al nominativo segnato. Poi con il tempo questo bieco commercio non poté più essere effettuato e cessò e le ceneri vennero gettate in una profonda buca scavata nel terreno adiacente e da questa raccolte per essere adoperate come concime per i campi o altri usi. Una lapide lì posta ne commemora il punto.

Nel nuovo crematorio furono installate anche quattro piccole e basse camerette parallele, indiscutibilmente destinate alla fumigazione e la sterilizzazione con gas di coperte e biancheria da letto per la disinfestazione da pidocchi e altri insetti, ma soprattutto per poter riciclare gli abiti tolti ai morti prima di essere cremati o quelli delle eventuali vittime dell'annessa camera a gas. Per scopi di sterminio venne invece costruita infatti la grande camera a gas camuffata da "Sala doccia", in tedesco Brausebad, come ancora oggi si legge sul cartello all'ingresso. Il vasto locale è dotato di porte ermetiche con spioncino e numerosi soffioni d'acqua finti incassati nel soffitto. Due sportelli esterni in ferro, con maniglia per l'immissione dei cristalli del gas Zyklon B nella camera, confermano le sue finalità omicide. Secondo i produttori del gas, assai notevole è la differenza di quantità di gas usata per lo sterminio degli insetti e quello di esseri umani: 0,3 grammi per metro cubo per uccidere esseri umani e ben 10 grammi per metro cubo per gli insetti; queste basse concentrazioni di acido cianidrico rendevano relativamente facile e poco costosa l'eliminazione di grandi numeri di vittime. Questa camera a gas è una delle poche, assieme a quelle di Sachsenhausen e Majdanek, che non è stata distrutta all'arrivo delle truppe di liberazione, com'è successo invece ad Auschwitz-Birkenau ed in altri campi di sterminio, in particolare in quelli liberati dall'esercito sovietico.

Per completezza di informazione occorre ricordare che l'effettivo utilizzo della camera a gas di Dachau è oggi fonte di discussione e di indagine storica.

Per alcuni, come il giornalista Martin Broszat, non ci sono dubbi in merito.
La notizia è confermata dalla testimonianza di un deportato italiano, Enrico Vanzini.
La scrittrice e giornalista americana Martha Gellhorn, considerata una delle più grandi corrispondenti di guerra del XX secolo, nella sua visita a Dachau subito dopo la liberazione raccolse a caldo, tra le altre, anche questa testimonianza di ex-prigionieri e reduci del Sonderkommando di Dachau: «In febbraio e marzo scorso (1945), duemila uomini sono stati assassinati nella camera a gas perché, nonostante la prostrazione che impediva loro di lavorare, non avevano la grazia di morire da soli; quindi doveva pensarci qualcun altro. La camera a gas era quella che faceva parte del crematorio.» Da quanto è narrato in queste testimonianze si ha conferma che la camera a gas di Dachau era in funzione. Le indagini della giornalista americana si trovano anche su Oldmagazinearticles.
Un aspetto a favore di questa tesi è che i prigionieri da eliminare non potevano essere più inviati ad altri centri di sterminio poiché già dal gennaio del '45 questi erano stati tutti smantellati. Da questa data e fino ad aprile '45, alla liberazione del campo, ciò fa supporre quindi che almeno in questi ultimi mesi la camera a gas sia stata operativa.

Un altro metodo utilizzato nel campo per sopprimere i prigionieri non più adatti al lavoro fu anche quello delle iniezioni letali, in particolare a partire dal 1942.

Il 22 febbraio iniziarono sperimentazioni su vasta scala ed i medici vennero incaricati di testare gli effetti sull'organismo umano della permanenza ad alta quota e della caduta improvvisa da una grande altezza. Tali studi servirono per i piloti della Luftwaffe e venne appositamente costruita una camera a vuoto tra il Blocco 5 e le baracche adiacenti. La serie di prove nella seconda metà di maggio 1942 costò la vita a circa 200 detenuti. Tra i medici coinvolti in tali esperimenti occorre ricordare Wilhelm Beiglböck, che fu giudicato e condannato nel processo di Norimberga, al termine del conflitto mondiale. Quasi contemporaneamente Claus Schilling iniziò i suoi primi esperimenti per lo studio di farmaci contro la malaria e le malattie tropicali. 1100 prigionieri vennero infettati e utilizzati come cavie. Nel mese di giugno venne istituita una stazione di ricerca biochimica, sotto la direzione di Heinrich Schütz.

Malgrado le uccisioni e le sperimentazioni, le condizioni di vita nel campo divennero più accettabili per quella parte dei prigionieri che erano utilizzati come forza lavoro. Contemporaneamente le nuove disposizioni di Himmler fecero affluire ai vari campi un numero sempre maggiore di ebrei. Alla fine del 1942 si ebbe un'epidemia di tifo, trasmessa dai pidocchi per le scarse condizioni igieniche. Il campo venne messo in quarantena e, a causa di questo problema, le SS non entrarono per alcuni mesi nel campo, sino al 15 marzo 1943, con vantaggi per gli internati. Tuttavia subito dopo, per gli atti di sabotaggio, si registrarono le esecuzioni di un numero compreso tra gli 800 ed i 1.000 prigionieri.

Precedentemente, e cioè dal 2 gennaio 1942, aveva avuto inizio il trasporto di prigionieri disabili e improduttivi da Dachau verso il Castello di Hartheim, centro dell'eutanasia nazista denominata Aktion T4, presso Linz in Austria, per essere eliminati con il gas. Più esattamente i deportati selezionati per essere soppressi seguivano l' Aktion 14F13, l'azione più segreta e proprio specifica per l'uccisione dei prigionieri dei campi di concentramento, fossero essi malati, invalidi, fisicamente esauriti e comunque inabili al lavoro. I nazisti, colossali imprenditori di manodopera schiava, li consideravano bocche inutili da sfamare, letteralmente "zavorra umana" (ballastexistenzen) da far sparire. Nella logica criminale nazista, qualunque prigioniero considerato un "peso morto", cioè inutile e costoso all'economia del Reich, doveva essere condannato a morte immediata; prima lo si eliminava e più si risparmiava.

Il centro di sterminio di Hartheim, avviato il 1º settembre 1939, era chiamato in modo sarcastico il "Sanatorio di Dachau", per coprirne le reali finalità omicide. Nel primo anno ci furono 32 spedizioni, per un totale di circa 3.000 deportati uccisi. In questo castello giunsero trasporti da vari lager, tra cui Dachau e Mauthausen/Gusen per un totale di circa 8066 vittime riconosciute. Si stima che in questo Castello vi furono assassinate circa 30.000 persone. In particolare le vittime di Dachau ad Hartheim, nel periodo 1942-44, furono 3166.

Nel 1944, i campi di concentramento ad est, per lo spostamento del fronte, vennero evacuati. In febbraio, nel cortile del crematorio, le SS fucilarono 31 ufficiali sovietici. Il giorno 11 maggio venne creato un bordello nel campo, con sei donne arrivate da Ravensbrück, con lo scopo di premiare il lavoro straordinario tra i detenuti e incrementarlo ulteriormente. Verso la fine dell'anno tuttavia venne chiuso. Il 6 luglio arrivarono detenuti dal campo di Compiègne. Di questi 2521 prigionieri, 984 erano già morti. Contemporaneamente negli uffici delle SS arrivò, attraverso la radio, la notizia dello sbarco alleato in Normandia. Continuarono anche gli esperimenti medici, ad esempio per l'utilizzo di acqua di mare da bere. Vennero coinvolti 44 detenuti sinti e rom.

Nell'agosto del 1944 venne aperto un campo femminile all'interno di Dachau: il primo convoglio di donne proveniva da Auschwitz-Birkenau. Solo diciannove donne guardie servirono a Dachau, molte delle quali fino alla liberazione del campo, e in totale solo sessantatré prestarono servizio nei vari sottocampi del complesso di Dachau.

Nell'autunno del 1944 il campo era sovraffollato: le camerate previste per 52 persone ospitavano 300-500 persone. Vennero uccisi altri 92 ufficiali sovietici nel cortile del crematorio. In novembre ancora una volta si ebbe un'epidemia di tifo. I tassi di mortalità aumentarono: 403 morti in ottobre, 997 in novembre e 1915 in dicembre. Il 17 dicembre il diacono Karl Leisner venne segretamente ordinato sacerdote dal vescovo francese Gabriel Piguet (Karl Leisner venne beatificato da Papa Giovanni Paolo II nel 1996). Oltre a tutto questo il campo fu teatro di numerosi esperimenti su detenuti; cavie umane nel gergo del lager chiamate Versuchskaninchen. Questi esperimenti, mortali il più delle volte, vennero eseguiti allo scopo di trovare rimedi per i problemi dei soldati dell'esercito nazista impegnati su fronti diversi, come in caso di congelamento in acqua o alta pressione in volo, problemi di tubercolosi e altre malattie di cui si studiavano nuovi farmaci. A questo scopo migliaia di detenuti fecero da cavie anche per esperimenti inutili ed empirici, come quello di far bere acqua salata o di congelare un ebreo in acqua fredda per poi cercare di rianimarlo; fu tentata persino la rianimazione con il calore animale usando prostitute del campo; ciò poteva servire per un aviatore tedesco in seguito di un atterraggio col paracadute e svenimento per il freddo. Si sono trovate lettere di medici nazisti che ammettevano di aver annegate nell'acqua le cavie umane ancora svenute. Per sperimentare i nuovi farmaci fu inoculata la malaria, batteri del tetano, della gangrena, del tifo petecchiale, della tubercolosi e della peste, fortemente settici. Si tentarono esperimenti di sterilizzazione su ebrei con Raggi X e con sostanze acide inalate nelle donne ebree nelle parti intime. Furono amputati arti, teste, organi e ricavati scheletri per le università tedesche. Esperimenti criminali che lasciarono per sempre nei corpi delle poche cavie sopravvissute orribili mutilazioni.

Con l'inizio del 1945 arrivarono sempre più numerosi i prigionieri da altri campi, che erano stati evacuati per l'avvicinamento del fronte. Il sovraffollamento biblico ed epidemie endemiche come la febbre tifoide, fecero salire ancora il numero dei decessi: 2903 morti in gennaio, 3991 in febbraio e 3534 in marzo. Morirono pure molti medici ed infermieri contagiati. Agli inizi di aprile, con gli Alleati ormai vicini, le SS cominciarono a bruciare i documenti, e l'avvicendamento al comando divenne più rapido.
A metà di aprile del 1945, i sottocampi di Kaufering, Augusta e Monaco vennero abbandonati, le guardie delle SS vennero trasferite tutte a Dachau, e alcune di loro fornirono ai prigionieri diverse pistole poco prima della liberazione del campo, nella speranza di aver salva la vita nel dopoguerra.

Occorre ora fare un piccolo passo indietro e tornare al settembre del 1944. I successi degli Alleati, che avanzavano sempre più profondamente nei territori precedentemente occupati dai nazisti, crearono nel campo un clima fervente di attesa per la liberazione e di angoscia nei loro aguzzini.
Un gruppo di prigionieri impiegati in infermeria diede vita all'I.P.C.(Comitato Internazionale dei Prigionieri), che all'inizio comprendeva un internato di origine albanese, uno di origine polacca, uno belga ed uno canadese di lingua inglese. Questi quattro, Kuci, Malczewski, Haulot e O'Leary iniziarono a contattare anche altri rappresentanti di diverse nazionalità. L'I.P.C. divenne subito un punto di riferimento per tutti i detenuti e incominciò ad organizzare una sorta di resistenza interna, per ridurre al massimo le conseguenze sui detenuti delle pessime condizioni nelle quali versava il campo a causa del sovraffollamento.

Gli ultimi giorni di attività del campo videro ancora l'arrivo di nuovi detenuti, ad esempio da Buchenwald, stremati e spesso morti durante i trasferimenti. Il 28 aprile il nuovo comandante Max Ulich, che voleva evitare inutili perdite contro le forze degli Stati Uniti, organizzò la resa. Nella città di Dachau si ebbe una rivolta, che coinvolse anche prigionieri. Dalla radio giungevano ancora ordini di resistere, ma ormai non era più possibile evitare la capitolazione.

Le Marce della morte furono una forma di sterminio tardiva ma volutamente pianificata. Gli ordini di Himmler erano di eliminare tutti quelli che non erano in grado di proseguire; il 14 aprile 1945 aveva emanato l'ordinanza per il massacro totale dei prigionieri; nessun deportato doveva cadere vivo nelle mani degli alleati. I superstiti furono caricati a migliaia su diverse navi minate tedesche come il Cap Arcona e il Deutschland per essere affondati nel Mar Baltico e a migliaia vi muoiono, ironia della sorte, per i bombardamenti degli alleati, convinti di colare a picco navi naziste.

Un deportato proveniente da Hersbruck raccontò la sua lunga marcia della morte attraverso la Germania, per arrivare infine a Dachau. L'ultimo tratto venne percorso su un vagone ferroviario, insieme ad altri compagni ormai stremati, ed all'arrivo alla piccola stazione del campo tutti i compagni erano ormai morti e solo lui poté scendere «Di cento che eravamo stati fatti salire su quel carro, solo io riuscii a scendere, gli altri erano tutti morti durante la nottata.»

L'ultimo leader dei prigionieri del campo fu Oskar Müller (un anti-fascista), che divenne in seguito Ministro del Lavoro del Land tedesco dell'Assia. Secondo i racconti di Padre Johannes Maria Lenz, Müller inviò due prigionieri per informare l'esercito americano che il campo doveva essere liberato, dato che i nazisti si stavano preparando ad uccidere tutti i prigionieri ancora in vita.

Dachau venne utilizzato come campo centrale per i prigionieri di religione cristiana: secondo i resoconti della Chiesa Romana poco meno di 3.000 religiosi, diaconi, sacerdoti e vescovi vennero imprigionati. Tra gl'internati cristiani, figure particolarmente importanti furono Karl Leisner, già ricordato, e Martin Niemöller (teologo protestante e leader della resistenza anti-nazista). In totale, più di 200.000 prigionieri provenienti da 30 diversi paesi vennero internati a Dachau.

Domenica 29 aprile 1945, il giorno prima che Hitler si suicidasse, le Divisioni 42^ e 45^ della Fanteria USA entrarono nel campo di Dachau. I pochi uomini delle Allgemeine SS ancora rimasti all'interno del campo, offrirono poca resistenza. Il campo di concentramento di Dachau fu il penultimo dei grandi campi ad essere liberato, sei giorni prima di Mauthausen, liberato il 5 maggio 1945. Al suo interno rimanevano ancora 32.335 prigionieri.

Il primo carrarmato americano entrando a Dachau sparò due cannonate demolendo una torretta; con altre due aprì una breccia nel muro opposto al cancello facendo comparire per la prima volta ai prigionieri le dieci ville degli ufficiali nazisti.

Ma già una furiosa battaglia infuriava fuori dal lager tra SS e americani, che durò dalla mattina di domenica 29 aprile fino alle cinque del pomeriggio; gli americani da fuori del lager avvertivano i prigionieri con megafoni in tutte le lingue di rifugiarsi nelle baracche per evitare pallottole vaganti.

Ecco come il tenente colonnello Walter Fellenz della Settima Armata americana descrisse il saluto dei 32.000 prigionieri superstiti all'arrivo degli americani a Dachau:

"A diverse centinaia di metri all'interno del cancello principale, abbiamo trovato il campo di concentramento. Davanti a noi, dietro un recinto elettrificato di filo spinato, c'era una massa di uomini, donne e bambini plaudenti, mezzi matti, che salutavano e gridavano di gioia – i loro liberatori erano arrivati! Il rumore assordante del saluto era di là della comprensione! Ogni individuo degli oltre 32.000 che poteva emettere un suono lo faceva, applaudiva e urlava parole di giubilo. I nostri cuori piangevano vedendo le lacrime di felicità cadere dalle loro guance."

Gli americani vengono guidati da alcuni prigionieri russi nel bunker sotterraneo dove si effettuavano esperimenti ed interventi chirurgici su cavie umane; qui trovano venti donne e dieci guardie delle SS che lì si erano nascosti sperando di farla franca; li arrestano immediatamente. Osservano gli strumenti e la sala operatoria dove si asportavano, tra l'altro, organi da individui sani per essere inviati alle università tedesche. Vi è un montacarichi che serviva per portare in superficie i cadaveri mutilati delle vittime pronti per essere messi su carri tirati a mano ed avviati ai forni crematori; testimoni dicono agli allibiti americani che le cavie umane venivano operate anche in vivisezione senza anestesia. Gli americani giravano per il campo ripetendo in continuazione:"Orrendo!"

Le truppe americane, dopo aver liberato Dachau, marciarono verso Monaco di Baviera, a pochi chilometri di distanza, ed entrarono in città il giorno successivo. I sottocampi vennero liberati lo stesso giorno, compreso il campo di Kaufering/Landsberg, dove era rinchiuso Viktor Frankl. Anche i trasporti di prigionieri, che erano nelle vicinanze di Monaco di Baviera, vennero raggiunti e liberati come il capoluogo, il 30 aprile. Tra i prigionieri liberati in questa occasione è da ricordare Max Mannheimer, che si trovava in un convoglio nei pressi di Seeshaupt.

La liberazione di Dachau e la scoperta degli orrori che vi avvenivano, lasciò sgomenta l'opinione pubblica del britannica e statunitense, non solo perché era il secondo campo di concentramento ad essere liberato dagli Alleati occidentali, ma anche, e soprattutto, perché fu il primo sito ad Ovest, nel quale si venne pienamente a conoscenza del reale dramma dei lager nazisti. Gli americani trovarono oltre 32.000 prigionieri in condizioni pietose e altri 1.600 ormai in fin di vita in 20 baracche del campo, che contenevano circa 250 persone ciascuna. I soldati americani scoprirono inoltre 39 vagoni ferroviari contenenti un altro centinaio di corpi di prigionieri morti ammassati.

Oltre a ciò i detenuti continuavano a morire come mosche; vi erano corpi in avanzato stato di decomposizione e si rischiavano gravi epidemie oltre a quelle già presenti. Gli americani fecero riaccendere i forni e in quattro giorni fecero cremare 741 corpi, ma non bastava. Tra i soldati statunitensi vi era anche il futuro scrittore J.D. Salinger, che anni dopo dirà alla figlia "È impossibile non sentire più l'odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva."

Si rese subito necessario scavare vaste e profonde fosse comuni e con le ruspe gettarvi dentro cadaveri in numero impressionante.

Vi erano soldati americani avvezzi alle più crude atrocità della guerra ma che qui, a Dachau, piangevano nel vedere quegli scheletri viventi in "pigiama" a strisce, sporchi, laceri, traballanti fantasmi ancora in piedi, dagli enormi occhi assenti, che venivano piano piano loro incontro e che provavano a sorridere o a parlare; molti cadevano a terra, un guizzo e spiravano; musulmani (muselmann) li chiamano nel gergo dei lager, perché stremati, cadevano spesso in ginocchio con le braccia in avanti a terra e il capo chino come nella tipica posa dei musulmani che pregano.

Morivano anche detenuti che al momento, con gli aiuti, avevano potuto finalmente mangiare a sazietà; il loro stomaco si era troppo ristretto e letteralmente scoppiava per il tanto cibo. Nel campo prigionieri affamati erano arrivati persino a cibarsi di topi e vi furono anche diversi episodi di cannibalismo su cadaveri.

Bisognava disinfettare il campo dai pidocchi e altri parassiti e gli americani usarono il DDT ancora sconosciuto in Europa. Nonostante le cure, i morti si contavano a migliaia nei giorni successivi alla liberazione e in quello spaventoso maggio del 1945.

Dal luglio 1945 il campo venne utilizzato come prigione per graduati e ufficiali SS, ed al suo interno si tennero pure le sedute del tribunale militare per il processo che riguardò i crimini commessi a Dachau, e questo fino al 1948. In seguito venne usato come ricovero per i profughi tedeschi.

Il 16 ottobre 1946 i forni crematori di Dachau vennero riaccesi per l'ultima volta: vennero cremati i 12 cadaveri dei gerarchi nazisti condannati all'impiccagione per sentenza del Processo di Norimberga. Si ripeté la tecnica di inserimento dei corpi nei forni ma stavolta a finirci dentro furono gli stessi apostoli del Nazismo, condannati per crimini contro l'umanità: Hermann Göring, von Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frank, Frick, Streicher, Sauckel, Jodl, Seyß-Inquart e gli altri, passarono anche loro per il famigerato camino e le loro ceneri vennero poi gettate nel rio Conwentz.

Dachau inizialmente, su ordine del comando americano, fu messo in quarantena, a causa dell'epidemia di tifo presente nel sito. Questa, unita alla malnutrizione che aveva indebolito i prigionieri, decimò i sopravvissuti, provocando oltre 2.000 decessi. Il campo, durante questa emergenza, servì come rifugio per i detenuti e per le persone senza fissa dimora ed ex-malati. Venne annunciata in quei giorni la costituzione di un Comitato internazionale degli internati. Dal mese di luglio le autorità militari statunitensi utilizzarono il campo di Dachau per i criminali di guerra, arrivando anche a 30.000 prigionieri.

Circa tre anni e mezzo dopo la liberazione, nel mese di settembre 1948, l'esercito americano consegnò il sito alle autorità bavaresi: da quel momento Dachau venne utilizzato come campo profughi.

Nel corso della giornata della liberazione, il 29 aprile, per cause che furono in seguito oggetto di indagine militare, decine (se non centinaia) di guardie delle Waffen-SS, che si erano già arrese, vennero giustiziate in vari momenti dai soldati americani e dai prigionieri appena liberati. Questo tragico episodio, alla conclusione dei 12 anni di vita del campo, è noto come massacro di Dachau. Pare accertato che, dopo la resa del campo, diversi soldati americani, inorriditi per le condizioni dei prigionieri, avessero iniziato ad uccidere sommariamente una ad una, tutte le guardie del campo. Alcune fonti parlano di sole 35 guardie naziste fucilate e di altre 515 arrestate o fuggite. Gli americani inoltre, non si opposero al giustizialismo dei detenuti verso i loro ex-aguzzini; lo ritennero un loro diritto. Vi furono cacce al nazista e diverse esecuzioni e linciaggi. Vennero saccheggiate le ville degli ufficiali nazisti fuori dal campo e poi gli americani, per impedire disordini gravi, imposero ai prigionieri il ritorno nel lager, naturalmente debitamente sfamati ed assistiti. Poi fecero sfilare nel campo obbligatoriamente, la popolazione di Dachau affinché vedessero con i loro occhi gli orrori del campo.

La cittadina, alla fine della guerra, divenne sede di uno dei tribunali militari costituiti dagli Alleati con il compito di giudicare crimini e criminali nazisti. Il tribunale fu insediato alla fine del 1945, nell'ex lager, e dal 15 novembre al 13 dicembre ebbero luogo le sedute principali del processo di Dachau, contro il comandante del campo e altri 39 membri del personale. Le prove portarono alla condanna a morte per impiccagione di 36 dei 40 imputati.

Nel maggio 1946 vennero eseguite 28 delle condanne a morte delle 36 comminate. Anche altrove si svolsero processi simili e gli imputati erano per lo più i membri delle SS che avevano prestato servizio ad Auschwitz ed ai sottocampi di Dachau.

Tali processi si celebrarono sino all'anno 1948 presso il sito del campo. Oggetto dei processi i presunti crimini di guerra, come l'Olocausto. Furono oggetto di indagine anche gli esperimenti medici sui detenuti. Frederick Hoffman, un prete cattolico ceco, ex internato nel campo, tra i primi a testimoniare, raccontò, presentando documentazioni personali, che 324 preti cattolici, a seguito di sperimentazioni sulla malaria, morirono durante la loro detenzione. Tuttavia la guerra fredda, che sarebbe iniziata di lì a poco, ridusse la portata di questi processi. Nel 1949 la competenza passò alla neonata RFT, molti delitti caddero in prescrizione, con la sola eccezione dell'omicidio premeditato.

Dopo la guerra il campo ospitò, come detenuti, un gran numero di funzionari e appartenenti alle SS, arrestati dagli Alleati (si arrivò al numero di 25.000). Tuttavia, a partire dal 1946, poiché tali prigionieri potevano contare su un'alimentazione migliore della popolazione civile locale, molti di loro vennero rimessi in libertà.

Quando i prigionieri arrivavano al campo erano picchiati con 25 bastonate di benvenuto ed alcuni di loro non sopravvivevano; le guardie poi dicevano esplicitamente loro che non avevano diritti, né onore né difesa.
Poi insultati, rasati, e privati di tutti i loro averi entravano nel campo. Le SS potevano uccidere chiunque. Le punizioni includevano quella di essere appesi per le mani dietro la schiena a ganci per ore, abbastanza in alto da non toccare terra con le punte dei piedi; essere frustati su cavalletti, battuti con fruste di cuoio bagnato ed essere messi in isolamento per giorni in stanze troppo piccole per potersi sdraiare.

Il campo dei prigionieri era formato da 34 baracche disposte su due file separate da un lungo viale alberato; 15 di esse erano suddivise ciascuna in 4 camerate (Stuben), ognuna con un vano soggiorno e un dormitorio; ogni due camerate vi era un lavatoio e una serie di gabinetti. I posti letto per camerata erano per 52 deportati, per un totale, quindi, di 208 a baracca. In periodi di maggior affollamento si arrivò ad ospitare fino a 1600 detenuti a baracca, con condizioni igieniche indescrivibili, tanto che scoppiavano violente epidemie. 5 baracche delle 34, erano adibite ad area ospedaliera (Krankenbau), poi divenute 13, una baracca era adibita a zona di lavoro e la prima a sinistra a spaccio, in realtà sempre sprovvisto. Le prime due baracche a destra erano adibite ad infermeria e una parte della seconda fungeva da obitorio. L'infermeria fu tristemente nota a causa dei raccapriccianti esperimenti su cavie umane effettuati dal dott. Rascher e dal prof. Schilling su inermi deportati che vi perirono a migliaia.

I deportati "indisciplinati" o "incorregibili", erano destinati a detenzione particolarmente dura, venivano rinchiusi nelle baracche di punizione, denominate strafblocke. Sono da segnalare la baracca n. 26, la "baracca dei preti", che era destinata ai religiosi detenuti, e quella definita di "disinfezione", staccata dal corpo centrale, tuttora visibile. Oggi sono rimaste poche baracche (le altre sono state distrutte); all'interno sono state fedelmente ricostruite, per i visitatori.

Alle delegazioni tedesche e straniere in visita al campo veniva mostrata solo parte del campo stesso, perché si voleva che se ne ricavasse l'impressione di un luogo ordinato, efficiente e moderno, e che gli internati apparissero come appartenenti ad una razza "inferiore". Gli internati poi erano soggetti a lavori forzati, per la normale manutenzione prima e per il rifacimento del campo stesso a partire dal 1937.

Nel corso degli anni le condizioni di vita peggiorarono sensibilmente. Pur non essendo ufficialmente un campo di sterminio, ma semplicemente di lavoro, il numero di morti fu impressionante. Con l'introduzione delle disposizioni sull'eutanasia alcune baracche del campo, la 29 e la 30, divennero le anticamere della morte, con detenuti in cattive condizioni di vita e destinati alla soppressione ed al forno crematorio.

Nell'ottobre 1933 venne emanato il regolamento del campo di concentramento di Dachau. Questo conteneva ordini di servizio per le SS addette alla sorveglianza e brutali sanzioni per i detenuti. Tale regolamento, messo a punto da Theodor Eicke, doveva spezzare la personalità degli internati e impedire ogni tentativo di fuga, e prevedeva pene corporali ed esecuzioni.

Per il personale di sorveglianza:
Chi dovesse lasciar fuggire un detenuto verrà arrestato e consegnato alla polizia bavarese con l'accusa di liberazione per negligenza di un detenuto.
Se un detenuto tenta la fuga si deve sparare senza preavviso. Se una guardia, nell'esecuzione dei suoi doveri, dovesse uccidere un detenuto che tenta di fuggire, non ne subirà conseguenze penali.
Se dovesse ammutinarsi un reparto di detenuti, tutte le guardie presenti dovranno aprire il fuoco sui rivoltosi, senza colpi di avvertimento.
Per i detenuti:
punto 6 - Chi assuma un atteggiamento ironico nei confronti delle SS, chi ometta intenzionalmente il saluto regolamentare o chi rifiuti di sottomettersi alla disciplina, verrà punito con otto giorni di arresto e con venticinque bastonate all'inizio ed alla fine di tale periodo.
punto 12 - Chi aggredisce una guardia, chi rifiuta di lavorare, chi istighi alla rivolta, chi lascia una colonna o il posto di lavoro, chi durante queste attività scrive, sobilla o tiene discorsi viene passato per le armi sul posto o successivamente impiccato.

Verso gli ultimi mesi del 1919, in conseguenza della fine della prima guerra mondiale, la fabbrica di polvere da sparo della cittadina di Dachau cadde in abbandono e venne chiusa. Questa fabbrica rappresentava la colonna portante dell'economia locale e in ripercussione di ciò, per anni, la popolazione locale subì la disoccupazione e la miseria. L'apertura di un campo quindi, sul sito della vecchia fabbrica in disuso, riportò la speranza di una rinascita della zona, che tuttavia non si realizzò nelle forme sperate. Inizialmente la struttura si limitò al campo principale, situato in prossimità della ferrovia, e solo in seguito venne gradualmente ampliato.

Il campo fu suddiviso nel tempo in varie aree, tra le quali:

Zona alloggi per i prigionieri, 34 grandi baracche divise in due file da un lungo viale alberato, incluse in un recinto rettangolare di 600 per 300 metri di lato
Alloggiamenti SS
Il Bunker con le prigioni
Depositi e rimesse per veicoli
Zone agricole con fattoria
Campo di tiro
Zona dei forni crematori, area alberata a forma di trapezio rettangolo adiacente per il lato obliquo all'estremità esterna destra del campo in cui si trovano, un capannone di legno dipinto come una casa tipica di villaggio di campagna bavarese, contenente un forno crematorio doppio e un grande edificio in muratura all'interno del quale vi sono quattro forni con annessa camera a gas e camerette per la fumigazione dei tessuti da disinfettare
Cimitero.

Il campo principale, completato il 21 marzo 1933, venne visto nei primi anni come una risorsa economica importante.

I prigionieri vennero impiegati, in seguito, per incarichi di lavoro anche fuori del campo, e questo coinvolse sia singoli individui che migliaia di prigionieri, a seconda delle esigenze. Talvolta gli interventi esterni, se i detenuti avevano anche un posto dove stare, fecero sorgere strutture secondarie, i sottocampi. Al comando di questi, se le dimensioni lo permettevano, vennero chiamati anche prigionieri con incarico di funzionari.

Il sindaco di Dachau, Lambert Friedrich, in un suo memorandum del 1936, scriveva: «Gli affari, l'artigianato e l'industria hanno fatto registrare un forte rilancio grazie alla intensa attività nel settore delle costruzioni, specialmente nei due campi delle SS (K.L.D e II SS Deutschland)».

In seguito, nel 1937, il comando del campo chiese un regolare collegamento con mezzi pubblici tra Dachau ed il campo di concentramento: ciò per permettere, principalmente, alle guardie del campo di potersi spostare in città. In una sua lettera, il nuovo sindaco, Hans Cramer, rispose positivamente, adducendo motivazioni economiche. La nuova linea di autobus richiesta fu inaugurata il 22 novembre 1937. La popolazione locale fu coinvolta solo parzialmente nella vita del campo, ad esempio quando si assisteva alle marce delle colonne dei prigionieri diretti ai luoghi di lavoro.

Nel 1955 gli ex prigionieri sopravvissuti del Lager di Dachau, che avevano costituito il Comité International de Dachau, decisero di erigere un monumento a ricordo dell'immane tragedia che in quel luogo si era consumata. Il Memorial è stato realizzato in dieci anni di lavori e, nel maggio 1965, 20 anni dopo la liberazione, fu aperto il primo grande Memorial di un Lager sul territorio della Repubblica federale tedesca. Un paio di baracche sono state ricostruite, per mostrare al visitatore le condizioni di vita nel campo ed una è visitabile anche con i suoi interni in legno ed i servizi. Le baracche originarie erano state in gran parte abbattute e le poche ancora in piedi, al momento della ricostruzione, erano in condizioni pietose. Delle altre 32 baracche che costituivano il campo sono rimaste le indicazioni delle fondamenta in cemento. Il Memorial, ricostruito nel 2003, è stato integrato con diversi documenti e reperti forniti da ex-internati. Il Memorial comprende inoltre quattro cappelle in rappresentanza delle varie religioni professate dai prigionieri.

Nella notte tra il 1° e il 2 novembre del 2014 il cancello è stato rubato. L'episodio ha attirato subito l'attenzione internazionale e ripete la grave profanazione che era già accaduta ad Auschwitz con il furto della medesima scritta, "Arbeit Macht Frei".


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