mercoledì 12 agosto 2015

CAPRIOLO



Capriolo è un comune situato all'estremità occidentale della Franciacorta.

Il paesaggio è quello tipico della Franciacorta. Situato poco dopo lo sbocco del Lago d'Iseo, il territorio comunale è formato da un'ampia campagna pianeggiante coltivata a vite e granturco, delimitata a ovest dal fiume Oglio che fa da confine naturale con la provincia di Bergamo. Il comune fa pertanto parte del Parco dell'Oglio. A nord e a est si trovano le colline moreniche a ridosso delle quali è sorto l'antico borgo.

Il nome deriva probabilmente da quello dell’animale, Capreulus (Capriolo), che, un tempo, viveva in gran numero nei suoi boschi o potrebbe indicare un luogo di caccia, pieno di selvaggina.
Dalla posizione del castello si potrebbe pensare ad un castelliere preistorico ma non è possibile stabilire l’epoca esatta in cui l’uomo cominciò ad abitare nell’area oggi denominata Capriolo. Sappiamo che era ricoperta da ricca foresta di querce e ontani (VI – V millennio a.C.).

L’imponente castello, più volte distrutto e ricostruito nel medioevo, non solo sorvegliava l’accesso al lago, alla valle Camonica e bergamasche, ma in stretta connessione con la Mussiga protesse per secoli il vitale ponte romano sull’Oglio, forse il più antico di questa zona.

La borgata viene nominata per la prima volta in un documento dell'8 luglio 879 quando Carlomanno di Baviera fece dono di vasti possedimenti ivi esistenti al Monastero di San Salvatore in Brescia.

Nel IX e X secolo venne riedificato il Castello: nel contado i cittadini uniti ai nobili riedificarono la rocca di Manerbio ed i castelli diroccati per antica incuria di Capriolo. Accenni riportati anche dall’Odorici; fu poi concesso in feudo alla famiglia dei Lantieri de’ Paratico. Antemurale della provincia di Brescia, verso il Bergamasco, il castello fu con quelli di Palazzolo sull'Oglio, Paratico, Mussiga e Vanzago uno dei capisaldi delle lotte feudali e per le acque del fiume Oglio, durate a lungo fra bresciani e bergamaschi e iniziate con la cessione, nel 1125 da parte di Giovanni Brusati ai bergamaschi, di importanti capisaldi a difesa dell’accesso in Valcamonica: le rocche di Volpino, Qualino e Ceratello.

Dopo una pausa iniziata con la pace che venne firmata proprio a Capriolo il 20 agosto 1198, tali lotte ricominciarono e il castello entrò nel sistema di difesa del territorio bresciano.

La sua posizione ne fece un baluardo sulla Valle di Calepio, sulla zona collinare di Paratico e sulla accidentata pianura di Palazzolo sull'Oglio. Numerose vicende belliche interessarono poi il Castello e il Paese.

Durante il dominio di Filippo Della Torre (1256), Capriolo con gli altri castelli, riunite le milizie, ne offrirono il comando a Oberto Pelavicino da Cremona, capo dei ghibellini lombardi. Raccolti armati in alcuni castelli della Franciacorta si scontrò con le truppe di Carlo I d'Angiò in una furibonda battaglia sotto il castello di Capriolo.

I ghibellini vollero stravincere appiccando alle mura del castello il fuoco. Ciò scatenò l'esercito francese che centuplicò la forza di attacco, facendo strage e seminando il terrore.

Nella primavera del 1265 il Castello fu assediato e conquistato da Roberto di Fiandra che passato l'Oglio sul ponte di Caleppio entrò nel distretto di Brescia. Il primo castello di questa provincia contro di cui quel capitano generale de’ crocesignati sfogò le ire sue fu quello di Capriolo, come rappresaglia all'impiccagione di uno dei suoi uomini e ordinò una strage del presidio e degli abitanti. poscia mandò a sacco ed a fiamme molti altri di quelle vicinanze. Episodio riportato anche dall’Odorici e dal Cocchetti.

Elia Caprioli vuole che fra gli scampati vi fossero Ughetto Obrese e Lotterengo De Goziis, (Giovanni Ugetto con Obreste e Loterengo cognominato Tartarino) i quali, rifugiatisi a Brescia, avrebbero dato origine alla famiglia Caprioli.

Il 1268 vede ancora i principi Della Torre in azione contro i guelfi bresciani, attraversato l’Oglio, entrano in questa provincia e s’impadroniscono del castello di Capriolo.

In epoca viscontea e durante la Repubblica di Venezia, Capriolo fece parte della Quadra di Palazzolo.

E fu durante l'epoca viscontea, nel 1368 che l'imperatore Carlo IV di Lussemburgo scese in Italia con 40.000 uomini comandati da Uberto di Fiandra devastando varie terre del bresciano tra cui Montichiari, Capriolo, Palazzolo.

La congiura antiviscontea di Gussago richiese l'appoggio a Venezia a questa seguì l'occupazione di Brescia, nel 1425, da parte del Carmagnola la conclusione fu la successiva convenzione di pace tra Brescia e Venezia mediata da Martino V, il 30 dicembre 1426 Brescia col territorio tutto, e per quaranta passi anco al di là dell'Oglio rimase ai Veneti ma molte terre, tra cui Capriolo, Chiari, Orzinuovi, Palazzolo e Iseo oltre a quasi tutta la Valcamonica, rimanevano ancora in potestà del Visconti. Ma dopo la vittoria del Carmagnola a Maclodio anche queste terre vennero assoggettate alla Repubblica Veneziana.

Tolto ai Veneziani nel 1438 dal Picinino, il paese venne restituito all'esercito veneto nel 1441 con la pace di Cremona, nel novembre di quell'anno, le due parti stabilirono i confini dell'Adda.

Durante la guerra Francia-Spagna-Impero, a Capriolo si stanziarono a lungo le truppe svizzere.

Dopo essere stato nel 1516 in balia delle truppe francesi del Lautrech che Venuti sul Bergamasco prendevano il castello di Sarnico ne tagliavano a pezzi la guarnigione e attraversato il lago d'Iseo mettevano a soqquadro i luoghi di Rivatica di Sarnico di Paratico di Capriolo, nel 1521, sotto l'incalzare delle truppe del cardinale Ennio, gli abitanti di Capriolo dovettero fuggire sui monti, senza però che esse facessero molti danni.

Nel 1522 l’esercito di Prospero Colonna, dopo la battaglia della Bicocca, il 5, 6 e 7 maggio, tra gli altri paesi della zona, alloggiò anche in Capriolo.

Nel 1529 si ribellarono alle angherie delle truppe imperiali e buttarono un buon numero di soldati in un burrone.

Il dominio veneto segnò un periodo di pace, disturbato tuttavia da gravi epidemie: la peste del 1505 riportata dal Caprioli che ricorda anche la successiva siccità, per quella del 1630 vi sono due testimonianze rese durante il processo tra i Sindaci di Capriolo e il Conte di Calepio (1661-1665) Andrea Consoli che afferma: …in quel occasione ne morsero più della metà essendo che ne morsero da settecento e più… e Gerolamo Todesco conferma: …seppellissimo 550 cadaveri oltre quelli che venivano sepolti anche d'altre persone… ne morsero quell'anno li doj terzi e da periodi di crisi economica: Ascanio Lantieri de' Paratico riporta nei Diari: Adì 19 marzo 1527 tempestette la metà de questa terra de Capriolo verso Olio una cum Tagliuno, Calepi et Paraticho talmente che non se raccolse ne anche una quarta. de biava ne uno mojolo de vino in tutti quelli lochi, Item adì 5 zugno tempestete il resto di questa terra una cum Adro et parte de Herbusco talmente che fè tutta la. ruina de queste terre. Poi seguitte la carestia grande… proseguita nell'anno successivo: 1528. – Memoria como per tal carestia molte persone et infinite sono morte in miseria per non aver il modo di prevalerse.

Anche il periodo della rivoluzione giacobina bresciana e napoleonica incise sulla vita di Capriolo.

Pacifica fu la vita di Capriolo anche sotto il dominio austriaco, tanto che venne dedicata a Ferdinando I la palazzina comunale edificata nel 1838.

Il Comune fu dominato dapprima dagli elementi liberali, appartenenti alle famiglie più in vista della nobiltà locale, fino a quando, sulla fine del secolo XIX, comparve sulla scena una borghesia forte e attiva e il movimento cattolico, di cui fu principale promotore il prevosto Luigi Minelli, che si sviluppò parallelamente al movimento industriale e che espresse una società operaia (1883), una società di mutuo soccorso "La Formica" (1885), una cassa rurale (1896).

Lo sviluppo economico sociale è indicato nel 1909 dalla costruzione dell'edificio scolastico, ampliato poi nel 1935 e sostituito da un nuovo complesso costruito nel 1972.

Capriolo conobbe la violenza fascista. Parroco e curato vennero catturati il 2 dicembre 1922 da una banda fascista; vennero però liberati a furor di popolo, accorso con tridenti e fucili da caccia.

La prima chiesa parrocchiale, dedicata ai SS. Gervasio e Protasio si trova abbarbicata sul pendio del colle sul quale sorge il castello.

Nel secolo XV venne riedificata al piano, e, in seguito, rifatta quasi del tutto tra il 1887 e il 1895 su progetto dell'architetto Melchiotti per iniziativa del prevosto Minelli, e di nuovo ampliata dal 1904 al 1912 su progetto dell'architetto Caravatti di Milano e dell'ingegner Cadeo e geometra Bastoni di Chiari per iniziativa del prevosto Libretti.

La facciata è stata restaurata e dipinta in terranuova nel 1938, anno nel quale è stato posto il basamento in pietra grigioazzurra di Sarnico. Il portale maggiore è ornato da un doppio stipite con altorilievi raffiguranti armature e motivi guerreschi e, nell'architrave, un medaglione con S. Giorgio. Stipiti e capitelli sono sempre in pietre di Sarnico. L’interno è a croce latina e, sebbene abbia subito radicali modifiche, presenta un insieme armonioso e solenne. La parte più antica è delineata dai tre primi pilastri, in pietra di Sarnico.

La cupola ottagonale all'esterno poggia su doppi arconi impostati sui sostegni e portata dai pennacchi, nei cui riquadri sono stati affrescati i quattro Evangelisti; dopo il cornicione si alza un tamburo di metri 3,50 che forma il sostegno della grande cupola a padiglione a tutto sesto di metri 9 di luce; sul padiglione un grande affresco con al centro l'incoronazione della Santa Vergine. La cupola è illuminata da quattro grandi Minestroni aperti nel tamburo.

Dal pavimento della chiesa alla sommità della cupola l'altezza è di metri 22,50.

Il presbiterio è stato recentemente rifatto. La pala raffigura S. Giorgio ed è opera di Ludovico Gallina (1782). Nella navata di destra l'altare della "Madonna Vecchia" a forma di grande drappo sostenuto da angeli, con al centro la statua veneratissima della Madonna: è pregevole opera dei Fantoni restaurata dai Poisa di Brescia, mentre la mensa è in marmo policromo impreziosito da quattro angeli in marmo bianco di Carrara. Bellissima la statua quattrocentesca della Madonna, venerata fino al 1912 in una chiesetta attigua poi abbattuta per allargare la chiesa parrocchiale. L'altare della Risurrezione è ricco di un bellissimo quadro del Romanino, raffigurante Gesù Risorto ed eseguito intorno al 1525. La pala è raccolta in una preziosa soasa di marmo policromo e intarsiato.

L’altare dell'Assunta, proveniente dalla Disciplina e sistemato in luogo dell'altare della Madonna del Rosario (di cui si conserva la parte superiore dell'affresco), è ricco di una pala di Antonio Gandino il Vecchio, raffigurante l'Assunta e raccolta in una elegante soasa, e di una bellissima mensa di marmo policromo e intarsiato.

Nella navata di sinistra il primo altare, dedicato ai S.S. Gervasio e Protasio, è adornato di un bel quadro attribuito a Callisto Piazza da Lodi che proviene dalla prima chiesa parrocchiale. L’altare della Addolorata e del Cristo morto ricopia il precedente, ma è aggraziato da due angeli oranti in marmo che affiancano la nicchia dorata contenente la statua dell'Addolorata. Sotto sta la statua distesa del Cristo morto, opera della scuola del Fantoni.

L'altare del Sacro Cuore costruito nel dopoguerra è opera monumentale in marmo di Botticino e lavorato dai maestri scalpellini di Rezzato, mentre la statua del Sacro Cuore è uscita dalla bottega Poisa di Brescia. Semplice, ma elegante, è l'altare di S. Rita, proveniente da una chiesa demolita di Rivoltella del Garda.

Il Battistero è stato sistemato di recente ed è adorno di una tela raffigurante il batte­simo di S. Giustina. Le decorazioni (angeli e i sette doni) sono del decoratore Pancera di Manerbio. Sono della Vetreria Artistica Religiosa di Brescia le vetrate del presbiterio. L’Organo, costruito dai Serassi di Bergamo nel 1828, venne riformato e sistemato dalla ditta Diego Porri di Brescia nel 1912. L’ultimo restauro risale al 1981. Altri bei quadri fra cui un S. Antonio di Ottavio Annigoni e alcuni interessanti ex voto si trovano nella grande sacrestia.

La cappella del convento, costruita nel 1695 e consacrata il 14 settembre 1755 da Mons. Alessandro Fè, era adorna di una tela raffigurante S. Francesco e S. Chiara, sostituita poi col sopraggiungere delle Orsoline da una tela raffigurante S. Orsola, S. Angela Merici e S. Agostino. Durante una nuova ristrutturazione operata nel 1969, le due tele vennero poste sulle pareti laterali, mentre al centro venne posto un crocifisso "miracoloso" di stile romanico del 1200.

Cinquecentesca è la chiesetta di S. Carlo, che sembra sorta nel lazzaretto aperto durante la peste del 1576 e che prese il nome del Santo.

Rifatta almeno due volte, venne restaurata nel 1973 dalla Società della Caraffa.

Sul dosso della collina retrostante il Castello, sorge la chiesa di S. Gervasio, cinquecentesca, che venne adibita nel 1630 a lazzaretto. Conteneva una tela del Tiziano e lavori in legno del Fantoni poi scomparsi.

Sul colle che domina a nord il paese e dal quale l'occhio spazia su un panorama bellissimo, sorge la chiesetta dedicata a S. Onofrio, compatrono della parrocchia.

Costruita probabilmente nel 1600, è stata completamente restaurata nel 1967.

Vi si venera una singolare e bella statua del santo eremita. Fra i palazzi spiccano quelli dei Lantieri di Paratico. Edificato dall'architetto Piacentini nel secolo XV divenne, dopo la distruzione del castello di Paratico, la dimora della potente famiglia. Caratteristica la struttura bugnata delle colonne, la volta crociera e il pavimento in cotto. Elegante la doppia loggia a sette arcate con balaustra in pietra arenaria.

Del Quattrocento, o forse anche precedente, è la casa Ochi, anch'essa con porticato a tre arcate a pieno centro in cotto e soprastante loggetta a sei arcate.

Al centro del vecchio nucleo urbano sorge ancora una vecchia torre viscontea costruita nel 1397.

Il paese fu per secoli prevalentemente agricolo. Celebrato il vino di Capriolo già da Taddeo Solarlo nel secolo XV e al quale Giovanni Bigoni dedica alati versi intitolati La Reggia di Bacco in Capriolo (Brescia, N. Bettoni, 1806). Più recentemente si distinsero nella coltivazione della vite i nobili de Paratico.

Dal punto di vista amministrativo il territorio non è suddiviso in frazioni, tuttavia sono presenti ventiquattro località: Baghetti, Bosco Basso, Cà Bianca, Cà dei Borboni, Carretto, Casello, Colombi, Colzano, Costa, Fantone, Feniletto, Fontanone, Le Case, Miola, Molesine, Molinara, Mussiga di Sopra, Pirlotti, Porto, San Lorenzo, Sant'Onofrio, Santo Stefano, Stallone e Valle.



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