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lunedì 8 agosto 2016

RAZZISMO ITALIANO


Il razzismo in Italia è un fenomeno storico, sicuramente complesso, difficilmente definibile univocamente. In parte potrebbe affondare le sue radici indietro nel tempo, ma non vi sono prove di una sua continuità del o di un collegamento ideologico tra i diversi fenomeni nelle diverse epoche.

In senso stretto razzisti, i primi movimenti legati esplicitamente al mito della razza, ariana, pangermanica o italica, affondano le loro radici nel razzismo "scientifico" del XIX secolo, generatrice di xenofobia e segregazione razziale, base per l'avvento dei fascismi europei del XX secolo prima in Italia con il fascismo e poi con connotazioni razziste più marcate in Germania con il nazismo, parallelamente a fenomeni razzisti nella società statunitense di tutt'altro ordine sociale, come quelli propugnati dal Ku Klux Klan.

Dal punto di vista storico le leggi razziali fasciste, esempio concreto di tale fenomeno, sono state un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi varate in Italia fra gli anni trenta e gli anni quaranta del Novecento, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana.

Un esempio documentabile, ma in una ben precisa ottica storica, ci giunge dall'inizio del XVI secolo, epoca in cui iniziarono ad essere costruiti ghetti dove avveniva una segregazione nei confronti degli ebrei. Ciononostante il razzismo o comunque i sentimenti ostili verso gli ebrei hanno radici ancora più profonde. Ancor oggi l'aggettivo "farisaico" è spesso usato con il significato offensivo di "ipocrita" e denota la permanenza di un sottofondo razzista e antiebreo.

A partire dall'unificazione d'Italia, gran parte del sistema politico e culturale italiano, influenzato dalle teorie internazionali del razzismo scientifico del positivismo e dell'eugenetica si orientò verso posizioni razziste e anti-meridionali (e molti studiosi meridionali sostennero a loro volta l'anti-meridionalismo). Di questo clima politico e culturale furono artefici tra l'altro le pubblicazioni del criminologo Cesare Lombroso (le cui teorie tentavano di dimostrare la possibilità di identificare l'"innata natura criminale" di alcuni individui attraverso le loro caratteristiche fisiche, e i cui studi si incentrarono spesso sui "briganti" meridionali), le teorie di Luigi Pigorini e soprattutto di Giuseppe Sergi (messinese, fondatore della Società Romana di Antropologia) e di Alfredo Niceforo (castiglionese, presidente della Società Italiana di Antropologia e della Società Italiana di Criminologia), che scriveva:«La razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiorno d'Italia dovrebbe essere trattata ugualmente col ferro e col fuoco - dannata alla morte come le razze inferiori dell'Africa, dell'Australia, ecc.».

Si ricordano inoltre, Enrico Ferri, secondo cui la minore criminalità nell'Italia settentrionale derivava dall'influenza celtica, Guglielmo Ferrero, Arcangelo Ghisleri, nonché moltissimi altri magistrati, medici, psichiatri, uomini politici, che influenzarono grandemente l'opinione pubblica italiana e mondiale.

Non furono posizioni isolate, al contrario era la convinzione «scientifica» della quasi totalità degli uomini di cultura europei, nonché dei ceti dominanti e dell'opinione pubblica dell'epoca. Già nel 1876 la tesi razzista fu pienamente avallata dalla commissione parlamentare d'inchiesta sulla Sicilia che concluse:
«la Sicilia s'avvicina forse più che qualunque altra parte d'Europa alle infuocate arene della Nubia; in Sicilia v'è sangue caldo, volontà imperiosa, commozione d'animo rapida e violenta».
Cioè le stesse caratteristiche «psico-genetiche» che, con lo stesso identico linguaggio, i razzisti di tutto il mondo attribuivano alla cosiddetta «razza» nera. E di questo erano accusati i mediterranei: di essere «meticci», discendenti di popolazioni preistoriche di razza africana e semitica.

L'accettazione già a fine ottocento della teoria dell'esistenza di almeno due razze in Italia, la eurasica, giapetica ariana e la eurafricana afro-semitica, contribuì in modo determinante alla nascita di un diffuso razzismo anti-meridionale nel nord Italia e in tutto il mondo. Basandosi sulle dichiarazioni degli scienziati italiani molti Stati degli USA diedero luogo a forme esplicite di discriminazione nei confronti dei meridionali (in particolare gli stati di Alabama, Georgia, Louisiana). Più in generale gli immigrati italiani venivano separati al loro arrivo a Ellis Island (New York) e computati in due diversi registri: razza iberica/mediterranea da una parte e razza alpina dall'altra. Divisione ufficialmente avallata dalla Commissione Dillingham del Senato degli Stati Uniti che nel 1911 ribadì la stretta correlazione degli Italiani del Sud con gli Iberici della Spagna ed i Berberi del Nord Africa. Il "Dictionary of Races and Peoples" precisò inoltre l'appartenenza etnica al Sud Italia dell'intera penisola propriamente detta, compresa la Liguria ("All of the people of the peninsula proper and of the islands of Sicily and Sardinia are South Italian. Even Genoa is South Italian" pg. 81). La "razza Hamitica", di cui gli "Italiani del Sud" avrebbero fatto parte, pur non essendo connessa alla razza nera, avrebbe avuto alcune tracce di sangue negroide in Nord Africa ed in alcune zone della Sicilia e della Sardegna, con rilevanza non solo nell'aspetto fisico, ma anche nel carattere e nelle inclinazioni».

Ai siciliani, infatti, per via della più recente commistione (nel periodo arabo) con mori e saraceni, spettava nel profondo sud americano un trattamento ancora peggiore ed erano sottoposti ad un vero e proprio apartheid economico, politico e sociale. All'epiteto «dago» riferito agli italiani in generale (forse dal nome spagnolo Diego o più probabilmente da dagger = accoltellatore) veniva loro in più anteposto l'aggettivo «black» (nero) per rimarcare la loro presunta «negritudine». In Louisiana prima della seconda guerra mondiale, anche se nati in America non potevano frequentare le scuole per i soli bianchi ed erano perciò obbligati a frequentare le scuole dei neri. In Alabama erano formalmente soggetti alle leggi anti-miscegenation. La loro paga era generalmente inferiore a quella degli stessi neri, inoltre erano spesso minacciati dal Ku Klux Klan e linciati per futili motivi: documenti locali affermano che gli «italiani» furono il gruppo più numeroso di vittime di linciaggio dopo i neri (e secondo quanto riportarono alcune fonti dell'epoca, furono il 90% di tutti i linciati che immigravano dall'Europa).

In epoca contemporanea, nel XX secolo il razzismo e l'antisemitismo vennero istituzionalizzati con le leggi razziali fasciste, differenti ma parallele a posizioni contemporanee già emerse nella Germania nazionalsocialista.

Le posizioni razziste erano condivise e avallate da diverse autorità, anche estranee al partito fascista, come si può evincere dagli scritti di personalità della cultura nazionale e dalle firme apposte in calce al manifesto della razza. Va sottolineata la distanza, in questo ambito, dalla concezione eugenetica del razzismo, spesso osteggiata anche da chi, come il gesuita padre Angelo Brucculeri, e altri cattolici, avallava le posizioni fasciste in ambito razziale. Il fascismo era fortemente permeato da una politica demografica senza se ne ma, e le politiche pronatalistiche del regime spesso non coincidevano con i concetti di disgenia espressi dai più convinti eugenetisti, come Leonardo Bianchi.

Posizioni, al contrario, a favore dell'eugenetica, fin dagli anni venti, si erano manifestate anche in altre aree culturali. Precedentemente, infatti, relativamente alla pubblicazione de Sul problema di Malthus, nel 1928, Brucculeri era già stato criticato, tra i tanti da Pietro Capasso su Il pensiero Sanitario per non appoggiare sufficientemente l'eugenica, ma la politica demografica fascista poggiava appunto su basi differenti e tendenzialmente non eugenetiche, rispetto a quella della Germania. Pietro Capasso, ed altri, firmarono il Manifesto di Benedetto Croce, nel 1925, in opposizione al fascismo, ma si dimostrarono diversamente attenti in termini razzisti a questi aspetti.

I concetti razzisti vennero ripudiati successivamente dall'Italia con la Costituzione repubblicana, come è affermato con chiarezza nell'articolo 3, nel comma 1 per l'uguaglianza formale, e nel comma 2 per l'uguaglianza sostanziale. Dal XIX secolo in poi si è diffuso, soprattutto nel nord, in conseguenza delle ricadute in termini umani e socioeconomici della questione meridionale. La terminologia venne usata per la prima volta nel 1873 dal deputato radicale lombardo Antonio Billia, il razzismo contro gli abitanti del sud della penisola.

Nonostante il capolinea del razzismo scientifico, rigettato come pseudoscienza subito dopo la seconda guerra mondiale, non fu modificata la mentalità formatasi in quasi un secolo di propaganda, e forme inconsce e semi-clandestine di razzismo antimeridionale hanno persistito fino ad oggi e sono spesso documentate da denunce pervenute a livello mondiale.



Nel XXI secolo si sono aggiunti fenomeni di avversione contro i popoli semiti (gli arabi). In particolare l'Antisemitismo anti-ebraico, che ha origini storiche e religiose più antiche, secondo molte indagini demoscopiche continua ad esistere in tutta Italia, sebbene in forme meno manifeste. Secondo la ricerca promossa nel 2003 dall'Unione delle comunità ebraiche italiane e condotta dal Dipartimento di ricerca sociale e metodologia sociologica Gianni Statera presso la facoltà di Sociologia dell'Università La Sapienza di Roma su 2.200 ragazzi tra i 14 e i 18 anni di 110 Comuni italiani, la punta massima del razzismo ad alta intensità si riscontra nel "profondo nord" con il 27.8% degli intervistati e la minima nel "sud urbano" con il 10.6% degli intervistati.

Accanto a queste sono sorti anche numerosi episodi di razzismo e xenofobia ai danni dei Rom e dei Sinti (etnie comunemente identificate con i termini zingari, gitani o semplicemente "nomadi"). Più recentemente atteggiamenti razzisti e soprattutto xenofobi, sono principalmente diretti verso gli stranieri immigrati, comunitari di nuova acquisizione e extracomunitari.

In particolare, azioni e dichiarazioni della Lega Nord sono state definite xenofobe e razziste da svariate fonti estere. Alcune azioni isolate come il tentativo di bruciare extracomunitari senza fissa dimora o come l'assassinio del 20 settembre 2008 di Abdul Salam Guibre, nativo del Burkina Faso sono state contestate come razziste, ma altre visioni considerano il razzismo elemento accessorio dei crimini.

L'Osservatore Romano, il quotidiano ufficiale della Città del Vaticano indicò il razzismo come elemento cardine nella rivolta di Rosarno. L'affermazione dell'allora primo ministro Silvio Berlusconi concernente l'elezione del presidente di Stati Uniti Barack Obama, e l'abbronzatura della sua pelle guadagnò titoli sulle pagine dei giornali di area anglosassone. Secondo Eurobarometro, gli italiani avrebbero il più alto livello nella graduatoria in Europa della discriminazione praticata dai nativi verso l'etnia rom, dopo gli austriaci e i cechi, e il terz'ultimo per capacità di adattamento a convivere con persone di etnia rom come vicini di casa. La relazione fra razzismo e sessismo è stata studiata anche in Italia, infatti entrambi i sistemi di dominazione condividono un approccio essenzialista ovvero la naturalizzazione di costrutti sociali.

In Italia  l'Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali)  promuove iniziative nell'ambito della scuola, della cultura e dello sport, per invitare a riflettere sulla tolleranza sancita dall'articolo 3 della nostra Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Secondo una ricerca Ipsos Mori, gli italiani credono che il 30% della popolazione sia composta da immigrati, 20% dei quali musulmani.
Una vera e propria «invasione», su cui si sviluppano convinzioni xenofobe del tipo: «ci rubano il lavoro», «stuprano le nostre donne», «rubano», «puzzano».
Un lucido sguardo ai dati prova che non c'è nessuna invasione in corso: secondo l'ultima rilevazione Istat, gli stranieri residenti in Italia si assestano intorno all'8,3%. Tra questi, un buon numero proviene dall'Unione Europea, mentre i cosiddetti “extra-comunitari” sono il 5,7% della popolazione totale; scende al 3,7% la percentuale dei musulmani. È vero, nell'ultimo anno le richieste di asilo sono aumentate, ma vanno considerate relativamente a un paese di 742 milioni di abitanti. Nel primo semestre del 2015 in Italia le richieste sono state 251 per ogni milione di abitanti, vale a dire circa 83 al mese.

Secondo l'Istat, il primato degli stranieri residenti in Europa è detenuto dalla Svizzera con il 23,8%, seguita da Austria (12,4%), Irlanda (11,8%) e Belgio (11,3%).
Sono dati da interpretare: gli Stati che prevedono lo ius soli (nascendo in un dato territorio se ne acquisisce la cittadinanza) tendono ad avere una percentuale di stranieri più bassa, perchè i figli di immigrati non entrano in queste statistiche. Inoltre, la preminenza della Svizzera è dovuta alla forte presenza di immigrati da territori limitrofi (Francia, Germania e Italia).
A ogni modo l'Italia, con l'8,3% di stranieri residenti, si classifica all'ottavo posto. Il saldo migratorio è quindi superiore alla media europea, ma inferiore ai Paesi cui ci si paragona: oltre a quelli citati, contano più stranieri di noi anche Spagna, Norvegia e Germania. Fa eccezione la Francia, al 6,3%: proprio per la questione dello ius soli.
Occorre anche notare che non tutti gli immigrati approdati in Italia vi rimangono: molti proseguono il viaggio verso altre destinazioni europee.

La comunità straniera più numerosa sul suolo italiano è quella romena (22,0%) seguita a distanza da quella albanese (10%) e marocchina (9,2%), cinesi (5,2%) e ucraini (4,5%).
Le cinque regioni con la maggiore incidenza della popolazione straniera sono: Emilia-Romagna (12%), Lombardia (11,5%), Umbria (11%), Lazio (10,8%), Toscana (10,5%).
Ognuna di queste comunità è vittima di luoghi comuni. I romeni, in particolare, sono diventati un capro espiatorio; qualcuno continua a chiamarli “zingari” e pensa vivano di accattonaggio, in campi abusivi ai margini delle città. Eppure, i romeni non sono più nomadi: la maggior parte di loro vive in abitazioni stabili e lavora – di fatto, l'1,2% del Pil italiano è garantito dai “rom”.

Le destre sono in avanzata in Europa e non solo, e l'Italia non fa eccezione: i militanti di CasaPound e Forza Nuova sono cresciuti costantemente negli ultimi anni, soprattutto tra i giovani delusi dalla politica e depressi dalla crisi. Questi gruppi, talvolta in sintonia con Lega Nord, promuovono una retorica anti-immigrati che arriva ad attacchi volgari e apertamente razzisti.
Complici del razzismo anche siti o pagine web come Informare per Resistere, che ha raggiunto un numero imponente di “like” su Facebook, o Tutti i crimini degli immigrati, che hanno spesso il preciso obiettivo di spargere bufale online, alimentando l'intolleranza.

Una ricerca condotta dal Pew Research Center ha rivelato che l'86 % degli italiani è prevenuto nei confronti dei rom, mentre il 61% è sfavorevole ai musulmani e il 21 % guarda gli ebrei con sospetto. L'atteggiamento nel resto dell'Ue è più rilassato: Germania, Spagna e Gran Bretagna hanno una visione più positiva dei rom – la Francia è più vicina a noi, con il 60% di “antipatia”.
Gli stessi Paesi hanno percentuali invertite rispetto alle nostre per i musulmani: meno del 40% della popolazione ne ha un'opinione ostile.
Nel caso degli ebrei, solo i polacchi sono più intolleranti: 28%.

Il Censis rileva che appena il 17,2 % degli italiani afferma di trovare “comprensione” e di avere un approccio “amichevole” nei confronti degli immigrati; quattro italiani su cinque si dividono invece tra “diffidenza” (60,1%), “indifferenza” (15,8%) e “aperta ostilità” (6,9%), mentre due italiani su tre (65,2%) pensano che gli immigrati in Italia siano semplicemente troppi.
La metà della popolazione (55,3 %) ritiene che nell’attribuzione degli alloggi popolari, a parità di requisiti, gli italiani dovrebbero essere inseriti in graduatoria prima degli immigrati e circa la metà pensa che in scarsità di lavoro sia giusto dare la precedenza agli italiani nelle assunzioni.

Sebbene sia opinione comune dei razzisti che gli stranieri siano tutti – o in gran parte – criminali, secondo i dati dell'associazione Antigone solo il 32% di detenuti è straniero: 17.403 su un totale di 53.889. Spesso si trovano dietro le sbarre per reati minori: il 50% di loro sconta pene inferiori o pari a un anno, mentre il 12% è condannato a oltre 20 anni, contro l'88% dei nostri connazionali. Rispetto alla media europea, quella italiana di stranieri incarcerati è superiore di 11 punti percentuali.
Gli stranieri contribuiscono all'8,6% del Pil.
Secondo il Rapporto annuale sull'economia dell'immigrazione, i 2,3 milioni di occupati stranieri sul suolo italiano producono l'8.6% del Pil: 125 miliardi di euro.
Il rapporto costi/benefici dell'immigrazione è in attivo: 12,6 miliardi contro 16,5. Il guadagno per lo Stato è dunque pari a 3,9 miliardi di euro.
Se dieci anni fa gli stranieri erano 2,2 milioni (il 3,8% dei residenti totali) e oggi sono saliti a oltre 5 milioni (8,3%), nel 2025 si prevede una crescita a 8,2 milioni, il 13,1% degli abitanti.

In Italia le unioni miste sono sempre meno anomale: secondo l’indagine “Il matrimonio in Italia” dell’Istat, nel 2011 si sono celebrati 18 mila matrimoni misti, circa l’8,8% delle nozze totali.
Nel 2011, metà della popolazione (50,1%) considerava la crescita né positiva né negativa, mentre quasi un terzo (28,2%) si esprimeva a favore e poco più di un quinto (21,7%) dichiarava di avere un’opinione negativa.
I dati cambiano quando il diverso ci tocca da vicino: la stessa indagine registra reazioni molto varie da parte di intervistati la cui figlia sposi uno straniero – anche in base alla provenienza dello sposo.

Le violenze razziste non accennano a diminuire nella multietnica Italia. Due studi mettono a confronto la crescita delle discriminazioni nel Bel Paese. Da una parte Vox – Osservatorio italiano sui diritti ha monitorato due milioni di tweet  per creare “la mappa dell’intolleranza”, specchio di un popolo web abituato a insultare donne, omosessuali, immigrati, ebrei e diversamente abili. Con dati più politici, invece, il Terzo Libro bianco sul razzismo in Italia, dove la associazione di ricerca romana Lunaria racconta di un Paese in cui gli atti discriminatori sono passati da 156 nel 2011 a 998 lo scorso anno, per un totale di oltre 2500 episodi registrati lungo i quattro anni dello studio.

Il lavoro di Vox invece, che ha coinvolto le università di Milano, Roma e Bari, ha voluto identificare le aree dove odio razziale, omofobia e intolleranza sono più diffusi. Il risultato finale sono state cinque mappe termografiche capaci di evidenziare la concentrazione del fenomeno.

Più colpite sono le donne, contro  le quali si concentra la maggiore parte dei commenti intolleranti, tanto che in 8 mesi sono stati rilevati 1.102.494 tweet misogini, con picchi in Lombardia,  Friuli, Campania, tra il sud dell’Abruzzo e il nord della Puglia e il Salento.

“La distribuzione dell’intolleranza è polarizzata soprattutto al Nord e al Sud – si legge sul report- poco riscontro invece nelle zone del centro come Toscana, Umbria, Emilia-Romagna”.

Il rapporto di Lunaria, articolato sul sito “Cronache di ordinario razzismo”, inserisce gli ebrei tra i gruppi bersaglio di violenze verbali e fisiche, insieme a rom  e musulmani, rispettivamente vittime di 427 e 162 episodi di discriminazione e violenza tra il 2011 e il 2014.

Inutile dare la colpa al mondo dello sport, nel 2014 reo del 5% degli atti discriminatori (fenomeno in decrescita, che passa dal 17% di quattro anni fa al 9% del 2013). Maglia nera per tutti e quattro gli anni dello studio agli attori istituzionali, dietro il 33% degli episodi nel 2011 fino ad arrivare al 35% nel 2013 e a più della metà lo scorso anno (54%). Cuore dei perpetratori istituzionali, i politici. Secondo il Terzo Libro Bianco sul razzismo in Italia, dal 2011 al 2014 Lega Nord è stata responsabile di oltre 700 violenze (verbali e fisiche), ben distante da Popolo delle libertà (83 episodi) o Partito democratico (17 casi).




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domenica 13 settembre 2015

GLI EBREI NELLA STORIA

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Secondo la tradizione ebraica, la discendenza ebraica viene fatta risalire ai patriarchi biblici Abramo, Isacco e Giacobbe che vissero a Canaan verso il XVIII secolo p.e.v.. Storicamente, gli ebrei discendono in gran parte dalle Tribù di Giuda e Simeone, e parzialmente da altre tribù israelite, specialmente quelle di Beniamino e Levi, che insieme avevano formato l'antico Regno di Giuda e il Regno di Israele. La prima menzione di Israele come popolo è stata rinvenuta iscritta sulla Stele di Merneptah che risale agli anni 1213-1203 p.e.v.

Dato l'incontro-scontro degli Ebrei con i grandi imperi dell'antichità (Egizio, Assiro, Babilonese, Persiano, Macedone) è possibile rintracciare nelle loro fonti storiche alcuni fugaci accenni a questo popolo. Per il periodo attorno all'inizio dell'era cristiana, in concomitanza con l'incontro-scontro con l'Impero Romano, sono preziosissimi gli scritti di Giuseppe Flavio.

In seguito la storia degli Ebrei si fonde con quella dell'occidente cristiano e con la sua storiografia.
La storia degli ebrei e dell'ebraismo si può dividere in cinque periodi: Antico Israele prima del giudaismo, dagli inizi fino al 586 p.e.v.; inizio del giudaismo nei secoli VI e V p.e.v.; la formazione dell'ebraismo rabbinico dopo la distruzione del Secondo Tempio nel 70 e.v.; l'età dell'ebraismo rabbinico, dall'ascesa del cristianesimo al potere politico sotto l'imperatore Costantino il Grande nel 312 e.v. alla fine dell'egemonia politica del cristianesimo nel XVIII secolo; l'età dell'ebraismo differenziato, dalla rivoluzione francese e americana al presente.

La storia dei figli d'Israele inizia millenni avanti Cristo e continua sino a oggi: è un racconto avvincente, diverso da quello di ogni altro popolo. Gli Ebrei chiamano la storia toledot, una parola che in ebraico significa "generazioni": il passato è per loro come una lunga catena in cui ogni individuo costituisce un anello, piccolo ma indispensabile perché essa non si spezzi.

Gli Ebrei non sono una razza, e nemmeno i seguaci di una determinata religione. Costituiscono invece un popolo, che condivide una storia, un'identità spirituale e di fede (giudaismo).

La Bibbia racconta il cammino dell'uomo verso la fede in un unico Dio creatore dell'Universo e giudice. Abramo è fra i primi a ricevere la cosiddetta rivelazione, la parola di Dio, cioè, che dall'alto dei cieli gli parla e gli ordina che cosa fare. Il Dio della Bibbia è invisibile e inconoscibile, non va raffigurato per rispetto dell'immensa distanza che separa l'uomo da lui. Anche per questo, forse, Abramo è chiamato ivrih, una parola che probabilmente in origine significava "colui che sta dall'altra parte", "che ha attraversato".

Gli Ebrei sono detti dalla Bibbia anche figli d'Israele, o Israeliti: Israele è infatti il nome che prende Giacobbe, nipote di Abramo (perché figlio di Isacco suo figlio), dopo aver udito anch'egli la chiamata divina. Giacobbe è il capostipite delle dodici tribù (o grandi famiglie) che compongono il popolo ebraico: dalle due mogli, Lea e Rachele, e dalle serve Bila e Zilpa, Giacobbe ebbe infatti i dodici figli che diedero il nome alle tribù.

Partiamo dalle origini, cioè da quel lungo viaggio che Dio ordina ad Abramo: "vai per questa strada che ti dirò, verso una destinazione che ancora non conosci" gli dice Dio con una voce che viene da dentro Abramo stesso. È il racconto narrato nel primo libro della Bibbia, la Genesi. In cambio dell'obbedienza, il Signore fa una promessa ad Abramo, che ripeterà varie volte nel corso della lunga vita di questo patriarca: "renderò la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia sulla riva del mare".



L'altro momento cruciale delle origini è quello che ogni anno gli Ebrei celebrano con la festa di Pesach, cioè la Pasqua ebraica, che rievoca la conquista della libertà e l'esodo, cioè l'uscita dall'Egitto. Questo racconto è narrato nel secondo libro della Bibbia, detto dell'Esodo. Dopo molte vicissitudini, gli Egizi lasciarono uscire gli Ebrei, trattenuti nel loro paese. In quella notte Dio passò sull'Egitto e poi sul Mar Rosso, che si aprì davanti alle tribù guidate da Mosè, in fuga verso la libertà, e la terra promessa. Per quarant'anni, narra la Bibbia, gli Ebrei vagarono per il deserto, ricevettero la rivelazione dei comandamenti sul Sinai, e attesero di poter entrare nella terra che Dio aveva loro assegnato. Dietro questo mito delle origini c'è probabilmente la realtà storica di un'ondata migratoria verificatasi a cavallo della preistoria.

Dopo la conquista della terra promessa da parte delle tribù d'Israele, il paese è governato dai giudici e successivamente viene l'era della monarchia, con Saul, Davide e Salomone che si succedono al trono. Alla morte di Salomone, il sovrano che passò alla storia per le sue ricchezze, il suo potere e la sua saggezza, il regno però si divise in due: uno del Nord, che comprendeva dieci delle dodici tribù, e uno del Sud, con capitale Gerusalemme. Il territorio era infatti diviso in piccole regioni, ciascuna delle quali assegnata ai discendenti dei figli di Giacobbe.

Fra i momenti della storia ebraica destinati a lasciare ancora una volta un segno nella memoria del popolo vi è l'esilio di Babilonia. All'inizio del 6° secolo a.C. il regno del Sud, che comprende i territori delle tribù di Giuda e Beniamino e ha per capitale Gerusalemme, viene conquistato da Nabucodonosor, sovrano di Babilonia, il quale non si limita a prendere il potere, ma deporta gran parte della popolazione. Il regno del Nord, quello che comprendeva i territori delle altre dieci tribù, era già stato sconfitto e i suoi abitanti deportati anni addietro a opera di Salamanassar, re di Assur. Questi eventi sono narrati nel secondo libro dei Re della Bibbia. Finisce così l'epoca del Primo Regno in terra d'Israele, e comincia un breve esilio: grazie all'editto di Ciro (538 a.C.), infatti, una cinquantina d'anni dopo gli Ebrei poterono tornare alla loro terra. Dovranno passare alcuni secoli prima che il popolo ebraico viva di nuovo due svolte fondamentali.

Una prima svolta importante fu la predicazione di Gesù: un ebreo vissuto nella Palestina di allora che ha cambiato il volto del mondo. Il nome Palestina deriva probabilmente da quello dei Filistei, una popolazione di stirpe fenicia che viveva sulle coste. I primi cristiani, seguaci del messaggio di Gesù, furono Ebrei che vivevano all'epoca in quella terra e in altre regioni del Mediterraneo.

L'altro evento fu la conquista della regione da parte dei Romani, che arrivarono, dopo lunghe e travagliate successioni di potere, alla fine dell'epoca ellenistica. Conquistata la terra d'Israele, i Romani si trovarono di fronte a una situazione molto delicata e a un popolo ‒ quello ebraico ‒ piccolo ma estremamente difficile da domare. E soprattutto ben deciso a non prestare culto alle divinità pagane: furono anni di lotte, rivolte, disordini, finché nel 70 d.C. l'imperatore Tito decise di risolvere drasticamente la situazione, distruggendo il Tempio di Gerusalemme, l'unico luogo di culto in cui gli Ebrei offrivano sacrifici e preghiere al loro Dio, mettendo a fuoco tutta la città e cacciando il popolo ebraico dalla sua terra. In questa data precisa inizia dunque la seconda diaspora, che è esilio e dispersione al tempo stesso: cacciati dalla loro terra, gli Ebrei si sparpagliarono per il mondo, incominciando dalle città dell'Impero Romano.

Nella diaspora gli Ebrei hanno costituito delle piccole comunità: bisognava organizzare la liturgia (con la distruzione del Tempio, unico luogo di culto a Dio, la preghiera sostituì la pratica di offerte e sacrifici), garantire la distribuzione della carne macellata secondo le norme scritte nella Bibbia, provvedere all'istruzione dei bambini. La comunità è detta in ebraico qehillah ed è come una piccola società con le sue regole, all'interno della società più grande che detiene il potere.

Quando infatti il cristianesimo comprese che per diffondersi fra le genti era necessario penetrare nella civiltà romana, abbandonando il fronte dei vinti ‒ gli Ebrei sconfitti e privati della propria nazione ‒ per quello dei vincitori, rinnegò le proprie origini e iniziò a diffondere il disprezzo per la radice ebraica.

Furono secoli di cosiddetto antigiudaismo. Per un verso questo popolo doveva sopravvivere perché era il testimone della passione di Gesù Cristo; per l'altro era considerato colpevole di un delitto imperdonabile: la morte di Dio in croce, della quale erano invece storicamente responsabili i Romani che allora dominavano il paese. In questo modo gli Ebrei avevano rifiutato la rivelazione.

La diaspora, la dispersione del popolo ebraico, divenne così il marchio infamante, la dimostrazione della loro dannazione. La teologia e la politica, la letteratura e la fede contribuirono a diffondere questa immagine negativa degli Ebrei. Fra i tanti eventi di questa storia si possono ricordare le Crociate, che nel Medioevo fecero molte vittime innocenti: i combattenti diretti a liberare la terra santa dagli infedeli islamici che all'epoca la governavano, passando per l'Europa uccisero moltissimi Ebrei e incendiarono e distrussero le loro case.

Nel 1492 gli Ebrei di Spagna, una comunità molto numerosa e fiorente, furono posti di fronte all'alternativa tra la conversione e l'esilio. Più o meno a quell'epoca si definì la distinzione fra Ebrei vissuti nelle aree del Mediterraneo e dell'Oriente, detti sefarditi (in ebraico Sefarad significa "Spagna"), e quelli che abitavano nell'Europa del Nord, detti ashkenaziti (Ashkenaz significa "Germania"), cui si deve la creazione di una lingua con la sua grande letteratura, l'yiddish. Gli Ebrei spagnoli parlavano invece il ladino, un miscuglio di antico spagnolo ed ebraico.

Pochi anni dopo la cacciata dalla Spagna nacque in Italia il primo ghetto, a Venezia. Da molti secoli, peraltro, gli Ebrei erano costretti ad abitare in determinati quartieri e non in altri, non potevano possedere case né terreni, avevano un'assai limitata libertà di movimento.

In molte città dell'Europa agli Ebrei era concesso di abitare solo a patto che svolgessero una attività professionale all'epoca proibita dalla Chiesa. Si trattava del prestito, su pegno o a interesse, esercitato dagli Ebrei attraverso i banchi (gli antenati delle banche). Questa attività a cui furono per lo più costretti è alla radice della diceria secondo cui gli Ebrei sono avari, attaccati al denaro: ma non avevano altra scelta!

Così vissero dunque per molti secoli, finché fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento iniziò il lungo cammino per l'emancipazione (cioè la liberazione) degli Ebrei. Un cammino fatto anche di passi indietro e difficoltà, che si completò solo nel 20° secolo. Finalmente accolti nella società degli altri, molti di loro si gettarono a capofitto in questa nuova esperienza, liberandosi di un passato travagliato. Questo spiega anche la conseguente affermazione di molti Ebrei nelle scienze, nelle arti, nella letteratura, nell'impresa e nella finanza: è lo slancio di entusiasmo da parte di un popolo sempre rifiutato, che ora vuole dimostrare a sé stesso e agli altri le proprie capacità e la propria riconoscenza per essere stato finalmente affrancato e accettato.



Durante il 1870 e il 1880 la popolazione ebraica d'Europa cominciò più attivamente a considerare l'immigrazione in Israele e il ristabilimento della nazione ebraica nella sua presupposta terra d'origine nazionale, compiendo così le profezie bibliche relative allo Shivat Tzion. Nel 1882 nacque il primo insediamento sionista — Rishon LeZion — fondato da immigrati che appartenevano al movimento "Hovevei Zion", o anche Hibbat Zion. In seguito, il movimento "Bilu" fondò molti altri insediamenti in terra di Israele.

Il movimento sionista venne fondato ufficialmente dopo la "Convenzione di Kattowitz" (1884) ed il "Congresso Sionista Mondiale (World Zionist Congress, 1897), e fu Theodor Herzl che iniziò la lotta per stabilire uno stato degli ebrei.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, sembrava che le condizioni per stabilire tale stato fossero maturate: il Regno Unito conquistò la Palestina dall'Impero Ottomano e gli ebrei ricevettero la promessa di una "Patria nazionale" dai britannici nella forma della Dichiarazione Balfour (1917), data a Chaim Weizmann.

Nel 1920 iniziò il Mandato britannico della Palestina e il Visconte Herbert Samuel fu nominato Alto Commissario della Palestina, l'Università Ebraica di Gerusalemme fu costituita e si verificarono diverse grandi ondate di immigrazione ebraica verso la Palestina. Tuttavia gli abitanti arabi della Palestina non amavano la crescente immigrazione ebraica e cominciarono ad opporsi con mezzi violenti al loro insediamento e alla politica filo-ebraica del governo britannico.

Bande di arabi iniziarono a compiere atti di violenza e omicidi contro i convogli e la popolazione ebraica. Dopo i tumulti arabi del 1920 e quelli di Jaffa del 1921, la leadership ebraica in Palestina credettero che gli inglesi non avessero alcun desiderio di confrontarsi con le bande arabe locali per i loro attacchi contro gli ebrei palestinesi. Credendo di non poter contare sull'amministrazione britannica per la protezione contro tali bande, la leadership ebraica creò l'organizzazione Haganah per proteggere le proprie aziende agricole e i kibbutz.

Altri disordini si verificarono nel 1929 e negli anni 1936-1939 avvenne la "grande rivolta araba di Palestina". A causa della crescente violenza il Regno Unito iniziò gradualmente a fare marcia indietro dall'idea originaria di uno Stato ebraico e di speculare su una soluzione binazionale o di uno Stato arabo con una minoranza ebraica.

Nel frattempo, gli ebrei d'Europa e degli Stati Uniti avevano successo nei campi della scienza, della cultura e dell'economia. Tra quelli generalmente considerati i più famosi, si annoveravano lo scienziato Albert Einstein e il filosofo Ludwig Wittgenstein. Un alto numero di Premi Nobel in questo periodo furono ebrei, fatto che accade tuttora. In Unione Sovietica, molti ebrei furono coinvolti nella Rivoluzione d'ottobre e appartenevano al partito comunista.

L'Olocausto che avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale provocò lo sterminio sistematico (genocidio) di circa sei milioni di ebrei europei da parte della Germania nazista.
Nel 1933, con l'ascesa al potere di Adolf Hitler e del partito nazista in Germania, la situazione ebraica divenne più severa. Le crisi economiche, le leggi razziali antisemite, e la paura di una guerra imminente portò molti ebrei a fuggire dall'Europa verso la Palestina, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica.

Nel 1939 iniziò la Seconda Guerra Mondiale e fino al 1941 Hitler occupò gran parte dell'Europa, inclusa la Polonia — dove milioni di ebrei vivevano a quell'epoca — e la Francia. Nel 1941, a seguito dell'invasione dell'Unione Sovietica, cominciò la "Soluzione finale della questione ebraica" (in lingua tedesca Endlösung der Judenfrage), una vasta operazione organizzata su una scala senza precedenti, finalizzata alla distruzione del popolo ebraico mediante la conseguente persecuzione e sterminio degli ebrei nell'Europa politica, che includeva il Nordafrica europeo (il Nordafrica pro-nazista di Vichy e la Libia italiana). Questo genocidio, in cui circa sei milioni di ebrei furono uccisi con metodo e crudeltà, è noto come "Olocausto" o Shoah. In Polonia più di un milione di ebrei vennero trucidati in camere a gas nel solo campo di concentramento di Auschwitz.

L'enorme scala della Shoah e gli orrori che accaddero in quel periodo, influenzarono pesantemente il popolo ebraico e l'opinione pubblica mondiale, che capirono le dimensioni dell'Olocausto solo dopo la guerra. Nel dopoguerra gli sforzi quindi aumentarono per stabilire uno stato ebraico in Palestina.

Dalla fine dell'800 nacque e si diffuse in particolare tra gli Ebrei europei il Sionismo, cioè il movimento di pensiero che mirava a ricostituire uno stato ebraico in Palestina.

Nel 1945 le organizzazioni di resistenza ebraica in Palestina si unirono e formarono il Movimento di Resistenza Ebraica chiamato anche United Resistance Movement (URM), che iniziò ad attaccare le autorità britanniche. A seguito dell'attentato dinamitardo al King David Hotel, Chaim Weizmann, presidente del World Zionist Organization ammonì il movimento di cessare tutte le attività militari fintantoché una decisione non venisse presa dall'Agenzia Ebraica. Questa sostenne la raccomandazione di Weizmann di cessare ulteriori attività belliche, decisione accettata con riluttanza dalla Haganah, ma non dall'Irgun e dall'Lehi. Il Movimento di Resistenza Ebraica venne smobilitato e ciascuno dei gruppi fondatori continuarono ad operare per conto proprio, secondo la propria politica.

La leadership ebraica decise di concentrare la lotta a sostegno dell'immigrazione clandestina in Palestina e cominciò ad organizzare massicce quantità di profughi di guerra ebrei provenienti dall'Europa, senza l'approvazione delle autorità britanniche. Tale immigrazione contribuì moltissimo agli insediamenti ebraici in Israele, sostenuti dall'opinione pubblica mondiale, e le autorità britanniche decisero di lasciare alle Nazioni Unite la decisione sul destino della Palestina. Il 29 novembre 1947, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 181(II: "Piano di partizione della Palestina") che raccomandava la partizione della Palestina in uno Stato arabo, uno Stato ebraico e la Città di Gerusalemme. I leader ebraici accettarono la decisione ma la Lega Araba ed i capi arabi palestinesi si opposero. Iniziarono quindi i conflitti israelo-palestinesi, con un periodo di guerra civile ed il conflitto del 1948.

Nel corso della guerra, dopo che le ultime truppe britanniche ebbero lasciato il suolo palestinese, David Ben-Gurion proclamò nel giorno 14 maggio 1948 (5 Iyar, 5708) la fondazione dello stato ebraico a Eretz Israel da conoscersi ufficialmente come "Stato di Israele", emettendo la Dichiarazione d'indipendenza israeliana. La guerra terminò nel 1949 e lo stato di Israele iniziò ad assorbire grandi quantità di ebrei da tutto il mondo, nell'ordine di centinaia di migliaia di immigranti.

Dal 1948 Israele è stato coinvolto in una serie di conflitti militari, tra cui la Crisi di Suez (1956), la Guerra dei Sei Giorni (1967), la Guerra del Kippur (1973), la Guerra del Libano (1982), la Guerra del Libano (2006), come anche una serie quasi costante di conflitti minori.

Dal 1977, una continua serie di iniziative diplomatiche e incontri al vertice, in gran parte senza successo, sono stati avviati da Israele, dalle organizzazioni palestinesi, dai loro vicini e altri soggetti, tra cui gli Stati Uniti e l'Unione europea, per giungere ad un processo di pace che possa risolvere i conflitti tra Israele ed i suoi vicini, e soprattutto la sorte del popolo palestinese.

Correntemente, Israele è una democrazia parlamentare con una popolazione di oltre 8 milioni di abitanti, di cui circa 6 milioni sono ebrei. Le maggiori comunità ebraiche sono in Israele e negli Stati Uniti, con grandi comunità anche in Francia, Argentina, Russia, Inghilterra e Canada.

La Oblast' autonoma ebraica, creata durante l'era sovietica, continua ad essere una Oblast' autonoma dello Stato Russo. Il Rabbino capo di Birobidzhan, Mordechai Scheiner, afferma che ci sono 4 000 ebrei nella capitale. Il Governatore Nikolay Mikhaylovich Volkov ha dichiarato che intende "sostenere tutte le iniziative meritevoli proposte dalle organizzazioni ebraiche locali". La Sinagoga di Birobidzhan è stata inaugurata nel 2004, nel 70º anniversario della fondazione della regione nel 1934.

Gli Ebrei sono un popolo dal destino molto particolare: un popolo che ha vissuto buona parte della sua storia disperso fra le altre genti, in mezzo a culture, lingue, regimi diversi. In Italia così come in Marocco, India, Argentina, Russia, Etiopia e tanti, tanti altri paesi del mondo. E pur vivendo in questa situazione per millenni, gli Ebrei hanno continuato a custodire la propria identità (a essere, insomma, diversi dagli altri, per fede, costumi, usanze alimentari).

Oggi, quasi ovunque, gli Ebrei non sono più guardati con sospetto, diffidenza e magari anche odio a causa della loro diversità, del fatto cioè di continuare a essere sé stessi invece di assimilarsi, cioè diventare come gli altri. Gli Ebrei non sono più rinchiusi nei ghetti, i quartieri della città dove erano costretti ad abitare e da dove non potevano uscire se non con un permesso speciale delle autorità. Non sono più considerati perfidi, cioè infedeli, seguaci della fede sbagliata. Conservano invece quasi sempre un senso profondo della propria identità. Inoltre ci si può anche convertire all'ebraismo, così come si diventa cristiani, buddisti, musulmani. La conversione è però un lungo cammino di studi, di raccoglimento, di colloqui: il fatto è che quando si diventa Ebrei non si assume solo una nuova religione, un nuovo modello di vita fondato sui comandamenti della legge ebraica. Si entra anche a far parte di questa stirpe, della sua storia, delle sue convinzioni.

Vi sono alcune parole fondamentali per capire gli Ebrei e la loro storia. Innanzitutto la Bibbia, che in ebraico è detta Miqrah, cioè "oggetto di lettura" (mentre i cristiani la chiamano Scritture), oppure Tanach, sigla che sta a indicare i libri Torah, cioè Pentateuco, Nebi'im, cioè Profeti e Katubim, cioè Scritti.

Sinagoga è invece una parola greca e indica il luogo dove gli Ebrei si radunano a pregare insieme: in ebraico si chiama bet ha-knesset, cioè "casa di riunione", ma è detta anche "scuola". Kasher significa "adatto", ma indica in particolare i cibi conformi alle regole alimentari della Bibbia, per esempio il divieto di consumare carne di maiale (e altre) e di mischiare latte e carne nello stesso pasto.

L'antigiudaismo è l'atteggiamento contro i Giudei che ha segnato la storia della cristianità per molti secoli: in esso si mischiavano sentimenti di disprezzo per l'infedele, che non voleva saperne di convertirsi alla nuova religione e restava invece attaccato alla propria, e di diffidenza verso il diverso che aveva usanze tutte sue. L'antisemitismo è invece un sentimento moderno, nato nell'Ottocento su basi non più religiose ma razziali, per quanto errate: in questo caso l'ebreo resta tale anche se si converte. Non conta più la fede, bensì un presunto sangue impuro. Lo sterminio nazista è il culmine di quest'odio.


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venerdì 23 gennaio 2015

Shoah



Il termine Shoah è voluto dagli ebrei, i quali, attualmente, rifiutano l'altra parola stilizzata, Olocausto, in quanto questo indica un sacrificio propiziatorio, il che è sicuramente ingannevole.

L'espressione Shoah si riferisce al periodo che intercorre fra il 30 Gennaio 1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, e l'8 Maggio 1945, la fine della guerra in Europa: in questo periodo furono milioni le persone soppresse dalla follia razziale nei confronti non solo degli ebrei . Pur essendo impossibile accertare l'esatto numero di vittime ebree, le statistiche indicano che il totale fu di oltre 5.860.000 persone. La maggior parte delle autorità generalmente accettano la cifra approssimativa di sei milioni a cui si devono sommare 5 milioni circa di civili non ebrei uccisi. In tutto quindi, ma la cifra precisa ha ben poca importanza, oltre 10 milioni di persone furono uccise dall'odio nazionalsocialista. Tra i gruppi assassinati e perseguitati dai nazisti e dai loro collaboratori, vi erano: zingari, serbi, membri dell'intellighentia polacca, oppositori della resistenza di tutte le nazionalità, tedeschi oppositori del nazismo, omosessuali, testimoni di Geova, delinquenti abituali, o persone definite "anti sociali", come, ad esempio, mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti. La maggior parte delle persone soppresse passarono per i campi di sterminio, che erano campi di concentramento con attrezzature speciali progettate per uccidere in forma sistematica. Storicamente il partito nazista prese la decisone di dare avvio alla cosiddetta "Soluzione Finale" (Endl sung), in realtà molti ebrei erano già morti a causa delle misure discriminatorie adottate contro di loro durante i primi anni del Terzo Reich, ma lo sterminio sistematico e scientifico degli ebrei non ebbe inizio fino all'invasione, da parte della Germania, dell'Unione Sovietica nel Giugno 1941. Per i nazisti ebreo era: chiunque, con tre o due nonni ebrei, appartenesse alla Comunità Ebraica al 15 Settembre 1935, o vi si fosse iscritto successivamente; chiunque fosse sposato con un ebreo o un'ebrea al 15 settembre 1935 o successivamente a questa data; chiunque discendesse da un matrimonio o da una relazione extraconiugale con un ebreo al o dopo il 15 settembre 1935. Vi erano poi coloro che non venivano classificati come ebrei, ma che avevano una parte di sangue ebreo e venivano classificati come Mischlinge (ibridi). I Mischlinge venivano ufficialmente esclusi dal Partito Nazista e da tutte le organizzazioni del Partito (per esempio SA, SS, etc.). Benché venissero arruolati nell'esercito tedesco, non potevano conseguire il grado di ufficiali. Era inoltre proibito loro di far parte dell'Amministrazione Pubblica e svolgere determinate professioni (alcuni Mischlinge erano, in ogni caso, esonerati in determinate circostanze). Gli ufficiali nazisti presero in considerazione la possibilità di sterilizzare i Mischlinge, ma ciò non fu sempre attuato. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i Mischlinge di primo grado rinchiusi nei campi di concentramento, furono tradotti nei campi di sterminio. Ma il Terzo Reich considerava nemici non solo gli ebrei, ma anche, zingari, oppositori politici, oppositori del nazismo, Testimoni di Geova, criminali abituali, e "anti-sociali" In sostanza ogni individuo che poteva essere considerato una minaccia per il nazismo correva il rischio di essere perseguitato, ma gli ebrei erano l'unico gruppo destinato ad un totale e sistematico annientamento. Per sottrarsi alla sentenza di morte imposta dai Nazisti, gli ebrei potevano solamente abbandonare l'Europa occupata dai tedeschi. Secondo il piano Nazista, ogni singolo ebreo doveva essere ucciso. Nel caso di altri "criminali" o nemici del Terzo Reich, le loro famiglie non venivano coinvolte. Di conseguenza, se una persona veniva eliminata o inviata in un campo di concentramento, non necessariamente tutti i membri della sua famiglia subivano la stessa sorte. Gli ebrei, al contrario, venivano perseguitati in virtù della loro origine familiare indelebile. La spiegazione dell'odio implacabile dei nazisti contro gli ebrei nasceva dalla loro distorta visione del mondo che considerava la storia come una lotta razziale. Essi consideravano gli ebrei una razza che aveva lo scopo di dominare il mondo e, quindi, rappresentava un ostacolo per il dominio ariano. Secondo la loro opinione, la storia consisteva, quindi in uno scontro che sarebbe culminato con il trionfo della razza ariana, quella superiore: di conseguenza, essi consideravano un loro preciso obbligo morale eliminare gli ebrei, dai quali si sentivano minacciati. Inoltre, ai loro occhi, l'origine razziale degli ebrei li identificava come i delinquenti abituali, irrimediabilmente corrotti e considerati inferiori, la cui riabilitazione era ritenuta impossibile.Il termine Shoah è voluto dagli ebrei, i quali, attualmente, rifiutano l'altra parola stilizzata, Olocausto, in quanto questo indica un sacrificio propiziatorio, il che è sicuramente ingannevole. L'espressione Shoah si riferisce al periodo che intercorre fra il 30 Gennaio 1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, e l'8 Maggio 1945, la fine della guerra in Europa: in questo periodo furono milioni le persone soppresse dalla follia razziale nei confronti non solo degli ebrei . Pur essendo impossibile accertare l'esatto numero di vittime ebree, le statistiche indicano che il totale fu di oltre 5.860.000 persone. La maggior parte delle autorità generalmente accettano la cifra approssimativa di sei milioni a cui si devono sommare 5 milioni circa di civili non ebrei uccisi. In tutto quindi, ma la cifra precisa ha ben poca importanza, oltre 10 milioni di persone furono uccise dall'odio nazionalsocialista.

Tra i gruppi assassinati e perseguitati dai nazisti e dai loro collaboratori, vi erano: zingari, serbi, membri dell'intellighentia polacca, oppositori della resistenza di tutte le nazionalità, tedeschi oppositori del nazismo, omosessuali, testimoni di Geova, delinquenti abituali, o persone definite "anti sociali", come, ad esempio, mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti. La maggior parte delle persone soppresse passarono per i campi di sterminio, che erano campi di concentramento con attrezzature speciali progettate per uccidere in forma sistematica. Storicamente il partito nazista prese la decisone di dare avvio alla cosiddetta "Soluzione Finale" (Endl sung), in realtà molti ebrei erano già morti a causa delle misure discriminatorie adottate contro di loro durante i primi anni del Terzo Reich, ma lo sterminio sistematico e scientifico degli ebrei non ebbe inizio fino all'invasione, da parte della Germania, dell'Unione Sovietica nel Giugno 1941. Per i nazisti ebreo era: chiunque, con tre o due nonni ebrei, appartenesse alla Comunità Ebraica al 15 Settembre 1935, o vi si fosse iscritto successivamente; chiunque fosse sposato con un ebreo o un'ebrea al 15 settembre 1935 o successivamente a questa data; chiunque discendesse da un matrimonio o da una relazione extraconiugale con un ebreo al o dopo il 15 settembre 1935. Vi erano poi coloro che non venivano classificati come ebrei, ma che avevano una parte di sangue ebreo e venivano classificati come Mischlinge (ibridi). I Mischlinge venivano ufficialmente esclusi dal Partito Nazista e da tutte le organizzazioni del Partito (per esempio SA, SS, etc.). Benché venissero arruolati nell'esercito tedesco, non potevano conseguire il grado di ufficiali. Era inoltre proibito loro di far parte dell'Amministrazione Pubblica e svolgere determinate professioni (alcuni Mischlinge erano, in ogni caso, esonerati in determinate circostanze). Gli ufficiali nazisti presero in considerazione la possibilità di sterilizzare i Mischlinge, ma ciò non fu sempre attuato. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i Mischlinge di primo grado rinchiusi nei campi di concentramento, furono tradotti nei campi di sterminio. Ma il Terzo Reich considerava nemici non solo gli ebrei, ma anche, zingari, oppositori politici, oppositori del nazismo, Testimoni di Geova, criminali abituali, e "anti-sociali" In sostanza ogni individuo che poteva essere considerato una minaccia per il nazismo correva il rischio di essere perseguitato, ma gli ebrei erano l'unico gruppo destinato ad un totale e sistematico annientamento. Per sottrarsi alla sentenza di morte imposta dai Nazisti, gli ebrei potevano solamente abbandonare l'Europa occupata dai tedeschi. Secondo il piano Nazista, ogni singolo ebreo doveva essere ucciso. Nel caso di altri "criminali" o nemici del Terzo Reich, le loro famiglie non venivano coinvolte. Di conseguenza, se una persona veniva eliminata o inviata in un campo di concentramento, non necessariamente tutti i membri della sua famiglia subivano la stessa sorte. Gli ebrei, al contrario, venivano perseguitati in virtù della loro origine familiare indelebile. La spiegazione dell'odio implacabile dei nazisti contro gli ebrei nasceva dalla loro distorta visione del mondo che considerava la storia come una lotta razziale. Essi consideravano gli ebrei una razza che aveva lo scopo di dominare il mondo e, quindi, rappresentava un ostacolo per il dominio ariano. Secondo la loro opinione, la storia consisteva, quindi in uno scontro che sarebbe culminato con il trionfo della razza ariana, quella superiore: di conseguenza, essi consideravano un loro preciso obbligo morale eliminare gli ebrei, dai quali si sentivano minacciati. Inoltre, ai loro occhi, l'origine razziale degli ebrei li identificava come i delinquenti abituali, irrimediabilmente corrotti e considerati inferiori, la cui riabilitazione era ritenuta impossibile.

Non ci sono dubbi che ci furono altri fattori che contribuirono all'odio nazista contro gli ebrei e alla creazione di un'immagine distorta del popolo ebraico. Uno di questi fattori era la centenaria tradizione dell'antisemitismo cristiano, che propagandava uno stereotipo negativo degli ebrei ritenuti gli "assassini di Cristo", inviati del diavolo e praticanti di arti magiche. Altri fattori furono l'antisemitismo politico e razziale della seconda metà del XIX secolo e la prima parte del XX secolo, che considerava gli ebrei come una minaccia per la stabilità sociale ed economica. La combinazione di questi fattori scatenò la persecuzione, certamente nota a tutti i tedeschi e lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti che fu in qualche modo celato dagli stessi esecutori.

Non ci sono dubbi che ci furono altri fattori che contribuirono all'odio nazista contro gli ebrei e alla creazione di un'immagine distorta del popolo ebraico. Uno di questi fattori era la centenaria tradizione dell'antisemitismo cristiano, che propagandava uno stereotipo negativo degli ebrei ritenuti gli "assassini di Cristo", inviati del diavolo e praticanti di arti magiche. Altri fattori furono l'antisemitismo politico e razziale della seconda metà del XIX secolo e la prima parte del XX secolo, che considerava gli ebrei come una minaccia per la stabilità sociale ed economica. La combinazione di questi fattori scatenò la persecuzione, certamente nota a tutti i tedeschi e lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti che fu in qualche modo celato dagli stessi esecutori.

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