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venerdì 15 luglio 2016

OBBLIGARE IL PARTNER AD AVERE RAPPORTI

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Se il marito obbliga la moglie ad avere rapporti sessuali, anche se lei non si oppone palesemente, è violenza. Dal matrimonio, infatti, discendono per entrambi i coniugi i medesimi diritti e doveri, ma è da escludere che sussista “un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali inteso come mero sfogo all'istinto sessuale contro la volontà del partner, tanto più se tali rapporti avvengano in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e/o violenze che costituiscono l'opposto rispetto al sentimento di stima, affiatamento e reciproca solidarietà in cui il rapporto sessuale si pone come una delle tante manifestazioni”.

Se c’è consenso tutto è lecito. Dal sadomaso all’uso di animali. Nella realtà è più facile a dirsi che a farsi. Quando è poco è motivo di addebito nella separazione, se si esagera si può arrivare alla condanna per stupro. La giurisprudenza rincorre l’evolversi dei costumi. Per i magistrati ecclesiastici dell’Ottocento era peccato mortale, per la donna, sedersi sulla ginocchia dell’uomo.
Si è passati da un’epoca in cui le cause di separazione venivano basate sul “difetto di verginità” (negli anni ’50 sul tema venivano scritti temi di diritto) a situazioni viceversa in cui sono le donne che citano in giudizio gli uomini chiedendo risarcimenti a cinque cifre per il mancato adempimento dei doveri coniugali.

Se si esamina la giurisprudenza, si evince come, a parte alcuni principi di diritto chiaramente espressi, poi quando ci si addentra nei casi concreti, ci si trova spesso di fronte a decisioni contrastanti tra loro.
Non infrequentemente infatti la Corte di Cassazione modifica sentenze di primo o secondo grado in senso diametralmente opposto.

Per comprendere gli attuali orientamenti giurisprudenziali è necessario partire dai presupposti del codice civile. Invero tra gli obblighi che derivano dal matrimonio e dai quali dipendono diritti e doveri vicendevoli, non emerge nulla di specifico in tema di rapporti sessuali (art.li 143 e seg.ti c.c.).
L’unico punto dal quale si può far discendere indirettamente una previsione legislativa è quello del secondo comma dell’art. 143 c.c. che prevede come “…Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia, ed alla coabitazione”.
Ovviamente va ricordato che il codice è stato promulgano nel 1942, e cioè in un’epoca in cui di sessualità non se ne parlava nemmeno o al massimo si parlava genericamente di debito coniugale.

Se dunque in ambito legislativo civilistico ben poco è dato rinvenire sul punto, del tutto diversa è la situazione sotto il profilo giurisprudenziale, laddove la questione dei rapporti sessuali tra coniugi è stata oggetto, ed è tuttora oggetto, di innumerevoli incisivi interventi.
Sostanzialmente i giudici hanno statuito come il diritto-dovere di intrattenere rapporti sessuali tra i coniugi, spetti ad entrambi in modo paritario ed è equiparabile a tutti gli altri diritti e doveri stabiliti nella normativa codicistica.
L’attuale orientamento indica dunque che sussiste in capo ad entrambi i coniugi un vero e proprio diritto-dovere vicendevole per ciò che concerne i rapporti sessuali, diritto-dovere che discende proprio dal contratto matrimoniale.
Da ciò ne deriva, come conseguenza giuridica, che il sottrarsi ripetutamente a tale obbligo, indipendentemente dal fatto che l’omissione si riferirebbe all’uomo o alla donna, possa dar luogo all’addebito della separazione, in quanto sussisterebbe una espressa violazione delle obbligazioni sul tema, previste dalla normativa vigente.
Tuttavia tale rifiuto deve apparire ingiustificato e comunque ripetuto nel tempo; ciò in quanto, diversamente, non potrà discenderne alcun addebito della separazione.
In sostanza dunque il mancato accordo tra coniugi circa i rapporti sessuali, il tipo di rapporti, la frequenza degli stessi e simili, legittima, inficiando la comunione materiale e spirituale tra gli interessati, la domanda di separazione.
Tutt’altro è il discorso che riguarda l’addebito.
Infatti la Cassazione ha ritenuto che l’addebito possa essere pronunciato per tale motivo, solo se sussista una “colpa” da parte del coniuge che si sottrae a tali rapporti, colpa che deve consistere appunto in un rifiuto ingiustificato e ripetuto nel tempo.
Tutto questo, secondo la giurisprudenza, in quanto il sottrarsi ad un “normale” rapporto fisico, comporta e legittima la richiesta dell’addebito all’altro coniuge.
Il rifiuto della sessualità infatti, senza alcuna giustificazione, dà luogo all’offesa della dignità della persona, comportante con la reiterazione di tale rifiuto anche un pregiudizio sul piano personale e psicologico ed una lesione del diritto costituzionalmente garantito alla salute psichica.

La questione dell’addebito della separazione non è rilevante nella maggioranza dei casi, ma può divenire particolarmente importante ove il coniuge “colpevole” dovesse avere diritto all’assegno di mantenimento.
Infatti va ricordato che gli unici effetti attuali dell’addebito della separazione, a parte quelli morali, sono di precludere i diritti ereditari (che comunque cesserebbero con il divorzio) e di comportare la perdita per il coniuge, (ove questi ne avesse teoricamente diritto), al mantenimento a carico dell’altro.
Tale conseguenza, deriva appunto dalla responsabilità nel fallimento dell’unione coniugale e cioè per aver violato gli obblighi matrimoniali.
Questo su un piano teorico.
Sul piano pratico va detto però, se l’omissione dei rapporti sessuali è uno dei motivi di addebito che frequentemente vengono richiesti nell’ambito della separazione, (è evidente che se sussiste contrasto fra coniugi vi sarà anche un rifiuto dei rapporti fisici), quasi sempre è ravvisabile il rigetto di tali pretese da parte dei giudici di merito.



Tale orientamento negativo dei giudici è ravvisabile sia in quanto è difficile dimostrare ciò che si assume essere accaduto o non accaduto tra le lenzuola, sia perché il rifiuto dei rapporti sessuali è quasi sempre giustificato e conseguenza degli altri motivi che già in precedenza avevano comportato il fallimento dell’unione, facendo cessare la pregressa comunione materiale e spirituale tra i coniugi.
Nei rari casi in cui il rifiuto di avere rapporti sessuali con l’altro coniuge è stato ritenuto rilevante, si trattava di situazioni limite, in cui il rifiuto di intrattenere rapporti sessuali appariva ammesso in sede di interrogatorio, ed ingiustificato, essendo utilizzato quale mezzo di punizione o ritorsione.

E’ dunque pacifico che, ove il rifiuto appaia giustificato, (si pensi a disturbi fisici o psichici che rendano inidoneo il coniuge ad intrattenere rapporti fisici e sessuali oppure ad una crisi di stima nella relazione, o alle innumerevoli fattispecie che minano dalle fondamenta il rapporto di coniugio), nulla quaestio per i giudici.
L’interessato potrà ricorrere, ove lo ritenga, al procedimento di separazione personale dei coniugi, ma senza invocare l’addebito.
Infatti, secondo la giurisprudenza, vi è certamente l’obbligo di tenere conto delle esigenze del proprio compagno di vita, di rispettarne i desideri.
Ciò, non solo sotto il profilo del tipo di rapporti sessuali richiesti o concessi, ma anche sotto il profilo della frequenza degli stessi.
In numerose occasioni, i giudici hanno considerato legittimo il legittimo rifiuto allorché la pretesa (in genere dell’uomo) sia eccessivamente continuativa o ripetitiva, senza alcun rispetto della sensibilità e delle esigenze dell’altro coniuge.
Dunque, se non esiste un diritto di uno dei due ad imporre le proprie pretese sul piano fisico, non esiste neanche il diritto di stabilire unilateralmente la frequenza, né la tipologia dei rapporti sessuali.
Ovviamente se emergono contrasti su tale punto, ciascun coniuge è libero di rivolgersi al tribunale e di richiedere la separazione, ma non è certo ravvisabile un diverso diritto, dell’uno sull’altro, di imporre forzatamente le proprie pretese.
E’ interessante notare sotto questo profilo come, in più occasioni, la Corte di Cassazione abbia precisato che, seppure determinati tipi di rapporti o costumi sessuali particolarmente aperti, fino a giungere ad incontri con altri partner o a scambi di coppia e simili, non costituiscano alcun illecito, se vengono accettati o richiesti anche dall’altro coniuge, poi un successivo ripensamento di questi appaia assolutamente legittimo, nè sussista un diritto del coniuge a proseguire in determinate pratiche sessuali se, ad un certo punto, l’altro decida di interrompere.
Ciò indipendentemente da un mutamento psicofisico, ma anche semplicemente per una diversa manifestazione di volontà.

Se si esaminano le sentenze di merito e di legittimità è pacifico come ormai manchi qualsiasi forma di censura relativamente alle modalità, al tipo ed alle caratteristiche dei rapporti sessuali di coppia.
La moralità fa sicuramente passi da gigante, complici i suggerimenti di internet che suppliscono alla mancanza di fantasia delle coppie.
Dalle sentenze emergono le situazioni più disparate, per non parlare di ciò che era oggetto delle sentenze dei magistrati ecclesiastici di qualche tempo fa: si va dal peccato “sicuramente mortale” di una ragazza che si siede sulle ginocchia del fidanzato (Mons. Bouvier – Manuale dei confessori 1837), ad acute dissertazioni sui rapporti sessuali in ascensore (Cassazione 10060/2001) alle galanterie di un elettricista che intratteneva sessualmente entrambe le sorelle (Cassazione 2012), al sesso di gruppo (quale motivo di addebito per entrambi Cass. Maggio 2004), fino all’utilizzo di animali nei rapporti sessuali (Trib. Bolzano 05/02/2010) per finire con pratiche sadomaso di gruppo (Corte Europea 17/02/2005).
Questa ultima decisione è di estrema importanza sia perché emessa a Strasburgo in ambito europeo consolidando un indirizzo ormai recepito dalla comunità internazionale, sia per la particolarità della fattispecie trattandosi di due cittadini belgi di cui uno magistrato sessantenne e l’altro un medico di cinquantasei anni che ricorrevano alla Corte Europea contestando la loro condanna nelle pratiche sadomasochistiche estreme con la moglie del magistrato, eccependo che fosse stato violato il diritto al rispetto della loro vita privata e che non sussistesse alcuna violazione del principio di legalità.
La Corte respingeva le censure, precisando che ciascun individuo può rivendicare il diritto di esercitare le pratiche sessuali che ritiene nel modo più libero possibile, purché però vi sia il rispetto dell’altra persona (nel caso in esame la vittima di tali pratiche ad un certo punto dei “giochi” si tirava indietro), costituendo tale obbligo di rispetto il limite alla libertà.
La Corte in sostanza non censurava la particolarità dei “giochi sessuali” (ove venivano usate secondo la dizione della sentenza, fruste, aghi, pinze, cera bollente, scosse elettriche, et similia), ma in quanto ad un certo punto era mancato il consenso della moglie del magistrato, pur se inizialmente consenziente.
Ogni pratica estrema e violenta, statuisce la sentenza, non è scriminata in quanto si esercita un diritto, ma viene censurata nei limiti della mancanza di disponibilità e di consenso della vittima.

Ma cosa accade se il clima di terrore che si respira in casa, induce la donna ad accettare qualsiasi compromesso – anche lesivo della propria libertà sessuale – pur di difendere fragili equilibri sociali, o di non mettere a repentaglio la sua vita, o quella dei figli?

Accade che la poverina finirà per accettare il “gioco al massacro”, acconsentirà a rapporti sessuali non realmente desiderati.

E lo farà in silenzio, senza nulla far percepire al partner. Troppo pericoloso dire NO! E allora, mi si permetta il termine, quella donna accetterà di essere “stuprata psicologicamente”.

Lo stupro coniugale – come dai più definito – è, purtroppo, un delitto “dai grandi numeri”. Altissime sono le percentuali delle violenze commesse proprio dall’uomo che si ha accanto. Del resto, non si può sottacere come in talune realtà, viga ancora la primitiva ottica per cui “il maschio”, con il matrimonio, acquista il debitum coniugale, ovvero il diritto alla fisica congiunzione con la moglie, ormai di sua “proprietà”. Diritto che, nei tempi passati, prendeva le forme di una sorta di esimente, di una causa di giustificazione (tacitamente recepita dai giudici), in virtù della quale, lo stupro era lecito – o comunque punito in maniera più leggera – proprio perché commesso nei confronti della coniuge.



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domenica 25 ottobre 2015

LEGITTIMA DIFESA



Svegliato dai rumori in piena notte, ha sorpreso un ladro in casa. Gli ha sparato con una pistola ‘regolarmente detenuta’, uccidendolo. A Vaprio D’Adda, in provincia di Milano, è andato in scena un (brutto) film già visto. Che fomenta una polemica mai placata in Italia. Il pensionato che ha sparato al ladro, un immigrato di 28 anni, è indagato per omicidio volontario. Un atto necessario per eseguire tutti gli accertamenti e valutare se sussistano i presupposti per riconoscere l’eccesso colposo in legittima difesa o la legittima difesa, come ha chiarito la Procura. E in materia, le modifiche apportate del 2006 al codice penale ancora oggi continuano a dividere. La politica più che i giuristi. Poi c’è la cronaca. Solo pochi giorni fa è stata chiesta l’assoluzione per Franco Birolo, il tabaccaio che a Civè di Correzzola, nel Padovano, uccise nel 2012 un ladro di origine moldava che nel cuore della notte si era introdotto nel suo negozio. Intanto, il leader della Lega Matteo Salvini – già intervenuto qualche giorno fa dopo la rapina avvenuta a Ercolano – ha subito commentato l’ultima vicenda su Facebook: “Pazzesco: giù le mani da chi si difende! Se si trattava di un ladro morto “sul lavoro”, non mi dispiace più di tanto: se l’è andata a cercare”.

La legittima difesa applicata anche ai beni, oltre che alle persone è un concetto già noto negli altri Paesi europei. In Germania l’eccesso di legittima difesa, intanto, non è punito anche qualora sia dovuto “a turbamento, paura o panico” ed è generalmente riconosciuto anche nel caso del ladro che fugge con la refurtiva, a patto che ci sia proporzione tra il valore dei beni e la reazione. In Olanda, invece, la legittima difesa è limitata alla tutela contro un’aggressione – immediata e illegittima – dell’incolumità, del pudore (per i reati a sfondo sessuale) e del patrimonio. Ma anche in questo caso è prevista la non punibilità dell’eccesso di difesa, qualora sia la conseguenza immediata di una violenta emozione provocata dall’aggressione. Per quanto riguarda la difesa della dimora, invece, in Spagna ci si può difendere da qualsiasi indebita introduzione.

La legittima difesa (disciplinata dall'art. 52 del codice penale), è una sorta di "autotutela" che l'ordinamento giuridico italiano consente nel caso in cui insorga un pericolo imminente (per sé o per altri) da cui è necessario difendersi e non ci sia la possibilità di rivolgersi all'autorità pubblica per ragioni di tempo e di luogo. Probabilmente il legislatore ha voluto tenere conto di un'esigenza del tutto naturale che è legata all'istinto di reagire quando si viene aggrediti.
Non bisogna però confondere la legittima difesa con la vendetta perché quest'ultima è una reazione che avviene dopo che la lesione è stata già provocata mentre si parla di legittima difesa quando si reagisce a una aggressione e tale reazione rappresenta l'unico rimedio possibile nell'immediato per evitare una offesa ingiusta.

Art. 52 codice penale.

La legittima difesa. Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, violazione di domicilio, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumità:
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.



I presupposti essenziali della legittima difesa sono costituiti da un lato dall'insorgenza del pericolo (generalmente determinato da un'aggressione ingiusta) e da una reazione difensiva: l'aggressione ingiusta deve concretarsi nel pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, può sfociare nella lesione di un diritto proprio o altrui (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge; la reazione legittima deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e deve sussistere comunque una proporzione tra difesa ed offesa.

Il riferimento al diritto proprio o altrui è diretto ad escludere che possano essere oggetto di reazione gli interessi pubblici dello Stato, quelli diffusi e collettivi o quello alla generica osservanza della legge. La difesa è legittima in tutte quelle ipotesi in cui il rapporto tra offesa temuta e reazione difensiva si pone cronologicamente nei termini dell'immediata prossimità dell'offesa ovvero della contestualità dell'immediata successione della difesa.
L'offesa ingiusta si concreta in una minaccia o in un'omissione contraria alle regole del diritto; la reazione difensiva si configura quale necessaria quando la difesa si risolve nell'unica scelta possibile, in base alle condizioni in cui si verifica l'offesa e alle reali alternative di salvaguardia a disposizione dell'aggredito; proporzionata è la difesa valutata non più in base al rapporto tra i mezzi disponibili e quelli effettivamente usati, ma alla stregua dei beni in gioco e dei disvalori delle condotte poste in essere.

Si parla di eccesso colposo di legittima difesa a fronte di una reazione di difesa eccessiva: non c'è volontà di commettere un reato ma viene meno il requisito della proporzionalità tra difesa ed offesa configurandosi un'errata valutazione colposa della reazione difensiva.
La norma di riferimento nell'articolo 55 del codice penale:

Art. 55. Eccesso colposo.
Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

L'onere della prova incombe sul soggetto che ha difeso il diritto proprio o altrui e che dovrà indicare i fatti e le circostanze dai quali si evince l'esistenza della scriminante.

La valutazione è rimessa al libero convincimento del giudice che terrà conto di un ragionevole complesso di circostanze oggettive: l'esistenza di un pericolo attuale o di un'offesa ingiusta; i mezzi di reazione a disposizione dell'aggredito e il modo in cui ne ha fatto uso; il contemperamento tra l'importanza del bene minacciato dall'aggressore e del bene leso da chi reagisce.

La legittima difesa putativa è quando sussistono i requisiti della legittima difesa, si esclude l'antigiuridicità dell'azione di chi reagisce ad un aggressore. Può accadere però che per un errore di fatto un individuo si creda minacciato mentre effettivamente il pericolo non sussiste.
Si parla in questo caso di legittima difesa putativa.
La legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la sola differenza che nella prima la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente ma è supposta dall'agente sulla base di un errore scusabile nell'apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza del pericolo attuale di un'offesa ingiusta; sicché, in mancanza di dati di fatto concreti, l'esimente putativa non può ricondursi ad un criterio di carattere meramente soggettivo identificato dal solo timore o dal solo stato d'animo dell'agente.
Una recente sentenza della corte di cassazione (n. 28224/2014) ha chiarito che "l'errore scusabile, nell'ambito della legittima difesa putativa, deve trovare un'adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell'agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo di un'offesa ingiusta".  Nella fattispecie esaminata dalla corte è stata esclusa La sussistenza della legittima difesa in un caso in cui un'autovettura si era introdotto in una masseria facendo manovre spericolate suonando più volte il clacson. Gli imputati a quel punto avevano preso proprio veicolo in seguito la macchina e sparato diversi colpi di arma da fuoco.
Un tipico esempio di legittima difesa putativa è quella di chi nell'oscurità viene aggredito per scherzo da un amico con un'arma finta. Se l'aggredito proprio per il buio non riesce a riconoscere il suo amico e, credendo di essere in pericolo reagisce ferendolo o uccidendolo, la sua azione può rientrare nel campo della legittima difesa putativa.



Ridurre la discrezionalità dei giudici sulla legittima difesa favorendo una piu’ uniforme applicazione della norma. E’ questo l’obiettivo di una proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia alla Camera sull’onda del caso del pensionato accusato di omicidio volontario e dell’albanese ucciso mentre stava per commettere una rapina in casa sua. Ma, in realtà, è da tempo che Fratelli d’Italia – come ha spiegato Giorgia Meloni– ha in in preparazione una nuova nuova normativa per casi così delicati e purtroppo aumentati di numero. La proposta, che ha come primo firmatario Ignazio La Russa, modifica l’articolo 52 del codice penale in due punti. Nel primo si equiparano a luoghi come abitazioni, negozi, studi o uffici, le loro «immediate adiacenze agli stessi, sempreché l’offesa ingiusta risulti in atto».

Nel secondo punto della proposta presentata da Fratelli d’Italia si interviene su quella proporzionalità della difesa in rapporto all’offesa che è cardine per il giudizio sulla legittimità di difesa. La proposta avanzata da Fdi è quella di circostanziare e rafforzare la presunzione assoluta di tale proporzionalità nei casi in cui il pericolo di aggressione a persone o beni avvenga da parte di chi si introduce illegalmente nelle ore notturne o, anche nelle ore diurne, se l’aggressione sia tale da provocare uno stato di particolare paura o agitazione nella persona offesa. Con tale proposta «si vuole rafforzare la tutela delle persone oneste, altrimenti esposte al pericolo di lunghe e dolorose indagini giudiziarie per il solo fatto di aver dovuto fronteggiare un pericolo di aggressione non certo auspicato e di fronte al quale sono state costrette ad agire legittimamente», spiega La Russa ricordando come, la difformità dei giudizi sulla legittima difesa derivi «inevitabilmente» anche dalla legge modifica del codice penale del 2006 – che lo vide tra «i protagonisti  frutto di tante mediazioni». La proposta di Fdi non interviene invece sul porto d’armi, essendo le «due questioni distinte».
 «La difesa è sempre legittima»
Ha dichiarato Giorgia Meloni «A Piazza Pulita ho sostenuto un principio semplice: la difesa è sempre legittima. Se un cittadino sorprende un delinquente nella sua proprietà, deve potersi difendere con ogni mezzo e senza il rischio di essere indagato. Il motivo? Un cittadino non può sapere se quel delinquente vuole rubare, uccidere o stuprare. Ma evidentemente questo principio sacrosanto non va bene ai soliti esponenti radical chic di certa intellighentia, che con i loro telecomandi degli allarmi, le loro porte blindate e le loro guardie del corpo fuori la porta, non hanno di questi problemi. Noi stiamo con chi si difende. Senza se e senza ma».

La Lega ha presentato una proposta di legge che consentirebbe a chi viene aggredito di difendersi, sempre e comunque. “Quando eravamo al governo – dice il leader Salvini - avevamo cercato di rendere meno rigide le norme sulla legittima difesa”. La posizione del Carroccio è chiara: “Cancellare il reato di eccesso di legittima difesa che è un assurdo giuridico”. E il leader annuncia: “Su questo tema l’8 novembre a Bologna raccoglieremo anche le firme, perché non è concepibile che uno che si difende in casa propria rischia più di chi lo aggredisce o lo deruba”. E sul confronto con gli Usa: “Nessuno insegue il modello americano, nessuno vuole che la gente si armi fino ai denti comprando pistole come fossero caramelle. Ma non vogliamo nemmeno che si venga criminalizzati solo perché si possiede un fucile”.

“Invito Salvini a una maggiore prudenza quando interviene su questioni così drammatiche, anche perché parliamo di una persona che è morta”. Arturo Scotto, capogruppo di Sel alla Camera non ci sta: “Dopo l’ennesima strage degli Stati Uniti d’America si dibatte della riduzione dell’uso delle armi, mentre in Italia si inviano messaggi devastanti. Impossibile aprire il dialogo sull’eccesso di legittima difesa, piuttosto mi concentrerei sul modo in cui il governo affronta la questione sicurezza perché è lo Stato che dovrebbe garantirla ai cittadini. Salvini gioca con il fuoco”.

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