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mercoledì 27 maggio 2015

IL MUSEO DI CREMA

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Il Museo Civico di Crema e del Cremasco è collocato all'interno del convento rinascimentale di Sant'Agostino che costituisce uno degli edifici piu' suggestivi del centro storico. Le collezioni sono distribuite all'interno dell'intero complesso monumentale che si raccoglie intorno a due magnifici chiostri e compongono una ricca documentazione relativa alla storia, l'arte e la cultura di Crema e del suo territorio. Nell'antico refettorio del monastero si conserva uno straordinario ciclo di affreschi della Crocifissione e dell'Ultima Cena, realizzati da Giovan Pietro da Cemmo tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo.
Le sezioni del museo illustrano la storia del Cremasco dalla preistoria ai giorni nostri, attraverso reperti archeologici e documenti storici. Uno spazio importante è occupato dalla storia più recente di Crema, attraverso la ricostruzione della vita quotidiana nelle campagne di fine Ottocento e della storia industriale della città.
La pinacoteca espone le opere più significative della produzione pittorica cremasca dal XVII secolo ad oggi. Una parte importante delle collezioni è occupata dalla produzione dell'architetto e scenografo ottocentesco Luigi Manini, al quale si deve la realizzazione dello straordinario palazzo portoghese detto Quinta de Regaleira.
Il museo possiede inoltre una delle più importanti collezioni italiane di piroghe a livello nazionale. Le imbarcazioni, ricavate dallo scavo di un tronco d'albero, furono scoperte nei fiumi Adda, Oglio e Po nella seconda metà del secolo scorso.

Nel maggio del 1963 avvenne l'inaugurazione vera e propria: il patrimonio museale era stato suddiviso in alcune sezioni: storica, musicale, artistica, ma anche cartografica, ceramistica, numismatica, folkloristica e artigianale. Oltre alla figura di Edallo, si ricorda in particolare il coinvolgimento di Winifred Treni De Gregory e del pittore Gianetto Biondini, che curò la sezione artigianale ma soprattutto quella artistica, una delle più corpose del patrimonio museale. Nel 1965 vennero inaugurate due nuove sezioni: quella dei cimeli garibaldini e quella archeologica, resa particolarmente ricca dalla scoperta poco tempo prima di alcune tombe longobarde a Offanengo. Nel maggio del 2014 è stata inaugurata la nuova sezione di arte moderna e contemporanea, ampliata rispetto al nucleo precedente e dedicata ad opere del XIX e del XX secolo, selezionate a cura del critico d'arte Cesare Alpini.

Nel Museo sono custoditi vari esemplari di piroghe, presumibilmente di epoca altomedievale, recuperate nei greti dei fiumi Adda e Oglio e ottenute tramite escavazione dei tronchi d’albero. Tali imbarcazioni primitive sono la testimonianza dell’importanza dei corsi d’acqua per le popolazioni rivierasche, che li impiegavano abitualmente non solo per la pesca, ma anche per i trasporti e le comunicazioni, per le attività produttive e commerciali, traendone sostegno e vantaggio economico.
Il dominio longobardo in Italia ebbe termine con l’avvento dei franchi di Carlo Magno (VIII secolo), che svilupparono ulteriormente il precedente sistema curtense fondato sulla servitù della gleba ridando importanza al latifondo e alla signoria territoriale (feudo), che aveva nel castello del feudatario il proprio centro vitale. Di converso regredirono la posizione politica e il rilievo economico delle città, mentre notevole potenziamento ebbero i monasteri che, inizialmente concepiti come luoghi di isolato eremitaggio, divennero invece importanti centri per la conservazione e la diffusione della cultura e, grazie alla rivalutazione del lavoro manuale (l’ora et labora della regola benedettina), anche sicuri punti di riferimento in campo economico (in particolare per l’agricoltura) e sociale.

Il Museo vanta una ricca biblioteca specializzata nella storia, nell'arte e nell'archeologia di Crema e del territorio Cremasco. I circa 10.000 volumi della biblioteca comprendono anche due importanti fondi, il fondo Chiappa e il fondo Sala, costituiti in buona parte da libri e pubblicazioni.
Il lascito testamentario del dr. Ugo Chiappa risale al 14 luglio del 1966 ma l'ultimo blocco della donazione è pervenuto al Museo solo nel 1974.
Parte del fondo è conservata in Museo ed è costituita da reperti archeologici, materiale storico ed etnografico e documenti dell’archivio della famiglia Chiappa, databili tra la seconda metà del XVIII e i primi decenni del XIX secolo e relativi all’attività di speziali esercitata dalla famiglia fin dal XVII secolo. Parte del fondo è costituita da materiale librario (XVIII – inizi XX secolo).

Alberico Sala nasce a Vailate, paese della Gera D’Adda, nel 1923. Studia a Venezia e a Milano. Poeta, narratore, giornalista, critico cinematografico, autorevole critico d’arte e letterario. Giornalista fin dal 1945, dopo una parentesi bergamasca e un’altra romana, passa a Milano e a vent'anni è il più giovane redattore capo della stampa italiana.
Fonda il premio letterario S. Pellegrino di poesia e nel 1946 la rivista internazionale di letteratura Misura. Nel 1957 pubblica il suo primo libro di poesie Epigrafi e canti. Come scrittore ottiene prestigiosi premi e menzioni speciali. Muore a Vailate nel 1991. Il fondo donato da Alberico Sala al Museo è costituito prevalentemente da materiale librario, relativo alla storia dell'arte, ma sono presenti anche documenti personali.

Dal lato meridionale del secondo chiostro è possibile accedere alla sala dell’antico refettorio del convento, interamente affrescato da Giovan Pietro da Cemmo e dai suoi allievi, con grandi scene della Crocifissione e dell’Ultima Cena, lunette di spiccato sapore didascalico e celebrativo, rappresentazioni di Santi, Beati e dottori Agostiniani e ventiquattro tondi monocromi con Storie e Re biblici.
Nel 2008 sono state smantellate le strutture adibite all'allestimento delle mostre temporanee del Museo, restituendo la sala e gli affreschi alla visibilità originaria. Attualmente la sala viene utilizzata come spazio per le conferenze.

Entrando in Museo e percorrendo il chiostro settentrionale si resta immediatamente suggestionati dalla geometria delle architetture e dalle forme gotiche degli archi ogivali dell’antico complesso monastico. Qui sono esposti documenti della storia cittadina recente, con iscrizioni, epigrafi e monumenti del XVIII-XIX secolo. Lungo i muri del chiostro meridionale sono collocate epigrafi del XV e del XVI secolo e parte di un castello per campane.
La fototeca del Museo ha un patrimonio di circa 8000 fotografie e 150 cartoline dedicate principalmente alla riproduzione iconografica di Crema e del Cremasco.
Una parte importante della fototeca è costituita dalle fotografie del Fondo Manini, relative a momenti della vita dell’architetto e scenografo cremasco Luigi Manini e in parte scattate dallo stesso.
Un nucleo importante della fototeca è costituito dalle fotografie scattate dal maestro Giovanni Campi tra il 1910 e il 1930, che testimoniano luoghi e aspetti della città di Crema ormai scomparsi o notevolmente trasformati.
Il secondo gruppo numericamente importante della fototeca è costituito dalle fotografie della città di Crema scattate negli anni ’60 e ’70 dallo studioso di storia locale Mario Perolini. I soggetti delle fotografie del Perolini furono ripresi nel 2000 dai volontari del Fotoclub di Ombriano, che hanno condotto una nuova campagna fotografica documentando i mutamenti urbanistici e sociali della città nell’arco di quarant’anni.
Vanno inoltre menzionate le fotografie prodotte dal Gruppo Antropologico Cremasco prodotte a partire dagli ’80 e scattate da Dino Zanini e le fotografie relative alle collezioni del Museo realizzate dal fotografo Francesco Anselmi.

Le collezioni del Museo di Crema si sono formate in modi differenti: il nucleo più consistente è nato al momento della fondazione dell'istituto, con la selezione e la raccolta dei reperti e degli oggetti che i curatori del tempo ritenevano significativi per illustrare la storia e la cultura della città e del suo territorio.

In alcuni casi il Museo ha acquisito collezioni preesistenti, raccolte di oggetti e opere d'arte che erano state formate in precedenza. Al di là dell'interesse storico o artistico che rivestono i singoli oggetti, le collezioni raccontano molte cose anche del gusto e degli interessi personali e culturali di chi le ha formate.
Altri oggetti sono giunti successivamente, in seguito a scoperte fortuite (come le piroghe) o più semplicemente grazie alle generose donazioni dei cittadini.

Ancora oggi il museo incrementa le proprie collezioni mediante il prestito, lo scambio o l'acquisto di nuovi oggetti e opere d'arte. Negli ultimi anni il patrimonio museale si è arricchito notevolmente grazie all'acquisto della collezione Tinelli, una delle collezioni di macchine per scrivere di produzione italiana più significative e complete a livello nazionale, e della collezione Bacchetta, un nucleo di opere pittoriche di produzione cremasca del XIX e del XX secolo.  

La sezione di Arte offre un’ampia panoramica dei maggiori artisti cremaschi e di coloro che hanno operato nei secoli sul territorio, a partire dalle importanti testimonianze del XV e del XVI secolo, con gli affreschi provenienti dalla chiesa di San Domenico in Crema, dall’ex cappella incorporata alla cascina Monasterolo di Dovera e con le opere di V. Civerchio e gli affreschi di A. Buso. Il XVI secolo è rappresentato in particolare da una Natività del Caravaggino, una Sacra Famiglia di C. Urbino e la tela dei SS. Girolamo e Francesco.
Testimonianza preziosa della chiesa di S. Agostino, annessa al convento di Crema e oggi non più esistente, sono invece le pale di Carlo Urbino, Palma il Giovane e Fra Sollecito Arisi. Dalla Basilica di S. Maria della Croce proviene inoltre un’interessante Testa di Santa, opera di A. Fondulo, attivo tra il XV e il XVI secolo. Particolarmente interessante è la serie di tavolette lignee da soffitto del XV-XVI secolo, dipinte con soggetti zoomorfi, antropomorfi e stemmi che dovevano adornare i palazzi cittadini e le dimore signorili di Crema e del territorio.
La produzione Secentesca è documentata invece dalle opere di G. G. Barbelli, T. Pombioli, A. Ferrario e G. B. Lucini e da un’interessante serie di ritratti di personaggi di casa Benvenuti. Il Settecento è il secolo di Mauro e Tommaso Picenardi, ma il Museo documenta anche l’attività di artisti esterni che testimoniano la vivacità della richiesta di produzione artistica in questo periodo.
Le collezioni testimoniano infine la produzione artistica moderna e contemporanea, con una particolare attenzione agli autori di Crema e del territorio.

La notevole variazione del paesaggio cremasco nel corso dei secoli, dovuta principalmente all’andamento delle acque, aiuta a comprendere più compiutamente le ragioni della forte discontinuità che si osserva nelle testimonianze archeologiche dalla preistoria all’età medievale.

La documentazione più antica per questa regione risale al Paleolitico ed è rappresentata dalle faune fossili recuperate nei fiumi. In Museo sono esposte le ossa della mandibola e un palco di corna di cervo rinvenute nell'Adda e il cranio di un bisonte, rinvenuto a Quinzano d'Oglio. La prima frequentazione antropica del territorio è documentata nel Mesolitico ma in Museo sono conservati strumenti in selce scheggiata e lame d'ascia in pietra levigata del Neolitico, che testimoniano per questo periodo l'esistenza di scambi a lunga distanza attraverso la pianura.
Nella Preistoria la presenza umana risulta particolarmente significativa per l’età del Bronzo, come testimoniano i ritrovamenti del cimitero del Cantuello di Ricengo e dell’insediamento di Vidolasco, che costituisce una testimonianza estremamente significativa del popolamento della Pianura in un’epoca altrimenti caratterizzata da un marcato decremento demografico.

Nel Cremasco, la presenza dei Celti è documentata archeologicamente dai cimiteri, databili tra il III e il I sec. a.C. A partire dal III sec. a.C. i Romani estendono la loro influenza all'Italia Settentrionale, mediante l'occupazione militare, la realizzazione di strade e insediamenti (Cremona viene fondata nel 218 a.C.) e la distribuzione di terre da coltivare ai nuovi coloni. Nei territori a nord del Po la politica di annessione romana è più lenta e graduale e avviene mediante la costituzione di alleanze politiche con i maggiorenti delle tribù indigene. L'influenza romana porta ad un cambiamento complessivo del quadro culturale della regione: progressivamente il latino diventa la lingua comune, vengono prodotti vasi, suppellettili e ornamenti di gusto romano e scompaiono alcuni riti funerari più antichi. Questo processo lento e graduale viene definito romanizzazione e si prolunga fino agli inizi del I. sec. a.C.
I reperti esposti in Museo testimoniano il progressivo cambiamento del rituale funerario dovuto al contatto con i Romani: nelle tombe compare vasellame di gusto romano e progressivamente scompaiono le armi, che caratterizzavano invece il corredo delle tombe celtiche maschili più antiche.
I terreni sono divisi in lotti e distribuiti ai contadini e il territorio viene occupato in modo capillare da fattorie e piccoli centri produttivi.

Nel territorio compreso tra Adda e Oglio gli insediamenti e i cimiteri di età romana sono poco documentati ma possiamo citare il piccolo centro di Camisano e la villa rustica di Gallignano. Il resto della documentazione archeologica è costituito da ritrovamenti tombali a Offanengo, Madignano, Castelleone (località Le Valli, Cassacavra e Corte Madama) e Genivolta.
La pianura padana è attraversata da un fitto reticolo di vie stradali e fluviali che consentono l'arrivo di prodotti provenienti da tutte le province dell'impero: in Museo sono esposte alcune anfore, i grossi recipienti di ceramica destinati al trasporto di olio, vino e salse di pesce prodotti lungo le coste dell'Adriatico, in Spagna e nel Mediterraneo Orientale.

Solo in età tardoantica la presenza romana sul territorio è documentata in forme monumentali: una grandiosa villa viene infatti edificata a Palazzo Pignano. Secondo una concezione tipicamente romana la villa è organizzata in una parte residenziale, dotata di un impianto di riscaldamento e decorata con mosaici policromi, e una parte destinata invece alle attività produttive del grande latifondo che doveva circondarla. In prossimità della residenza viene costruito un edificio sacro, dotato di fonte battesimale
In età altomedievale il territorio cremasco subisce le sorti degli altri territori dell'Italia Settentrionale e fu occupato dagli Ostrogoti e successivamente dai Longobardi. In Museo sono esposti i corredi delle tombe di guerrieri longobardi rinvenute ad Offanengo (VII secolo) e Castelgabbiano (VI-VII secolo).
Le collezioni del Museo si completano infine con la produzione ceramica rinascimentale e con alcuni elementi della decorazione architettonica in terracotta proveniente dal Duomo di Crema.

Nella parte espositiva fluviale sono esposte quattro delle tredici piroghe possedute dal museo, contestualizzate in un allestimento suggestivo e coinvolgente. Un tappeto multimediale interattivo ti consentirà di imparare divertendoti come si costruivano queste possenti imbarcazioni centinaia di anni fa.

Le collezioni di Storia forniscono un’interessante panoramica della storia cittadina nel periodo compreso tra il XV e il XX secolo e sono costituite da una pregevole raccolta cartografica, in cui spiccano due disegni del XVII secolo relativi alla Roggia Comuna, da manoscritti e documenti stampati ed infine da una eterogenea collezione di oggetti come monete, medaglie, timbri amministrativi e armi.
La documentazione più antica della storia di Crema è andata perduta a causa degli incendi che devastarono prima la città (1160) e successivamente il suo archivio (1449). Di questo lungo e tormentato periodo rimane la rappresentazione dell’episodio degli ostaggi di Crema, avvenuto nel corso dell’assedio di Federico Barbarossa del 1159-1160, in una grande tela ottocentesca di Gaetano Previati.
I documenti testimoniano invece il periodo di relativa tranquillità di cui godette la città dal 1449 in poi, anno in cui passò sotto il dominio di Venezia, che diede impulso allo sviluppo urbanistico, culturale ed artistico di Crema e del territorio, come testimoniano ad esempio gli stemmi di alcuni Accademici, l’attività del Teatro, già attivo nel XVII secolo e la Cappella del Duomo.
Le collezioni comprendono infine documenti estremamente eterogenei relativi al periodo Risorgimentale e ai due conflitti mondiali.

La sezione musicale del Museo di Crema documenta il ruolo rivestito da Crema dal XVII secolo fino ad oggi nella produzione musicale, grazie all’attività di due istituzioni che per secoli hanno costituito importanti punti di promozione e diffusione dell’attività musicale: la Cappella musicale della Cattedrale e il Teatro, ampliato nel 1784 su progetto di G. Piermarini e distrutto nel 1937. Alle due prestigiose istituzioni sono legati nomi di musicisti di notevole levatura come Francesco Cavalli, figlio di un maestro di cappella, compositore, organista, cantore nella Cappella Marciana di Venezia, e Giovanni Bottesini compositore, direttore d’orchestra e contrabbassista di fama internazionale.
Anche l’artigianato legato alla produzione musicale, trasse beneficio dalla presenza attiva delle due istituzioni. Lo testimoniano i diversi strumenti esposti ed in particolare i violini del liutaio cremasco A. Rovescalli e i numerosi documenti che attestano la qualità della produzione organaria cittadina attiva dalla fine del XVIII secolo fino ai giorni nostri.

Il Museo conserva infine una ricca documentazione grafica costituita da bozzetti per scenografie teatrali dei maggiori scenografi cremaschi che svolsero la loro attività anche nel teatro sociale cittadino: Luigi Manini e Antonio Rovescalli.
Un allestimento ricostruisce la dimora padronale di una cascina cremasca di fine ‘800 – inizi ‘900. In una simile tipologia abitativa potevano trovare alloggio personaggi differenti, in genere posti al vertice dell’attività contadina, come il proprietario del fondo agricolo, l’affittuario, il fattore, che lavorava per conto del padrone o il mezzadro, che lavorava la terra dividendo a metà gli utili con il proprietario.
All’interno degli ambienti espositivi vengono illustrate le tecniche per la coltivazione del lino e la lavorazione dei tessuti, per proseguire quindi nella ricostruzione della cucina, con tutti gli oggetti e gli strumenti utilizzati nel corso delle attività quotidiane: la gremola per impastare il pane, la zangola per il burro, le pentole e tutte le suppellettili che si impiegavano per cucinare e servire a tavola. Il percorso prosegue nella camera da letto, chiamata suler, posta generalmente al primo piano della casa contadina, dove oltre ai mobili tradizionalmente presenti in questo ambiente si possono osservare alcuni oggetti particolari, come il guantone per il gioco della palla e un velocipede.

Le sale Agello sono adibite alla realizzazione di mostre di arte e storia contemporanea.
 
Il grande cortile retrostante il Museo, sul quale si affacciano gli spazi espositivi della Sezione di Archeologia Fluviale, è occupato da un grande palco utilizzato prevalentemente nel periodo estivo per organizzare concerti, recite ed attività teatrali.




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IL DUOMO DI CREMA

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Secondo la tradizione nel luogo in cui sorse Crema era presente fin da tempi paleocristiani una chiesetta dedicata a Santa Maria della Mosa: ciò non può essere verificato ma è assai verosimile: ci troviamo sopra un dosso in antico protetto a nord e a sud da corsi d'acqua naturali (poi chiamati roggia Crema, roggia Rino, Cresmiero o Travacone) colatori della palude del Moso che lo circondava a nord ovest. Inoltre a est il terreno scendeva verso le divagazioni del Serio. Un luogo facilmente difendibile e quindi ideale per accogliere gli esuli della città di Parasso (Palazzo Pignano); se poi attorno alla chiesetta vi fosse già un villaggio o lo fondarono essi stessi, ciò non è verificabile.

Nell'XI secolo troviamo una grande chiesa, dalle dimensioni pressoché uguali a quella attuale: i resti sono rintracciabili sotto il pavimento dell'attuale edificio. È citata in due documenti del 1098 e del 1143 come Ecclesia Sancte Mariae e aveva tre navate con pilastri compositi terminanti sul fondo con tre absidi semicircolari. Probabilmente, come la maggior parte delle chiese del tempo, aveva una navata centrale più elevata con capriate a vista e le navate laterali con volte a crociera. Sotto la base del campanile, tuttavia, sorgono i resti di un piccolo altare con una base che sprofonda di 40 cm dal pavimento dell'antico duomo; qui si trovano tracce di un affresco con le estremità inferiori di tre figure realizzate da una mano arcaica, forse ancor più antica di questa chiesa romanica.

Dopo lo storico assedio del 1159-1160, gran parte del duomo romanico andò distrutto; ma fu lo stesso Barbarossa a inaugurarne la ricostruzione il 7 maggio 1185; in questa fase ci si concentrò sulla zona absidale, sull'arco trionfale e sulla nuova sacrestia. A quell'epoca il centro fortificato era sotto la giurisdizione del vescovo di Piacenza, ma nel 1212 passò sotto la diocesi di Cremona che bloccò ogni forma di finanziamento e i lavori furono interrotti. Con il ritorno alla diocesi di Piacenza, nel 1284, la ricostruzione riprese. L'elevazione della nuova chiesa nella sua interezza durò 57 anni essendovi state numerose interruzioni a causa delle guerre tra guelfi e ghibellini. Tra il XII e il XIII secolo fu innalzato sull'abside meridionale il campanile, che ebbe successivamente anche la funzione di torre di vedetta sia sotto la breve signoria locale dei Benzoni sia sotto il dominio della Repubblica di Venezia.

Nel 1410 fu demolita l'antica chiesetta di San Giovanni: era addossata al lato settentrionale del duomo ed era sopravvissuta alla distruzione dell'antica chiesa romanica avendo anche la funzione di battistero. Con bolla di papa Pio II nel 1459 la prepositura fu spostata da Palazzo Pignano a Crema e ciò comportò l'allargamento del coro. Nel corso del XV secolo fu allestito l'altare di Sant'Ambrogio, poi intitolato e San Marco, titolazione quest'ultima significativa perché avvenuta nel 1456, solo sette anni dopo il passaggio di Crema sotto il dominio veneto. Nell'occasione fu spostato il Crocifisso miracoloso, qui collocato, sostituito da un'ancona in terracotta di Agostino de Fondutis oggi scomparsa. Un altro altare fu aggiunto per decisione del Consiglio generale nel 1456 e dedicato a San Sebastiano. Tra '400 e '500 fu scavata la cripta con conseguente elevazione del piano del presbiterio. Risale al 1520 l'allestimento dell'altare della Madonna della Misericordia, mentre nel 1522 fu rifatto l'organo (da parte di Gian Battista Facchetti) in sostituzione di uno precedente risalente al 1477.

Uno dei pinnacoli apicali della facciata crollò a terra nel 1578 uccidendo il sagrestano; la conseguenza fu la loro demolizione.

Nel 1580 papa Gregorio XIII elevò Crema a sede di diocesi e il duomo divenne cattedrale.

Nel 1709 fu sfondata la cappella absidale sinistra aumentandone il volume e dotandola di cupoletta: il progetto fu di Giacomo Avanzini e la decorazione fu eseguita da Giacomo Parravicini detto il Gianolo con l'ausilio dei fratelli Grandi; infine, vi fu collocato definitivamente il Crocifisso miracoloso.

Tra il 1776 ed il 1780 avvenne una radicale trasformazione degli interni, analogamente a quando si fece in numerose altre chiese medievali; il gusto dell'epoca mal tollerava la semplicità dello stile gotico lombardo e l'architetto Giacomo Zaninelli (in collaborazione con l'architetto barnabita Ermenegildo Pini ed il decoratore trevigliese Orlando Bencetti) trasformò l'aspetto interno della chiesa in forme barocche. Tra gli interventi eseguiti: l'innalzamento del pavimento, la costruzione di plinti per ridurre l'altezza delle semicolonne, l'eliminazione dei capitelli in pietra, lo sfondamento del muro perimetrale destro per l'allestimento di nuovi altari e l'apertura di finestre dalla forma “a fagiolo”; finirono distrutti gli affreschi tre-quattocenteschi; s'intervenne anche sulla cappella del Crocifisso, rifatta da soli pochi decenni, che fu ridecorata.

L'arcivescovo di Milano cardinale Giovan Battista Montini tra il Vescovo di Crema mons. Placido Maria Cambiaghi ed il Sindaco di Crema Giacomo Cabrini durante l'inaugurazione del termine dei restauri del duomo di Crema. Foto Marinoni dal quotidiano "La Provincia" di martedì 28 aprile 1959.
Già alla fine del XIX secolo venne intrapresa una discussione volta a verificare la possibilità di togliere le sovrastrutture barocche; fu consultato anche l'architetto Luca Beltrami, ma non se ne fece nulla.

Tra il 1913 ed il 1916 sotto la direzione dell'architetto Cecilio Arpesani e dell'ingegner Emilio Gussalli vi fu un intervento sulla facciata col fine di sostituire alcune colonnette e ripristinare alcune terrecotte. Soprattutto, furono ripristinati i tre pinnacoli apicali. Nel 1935 fu demolita l'ala del palazzo vescovile addossata alla chiesa e costruita nel 1587.

Grandi lavori furono compiuti tra il 1952 ed il 1958: con l'intento di eliminare le aggiunte settecentesche: il complesso lavoro fu affidato all'architetto Amos Edallo. Il professionista, che si avvalse della collaborazione di Corrado Verga, affrontò il problema a metà tra restauro conservativo e rifacimento in stile, affrontando i ritrovamenti emergenti di volta in volta senza decisioni preventive; per esempio: si era sempre dibattuto fino all'epoca dei restauri se le absidi antiche fossero semicircolari o piane; il ritrovamento delle fondamenta fu inequivocabile e l'abside fu ricostruita piana. Furono usati mattoni antichi provenienti dallo stesso progetto oppure rifatti a mano secondo tecniche antiche dall'artigiano Emilio Jachetti di Castelleone usando terra di Ombriano, il cui impasto permetteva di ottenere mattoni vicini alla colorazione di quelli antichi. Furono eliminate le finestre “a fagiolo” e ripristinate le monofore; la volta della cripta fu abbassata e rifatta in cemento armato; il presbiterio fu ricoperto con marmo di Carrara e fu collocato un nuovo altare in marmo di Candoglia. Si intervenne anche sul pavimento ripristinando quello in cocciopesto risalente al XV o al XVI secolo (con alcune parti rifatte con lo stesso stile e tecnica). L'inaugurazione ufficiale avvenne il 26 aprile 1959 alla presenza del cardinale di Milano Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI).

Un intervento fu approntato nel 1979 per ottemperare ai dettami conciliari; nell'occasione fu posto un nuovo altare opera di Mario Toffetti.

Tra il 1983 ed il 1984 fu eseguito un restauro della torre campanaria secondo un progetto degli architetti Ermentini.

Una visita illustre la cattedrale l'ebbe nel 1992 allorché vi fece visita papa Giovanni Paolo II.

Tra il 2004 ed il 2005 fu allestita una nuova cappella dietro l'antica cripta del duomo al fine di raccogliere le tombe dei vescovi qui sepolti: fu voluta da monsignor Angelo Paravisi (che non vide l'opera completata) e fu inaugurata il 2 settembre 2005.

Nel 2010 è stato avviato un complesso restauro conservativo concluso nel 2014.

La cattedrale, costruita con il caldo cotto delle terre padane ha una facciata “a vento”, notevolmente slanciata, terminante a capanna con galleria. Il portale è arricchito da un lunettone, probabilmente del precedente duomo, con le statue della Madonna con Bambino, affiancata da San Pantaleone e da San Giovanni Battista. Nell’architrave cinque plutei con volti di personaggi enigmatici: al centro L’Agnello pasquale. Sopra il portale, affiancato da due bifore strombate, un bel rosone in marmo di Candoglia e due splendide finestre aperte sul cielo.

Particolarmente rilevante è il concerto di campane del duomo di Crema. I bronzi che sono montati sul campanile risalgono al 1753, fusi dalla fonderia Domenico Crespi e sono sopravvissuti alle requisizioni della seconda guerra mondiale che risparmiavano le campane delle cattedrali. Il castello è composto da sei campane in tonalità Reb3, Fa3, Lab3, Reb4, Mib4, Fa4. A queste si aggiunge una settima piccola campana in Mi4 molto crescente (del 1828 fusa da Andrea Crespi), che serve a richiamo del Capitolo e suona ogni giorno da sola alle ore 8. Le campane sono tutte perfettamente intonate tra di loro, con timbro uniforme e morbido. Tuttavia, solo nelle solennità maggiori vengono impiegate tutte le sei campane a distesa per la cosiddetta scampanàda dal Dòm.

Il campanile risale al periodo a cavallo tra XIII e XIV secolo e pur essendo parte integrante della chiesa, innestandosi sulla cappella di san Pantaleone, appare quasi come elemento architettonico e sé.

Ha una base ideale di forma quadrata di circa 6,5 metri per lato ed è diviso in sei ordini con marcapiani e lesene agli angoli. Alla base stanno due piloni di differenti dimensioni rispetto ai contrafforti della fiancata, e con altezza diversa.

Il primo ordine raggiunge la quota del tetto della navata laterale e presenta sul lato meridionale una finestra a sgualcio con elaborata decorazione. Lo divide dall'ordine superiore una serie di archetti. Sul lato orientale si apre un'altra finestra e, a mezz'altezza, una porticina. Si trovava qui, infatti, fino ai restauri novecenteschi, una costruzione posticcia che fungeva da abitazione del campanaro e che entrava nella torre attraverso questa apertura.

Il secondo ordine è cieco, ma con la specchiatura divisa da un costolone verticale.

Sulla parete meridionale del terzo ordine è presente l'orologio e sulla parete occidentale due piccole feritoie.

Il quarto ordine è per tre lati cieco (col solito costolone centrale) ma si differenzia sul lato meridionale: sulla parte sinistra vi si apre una piccola monofora mentre a destra, all'interno di un'elaborata cornice in cotto, vi è murata una lapide con un bassorilievo raffigurante un liocorno rampante.

Al quinto ordine per ogni lato vi sono aperte due finestre con arco a tutto sesto. A differenza degli ordini inferiori, gli archetti di questo ordine proseguono anche sulle lesene.

L'ultimo ordine è la cella campanaria con una trifora per lato composta da colonnette binate unite; un fregio ad archetti intrecciati precede la cornice che supporta una balaustra con dodici pinnacoli.

Il coronamento finale è una lanterna a forma di ottagono divisa in tre parti: il lato inferiore è un ottagono con fornici ciechi; la zona centrale è una galleria praticabile, con due archi per lato, che sostiene il solito fregio ad archetti intrecciati e cornice superiore, sovrastata da una balaustra con otto torrioncini; termina il campanile la copertura a cono con ringhiera.

In totale il campanile è alto 58 metri.
L’interno è a tre navate di cinque campate (slanciata quella centrale, basse le laterali) più la parte absidale a terminazione piatta secondo l’uso cistercense. Le volte a vela sono sorrette da pilastri. In alto, le pareti della navata centrale sono traforate con monofore e bifore.

Il presbiterio è organizzato secondo le regole del Concilio. Dopo gli ultimi restauri risulta così organizzato: l’altare maggiore al centro della crociera, l’ambone sulla sinistra e la cattedra del vescovo sulla destra, tutti monolitici, in rosso di Asiago, opera dello scultore Mario Toffetti (l’altare del 1979, gli altri due manufatti del 2012). Le tre opere presentano immagini simboliche che richiamano la predicazione della parola, il magistero del vescovo-pastore, l’Eucarestia. Il pavimento è in palissandro venato, tagliato con volute libere sempre da Toffetti (2012).

Al centro della parete absidale è stata collocata una grande tela dell’Assunta (patrona della cattedrale) di Vincenzio Civerchio (1470-1544), in parte ridipinta da Mauro Picenardi (1735-1809).

Il cuore della cattedrale, nell’abside della navata sinistra, è il Crocifisso miracoloso, salvato dalle fiamme nelle quali l’aveva gettato il soldato ghibellino Giovanni Alchini nel 1448. Da allora è veneratissimo dai cremaschi.
L'origine della devozione per questo Crocifisso risale al 1448 nel pieno delle contese tra guelfi e ghibellini; quest'ultimi avevano cacciato dalla città i devoti al papa ed un bergamasco, tale Giovanni Alchini, raccolto in bivacco all'interno del duomo con alcuni soldati, prese il Crocifisso - ritenendolo guelfo perché aveva il capo reclinato a destra - e lo gettò nel fuoco. Immediata la reazione di alcuni presenti che estrassero dalle fiamme l'opera e che poi notarono che il Signore avesse come ritratto le gambe. L'atto sacrilego ha sicuramente radici di verità: durante i restauri del 1999 vennero alla luce i segni di quelle antiche bruciature. Da quel gesto venne affibbiato ai cremaschi il triste appellativo di brusacristi, per la verità assai inclemente visto che fu un insano gesto compiuto da uno “straniero”.
La cappella del Crocifisso si trova a sinistra dell'altare maggiore e si presenta con un impianto decorativo prevalentemente settecentesco. Alle pareti si trovano due dipinti ottocenteschi di Sante Legnani raffiguranti Il Crocifisso dato alle fiamme e la Supplica al Crocifisso. Ma l'elemento di maggior interesse è il grande e venerato Crocifisso ligneo scolpito tra il 1250 ed il 1275 probabilmente in Francia. Presenta un'espressione molto intensa e dolorosa, quasi in contrasto con il resto del corpo scolpito in maniera più primitiva. Nel 1999 fu avviato un restauro che eliminò lo sporco e le sovradipinture e che mise in luce anche le bruciature del rogo che subì nel 1448.
Il duomo è dedicato all’Assunta. Immagini della Vergine sono sulla facciata interna, una Maestà bizantineggiante; nel primo altare a sinistra, un affresco della Madonna con Bambino di Rinaldo da Spino (sec. XV), completato dal Civerchio (1523) e restaurato da Mauro Picenardi (1780).

A destra dell’altare maggiore, la cappella di San Pantaleone, medico di Nicomedia, martire sotto Diocleziano (305-313), patrono della diocesi. I Cremaschi gli attribuiscono la liberazione dalla peste nel 1361. Sull’arco trionfale, tela composita della Passione di San Pantaleone, di Carlo Urbino (sec. XVI); sull’altare, Statua lignea attribuita al Civerchio; sulla parete sinistra, Santi Pantaleone, Vittoriano e Bellino, di Mauro Picenardi (1779-81).

La cattedrale contiene molte altre opere d’arte: nella seconda campata sinistra Santi Sebastiano, Cristoforo e Rocco, tavola del Civerchio (1518). All’altezza del presbiterio, sulle pareti delle due navate, quattro tele raffiguranti i Miracoli dell’Eucarestia di Giovanni Battista Lucini (1639-86). Nella quarta campata della navata destra, una Sacra Famiglia, tempera di allievi del Civerchio (XVI sec.); accanto, Cristo appare a San Marco in carcere, capolavoro di Guido Reni (1575-1642). Nella seconda campata una Sacra Conversazione attribuita al veneziano Francesco Bissolo (1470-1540); sotto, Monumento a Pio IX di Quintilio Corbellini (1878); di fianco, una Santa Lucia di Mauro Picenardi. Nella prima (un tempo altare di san Marco) sarcofago barocco di san Giacinto e bella la Madonna con Bimbo in un’edicola tardotrecentesca.

Sulla parete fondale dell'abside, dietro l'altare maggiore, si trovava l'organo a canne, costruito nel 1963 dalla ditta Tamburini e dalla stessa ampliato con l'aggiunta di alcuni registri nel 1966. Lo strumento, che riutilizzava il materiale fonico e parte dei somieri (opportunamente riadattati) del precedente organo Inzoli del 1908, era a trasmissione integralmente elettrica con consolle mobile indipendente con tre tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32.

L'organo è stato smontato durante i lavori di restauro complessivo della cattedrale nel 2011. Necessitando di interventi, anche a seguito di operazioni effettuate negli anni ottanta e considerate poco felici, ma non avendo sufficienti risorse economiche la diocesi provvedeva ad acquisire, grazie ad una donazione, un organo di origine olandese, poi ceduto alla parrocchia di Capergnanica. L'organo originale ha subito molti interventi di restauro e manutenzione e si è pensato di trasformarlo da trasmissione elettrica a trasmissione meccanica. Alcuni, tra cui Alessandro Lupo Pasini, un concertista d'organo cremasco, hanno espresso le loro perplessità a riguardo della costosa trasformazione dell'organo, e hanno fatto notare che il vecchio strumento Tamburini potrebbe ancora assolvere la sua funzione con gli interventi di normale manutenzione.A favore del ripristino dell'organo storico sono intervenute anche associazioni come Italia Nostra al fine di salvaguardare un esempio di arte organaria cremasca di rilevanza storica e artistica. Dal momento della riapertura, la cattedrale è dotata di un organo positivo provvisorio, offerto in comodato dall'organista titolare del duomo, Alberto Dossena.

Interessanti le sacrestie. In quella dei canonici, una serie di notevoli tele; nell’attigua penitenzieria, dipinti a tempera di Rosario Folcini, artista cremasco vivente (1962).

La sacrestia principale è un’elegante struttura che sembra risalire al periodo di riedificazione della città (1185 circa): il vano è coperto da quattro voltine a crociera, sorrette da una colonna centrale con bel capitello.




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PER LE VIE DI CREMA

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La visita di Crema può iniziare dal suo cuore, piazza Duomo, in cui permangono le testimonianze della cittadella medievale, inserite nel tessuto architettonico rinascimentale.
A sud una cortina edificata rivela l’originaria tipologia della casa-bottega con strette unità abitative addossate sopra un lungo porticato in cui si affacciano le attività commerciali. A nord la Torre Guelfa (1286) presenta al piano terra compatte finestre quadrate con inferriate, inserite nel paramento murario a finto bugnato di epoca rinascimentale. I due balconcini in ferro battuto del primo piano sono sovrastati dal Leone di San Marco.
Alla sua destra, il Palazzo Pretorio (1547), antica residenza del podestà veneto.
Un portale marmoreo barocco (1634) incornicia il primo arco e introduce allo scalone d’onore.
Il lato est è occupato dal Palazzo Vescovile. Edificato nel 1548-49 per notai, giuristi e mercanti, fu donato nel 1580 alla neoistituita diocesi. La facciata è simile a quella del Palazzo Comunale: un loggiato a cinque arcate con fregi in terracotta, sormontato da una doppia serie di finestre con un balcone centrale al piano nobile fra gli stemmi delle famiglie veneziane Diedo ed Emo, da cui provennero i primi tre vescovi di Crema.
Il lato ovest è interamente occupato dal Palazzo Comunale (1525), brillante sintesi fra austerità lombarda e leggerezza architettonica veneta.
Il piano terra presenta un porticato con colonne in pietra d’Istria ornate da capitelli compositi e arcate a tutto sesto. Una greca marcapiano di formelle in terracotta annuncia i due piani nobili, dove file di monofore si alternano a bifore e trifore arricchite da elementi marmorei.
Il Palazzo Comunale è interrotto dal Torrazzo, grandioso arco d’accesso alla piazza, recante su un lato lo stemma della città e le statue di San Vittoriano e San Pantaleone, patrono di Crema,  e sull’altro il Leone di San Marco.
Al centro della piazza sorge il  duomo (al Dòm) in stile Lombardo-Gotico, intitolato a Santa Maria Assunta, 1284-1341.
La chiesa di San Bernardino, eretta nel 1518 a ricordo della venuta a Crema di san Bernardino da Siena. La semplicità dell’esterno contrasta con la ricchezza decorativa interna che, in quattordici cappelle, dispiega affreschi, tele e stucchi di artisti cremaschi (Civerchio, Ferrario, Pombioli, Barbelli padre e figlio, Lucini, Brunelli) e non (Pietro Marone, Uriele Gatti, Giovanni Galliari, Martino Cignaroli). L’architettura della vasta volta a botte è sottolineata da decorazioni a monocromo realizzati nel 1868 da Luigi Manini durante il restauro seguito al terremoto del 1802.
Da San Bernardino si percorrono via Frecavalli e via Ponte Furio per risalire in via XX settembre e dedicare un rapido sguardo al grazioso oratorio di Sant’Antonio (1779) e osservare, in corrispondenza dell’ex palazzo Bonzi-Stramezzi (civico 68), la volta di un negozio dipinta da Mauro Picenardi a coppie di putti e cherubini con la colomba dello Spirito Santo.
Più avanti ammiriamo la chiesa della Santissima Trinità, costruita fra il 1737 e il 1740 su progetto di Andrea Nono. Presenta a sud e a ovest due facciate riccamente decorate a motivi rococò: lesene dai capitelli compositi, nicchie, putti, cornici mistilinee, testine angeliche, volute e spirali vegetali.
Sul campanile troneggia il Salvatore che ruota con il vento.
All’interno Fabrizio Galliari (1709-90) dipinge la volta della navata in stile barocco inglobando tre medaglioni di Giuseppe Gru e trasforma illusionisticamente l’abside amplificandola e arrotondandola.
In basso un coro ligneo riccamente intagliato (XVII secolo); ai lati del presbiterio riquadri di Francesco Savanni (1723-72), alle pareti tele di Callisto Piazza, Fedrighetto, Tommaso Pombioli,Giuseppe Peroni e Pompeo Batoni. In controfacciata il Monumento funebre di Bartolino Terni scolpito da Lorenzo Bregno (1518).
A poca distanza si nota Porta Ombriano, una delle due porte dell’antica cinta muraria ricostruite nel 1805-7 in stile neoclassico dall’architetto Faustino Rodi. Imboccata via delle Grazie, giungiamo al Campo di Marte, zona verde adibita a parco giochi che conserva un tratto delle mura venete (1488-1508). Il Torrione della Madonna ospitava un’immagine sacra dipinta da Giovanni da Caravaggio, poi trasferita nella vicina chiesa della Beata Vergine delle Grazie (1601-11). La decorazione interna della chiesa (Gian Giacomo Barbelli 1641-43) è dedicata alla Vergine ed è improntata a effetti scenografici che, al centro della volta, si aprono sul cielo dove campeggia l’Assunzione della Vergine.
I giochi di prospettiva e quadrature trasportano in una dimensione illusoria, dove la struttura assume maggior ampiezza. Negli angoli della volta, fra angeli musicanti, sono affrescati a monocromo i quattro evangelisti. In controfacciata sono dipinti a monocromo San Rocco e San Sebastiano, sovrastati dall’Adorazione dei Magi, raffinata rappresentazione della natività di Gesù. Lungo le pareti laterali, in finti matronei appaiono gli apostoli; nel presbiterio un fregio con putti e cartigli e un affresco a monocromo inneggiano alla verginità di Maria; nella volta l’Incoronazione della Vergine. Usciti dal santuario, tenendo la destra percorriamo le vie Seminario, Crocifissa di Rosa e Alemanio Fino per immetterci a sinistra in piazza Premoli. Ombreggiato dalle fronde di un bicentenario cedro del Libano, scopriamo palazzo Patrini-Pozzali, costruito tra la fine del Seicento e i primi del Settecento per volontà di Domenico Patrini.
Due lunghe file sovrapposte di finestre, sottolineate da cornici lievemente aggettanti, scandiscono l’imponente facciata dominata da un alto portale sovrastato da balconcino.
Il lato nord della piazza è occupato dal palazzo Vimercati Sanseverino.
La fronte, in stile classico romano, si affaccia su via Benzoni con un grandioso portale fiancheggiato da semicolonne scanalate reggenti un doppio timpano spezzato con lo stemma dei Vimercati Sanseverino.
Le finestre del piano terra sono sovrastate dagli stemmi delle famiglie apparentate, quelle al piano nobile accolgono i busti dei personaggi più importanti della famiglia.
Da piazza Premoli entriamo in via Aurelio Buso e fiancheggiamo l’ex chiesa di Santo Spirito e Santa Maddalena (1511-23). Il progetto bramantesco risale all’architetto e plasticatore Agostino De Fondulis, collaborato re di Giovanni Battagio e amico di Leonardo da Vinci.
L’edificio, in mattoni a vista, ha pianta a croce latina ed è concluso da una cupola sostenuta da un basso tamburo ottagonale. A fianco, il piccolo chiostro del quattrocentesco ospedale di Santo Spirito. Inoltrandoci in piazza Trento e Trieste si vede il lato meridionale del palazzo Benzoni-Donati, edificato ai primi del XVI secolo per volontà di Socino Benzoni, che nel 1509 vi ospitò Luigi XII re di Francia. Qui abitò anche l’Innominato manzoniano, quel Francesco Bernardino Visconti figlio di Paola Benzoni e pronipote di Socino. Il palazzo fu rimaneggiato nel Settecento in stile barocchetto; la bassa costruzione che congiunge le due ali è un’aggiunta del 1914.

E’ difficile trovare altrove una città che, in proporzione alle sue dimensioni, abbia sviluppato una cultura musicale pari a quella sviluppatasi a Crema. Basti pensare che nella metà del XIX° secolo la città, pur non superando i dieci mila abitanti, aveva dato i natali a tre grandi musicisti di fama internazionale quali, Francesco Cavalli agli inizi del seicento, Stefano Pavesi nella seconda metà del settecento e Giovanni Bottesini nella prima metà dell’ ottocento; senza dimenticare altri numerosi musicisti degni di nota tra i quali Vincenzo Petrali e Giuseppe Benzi.
La passione dei cremaschi per il teatro ha origini lontane. La prima rappresentazione drammatica documentata infatti risale al 1526 ed ebbe luogo in Palazzo Vimercati Sanseverino. Da quel momento le recite e gli spettacoli si susseguirono nei più importanti palazzi nobiliari di Crema, come era costume all’epoca in molte altre città italiane. Da segnalare nel 1595 la messa in scena a Palazzo Zurla de “Il Pastor Fido” di G. B. Guarini, quotato drammaturgo del periodo, che richiamò persone da tutta la Lombardia per la sontuosità delle scene, tanto da ottenere i complimenti dello stesso autore.
Per la creazione della prima sala pubblica adibita all’attività teatrale bisognerà però attendere il 1678 quando si ricavò da un’ala del Palazzo Comunale un teatro con trentotto palchetti e platea. Ma è solo con la costruzione del nuovo teatro nel 1786 ad opera dell’architetto G. Piermarini, che la città espresse tutto il suo prestigio sociale e culturale. Finalmente si disponeva di un autentico tempio dell’opera lirica e un eccezionale ritrovo per gli avvenimenti mondani e culturali. Nei due secoli successivi nella “Piccola Scala”, così come veniva chiamato il teatro per via del suo illustre  archittetto, si rappresentarono le opere dei compositori più importanti dell’epoca ma non mancarono anche le messe in scena di opere di talentuosi compositori cremaschi come la “Bianca d’Avanello” di Pavesi, il “Gimone Rethel” di Benzi e il “Giorgio De Bary” di Petrali. Da un tale fermento culturale uscirono molti artisti che divennero presto celebri in Italia e all’estero come lo fu Luigi Manini (1848-1936) nell’arte pittorica, scenografica e architettonica o come lo furono nel canto Giovanna Calvi, Umberto Chiodo e Ranuzio Pesadori.
Purtroppo nel 1937 il Teatro del Piermarini venne distrutto da un incendio e con le fiamme si spense bruscamente quella profonda cultura musicale e tradizione che aveva caratterizzato la città nei secoli precedenti. Molti furono i progetti di ricostruzione del teatro ma alle porte della seconda guerra mondiale i fondi vennero a mancare. Si dovette attendere fino al 2000, ben 63 anni dopo, per il ritorno in città di un vero e proprio teatro con il restauro del complesso conventuale del San Domenico. Oggi il Teatro San Domenico rappresenta una realtà teatrale importante per la città ed ha recentemente assunto la direzione dell’istituto Civico Istituto Musicale “Luigi Folcioni” che costituisce dal 1919 la scuola di musica più importante del territorio.
Di recente costituzione è l’Associazione Musicale Giovanni Bottesini che ha l’obiettivo di valorizzare i musicisti cremaschi e che, in breve tempo, ha restituito al mondo l’opera lirica più bella di Bottesini: “Ero e Leandro”.
L'edificio che oggi ospita il Museo era il convento di S. Agostino, costruito nel XV secolo a cavallo di uno dei due fossati medievali, il Rino. Oggi il fossato è coperto ma si conserva la memoria della presenza originaria nel nome dell'attuale vicolo Rino. Il toponimo via Valera (vale) indica una fuga in discesa verso il Serio che vi giungeva con le sue piene.
A Crema troviamo queste chiese:
Ex chiesa di San Domenico, 1463-1471, pregevole edificio ora adibito a teatro della città;
L'ex chiesa di Santo Spirito e Santa Maddalena del 1511, può essere considerata come frutto della collaborazione del grande architetto Giovanni Antonio Amadeo con Agostino de Fondulis, chiamato alla decorazione della chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano;
La chiesa di Santa Chiara, 1514;
La chiesa sussidiaria di San Bernardino degli Osservanti, 1518-1534, eretta a ricordo della venuta a Crema di san Bernardino da Siena; la semplicità dell'esterno contrasta con la ricchezza decorativa interna che, in quattordici cappelle, dispiega affreschi, tele e stucchi di artisti cremaschi e non; l'architettura della vasta volta a botte è sottolineata da decorazioni a monocromo realizzate nel 1868 da Luigi Manini durante il restauro seguito al terremoto del 1802;
La chiesa di San Giovanni della Carità, 1583-1584, con gli affreschi seicenteschi di Gian Giacomo Barbelli;
Il santuario di Santa Maria delle Grazie, 1601-1609, interamente affrescato da Gian Giacomo Barbelli;
La chiesa parrocchiale di San Benedetto, 1621-1623, edificata su progetto di Francesco Maria Richini;
La cappella del Quartierone, 1717;
La chiesa parrocchiale della Santissima Trinità, 1737-1740, pregevole edificio barocco;
Ex chiesa di Santa Maria a Porta Ripalta, 1743, ora adibita a sala per mostre culturali;
La chiesa parrocchiale di San Giacomo, 1749;
La chiesa di Sant'Antonio da Padova, metà del XVIII secolo;
L'oratorio di Santa Maria Stella 1834;
La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, con facciata rifatta in cotto nel 1939.
Chiese nei quartieri e frazioni:
Il santuario di Santa Maria della Croce, edificato tra il 1490 e il 1500 su progetto di Giovanni Battagio, denota caratteri architettonici rinascimentali riconducibili alla scuola dell'Amadeo;
L'oratorio della Madonna del Pilastrello, 1584, nel quartiere dei Sabbioni;
L'oratorio della Maria nascente, 1685, presso la Cascina Garzide;
La chiesa parrocchiale di San Bartolomeo ai Morti, 1694, nell'omonimo quartiere;
Vecchio oratorio di Castelnuovo, 1708, chiuso al culto;
La chiesa parrocchiale di San Rocco, 1736, nella frazione di Vergonzana;
Oratorio della Pietà, 1760, quartiere di San Bernardino;
La chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, 1779, nel quartiere di Ombriano;
La chiesa di Santa Maria dei Mosi, XVIII secolo, nell'omonima frazione;
La chiesa parrocchiale di San Bernardino, XVIII secolo e 1899, nell'omonimo quartiere;
La chiesa parrocchiale di San Lorenzo e San Francesco, 1910, nel quartiere dei Sabbioni;
La chiesa parrocchiale di Santo Stefano, 1922, nella frazione di Santo Stefano in Vairano;
La chiesa della Beata Vergine Maria Regina e San Giuseppe lavoratore, 1955, edificata su progetto di Giuseppe Ermentini nel quartiere delle "Villette";
La chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù, 1956, nel quartiere di Crema Nuova;
La chiesa parrocchiale del quartiere di Castelnuovo, 1958, progettata da Amos Edallo;
La chiesa parrocchiale di San Carlo, 1985, nell'omonimo quartiere;
La chiesa parrocchiale di Sant'Angela Merici, 1995.
Palazzi:
Palazzo Bondenti, ora Terni de Gregori
Palazzo Benzoni-Frecavalli (1627), Via Civerchi, sede della Biblioteca Civica;
Palazzo Marazzi-Griffoni (1422), Via Marazzi;
Palazzo Benzoni-Donati (1504), Via Marazzi;
Ex palazzo del Monte di Pietà (1569), Via Verdi;
Palazzo Freri-Cappellazzi (XVII secolo);
Palazzo Compostella (1585), Via Matteotti;
Palazzo Vimercati-Sanseverino (1602), Via Benzoni;
Palazzo Foglia (1650), Via Ponte Furio;
Palazzo Fadini-Zurla (metà XVII secolo), Via Alemanio Fino;
Palazzo Toffetti-Crivelli (1663), Piazza Caduti sul Lavoro;
Palazzo Tinti-Bondenti (fine XVII secolo), Via Civerchi;
Palazzo Barbàra-Vimercati-Zurla (prima del 1685), Via Civerchi;
Palazzo Patrini-Premoli-Pozzali (fine XVII secolo), Piazza Premoli;
Palazzo Benvenuti-Bonzi (1710), Via Matteotti;
Palazzo Terni-Bondenti (1711), Via Dante Alighieri;
Palazzo Benvenuti-Albergoni-Arrigoni (1756), Via Cavour;
Palazzo Bisleri-Vailati (1840), Via Mazzini;
Palazzo Istituto Musicale Folcioni (XVIII secolo) e rimaneggiamenti nel 1934, Piazza Aldo Moro.
Ville:
Villa Tensini, 1622, nel quartiere di Santa Maria della Croce, con mirabili affreschi di Gian Giacomo Barbelli;
Villa Albergoni, XVII secolo, nel quartiere di San Bernardino, con grande loggiato;
Villa Benvenuti, XVII secolo, nel quartiere di Ombriano, in stile barocco;
Villa Perletta, XVIII secolo, nel quartiere di San Bartolomeo ai Morti; i successivi proprietari Stramezzi la dotarono di pregevoli opere di Giovanni Fattori, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Tranquillo Cremona, Giovanni Segantini, Telemaco Signorini. In un salone furono trasferiti gli affreschi strappati di Aurelio Busso un tempo posti in una ex casa Stramezzi che esisteva in Via Mazzini. La cappella privata è stata rivestita con affreschi strappati di Gian Giacomo Barbelli, provenienti dall'ex chiesa parrocchiale di Casaletto Vaprio e qui portati nel 1912;
Villa Lorenza, XVIII secolo, nel quartiere di San Bernardino;
Villa Oldi-Zurla, XVIII secolo, nella frazione di Vergonzana, con grande parco a tracce di edifici precedenti;
Villa Carini, fine del XVIII secolo, nel quartiere di Ombriano, con grande parco all'inglese;
Villa Martini, fine XVIII secolo, nel quartiere di San Bernardino, in stile neoclassico. Qui tra il 25 e il 26 marzo 1848 dimorò il generale Josef Radetzky in ritirata da Milano. Il successivo 1º aprile vi sostò Carlo Alberto di Savoia;
Villa Albergoni-Zurla, inizi XIX secolo, nella frazione di Vergonzana;
Villino Acerbi, inizi XIX secolo, nel quartiere di Santa Maria della Croce;
Villa Pezzani, inizi XIX secolo, nella frazione di Santo Stefano in Vairano;
Villa Vailati, XIX secolo, nel quartiere Castelnuovo, villa di campagna ridotta a residenza di lusso;
Villa Rossi, seconda metà XIX secolo, nel quartiere di Ombriano, pregevole esempio di edificio in stile neogotico. Nulla rimane di un grandioso parco che un tempo la circondava;
Villa Zaghen, inizi XX secolo, nel quartiere di Santa Maria della Croce, riedificata in stile liberty.
Le Mura venete (1488 - 1509), cingono quasi per intero la città, seppure in parte nascoste dall'espansione edilizia del XX secolo.
Crema è inserita nel Parco del Serio. Inoltre sono presenti le seguenti aree verdi attrezzate:
Giardini pubblici, allestiti nel 1859 sul luogo dell'antico castello;
Giardini pubblici (via Cadorna);
Giardini pubblici (via Giardini);
Giardini pubblici (via Griffini);
Campo di Marte (via Crispi / via Vailati) - vari giochi ludico ricreativi;
Parco Chiappa (via Monte di Pietà);
Parco ex Nosocomio (viale di S.Maria / via Bramante);
Parco Bonaldi (fraz. Sabbioni) - attrezzato percorso vita;
Parco S. Bernardino (via Brescia / via XI febbraio).

A Crema si parla il dialetto cremasco, che foneticamente appartiene all'area dei dialetti gallo-latini della Lombardia orientale. Ha affinità linguistica con i dialetti bergamasco e bresciano, tutti e tre di origine cenòmane.

Il più noto poeta dialettale fu Federico Pesadori (Vergonzana, 3 settembre 1849 - Bolzano, 8 aprile 1923).

Frasi e modi di dire:
Mangiàs l'anema (rodersi il fegato); Bilifù (buono a nulla); Papagàl dal bèch da lègn (sciocco); Mestér cremasch o laùr a la cremasca (lavoro fatto male); Azen da Melini (paziente e bastonato).

Il piatto più caratteristico è costituito dai tortelli cremaschi (i turtèi), dalla particolare pizzicatura della pasta e con un ripieno dolce, composto da grana, amaretti, uva sultanina, cedro candito, spezie, e un biscotto speziato tipico, il mostaccino.

Va ricordato inoltre il salva, formaggio DOP tipico della zona di Crema, consumato tradizionalmente con le tighe (peperone verde lombardo) confezionate sott'aceto.

Piatto povero tipicamente invernale, in accompagnamento al cotechino o ai lessi è il pipèto.

Dolci della città sono: la torta Bertolina (Bertulina), una popolare torta autunnale a base di uva fragola, a cui è dedicata anche una festa di piazza, la più nobile Spongarda, consumata tutto l'anno, la torta Elvezia e la Treccia d'oro.

In tempo di carnevale si preparano i "chisói" o "chisulì", palline ripiene di un impasto preparato con scorza di limone, lievito di birra, uva sultanina, mela e strutto.

Fino al 30 giugno 2012 la principale squadra calcistica della città è stata il Pergocrema, fondato nel 1932, che ha militato in Prima Divisione dalla stagione 2008-09 sino al 2012, anno del fallimento. Sempre nel 2012 il Pizzighettone ha trasferito la propria sede sociale a Crema, cambiando altresì nome in Unione Sportiva Pergolettese (la precedente denominazione del Pergocrema), ed è la realtà più importante del calcio cremasco in quanto militante nel campionato nazionale dilettanti; nella stagione 2012-2013 la US Pergolettese ha conquistato la promozione in Seconda Divisione, riportando la città di Crema nel calcio professionistico. La più antica squadra di calcio della città (fondata nel 1908), è invece l'A.C. Crema, che nel secondo dopoguerra, capitanata dal campione del mondo Renato Olmi, giocò diverse stagioni in serie B. Scomparsa momentaneamente a causa della fusione col Pergocrema all'inizio degli anni novanta, nella stagione 2012-2013 ha affrontato il suo terzo campionato consecutivo di Eccellenza lombarda, ottenendo la permanenza nella categoria. Va inoltre ricordato che Crema è la città natale del difensore Riccardo Ferri e dell'ex centrocampista della Juventus Alessio Tacchinardi, il calciatore più titolato della città.

La città ospita nel mese di giugno la fase finale del "Trofeo Dossena", competizione calcistica internazionale riservata alla categoria "Primavera".

La principale squadra di calcio a 5 è il GSD Videoton 1990 C5, che, come unica società di Crema e, attualmente, dal 29 luglio 1996, dell'intera provincia di Cremona, dal 1996 prende parte all'attività di calcio a 5 organizzata dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio.

La principale squadra di pallacanestro femminile è il Basket Team Crema che milita nella Serie A2. Il Basket Team Crema sostiene il Basket Femminile Crema.

Nel basket maschile si distingue la Pallacanestro Crema promossa nel 2014 nella Divisione Nazionale B

La principale squadra di pallavolo maschile cittadina è la Reima Crema che fino al 2009/2010 gareggiava nella serie A2 e nel campionato 2005/2006 è stata promossa alla serie A1. Nella stagione 2012/2013 la Reima Crema ha militato in serie B1, dove non è riuscita ad ottenere la salvezza, tornando così in Serie B2. Le squadre femminili sono la Icos Crema (che dopo aver rinunciato alla serie A1 svolge solo attività giovanile) e la As Atalantina (che milita in serie B2).

Crema è sede del Tennis Club Crema, circolo tennistico tre volte campione d'Italia negli anni ottanta e attualmente militante nel campionato di serie A1.

I principali impianti sportivi di Crema sono:

Lo stadio Giuseppe Voltini
Il villaggio dello sport Nino Bellini
Il velodromo Pierino Baffi, di proprietà del Coni e non in uso
Tra le altre strutture si segnalano tre campi sportivi per la pratica del calcio, un campo da rugby due palestre di pugilato, il palazzetto dello sport Paolo Bertoni e 14 palestre, talora in uso promiscuo con le istituzioni scolastiche.




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LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : CREMA



Crema è un comune italiano della provincia di Cremona, in Lombardia.
Situata nella bassa Pianura Padana, poco oltre la linea delle risorgive presso la sponda destra del fiume Serio, è il centro principale della provincia dopo il capoluogo Cremona e dà il proprio nome a tutta la parte settentrionale del territorio provinciale: il Cremasco. Il comune appartiene alla regione agraria n° 2 (pianura di Crema) ed è inserito nel contesto del Parco del Serio, a 79 m sul livello del mare, dista da Cremona 40 km.

La città di Crema si è sviluppata all’interno di un’area geografica in cui numerosi scorrono i corsi d’acqua (fiumi, canali, risorgive, rogge, scolmatori ecc.) ed è appunto la presenza dell’acqua l’elemento che ha determinato in modo peculiare la natura e la conformazione dell’ambiente circostante fin dai tempi più antichi.
In origine infatti tutto il territorio cremasco era sommerso dalle acque che, ritirandosi, lasciarono progressivamente posto alle terre emerse. Fra queste andò sempre più definendosi l’Insula Fulcheria o Fulcherii che, come sta a indicare il termine “insula”, rimase comunque circondata per lungo tempo da una grande palude chiamata lago (e talvolta anche mare) Gerundo.
Gli attuali fiumi Serio, Adda e Oglio, i numerosi canali e rogge del Moso (il territorio a nordovest del centro abitato di Crema, che più a lungo e in maggior misura ha conservato gli antichi caratteri di acquaticità) e la serie di fontanili (ancor oggi attivi, almeno in parte) da cui emergono in superficie le falde idriche del sottosuolo sono il retaggio delle originarie paludi. Una naturale evoluzione portò quelle acque a scorrere in modo più ordinato e a scavarsi un letto meno incerto formando e delimitando un territorio decisamente fertile. L’acqua diventò allora una preziosa risorsa per gli abitanti dei luoghi, utile per le coltivazioni, come via di comunicazione e come elemento naturale di difesa.
Il popolamento della zona si può far risalire al quarto millennio a.C., come dimostrano i ritrovamenti di alcuni esemplari di fauna (Bisonte antico, cervidi) e di manufatti in buona parte conservati nel Museo civico di Crema (frammenti di pietra lavorata, punte di frecce, asce in pietra).
Le successive testimonianze in bronzo e i reperti ceramici consentono di risalire ad alcune popolazioni che si stabilirono sul territorio cremasco in epoca preromana: i liguri, i veneti e sicuramente le varie etnie celtiche di insubri e cenomani.
Nel III secolo a.C. i romani sconfissero le tribù insediate nella Gallia Cisalpina e ne occuparono le terre deducendo proprie colonie a Milano, Bergamo, Treviglio, Lodi, Piacenza, Pavia, Cremona. La loro presenza in area cremasca nei secoli successivi è documentata da testimonianze diffuse, che divengono più consistenti nell’epoca tardoimperiale. In proposito va ricordato che la vicinanza di Milano, capitale dell'impero dal 286 al 402 d.C., diede sicuramente impulso a uno sviluppo demografico ed economico del territorio, di cui beneficiò soprattutto Palazzo Pignano che si affermò come un importante insediamento: nell'attuale sito archeologico sono stati recuperati i resti di una villa tardoromana con edificio cultuale e forse di un più vasto complesso (ben documentati in un'apposita sala del Museo civico di Crema).

Le origini di Crema sono legate all'invasione longobarda del VI secolo d.C.; il nome deriva probabilmente dal termine longobardo "Crem" che significa "altura". Secondo la tradizione, la fondazione della città risalirebbe al 15 agosto 570 quando, di fronte alla minaccia rappresentata dall'invasione longobarda, gli abitanti della zona trovarono rifugio nella parte più elevata dell'"isola della Mosa", approntandola a difesa sotto la guida prima di Cremete, conte di Palazzo, e poi di Fulcherio. Da questi due personaggi deriverebbero perciò i toponimi Crema e Insula Fulcheria. Secondo altre fonti la sua fondazione risale al IV secolo d.C., quando Milano era capitale dell'Impero romano d'Occidente. Un'altra versione invece parla di un più antico insediamento Celtico o Etrusco.

La prima occorrenza di Crema nei documenti storici risale all'XI secolo come possedimento dei conti di Camisano. In seguito venne governata da Bonifacio marchese di Toscana e sua figlia Matilde. Nel 1098 Matilde diede in dono la città al vescovo di Cremona. Durante questo periodo l'agricoltura prosperò e l'Ordine degli Umiliati introdusse la lavorazione della lana, che fu una delle principali aree economiche fino al XIX secolo.

Federico I Barbarossa stava attuando un disegno politico che aveva lo scopo di instaurare il potere imperiale a sfavore delle autonomie dei comuni. In tale contesto si introduce la secolare diatriba tra Crema e Cremona, le cui cause, forse, sono da rilevarsi nelle disattenzioni di Crema di fronte ai diritti e ai privilegi che i vescovi di Cremona avevano su parte dell'Isola Fulcheria. Si tenga inoltre presente che l'alleanza tra Crema e Milano era vista come l'estendersi del predominio della metropoli verso Cremona, e come un pericoloso avanzare dell'influenza di Milano verso il Po.
Crema come "testa di ponte" verso il sud della Lombardia: una minaccia troppo grande per tutte quelle città che basavano la loro economia sui traffici commerciali lungo il fiume Po; così a partire dall'anno 1098 la fortezza di Crema fu utilizzata per il primo di una serie di battaglie contro Cremona che aveva la sua giurisdizione sull'Insula Fulcheria grazie ad una concessione dell'imperatore Enrico III (1055) successivamente rinnovata da Matilde di Canossa (1098).

Ecco quindi l'idea di rivolgersi a Federico I, la cui discesa in Italia aveva lo scopo di attuare il suo programma contro le spinte autonomistiche e le ribellioni dei comuni: un'occasione troppo grande per Cremona per progettare un assedio nei confronti della città cremasca.

In un incontro avvenuto nell'inverno 1159 a Casale Monferrato, i cremonesi riuscirono a convincere l'imperatore a muovere l'esercito verso Crema: una sconfitta sarebbe stata monito per Milano, assai ribelle nei confronti del monarca teutonico. Inoltre i cremonesi offrirono a Federico I 15.000 marche d'argento.

La città aveva un centro storico più piccolo di quanto non lo sia ora. Sorta su un dosso ai margini orientali dell'Isola Fulcheria, la città, come racconta lo storico Rahewino al seguito dell'imperatore, nel XII secolo appariva circondata da duplice alta muraglia con profonde fosse colme d'acqua. Certamente era una città che non soffriva di approvvigionamento idrico: numerosi dovevano essere i pozzi scavati all'interno dell'abitato. Inoltre era ben difesa da uno spazio paludoso, da individuarsi nell'area del Moso, che in caso d'assedio avrebbe permesso di sfruttare percorsi misti terra-acqua – noti solo ai locali – e provvedere quindi alle scorte alimentari.

Il 2 febbraio 1159 l'imperatore inviò a Crema alcuni delegati per consegnare l'ingiunzione a distruggere le mura e colmare le fosse. L'ingiunzione fu respinta e vi fu un tentativo di linciaggio nei confronti degli ambasciatori dell'imperatore.

Il 2 luglio i cremonesi, al seguito del vescovo Oberto da Dovara, presero posizione ai limiti delle fosse di fronte a porta Ripalta. Nei giorni a seguire arrivarono gli altri contingenti: le truppe dell'imperatore si stanziarono tra porta Serio e porta Ripalta; le truppe guidate dal fratello di Federico I, il duca Corrado, si posizionarono di fronte a porta Ombriano; il duca Federico, figlio di Corrado, prese posizione tra porta Ombriano e porta Pianengo. Le truppe pavesi coprirono l'ultimo tratto, tra porta Pianengo e porta Serio; infine, giunse il duca Guelfo di Baviera che si schierò davanti a porta Serio, cosicché Federico spostò le sue truppe tra porta Ripalta e porta Ombriano con in mezzo il grande castello.

Le operazioni di posizionamento terminarono definitivamente nell'ottobre 1159, ma già prima si erano avuti scontri: durante una sortita alcuni cremaschi tentarono con un effetto sorpresa di bruciare il mangano, ma trovarono pronte le sentinelle di difesa che ingaggiarono una dura lotta. Quattro cremaschi furono catturati: ad uno fu mozzato il capo, ad un secondo staccarono i piedi, ad un terzo tagliarono le braccia, il quarto fu ferito mortalmente. Altri per sfuggire a simili sevizie tentarono la fuga nelle fosse ma perirono annegati.

Questo fu l'episodio che convinse l'imperatore a iniziare l'attacco: dopo un primo tentativo, non andato a buon fine, di colmare parte della fossa per portare i macchinari in prossimità delle mura, Federico ottenne entusiasticamente dai lodigiani di avere tutto il materiale (botti, fascine, legna e quant'altro di utile) per riempire il fossato.

Nel mese di dicembre la via era pronta e i germanici iniziarono a muovere il gatto seguito dalla torre mobile, ma il continuo lancio di pietre incendiarie ne bloccava l'avanzata.

Qui si inserisce l'episodio più noto e tragico: dopo aver coperto la torre con cuoi e panni bagnati l'imperatore fece appendere, letteralmente, alcuni ostaggi cremaschi e milanesi. Pensava in tal modo che gli assedianti avrebbero desistito dal lancio di pietre per non ferirli. Ma i cremaschi, forse incitati dagli stessi ostaggi, continuarono a colpire la torre che fu costretta ad arretrare. Molti ostaggi perirono e la cronaca di Ottone Morena, che seguiva l'assedio, ne ricorda alcuni nomi: tra i milanesi Codemalo di Pusterla, Anrico di Landriano, e altri due. Fra i Cremaschi Presbitero di Calusco, Trotto di Bonate, Aymo di Galliosso e altri due. Ad Alberto Russo di Crema furono spezzate le gambe, a Giovanni Garesi ruppero un braccio. Il Morena ricorda anche i nomi dei sopravvissuti: Negro Grasso, Squarzaparte di Businate, Ugo Crusta e molti altri di Milano; e inoltre i cremaschi Giovanni Garesi, Arderico Bianco, Alberto Rufo, Sozone Berondi e molti altri.

Il gatto, tuttavia, poté avanzare e permise di azionare l'ariete che operò uno squarcio nelle mura. Il 6 gennaio anche la torre riprese lentamente il suo cammino e a nulla valsero i lanci di barili incendiari da parte dei cremaschi. Da parte degli assedianti la copertura di arcieri e balestranti mise in serie difficoltà gli assediati e qui avvenne l'episodio chiave dell'intero assedio: il tradimento di Marchese (o Marchisio) l'ingegnere militare che aveva costruito le macchine da guerra cremasche. Ignoti sono i motivi e le modalità di questo episodio, ma una volta passato al nemico progettò un ponte e una nuova macchina d'assedio, che assieme alla già citata torre, poté avanzare sul tratto di fossato ormai già colmato.

Il 21 gennaio avvenne l'attacco finale; un grande ponte di 40 braccia per 6 (circa 24 per 3,6 metri) fu appoggiato alle mura ed un altro più piccolo partiva dalla torre mobile. Pur mancando il coordinamento tra i due ponti con qualche difficoltà degli assedianti, molti dei quali vennero annientati, le truppe imperiali riuscirono comunque a salire sulle mura. La città fu così sotto il tiro delle balestre e degli archi e non poté più sopravvivere in tali condizioni: il 25 gennaio avvenne la resa.

Sottoscritta da cremaschi, milanesi e bresciani la decisione della resa, iniziò l'esodo degli occupati, probabilmente circa 20.000 persone, che dovettero uscire con il poco che potevano portare con sé; successivamente le truppe incendiarono la città e demolirono ciò che ne rimaneva, incluse le chiese. Un editto stipulato dallo stesso imperatore nel 1162 a Lodi ne vietava la ricostruzione.

Tuttavia nonostante le reciproche diffidenze, i comuni riuscivano finalmente a organizzarsi nella Lega Lombarda (1167) che nel 1176 otteneva una decisiva vittoria sulle truppe imperiali nella battaglia di Legnano.

Dopo la pace di Costanza (1183) l'imperatore sanciva la legittimità della Lega e i comuni riuscivano a riottenere gran parte della loro autonomia e se ne avvantaggiava Milano e assieme a questa il comune di Crema, suo fedele alleato: l'editto di Lodi veniva revocato e i cremaschi potevano finalmente ricostruire la loro città.

Iniziava anche un tentativo di normalizzazione dei rapporti con la città di Cremona, fino a giungere ad un primo, storico accordo avvenuto nel 1202 nei dintorni del Santuario della Beata Vergine del Marzale.

Nei reggimenti più piccoli dell'entroterra veneto, come quello di Crema, le figure di podestà e capitano erano unificate in un'unica persona che aveva, quindi, potere civile militare e giudiziario sull'intera provincia.

Nel 1361 la città venne funestata dalla peste. Racconta Pietro Terni nella sua Storia di Crema: "Crema a tale estremo era ridotta che più non si trovava chi, nel disperato caso, degli infermi cura togliesse: tutti infettati erano, né l'uno all'altro poteva dar soccorso."
Fu in tale circostanza che i cremaschi cominciarono a venerare con particolare devozione la figura di San Pantaleone. Narra ancora il Terni: "Il glorioso Redentore, volendo i miracoli del Santo al mondo manifestare, la mente aperse ai poveri ammalati perché ricorrere dovessero a San Pantaleone. Uniti insieme alcuni di loro il meglio che poterono, fecero voto al glorioso Santo di alcune annuali oblazioni e lo tolsero per patrono, che prima avevano Sant'Antonio, San Sebastiano e San Vittoriano. Fatto il voto, subito, nel decimo giorno di giugno, rimase la terra talmente dalla malvagia sorte liberata, che pare che dal vento fosse lo contagio levato. Dicesi che il Santo protettore fu veduto in aere sopra la terra con la mano distesa, come nel suggello maggiore la Comunità scolpito mostra; havuta la grazia, ordinarono le processioni annuali nel giorno della liberazione, che fu ai dieci di giugno, di tutte le arti ed huomini di Crema e del territorio, come fino ai giorni nostri si costuma."
Dal che si comprende perché la festa patronale di Crema ricorra il 10 giugno, mentre nel calendario ecclesiastico San Pantaleone è ricordato il 27 luglio, giorno della sua morte nel 305 a Nicomedia di Bitinia (oggi Izmit, in Turchia) nel corso della persecuzione voluta da Diocleziano al principio del IV secolo.
Il podestà e capitano veniva eletto dal Maggior Consiglio di Venezia tra i membri delle più prestigiose famiglie patrizie venete e la sua carica durava generalmente sedici mesi. Era affiancato da un giudice del maleficio e da un vicario pretorio: il primo era, in pratica, un giudice penale, il secondo si occupava di questioni civili.

Le entrate pubbliche erano curate da due Camerlenghi, mentre la custodia della rocca era affidata ad un castellano. Tutte e tre le figure erano scelte tra patrizi veneti. Il governatore delle armi, invece, poteva essere anche cremasco.

Il podestà e capitano sovrintendeva un Nobile consiglio (i cui componenti erano appunto blasonati), la cui carica fino al 1519 durava tre anni, quindi a vita. Potevano entrarvi i patrizi con età superiore a 25 anni. Tra questi venivano scelti tre provveditori (con durata semestrale per due di essi, il terzo annuale) che coadiuvavano il podestà e capitano. All'interno del Nobile consiglio i membri potevano essere eletti deputati a particolari compiti (lavori pubblici, Monte di pietà, monasteri, ospedali, edilizia, ecc.)

Il podestà risiedeva nel Palazzo pretorio.

In qualità di provincia veneziana dell'entroterra, Crema ottenne numerosi privilegi e fu al riparo dal declino economico del vicino Ducato di Milano sotto il dominio spagnolo. Mantenne una sostanziale autonomia che permise la progettazione di nuove costruzioni. Esse includevano la nuova cinta muraria, la ricostruzione del Palazzo Comunale (1525-1533), il Palazzo della Notaria, ora Palazzo Vescovile. Nel 1580 Crema divenne sede vescovile e fu costruito il santuario di Santa Maria della Croce (1490).

Secondo i documenti custoditi negli archivi della Diocesi, Crema fu anche la città d'origine dei Mastai Ferretti, la famiglia senigalliese di papa Pio IX. Secondo una ricerca operata dal parroco del paese d'origine dei Visconti, anche il famoso Innominato, descritto da Manzoni nei Promessi Sposi, aveva origine cremasca da parte di madre. Vissuto ai tempi in cui Crema era sotto il dominio della Serenissima, aveva appezzamenti agricoli dalle parti di Bagnolo, pur essendo nato e vissuto nel Palazzo Visconti, Palazzo a Brignano Gera d'Adda, un gioiello di architettura e di fasto vicino a Crema. Brignano era sotto il dominio del Ducato di Milano, perciò a Francesco Bernardino Visconti (l'Innominato) capitò di rifugiarsi nel palazzo Martini, che allora era sotto il Dominio della Repubblica di Venezia e che apparteneva alla famiglia di sua madre Paola Benzoni. In tal modo Francesco Bernardino sfuggiva alla giustizia milanese ed anche trovava asilo in una piccola città dove nella Parrocchia della Cattedrale di Crema, un Benzoni, Leonardo Benzoni figlio di Soccino Benzoni, si laureò alla Sorbona a Parigi e, successivamente, divenne vescovo (non a Crema); era stato quindi un esponente religioso importante (su un capitello del Palazzo esiste tuttora lo stemma di Leonardo Benzoni, un cappello vescovile che sovrasta un cane, simbolo dei Benzoni. Per queste circostanze il nipote di Leonardo Benzoni, Francesco Bernardino Visconti (l'Innominato), poteva sperare di ricevere un maggior riguardo a Crema rispetto a quello che gli sarebbe toccato nel Ducato di Milano, oltre all'inopinabile vantaggio di cambiare velocemente Stato e confini politici in caso di necessità (dal Ducato di Milano alla Repubblica di Venezia) e, quindi, uscire in breve tempo dalla giurisdizione milanese.

Non si poté evitare il diffondersi in territorio cremasco della terribile peste manzoniana nel 1630 (le cronache riferiscono di 10.000 morti), con un lazzaretto allestito a Santa Maria della Croce e il cimitero a San Bartolomeo “alle ortaglie”, che da allora venne chiamato “ai morti”.
Nel 1648 la Serenissima chiese denari anche a Crema per fronteggiare le spese della guerra contro i turchi, e a tal fine vennero confiscati i beni dei monasteri di San Domenico, San Benedetto e Sant’Agostino. Allo stesso scopo Gasparo Sangiovanni Toffetti donò 60.000 ducati a Venezia, che lo ricompensò iscrivendolo nell’albo d’oro della nobiltà veneta (unico cremasco a ottenere un simile onore dopo i Benzoni).
Anche nel XVIII secolo la città poté vantare il nome illustre di Mauro Picenardi in campo pittorico e continuò ad arricchirsi di palazzi privati (Terni-Bondenti, Albergoni-Arrigoni), di chiese (quella del Salvatore all’interno dell’Ospedale maggiore, l’oratorio detto del Quartierone, le ricostruzioni della Santissima Trinità, di San Giacomo, di Sant’Antonio Viennese e la pesante alterazione in stile barocco del Duomo) e di un teatro (1716-23), realizzato però in modo tanto insoddisfacente che si decise di ricostruirlo su progetto di Giuseppe Piermarini nel 1782-86.
L’istituzione di un’Accademia di agricoltura (1769) fu la concreta testimonianza della diffusione anche a Crema della cultura illuminista e dell’interesse per il progresso delle scienze applicate. Fiorirono come sempre gli scambi commerciali (Fiera di San Michele) e si provvide a un generale riattamento delle strade cittadine, sorsero le fabbriche di campane (Crespi) e nacque l’arte organaria, che da allora ebbe una lunga e prestigiosa tradizione coltivata fino ai giorni nostri.
Con il XVII secolo ebbe inizio la decadenza della città, causata dal fallimento delle sue attività industriali, anche se l'agricoltura continuò ad essere fiorente. Nel 1796 venne fondata l'Accademia dell'Agricoltura. Dopo la caduta della Serenissima nel 1797, l'Esercito Francese depose l'ultimo podestà e creò la cosiddetta "Repubblica Cremasca", annessa dopo pochi mesi alla Repubblica Cisalpina. Crema divenne capoluogo (insieme con Lodi).

Il museo ospita la riproduzione in ceramica della più antica carta del Cremasco, risalente al XV secolo: l'originale è conservato presso il Museo Correr a Venezia
dell'effimero Dipartimento dell'Adda, e in seguito fu annessa al Dipartimento dell'Alto Po, con capoluogo Cremona.

La fine del secolo XVIII, a Crema come nel resto d’Italia e d’Europa, fu squassata dai grandi sconvolgimenti portati dalla Rivoluzione Francese prima e dalle guerre napoleoniche poi. La campagna d’Italia (1796-97) fruttò a Napoleone la conquista di tutta la Lombardia: il 27 marzo 1797 un drappello di dragoni francesi entrò in Crema senza incontrare alcuna resistenza, arrestò l’ultimo podestà veneto della città e vi istituì la municipalità che portò per una brevissima stagione il vanaglorioso titolo di Repubblica di Crema, assorbita dopo soli due mesi nella ben più ampia Repubblica Cisalpina. Cessò così, senza colpo ferire, la plurisecolare dominazione veneta sulla città: le insegne di San Marco furono rimosse, il seminario soppresso così come gli ordini religiosi e i loro conventi (Sant’Agostino, San Francesco, San Domenico, poi utilizzati come caserme), gli oggetti preziosi delle chiese e della diocesi confiscati, il tribunale dell’Inquisizione abolito.
Il dominio francese comportò per Crema, oltre alle varie soppressioni e confische, all’applicazione del codice napoleonico e delle nuove leggi (frazionamento delle proprietà, uguaglianza di tutti di fronte alla legge, coscrizione obbligatoria) e alla diffusione dell’istruzione e delle idee liberali, anche la decadenza dei privilegi connessi al suo precedente status di territorio di frontiera e di capoluogo di provincia.
I fatti principali verificatisi a Crema in quei primi lustri del XIX secolo furono la scossa di terremoto che il 12 maggio 1802 danneggiò il Duomo e la basilica di Santa Maria della Croce, la realizzazione di lampioni a olio per l’illuminazione pubblica notturna (1802), l’abbattimento e ricostruzione con funzione ornamentale di Porta Serio e Porta Ombriano (1804-7), la demolizione del castello di Porta Serio e l’apertura del cimitero comunale (1809).
La sconfitta di Napoleone a Lipsia (1813), poi ribadita da quella di Waterloo (1815), determinò il crollo del suo impero e la restaurazione degli antichi sovrani sancita dal congresso di Vienna. Il ritorno degli austriaci in Lombardia significò per il territorio cremasco l’inquadramento nella neocostituita provincia di Lodi e Crema (24 gennaio 1816), che solo formalmente poneva sullo stesso piano le due città: in realtà il capoluogo provinciale e il centro della vita amministrativa fu Lodi.
Il successivo trentennio di dominio austriaco si rivelò sostanzialmente positivo: pur senza gli antichi privilegi, per Crema fu un periodo di benessere e di tranquillità nel corso del quale venne promossa soprattutto l’agricoltura, con la diffusione della stabulazione del bestiame, l’incremento delle produzioni lattiero-casearie, l’introduzione dell’allevamento del baco da seta, la coltivazione e la tessitura del lino.
L’economia agraria tuttavia, basata sul controllo delle grandi proprietà terriere (appannaggio dei nobili), andò perdendo vigore mentre si affermava la nuova classe borghese impegnata nelle attività manifatturiere e nei commerci. Dal 1843 Crema fu collegata con Milano da un servizio giornaliero di diligenze e la Cassa di risparmio delle province lombarde aprì in città una propria agenzia. Da segnalare la demolizione della chiesa di Sant’Agostino, l’istituzione del corpo dei pompieri (1835) e la creazione del Campo di Marte per le manovre della guarnigione militare (1847).
Il definitivo declassamento amministrativo pubblico (seguito all'inserimento nella provincia di Cremona) diede per converso un nuovo impulso all’iniziativa privata, alle sue capacità imprenditoriali e al rafforzamento delle strutture produttive. La necessità di far fronte a una situazione di concorrenzialità senza potersi più giovare di misure protezionistiche liberò energie e potenzialità insospettate. Crema, pur mantenendo un’alta produzione agricola grazie all’adozione di tecniche d’avanguardia e di forme consortili, associative e cooperativistiche, assunse immediatamente il ruolo di polo industriale e produttivo di tutta la provincia (il linificio Maggioni, aperto a Crema nel 1862, fu la prima industria cremonese) in forza del ricorso alle nuove tecnologie e alla creazione di solide strutture commerciali e creditizie (Banca Popolare Agricola di mutuo credito, Casse rurali e artigiane), indispensabili per lo sviluppo della sua vivace economia.
Anche l’attività artigianale seppe adeguarsi alle mutate condizioni dei tempi, com’è testimoniato dalla nascita delle fabbriche d’organi di Pacifico Inzoli nel 1867 e di Giovanni Tamburini nel 1893, che rinnovarono una tradizione settecentesca portandola a livelli d’eccellenza internazionale mantenuti fino ai nostri giorni.
Un altro essenziale fattore di sviluppo fu l’attenzione per l’istruzione e la cultura: nel 1860 fu aperta la scuola normale (magistrale), nel 1863 la scuola tecnica, nel 1864 le scuole serali, la biblioteca comunale (diretta da don Giovanni Solera) e l’asilo infantile Principe Umberto, nel 1899 la scuola serale popolare di commercio.
Lo sviluppo della città proseguì nel Novecento con la realizzazione di collegamenti più veloci, non solo automobilistici (servizio di linea Crema-Codogno, 1912) ma anche telefonici (linea Crema-Lodi-Milano, 1904), a tutto vantaggio delle attività imprenditoriali. In campo industriale vanno ricordati gli importanti insediamenti della Ferriera di Crema Stramezzi & C. (1913) e della Società Serio (poi Everest, poi Olivetti, 1932-1992), mentre per l’agricoltura nel 1914 fu aperta una stazione sperimentale di batteriologia agraria.

vista del fabbricato d'ingresso al piccolo parco ChiappaAltre opere di particolare rilievo furono il restauro della facciata del Duomo (1913-16), il collaudo dell’acquedotto pubblico (1917) e, dopo la I guerra mondiale cui anche Crema pagò il proprio tributo di uomini, la creazione del Civico istituto musicale Luigi Falcioni (1919), l’inaugurazione del velodromo (1922), l’illuminazione elettrica in sostituzione dei fanali a gas (1930), la costruzione della rete fognaria (1933) e l’abbassamento di 30 centimetri del livello di calpestio di piazza Duomo (1936-37).Il tribunale, istituito nel 1862, venne soppresso nel 1923 e di nuovo ricostituito nel 1948, mentre il comune di Crema allargava confini territoriali e giurisdizione amministrativa inglobando i precedenti comuni autonomi di Ombriano, Santa Maria della Croce e San Bernardino (1928).

Nel 1928 furono aggregati alla città di Crema i comuni di Ombriano, San Bernardino e Santa Maria della Croce.

L'economia era caratterizzata nel secolo scorso dall'agricoltura, con produzione di foraggi, cereali (degna di nota quella del grano), pioppi, e dall'allevamento nel contesto dell'economia provinciale. Dagli anni settanta, sono presenti aziende casearie e importanti aziende alimentari in generale, oltre a industrie metallurgiche, meccaniche, elettroniche e tessili.

Un aspetto notevole dell'artigianato è costituito dalle fabbriche di organi musicali; tale settore venne portato a livelli di eccellenza da Pacifico Inzoli nel 1867 e da Giovanni Tamburini nel 1893. I due maggiori organi italiani esistenti (16.000 canne) del duomo di Milano e di Messina, tra i più grandi d'Europa, sono opera degli organari cremaschi. La città è anche sede di un'importante azienda energetica la Enercom.

Nel XX secolo, dalla fine degli anni sessanta sino al 1992 l'Olivetti ha avuto un importante polo produttivo nella città lombarda, che arrivò a toccare quota 3150 addetti nel 1971 e che all'atto della chiusura nel 1992 contava ancora 700 dipendenti. L'Olivetti arrivò in città alla fine degli anni sessanta acquisendo l'area industriale di via Mulini, dove si trovava la Serio-Everest, un'azienda fondata nel 1929 da sette fuoriusciti dalla Said di Milano, Società anonima italiana dattilografia. La Serio-Everest è stata la prima azienda al mondo a produrre una macchina da scrivere con tastiera a 4 file di tasti invece che 3. Arrivò a contare 1.600 addetti e fu inglobata dall'Olivetti a partire dal 1967.

Attorno all'azienda a Crema si formò poi un'area, abitazioni, centro ricreativo e aziende. Dopo la fine della storia dell'Olivetti l'area di via Bramante è stata recuperata grazie all'insediamento del Polo informatico dell'Università di Milano e di diverse aziende tecnologiche che hanno recuperato l'area. La storia di Serio-Everest e Olivetti a Crema è stata raccontata nel 2002 dalla pubblicazione "Dalla Everest all'Olivetti" edita dal Centro di ricerche Alfredo Galmozzi.

Pietro da Terno nella sua Historia cita un’antica cronichetta scritta a mano ove la nobeltà et la grandezza indicavano i fasti e le glorie di un antico popolo scomparso e di una sontuosa corte ove venne accolto il re dei Longobardi onorifficentissimamente e molti altri prìncipi tra cui Milano etc. Sempre il Terni scrive che Alboino fu il primo re dei Longobardi e che da due anni ruinava e destrugeva le cità d’Italia e che costrinse Cremes Cremete a fugire da Palazzo Pignano et a rifugiarsi supra un’insula circumdata da una selva che solo con le navicule si poteva approdare: et cusì fu che il conte Cremete dette principio a una nova città e a una nuova patria.
Era il 15 agosto del 570, anno secondo del regno di Alboino, Cremete radunò i fuggiaschi in una chiesetta costruita su quell’insula dedicata a santa Maria Assunta della Mosa. Accanto a quella rudimentale chiesetta vi era una rocchetta posta ad oriente,quell’isolotto era detto della Mosa. Fu così che iniziò la fundatione di una nuova città che il conte di Palazzo Pignano volle chiamare Crema.
Morto Alboino, schiacciato dal suo cavallo, mentre entrava in Pavia, fu eletto come secondo re dei Longobardi per alcuni scrittori Cheplen per altri Daplon. Cremete si sottomise ai Longobardi, e fu così che la città crebbe in pace fra le paludi e le acque in riva al fiume Serio, costruendo nuove case e bonificando le terre circostanti per mano dei contadini, dei cacciatori e dei pescatori. Vennero tagliate le selve e i boschi, e così la nostra terra di buone valli fu circondata.
A ottobre di un anno imprecisato la Gallia Cisalpina venne inondata da un’alluvione ed anche il cremasco fu sommerso e colpito poi dalla peste. Queste calamità accaddero nei primi dieci anni dopo l’avvento dei Longobardi. Un nuovo re venne eletto: Authari che volle per isposa la piissima Teodolinda, figliuola del re dei Boiavari (Bavaria) si unirono in Verona con solenni nozze ivi incaminadosi alla volta di Pavia capitale del loro popolo. A Crema si fermarono ospitati dal conte Cremete e longa dimora fecero.
Re Authari alla fine dell’anno sesto del suo regno morì e Teodolinda scelse quale secondo marito il duca di Torino Agiliulfo. Si sposarono a maggio dell’anno seguente, in quel tempo Cremete aveva cinto l’oppido di crema con delle mura di bona altezza, quando il territorio fu investito da una siccità che durò da gennaro a settembrio et sciami di locuste divorarono quel poco di verde rimasto. Il seguente inverno il cremasco venne avvolto da un grande gelo et le vigne e gli alberi morirono e sui cremaschi calò una grande carestia riducendo la popolazione al lumicino.
Questi eventi furono annunciati da una grande cometa, quale la sira et matina molte volte apparve cum signi sanguinoi che in forme d’aste la note in cielo apparevano. Passarono ventiquattro anni di pace e così tanto avevano costruito dentro le mura che non vi era più spazio per nuove dimore. Ospite di Cremete, giunse in città Agilulfo ed insieme su un’imbarcazione si diressero verso oriente ove costruirono un nuovo borgo a cui venne dato per nome San Benedetto, in onore della preesistente chiesetta.
A Crema oramai confluivano sempre più genti, tanto che il Signore di Crema decise di costruire verso occidente San Sepolcro, un altro borgo. L’anno seguente ancora più moltitudine ai cremaschi si unì, e fu necessario aggiungere il terzo borgo, e si mise mano al luogo chiamato San Pietro, innalzato fra settentrione e oriente. La pace stipulata dal conte Cremete con Agilulfo si acclarò quando per bramosia di terre e nuovi domini il re Longobardo inviò le sue orde contro Cremona e contro Mantova che vennero destructe et ruinate al punto che i raminghi vennero accolti dai cremaschi. Secondo alcune fonti storiche la distruzione di Cremona e Mantova è data 597 per altre il 603.
La condizione di questa buona sorte che aleggiava su Crema era il desiderio di Teodolinda che impose a Cremete il pegno d’abbandonare la religione pagana con i suoi idoli e così si giunse nel 597 quando Cremete morì Cremetibus obitus, non avendo avuto figli. Al re Agilulfo rimase Crema in eredità. Cremete signoreggiò per 47 anni e nove mesi e al comando della città per volontà del re fu posto il suo figliolo di nome Adoloaldo. Fonte Pietro da Terno,  Don Luigi Coti Zelati Palazzo Pignano, la Pieve Antica.

Persone legate a Crema:
Balugano da Crema, architetto del XIII secolo
Agostino de Fondulis (Crema, XV secolo-XVI secolo)
Giovanni Battaggio (Lodi, XV secolo-XVI secolo), progettista della basilica di Santa Maria della Croce
Luigi Manini (Crema 1848 - Brescia 1936), architetto e scenografo
Sigismondo Martini (Crema, 1883 - Milano, 1959)
Amos Edallo (Castelleone, 1908 - Crema, 1965), architetto e scultore
Beppe Ermentini (Crema, 1919 - 2003)
Alessandro Savelli (Crema, 1909 - 1971)
Giovanni Moretti (Crema, 1909 - 1971)
Bruno Mazza (Crema, 1924 - 2012)
Mario Bergamaschi (Crema, 1929)
Mauro Bicicli (Crema, 1935 - 2001)
Gianni Meanti (Crema, 1935 - 2009)
Giuseppe Doldi (Crema, 1950)
Adriano Cadregari (Crema, 1954)
Giacomo Ferri, (Crema, 1959)
Riccardo Ferri (Crema, 1963)
Alessio Tacchinardi (Crema, 1975)
Daniele Degano, (Crema, 1982)
Mattia Marchesetti (Crema, 1983)
Alessio Manzoni (Crema, 1987)
Ivan Quaranta (Crema, 1974)




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