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venerdì 9 ottobre 2015

L'INCESTO


Con il termine incesto (dal latino incestum, "non casto", "impuro") si intende un rapporto sessuale fra due persone tra le quali esiste un vincolo di parentela. L'incesto è il tabù più comune presso tutti i popoli e respinto da tutte le grandi religioni.

L'incesto è un trauma, una violenza psicologica che condiziona il comportamento diventando patologico in chi lo subisce. Le vittime dell'incesto sono in numero quasi uguali tra maschi e femmine; gli aggressori sono in maggioranza uomini, però il numero delle donne che abusano dei figli è in costante aumento e vi sono casi di madre coinvolte nell'abuso quanto il padre.

Nel passato era cosa comune incolpare le vittime dell'incesto, di solito bambine, e non i incestoloro seduttori (violentatori), infatti si riteneva che le conseguenze dell'incesto fossero dovute al comportamento seduttivo della vittima. Questo è fuorviante perché una bambina non può comprendere la sessualità adulta e quindi non può essere seduttiva. Certi gesti, atteggiamenti, espressioni che assume sono interpretati come richiami sessuali solo da un adulto "malato". Il bambino vuole amore, affetto, calore e contatto. Gesti e atteggiamenti che assume vengono interpretati dall'adulto malato come seduttivi, invece sono comportamenti che assume per ottenere affetto e attenzione, poiché è l'unico modo che ha conosciuto per riceverle. Non si rende conto che invece riceve qualcosa di diverso, violenza sessuale.

Crescendo comincia a capire in che modo è stato usato, prova profondo rimorso e sensi di colpa ritenendosi almeno in parte o addirittura completamente responsabile di ciò che è accaduto. Questi rimorsi saranno particolarmente gravosi se ha provato piacere da alcune di quelle attività sessuali, come accade a qualche vittima che non prende in considerazione che l'istinto sessuale incomincia già in tenera età e non era in grado di valutare la situazione come avrebbe fatto d'adulto.

L'incesto è un trauma che condiziona la vita delle vittime e spesso viene rimosso. Quando si prende consapevolezza di ciò che è accaduto la sofferenza è grande e si può vivere una depressione o la tendenza a ritirarsi dalla realtà in una scissione nell'unità della personalità. Si sviluppa un disturbo della personalità, il mondo emozionale e affettivo sarà disturbato per sempre con la probabilità di diventare anch'essi dei violentatori sessuali.

In tutte le persone che sono state vittime dell'incesto possono manifestarsi alcuni o diversi disturbi: disturbi del comportamento, nevrosi, dissociazione, comportamenti e atteggiamenti socialmente indesiderabili, delinquenza giovanile, atteggiamento sessuale invadente con una agilità corporea da civettuola, difficoltà all'addormentarsi,disturbi cardiaci, difficoltà di respiro (senso di soffocazione), risveglio spaventato e improvviso durante la notte, frequenti menzogne,marinare la scuola,fughe ripetute da casa, stato di abbandono sessuale (atteggiamento provocante), facilità ai rapporti sessuali, disturbi sessuali, furti di denaro o altro, paura di rimanere soffocata, sogni ansiosi con allucinazioni al risveglio, paura di andare a dormire, claustrofobia, tentativi di suicidio, pensieri di carattere suicida, cattivo rendimento scolastico, isolamento rispetto ai rapporti sociali, sensi di colpa, sonnambulismo.

Molte persone rompendo il muro del silenzio e facendo emergere l’esperienza incestuosa ne hanno tratto giovamento, anche se è avvenuta a molti anni di distanza, parlandone con colui che ha commesso l’atto. Oppure se non è possibile il confronto, come ad esempio, perché è morto, è importante confidarsi con uno psicologo o consulente spirituale, che potrà servirvi ad alleviare il peso del vostro segreto. Questo è valido quando non si vivono problemi psicologici importanti.



Prescindendo dal significato simbolico dell'incesto messo in luce dalla psicoanalisi, sembrerebbe, da indagini storiche, che il tabù dell'incesto abbia anche assolto la funzione sociale di rafforzare la coesione sociale e di prevenire o impedire i conflitti con le tribù vicine: questo risultato veniva perseguito incrementando i vincoli di parentela con queste ultime attraverso lo scambio delle donne come legame di amicizia e la pratica dei matrimoni combinati tra i due gruppi.

II codice penale italiano stabilisce ex art. 564 la pena della reclusione da uno a cinque anni per chiunque commetta incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con un fratello o con una sorella, in modo che ne derivi scandalo pubblico. La nozione di pubblico scandalo è condizione obiettiva di punibilità e non elemento costitutivo della fattispecie delittuosa: ciò comporta che il reato si configura per il semplice fatto della consumazione della condotta incriminata. La relazione incestuosa (rapporto continuato) aggrava il delitto; la pena prevista, in questo caso, è da due a otto anni. Inoltre, se l'incesto è commesso da persona maggiore di età con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne.

La condanna per il delitto di incesto pronunciata contro il genitore importa la perdita della potestà o della tutela legale. La condanna a qualsiasi pena detentiva per il delitto di incesto, subita da un coniuge, costituisce in Italia, per l'altro coniuge, una causa di divorzio. Altra causa di divorzio è il procedimento penale per il medesimo delitto, conclusosi con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo ancorché con sentenza di condanna passata in giudicato. Il diritto italiano vieta il matrimonio tra consanguinei: i figli incestuosi sono riconoscibili solo da parte del genitore di buona fede al momento del concepimento previa autorizzazione da parte del tribunale se ciò è conforme all'interesse del figlio. I genitori con mala fede bilaterale (cioè con reciproca consapevolezza della relazione incestuosa) non possono mai procedere al riconoscimento (art. 251 c.c.). Il figlio non riconosciuto può agire ex art. 269 c.c. previa autorizzazione del tribunale (art. 274 c.c.), al riconoscimento giudiziale della maternità o paternità. L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio.

La dichiarazione giudiziale produce gli stessi effetti del riconoscimento nei confronti del soggetto verso la quale è pronunciata. Qualora il tribunale neghi tale autorizzazione, al figlio irriconoscibile spetta l'azione di mantenimento cui all'art. 279 c.c. per ottenere dai genitori incestuosi un trattamento economico per il suo mantenimento e l'istruzione in adempimento dei doveri ex artt. 147 e 148 c.c. Ma la Corte costituzionale, con sentenza n. 50 del 2006, ha dichiarato incostituzionale l'art. 274 c.c., che ora non è più applicabile: l'autorizzazione del Tribunale non è più richiesta. Di conseguenza, mentre resta il divieto per i genitori incestuosi di riconoscere il figlio naturale, il figlio può ora chiedere il riconoscimento giudiziale della paternità e della maternità senza particolari restrizioni e la residua ipotesi prevista dall'art. 279 c.c. pare ormai priva di oggetto.

L'incestum nel diritto romano indicava l'unione sessuale tra persone legate da vincoli di parentela o affinità, oppure la violazione del trentennale voto di castità delle sacerdotesse Vestali. Il divieto si estendeva fino al sesto grado, anche se nel corso della storia romana, fu più volte temporaneamente abrogato. Il delitto di incestum fu previsto con l'istituzione della relativa quaestio dalla Lex Iulia de adulteriis coercendis.
L'incesto è, assieme al cannibalismo, il tabù più comune presso tutti i gruppi umani e come tale è respinto da tutte le grandi religioni storiche per motivi molto discussi da vari studiosi, ma prevalentemente dettati dalla preoccupazione per la difesa della specie umana, in senso culturale piuttosto che biologico. Non pare infatti che l'interdizione dell'incesto abbia origini eugenetiche poiché la stessa biologia insegna che solo in caso di tare ereditarie il matrimonio tra consanguinei può essere dannoso per la prole. In sostanza se il matrimonio è uno scambio, è logico che questo avvenga tra gruppi diversi (esogamia), in cui ci sia spazio per un'azione reciproca sia in senso socio-economico, sia in senso culturale, piuttosto che all'interno di uno solo (endogamia).



L'antropologo Claude Lévi-Strauss ritiene a questo proposito che la proibizione dell'incesto sia la costante universale che segna il passaggio dal puro stato di natura a una società umana seppure minimamente organizzata. In talune società antiche l'incesto era spesso consuetudine nelle famiglie che detenevano il potere, con l'evidente finalità dell'autoconservazione dello stesso: esempi giunti fino a noi sono quelli dei faraoni egizi, soprattutto in età tolemaica, e degli Inca; nel mondo greco il mito di Edipo è il tentativo di razionalizzazione di un costume storicamente superato ma di cui si conserva il ricordo.

Ultimamente è stata avanzata l'ipotesi che alla base di questo tabù vi sia una sostanziale repulsione odorifera. Nella fase primordiale (animalesca) l'attrazione sessuale era manifestata da richiami odorosi che indicavano la disponibilità della femmina feconda. Un'ipotesi si fonda sul fatto che riconoscere nell'odore della femmina somiglianze col proprio determini una fisiologica ripulsa. Un'altra ipotesi (la più probabile) consiste nella non rilevabile percezione, da parte del maschio, di un richiamo odoroso troppo simile al proprio. La “femmina in estro” non viene riconosciuta come tale in conseguenza della sostanziale identità qualitativa dei feromoni.

La consanguineità diventa un ostacolo fattuale all'attrazione e al rapporto, che nel tempo si sedimenterà in comportamento e si giustificherà (ovviamente a posteriori) in tabù. Accanto a questa ipotesi va affermandosi quella secondo cui gli individui tenderebbero "naturalmente" a preferire soggetti con sistema immune differente (rafforzando l'ipotesi di odori distintivi), che mostrerebbero diverse risposte immuni verso l'ambiente, verso diversi batteri e virus, con la tendenza a creare individui con un vantaggio evolutivo ampio e soddisfacente a contrastare malattie infettive che, nel corso del tempo, hanno dato luogo a pandemìe che sterminarono intere popolazioni.

Di contro, i fenotipi somatici e non strettamente genetici, quindi non in contrapposizione ad un Dna differente, ossia espressione della forma del viso del corpo, colore dei capelli e pelle sembrerebbero essere un'importante modalità decisionale dal punto di vista della scelta del congiunto, e gli individui con fenotipi simili tenderebbero a scegliersi. Trattandosi di armonizzazione di fenotipi, tale situazione può contraddistinguere l'impiego di una vastissima varietà di geni, posti anche su cromosomi diversi, tanto da eliminare al momento una teoria dell'incesto vantaggioso per l'essere umano.

Con l'aumentare della consanguineità tra i genitori aumenta la probabilità della comparsa di malattie ereditarie rare recessive.Tuttavia, il rischio principale di tare genetiche non è dovuto tanto a una consanguineità stretta dei genitori, quanto a un alto coefficiente di incrocio in una popolazione o sottopopolazione che, per ragioni geografiche, sociali o religiose, ha scarsi rapporti riproduttivi con l'esterno ed è di consistenza relativamente limitata.

La tendenza incestuosa è fondante la teoria psicoanalitica in tutte le sue varianti principali che hanno segnato la storia della psicoanalisi: sia freudiana sia junghiana. L'interpretazione del fenomeno tuttavia è diversa. In ogni caso è comunque proprio questa problematica incestuosa che dà l'avvio alla vicenda edipica che è il perno fondante la teoria e la pratica clinica psiconalitica.

Recentemente in Germania è emerso un caso controverso di incesto: due fratelli di Lipsia - Patrick Stübing e Susan Karolewski - dopo essere stati separati alla nascita si sono conosciuti quando lei aveva 16 anni ed hanno cominciato una relazione: da questa unione sono inoltre nati 4 figli (Eric, Sarah, Nancy e Sofia), dei quali solo l'ultimo non ha problemi di salute. Una volta appurata la loro consanguineità, il tribunale ha disposto l'arresto per lui e un periodo di assistenza sociale per lei in quanto affetta da disturbo dipendente di personalità; nel frattempo, il ragazzo si era sottoposto volontariamente a vasectomia. Dopo aver scontato due anni in carcere, è notizia del 15 marzo 2008 il suo rientro nel penitenziario per scontare gli ultimi 30 mesi di condanna. Il 12 aprile 2012 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che "la condanna al carcere per una relazione incestuosa" di Stübing non ha violato l'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (relativa al diritto al rispetto della vita privata e familiare), in quanto "le autorità tedesche avevano un ampio margine di valutazione nell'affrontare la questione". Stübing ha richiesto il rinvio del caso alla Grande Camera, ma il 24 settembre 2012 è stata respinta e la sentenza è diventata definitiva. Nel 2014 il Consiglio etico tedesco chiede al governo la depenalizzazione del reato.

In tempi storici era considerato incestuoso anche il rapporto sessuale con persone legate da affinità spirituale consacrata alla divinità (ad esempio le vestali), specie se legate al culto della fertilità (Demetra e Persefone); ciò prende il nome di incesto spirituale. Stessa cosa si verificava nell'Induismo: al discepolo non era consentito sposare i figli del guru, in quanto il rapporto tra quest'ultimo e il discepolo era così intimo e profondo che una simile unione sarebbe stata considerata incestuosa.



Nell'Antico Testamento e nella legge Mosaica l'incesto è proibito da Jahvé, anche se proprio gli stralci storiografici della Bibbia registrano numerosi casi di incesto. Gli esempi più evidenti sono il fatto che Abramo e la moglie Sara erano fratellastri e le relazioni tra Lot e le sue figlie, senza poi contare che Giacobbe e Rachele erano primi cugini e Isacco cugino del padre di Rebecca; nonostante i dettami morali delle tre principali Religioni, che hanno come fondamento i testi sacri ebraici, che vietano espressamente l'incesto.

C'è un tipo d'incesto che è altrettanto dannoso come quello reale: è l'incesto affettivo. Laddove vi è una seduzione, più o meno esplicita, da parte di uno dei genitori nei confronti di uno dei figli, seduzione che poi culmina nella sostituzione del partner di coppia col figlio/a sedotto, parliamo di incesto affettivo.

In questi casi il genitore incestuoso, a causa della sua fragilità, non è in grado di svolgere appieno il proprio ruolo genitoriale di riferimento ed investe il figlio di un affetto inadeguato, come se fosse l'amante.

Non si arriverà mai a consumare fisicamente l'incesto, ma incosciamente il figlio coinvolto vivrà il legame in maniera estremamente intima. Allo stesso tempo il genitore/partner è irragiugibile come amante. Ciò comporterà che in età adulta, in una sorta di coazione a ripetere come la chiamano gli psicanalisti, ripeterà il copione affettivo incestuoso cercando partner irragiungibili.

Questa ripetersi è legato a due aspetti dell'incesto affettivo diversi fra loro:

ricerca del partner irragiungibile al fine di conquistare e possedere ciò che non si è conquistato e posseduto del tutto nell'infanza;
ricerca del partner irragiungibile al fine di non riuscire ad entrare in una relazione di coppia sana e rimanere, in questo modo, amanti inconsci del proprio genitore.


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domenica 19 luglio 2015

DISLESSIA E DISCALCULIA



La dislessia è una difficoltà che riguarda la capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente. Leggere e scrivere sono considerati atti così semplici e automatici che risulta difficile comprendere la fatica di un bambino dislessico. La dislessia non è causata da un deficit di intelligenza né da problemi ambientali o psicologici o da deficit sensoriali o neurologici.
Il bambino dislessico può leggere e scrivere, ma riesce a farlo solo impegnando al massimo le sue capacita e le sue energie, poiché non può farlo in maniera automatica e perciò si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro, non impara. La dislessia si presenta in quasi costante associazione ad altri disturbi (comorbidità); questo fatto determina la marcata eterogeneità dei profili e l'espressività con cui i DSA si manifestano, e che comporta significative ricadute sulle indagini diagnostiche. La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura: disortografia (cioè una difficoltà di tipo ortografico, nel 60% dei casi) e disgrafia (difficoltà nel movimento fino-motorio della scrittura, cioè una cattiva resa formale, nel 43% dei casi), nel calcolo (44% dei casi) e, talvolta, anche in altre attività mentali. Tuttavia questi bambini sono intelligenti e,di solito,vivaci e creativi.

Quando parliamo di personaggi del passato, è chiaro che non si può parlare con sicurezza di dislessia, sia perché non è ovviamente mai stata fatta una diagnosi da parte di un esperto, sia perché i documenti in  possesso sono pochi e raramente decisivi. Ciononostante, spesso si può con ragionevole precisione ipotizzare una dislessia in senso ampio, che può di volta in volta contenere al proprio interno disgrafia, discalculia ed altri disturbi dell’apprendimento.

Questo è più o meno il ragionamento che si è fatto anche con Leonardo da Vinci, forse il più celebre artista e inventore della storia dell’umanità. Com’è noto, i codici di Leonardo infatti rappresentano un unicum molto particolare, essendo stati composti con una grafia speculare, cioè da destra a sinistra e con le parole a loro volta rovesciate; una particolarità che per molto tempo si è ritenuta nient’altro che un espediente per rendere segreti i propri appunti, ma che recentemente – e in particolare da alcuni studi condotti negli anni Novanta – si è ipotizzato dipendesse da una forma di dislessia che rendeva impossibile a Leonardo comporre mentalmente le parole nella forma normale a cui siamo abituati.

Sempre di ipotesi si tratta, ovviamente, ma se la congettura fosse esatta spiegherebbe anche come a volte una dislessia congenita in un individuo geniale possa spingere a trovare soluzioni più ardite, a pensare in maniera diversa, a rompere letteralmente gli schemi.

Più controversa dal punto di vista dell’analisi e della diagnosi a posteriori è la figura di Galileo Galilei, altro scienziato fondamentale della storia italiana ed europea. Controversa perché in realtà i documenti scritti di proprio pugno dallo scienziato pisano sono intanto scritti alla maniera tradizionale, da sinistra a destra, ma poi fluidi, sicuri, in un elegante e bello stile tipico dell’epoca, una grafia che risulta comprensibile senza particolari difficoltà ancora oggi.

Ciononostante, le cronache ci raccontano di un Galilei particolarmente demotivato nell’apprendimento nella prima parte della sua vita e in difficoltà con le istituzioni scolastiche – ovviamente clericali – dell’epoca, tanto che solo in età quasi universitaria trovò nella matematica prima e nella fisica poi uno stimolo all’approfondimento intellettuale. Non è un caso che Galileo abbia tradito le speranze paterne, che lo volevano medico, per intraprendere gli studi che lo portarono alle sue fondamentali scoperte.

Allo scienziato è stato intitolato – a Nizza Monferrato, in Piemonte – il Centro Galileo Galilei per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, uno dei principali centri privati specializzati in dislessia, disgrafia, discalculia e disortografia, mentre spesso nella libellistica per le famiglie in cui i figli vengono trovati affetti da queste disabilità ricorre una frase del pisano che è diventata in un certo senso uno dei più noti motti contro la dislessia: «Dietro ogni problema c’è un’opportunità».

Spostiamoci ora a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, un periodo particolarmente florido per la scienza, denso di nuove scoperte, innovazioni e invenzioni; un periodo sul quale, pur non disponendo di diagnosi di specialisti, abbiamo quantomeno pagelle scolastiche e resoconti piuttosto precisi dei progressi educativi. E tra gli studiosi che portarono avanti quella che è stata definita una vera e propria nuova rivoluzione scientifica un posto di riguardo lo merita, per eccentricità e scoperte, il serbo naturalizzato americano Nikola Tesla, la cui dislessia è stata sostenuta da vari studiosi, da Henry Tobias a Joseph Giovannoli.

La dislessia era l’ultimo dei problemi di Tesla: geniale e maniacale, fu responsabile di alcuni dei più importanti studi sull’elettricità ma contemporaneamente di alcune ipotesi talmente strampalate da essere considerato nell’ultima parte della sua vita un pazzo e un visionario. Completamente incapace di gestire il denaro che derivava dai vari brevetti, fu preda per tutta la vita di ossessioni (per i piccioni, che spesso portava nella sua camera d’albergo e dei quali piangeva la morte ponendosi domande quasi teologiche, ma anche per i numeri e per l’igiene) e esaltatore della castità sessuale e perfino dell’eugenetica – in anticipo per la verità rispetto alle derive naziste.

Fu uno studente geniale e scostante, com’è a volte tipico dei ragazzi soggetti a questo disturbo: non riuscì infatti mai a completare l’università a Graz e anche una successiva iscrizione a Praga non diede i frutti sperati; d’altro canto, leggeva avidamente una grande messe di libri e anzi, forse proprio per ovviare alle difficoltà di lettura, finiva spesso per impararli a memoria grazie a superiori capacità mnemoniche.

I primi studi compiuti in ambito anglosassone lasciavano pensare che la lingua inglese costituisse un problema aggiuntivo in disturbi di questo tipo, a causa anche della scarsa corrispondenza tra pronuncia e scrittura dei vari fonemi, tanto che, con cifre in realtà approssimative, si ipotizzava un’incidenza attorno al 15% della dislessia sul totale degli studenti di madrelingua inglese.

Marconi fu sostanzialmente un autodidatta, perseguendo i suoi studi scientifici al di fuori delle istituzioni tradizionali nelle quali non si sentiva affatto a suo agio. Le cronache infatti raccontano che al Convitto Cavallero di Firenze dove frequentò i primi anni di scuola non riusciva a recitare le classiche poesie che venivano imparate a memoria, confondendo addirittura “tromba” con “trompa”, quando l’inversione tra “b” e “p” è uno dei chiari indici della dislessia; inoltre una sua pagella del 1887 mostra dei risicati 6 in tutte le materie linguistiche (italiano, francese, inglese, tedesco e latino), un 5 in recitazione e voti più alti solo in storia e geografia, storia naturale e aritmetica, dove arrivava anche al 9. Una pagella che risulta particolarmente significativa soprattutto per il 5 in recitazione e per il 6 in inglese, visto che era figlio di madre irlandese e quindi bilingue.



Lo scienziato più celebre e importante del Novecento, ma anche quello che è diventato paradigmatico di come le grandi scoperte spesso siano dissociate dal profitto scolastico. È infatti vulgata popolare piuttosto diffusa che Albert Einstein avesse pessimi voti a scuola; cosa in parte vera, ma non del tutto. Quasi sicuramente, per sua stessa ammissione, era dislessico, o quantomeno presentava dei disturbi specifici dell’apprendimento, tanto è vero che si rese conto solo relativamente tardi dei concetti di spazio e tempo e forse anche per questo poté considerarli con un’ottica nuova, libera da pregiudizi.

A scuola aveva un andamento discontinuo: brillante in alcune materie, soprattutto quelle matematiche e scientifiche, viveva di alti e bassi in quelle letterarie, nonostante se la cavasse piuttosto bene in latino. Certo influivano i suoi difetti congeniti, ma soprattutto il continuo spostarsi della famiglia da una città all’altra della Germania e della Svizzera lo rese un ragazzo senza radici; inoltre, in famiglia idolatrava lo zio Jakob, che per primo lo aveva avvicinato allo studio della matematica con uno stile che era però distantissimo dai tradizionali metodi educativi scolastici, votato più al divertimento e alla sfida che non all’impettita didattica teutonica; per questo, nel giovane Einstein la dislessia si legò quasi subito a un disprezzo per l’istruzione preuniversitaria in sé e per sé, ritenuta sostanzialmente una perdita di tempo.

Non è un caso che, giunto ai sedici anni d’età, Einstein abbia tentato di entrare al Politecnico di Zurigo pur non avendo né l’età minima richiesta, né il diploma liceale, e per questo sia stato respinto (oltre che per prove non sufficienti appunto nelle materie letterarie). Ciononostante, dopo aver compiuto una sorta di “anno di studi di riparazione” ad Aarau, riuscì finalmente ad accedere all’università e ad iniziare quegli studi che l’avrebbero portato, neppure trentenne, a rivoluzionare la fisica del suo tempo.

La dislessia si manifesta con una lettura scorretta (numero di errori commessi durante la lettura) e/o lenta (tempo impiegato per la lettura) e può manifestarsi anche con una difficoltà di comprensione del testo scritto indipendente sia dai disturbi di comprensione in ascolto che dai disturbi di decodifica (correttezza e rapidità) del testo scritto. La Consensus Conference ha ribadito l'importanza di promuovere la ricerca per identificare il disturbo di comprensione del testo come separato da quello di decodifica (correttezza e rapidità).
Il bambino spesso compie nella lettura e nella scrittura errori caratteristici come l'inversione di lettere e di numeri (es. 21 - 12) e la sostituzione di lettere (m/n; v/f; b/d). A volte non riesce ad imparare le tabelline e alcune informazioni in sequenza come le lettere dell'alfabeto, i giorni della settimana, i mesi dell'anno. Può fare confusione per quanto riguarda i rapporti spaziali e temporali (destra/sinistra; ieri/domani; mesi e giorni;lettura dell'orologio) e può avere difficoltà a esprimere verbalmente ciò che pensa. In alcuni casi sono presenti anche difficoltà in alcune abilità motorie (ad esempio allacciarsi le scarpe), nella capacità di attenzione e di concentrazione. Spesso il bambino finisce con l'avere problemi psicologici, quale demotivazione, scarsa autostima, ma questi sono una conseguenza, non la causa della dislessia.

La diagnosi viene effettuata da un equipe multidisciplinare composta da Neuropsichiatria Infantile, Psicologo e Logopedista.

Queste difficoltà di lettura possono essere di due tipi: evolutive o acquisite.
Il termine “dislessia acquisita” fa riferimento ai disturbi di lettura che occorrono in seguito ad un danno cerebrale in persone le cui abilità di lettura erano, prima del danno subito, normali.
Con il termine “dislessia evolutiva”, invece, si fa riferimento al disturbo di lettura proprio di persone che non hanno mai imparato a leggere correttamente e non, come si potrebbe pensare, al disturbo riscontrabile nei bambini. In questo senso, la dislessia evolutiva può essere diagnosticata in un bambino quanto in un adulto.
La persona con disturbo di dislessia evolutiva è in grado di leggere e scrivere, ma può farlo solo impegnando gran parte delle propie risorse attentive e mentali poiché non diventa per lui un processo automatico come avviene per la maggior parte delle persone.Ne consegue che il soggetto dislessico si stanca molto, commette errori, rimane indietro rispetto ai propri compagni, ha poche energie attentive da spendere per la comprensione.
È come se la persona dislessica vedesse sempre le parole per la prima volta e pertanto fosse costretta a procedere tramite una lettura lettera per lettera, senza automatizzare il riconoscimento visivo. Ciò causa un gran dispendio di energie attentive e porta la persona a una lettura corretta per le prime righe del testo scritto e a commettere molti errori nel prosieguo, in quanto le sue risorse attentive si esauriscono o diventano più labili.
La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura, nel calcolo e talvolta anche in altre attività mentali (memoria, percezione, linguaggio,…). Tuttavia i soggetti dislessici sono generalmente intelligenti, vivaci e creativi.




Secondo Coltheart (1999) le cause della dislessia sono per il 60% organiche e per il 40% di tipo educativo, da ricondurre in gran parte al fatto che gli studenti sono colpevolizzati anziché aiutati.
Le cause organiche purtroppo non sono ancora completamente note e diverse sono le ipotesi che sono state avanzate.
Una prima teoria, probabilmente la più nota, è quella della “disconnessione funzionale” (o connessione disturbata) fra i centri cerebrali deputati alla decodifica della lettura (Geschwind, 1965; Marshall, 1983); tra le varie articolazione di questa teoria, quella fonologica (deficit del processamento fonologico) sembra essere quella più accreditata da un punto di vista delle attuali evidenze scientifiche (Frith, 2002); essa descrive la dislessia come una difficoltà dei ragazzi dislessici a manipolare i suoni rispetto ai non dislessici (ad esempio di effettuare la compitazione, lo spelling delle parole) e nel passare dal codice visivo a quello uditivo e viceversa.
Una seconda teoria è centrata sulla difficoltà di inibire gli stimoli visivi e orientare l’attenzione in modo selettivo da sinistra a destra: il ragazzo dislessico avrebbe un campo visivo attentivo troppo ampio e quindi gli stimoli periferici andrebbero ad interferire con la discriminazione visiva creando un problema di affollamento di stimoli (crowding). Sembra che i lettori dislessici percepiscano in modo meno chiaro rispetto agli altri lettori gli stimoli che si allontanano leggermente dalla fovea, e troppo distintamente quelli alla periferia del campo visivo, i quali creerebbero in questo modo un affollamento di stimoli, rendendo confusa la discriminazione visiva (Geiger e Lettvin, 1999). Il bambino dislessico discriminerebbe peggio di un buon lettore, perché non sarebbe in grado di inibire gli stimoli periferici (disturbi magnocellulari, Cestnick e Coltheart, 1999).
Una terza teoria ipotizza una mielinizzazione (ricopertura delle cellule nervose) incompleta che non permette un’attenzione focalizzata verso gli stimoli visivi e una conseguente difficoltà di discriminazione e decodifica degli stimoli visivi che stanno alla base della lettura (Bakker, 1998).

La disgrafia e la disortografia sono entrambi specifici disturbi di apprendimento che riguardano la capacità di scrivere in modo corretto, chiaro e scorrevole.
Con disgrafia si intende un disturbo qualitativo del processo di trasformazione dei segni visivi o delle lettere nei corrispondenti grafemi, il soggetto ha quindi difficoltà nell'imparare a scrivere (cioè nel trasformare in forma grafemica informazioni verbali ascoltate o pensate). Il bambino fatica a ricordare come si formano le lettere e nel riprodurre la forma delle lettere nelle diverse modalità: stampatello, corsivo, minuscolo, maiuscolo. Sono presenti difficoltà nel mantenere i rapporti di misura, spessore, spazio sul foglio. Spesso il bambino tiene la matita in modo sbagliato e l'atto della scrittura diventa penoso. La scrittura può essere un misto di lettere maiuscole e minuscole. Questo disturbo non interessa le regole ortografiche e sintattiche anche se vi è una ricaduta sui testi prodotti per impossibilità di rilettura e autocorrezione. È considerata disgrafia anche la difficoltà di scrivere parole con le lettere nell'ordine giusto, ma è più corretto considerare questo tipo di errori come sintomo di dislessia perché sono più legati alla difficoltà di percepire la sequenza dei suoni
Con il termine disortografia ci si riferisce alla scorretta trasformazione grafica del messaggio orale ascoltato o pensato, troveremo quindi la presenza di numerosi errori di ortografia nel testo del bambino. (cuadro/quadro, l'oro/loro, e/è, a/ha, lacua/l'acqua ecc.).Si tratta , quindi, di una vera e propia difficoltà nel realizzare i processi di ortografizzazione.
Nei testi scritti di questi bambini si trovano, quindi, vari tipi di errori:
errori di tipo fonologico (scambi, omissioni-aggiunte, inversioni di lettere, grafema incompleto),
errori di tipo non fonologico (grafema omofono, h, doppie, attaccatura-staccatura delle parole).
Sono questi ultimi gli errori più sensibili ad una modificazione con l'apprendimento.
Il soggetto disortografico può avere difficoltà nella coordinazione oculo-motoria, visuo-spaziale e nella velocità della riproduzione dei grafemi, in qualche caso una forma di scrittura allografica (caratteri diversi all’interno della parola).

Spesso i bambini disortografici hanno anche disgrafia, cioè hanno una calligrafia poco chiara, disordinata e difficilmente comprensibile. La disgrafia può essere dovuta a numerosi fattori: oltre che a difficoltà di tipo prassico o visuospaziale, anche a fattori di "sovraccarico".
Una scrittura senza errori, infatti, comporta un'integrazione contemporanea di tutte le componenti della scrittura, così da diventare automatica.
Ciò dovrebbe avvenire generalmente dalla terza elementare.
Da allora è possibile, per il bambino, velocizzare la scrittura e personalizzare la grafia, e, nella lettura, avere l'impressione di accedere direttamente al significato. Tutto questo senza bisogno di un'attenzione eccessiva.
Nel caso dei bambini disortografici, l'incompiuta automatizzazione della scrittura richiede loro un'attenzione eccessiva sugli aspetti di ortografia, comportando una maggiore probabilità di errori e, spesso, un peggioramento della grafia, proprio per l'attenzione eccessiva che viene richiesta.

La discalculia è un disturbo specifico dell'apprendimento, molto più raro della dislessia, che consiste nella difficoltà incontrata dal bambino nella comprensione del senso dei numeri e nell'acquisire i meccanismi di calcolo.Questi deficit interferiscono notevolmente con l’apprendimento scolastico e con le normali attività quotidiane che richiedono capacità di calcolo, e non sono imputabili a danni organici o ad insegnamenti inadeguati.
Le prestazioni aritmetiche di base di questi bambini (addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione) risultano significativamente al di sotto del livello atteso rispetto all'età cronologica, all' intelligenza generale e alla classe frequentata.
I problemi più comuni in questa categoria di disturbi sono:
il mancato riconoscimento dei simboli numerici;
l'incapacità di comprendere i concetti base delle quattro operazioni,
i termini e i segni aritmetici;
la difficoltà ad allineare correttamente i numeri secondo i principi del valore posizionale delle cifre;
l'incapacità di apprendere in modo soddisfacente la tavola pitagorica;
la difficoltà di identificare i dati rilevanti per la corretta risoluzione di un problema aritmetico.

Sebbene questo disturbo sia stato molto meno studiato di quello della lettura, in linea di massima si è portati a ritenere che i bambini con disturbo di sviluppo del calcolo abbiano difficoltà visuopercettive e visuospaziali piuttosto che uditivo-percettive e
verbali (come accade nei disturbi di lettura).
In passato, si trovavano denominazioni diverse per indicare questo disturbo: discalculia, discalculia evolutiva, acalculia evolutiva, disturbo aritmetico evolutivo, disturbo lacunare in aritmetica.

I soggetti con disturbi dell’apprendimento sono normalmente vivaci ed intelligenti a volte anche con un QI al di sopra della media. Nonostante ciò, le difficoltà di lettura e scrittura tipiche di questi disturbi rischiano di compromettere, soprattutto nel caso di bambini, il rendimento scolastico e il normale apprendimento.
Tutto ciò, inoltre, può far nascere nei bambini una sfiducia in se stessi e nelle proprie capacità e l’instaurarsi, quindi, di un ciclo(deficit di apprendimento — sfiducia — ulteriore deficit)con conseguente peggioramento della situazione.
Il bambino non si accetta, non accetta la sua situazione e vive la scrittura, e la lettura con angoscia.

Con l’aiuto delle nuove tecnologie si possono individuare tempestivamente e di conseguenza affrontare più efficacemente disturbi che pregiudicano il rendimento scolastico, quali disgrafia, dislessia, ecc. Soprattutto lo si può fare in tempi rapidi e su larga scala.
La possibilità di lavorare con un supporto tecnologico facilmente gestibile come i PC, sta facendo sorgere una nuova generazione di indagini diagnostiche, sia originali che come evoluzione di sistemi precedenti.
La normale diagnosi prevede numerose fasi:
• valutazione dell’intelligenza generale(scala Stanford Binet, WPPSI,WISCR, ecc)
• valutazione del livello di apprendimento scolastico(prove MT di Cornoldi ecc.)
• valutazione di varie funzioni neuropsicologiche (per competenze percettive visuo-spaziali, per abilità di memoria uditiva e visiva, per capacità di attenzione , per dominanza laterale, per competenze linguistiche)

Il supporto informatico nella valutazione agisce sia nella fase di somministrazione che in quella di analisi e valutazione della lettura e delle prove percettive e discriminative. L’uso dello schermo per le prove visive e di un supporto digitale per quelle uditive garantisce la qualità della somministrazione e la stretta osservanza del setting. I risultati vengono registrati in forma digitale permettendo una analisi molto più dettagliata rispetto alle modalità classiche.
Le nuove tecnologie mettono a disposizione numerosi strumenti per analizzare il parlato e i testi scritti. Un esempio particolare è il programma Clan utilizzato dal Prof. Dionigi Ioghà(del reparto di neuropsichiatri infantile della Asl di Pavia) per la valutazione di soggetti con disturbi di apprendimento, all’interno del progetto CHILDES.




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