Visualizzazione post con etichetta reato. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta reato. Mostra tutti i post

domenica 27 agosto 2017

TASSO ALCOLEMICO

.


La guida in stato di ebbrezza è un reato previsto dall'ordinamento giuridico italiano agli articoli 186 e 187 del Codice della strada, di competenza del Tribunale monocratico.

Con una serie di modifiche, tra cui la legge n. 125 del 24 luglio 2008 e la legge n. 120 del 29 luglio 2010, le sanzioni previste sono state inasprite.

La Direttiva 2015/653/UE, in vigore da Maggio 2015, impone agli Stati membri di adottare nelle patenti di guida un codice restrittivo, che limita la possibilità di guida a veicoli con alcolock, con l'indicazione facoltativa di una data di scadenza del limite (comunque da confermare ad ogni rinnovo della patente).
Gli Stati membri hanno facoltà di scegliere se questa limitazione segua determinate violazioni al Codice della Strada, come appunto la guida in stato di ebbrezza, oppure si applichi in via preventiva ai neopatentati per determinati tipi di veicoli.
Il Terzo Piano UE per la sicurezza stradale prevede, fra i vari obbiettivi, l'estensione obbligatoria ai veicoli commerciali di limitatori di velocità, alcolock e "scatole nere".

In caso di accertamento di un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro, sono previste due sanzioni amministrative, il pagamento di una somma da euro 532 ad euro 2.127 e la sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
In caso di accertamento di un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro, le sanzioni sono l'ammenda da euro 800 ad euro 3.200, l'arresto fino a sei mesi e la sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno; in più, l'obbligo di visite mediche.
In caso di accertamento di un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, le sanzioni sono l'ammenda da euro 1.500 ad euro 6.000, l'arresto da sei mesi a un anno e la sospensione della patente da uno a due anni. Inoltre il veicolo utilizzato al momento del reato è soggetto a confisca amministrativa se appartiene al guidatore in stato di ebbrezza. Invece se chi guida in stato di ebbrezza è persona diversa dal proprietario, al guidatore viene sospesa la patente per un periodo da due a quattro anni. Se si compie questo reato per due volte in un biennio la patente di guida viene revocata.
Il legislatore ha previsto un inasprimento delle sanzioni per far fronte all'enorme numero di incidenti stradali causati dall'alcol: un incidente su quattro, infatti, può essere, direttamente o indirettamente, causato dall'abuso di sostanze alcoliche. La legge prevede inoltre che, in caso di omicidio colposo conseguente a un incidente stradale, lo stato di ebbrezza del guidatore costituisce un'aggravante. In caso di incidente stradale le pene di cui sopra sono raddoppiate, ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all'illecito.

In passato il caso di cui alla lettera a) dell'art. 186 C.d.S. - tasso alcolico inferiore a 0,8 g/l - era considerato reato, che era possibile estinguere mediante il pagamento di 1/3 del massimo dell'ammenda, ad oggi con l'approvazione del nuovo codice della strada, la prima fascia (0,50-0,80 g/l) è stata depenalizzata ad illecito amministrativo.

Rifiutandosi di eseguire l'accertamento si subiscono le conseguenze del caso in cui si guida con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, ma la patente viene sospesa per un periodo da sei mesi a due anni.

Chiunque guidi in stato di ebbrezza può essere obbligato dal Prefetto a sottoporsi a visita medica. A chi non esegue l'ordine viene sospesa la patente finché non si sottopone alla visita medica. Anche nel caso di tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l il Prefetto ordina la sospensione della patente fino all'esito della visita medica.

La pena detentiva può essere sostituita da lavori socialmente utili, che, se svolti positivamente, fanno estinguere il reato, revocare la confisca dell'autovettura e dimezzare il periodo di sospensione della patente.

Non possono guidare dopo aver assunto sostanze alcoliche (in nessuna misura):

I conducenti con età inferiore a 21 anni;
I neopatentati (primi tre anni dal conseguimento della patente di guida);
I conducenti professionali, nell'ambito della loro attività (autisti di autobus, taxi, NCC, autoarticolati, autosnodati, autocarri con massa a pieno carico superiore a 3,5 t e complessi di veicoli con massa complessiva superiore a 3,5 t).
Per queste categorie, in caso di accertamento di un valore corrispondente ad un tasso alcolemico non superiore a 0,5 g/l, è prevista una sanzione da 155 a 624 euro e la decurtazione di 5 punti sulla patente; nei casi più gravi, tasso superiore a 0,5 g/l (sanzione aumentata di 1/3), tasso superiore a 0,8 g/l (sanzioni aumentate da 1/3 alla metà). Inoltre, in caso di rilevamento di un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l è prevista la revoca della patente; a tale regola non sono soggetti i neopatentati, gli autisti di taxi e NCC, per i quali la sanzione si applica in caso di recidiva nel corso di un triennio.

Il conducente di età inferiore a 18 anni che ha tasso alcolemico maggiore di zero ma non superiore a 0,5 può conseguire la patente categoria B solo al compimento del diciannovesimo anno di età. Il conducente di età inferiore a 18 anni che ha tasso alcolemico maggiore di 0,5 può conseguire la patente categoria B al compimento del ventunesimo anno di età.

Il limite alcolemico di 0,5 grammi/litro viene ritenuto troppo basso e criticato dai conducenti di veicoli. Alcuni studi dimostrano tuttavia che basta una piccola percentuale di alcol nel sangue per alterare il sistema nervoso, rallentare i riflessi, ridurre il campo visivo e la capacità di percepire gli stimoli:

Tasso alcolemico compreso tra 0,1-0,2: iniziale sensazione di ebbrezza con affievolimento del livello di attenzione e controllo;

Tasso alcolemico 0,3-0,4: sensazione di ebbrezza e diminuzione delle inibizioni, accompagnate da nausea, riduzione del coordinamento motorio e del livello di attenzione;

Tasso alcolemico 0,5-0,8: stato di ebbrezza, cambiamento di umore, nausea, sonnolenza, stato di eccitazione emotiva che comportano minor capacità di giudizio, riflessi rallentati e vomito;

Tasso alcolemico 0,9-1,5: stato di ebbrezza, umore alterato, confusione, disorientamento con conseguente riduzione dell’autocontrollo, alterazione dell’equilibrio, linguaggio male articolato e vomito;

Tasso alcolemico 1,6-3,0: stordimento, aggressività, stato depressivo con grave alterazione dello stato psicofisico, stato di inerzia generale, ipotermia e vomito;

Tasso alcolemico 3,1-4,0: stato di incoscienza accompagnato da allucinazioni, riflessi annullati, coma e possibilità di morte per soffocamento da vomito;

Tasso alcolemico oltre 4: problemi respiratori, sensazione di soffocamento con conseguente battito cardiaco rallentato, coma e possibile morte per arresto cardiaco.



La tolleranza zero è presente da decenni nella Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e Slovacchia. Germania e Italia, dove c'è il limite di 0,0 grammi/litro di alcol nel sangue per i guidatori neopatentati e per i conducenti professionali, mentre per tutti gli altri il limite è di 0,5 grammi/litro di alcol nel sangue.

Nel Liechtenstein il tasso massimo è di 0.8 per mille, mentre in Austria è sotto lo 0.5, dunque 0.49 per mille. In Norvegia, Svezia, Polonia ed Estonia il limite è 0.2 per mille e nella gran parte dei paesi dell’Europa orientale vige il tasso dello 0.0 per mille. Il trend va nettamente verso la tolleranza zero per l'alcol nel sangue.

In alcuni Paesi, per i giovani e i neo patentati le regole sono ancor più restrittive. In Svizzera, da inizio 2014, il tasso alcolemico per neopatentati (in possesso di una licenza di condurre in prova), autisti professionisti, allievi conducenti, maestri di guida e accompagnatori di allievi conducenti è fissato a 0.1 per mille.

In Spagna, è tollerato il limite dello 0.2 per mille per i neopatentati in possesso della patente da meno di due anni mentre, in Italia, questo limite è dello 0.0 per mille per chi ha conseguito la patente da meno di tre anni e per gli autisti professionisti. Tassi di alcol nel sangue molto bassi se non nulli, quindi.


FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE





http://www.mundimago.org/



giovedì 9 marzo 2017

AMNISTIA

.


L'amnistia è una causa di estinzione del reato e consiste nella rinuncia, da parte dello Stato, a perseguire determinati reati. Si tratta di un provvedimento generale di clemenza, ispirato, almeno originariamente, a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale.

Mentre l'amnistia estingue il reato, che quindi è come non fosse stato commesso, l'indulto estingue solo la pena.

Inizialmente in Italia l'amnistia era prevista con decreto regio come un atto di grazia che il sovrano poteva concedere in virtù dei poteri che gli spettavano, cioè una grazia non diretta ad un singolo caso, ma generalizzata. Con la caduta della monarchia l'amnistia ha cominciato a subire una progressiva evoluzione: con l'instaurazione della Repubblica, il capo dello Stato è andato a sostituire il sovrano anche se su impulso delle parti politiche. Dal 1992, l'ultima riforma costituzionale ha attribuito questo potere al Parlamento, come espressione della volontà popolare abbracciando un principio più democratico, con votazione a maggioranza qualificata e particolare proprio per la serietà della materia che si va a deliberare.

L'amnistia in Italia è prevista dall'art. 79 della Costituzione, e normata dall'articolo 151 del codice penale, il quale recita:

L'amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie.
Nel concorso di più reati, l'amnistia si applica ai singoli reati per i quali è concessa.
L'estinzione del reato per effetto dell'amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca la data diversa
L'amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi.
L'amnistia non si applica ai recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell'articolo 99 Codice Penale, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente.
Come fissato dalla Costituzione, l'amnistia si applica ai reati commessi anteriormente alla data di presentazione del disegno di legge in Parlamento. A partire dal 1992 l'amnistia viene disposta con Legge dello Stato, votata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Precedentemente era prerogativa del Presidente della Repubblica.

Le figure di reato interessate dall'amnistia vengono di regola individuate con riferimento al massimo edittale della pena ma possono essere utilizzate altre modalità: possono essere previste preclusioni oggettive (p.e. rispetto ad alcune tipologie di reati). L'amnistia non si applica, salvo espressa previsione di legge, ai recidivi aggravati o reiterati, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Può estinguere il reato mentre il procedimento penale è in corso (amnistia propria), oppure può intervenire dopo che è stata pronunciata una sentenza penale definitiva di condanna (amnistia impropria ex art. 151 comma I parte 2° c.p.). La Corte costituzionale ha riconosciuto sempre e comunque la possibilità per l'imputato di rinunciare ai benefici dell'amnistia e chiedere l'esame di merito, al fine di ottenere una eventuale assoluzione.

L'amnistia impropria fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie anche se permangono gli altri effetti penali; perciò malgrado il provvedimento di clemenza, la condanna costituisce titolo per la dichiarazione di recidiva, di abitualità, di professionalità nel reato o per escludere il beneficio della sospensione condizionale della pena.

La concessione dell'amnistia può essere sottoposta a condizioni (sia sospensive che risolutive) o ad obblighi, previsti dalla legge di concessione (amnistia condizionata).

Per l'applicazione dell'amnistia impropria è competente il giudice dell'esecuzione, il quale procede (senza formalità con procedura de plano) con ordinanza comunicata al pm e notificata all'interessato. Contro l'ordinanza il p. m., l'interessato e il difensore possono proporre opposizione, a pena di decadenza entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza. L'amnistia propria è invece applicata direttamente dal giudice penale (di merito o di legittimità) che deve dichiarare l'imputato non punibile e il reato estinto "per intervenuta amnistia".

Il decreto di amnistia può essere redatto secondo due distinte modalità tecniche:

previsione qualitativa positiva: il provvedimento specifica i tipi di reato (il nomen juris delle figure criminose) che fa estinguere
previsione quantitativa positiva: il provvedimento opera per reati con pena edittale stabilita entro certi limiti
In realtà sono tecniche più di scuola, in quanto si preferisce un sistema misto che prevede certi tipi di reato a patto che non superino una pena comminata (e non edittale).

Il limite temporale dal quale un decreto di amnistia opera ed ha efficacia, attualmente la data della presentazione del disegno di legge in Parlamento, ha creato vari spunti e notevoli perplessità, specialmente alla modalità di commissione di alcuni reati.

Il primo aspetto riguarda il rapportare l'amnistia alla normale successione di leggi penali, regolate dal principio cronologico mitigato da quello del favor rei: ci si è chiesti in dottrina se l'amnistia operasse in termini identici o quantomeno simili in modo da stabilire su quali fatti precedenti operasse l'istituto. La differenza ad una lettura sistematica è stata rilevata da una parte dei giuristi in merito alla commissione del reato, che nel primo caso porterebbe alla condotta dell'agente mentre nel secondo alla commissione e consumazione della fattispecie criminosa, in modo tale che sia terminata e non protratta ulteriormente nel tempo, in altre parole determinale ed estinguibile.

Direttamente conseguente a questa chiave interpretativa del dettato normativo si pone il problema su come agisca allora l'amnistia per particolari categorie di reati, ovvero quelli continuati.



Tre sono gli orientamenti riguardo alla prima tipologia:

Unità reale del reato: è l'impostazione secondo la quale a tacer di legge viene considerato il reato in maniera unitaria
Fictio iuris
Perseguimento della ratio: più recente delle precedenti, che critica per la deformazione ed astrazione della realtà quando è possibile un approccio più semplice, in particolare seguendo la ratio che è quella di favorire un reo con l'estinzione della pena e del reato, pertanto il reato andrebbe scisso se continuato fino al termine della presentazione della legge in Parlamento in quanto l'unificazione in un reato unico continuato è un aspetto del principio di favor rei, che diverrebbe al contrario espressione di un peggiore trattamento in totale contrasto col principio stesso.
A favore di quest'ultima impostazione sembrerebbe anche la giurisprudenza costante anche della Cassazione che prevede sempre possibile la rinuncia all'amnistia da parte del reo (che ha diritto alla reputazione e all'onore).

La questione si riallaccia alla tipologia affrontata precedentemente di atto redatto in Parlamento: se viene adottata la previsione qualitativa, il nomen juris del reato è lo stesso sia per il reato base che per quello circostanziato, pertanto l'amnistia opererà per entrambi (sempre che la forma circostanziata non diventi un titolo autonomo di reato).

Vale quanto sopra, per un principio di a majori ad minus, il reato tentato è ovviamente incorporato in una previsione qualitativa in quanto sarebbe assurdo amnistiare un reato consumato, e considerato più grave rispetto al tentativo, e lasciare in piedi l'altro.

È concessa amnistia:
a) per ogni reato non finanziario per il quale è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, avvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena;
b) per i reati previsti dall’articolo 57 del codice penale commessi dal direttore o dal vicedirettore responsabile, quando è noto l’autore della pubblicazione
c) per i delitti previsti dai seguenti articoli del codice penale:
1.) 336, comma primo (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e 337 (resistenza a un pubblico ufficiale, sempre che non ricorra taluna delle ipotesi previste dall’articolo 339 del codice penale o il fatto non abbia cagionato lesioni personali gravi o gravissime ovvero la morte;
2.) 558, comma secondo (rissa), sempre che dal fatto non siano derivate lesioni personali gravi o gravissime ovvero la morte;
3.) 614, comma quarto (violazione di domicilio), limitatamente al fatto in cui il fatto è stato commesso con violenza sulle cose;
4.) 640, comma secondo (truffa), sempre che non ricorra la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, n°7, del codice penale;
d) per i reati di cui all’articolo 7 in relazione agli articoli 1,2 e 4 della LEGGE 14 ottobre 1967, n° 895 (disposizioni di controllo delle armi), come modificata dalla L: 14 ottobre 1974, n° 497, quando ricorre l’attenuante di cui all’articolo 5 della predetta legge;
e) per il reato di cui al comma terzo dell’articolo 23 della LEGGE 18 aprile 1975, n° 110 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), quando concerne armi la cui detenzione l’imputato o il condannato aveva denunciato all’autorità di pubblica sicurezza;
f) per il reato previsto dall’articolo 1 del DECRETO Legislativo 22 gennaio 1948, n° 66, commesso a causa e in occasione di manifestazioni sindacali o in conseguenza di situazioni di gravi disagi dovuti a disfunzioni di pubblici servizi o a problemi abitativi, a anche se il suddetto reato è aggravato dal numero o dalla riunione delle persone e dalle circostanze di cui all’articolo 61 del codice penale, fatta esclusione per quella prevista dal numero 1, nonché da quella di cui all’articolo 112, n° 2 del codice penale, sempre che non ricorrano altre aggravanti e il fatto non abbia cagionato ad altri lesioni personali o la morte;
g) per ogni reato commesso da minore degli anni diciotto, quando il giudice ritiene che possa essere concesso il perdono giudiziale ai sensi dell’articolo 19 del R. DECRETO LEGGE 20 luglio 1934, n° 1404, convertito con modificazioni, dalla LEGGE 27 maggio 1935, n° 835, come sostituito da ultimo dall’articolo 112 della LEGGE 24 novembre 1982, n° 689, ma non si applicano le disposizioni dei commi terzo e quarto dell’articolo 169 del codice penale;
h) per i reati relativi a violazioni delle norme concernenti il monopolio dei tabacchi e le imposte di fabbricazione sugli apparecchi di accensione, limitatamente alla vendita al pubblico e all’acquisto e alla detenzione di quantitativi di detti prodotti destinati alla vendita al pubblico direttamente da parte dell’agente;
i) per i reati di cui al secondo capoverso dell’articolo 9 dell’allegato C al R.DECRETO LEGGE 16 gennaio 1936, n° 54, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 4 giugno 1936, n° 1334. Ed all’articolo 20 del testo unico delle disposizioni di carattere legislativo concernenti l’imposta sul consumo del gas e dell’energia elettrica approvato con DECRETO M. 8 luglio 1924, e successive modificazioni, limitatamente all’evasione dell’imposta erariale sull’energia elettrica;
2. A seguito dell’applicazione dell’amnistia ad uno dei delitti previsti dall’articolo 8 della LEGGE 15 dicembre 1972, n° 772, l’imputato o il condannato è esonerato dalla prestazione del servizio di leva.
3. Non si applica l’ultimo comma dell’articolo 151 del codice penale.

Articolo 2
(Amnistia per i reati minori in materia tributaria concernenti enti non commerciali e condizioni per la concessione dell’amnistia per taluni reati tributari)

1. È concessa amnistia per i reati di cui all’articolo 1 del DECRETO LEGGE 10 luglio 1982, n° 429, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 7 agosto 1982, n° 516, commessi fino a tutto il giorno 28 luglio 1989 in relazione ad attività commerciali svolte da enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali di cui alle lettere c) e d) dell’articolo 87, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con DECRETO P.R. 22 dicembre 1986, n° 917;
2. È concessa altresì amnistia per i reati previsti dal secondo comma dell’articolo 2 del DECRETO LEGGE 10 luglio 1982, n°429, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE7 agosto 1982, n° 516. Se il versamento delle ritenute è stato effettuato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta.
3. In conseguenza dell’errata indicazione del termine del 31 dicembre 1989 per la per la presentazione dell’istanza di definizione ad ogni effetto amministrativo e penale contenuto nel comma 1 dell’articolo 21 del DECRETO LEGGE 2 marzo 1989, n°69, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 27 aprile 1989, n° 154, si considerano regolarmente adempiuti gli adempimenti eseguiti entro il 31 dicembre 1989.

Articolo 3
(Esclusioni oggettive dall’amnistia)

1. L’amnistia non si applica:
a) ai reati commessi in occasione di calamità naturali approfittando delle condizioni determinate da tali eventi, ovvero in danno di persone danneggiate ovvero al fine di approfittare illecitamente di provvedimenti adottati dallo Stato o da latro ente pubblico per far fronte alla calamità, risarcirne i danni e portare sollievo alla popolazione ed all’economia dei luoghi colpiti dagli eventi;
b) ai reati commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione previsti dal capi I del titolo II del libro secondo del codice penale ed ai reati di falsità in atti previsti dal capo III del titolo VII del libro secondo del codice penale, quando siano compiuti in relazione ed eventi di calamità naturali ovvero ai conseguenti interventi di ricostruzione sviluppo dei territori colpiti;
c) ai reati previsti dai seguenti articoli del codice penale:
1) 316 (peculato mediante profitto dell’errore altrui);
2) 318 (corruzione per un atto d’ufficio);
3) 319, comma quarto (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio);
4) 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio), in relazione ai fatti previsti negli articoli 318, comma primo e 319, comma quarto;
5) 321 (pene per il corruttore);
6) 353 e 354 (turbata libertà degli incanti e astensione dagli incanti), quando siano compiuti in relazione ad eventi di calamità naturali ovvero ai conseguenti interventi di ricostruzione e sviluppo dei territori colpiti;
7) 335 (inadempimento di contratti di pubbliche forniture), salvo che si tratti di fatto commesso per colpe;
8) 371 (falso giuramento della pace);
9) 372 (falsa testimonianza), quando la deposizione verte su fatti relativi all’esercizio di pubbliche funzioni espletate dal testimone;
10) 378 (favoreggiamento personale), fuori delle ipotesi previste dal comma secondo;
11) 385 (evasione), limitatamente alle ipotesi previste dal comma secondo;
12) 391 (procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive), limitatamente alle ipotesi previste dal comma primo. Tale esclusione non si applica ai minori degli anni diciotto;
13) 420 (attentato a impianti di pubblica utilità);
14) 443 (commercio o somministrazione di medicinali usati);
16) 445 (somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica);
17) 452 (delitti colposi contro la salute pubblica), comma primo, n° 3, e comma secondo;
18) 471 (uso abusivo di sigilli e strumenti veri), quando sia compiuto in relazione ad eventi di calamità naturali ovvero ai conseguenti interventi di ricostruzione e sviluppo dei territori colpiti;
19) 478 (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti);
20) 501 (rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio);
21) 501 bis (manovre speculative su merci);
22) 521 (atti di libidine violenti), in relazione all’articolo 520;
23) 590, commi secondo e terzo (lesioni personali colpose), limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative l’igiene del lavoro, che abbiano determinato le conseguenze previste dal comma primo, n° 2, o dal comma secondo dell’articolo 583 del codice penale;
24) 595, coma terzo (diffamazione), quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato ed è commessa con mezzi di diffusione radiofonica o televisiva:
25) 610 (violenza privata), nelle ipotesi di cui al comma secondo;
26) 644 (usura);
27) 733 (danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale);
28) 734 (distruzione o deturpamento di bellezze naturali);
d) al delitto previsto dall’articolo . 218 del codice penale militare di pace (peculato militare mediante profitto dell’errore altrui);
e) ai reati previsti:
1) dall’articolo . 20, comma primo, lett. b) e c), della LEGGE 28 febbraio 1985, n° 47 (norme in materia di controllo dell’attività urbanistico - edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), come modificato dall’articolo 3 del DECRETO LEGGE 23 aprile 1985, n° 146, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 21 giugno 1985, n° 298, salvo che si tratti di violazioni riguardanti un’area di piccola estensione, in assenza di opere edilizie, ovvero di violazioni che comportino limitata entità dei volumi illegittimamente realizzati o limitate modifiche dei volumi esistenti, e sempre che non siano violati i vincoli di cui all’articolo 33, comma primo, della predetta LEGGE N° 47 del 1985 o il bene non sia assoggettato alla tutela indicata nel comma secondo del medesimo articolo ;
2) dall’articolo 1sexies del DECRETO LEGGE 27 giugno 1985, n° 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 8 agosto 1985, n° 431, salvo che sia conseguita in sanatoria l’autorizzazione da parte delle competenti autorità;
3) dagli articoli 21,22,23, comma secondo, e 24 bis della LEGGE 10 maggio 1976, n° 319 (norme per la tutela delle acque dall’inquinamento), salvo che il fatto consista nella mancata presentazione della domanda di autorizzazione o di rinnovo di cui all’articolo 15, comma secondo, della stessa legge; dagli articoli 24, 25 e 26 del DECRETO P.R. 24 maggio 1988, n° 203;
4) dall’articolo 9, commi sesto e settimo, della LEGGE 16 aprile 1973, n°171 (interventi per la salvaguardia di Venezia), come sostituiti dall’articolo 1ter del DECRETO LEGGE 10 agosto 1976, n° 544, convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 8 ottobre 1976, n°690;
5) dagli articoli 24, 25, 26, 27, 29, 31 e 32 del DECRETO P.R. 10 settembre 1982, n°915 (norme in materia di smaltimento dei rifiuti);
6) dall’articolo 2 della LEGGE 26 aprile 1983, n° 136 (biodegradabilità dei detergenti sintetici);
7) dagli articoli 17 e 20 della LEGGE 31 dicembre 1982, n° 979 (disposizioni per la difesa del mare)
8) dall’articolo 21 del DECRETO P.R. 17 maggio 1988, n°175 (attuazione della direttiva CEE n°82/501 relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali);
9) dagli articoli 3 e 10, commi sesto, ottavo nono e decimo, della LEGGE 18 aprile 1975, n° 110 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), salvo che il fatto, limitatamente alle ipotesi previste dai commi sesto e ottavo dello stesso articolo 10, debba ritenersi di lieve entità per la qualità e il numero limitato delle armi;
10) dagli articoli10 bis, commi settimo e nono, quando si tratti di condotta dolosa, e 10 quinquies, comma primo, della LEGGE 31 maggio 1965, n° 575 (disposizioni contro la mafia);
11) dall’articolo 21 del DECRETO P.R. 24 maggio 1988, n° 236 (attuazione della direttiva CEE n° 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano);
12) dagli articoli 3 e 4 della LEGGE 20 novembre 1971, n° 1062 (norme penali sulla contraffazione od adulterazione di opere d’arte);
2. Quando vi è stata condanna ai sensi dell’articolo 81 del codice penale, ove necessario, il giudice dell’esecuzione applica l’amnistia secondo le disposizioni del decreto, determinando le pene corrispondenti ai reati estinti.

Articolo 4
(Computo della pena per l’applicazione dell’amnistia)

1. Ai fini del computo della pena per l’applicazione dell’amnistia:
a) si ha riguardo alla pena stabilita per ciascun reato consumato o tentato;
b) non si tiene conto dell’aumento di pena derivante dalla continuazione e dalla recidiva, anche se per quest’ultima la legge stabilisce una pena di specie diversa;
c) si tiene conto dell’aumento di pena derivante dalle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o dalle circostanze ad effetto speciale. Si tiene conto della circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, n° 7, del codice penale. Non si tiene conto delle atre circostanze aggravanti;
d) si tiene conto della circostanza aggravante di cui all’articolo 98 del codice penale nonché, nei reti contro il patrimonio, delle circostanze attenuanti di cui ai n° 4 e 6 dell’articolo 62 del codice penale. Quando le predette circostanze attenuanti concorrono con circostanze aggravanti di qualsiasi specie, si tiene conto soltanto delle prime, salvo che concorrano le circostanze di cui agli articoli 583 e 625, numeri 1 e 4, seconda parte, del codice penale, nel caso si tiene conto soltanto di queste ultime. Ai fini dell’applicazione dell’amnistia la sussistenza delle predette circostanze è accertata, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche dal giudice per le indagini preliminari; nonché dal giudice in camera di consiglio nella fase degli atti preliminari al dibattimento ai sensi dell’articolo 469 del codice di procedura penale. Nei procedimenti indicati negli articoli 241 e 242 del DECRETO Legislativo 28 luglio 1989, n° 271, la sussistenza delle predette circostanze è accertata dal giudice istruttore o dal pretore nel corso dell’istruzione, ovvero dal giudice in camera di consiglio nella fase degli atti preliminari al giudizio ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura penale abrogato;
e) si tiene conto delle circostanze attenuanti previste dell’articolo 48 del codice penale militare di pace quando siano prevalenti o equivalenti, ai sensi dell’articolo 69 del codice penale, rispetto ad ogni tipo di circostanza aggravante;

Articolo 5
(Rinunciabilità dell’amnistia)

1. L’amnistia non si applica qualora l’imputato, prime che sia pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere per estinzione del reato per amnistia, faccia espressa dichiarazione di non volerne usufruire.

Articolo 6
(Termine di efficacia dell’amnistia)

1. L’amnistia ha efficacia per i reati commessi fino a tutto il giorno 24 ottobre 1989.

Articolo 7
(Entrata in vigore)

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

La Chiesa ha spesso favorito la concessione di amnistie o indulti, ma non tutti i giubilei sono stati accompagnati da un'amnistia. Nel 2000, ad esempio, Papa Wojtyla la chiese con forza, ma non fu concessa. Per il giubileo del 2000 si parlò di amnistia: il dibattito venne stimolato da Giovanni Paolo II, che chiese un gesto di clemenza nel documento per il Giubileo nelle carceri, e nella visita al carcere romano di Regina Coeli (9 luglio 2000) rinnovò la sua richiesta. Per superare gli scogli, la maggioranza di centrosinistra pensò anche al cosiddetto 'indultino', con l'espulsione degli extracomunitari irregolari clandestini e l'aumento degli sconti di pena. Ma anche questo si bloccò. Wojtyla, tra l'altro, tornò a fare un appello per un provvedimento di clemenza il 14 novembre 2002, quando tenne il suo discorso in Parlamento, ma passarono diversi anni prima che le Camere approvassero un indulto.

Nel 1963, in occasione del Concilio Vaticano II, lo Stato italiano decretò una delle 27 amninistie che si sono succedute dal dopoguerra fino al 1990, anno a cui risale l'ultimo provvedimento in tal senso. Più in generale, spesso la concessione di amnistie e indulti è legata a importanti eventi pubblici. Nel 1959 l'amnistia fu legata alle celebrazioni del quarantennale di Vittorio Veneto. Nel 1966 al ventennale della Repubblica. Molto prima il regime fascista aveva concesso amnistie o sconti di pena per il ventiquattresimo anniversario del regno di Vittorio Emanuele III, per le nozze del principe di Piemonte, per il primo decennale del regime e per le nascite degli eredi di casa Savoia.

Altri provvedimenti sono stati concessi dallo Stato italiano nel 1968, 1970 e 1990: i primi rivolti a chiudere le vicende penali derivanti dai movimenti sociali di quegli anni, l'ultimo per decongestionare gli uffici giudiziari nell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. L'indulto è stato concesso invece, l'ultima volta, nel 2006, preceduto tre anni prima dal cosiddetto "indultino".

A dicembre di quell'anno erano scesi a 62.536. L'ultima rilevazione del 31 luglio scorso indica 52.144 presenze a fronte di una capienza regolamentare di 49.655 posti. Sul calo ha inciso una serie di interventi messi in campo da governo e parlamento. In cima alla lista, i provvedimenti per incentivare il ricorso alle misure alternative al carcere (applicate in 33.309 casi, dicono le ultime cifre, tra affidamento in prova, domiciliari, lavoro di pubblica utilità, semilibertà). A decongestionare le carceri ha concorso anche la riforma della custodia cautelare, l'introduzione della tenuità del fatto che consente al pm di chiedere l'archiviazione per fatti di piccola entità evitando la reclusione, le 13 convenzioni firmate dal ministero del altrettante Regioni per agevolare la riabilitazione in comunità e il lavoro per i detenuti tossicodipendenti. Effetti importanti ha avuto anche la sentenza della Corte Costituzionale che ha 'bocciato' la legge Fini-Giovanardi e l'equiparazione, anche sul piano delle pene, delle droghe leggere con quelle pesanti.



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE





http://www.mundimago.org/



giovedì 25 agosto 2016

PENE INGIUSTE

.


Cesare Beccaria  afferma che una pena si definisce giusta e utile quando è breve il tempo trascorso tra quest’ultima e il delitto commesso, in quanto per il colpevole la pena costituirà  l’ effetto necessario ed immancabile del reato. Inoltre lo scopo della pena deve essere quello di rieducare e reinserire un uomo, ritenuto reo, nella società.

Il primo errore giudiziario moderno che si conosca avvenne nel 1630, con la condanna a morte di due cittadini milanesi, Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, nel cosiddetto "processo agli untori" della peste del 1630, per un reato inesistente e difficilmente praticabile (aver sparso la malattia con "unguenti"), come narrato approfonditamente nella Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni, e precedentemente dalle Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri (entrambe le opere traggono informazioni dalla cronaca di Giuseppe Ripamonti).

Più recentemente, nel XX secolo, un referendum del 1987 e una sentenza della Corte di giustizia europea hanno affermato la responsabilità civile dei magistrati. Il principio della responsabilità civile, è disciplinato dalla legge n. 117/1988, che comporta che, al pari di altre professioni, i magistrati possano rispondere risarcendo il danno qualora compiano un atto con dolo o colpa grave, parificando la loro responsabilità a tutti gli impiegati civili dello Stato. In caso di colpa semplice o errore è lo Stato a risarcire le vittime.

Vi sono stati moltissimi casi celebri, a livello mediatico e non, di errori giudiziari accertati e riconosciuti (passati in giudicato o prosciolti), con imputati accusati di gravi reati ma innocenti; tra essi: Enzo Tortora, Daniele Barillà, Gino Girolimoni, Gigi Sabani, Lelio Luttazzi, Pietrino Vanacore, Patrick Lumumba, Raffaele Sollecito, Amanda Knox, Edgardo Sogno, Randolfo Pacciardi, Rino Formica, Giuseppe Pinelli, Pietro Valpreda, Giuseppe Gulotta, Raniero Busco, Emilio Vesce, Silvio Viale, Giambattista Lazagna, Vittorio Emanuele di Savoia, Mohammed Fikri, Francesco Liparota, Elvo Zornitta, il caso dei falsi abusi di Rignano Flaminio, Calogero Antonio Mannino.

L’art.13 della Costituzione italiana stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva, mentre l’art. 27 recita che nessuno può essere considerato colpevole prima che si giunga a dimostrarne la  reale colpevolezza  e se ciò non avviene i giudici devono assolverlo. Ma ci si chiede se è giusto che un uomo, dopo essere stato arrestato per aver commesso un crimine più o meno grave, debba subire soprusi dagli organi giuridici che, invece, dovrebbero garantire la sicurezza di un cittadino ed in questo caso anche il reinserimento nella società.

Il 34% dei detenuti delle carceri in Italia è  in attesa di giudizio e tra questi, la maggior parte sono stranieri, perché nella maggior parte dei casi gli immigrati “finiscono dentro per reati minori rispetto agli italiani”.

Sono 19.037 i detenuti che devono scontare una pena residua inferiore ai tre anni, ovvero il 56% della popolazione detenuta e condannata ha una pena che potrebbe scontare fuori dal carcere.

Lo prevede la legge, ma non sempre è garantito il diritto all’affettività e le visite, gli incontri con parenti spesso sono complicati. Tanto che  in cella, punito,è come se non ci fosse solo chi ha sbagliato, ma tutta la famiglia. I dati raccontano meglio di tutto il mondo dell’attesa, di un incontro, di quei minuti concessi nei parlatori, dove la riservatezza, l’intimità spesso è un sogno. In 123 carceri è possibile per i familiari prenotare le visite. In 148 carceri è possibile fare colloqui di domenica. In 98 le visite sono sei giorni a settimana. In 172 carceri vi sono spazi, anche se non sempre sufficienti, per i bambini figli di detenuti.
Proprio i colloqui sono uno degli elementi che più influenza la quotidianità del detenuto.
In questi anni sono stati  avviati alcuni progetti nelle carceri: sono 840.116 i libri presenti nelle biblioteche carcerarie con una media di 4.352 libri per carcere e 15 libri a detenuto. Molti libri sono però edizioni vecchie e poco utili di testi scolastici.
Lavora il 29,73% dei detenuti. Di questi solo una piccola parte, il 15%, ha un  datore di lavoro privato. Sono solo 612 i detenuti impiegati in attività di tipo manifatturiero, di cui  208 in attività agricole. Dunque la gran parte lavora per l’amministrazione penitenziaria, impiegata  in attività domestiche. Lavorare in carcere significa essere occupati per poche ore settimanali e guadagnare in media circa 200 euro al mese.




Ogni anno settemila italiani vengono incarcerati o costretti ai domiciliari e poi assolti. Una parte di questi si rivale contro lo Stato, che mediamente riconosce l’indennizzo a una vittima su quattro», spiega l’avvocato Gabriele Magno, presidente dell’associazione nazionale vittime degli errori giudiziari «Articolo643».

Dal 1992 il Tesoro ha pagato 630 milioni di euro per indennizzare quasi 25 mila vittime di ingiusta detenzione, 36 milioni li ha versati nel 2015 e altri 11 nei primi tre mesi del 2016.

E se la politica - come ha fatto il presidente del Consiglio Matteo Renzi - non rilanciasse il tema ambiguo dei «25 anni di barbarie giustizialiste» e la magistratura non sostenesse - coma ha fatto il presidente dell’Anm Piercamillo Davigo - che «la presunzione di innocenza è un fatto interno al processo e non c’entra nulla con i rapporti sociali e politici» e che «i politici rubano più di prima solo che adesso non si vergognano più», sarebbe più facile capire se questi numeri siano la fotografia di una debolezza fisiologica del sistema o una sua imperdonabile patologia.

Come l’avvocato Magno, anche l’avvocato Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione delle Camere penali, è convinto non solo che i magistrati facciano un ricorso eccessivo alla custodia cautelare, ma anche che il problema resterà irrisolto fino a quando non saranno previste la separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici e la rinuncia alla obbligatorietà dell’azione penale, «correttivi che esistono in ogni Paese regolato dal sistema accusatorio, ma in Italia no».
   
Fabrizia Francabandera è la presidente della sezione penale della Corte d’Appello dell’Aquila, tribunale che lo scorso anno ha indennizzato 44 persone per ingiusta detenzione. È una donna pratica, figlia di un magistrato, che considera il ricorso alla custodia cautelare la risorsa estrema a disposizione dei giudici. «Io penso che meno si arresta e meglio è. Alcuni colleghi usano malamente la custodia cautelare, non come se fosse una misura specifica, ma come una misura di prevenzione generale. Anche perché, in Italia, per i reati sotto i quattro anni non va in galera nessuno».

Lo sbilanciamento del sistema è tale per cui si rischia di restare in carcere prima del processo e di non andarci dopo in presenza di una condanna. «Ma anche sulla ingiusta detenzione non bisogna immaginare errori macroscopici. Il dolo non esiste quasi mai e la colpa grave è rara. Il sistema complessivamente funziona, ma ha delle lacune, in un senso e nell’altro».
 
Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà e già presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione delle Torture, è appena tornato da Strasburgo dove si è confrontato con colleghi olandesi, inglesi, bulgari e francesi. «La Gran Bretagna non prevede alcun indennizzo per ingiusta detenzione, la Bulgaria paga con grandi ritardi, mentre l’Olanda, per esempio, ha un meccanismo molto simile al nostro». Anche i numeri sono simili? «Non molto differenti. Per questo penso che gli errori italiani rientrino nella fisiologia del sistema e non nella sua patologia. Mi pare anche che la riforma della responsabilità civile sia un buon compromesso, perché un giudice non può vivere sotto la spada di Damocle della causa, soprattutto in un Paese dove ci sono la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra, che in genere hanno avvocati molto in gamba e molto ben pagati. Certo, bisognerebbe cercare di arrestare il meno possibile e anche lavorare di più sugli automatismi che portano all’applicazione della custodia cautelare». Niente barbarie giustizialista come dice il premier, quindi? «Se dietro queste parole c’è l’idea che la politica ha delegato troppo alla magistratura, come è successo per esempio di recente con le stepchild adoption, sono completamente d’accordo. Se intendeva dire, e non penso, che esiste un disegno delle Procure e dei magistrati, allora è una stupidaggine».



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE





http://www.mundimago.org/



mercoledì 15 giugno 2016

L'OMOFOBIA

.


Il termine omofobia significa letteralmente “paura nei confronti di persone dello stesso sesso” e più precisamente si usa per indicare l’intolleranza e i sentimenti negativi che le persone hanno nei confronti degli uomini e delle donne omosessuali. Essa può manifestarsi in modi molto diversi tra loro, dalla battuta su un una persona gay che passa per la strada, alle offese verbali, fino a vere e proprie minacce o aggressioni fisiche. In seguito all’omofobia, ad esempio, alcuni eterosessuali, raccontano di sentirsi a disagio in presenza delle persone gay o lesbiche, altri si mettono a ridere quando le incontrano per strada. Altri ancora dicono di essere disgustati dai loro comportamenti, arrabbiati o indignati. Anche la parola “frocio” può essere considerata come espressione di omofobia, perché di solito viene usata con una connotazione negativa.
L’omofobia deriva dall’idea che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto (eterosessismo). Tale considerazione è basata anche sulla falsa credenza che in natura non esistano comportamenti omosessuali (“L’omosessualità è contro natura”); molti animali, invece, presentano comportamenti omosessuali, tra cui topi, criceti, porcellini d’India, conigli, porcospini, capre, cavalli, maiali, leoni, pecore, scimmie, e scimpanzé.
L’omofobia, inoltre, si alimenta in vari modi. Innanzitutto la società è spesso diffidente nei confronti delle diversità, fino al punto di considerarle pericolose. Tale mancanza di fiducia riguarda tutte le minoranze portatrici di valori nuovi o diversi (es. anche i primi cristiani) perché minacciano quelli convenzionali. Il pregiudizio anti-gay, inoltre, è rinforzato dall’ignoranza e dalla mancanza di contatti con la comunità omosessuale. Gli individui che presentano alta omofobia, di fatto, non conoscono la realtà gay e lesbica e ne hanno un’idea astratta basata su ciò che hanno sentito dire dagli altri. Infine, noi tutti tendiamo ad agire in modo coerente con ciò che viene ritenuto desiderabile e giusto in base alle convenzioni sociali dominanti. Questo meccanismo, ad esempio, è alla base del fatto che si è soliti deridere i gay perché è consuetudine farlo.

È importante ricordare che non si nasce omofobi; lo si diventa attraverso l’educazione, i messaggi, diretti e indiretti, che la famiglia, la politica, la Chiesa e i media, ci trasmettono. Fin da bambini tutti noi acquisiamo convinzioni e valori che ci vengono presentati come assolutamente giusti e legittimi. Molto prima, dunque, di avere una reale comprensione di cosa significhi la parola omosessualità, ereditiamo, da una cultura omofoba, la convinzione che essere gay sia qualcosa di assolutamente sbagliato, innaturale e contrario alle norme del vivere comune.
Molto dipende anche dal posto antropologico in cui nasciamo e cresciamo. Nei paesi a prevalenza cattolica come l'Italia, la Chiesa esercita un’alta ingerenza sulle famiglie, sulla politica e sulla capacità legislativa conseguente. E la posizione ufficiale della Chiesa cattolica rispetto agli omosessuali è di accoglienza, solo a patto che gli omosessuali rinneghino se stessi, riconoscendo il disordine e il male della propria condizione di vita e accettando la castità e la costrizione come elemento permanente dell’intera loro esistenza.
Questo tipo di pressione morale, così pervasiva, non può non sfociare nell’omofobia interiorizzata (quell’insieme di sentimenti negativi come ansia, disprezzo, avversione che gli omosessuali provano nei confronti dell’omosessualità, propria e altrui) al punto che l’incidenza statistica dei suicidi è elevata tra gli omosessuali adolescenti, soprattutto se credenti.
Anche i media trasmettono messaggi ambigui e omofobi, attraverso la censura di scene di sesso omosessuale (anche senza nudo), o la tolleranza e lo spazio concesso a chi, cardinali o politici, promulga messaggi falsi e offensivi come l’equazione gay=pedofilo (il 95% dei pedofili è eterosessuale).

Va comunque precisato che il termine è utilizzato con diversi significati. Le definizioni di omofobia esistenti possono essere sintetizzate in tre principali prospettive: accezione pregiudiziale, accezione discriminatoria e accezione psicopatologica:
l'accezione pregiudiziale considera come omofobia qualsiasi giudizio negativo nei confronti dell'omosessualità. In questa definizione vengono considerate manifestazioni di omofobia anche tutte le convinzioni personali e sociali contrarie all'omosessualità come ad esempio: la convinzione che l'omosessualità sia patologica, immorale, contronatura, socialmente pericolosa, invalidante; la non condivisione dei comportamenti omosessuali e delle rivendicazioni sociali e giuridiche delle persone omosessuali. Non rientra in questa accezione la conversione in agito violento o persecutorio nei confronti delle persone omosessuali;
l'accezione discriminatoria considera come omofobia tutti quei comportamenti riconducibili al sessismo che ledono i diritti e la dignità delle persone omosessuali sulla base del loro orientamento sessuale. Rientrano in questa definizione le discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, gli atti di violenza fisica e psicologica (percosse, insulti, maltrattamenti). Questa definizione – che comprende anche l'acting out del sentimento discriminatorio – può essere considerata più pertinente al costrutto di omofobia in senso ristretto;
l'accezione psicopatologica considera l'omofobia come una fobia, cioè una irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti delle persone omosessuali che compromette il funzionamento psicologico della persona che ne presenta i sintomi. Tale valutazione diagnostica includerebbe quindi l'omofobia all'interno della categoria diagnostica dei disturbi d'ansia e rientrerebbe all'interno dell'etichetta di fobia specifica. A differenza delle prime due accezioni, l'omofobia come fobia specifica non è frutto di un consapevole pregiudizio negativo nei confronti dell'omosessualità quanto piuttosto di una dinamica irrazionale legata ai vissuti personali del soggetto. Quest'ultima definizione, per quanto più attinente alla radice etimologica del termine, ad oggi non è sostenuta da una letteratura sufficiente da farla inserire nei principali manuali psicodiagnostici.
Omofobia deriva dal greco homos (stesso, medesimo) e fobos (paura). Letteralmente significa "paura dello stesso", tuttavia il termine "omo" è qui usato in riferimento ad omosessuale. Il termine è un neologismo coniato dallo psicologo clinico George Weinberg nel suo libro Society and the Healthy Homosexual (La società e l'omosessuale sano), pubblicato nel 1971.

Un termine precursore è stato omoerotofobia, coniato dal dottor Wainwright Churchill nel libro "Homosexual behavior among males" (Comportamento omosessuale tra maschi), pubblicato nel 1967.

Intesa nel senso di "paura fobica e irrazionale", l'omofobia non è inserita in alcun manuale di diagnostica psicologica come patologia, è quindi errato pensare che sia medicalmente una fobia, come invece il nome potrebbe portare a credere. L'omofobia non è legata a una credenza politica o a un livello culturale, ma piuttosto al livello di equilibrio del singolo individuo. È stato infatti riscontrato dagli anni sessanta il fatto che tendano all'omofobia le "personalità autoritarie", rigide, insicure, che si sentono minacciate dal "diverso da sé" (ovviamente non solo omosessuale). Alti livelli di omofobia sono stati riscontrati anche in persone in lotta con una forte omosessualità latente o repressa.

In questo secondo senso l'omofobia può trarre nutrimento e soprattutto legittimazione da condanne ideologiche, religiose o politiche.

Per omofobia si può intendere anche la paura dell'omosessualità, ed in particolare la paura di venire considerati omosessuali, ed i conseguenti comportamenti volti ad evitare gli omosessuali e le situazioni considerate associate ad essi.

L'omofobia consiste nel giustificare, condonare o scusare atti di violenza o di discriminazione, di marginalizzazione e di persecuzione perpetrati contro una persona in ragione della sua reale o presunta omosessualità (si pensi ai soggetti bisessuali o anche semplicemente a persone che hanno un atteggiamento o un aspetto che non rientra nel comune stereotipo di genere sessuale, ad esempio le persone definite "effeminate").

Le ricerche psicosociali evidenziano come l'omofobia sia maggiormente legata a caratteristiche personali quali: anzianità, basso livello di istruzione, avere idee religiose fondamentaliste, non avere contatti personali con gay o lesbiche, essere autoritari, provare sensi di colpa nei confronti del sesso, avere atteggiamenti tradizionalisti rispetto ai ruoli di genere (mascolinità, etc.)

Probabilmente l'omofobia è correlata al timore di essere considerati omosessuali. Questo timore, dice Erich Fromm, è più frequente negli uomini che nelle donne, perché dal punto di vista culturale il maschio omosessuale viene considerato una "femminuccia", e nel pensiero sessista dominante.

« se un ragazzo viene definito "femminuccia", si sente bollato e umiliato dal gruppo. Se una ragazza è invece definita un "maschiaccio", a ciò non si accompagna uguale disapprovazione, anzi, spesso diventa motivo di orgoglio. Così la "femminuccia" è un codardo, un mammone, mentre la "maschiaccia" è una ragazza coraggiosa, capace di tener testa a un ragazzo. Probabilmente questi giudizi di valore vengono sussunti nell'atteggiamento che in seguito si sviluppa nei confronti dell'omosessualità nei due sessi.»
(Erich Fromm)

L'omofobia interiorizzata consiste nell'accettazione da parte di gay e lesbiche di pregiudizi, etichette negative e atteggiamenti discriminatori verso l'omosessualità. Questa interiorizzazione del pregiudizio è per lo più inconsapevole e può portare a vivere con difficoltà il proprio orientamento sessuale, a contrastarlo, a negarlo o addirittura a nutrire sentimenti discriminatori nei confronti degli omosessuali.

L'omofobia può diventare causa di episodi di bullismo, di violenza o di mobbing nei confronti delle persone LGBT. Secondo l'Agenzia per i diritti Fondamentali (FRA) dell'Unione europea l'omofobia nel 2009 danneggia la salute e la carriera di quasi 4 milioni di persone in Europa. L'Italia è il paese dell'Unione Europea con il maggior tasso di omofobia sociale, politica ed istituzionale. Secondo i dati del Dipartimento di Salute Pubblica i suicidi della popolazione gay, legati alla discriminazione omofoba in modo più o meno diretto, costituirebbero il 30% di tutti i suicidi adolescenziali.

Da altri studi in merito è emerso con chiarezza che gli adolescenti LGBT sono maggiormente a rischio di ideazione suicidaria rispetto ai coetanei eterosessuali. In aggiunta a ciò, una review di Haas e colleghi del 2011 sulla letteratura pubblicata in merito, suggerisce che i giovani LGBT siano dalle 2 alle 7 volte più a rischio, rispetto ai coetanei eterosessuali, di suicidio.
Sono anche stati riportati dei contesti in cui studenti LGBT hanno lamentato: la presenza di atti di discriminazione, come la negazione di servizi finanziari e sanitari, l'affibiazione di etichette verbali ingiuriose, tentativi di conversione e timore di atti di violenza sessuale ai loro danni. Tale situazione ha determinato il nascondimento della loro identità, l'evitamento di alcuni corsi, la prematura cessazione degli studi ed anche la messa in pratica di tentativi di suicidio.



A seguito dell'elevato rischio di ideazioni suicidarie e di tentativi di suicidio tra le cosiddette minoranze sessuali, i ricercatori hanno tentato di identificare i fattori che potessero spiegare tali marcate differenze. Le teorie sullo stress e lo stigma da minoranza hanno permesso di evidenziare il ruolo portante che i contesti sociali e strutturali così come le pratiche e le politiche istituzionali possono giocare nel contribuire a generare simili disparità nella salute mentale degli individui. In accordo con queste teorie, infatti, gli adulti LGBT che risiedono in stati con poche politiche sociali di tipo protettivo, hanno un maggior tasso di disordini psichiatrici e di abuso di sostanze rispetto a persone che vivono in stati con politiche protettive mirate. In linea con questi risultati, si pone anche un lavoro del 2014 di Hatzenbuehler e colleghi che ha indicato che giovani LGBT sono meno a rischio di sviluppare ideazioni suicidarie quando sono all'interno di strutture scolastiche che hanno adottato misure protettive verso le minoranze sessuali. L'ambiente sociale, inoltre, può esercitare delle influenze anche in maniera meno diretta. Uno studio condotto su una popolazione di circa 4098 maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi (MSM, Men who have sex with men) sieronegativi per HIV ha evidenziato, ad esempio, che un più basso livello di stigma sociale contro le persone LGBT è legato ad una diminuzione del rischio di rapporti anali non protetti (adjusted odds ratio, aOR=0,97, intervallo di confidenza al 95%, 95%CI 0,94-0,99), maggior consapevolezza riguardante la profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,09) e di quella pre esposizione (aOR=1,06, 95%CI 1,02-1,10), maggior utilizzo della profilassi anti-HIV post esposizione (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,26) e di quella pre esposizione (aOR=1,21, 95%CI 1,01-1,44) ed un maggior livello di tranquillità nel discutere di sesso tra maschi con operatori sanitari (aOR=1,08, 95%CI 1,05-1,11).
Va, tuttavia, segnalato che sussiste anche la possibilità che il grado d'influenza esercitato dallo stigma da minoranza e da eventuali interventi di tipo protettivo o di supporto vari anche a seconda dell'etnia delle persone prese in considerazione.

L'importanza del contesto socioculturale che circonda le persone LGBT è stata evidenziata anche da un lavoro di Duncan e Hatzenbuehler del 2014 riguardante i cosiddetti crimini d'odio definiti come "condotte illegali, violente, distruttive o minacciose il perpetratore delle quali viene motivato dal pregiudizio contro il supposto gruppo sociale della vittima". Già altri studi in passato avevano evidenziato che le minoranze sessuali vengono colpiti da tali crimini e, secondo l'FBI, il 17,4% dgli 88.463 crimini d'odio registrati tra il 1995 ed il 2008 hanno coinvolto tali minoranze.

Lo studio di Duncan e Hatzenbuehler, condotto su un campione di studenti delle scuole superiori pubbliche di Boston, ha cercato di valutare l'effetto sulle persone LGBT del grado di vicinanza geografica alle aree ove sono stati perpretrati crimini d'odio ai danni di altre persone LGBT. Dai dati raccolti è emerso che gli adolescenti LGBT che hanno riferito di aver avuto ideazioni suicidarie tendevano a vivere a meno di 800 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (21,22 per 100.000 Vs 12,26 per 100.000, p value=0,013). Gli adolescenti LGBT che hanno tentato il suicidio, inoltre, avevano maggiori probabilità di vivere a meno di 400 metri da aree ad alto tasso di crimini d'odio contro persone LGBT (33,61 per 100.000 Vs 13,18 per 100.000, p value=0,006). Tali associazioni statistiche non sono state rintracciate per quanto riguarda gli adolescenti eterosessuali. Nessuna significatività statistica è stata, inoltre, rintracciata per quanto riguarda l'associazione di problematiche suicidarie e crimini d'odio non ai danni di persone LGBT, indicando così che le significatività precedentemente presentate sono specifiche per gli adolescenti LGBT. I risultati di tale lavoro, sebbene preliminari soprattutto in considerazione della scarsa presenza di pubblicazioni analoghe, sono in accordo con la letteratura che documenta l'importanza dei contesti socioculturali nella determinazione dello Stato di salute mentale nelle minoranze sessuali.

In termini generali, il sentimento religioso sembra essere associato ad un buon livello di salute mentale. Sebbene tale dato sia variabile a seconda degli aspetti presi in considerazione, si può affermare che la religiosità sembra determinare effetti positivi: minor depressione e stress psicologico e migliore soddisfazione, felicità e stato psicologico personali. Per quanto riguarda le persone LGBT, al momento, sussistono pochi lavori che abbiano analizzato lo stato di salute mentale in rapporto con l'affiliazione religiosa. Sebbene, il sentimento religioso, come precedentemente accennato, sembri sortire effetti positivi, un ambiente sociale caratterizzato da stigma e rifiuto può produrre, in chi ne è vittima, effetti patologici.
La teoria dello stress da minoranza suggerisce che il differente livello di salute mentale tra le persone LGBT ed eterosessuali sia dovuto al differente livello di stigma e pregiudizio cui si va incontro.

Uno dei fattori presi in considerazione dalla teoria come fattore di stress è l'omofobia interiorizzata. Per omofobia interiorizzata s'intende l'internalizzazione, da parte delle persone LGBT, delle attitudini e delle credenze negative della società contro le persone LGBT stesse e poiché tale visione può essere appresa durante i normali processi di socializzazione, essa può costituire un fattore di stress particolarmente insidioso da individuare. Il suo superamento viene, inoltre, considerato un passo importante nel processo di coming out e viene considerato dai terapisti come necessario al fine di acquisire un buon livello di salute mentale. Di converso, l'omofobia interiorizzata è stata collegata ad una serie di sviluppi negativi: ansietà, depressione, ideazione suicidaria, condotta sessuale a rischio, problematiche nella vita intima ed uno stato generale di benessere più basso.

Sotto questo punto di vista, nei contesti religiosi gli insegnamenti possono essere parte di una socializzazione che si basi sullo stigma ed il permanere in tale contesto può contribuire ad potenziare il fenomeno dell'omofobia interiorizzata. Vistesi rifiutate da molte organizzazioni religiose, l'attendenza delle persone LGBT alle pratiche religiose istituzionali tende ad essere minore rispetto agli eterosessuali e vi è una maggior probabilità d'abbandono del loro credo. Al di là di ciò, comunque, le persone LGBT che si affiliano a gruppi religiosi, tendono a partecipare per lo più a denominazioni religiose “non supportive”. Alcuni lavori hanno, infatti, evidenziato che le persone LGBT tendevano ad affiliarsi a correnti di maggioranza o con maggioranza di eterosessuali sebbene tali gruppi potessero presentare un clima sociale poco ospitale. Tale dato, apparentemente contraddittorio, potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che le persone LGBT possano avvertire un profondo significato personale nell'appertenere ad un contesto religioso cui loro sono abituati, spesso dall'infanzia. In effetti, è noto che l'abbandono di un gruppo religioso possa risultare spiacevole sotto l'aspetto sociale, culturale e spirituale.

Tale situazione può diventare particolarmente pressante per persone appartenenti a minoranze etniche. Per le persone afro-americane, ad esempio, è noto come le chiese abbiano costituito un baluardo contro il razzismo sociale e siano state promotrici e sostenitrici di identità ed orgoglio etnico. Hanno, inoltre, provveduto a fornire servizi sociali e culturali in vario modo. Risulta, pertanto, chiaro come il processo di separazione, magari per confluire in contesti maggiormente supportivi per le persone LGBT, significhi anche perdere non solo i servizi ma anche tutto un contesto di profondo significato interiore.
Al fine di continuare la partecipazione in questi contesti, le persone LGBT tendono ad adottare svariate strategie per cercare di risolvere o di alleviare lo state di tensione che si può generare dalla partecipazioni in questi contesti non supportivi:
ritenere la Bibbia un documento che sarebbe stato ispirato da Dio ed in quanto tale, contenente occasionalmente punti di vista umani ormai antiquati, quali quelli sull'omosessualità;
separare le identità LGBT e religiosa così da sopprimere quella LGBT quando quella religiosa, in alcuni contesti, diviene preponderante;
neutralizzare i messaggi contro l'omosessualità questionando la credibilità a vario grado del pastore, sacerdote o di chi promuove tale visione (ciò può includere, tra le altre, la conoscenza biblica, la moralità o l'eccessiva enfasi sulla percepita eccessiva tendenza al legalismo contro il messaggio d'amore incondizionato promosso dal Nuovo Testamento).
Sebbene gli studi riguardanti la religiosità delle persone LGBT non abbiano preso molto in considerazione se il gruppo religioso fosse più o meno supportivo, un lavoro di Lease e colleghi ha mostrato che persone caucasiche LGBT coinvolte in attività religiose in contesti maggiormente supportivi erano collegate ad un minor livello di omofobia interiorizzata e che questa era legata ad un miglior livello dello stato di salute mentale. Altri lavori, di converso, hanno rilevato che contesti religiosi non supportivi possono avere un significativo effetto nel promuovere l'omofobia internalizzata nelle persone LGBT.

La problematica, tuttavia, può variare anche a seconda del gruppo etnico preso in considerazione dato che la religiosità tende a variare a seconda dell'etnia. Sebbene alcuni lavori abbiano suggerito che le persone latino-americane ed afro-americane tendano a dimostrare un maggior sentimento religioso, al momento non è stato rilevato che le persone LGBT appartenenti a questi gruppi siano maggiormente esposte a contesti non supportivi rispetto a quelle caucasiche. Alcuni lavori hanno, infatti, suggerito che alcune denominazioni evangeliche frequentate da caucasici possano essere caratterizzate da contesti particolarmente omofobi. Tuttavia, se l'affiliazione religiosa delle persone LGBT riflette quella della popolazione generale, c'è da aspettarsi che quelle latino-americane ed afro-americane siano esposte a contesti omofobi in misura maggiore rispetto a quelle caucasiche.

Un lavoro di Barnes e Meyer del 2012 condotto su 355 partecipanti LGBT ha cercato di valutare l'effetto del contesto religioso nello stato di salute delle persone LGBT attendenti. In generale, è emerso che le persone caucasiche tendevano a non dichiararsi religiose (58%) mentre solo il 36% ed il 35% degli afro-americani e dei latino-americani si è dichiarato non religioso. In termini di omofobia interiorizzata è emerso che, rispetto ai caucasici, gli afro-americani ed i latino-americani hanno maggiori livelli di essa sebbene il risultato sia statisticamente significativo solo per i latino-americani; in generale gli affiliati a contesti non supportivi hanno maggiori livelli di omofobia generalizzata rispetto agli affiliati a contesti supportivi ed ai non praticanti. La frequenza di pratica religiosa, in questo lavoro, non ha esercitato alcuna influenza sui livelli di omofobia interiorizzata dato che non è stata riscontrata nessuna differenza statisticamente significativa tra coloro che avevano un'elevata frequenza di pratica contro chi ne aveva una bassa. Va segnalato, tuttavia, che sia i latino-americani che gli afro-americani sono risultati maggiormente esposti, rispetto ai caucasici, a contesti non supportivi e che l'affiliazione a tali contesti si è dimostrata essere un buon mediatore statistico dei livelli di omofobia interiorizzata. Va segnalato infatti che la variabile affiliazione a contesti non supportivi nel modello statistico finale ha reso non più significativa la differenza dei livelli di omofobia interiorizzata tra latino-americani e caucasici ma ha anche diminuito il valore del coefficiente standardizzato B del 50% e del 25% nei modelli testati. I livelli di omofobia interiorizzata, infine, sono risultati essere statisticamente associati alla presenza di sintomi depressivi ed ad un minore benessere psicologico rendendo, nei due modelli testati, la variabile affiliazione a contesti non supportivi un miglior predittore sebbene non statisticamente significativo.

Gli autori di questo studio hanno quindi concluso che i dati presentati forniscono una base all'ipotesi che i contesti religiosi non supportivi determinino lo sviluppo di un ambiente sociale ostile alle persone LGBT il che può risultare in una maggior presenza di omofobia interiorizzata. I latino-americani, in particolare, hanno manifestato livelli significativamente maggiori, rispetto ai caucasici, di omofobia interiorizzata. La maggior affiliazione e pratica in contesti religiosi non supportivi sembra spiegare i maggiori livelli di omofobia interiorizzata. Per quanto riguarda gli afro-americani, i dati sembrano suggerire un quadro analogo sebbene non si sia raggiunta la significatività statistica.

Tali conclusioni, basate su un campione limitato e non casuale, non sono ovviamente generalizzabili. Risulta interessante, tuttavia, notare che uno studio di Gibbs e Goldbach del 2015 sembra concludere che giovani adulti LGBT che crescono e maturano in contesti religiosi sono a più alto rischio, rispetto ad altre persone LGBT, di ideazione suicidaria, più specificatamente di ideazione suicidaria cronica, così come di tentativi di suicidio.

In ambito legislativo, in molte nazioni, soprattutto europee sono previsti strumenti legislativi, di carattere civile e penale, finalizzati al contrasto dell'omofobia intesa principalmente come discriminazione basata sull'orientamento sessuale.

Va evidenziato che le legislazioni esistenti in molti casi mantengono distinto l'aspetto della non discriminazione dalle norme mirate invece a sanzionare in modo specifico azioni e comportamenti esplicitamente omofobici, quali atti violenti o di incitamento anche solo verbale all'odio. Ci sono legislazioni che fanno rientrare questo secondo aspetto in un ambito legislativo non specifico, non considerando quindi la motivazione dell'omofobia per il reato o non prevedendo sanzioni specifiche per le espressioni di odio o di incitamento all'odio legate all'orientamento sessuale.

L'omofobia, intesa come atto violento e/o incitamento all'odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni carcerarie e/o pecuniarie in Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia e a livello regionale in Tasmania (vietato l'incitamento all'odio). Con un emendamento allo Hate Crimes Bill approvato dal Congresso nell'ottobre 2009 e denominato Matthew Shepard Act, gli Stati Uniti d'America hanno stabilito che la violenza causata da odio basato sull'orientamento sessuale costituisce un reato federale.

Norme antidiscriminatorie che menzionano esplicitamente l'orientamento sessuale sono in vigore in Europa, oltre che nei paesi sopra citati, in Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, in quattro Länder della Germania (Berlino, Brandeburgo, Sassonia e Turingia), Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ungheria, Regno Unito, Repubblica Ceca, Serbia e Montenegro.

Al di fuori dell'Europa, leggi antidiscriminazione sull'orientamento sessuale sono in vigore in Canada, in alcuni degli Stati Uniti, in Australia, Nuova Zelanda, Isole Fiji, in alcuni stati del Brasile, Nicaragua, Uruguay, Colombia, Ecuador, Israele e Sudafrica.

Anche il regime castrista ha adottato forme di persecuzione nei confronti degli omosessuali. Considerati "controrivoluzionari", dagli anni sessanta agli anni ottanta anche i gay sono stati perseguitati e molti di loro sono stati rinchiusi nei campi di lavoro forzati UMAP ("Unidades Militares de Ayuda a la Producción") a causa del loro orientamento sessuale. Nell'ideologia castrista i maricones ("finocchi") erano infatti considerati espressione dei valori decadenti della società borghese:

« Agli omosessuali non dovrebbe essere concesso di stare in posizioni dove potrebbero essere capaci di mal influenzare i giovani. Nelle condizioni in cui viviamo, a causa dei problemi che il nostro paese deve affrontare, dobbiamo inculcare nei giovani lo spirito della disciplina, della lotta, del lavoro... Noi non arriveremmo mai a credere che un omosessuale possa incarnare le condizioni e i requisiti di condotta che ci permetterebbero di considerarlo un vero Rivoluzionario, un vero Comunista aggressivo. Una deviazione di questa natura si scontra con il concetto che abbiamo di ciò che un militante comunista deve essere.»
Nel marzo del 1965, Giangiacomo Feltrinelli riuscì ad ottenere da Fidel Castro una lunghissima intervista chiedendogli anche perché perseguitasse i gay, sul perché ce l'avesse tanto con gli omosessuali e cosa c'entrasse quel pogrom con la rivoluzione. Il líder máximo, dopo una risata per la domanda sfacciata, rispose alla domanda ed accennò alla paura di "mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio". Nel 2010 Castro ha ammesso pubblicamente di aver "commesso una grande ingiustizia" a perseguitare gli omosessuali. Tuttavia, almeno dal 1988, Cuba è all'avanguardia in America latina per le politiche contro l'omofobia ed ha eliminato ogni traccia di legislazione omofobica.

La legislazione di contrasto alla discriminazione tra cittadini trae principale fondamento dall'articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana (principio di uguaglianza formale e sostanziale):
« Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. »
Pur non citando espressamente l'orientamento sessuale, esso può rientrare per via interpretativa sia nella nozione di "sesso", sia tra le "condizioni personali e sociali".

La Legge 25 giugno 1993, n. 205 intitolata Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa (cosiddetta Legge Mancino), integra il diritto penale italiano per quanto attiene ad alcune forme di discriminazione, tra cui non rientrano quelle basate sull'orientamento sessuale che, inserite nella sua prima formulazione, furono espunte dal testo nella stesura definitiva.

La menzione esplicita dell'orientamento sessuale è invece presente nel Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216, che tutela dalle discriminazioni sul luogo di lavoro. Le eccezioni inizialmente previste per il personale delle Forze Armate, delle Forze dell'ordine e di soccorso furono poi abolite a seguito della procedura d'infrazione aperta dalla Comunità Europea contro l'Italia, in quanto contrarie alla direttiva comunitaria contro le discriminazioni.

Il 2 ottobre 2009, nel corso della XVI Legislatura la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha adottato un testo base, presentato dalla deputata Anna Paola Concia e costituito da un singolo articolo, che tra le circostanze aggravanti comuni previste dall'articolo 61 del codice penale inserisce anche quella inerente all'orientamento sessuale. Tale testo è stato poi bocciato il 13 ottobre 2009 dalla maggioranza parlamentare per una pregiudiziale di costituzionalità sollevata dall'Unione di Centro. La bocciatura ha sollevato dure critiche verso l'Italia da parte di rappresentanti dell'Unione europea e dell'ONU. Alla bocciatura ha reagito invece positivamente il vescovo Domenico Mogavero, che ha definito la proposta di legge «solo un primo passo, in quanto il vero obiettivo di questa campagna sono le nozze gay».

Mara Carfagna, Ministro per le pari opportunità del Governo Berlusconi IV, il 9 novembre 2009, ha presentato Nessuna differenza, la prima campagna istituzionale in Italia contro l'omofobia e le discriminazioni di genere.

Il 17 maggio 2011, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito «inammissibile in società democraticamente adulte» l'irrisione degli omosessuali. Il 18 maggio 2011 il testo base della deputata Anna Paola Concia, basato su una direttiva europea, è stato ripresentato alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che l'ha bocciato con 24 voti contrari e 17 favorevoli. Il ministro Carfagna ha commentato: «Il Popolo della libertà ha perso un'occasione». Il 26 luglio 2011 la Camera ha respinto per la seconda volta il ddl presentato dalla deputata Concia contro l'omotransfobia.

Un nuovo disegno di legge per l'estensione della legge Mancino ai casi di omofobia e transfobia è stato presentato durante la XVII Legislatura.

In vari paesi (per esempio Canada, Regno Unito, USA, Italia) sono stati annullati molti concerti di famosi esponenti della "scena reggae", quali Sizzla, Beenie Man, Capleton, Bounty Killer, T.O.K., Buju Banton, Elephant Man per i contenuti omofobi e sessisti dei loro testi.

L'omofobia non è inserita in alcuna classificazione clinica delle varie fobie; infatti, non compare né nel DSM né nella classificazione ICD; il termine, come nel caso della xenofobia, è solitamente utilizzato in un'accezione generica (riferita a comportamenti discriminatori) e non clinica.



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE





http://www.mundimago.org/



sabato 7 novembre 2015

BASTA ALCOOL!!!!!!

.


Somministrare bevande alcoliche a chi manifesta una chiara ubriachezza è punito con l’arresto da 3 mesi a un anno. Inoltre, se il somministratore è l’esercente un’osteria o altro esercizio autorizzato allo spaccio di cibi e bevande è prevista anche la sanzione della sospensione dell’attività. Ciò indipendentemente dalla entità della sanzione principale. Lo ha precisato la Corte di Cassazione in una sentenza.

Il barman, quindi, sarà chiamato a stare molto attento a quanti cocktail serve alla stessa persona, poiché, qualora questa abbia già chiari ed evidenti sintomi di ubriachezza, ad andarci di mezzo sarà il locale.

La sospensione dell’attività ha una durata minima di 15 giorni e una massima di due anni. È una misura che può avere forti ripercussioni su una attività commerciale, costretta  a rimanere inattiva ed avendo spesso, come risultato, la definitiva chiusura del locale.

Oltre a ciò, è vietata la vendita e la somministrazione di alcolici anche ai minori di 18 anni. Questo divieto si rivolge sia ai negozianti (che svolgono attività di vendita) che alle attività come pub, bar, ristoranti e discoteche (che invece svolgono attività di somministrazione). Lo ha precisato il Ministero dello Sviluppo Economico con una specifica risoluzione.

Il Ministero ha chiarito che rimane sempre fermo il generale divieto di mettere a disposizione dei minori degli anni 18 bevande alcoliche. Ragion per cui non ha rilevanza che l’adolescente consumi sul posto (ad esempio in discoteca o in un bar) oppure possa comprare per poi consumare altrove (ciò che succede per un acquisto in negozio).

È possibile riepilogare la materia nel seguente modo:
– è vietato vendere e somministrare sul posto bevande alcoliche a minori degli anni 18;
– nel caso di vendita di bevande alcoliche a minori degli anni 18, è prevista una sanzione pecuniaria da 250 a 1.000 euro;
– la somministrazione di bevande alcoliche a minori degli anni 16 è punita con la sanzione dell’arresto fino a un anno;
– la somministrazione di bevande alcoliche a minori degli anni 18, ma maggiori degli anni 16, è punita con la sanzione pecuniaria da 250 a 1.000 euro.

Anche in questi casi è prevista la sospensione dell’attività.

Della somministrazione di bevande alcoliche a minori o infermi di mente non è responsabile solo il titolare dell’esercizio, ma anche chi lo gestisce per lui: pure i dipendenti, pertanto, ne risponderanno penalmente e personalmente.

L'Articolo 689 codice penale vieta la vendita per asporto e la somministrazione di bevande alcoliche a:
minori degli anni 16
persona che appaia affetta da malattia di mente
persona che si trovi in condizioni di manifesta deficienza psichica a causa di altra infermità.



Il ministero dell’Interno ha chiarito che il divieto non riguarda la sola somministrazione, ma anche la vendita per asporto e pertanto le bevande alcoliche non possono essere consegnate nemmeno in confezione a chi ha meno di 16 anni.

In ordine all’accertamento dell’età del cliente la Corte di Cassazione con una sentenza ha ritenuto che in caso di incertezza sull’età del ragazzo sia necessario richiedere un documento di riconoscimento, non essendo sufficiente basarsi sulle dichiarazioni dell’interessato e pertanto commette il reato previsto dal medesimo articolo l’ esercente che serve o vende alcolici ad un minore di anni 16 anche se questi, o chi lo accompagna o ne ha la patria potestà, dichiari di avere una età superiore.

La condanna importa, nel caso di pubblici esercizi, la perdita dei requisiti di onorabilità (art. 92 TULPS) in capo al reo alla quale segue la revoca delle licenza se trattasi del titolare, nonché la sospensione dell’esercizio fino ad un massimo di due anni anche se il reato è commesso da un dipendente, mentre se trattasi di cessioni effettuate dalle altre categorie commerciali la pena accessoria è la sospensione dell’esercizio fino a due anni non essendo tali esercenti tenuti al possesso dei requisiti soggettivi previsti all’articolo 92 del TULPS e dalle altre leggi sulla somministrazione.

Trattandosi di responsabilità personale per configurarsi il reato è necessario che vi sia una condotta dell’esercente, o di un suo commesso, direttamente collegabile alla violazione della norma: in altre parole è necessario che sia l’esercente a consegnare la bevanda alcolica al minore non ritenendosi che il servire una bottiglia di vino ad un tavolo occupato da maggiorenni e minorenni possa configurare una fattispecie delittuosa. Diverso il caso in cui al medesimo tavolo si ordini un numero di consumazioni alcooliche pari a quello delle persone presenti. In tal caso scatta il divieto di servire chi non dimostra (o con l’aspetto o con i documenti) di avere più di 16 anni.

Va da sé che la richiesta dell’esibizione del documento atto a comprovare il superamento degli anni 16 non è una violazione della privacy, ma una condizione da soddisfare per poter usufruire delle prestazione richiesta.

Alla luce della applicabilità del divieto alla attività di vendita si deve ritenere che non sia legittima nemmeno la distribuzione (sia essa vendita che somministrazione) di alcolici con distributori automatici.

Articolo 691 codice penale Somministrazione di bevande alcoliche a persone in stato di manifesta ubriachezza.

L’articolo punisce chiunque somministra (o comunque fornisce) bevande alcoliche ad una persona in stato di manifesta ubriachezza. Se il colpevole è un esercente la condanna comporta la sospensione dell’esercizio fino a 2 anni, la perdita dei requisiti di onorabilità (art. 92 TULPS, L. 287/1991, leggi regionali) alla quale segue la revoca della licenza.

La “manifesta ubriachezza” è cosa ben diversa dalla ebbrezza (annebbiamento delle facoltà mentali che, tra l’altro, rende inabili alla guida di veicoli).

L’ubriachezza è qualcosa di più: è la temporanea alterazione mentale conseguente ad intossicazione per abuso di alcol (i medici usano il termine “intossicazione esogena acuta”) e si manifesta con il difetto della capacità di coscienza ed alcune volte in forma molesta.

Per aversi la ubriachezza manifesta, il comportamento in pubblico del soggetto attivo deve denunciare inequivocabilmente l’ubriachezza in modo che questa sia percepita da chiunque, con sintomi del tipo: alito fortemente alcolico, andatura barcollante, pronuncia incerta o balbettante.

Per aversi la condotta illegittima basta che l’ubriachezza sia palese, dia segni manifesti e non equivoci.

L’esercente, pertanto, non deve servire alcolici a chiunque si trovi in tale stato. Naturalmente non gli si può addebitare un comportamento antigiuridico se porta una bottiglia di alcolici ad un tavolo ove siede un ubriaco: il reato lo commette chi materialmente gli offre da bere.

Da tenere presente che l’articolo 187 del regolamento di esecuzione del TULPS , che impone agli esercenti di non rifiutare le proprie prestazioni a chi si offra di pagarne il prezzo, prevede in modo esplicito che tale obbligo non vale per i casi disciplinati dagli illustrati articoli del Codice Penale.

Più difficile “alzare il gomito” in terra francese. In arrivo il divieto di vendita di alcolici ai minori di 18 anni (oggi il limite è a 16) ma, soprattutto, la fine degli open bar, in voga soprattutto per l’ora dell’aperitivo, che permettevano il consumo illimitato di alcol a prezzo forfettario. Un’abitudine che facilita il “binge drinking”, bere solo per ubriacarsi, una pratica diffusa tra i più giovani. L’Italia invece, insieme ad Albania, Armenia, Bosnia-Erzegovina, Israele, Kyrgystan, Lussemburgo e Malta, è uno dei pochi Paesi in cui non vige il divieto di vendita ai minori. Vero è che è fatto divieto ai gestori di somministrare alcolici ai minori di 16 anni e le sanzioni per chi sgarra sono pesanti. Secondo quanto previsto dall’articolo 689 del codice penale, l’esercente che somministra bevande alcoliche a un minore di 16 anni rischia la sospensione della licenza, oltre a una pena pecuniaria da 516 a 2.582 euro. Stesse sanzioni per chi somministra alcolici a persone in manifesto stato di ubriachezza (art. 691 c.p.). E la pena è applicabile anche se al momento del servizio il gestore è assente.




FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE





http://www.mundimago.org/



Post più popolari

Elenco blog AMICI