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sabato 30 maggio 2015

L' ECOMUSEO DI CREMONA

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"Il territorio come ecomuseo" è un progetto esteso all'intera provincia di Cremona. L'area dell'ecomuseo può essere percorsa, esplorata e goduta da ogni genere di fruitore, purché responsabile e consapevole: la struttura è facilmente accessibile al pubblico grazie ad un'apposita segnaletica sulle strade, ad una funzionale e mirata cartellonistica, alle piazzole di "sosta istruttiva", alle siepi e ai boschetti didattici, alle tabelle toponomastiche e idronomastiche commentate.

I nuclei territoriali sono un campo d'indagine privilegiato per il mondo della scuola e un'area per la sperimentazione di interventi ambientali e per studi di livello superiore volti alla conoscenza e alla riscoperta del patrimonio locale.

Il territorio come ecomuseo è un'iniziativa di educazione ambientale dell'amministrazione provinciale di Cremona per la conservazione, valorizzazione e promozione del proprio territorio.

L'ecomuseo della provincia di Cremona è costituito da una serie di nuclei territoriali, distribuiti su tutto il territorio della provincia, ciascuno dei quali è rappresentativo di una caratteristica tipica del paesaggio padano, come insediamenti, campi, vie d'acqua, centrali idroelettriche, e così via.

Si tratta di un museo diffuso, non collocato all'interno di un edificio: i vari nuclei sono segnalati da cartellonistica che spiega le peculiarità del sito.

I nuclei attualmente visitabili sono:

il nodo idraulico delle Tombe Morte;
la strada romana Mediolanum - Cremona;
l'insediamento urbano di San Rocco di Dovera;
i prati del Pandinasco;
le centrali idroelettriche di Mirabello Ciria e alla Rezza;
i fontanili di Farinate;
le vallecole d'erosione di Credera Rubbiano e Moscazzano;
il pianalto di Romanengo;
l'azienda agrituristica;
i bastioni di Pizzighettone e il territorio rurale circostante;
il monumento naturale dei Lagazzi di Piadena;
la golena padana e il fenomeno dei bodri;
gli argini del Po.
le lanche fluviali del Po.
l'impianto di sollevamento di Isola Pescaroli e la bonifica integrale.
i campi baulati del Casalasco.
la navigazione fluviale e i traghetti del Po.

Il pandinasco entra nel territorio ecomuseale della Provincia di Cremona, con i suoi prati stabili a testimonianza di una vocazione agricola indirizzata alla produzione del latte e della sua successiva trasformazione.

“Il territorio come ecomuseo”: una proposta  per percorrere e scoprire il paesaggio, risultato delle relazioni tra gli uomini e l’ambiente, per leggere e comprendere quell’insieme di segni, impronte ed interventi che sono sedimentazioni nel presente di sistemi ereditati dal passato e tasselli di un mosaico in continuo divenire.Il progetto è stato ideato al fine di presentare una serie di nuclei territoriali da frequentare, apprezzare e capire come un enorme museo vivente creato nel tempo dalla natura e dall’uomo ed in continua evoluzione.Un museo “diffuso”, non collocato all’interno di un edificio, la cui esplorazione risulta però affascinante quanto quella delle raccolte tradizionali: dedicato al paesaggio, mostra come l’ambiente naturale si è modificato per opera delle società umane nel corso del tempo. Nell’area interessata sono perciò messi in evidenza gli elementi ambientali tipici e le componenti antropiche, memoria del lavoro di centinaia di secoli (il “deposito di fatiche” di cui scriveva Carlo Cattaneo): insediamenti, campi, coltivazioni, manufatti, edifici, vie terrestri e vie d’acqua, fabbriche, macchinari e apparecchiature di ogni genere, toponimi, segni di ripartizioni e di processi di appropriazione del territorio, bonifiche, acquedotti e irrigazioni. Le risorse biologiche, gli spazi, i beni e gli oggetti vengono segnalati al fine di promuoverne la conservazione, il restauro, la conoscenza, la fruizione e lo sviluppo secondo criteri di sostenibilità.




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venerdì 29 maggio 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : PANDINO

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Pandino è un comune italiano della provincia di Cremona in Lombardia. Il paese si trova a 55 km da Cremona, 28 km da Milano, 30 km da bergamo, 11 km da Lodi.

A partire dall'età medievale, il centro abitato apparteneva al territorio della Gera d'Adda, possedimento milanese. Le località di Gradella e Nosadello, oggi frazioni, appartenevano invece al Contado di Lodi.

Nel 1786, anche Pandino fu aggregata alla provincia di Lodi, tornando però dopo soli cinque anni a quella di Milano.

In età napoleonica (1809-16) al comune di Pandino furono aggregate Gradella e Nosadello, ridivenute autonome con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto. Entrambe furono aggregate definitivamente nel 1869. La prima notizia documentata su Pandino risale al 1144, quando la chiesa parrocchiale risultava dipendere da quella di S. Sigismondo di Rivolta d'Adda, dato che indica che il nostro paese all’epoca era probabilmente formato da pochissime case. Il piccolo villaggio sorge in un territorio caratterizzato dalla  preminenza di boschi, inframmezzati da pascoli e qualche vigna.

La storia dell'Italia cambia radicalmente quando il signore di Milano, Bernabò Visconti, vi fa costruire uno dei suoi castelli di caccia, intorno alla metà del ‘300. Da quel momento in poi possiamo immaginare che la presenza dei signori milanesi abbia fatto da attrattiva per molte persone che cercavano un luogo sicuro dove stabilirsi, sperando magari di trovare un lavoro presso il castello : la conseguenza fu che Pandino comincia pian piano ad ingrandirsi.

I vari feudatari con il passare del tempo aggiungono altre costruzioni: nel corso del XV secolo gli Sforza ordinano ai pandinesi di costruire la cerchia muraria per proteggere il villaggio dai Veneziani, che ormai erano a pochi chilometri da Pandino. Nel medesimo secolo di fronte al castello viene innalzata la chiesa di S. Marta, la cui funzione iniziale è quella di chiesa collegata al castello, in quanto Bernabò Visconti non aveva voluto una cappella nel suo maniero di caccia. Ai primi decenni del XV secolo risale anche l’apparizione della Madonna del riposo che porta alla realizzazione del santuario a lei dedicato.

I pandinesi non portano a conclusione la costruzione delle mura, che in alcuni punti vengono chiuse con dei terrapieni; i Veneziani ne approfittano , conquistano il borgo per due volte (anche perché era protetto da pochi soldati) , perdendolo però dopo la battaglia di Agnadello del 1509; questo fatto non impedisce qualche anno dopo ai Veneziani , uscendo da Crema che era in mano loro, di saccheggiare Pandino.

I francesi non sono stati gli unici stranieri a passare da qui: dopo la fine degli Sforza (1535) il ducato di Milano passa agli spagnoli e agli inizi del ‘700 agli austriaci, e truppe di tali nazioni sono transitate anche in questo territorio; non abbiamo notizie di danni causati alla fine del XVIII secolo dalle truppe napoleoniche.

Agli ultimi anni del ‘700 risale la ricostruzione della nostra parrocchiale in forme neoclassiche, in sostituzione della chiesa medievale ormai rovinata dal tempo.

Nel 1868 Pandino diviene comune unitamente alle frazioni di Nosadello e Gradella, originariamente nella provincia di Lodi- Crema, poi soppressa, quindi in quella di Cremona.

Nel 1928 , dopo un pubblico concorso, viene inaugurato il monumento ai caduti davanti al castello, in occasione del decennale della vittoria italiana nella prima guerra mondiale; ancora oggi avvicinandosi al monumento è possibile leggere sulle lapidi i nomi dei caduti pandinesi di tutte le guerre del XX secolo.

Nel corso della II guerra mondiale, su una delle torri del castello, vengono portati i fili del telegrafo per segnalare al comando germanico il passaggio degli aerei alleati; a quel tempo il castello era abitato da famiglie in affitto, cui si erano aggiunti gli sfollati da Milano.

A partire dagli anni ’50 il castello diventa sede del comune di Pandino.

Monumenti e luoghi d'interesse:
Castello Visconteo
Oratorio S.Marta
Chiesa di S.Margherita
Santuario di Santa Maria dell'Apparizione, detta anche del Tommasone o del Riposo

La parte settentrionale della provincia di Cremona, che comprende il Comune di Pandino, si trova in un tipo di ambiente del tutto particolare: la fascia delle risorgive o fontanili: si tratta di un fenomeno peculiare, che dipende essenzialmente dalla struttura geologica  e dalla composizione del suolo della pianura padana.  Esso, infatti, nella sua parte settentrionale, o alta pianura, è costituito da materiali grossolani, quali ciottoli e ghiaia, attraverso i quali le acque superficiali e meteoriche arrivano a formare una falda acquifera a profondità variabile, che scorre naturalmente verso l’asse della pianura stessa costituito dal fiume Po.
Durante questo viaggio le dimensioni di questi elementi litologici vanno via via diminuendo e con l’avvicinarsi della bassa pianura, le ghiaie, dapprima sempre più fini, divengono sabbie ed argille, creando i presupposti per una nuova condizione idrogeologica. Le argille, infatti, con la loro impermeabilità, ostacolano il flusso della falda freatica costringendola in parte ad affiorare,  dando così vita al fenomeno delle risorgive.
Tale fenomeno, che nel lontano passato si presentava con affioramenti spontanei, venne, in tempi più recenti,  sfruttato dai nostri padri, che, con un sapiente ed accurato lavoro, captarono le vene sotterranee d’acqua per utilizzarle in agricoltura.
Attraverso un’iniziale escavazione nella campagna furono create le  teste di fonte o capifonte ed all’interno di questi scavi, che hanno varie forme e dimensioni, l’acqua scaturisce in diverse polle o occhi di fonte, costituiti da tubi metallici  o di cemento, che in tempi più  recenti hanno sostituito gli antichi tini di legno. L’inserimento nel terreno di questi manufatti ha la duplice funzione di concentrare l’acqua delle vene sotterranee e di facilitarne la risalita in superficie.
Dalle teste di fonte attraverso le aste dei fontanili, l’acqua è convogliata nei canali che,  con un fittissimo reticolo, distribuiscono questa notevole risorsa idrica alle campagne.
Un esempio “unico” d’irrigazione erano “le marcite”, un tipo di prato stabile che era irrigato anche d’inverno grazie alla particolare temperatura  dell’acqua dei fontanili, che varia sempre dagli 8 a 16 gradi, e che consentiva in tal modo di eseguire anche sette tagli d’erba per anno.
Le particolari condizioni di vita all’interno di questi corsi d’acqua, determinano una vasta componente biologica, favorita anche dall’alberatura che ancora oggi costeggia le sponde dei fontanili e dei canali ad essa collegati, alberatura che in alcuni punti assume un piacevole  aspetto boschivo.
Con il passare degli anni ed il mutare delle tecniche agricole e d’irrigazione, l’impatto umano su quest’ambiente è divenuto sempre più forte.
I problemi per questi  particolari angoli di natura sono ora molti ed alcuni innescano spirali difficili da arrestare, ad esempio, la diminuzione, in alcuni casi, dell’alberatura che determina una crescita esuberante della vegetazione acquatica. Per contenere questa crescita  è quindi necessario intervenire con tagli periodici  del fondo che sono eseguiti ormai con l’impiego della fresa, che toglie sì la vegetazione in eccedenza, ma al tempo stesso uccide anche molte delle forme di vita che trova sul suo cammino, oltre ai danni strutturali che l’impiego di tali attrezzature provoca al letto della risorgiva.
Le teste di fonte,  sempre meno utilizzate dagli agricoltori che ora prediligono le idrovore, possono divenire un fastidio che a volte è meglio eliminare: bastano alcuni colpi di ruspa per far scomparire ciò che i nostri padri hanno creato e realizzato in cento anni.

Una ricca fauna acquatica dalla lunga stagione vegetativa, data la particolare temperatura dell’acqua, cresce nelle teste di fonte.

Le speci vegetali più  comuni sono: Sedanino d’acqua, Veronica d’acqua, Crescione
Le più caratteristiche sono: l’Erba gamberana, le cui verdissime chiome ondeggiano allo sgorgare delle acque, e la Peste d’acqua che spesso fodera il fondo delle sorgenti con un tappeto scuro.
Dove l’acqua è ferma o ha lievi movimenti cresce la Lenticchia d’acqua, pianta galleggiante che ricopre ampie superfici.
Lungo l’asta del fontanile, dove l’acqua comincia a scorrere e la temperatura  si modifica, si fanno largo le piante anfibie, riscontrabili sia in acqua bassa che sulle rive: Gramigna acquatica, Myosots, Giaggiolo giallo, Canna di palude, Iris, Tife, Giunchi.
Dove la corrente è più forte compare il Ranuncolo d’acqua.

Sulle rive crescono alberi  come: Ontani, Pioppi, Salici, Platani, Robinie, Roveri, Noci, Gelsi, e arbusti fra cui Noccioli e Sambuchi.

Nelle teste di fonte vive una molteplice e variegata fauna e tra gli insetti si trovano: Il Gerride, la Notonecta  e il Girinide. Tra i gasteropodi, la Limnea, la Vivipara e il Planorbis.

I pesci presenti sono: il Ghiozzo, lo Scazzone, il Varione, il Cavedano, l’ Alborella  e, a volte, il Luccio. Lungo il canale compaiono l’Anguilla,  la Carpa e il Barbo, mentre fra i rettili  la Biscia d’acqua.

Gli uccelli che si possono ammirare sono l’Usignolo di fiume, la Ballerina, la Cannaiola, il Cuculo, la Cincia, il Fringuello, il Verdone e la Tortora.




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mercoledì 27 maggio 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : CREMA



Crema è un comune italiano della provincia di Cremona, in Lombardia.
Situata nella bassa Pianura Padana, poco oltre la linea delle risorgive presso la sponda destra del fiume Serio, è il centro principale della provincia dopo il capoluogo Cremona e dà il proprio nome a tutta la parte settentrionale del territorio provinciale: il Cremasco. Il comune appartiene alla regione agraria n° 2 (pianura di Crema) ed è inserito nel contesto del Parco del Serio, a 79 m sul livello del mare, dista da Cremona 40 km.

La città di Crema si è sviluppata all’interno di un’area geografica in cui numerosi scorrono i corsi d’acqua (fiumi, canali, risorgive, rogge, scolmatori ecc.) ed è appunto la presenza dell’acqua l’elemento che ha determinato in modo peculiare la natura e la conformazione dell’ambiente circostante fin dai tempi più antichi.
In origine infatti tutto il territorio cremasco era sommerso dalle acque che, ritirandosi, lasciarono progressivamente posto alle terre emerse. Fra queste andò sempre più definendosi l’Insula Fulcheria o Fulcherii che, come sta a indicare il termine “insula”, rimase comunque circondata per lungo tempo da una grande palude chiamata lago (e talvolta anche mare) Gerundo.
Gli attuali fiumi Serio, Adda e Oglio, i numerosi canali e rogge del Moso (il territorio a nordovest del centro abitato di Crema, che più a lungo e in maggior misura ha conservato gli antichi caratteri di acquaticità) e la serie di fontanili (ancor oggi attivi, almeno in parte) da cui emergono in superficie le falde idriche del sottosuolo sono il retaggio delle originarie paludi. Una naturale evoluzione portò quelle acque a scorrere in modo più ordinato e a scavarsi un letto meno incerto formando e delimitando un territorio decisamente fertile. L’acqua diventò allora una preziosa risorsa per gli abitanti dei luoghi, utile per le coltivazioni, come via di comunicazione e come elemento naturale di difesa.
Il popolamento della zona si può far risalire al quarto millennio a.C., come dimostrano i ritrovamenti di alcuni esemplari di fauna (Bisonte antico, cervidi) e di manufatti in buona parte conservati nel Museo civico di Crema (frammenti di pietra lavorata, punte di frecce, asce in pietra).
Le successive testimonianze in bronzo e i reperti ceramici consentono di risalire ad alcune popolazioni che si stabilirono sul territorio cremasco in epoca preromana: i liguri, i veneti e sicuramente le varie etnie celtiche di insubri e cenomani.
Nel III secolo a.C. i romani sconfissero le tribù insediate nella Gallia Cisalpina e ne occuparono le terre deducendo proprie colonie a Milano, Bergamo, Treviglio, Lodi, Piacenza, Pavia, Cremona. La loro presenza in area cremasca nei secoli successivi è documentata da testimonianze diffuse, che divengono più consistenti nell’epoca tardoimperiale. In proposito va ricordato che la vicinanza di Milano, capitale dell'impero dal 286 al 402 d.C., diede sicuramente impulso a uno sviluppo demografico ed economico del territorio, di cui beneficiò soprattutto Palazzo Pignano che si affermò come un importante insediamento: nell'attuale sito archeologico sono stati recuperati i resti di una villa tardoromana con edificio cultuale e forse di un più vasto complesso (ben documentati in un'apposita sala del Museo civico di Crema).

Le origini di Crema sono legate all'invasione longobarda del VI secolo d.C.; il nome deriva probabilmente dal termine longobardo "Crem" che significa "altura". Secondo la tradizione, la fondazione della città risalirebbe al 15 agosto 570 quando, di fronte alla minaccia rappresentata dall'invasione longobarda, gli abitanti della zona trovarono rifugio nella parte più elevata dell'"isola della Mosa", approntandola a difesa sotto la guida prima di Cremete, conte di Palazzo, e poi di Fulcherio. Da questi due personaggi deriverebbero perciò i toponimi Crema e Insula Fulcheria. Secondo altre fonti la sua fondazione risale al IV secolo d.C., quando Milano era capitale dell'Impero romano d'Occidente. Un'altra versione invece parla di un più antico insediamento Celtico o Etrusco.

La prima occorrenza di Crema nei documenti storici risale all'XI secolo come possedimento dei conti di Camisano. In seguito venne governata da Bonifacio marchese di Toscana e sua figlia Matilde. Nel 1098 Matilde diede in dono la città al vescovo di Cremona. Durante questo periodo l'agricoltura prosperò e l'Ordine degli Umiliati introdusse la lavorazione della lana, che fu una delle principali aree economiche fino al XIX secolo.

Federico I Barbarossa stava attuando un disegno politico che aveva lo scopo di instaurare il potere imperiale a sfavore delle autonomie dei comuni. In tale contesto si introduce la secolare diatriba tra Crema e Cremona, le cui cause, forse, sono da rilevarsi nelle disattenzioni di Crema di fronte ai diritti e ai privilegi che i vescovi di Cremona avevano su parte dell'Isola Fulcheria. Si tenga inoltre presente che l'alleanza tra Crema e Milano era vista come l'estendersi del predominio della metropoli verso Cremona, e come un pericoloso avanzare dell'influenza di Milano verso il Po.
Crema come "testa di ponte" verso il sud della Lombardia: una minaccia troppo grande per tutte quelle città che basavano la loro economia sui traffici commerciali lungo il fiume Po; così a partire dall'anno 1098 la fortezza di Crema fu utilizzata per il primo di una serie di battaglie contro Cremona che aveva la sua giurisdizione sull'Insula Fulcheria grazie ad una concessione dell'imperatore Enrico III (1055) successivamente rinnovata da Matilde di Canossa (1098).

Ecco quindi l'idea di rivolgersi a Federico I, la cui discesa in Italia aveva lo scopo di attuare il suo programma contro le spinte autonomistiche e le ribellioni dei comuni: un'occasione troppo grande per Cremona per progettare un assedio nei confronti della città cremasca.

In un incontro avvenuto nell'inverno 1159 a Casale Monferrato, i cremonesi riuscirono a convincere l'imperatore a muovere l'esercito verso Crema: una sconfitta sarebbe stata monito per Milano, assai ribelle nei confronti del monarca teutonico. Inoltre i cremonesi offrirono a Federico I 15.000 marche d'argento.

La città aveva un centro storico più piccolo di quanto non lo sia ora. Sorta su un dosso ai margini orientali dell'Isola Fulcheria, la città, come racconta lo storico Rahewino al seguito dell'imperatore, nel XII secolo appariva circondata da duplice alta muraglia con profonde fosse colme d'acqua. Certamente era una città che non soffriva di approvvigionamento idrico: numerosi dovevano essere i pozzi scavati all'interno dell'abitato. Inoltre era ben difesa da uno spazio paludoso, da individuarsi nell'area del Moso, che in caso d'assedio avrebbe permesso di sfruttare percorsi misti terra-acqua – noti solo ai locali – e provvedere quindi alle scorte alimentari.

Il 2 febbraio 1159 l'imperatore inviò a Crema alcuni delegati per consegnare l'ingiunzione a distruggere le mura e colmare le fosse. L'ingiunzione fu respinta e vi fu un tentativo di linciaggio nei confronti degli ambasciatori dell'imperatore.

Il 2 luglio i cremonesi, al seguito del vescovo Oberto da Dovara, presero posizione ai limiti delle fosse di fronte a porta Ripalta. Nei giorni a seguire arrivarono gli altri contingenti: le truppe dell'imperatore si stanziarono tra porta Serio e porta Ripalta; le truppe guidate dal fratello di Federico I, il duca Corrado, si posizionarono di fronte a porta Ombriano; il duca Federico, figlio di Corrado, prese posizione tra porta Ombriano e porta Pianengo. Le truppe pavesi coprirono l'ultimo tratto, tra porta Pianengo e porta Serio; infine, giunse il duca Guelfo di Baviera che si schierò davanti a porta Serio, cosicché Federico spostò le sue truppe tra porta Ripalta e porta Ombriano con in mezzo il grande castello.

Le operazioni di posizionamento terminarono definitivamente nell'ottobre 1159, ma già prima si erano avuti scontri: durante una sortita alcuni cremaschi tentarono con un effetto sorpresa di bruciare il mangano, ma trovarono pronte le sentinelle di difesa che ingaggiarono una dura lotta. Quattro cremaschi furono catturati: ad uno fu mozzato il capo, ad un secondo staccarono i piedi, ad un terzo tagliarono le braccia, il quarto fu ferito mortalmente. Altri per sfuggire a simili sevizie tentarono la fuga nelle fosse ma perirono annegati.

Questo fu l'episodio che convinse l'imperatore a iniziare l'attacco: dopo un primo tentativo, non andato a buon fine, di colmare parte della fossa per portare i macchinari in prossimità delle mura, Federico ottenne entusiasticamente dai lodigiani di avere tutto il materiale (botti, fascine, legna e quant'altro di utile) per riempire il fossato.

Nel mese di dicembre la via era pronta e i germanici iniziarono a muovere il gatto seguito dalla torre mobile, ma il continuo lancio di pietre incendiarie ne bloccava l'avanzata.

Qui si inserisce l'episodio più noto e tragico: dopo aver coperto la torre con cuoi e panni bagnati l'imperatore fece appendere, letteralmente, alcuni ostaggi cremaschi e milanesi. Pensava in tal modo che gli assedianti avrebbero desistito dal lancio di pietre per non ferirli. Ma i cremaschi, forse incitati dagli stessi ostaggi, continuarono a colpire la torre che fu costretta ad arretrare. Molti ostaggi perirono e la cronaca di Ottone Morena, che seguiva l'assedio, ne ricorda alcuni nomi: tra i milanesi Codemalo di Pusterla, Anrico di Landriano, e altri due. Fra i Cremaschi Presbitero di Calusco, Trotto di Bonate, Aymo di Galliosso e altri due. Ad Alberto Russo di Crema furono spezzate le gambe, a Giovanni Garesi ruppero un braccio. Il Morena ricorda anche i nomi dei sopravvissuti: Negro Grasso, Squarzaparte di Businate, Ugo Crusta e molti altri di Milano; e inoltre i cremaschi Giovanni Garesi, Arderico Bianco, Alberto Rufo, Sozone Berondi e molti altri.

Il gatto, tuttavia, poté avanzare e permise di azionare l'ariete che operò uno squarcio nelle mura. Il 6 gennaio anche la torre riprese lentamente il suo cammino e a nulla valsero i lanci di barili incendiari da parte dei cremaschi. Da parte degli assedianti la copertura di arcieri e balestranti mise in serie difficoltà gli assediati e qui avvenne l'episodio chiave dell'intero assedio: il tradimento di Marchese (o Marchisio) l'ingegnere militare che aveva costruito le macchine da guerra cremasche. Ignoti sono i motivi e le modalità di questo episodio, ma una volta passato al nemico progettò un ponte e una nuova macchina d'assedio, che assieme alla già citata torre, poté avanzare sul tratto di fossato ormai già colmato.

Il 21 gennaio avvenne l'attacco finale; un grande ponte di 40 braccia per 6 (circa 24 per 3,6 metri) fu appoggiato alle mura ed un altro più piccolo partiva dalla torre mobile. Pur mancando il coordinamento tra i due ponti con qualche difficoltà degli assedianti, molti dei quali vennero annientati, le truppe imperiali riuscirono comunque a salire sulle mura. La città fu così sotto il tiro delle balestre e degli archi e non poté più sopravvivere in tali condizioni: il 25 gennaio avvenne la resa.

Sottoscritta da cremaschi, milanesi e bresciani la decisione della resa, iniziò l'esodo degli occupati, probabilmente circa 20.000 persone, che dovettero uscire con il poco che potevano portare con sé; successivamente le truppe incendiarono la città e demolirono ciò che ne rimaneva, incluse le chiese. Un editto stipulato dallo stesso imperatore nel 1162 a Lodi ne vietava la ricostruzione.

Tuttavia nonostante le reciproche diffidenze, i comuni riuscivano finalmente a organizzarsi nella Lega Lombarda (1167) che nel 1176 otteneva una decisiva vittoria sulle truppe imperiali nella battaglia di Legnano.

Dopo la pace di Costanza (1183) l'imperatore sanciva la legittimità della Lega e i comuni riuscivano a riottenere gran parte della loro autonomia e se ne avvantaggiava Milano e assieme a questa il comune di Crema, suo fedele alleato: l'editto di Lodi veniva revocato e i cremaschi potevano finalmente ricostruire la loro città.

Iniziava anche un tentativo di normalizzazione dei rapporti con la città di Cremona, fino a giungere ad un primo, storico accordo avvenuto nel 1202 nei dintorni del Santuario della Beata Vergine del Marzale.

Nei reggimenti più piccoli dell'entroterra veneto, come quello di Crema, le figure di podestà e capitano erano unificate in un'unica persona che aveva, quindi, potere civile militare e giudiziario sull'intera provincia.

Nel 1361 la città venne funestata dalla peste. Racconta Pietro Terni nella sua Storia di Crema: "Crema a tale estremo era ridotta che più non si trovava chi, nel disperato caso, degli infermi cura togliesse: tutti infettati erano, né l'uno all'altro poteva dar soccorso."
Fu in tale circostanza che i cremaschi cominciarono a venerare con particolare devozione la figura di San Pantaleone. Narra ancora il Terni: "Il glorioso Redentore, volendo i miracoli del Santo al mondo manifestare, la mente aperse ai poveri ammalati perché ricorrere dovessero a San Pantaleone. Uniti insieme alcuni di loro il meglio che poterono, fecero voto al glorioso Santo di alcune annuali oblazioni e lo tolsero per patrono, che prima avevano Sant'Antonio, San Sebastiano e San Vittoriano. Fatto il voto, subito, nel decimo giorno di giugno, rimase la terra talmente dalla malvagia sorte liberata, che pare che dal vento fosse lo contagio levato. Dicesi che il Santo protettore fu veduto in aere sopra la terra con la mano distesa, come nel suggello maggiore la Comunità scolpito mostra; havuta la grazia, ordinarono le processioni annuali nel giorno della liberazione, che fu ai dieci di giugno, di tutte le arti ed huomini di Crema e del territorio, come fino ai giorni nostri si costuma."
Dal che si comprende perché la festa patronale di Crema ricorra il 10 giugno, mentre nel calendario ecclesiastico San Pantaleone è ricordato il 27 luglio, giorno della sua morte nel 305 a Nicomedia di Bitinia (oggi Izmit, in Turchia) nel corso della persecuzione voluta da Diocleziano al principio del IV secolo.
Il podestà e capitano veniva eletto dal Maggior Consiglio di Venezia tra i membri delle più prestigiose famiglie patrizie venete e la sua carica durava generalmente sedici mesi. Era affiancato da un giudice del maleficio e da un vicario pretorio: il primo era, in pratica, un giudice penale, il secondo si occupava di questioni civili.

Le entrate pubbliche erano curate da due Camerlenghi, mentre la custodia della rocca era affidata ad un castellano. Tutte e tre le figure erano scelte tra patrizi veneti. Il governatore delle armi, invece, poteva essere anche cremasco.

Il podestà e capitano sovrintendeva un Nobile consiglio (i cui componenti erano appunto blasonati), la cui carica fino al 1519 durava tre anni, quindi a vita. Potevano entrarvi i patrizi con età superiore a 25 anni. Tra questi venivano scelti tre provveditori (con durata semestrale per due di essi, il terzo annuale) che coadiuvavano il podestà e capitano. All'interno del Nobile consiglio i membri potevano essere eletti deputati a particolari compiti (lavori pubblici, Monte di pietà, monasteri, ospedali, edilizia, ecc.)

Il podestà risiedeva nel Palazzo pretorio.

In qualità di provincia veneziana dell'entroterra, Crema ottenne numerosi privilegi e fu al riparo dal declino economico del vicino Ducato di Milano sotto il dominio spagnolo. Mantenne una sostanziale autonomia che permise la progettazione di nuove costruzioni. Esse includevano la nuova cinta muraria, la ricostruzione del Palazzo Comunale (1525-1533), il Palazzo della Notaria, ora Palazzo Vescovile. Nel 1580 Crema divenne sede vescovile e fu costruito il santuario di Santa Maria della Croce (1490).

Secondo i documenti custoditi negli archivi della Diocesi, Crema fu anche la città d'origine dei Mastai Ferretti, la famiglia senigalliese di papa Pio IX. Secondo una ricerca operata dal parroco del paese d'origine dei Visconti, anche il famoso Innominato, descritto da Manzoni nei Promessi Sposi, aveva origine cremasca da parte di madre. Vissuto ai tempi in cui Crema era sotto il dominio della Serenissima, aveva appezzamenti agricoli dalle parti di Bagnolo, pur essendo nato e vissuto nel Palazzo Visconti, Palazzo a Brignano Gera d'Adda, un gioiello di architettura e di fasto vicino a Crema. Brignano era sotto il dominio del Ducato di Milano, perciò a Francesco Bernardino Visconti (l'Innominato) capitò di rifugiarsi nel palazzo Martini, che allora era sotto il Dominio della Repubblica di Venezia e che apparteneva alla famiglia di sua madre Paola Benzoni. In tal modo Francesco Bernardino sfuggiva alla giustizia milanese ed anche trovava asilo in una piccola città dove nella Parrocchia della Cattedrale di Crema, un Benzoni, Leonardo Benzoni figlio di Soccino Benzoni, si laureò alla Sorbona a Parigi e, successivamente, divenne vescovo (non a Crema); era stato quindi un esponente religioso importante (su un capitello del Palazzo esiste tuttora lo stemma di Leonardo Benzoni, un cappello vescovile che sovrasta un cane, simbolo dei Benzoni. Per queste circostanze il nipote di Leonardo Benzoni, Francesco Bernardino Visconti (l'Innominato), poteva sperare di ricevere un maggior riguardo a Crema rispetto a quello che gli sarebbe toccato nel Ducato di Milano, oltre all'inopinabile vantaggio di cambiare velocemente Stato e confini politici in caso di necessità (dal Ducato di Milano alla Repubblica di Venezia) e, quindi, uscire in breve tempo dalla giurisdizione milanese.

Non si poté evitare il diffondersi in territorio cremasco della terribile peste manzoniana nel 1630 (le cronache riferiscono di 10.000 morti), con un lazzaretto allestito a Santa Maria della Croce e il cimitero a San Bartolomeo “alle ortaglie”, che da allora venne chiamato “ai morti”.
Nel 1648 la Serenissima chiese denari anche a Crema per fronteggiare le spese della guerra contro i turchi, e a tal fine vennero confiscati i beni dei monasteri di San Domenico, San Benedetto e Sant’Agostino. Allo stesso scopo Gasparo Sangiovanni Toffetti donò 60.000 ducati a Venezia, che lo ricompensò iscrivendolo nell’albo d’oro della nobiltà veneta (unico cremasco a ottenere un simile onore dopo i Benzoni).
Anche nel XVIII secolo la città poté vantare il nome illustre di Mauro Picenardi in campo pittorico e continuò ad arricchirsi di palazzi privati (Terni-Bondenti, Albergoni-Arrigoni), di chiese (quella del Salvatore all’interno dell’Ospedale maggiore, l’oratorio detto del Quartierone, le ricostruzioni della Santissima Trinità, di San Giacomo, di Sant’Antonio Viennese e la pesante alterazione in stile barocco del Duomo) e di un teatro (1716-23), realizzato però in modo tanto insoddisfacente che si decise di ricostruirlo su progetto di Giuseppe Piermarini nel 1782-86.
L’istituzione di un’Accademia di agricoltura (1769) fu la concreta testimonianza della diffusione anche a Crema della cultura illuminista e dell’interesse per il progresso delle scienze applicate. Fiorirono come sempre gli scambi commerciali (Fiera di San Michele) e si provvide a un generale riattamento delle strade cittadine, sorsero le fabbriche di campane (Crespi) e nacque l’arte organaria, che da allora ebbe una lunga e prestigiosa tradizione coltivata fino ai giorni nostri.
Con il XVII secolo ebbe inizio la decadenza della città, causata dal fallimento delle sue attività industriali, anche se l'agricoltura continuò ad essere fiorente. Nel 1796 venne fondata l'Accademia dell'Agricoltura. Dopo la caduta della Serenissima nel 1797, l'Esercito Francese depose l'ultimo podestà e creò la cosiddetta "Repubblica Cremasca", annessa dopo pochi mesi alla Repubblica Cisalpina. Crema divenne capoluogo (insieme con Lodi).

Il museo ospita la riproduzione in ceramica della più antica carta del Cremasco, risalente al XV secolo: l'originale è conservato presso il Museo Correr a Venezia
dell'effimero Dipartimento dell'Adda, e in seguito fu annessa al Dipartimento dell'Alto Po, con capoluogo Cremona.

La fine del secolo XVIII, a Crema come nel resto d’Italia e d’Europa, fu squassata dai grandi sconvolgimenti portati dalla Rivoluzione Francese prima e dalle guerre napoleoniche poi. La campagna d’Italia (1796-97) fruttò a Napoleone la conquista di tutta la Lombardia: il 27 marzo 1797 un drappello di dragoni francesi entrò in Crema senza incontrare alcuna resistenza, arrestò l’ultimo podestà veneto della città e vi istituì la municipalità che portò per una brevissima stagione il vanaglorioso titolo di Repubblica di Crema, assorbita dopo soli due mesi nella ben più ampia Repubblica Cisalpina. Cessò così, senza colpo ferire, la plurisecolare dominazione veneta sulla città: le insegne di San Marco furono rimosse, il seminario soppresso così come gli ordini religiosi e i loro conventi (Sant’Agostino, San Francesco, San Domenico, poi utilizzati come caserme), gli oggetti preziosi delle chiese e della diocesi confiscati, il tribunale dell’Inquisizione abolito.
Il dominio francese comportò per Crema, oltre alle varie soppressioni e confische, all’applicazione del codice napoleonico e delle nuove leggi (frazionamento delle proprietà, uguaglianza di tutti di fronte alla legge, coscrizione obbligatoria) e alla diffusione dell’istruzione e delle idee liberali, anche la decadenza dei privilegi connessi al suo precedente status di territorio di frontiera e di capoluogo di provincia.
I fatti principali verificatisi a Crema in quei primi lustri del XIX secolo furono la scossa di terremoto che il 12 maggio 1802 danneggiò il Duomo e la basilica di Santa Maria della Croce, la realizzazione di lampioni a olio per l’illuminazione pubblica notturna (1802), l’abbattimento e ricostruzione con funzione ornamentale di Porta Serio e Porta Ombriano (1804-7), la demolizione del castello di Porta Serio e l’apertura del cimitero comunale (1809).
La sconfitta di Napoleone a Lipsia (1813), poi ribadita da quella di Waterloo (1815), determinò il crollo del suo impero e la restaurazione degli antichi sovrani sancita dal congresso di Vienna. Il ritorno degli austriaci in Lombardia significò per il territorio cremasco l’inquadramento nella neocostituita provincia di Lodi e Crema (24 gennaio 1816), che solo formalmente poneva sullo stesso piano le due città: in realtà il capoluogo provinciale e il centro della vita amministrativa fu Lodi.
Il successivo trentennio di dominio austriaco si rivelò sostanzialmente positivo: pur senza gli antichi privilegi, per Crema fu un periodo di benessere e di tranquillità nel corso del quale venne promossa soprattutto l’agricoltura, con la diffusione della stabulazione del bestiame, l’incremento delle produzioni lattiero-casearie, l’introduzione dell’allevamento del baco da seta, la coltivazione e la tessitura del lino.
L’economia agraria tuttavia, basata sul controllo delle grandi proprietà terriere (appannaggio dei nobili), andò perdendo vigore mentre si affermava la nuova classe borghese impegnata nelle attività manifatturiere e nei commerci. Dal 1843 Crema fu collegata con Milano da un servizio giornaliero di diligenze e la Cassa di risparmio delle province lombarde aprì in città una propria agenzia. Da segnalare la demolizione della chiesa di Sant’Agostino, l’istituzione del corpo dei pompieri (1835) e la creazione del Campo di Marte per le manovre della guarnigione militare (1847).
Il definitivo declassamento amministrativo pubblico (seguito all'inserimento nella provincia di Cremona) diede per converso un nuovo impulso all’iniziativa privata, alle sue capacità imprenditoriali e al rafforzamento delle strutture produttive. La necessità di far fronte a una situazione di concorrenzialità senza potersi più giovare di misure protezionistiche liberò energie e potenzialità insospettate. Crema, pur mantenendo un’alta produzione agricola grazie all’adozione di tecniche d’avanguardia e di forme consortili, associative e cooperativistiche, assunse immediatamente il ruolo di polo industriale e produttivo di tutta la provincia (il linificio Maggioni, aperto a Crema nel 1862, fu la prima industria cremonese) in forza del ricorso alle nuove tecnologie e alla creazione di solide strutture commerciali e creditizie (Banca Popolare Agricola di mutuo credito, Casse rurali e artigiane), indispensabili per lo sviluppo della sua vivace economia.
Anche l’attività artigianale seppe adeguarsi alle mutate condizioni dei tempi, com’è testimoniato dalla nascita delle fabbriche d’organi di Pacifico Inzoli nel 1867 e di Giovanni Tamburini nel 1893, che rinnovarono una tradizione settecentesca portandola a livelli d’eccellenza internazionale mantenuti fino ai nostri giorni.
Un altro essenziale fattore di sviluppo fu l’attenzione per l’istruzione e la cultura: nel 1860 fu aperta la scuola normale (magistrale), nel 1863 la scuola tecnica, nel 1864 le scuole serali, la biblioteca comunale (diretta da don Giovanni Solera) e l’asilo infantile Principe Umberto, nel 1899 la scuola serale popolare di commercio.
Lo sviluppo della città proseguì nel Novecento con la realizzazione di collegamenti più veloci, non solo automobilistici (servizio di linea Crema-Codogno, 1912) ma anche telefonici (linea Crema-Lodi-Milano, 1904), a tutto vantaggio delle attività imprenditoriali. In campo industriale vanno ricordati gli importanti insediamenti della Ferriera di Crema Stramezzi & C. (1913) e della Società Serio (poi Everest, poi Olivetti, 1932-1992), mentre per l’agricoltura nel 1914 fu aperta una stazione sperimentale di batteriologia agraria.

vista del fabbricato d'ingresso al piccolo parco ChiappaAltre opere di particolare rilievo furono il restauro della facciata del Duomo (1913-16), il collaudo dell’acquedotto pubblico (1917) e, dopo la I guerra mondiale cui anche Crema pagò il proprio tributo di uomini, la creazione del Civico istituto musicale Luigi Falcioni (1919), l’inaugurazione del velodromo (1922), l’illuminazione elettrica in sostituzione dei fanali a gas (1930), la costruzione della rete fognaria (1933) e l’abbassamento di 30 centimetri del livello di calpestio di piazza Duomo (1936-37).Il tribunale, istituito nel 1862, venne soppresso nel 1923 e di nuovo ricostituito nel 1948, mentre il comune di Crema allargava confini territoriali e giurisdizione amministrativa inglobando i precedenti comuni autonomi di Ombriano, Santa Maria della Croce e San Bernardino (1928).

Nel 1928 furono aggregati alla città di Crema i comuni di Ombriano, San Bernardino e Santa Maria della Croce.

L'economia era caratterizzata nel secolo scorso dall'agricoltura, con produzione di foraggi, cereali (degna di nota quella del grano), pioppi, e dall'allevamento nel contesto dell'economia provinciale. Dagli anni settanta, sono presenti aziende casearie e importanti aziende alimentari in generale, oltre a industrie metallurgiche, meccaniche, elettroniche e tessili.

Un aspetto notevole dell'artigianato è costituito dalle fabbriche di organi musicali; tale settore venne portato a livelli di eccellenza da Pacifico Inzoli nel 1867 e da Giovanni Tamburini nel 1893. I due maggiori organi italiani esistenti (16.000 canne) del duomo di Milano e di Messina, tra i più grandi d'Europa, sono opera degli organari cremaschi. La città è anche sede di un'importante azienda energetica la Enercom.

Nel XX secolo, dalla fine degli anni sessanta sino al 1992 l'Olivetti ha avuto un importante polo produttivo nella città lombarda, che arrivò a toccare quota 3150 addetti nel 1971 e che all'atto della chiusura nel 1992 contava ancora 700 dipendenti. L'Olivetti arrivò in città alla fine degli anni sessanta acquisendo l'area industriale di via Mulini, dove si trovava la Serio-Everest, un'azienda fondata nel 1929 da sette fuoriusciti dalla Said di Milano, Società anonima italiana dattilografia. La Serio-Everest è stata la prima azienda al mondo a produrre una macchina da scrivere con tastiera a 4 file di tasti invece che 3. Arrivò a contare 1.600 addetti e fu inglobata dall'Olivetti a partire dal 1967.

Attorno all'azienda a Crema si formò poi un'area, abitazioni, centro ricreativo e aziende. Dopo la fine della storia dell'Olivetti l'area di via Bramante è stata recuperata grazie all'insediamento del Polo informatico dell'Università di Milano e di diverse aziende tecnologiche che hanno recuperato l'area. La storia di Serio-Everest e Olivetti a Crema è stata raccontata nel 2002 dalla pubblicazione "Dalla Everest all'Olivetti" edita dal Centro di ricerche Alfredo Galmozzi.

Pietro da Terno nella sua Historia cita un’antica cronichetta scritta a mano ove la nobeltà et la grandezza indicavano i fasti e le glorie di un antico popolo scomparso e di una sontuosa corte ove venne accolto il re dei Longobardi onorifficentissimamente e molti altri prìncipi tra cui Milano etc. Sempre il Terni scrive che Alboino fu il primo re dei Longobardi e che da due anni ruinava e destrugeva le cità d’Italia e che costrinse Cremes Cremete a fugire da Palazzo Pignano et a rifugiarsi supra un’insula circumdata da una selva che solo con le navicule si poteva approdare: et cusì fu che il conte Cremete dette principio a una nova città e a una nuova patria.
Era il 15 agosto del 570, anno secondo del regno di Alboino, Cremete radunò i fuggiaschi in una chiesetta costruita su quell’insula dedicata a santa Maria Assunta della Mosa. Accanto a quella rudimentale chiesetta vi era una rocchetta posta ad oriente,quell’isolotto era detto della Mosa. Fu così che iniziò la fundatione di una nuova città che il conte di Palazzo Pignano volle chiamare Crema.
Morto Alboino, schiacciato dal suo cavallo, mentre entrava in Pavia, fu eletto come secondo re dei Longobardi per alcuni scrittori Cheplen per altri Daplon. Cremete si sottomise ai Longobardi, e fu così che la città crebbe in pace fra le paludi e le acque in riva al fiume Serio, costruendo nuove case e bonificando le terre circostanti per mano dei contadini, dei cacciatori e dei pescatori. Vennero tagliate le selve e i boschi, e così la nostra terra di buone valli fu circondata.
A ottobre di un anno imprecisato la Gallia Cisalpina venne inondata da un’alluvione ed anche il cremasco fu sommerso e colpito poi dalla peste. Queste calamità accaddero nei primi dieci anni dopo l’avvento dei Longobardi. Un nuovo re venne eletto: Authari che volle per isposa la piissima Teodolinda, figliuola del re dei Boiavari (Bavaria) si unirono in Verona con solenni nozze ivi incaminadosi alla volta di Pavia capitale del loro popolo. A Crema si fermarono ospitati dal conte Cremete e longa dimora fecero.
Re Authari alla fine dell’anno sesto del suo regno morì e Teodolinda scelse quale secondo marito il duca di Torino Agiliulfo. Si sposarono a maggio dell’anno seguente, in quel tempo Cremete aveva cinto l’oppido di crema con delle mura di bona altezza, quando il territorio fu investito da una siccità che durò da gennaro a settembrio et sciami di locuste divorarono quel poco di verde rimasto. Il seguente inverno il cremasco venne avvolto da un grande gelo et le vigne e gli alberi morirono e sui cremaschi calò una grande carestia riducendo la popolazione al lumicino.
Questi eventi furono annunciati da una grande cometa, quale la sira et matina molte volte apparve cum signi sanguinoi che in forme d’aste la note in cielo apparevano. Passarono ventiquattro anni di pace e così tanto avevano costruito dentro le mura che non vi era più spazio per nuove dimore. Ospite di Cremete, giunse in città Agilulfo ed insieme su un’imbarcazione si diressero verso oriente ove costruirono un nuovo borgo a cui venne dato per nome San Benedetto, in onore della preesistente chiesetta.
A Crema oramai confluivano sempre più genti, tanto che il Signore di Crema decise di costruire verso occidente San Sepolcro, un altro borgo. L’anno seguente ancora più moltitudine ai cremaschi si unì, e fu necessario aggiungere il terzo borgo, e si mise mano al luogo chiamato San Pietro, innalzato fra settentrione e oriente. La pace stipulata dal conte Cremete con Agilulfo si acclarò quando per bramosia di terre e nuovi domini il re Longobardo inviò le sue orde contro Cremona e contro Mantova che vennero destructe et ruinate al punto che i raminghi vennero accolti dai cremaschi. Secondo alcune fonti storiche la distruzione di Cremona e Mantova è data 597 per altre il 603.
La condizione di questa buona sorte che aleggiava su Crema era il desiderio di Teodolinda che impose a Cremete il pegno d’abbandonare la religione pagana con i suoi idoli e così si giunse nel 597 quando Cremete morì Cremetibus obitus, non avendo avuto figli. Al re Agilulfo rimase Crema in eredità. Cremete signoreggiò per 47 anni e nove mesi e al comando della città per volontà del re fu posto il suo figliolo di nome Adoloaldo. Fonte Pietro da Terno,  Don Luigi Coti Zelati Palazzo Pignano, la Pieve Antica.

Persone legate a Crema:
Balugano da Crema, architetto del XIII secolo
Agostino de Fondulis (Crema, XV secolo-XVI secolo)
Giovanni Battaggio (Lodi, XV secolo-XVI secolo), progettista della basilica di Santa Maria della Croce
Luigi Manini (Crema 1848 - Brescia 1936), architetto e scenografo
Sigismondo Martini (Crema, 1883 - Milano, 1959)
Amos Edallo (Castelleone, 1908 - Crema, 1965), architetto e scultore
Beppe Ermentini (Crema, 1919 - 2003)
Alessandro Savelli (Crema, 1909 - 1971)
Giovanni Moretti (Crema, 1909 - 1971)
Bruno Mazza (Crema, 1924 - 2012)
Mario Bergamaschi (Crema, 1929)
Mauro Bicicli (Crema, 1935 - 2001)
Gianni Meanti (Crema, 1935 - 2009)
Giuseppe Doldi (Crema, 1950)
Adriano Cadregari (Crema, 1954)
Giacomo Ferri, (Crema, 1959)
Riccardo Ferri (Crema, 1963)
Alessio Tacchinardi (Crema, 1975)
Daniele Degano, (Crema, 1982)
Mattia Marchesetti (Crema, 1983)
Alessio Manzoni (Crema, 1987)
Ivan Quaranta (Crema, 1974)




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giovedì 19 marzo 2015

IL FIUME SERIO

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Il nome Serio, antico e probabilmente di epoca preromana, starebbe a significare flusso, corrente, oppure "cammina con l'acqua".
Il nome latino del Serio era Sarius. In un documento dell'882 d.C. si legge ancora il nome Sarrio (Tertia pecia ubi dicitur Ad Sarrio apud ipso loco). L'alterazione della a in e, Sar-Ser, è normale per l'influsso della r e risale al basso medioevo.

Il Serio (Sère in dialetto bergamasco e cremasco) è un fiume che scorre interamente in Lombardia e attraversa le province di Bergamo e Cremona. Nasce dal Monte Torena e scende verso la pianura formando la valle Seriana. Complessivamente è lungo 124 km e si getta nell'Adda in località Bocca Serio, a sud di Montodine.

La sorgente del fiume si trova a circa 2.500 metri di quota in una zona ricca di laghetti e polle chiamata Passo del Serio situata tra il Monte Torena (2.911) m e il Pizzo del Diavolo della Malgina (2.926 m) nelle Alpi Oròbie bergamasche. È il lago Superiore del Barbellino a raccogliere le acque di diversi torrentelli, per poi riversarle in un vero e proprio fiume che percorre le province di Bergamo e Cremona fino all'Adda. Nei primi chilometri del suo percorso forma i laghi del Barbellino (Superiore e Inferiore) e attraversa la località turistica di Valbondione, nel cui territorio sono localizzate le celebri cascate: si tratta di un triplice salto per complessivi 315 metri, il più alto d'Italia e il secondo in Europa.

Nel 1931 nel luogo in cui sorgeva un piccolo lago naturale venne edificata una diga per la produzione di energia elettrica che ha interrotto il corso del fiume. Nel 1969 la diga aprì le sue barriere per far rivivere nuovamente la bellezza delle cascate. Da allora, con un accordo con l'ENEL, l'evento viene ripetuto cinque volte nell'arco della stagione estiva. Sulla cascata esiste anche una leggenda popolare tradizionale.

Lungo la Valle Seriana il fiume raccoglie le acque di numerosi affluenti come i torrenti Bondione, Fiume Nero, Sedornia, Goglio, Acqualina, Rino, Ogna, Nossana, Riso, Romna, Vertova, Asnina, Rovaro, Doppia, Albina, Lujo, Vallogna, Carso, Nesa e Gardellone; poi prosegue nella pianura bergamasca e cremasca.

Il tratto in pianura del fiume è suddiviso in due parti assai ben distinte: nella parte bergamasca il fiume è caratterizzato da un ampio greto ghiaioso, dovuto all'inabissamento delle acque del fiume.

Poi improvvisamente, all'altezza del ponte della statale 11 a Mozzanica il fiume riemerge ricomponendosi in un alveo meandriforme all'interno di una valle "a cassetta", non molto ampia perché più recente rispetto ad un antico tracciato, ora percorso dal Serio Morto, che portava il fiume a sfociare nell'Adda più a sud, presso Pizzighettone. Questa valle risulta profonda anche 10-12 metri rispetto al livello fondamentale della pianura, in particolar modo nel tratto finale, a sud di Crema.

Nel tratto cremasco vi sono anche i due più importanti ambienti umidi: il primo è protetto dalla Riserva Regionale Palata Menasciutto (tra i comuni di Pianengo e Ricengo) con due rami fluviali morti intersecati dal Serio vivo. Nel comune di Madignano, presso il medievale santuario del Marzale, si trova un'altra ampia lanca privata e visitabile solo su richiesta.

Lungo il basso corso del fiume, da Seriate fino alla confluenza nell'Adda, è stato istituito nel 1985 il parco regionale del Serio con una superficie di 7.750 ettari.

Il Serio è da secoli protagonista della vita economica di gran parte della provincia di Bergamo grazie ai numerosi canali artificiali che da esso derivano. Questi, la cui esistenza è documentata fin dal XII-XIII secolo, hanno prima permesso lo sviluppo agricolo dei territori posti nella pianura a sud del capoluogo orobico, poi la nascita di un importante polo industriale nella valle.

Le principali motivazioni che hanno spinto le autorità del tempo a scegliere il Serio per la costruzione delle rogge sono da trovarsi nella conformazione della valle stessa, che ha un andamento lineare ed un fondovalle più ampio rispetto alla vicina Val Brembana, e nella portata idrica che garantisce per tutto l’anno un deflusso minimo costante.

Fin dal medioevo quindi le sue acque sono state incanalate verso la pianura bergamasca con opere idrauliche quali le rogge Serio Grande, Morlana e Borgogna che, con le loro diramazioni, contribuirono allo sviluppo agricolo dei possedimenti del comune di Bergamo.

Qualche secolo più tardi, con l’avvento della rivoluzione industriale, i canali artificiali acquisirono ancor più importanza, tanto da aumentare di numero e di portata. Le industrie, che in valle Seriana sorsero in gran numero, sfruttavano la potenza idrica delle condotte per ricavare l’energia necessaria al funzionamento dei macchinari.

Nella parte più a monte della valle vennero create delle apposite condotte presso gli insediamenti industriali, che restituivano completamente al fiume l’intera portata prelevata. Tra questi le principali sono quelle della manifattura Festi Rasini che, tra Ardesio, Piario e Villa d'Ogna si assicura energia per sei siti produttivi e quelle del cotonificio Cantoni con tre complessi industriali presso Ponte Nossa e Casnigo. Vi sono numerose altre realtà minori, per lo più cotonifici che, scendendo il corso del fiume fino ad Albino, attingono al corso del fiume per circa una decina di casi.

Da Albino in poi le aziende non sfruttano direttamente il fiume, ma le rogge da esso derivate, già esistenti ed utilizzate in ambito agricolo. Oltre alle sopracitate Roggia Serio Grande, Morlana e Borgogna, vi sono altre rogge che prelevano direttamente dal Serio: la Spini-Trabattoni e la Comenduna ad Albino, la Ponte Perduto a Gorle, la Brusaporto-Patera a Pedrengo, la roggia Vecchia e la roggia comunale a Seriate. Da queste ne derivano numerose altre che rendono disponibile circa un litro di acqua al secondo per ogni ettaro, raggiungendo un totale di 1.200 chilometri di canali distribuiti su 34 rogge riferibili all’asta fluviale del Serio nella provincia di Bergamo, gestite per la quasi totalità dal Consorzio di bonifica della media pianura bergamasca.

Spostandosi più a sud, in provincia di Cremona, si trovano inoltre la roggia di Castel Gabbiano che attinge presso Mozzanica, la roggia Babbiona a Casale Cremasco, la Roggia Malcontenta in località Palata Malcontenta (Sergnano), la Roggia Menasciutto a Ricengo e la Roggia Borromea a Crema.



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venerdì 6 marzo 2015

PIZZIGHETTONE

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Pizzighettone ( Pisighitòn in dialetto pizzighettonese) è un comune italiano di 6.777 abitanti della provincia di Cremona in Lombardia.

La storia degli insediamenti nel territorio di Pizzighettone è profondamente legata al fiume. La presenza di un guado determinò sin dall'antichità preromana la sua rilevanza per il controllo della regione. Si risale ai Celti (III secolo a.C.) con l'antica piazzaforte di Acerrae, che sorgeva in vicinanza dell'Adda. In epoca romana Acerrae divenne una stazione di transito (statio) della strada Cremona-Laus Pompeia (Lodi Vecchio), quindi scomparve con la fine dell'Impero Romano. Durante il Basso Medioevo, nel XII secolo, il Comune di Cremona fondò l'attuale Pizzighettone, realizzando un castrum sulla sponda orientale del fiume Adda, lungo la strada che dal capoluogo cremonese conduceva verso Pavia e Lodi-Milano. Pizzighettone divenne un importante caposaldo fortificato, a più riprese ampliato e potenziato sotto i vari potentati che si succedettero durante i secoli: le Signorie cremonesi (Ugolino Cavalcabò, Cabrino Fondulo), milanesi (Visconti, Sforza), la Repubblica di Venezia, i sovrani di Francia, gli Asburgo di Spagna e d'Austria, i Borbone, i Savoia, Napoleone Bonaparte. Le sue strutture fortilizie rimasero attive per scopi difensivi sino al 1866, fin oltre l'Unità d'Italia. Ancora oggi esistono ben conservate le antiche difese cittadine: una possente cerchia muraria sulla sponda sinistra del fiume, una vasta serie di difese bastionate sulla destra dell'Adda. Accanto a questi, edificî antichi come la chiesa parrocchiale di San Bassiano (secolo XII) ed il Palazzo Comunale (secolo XV).
Da segnalare che nel 1525 fu tenuto prigioniero nella Rocca di Pizzighettone - oggi semidistrutta - il Re di Francia Francesco I di Valois: catturato dalle truppe asburgiche dopo la sconfitta subita a Mirabello di Pavia venne incarcerato nella torre detta "del Guado", giunta integra e visitabile ai giorni nostri.


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ADDA

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L'Adda (Ada in lingua lombarda, genere femminile) è un fiume dell'Italia settentrionale, il cui corso è interamente compreso nella Regione Lombardia. Il suo nome deriva dal celtico, lingua delle antiche popolazioni locali, e significa "acqua corrente".

È il più lungo affluente del Po e con un percorso che si sviluppa per 313 km è il quarto fiume italiano per lunghezza dopo Po, Adige e Tevere e il sesto per ampiezza di bacino dopo Po, Tevere, Adige, Tanaro e Arno, limitatamente ai fiumi affluenti (cioè che non sfociano direttamente al mare, ma in un altro corso d'acqua) è quello che vanta la maggior lunghezza nella penisola.

Nella gerarchia degli affluenti del Po si distingue oltre che per la sua lunghezza anche per il suo apporto di acque, in quanto secondo per portata media alla foce (dopo il Ticino). Attraversa le Province di Sondrio, Como, Lecco, Bergamo, Milano, Monza e Brianza, Cremona e Lodi; le sue acque irrigano anche una piccola porzione della provincia di Pavia. Entra nel Po nella località Brevia del comune di Castelnuovo Bocca d'Adda, in provincia di Lodi.

L'Adda nasce dal monte Alpisella nelle Alpi Retiche. Dopo aver disceso la Valle di Fraele giunge nel comune di Bormio, ove raccoglie le acque del torrente Frodolfo, prosegue lambendo anche la parte sud della città di Sondrio attraversando l'intera Valtellina, successivamente si immette presso Colico (Lecco) nel lago di Como. Il tratto di fiume che attraversa il Pian di Spagna per immettersi nel Lago di Como è stato rettificato su volere dell'Imperial Regio governo Austriaco nel 1838 ad opera dell'ingegnere e architetto Giuseppe Cusi.

Le sue acque, dopo aver alimentato questo bacino lacustre, escono come suo emissario dall'estremità meridionale del Lario, nei pressi di Lecco, dove formano i piccoli bacini naturali di Garlate e di Olginate, (da qui fino a dove riceve il Villoresi fa da confine est della Brianza), prima di questi si incontra una piccola isola fluviale denominata Viscontea. Dopo aver attraversato il territorio del Meratese si dirige quindi verso Sud ricevendo il fiume Brembo presso Canonica d'Adda (Bergamo).

Nei dintorni di Fara Gera d'Adda (Bergamo) sbocca nella Pianura Padana e versa la maggior parte delle proprie acque nel canale della Muzza, che riacquisterà a Castiglione d'Adda (Lodi). Da Cassano piega in direzione Sud-Est e perde altre acque in favore del canale Vacchelli a Merlino (Lodi), attraversa la città di Lodi, per poi accogliere le acque del fiume Serio presso Montodine (Cremona). Subito dopo attraversa Pizzighettone (CR) e confluisce nel fiume Po presso Castelnuovo Bocca d'Adda (Lodi) a circa 36 m s.l.m., tra Piacenza e Cremona.

Il regime dell'Adda è di tipo alpino e viene modulato naturalmente dal Lago di Como, di cui è contemporaneamente immissario ed emissario. Il modulo medio annuo presso la foce nel Po è notevole in quanto pari a circa 190 m³/s. La portata minima del fiume tuttavia nei periodi di forte siccità (come ad esempio nell'estate 2003) può scendere anche notevolmente toccando valori di 18 m³/s, mentre quella massima può anche superare i 1.000 m³/s. Tale regime tuttavia è ampiamente modificato da indigamenti costruiti a scopo di sfruttamento idroelettrico, presenti soprattutto nella zona montana, ma anche nel basso corso (Pizzighettone). Non mancano eventi di piena eccezionali: nel novembre 2002 ad esempio forti piogge hanno ingrossato pesantemente il fiume all'uscita dal lago di Como e soprattutto il suo affluente Brembo causando così una violenta piena di 2.500 m³/s che ha sommerso in parte la città di Lodi.

Dopo le Ere glaciali, i mutamenti climatici hanno consentito la formazione di foreste, che ricoprivano anche la zona planiziale, nella Pianura Padana. A partire dal Basso Medioevo questi grandi boschi sono stati via via ridotti, fino a scomparire quasi del tutto nella zona di pianura. Lungo il corso inferiore del fiume esistono due parchi naturali, istituiti il 16 settembre 1983:

Parco Adda Nord, che si estende in lunghezza per 54 km, da Lecco - punto in cui l'Adda lascia il Lago di Como - a Truccazzano (Milano);
Parco Adda Sud, che si estende per 60 km, da Rivolta d'Adda (CR) a Castelnuovo Bocca d'Adda (LO).
La flora presente in questi tratti del fiume è rappresentata da varie specie vegetali: coltivate, come il pioppo bianco (Populus alba) ed il trifoglio comune (Trifolium pratense); selvatiche, come l'acero campestre (Acer campestre), il campanellino estivo (Leucoium aestivum), l'equiseto (Equisetum arvense), l'olmo campestre (Ulmus minor), l'ontano nero (Alnus glutinosa), la quercia farnia (Quercus robur), il salice bianco e grigio (Salix alba e cinerea), il Salicone (Salix caprea), il sambuco nero (Sambucus nigra), il sanguinello (Cornus sanguinea), le tife (Typha latifolia).

Altrettanto diversificata la fauna selvatica: l'airone cinerino (Ardea cinerea), il biacco (Coluber viridiflavus), il colombaccio (Columba palumbus), il cuculo (Cuculus canorus), la donnola (Mustela nivalis), la garzetta (Egretta garzetta), il gruccione (Merops apiaster), la lepre (Lepus europaeus), la natrice dal collare e tassellata (Natrix natrix e tessellata), la nitticora (Nycticorax nycticorax), l'orbettino (Anguis fragilis), il picchio rosso maggiore (Dendrocopos major), la poiana (Buteo buteo), la rana temporaria (Rana temporaria), il ramarro (Lacerta viridis), il tasso (Meles meles), il tritone comune (Triturus vulgaris). Nelle zone adiacenti Rivolta d'Adda e Camairago (Lodi) vi sono boschi protetti e circoscritti in cui vivono animali come il cinghiale (Sus scrofa) ed il daino (Dama dama).


Dei monumenti presenti lungo le sponde dell'Adda sono da ricordare il Forte di Fuentes (Colico), la fortezza di Trezzo sull'Adda e la città murata di Pizzighettone, imponenti esempi di architettura militare che rievocano i periodi in cui il fiume rappresentava una barriera anche militare. Il corso del fiume già sul nascere attraversa la zona montuosa dell'Alta Valtellina immersa nel Parco Nazionale dello Stelvio fino al raggiungimento dell'antico Contado di Bormio, vi sono poi altri parchi naturalistici, come quelli di Rivolta d'Adda, Zelo Buon Persico (Lodi) e Camairago. Interessante pure il cosiddetto «Traghetto di Leonardo», che collega Imbersago (Lecco) a Villa d'Adda (Bergamo), fedele ricostruzione di un progetto ideato da Leonardo da Vinci. Da ricordare anche il Ponte di Paderno, lungo 226 m ed alto 80 sopra il livello del fiume, formato da un'unica campata in ferro.

Già sotto il dominio longobardo, tale fiume era confine tra Neustria ed Austria. Dalla fine del Trecento alla fine del Settecento divise (a parte temporanee conquiste) il Ducato di Milano dalla Repubblica di Venezia, sino all'occupazione napoleonica. Interessante è il capitolo di intensa poeticità de "I promessi sposi" in cui il Manzoni descrive il tentativo di Renzo di raggiungere Bergamo per fuggire dal Ducato di Milano (nel quale era ricercato) alla Repubblica di Venezia.

Attualmente il corso dell'Adda segna approssimativamente il confine linguistico tra i dialetti lombardo-occidentali e lombardo-orientali.

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IL PONTE SULL'OGLIO

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Il Ponte sull'Oglio di Calvatone è un ponte stradale in ferro facente parte della strada provinciale 7 "Calvatone-Volta Mantovana", in provincia di Mantova.

Il ponte passa sul fiume Oglio tra i comuni di Acquanegra sul Chiese e Calvatone, collegando pertanto la provincia di Mantova e la provincia di Cremona.

È composto da una serie di pilastri e campate in ferro.
La struttura è localizzata nel Parco dell'Oglio Sud e adiacente alla Riserva naturale Le Bine.


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IL FIUME OGLIO

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L'Oglio (Òi in camuno, bergamasco, bresciano, cremasco e mantovano, Ùi in cremonese) è un importante fiume italiano, affluente del Po, che scorre in Lombardia, nelle province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. Nella gerarchia degli affluenti del Po occupa con i suoi 280 km di corso il 2º posto per lunghezza (dopo l'Adda), mentre risulta il 4° per superficie di bacino (dopo Tanaro, Adda e Ticino), ed il 3° per portata media alla foce (dopo Ticino e Adda)

Il fiume forma il Lago d'Iseo, fra Costa Volpino e Pisogne, dal quale esce presso Sarnico. Mentre attraversa il lago riceve le acque del Bagnadoree del Borlezza.

Dopo aver solcato i rilievi morenici a sud del lago, il fiume entra quindi in pianura, costituendo inizialmente il confine tra la Bassa Bergamasca e la Bassa Bresciana, e successivamente, più a valle, quello tra quest'ultima e la Provincia di Cremona. Presso Palosco riceve il Cherio, suo principale affluente da destra, mentre decisamente più a valle, vi confluisce da sinistra il Mella, tra Seniga e Ostiano.

A Soncino il secolare scorrere del fiume ha plasmato il paesaggio del Terrazzo Alluvionale creando un dislivello di oltre otto metri. Un paesaggio ancora integro vocato all'agricoltura. Sulla sponda bresciana il fiume tocca il paese di Orzinuovi, totalmente pianeggiante e parzialmente coinvolto dal processo di genesi morfologica che ha interessato il Terrazzo Alluvionale sulla sponda cremonese.

A valle della confluenza del Mella, il fiume scorre per un tratto sul confine tra la provincia di Cremona e quella di Mantova, ricevendo da sinistra il Chiese presso Canneto sull'Oglio per poi entrare definitivamente in territorio mantovano e confluire nel Po a Torre d'Oglio, presso Scorzarolo.

Presso Torre d'Oglio sopravvive uno degli ultimi ponti fatti con le chiatte in cemento, e risalente al 1926. Il ponte sta per essere sostituito con un altro tipo più tecnologico che dovrebbe limitarne i costi. Discordanti sono i pareri su questa opera che dovrebbe sopprimere definitivamente il vecchio ponte.

Lungo il corso del fiume, dopo il Lago d'Iseo sono stati istituiti i parchi regionali dell'Oglio Nord e Sud.

La città più popolosa bagnata dalle acque dell'Oglio è Palazzolo sull'Oglio, che è anche l'unico comune il cui centro storico è modellato urbanisticamente attorno al fiume stesso.

L'Oglio scarica nel Po una portata media elevata (137 m³/s.) paragonabile quasi a quella di un altro importante affluente del Po (il Tanaro 131,76 m³/s) ma con un regime assai più regolare rispetto a quest'ultimo, grazie all'alimentazione alpina del suo alto corso e soprattutto alla presenza del Lago di Iseo che funge da efficace regolatore dei flussi. In estate dunque le portate minime sono relativamente elevate e scendono difficilmente sotto i 36 m³/s, mentre in autunno e in primavera le massime sono abbastanza copiose (425 m³/s) pur non essendo comunque particolarmente imponenti. Non mancano in ogni caso, in presenza di precipitazioni insistenti, piene anche superiori ai 1.000 m³/s. Il bacino dell'Oglio è ampiamente sfruttato a scopo idroelettrico e per irrigazione.

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