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giovedì 4 giugno 2015

LE VILLE DI SESTO SAN GIOVANNI : VILLA TORRETTA

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Villa Torretta è una struttura a corte aperta, nella tipica forma di una "H", con un corpo centrale a tre piani e due ali laterali leggermente più basse. Caratteristica è senz'altro la torre quadrata, sormontata da una loggia con motivo a serliana, che dà il nome alla villa.

Localizzata al confine tra Sesto e Milano, questo edificio si trova in una situazione particolare rispetto al suo intorno, circondata com'è da strutture industriali e, recentemente, anche di tipo commerciale. Solo di recente, dopo il totale recupero dal punto di vista paesaggistico e architettonico, è diventata parte integrante del parco.

Venne acquistata agli inizi del Novecento dalla Breda, che la trasformò in alloggi per le famiglie degli operai. È rimasta abitata sino ai primi anni sessanta, ristrutturata dal 1997 al 2002 e attualmente è sede di un prestigioso albergo.

Del complesso fa parte l'Oratorio di Santa Margherita, sempre del XVI secolo, con affreschi attribuiti a Simone Barabino raffiguranti storie bibliche.

Le origini della Villa Torretta sono circondate da alcune leggende, non supportate da testimonianze: si narra che fu proprietà della regina Teodolinda e che in seguito fu un avamposto fortificato annesso alla Bicocca degli Arcimboldi, alla quale, sempre secondo queste leggende, la collegherebbe un lungo cunicolo. Di certo, in quei territori sostarono le truppe di Martino della Torre che nel 1259 incontrò Ezzelino III da Romano durante il tentativo di quest'ultimo di impadronirsi della Corona Ferrea a Monza. E sempre in questi territori, nel 1323, è avvenuto lo scontro tra le truppe del Re Roberto e le truppe di Galeazzo e Marco Visconti.

Attenendosi alla struttura del complesso e considerandone gli elementi architettonici, si ritiene che la costruzione risalga alla seconda metà del XVI Secolo o comunque a ridosso del Seicento e che fosse stata eretta non con finalità militari, bensì come una villa di campagna, dallo schema costruttivo del tutto riconducibile a quello di altre ville venete o toscane dello stesso periodo. Tra il 1580 e il 1597 la villa risulta di proprietà di Leonardo Spinola, nobile genovese della famiglia Spinola, la cui presenza nella zona di Milano è documentata sin dal 1546. Nelle cronache ecclesiastiche si legge di una visita di Carlo Borromeo presso l'Oratorio di Santa Margherita nel 1582. Una più precisa datazione della costruzione della villa si ottiene da due lapidi installate all'interno del complesso e rinvenute soltanto nel 1925 dopo un devastante incendio; sono datate 1607 e collocano la costruzione della villa tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo. In entrambe le lapidi appare il nome della contessa Delia Spinola-Anguissola che aveva ereditato dal padre la proprietà del complesso. Fu Delia che commissionò la costruzione, o meglio, la trasformazione della tenuta in una villa di campagna, una delle non rare ville di delizia presenti nella zona e rapidamente raggiungibili da Milano.

Vicino alla casa padronale, si costituì subito una piccola comunità autonoma, composta per la maggior parte da contadini e da piccoli artigiani. Da un'altra lapide posta all'interno della piccola chiesa si evince che già nel 1619 la villa rientrava nelle proprietà della famiglia Marino. L'edificio è stato oggetto di molti interventi nel corso degli secoli, ed è stato di proprietà di diverse famiglie milanesi e sestesi: i Visconti, i Serbelloni, gli Stanga e i De Ponti, già proprietari di Villa Visconti d'Aragona. Le famiglie nobili hanno attirato alla Torretta diversi personaggi illustri: uno su tutti, Alessandro Manzoni che dalla vicina Brusuglio si recava in villeggiatura alla Toretta, ospite dei Serbelloni-Busca.

Nel 1903, la proprietà della villa passa alla Breda, che la utilizza come alloggio per i propri dipendenti, adattandone i locali per sfruttare meglio gli spazi e accogliere più famiglie. I terreni circostanti, anch'essi passati alla Breda, ospiteranno invece i grandi stabilimenti dell'azienda fondata da Ernesto Breda. Sebbene i nuovi inquilini, gli operai, avessero in qualche modo mantenuto lo spirito delle prime comunità autonome formatesi accanto all'antica villa padronale, è proprio in questi anni che comincia il lungo periodo di decadenza dell'intero complesso, ormai trasformato per adattarsi alle nuove esigenze urbanistiche e abitative, scandite al ritmo delle prime grandi produzioni industriali: l'antica e nobile Villa Torretta in questi anni viene chiamata Cascina Torretta. I due incendi del 1925 e del 1933 degradano ancora di più il complesso e i residenti cominciano a spostarsi nei condomini della Sesto nuova che andava costruendosi poco lontano. Gli ultimi ad andarsene lo fanno all'inizio degli anni sessanta. Dal 1961, nonostante il vincolo della Soprintendenza, ha inizio un lungo periodo di totale abbandono che dura vent'anni; alla fine degli anni ottanta tutto il complesso viene acquistato dal Consorzio Parco Nord Milano e vengono effettuati degli interventi per salvare e mettere in sicurezza quanto rimaneva del patrimonio artistico della villa. Dal 1997 al 2002 è stato eseguito un dettagliato restauro della villa e dell'adiacente Oratorio di Santa Margherita.

Il complesso, che è di notevoli dimensioni, si trova nel territorio del comune di Sesto San Giovanni, al confine con il quartiere milanese della Bicocca e presenta uno sviluppo planimetrico di circa 5.000 m². È parzialmente nascosto dall'edilizia residenziale recente e si trova tra due trafficate arterie cittadine, ma il giardino della villa è diventato parte integrante del Parco Nord, anche grazie alla passerella ciclo-pedonale che scavalca il viale Fulvio Testi.

La villa si articola in due corti, una nobile e una rustica, entrambe aperte sul giardino antistante. Le due corti definiscono uno schema a forma di "E" (o doppia "U") con due ali di pari lunghezza e una invece più corta. Il corpo principale della villa è sormontato da una torretta quadrata di origine rinascimentale, da cui prende il nome l'intero complesso. Le murature sono in mattoni pieni, mentre le strutture orizzontali sono per lo più in legno. I soffitti a cassettoni sono ancora quelli originali. Un elemento di pregio è il portale barocco, che si affaccia sull’oratorio dedicato a santa Margherita. Nonostante l'attento restauro la villa ha irrimediabilmente perduto alcuni elementi originali, come colonne ed archi.

L'Oratorio di Santa Margherita sorge in un piccolo cortile che ospita anche il portale dell'adiacente Villa Torretta. La facciata della chiesa è barocca, dall'ornamentazione sobria che non turba le linee vagamente rinascimentali. Appena sotto al timpano in cotto è presente lo stemma gentilizio della famiglia Spinola-Anguissola. Le vetrate originali, che raffiguravano Santa Margherita, da qui il nome dell'oratorio, San Domenico e San Francesco, sono andate perdute; restano gli affreschi interni, restaurati alla fine degli anni novanta dopo anni di abbandono. La chiesa venne sconsacrata nel 1925 e trasformata in un fienile. Durante il periodo Breda la chiesa era adibita a dormitorio femminile per le dipendenti.

Gli affreschi sulle pareti rappresentano storie bibliche (Giuditta che taglia la testa a Oloferne e Il passaggio del Mar Rosso), la volta è affrescata con un Eterno in gloria e sulle pareti della cappella sono invece rappresentate alcune storie della Vergine (Annunciazione e Riposo nella Fuga in Egitto), mentre sul soffitto a volta della cappella sono rappresentate una Gloria angelica e degli Angeli musicanti. La Natività sulla pala dell'altare, di cui si trova traccia nelle note relative alle visite pastorali, è andata irrimediabilmente perduta. La paternità degli affreschi è stata a lungo dibattuta: scartata l'ipotesi che potesse trattarsi dell'opera di Sofonisba Anguissola, cugina della proprietaria originaria, per molti anni si è pensato che l'autore potesse essere Camillo Procaccini oppure anche il Morazzone. Le ultime ricerche attribuiscono la paternità degli affreschi a Simone Barabino, a quell'epoca attivo a Milano nella fiorente bottega del Procaccini.



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IL MONUMENTO DEL DEPORTATO A SESTO SAN GIOVANNI



« Il sangue dei deportati dilavò su queste pietre delle cave di Gusen e Mauthausen »

Il monumento fu inaugurato, davanti a un migliaio di cittadini, il pomeriggio del 28 novembre 1998, con una solenne cerimonia alla presenza, tra gli altri, del presidente nazionale dell’A.N.E.D. (Associazione Nazionale ex Deportati Politici) Gianfranco Maris, dell’A.N.E.D. di Sesto San Giovanni, del presidente della Provincia Livio Tamberi, dei sindaci di Sesto San Giovanni Filippo Penati, di Cinisello Balsamo Daniela Gasparini, di Cologno Monzese Giuseppe Milan e di Muggiò Stefano Rijoff.
Durante la cerimonia l’attore Moni Ovadia lesse alcune significative pagine del Diario di Gusen di Aldo Carpi.

Dopo l’inaugurazione, un lungo corteo si recò fino all’Auditorium del Centro Scolastico Parco Nord, dove intervenne il presidente dell’A.N.E.D. Gianfanco Maris. Seguì una cerimonia durante la quale furono consegnate le medaglie d’oro ai deportati o ai loro familiari.

Prima di giungere in cima alla collina si incontra un acciottolato simile alla strada che i deportati percorrevano per arrivare alla scala della morte nel Lager di Mauthausen. In questo punto, a sinistra, è collocata una grossa pietra con incisa la dedica e gli autori del progetto. Poco più avanti inizia una ripida salita con alti gradini neri che evoca scala della morte che portava alla cava di Mauthausen, luogo di morte, di tortura e di scherno verso l’uomo e l’umanità. Questo percorso fu progettato dall’architetto Francesco Borrella, come parte integrante dell’opera (mentre i gradini intermedi furono aggiunti per rendere meno difficoltosa la salita).
Per queste caratteristiche il monumento fu definito itinerante.
Il deportato è rappresentato da una figura stilizzata che affonda i piedi nei sassi e che ha altri massi al posto della testa. Questa figura ha un doppio significato: da un lato, l’espressione massima dello sfruttamento dell’uomo nel Lager, dalla testa ai piedi investito dal lavoro disumano e sovraumano che ne determina un rapido decadimento fisico e poi la morte; dall’altro, i sassi al posto della testa rappresentano il massimo della spersonalizzazione della dignità di un uomo. Il deportato non doveva pensare, ragionare, ma eseguire solo ordini.

Alla base del monumento sono posti due grandi catini contenenti sassi provenienti dalle cave di pietra dei Lager di Gusen e di Mauthausen (portate dall’A.N.E.D. nel corso dei vari pellegrinaggi) e sei teche con le ceneri e le terre dei Lager di Gusen, Mauthausen, Dachau, Auschwitz, Ebensee, Ravensbrück e del Castello di Hartheim, dove furono deportati i lavoratori.
Il borgomastro del paese austriaco di Langenstein (Gusen), ad aprile del 1999, in occasione del gemellaggio tra Langenstein e Sesto San Giovanni, venne a deporre una corona alla base del monumento.

Intorno al monumento sono collocati dei masselli in porfido, disposti a semicerchio, su cui erano stati incisi inizialmente quattrocentosessanta nomi di deportati, sia deceduti che sopravvissuti, suddivisi per fabbrica.
Successivamente alla costruzione del monumento, a seguito delle ricerche condotte da Giuseppe Valota - ora presidente dell’A.N.E.D. di Sesto San Giovanni - vennero alla luce altri nominativi, principalmente di lavoratori della Pirelli. Pertanto, nel 2004 furono aggiunti nuovi masselli per un totale di trentuno masselli con cinquecentocinquantanove nominativi incisi.

Da alcuni documenti depositati presso il Comune di Sesto San Giovanni è possibile far risalire l'idea originaria di questo monumento al 1978, quando l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini fece dono a Sesto, città Medaglia d'oro al valor militare per la Resistenza, del progetto di un monumento, allora denominato allo schiavo di tutti i tempi, dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso. Ma il progetto, prima di essere realizzato, incontrò diversi problemi legati alla logistica e al reperimento dei materiali pensati dall'autore: per la struttura principale aveva previsto il Cor-ten, un tipo di acciaio molto raro e costoso, così come altri materiali a cui il progettista non voleva rinunciare.

Nel 1994 il progetto venne rispolverato dal comune di Sesto e venne contattato Belgiojoso che garantì una disponibilità pressoché totale. Il designer Giovanni Sacchi realizzò e donò alla città un modello del monumento, in legno, scala 1:10. Giuseppe Valota dell’ANED iniziò un confronto piuttosto serrato col Belgiojoso per adattare il progetto del monumento alla realtà della deportazione sestese. L’industriale Steno Marcegaglia, insediatosi con le sue aziende nell’area ex-Breda, donò il grande manufatto in Cor-ten alla comunità. I Melzi, proprietari dell’omonima cava, consigliarono una pietra d’Istria, simile a quella prevista dal progetto originario, ma a buon mercato. Collaborarono al progetto anche molte altre nuove aziende delle ex aree industriali di Sesto.

Per la posa del monumento vennero proposti tre diversi punti all'interno del Parco Nord Milano, nel territorio di Sesto San Giovanni: il rondò alberato in cui convergono tutti i percorsi del parco, la piazzola a prato che domina il campo volo e il boschetto che guarda la Breda. La scelta venne effettuata dall'allora novantenne architetto Belgiojoso, che optò per la terza soluzione. I motivi per questa scelta furono la visibilità del monumento dall'area della Breda e dal viale Fulvio Testi. Il monumento fu inaugurato il 28 novembre 1998.




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sabato 2 maggio 2015

LE CITTA' DEL LAGO MAGGIORE : GEMONIO

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Gemonio è un comune della provincia noto per la residenza del Senatur Umberto Bossi.

Paese di origine antica, trova il suo più remoto riscontro documentario in un atto dell’anno 807, ove è citato il conte Alcherio – alemanno del lago di Costanza ed alto dignitario della corte carolingia – che acquista molti beni posti in “Lamundo” o “Gemunmo” (l’attuale Gemonio) e nella zona circostante da Dracone (longobardo che lascia così il posto ai nuovi dominatori).

Pure di vetuste origini è la Chiesa romanica di San Pietro, citata in atti a partire dal 1100 come dipendente dalla chiesa agostiniana di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia: il diploma di Liuprando del 712, ove essa viene citata, si è rivelato un falso redatto appunto nel 1100. Inizialmente parrocchiale, nei secoli successivi perde questa prerogativa che va a favore della chiesa di San Rocco (di impianto cinquecentesco), posta nel centro storico del paese, e quindi più agevole per la celebrazione delle funzioni.

Di antica e consolidata tradizione è anche l’autonomia del paese, basata sull’istituto della vicinia, basato sull’assemblea dei Capi di Famiglia che si riuniva sulla piazza davanti alla chiesa di San Rocco al suono della campana. Se ne trova traccia già in documenti del 1630, da cui si ricava pure la presenza di un console, un sindaco ed un cancelliere.

Solo in periodo napoleonico Gemonio fu unita con Caravate, formando il Comune “Gemonio ed uniti”. Tale unione, riproposta subito dopo l’unità d’Italia, fu avversata aspramente e non fu più tenuta in considerazione nemmeno nel 1927, quando la maggior parte dei comuni dell’alto Varesotto fu riformata e si creò la provincia di Varese.

La toponomastica indica condizioni permanenti o mutate, sempre utili alla conoscenza del modo di abitare e produrre dell’uomo.
Ricordiamo: il Bosco del Comune (una proprietà pubblica venduta nel XIX secolo per finanziare la costruzione dell’acquedotto), la Gemonasca (toponimo noto dal 1200 ad indicare la “res gemoniasca” cioè il complesso dei vigani evidentemente concentrati in quella parte di territorio, verso Brenta).
Gli incolti sono denotati da Baraggia (cascina situata verso la zona paludosa di Besozzo e anche zona verso Caravate – Cittiglio), Brughiera, Brughetto, Merisc.
I pascoli o prati da fieno sono: Prè, Pradasc, Prabaiard, Provenzan, Provazz, Prato Occhio.
I campi coltivati: Campagna di Sopra e di Sotto, Campovalle, Campolongo, i vari Chioso (campo recintato e perciò sottratto al pascolo vago del bestiame anche nel periodo in cui era permesso su tutto il territorio comunale, dopo il raccolto).
Luoghi strappati all’incolto: i molti Ronco, Roncaccio, Ronchetto, Runch de Maza, Ronco Vecchio, ecc., ma anche Tagliata e Novellina (quest’ultima indicante una piantagione di castagni da innesto).
A boschi di varia specie rimandano Alberè (pioppeto), Pobiette (pioppi lungo un riale), Onizzo (ontani), mentre i Lueditt ricordano “luoghi da lupo”.
La vitale presenza di acqua è indicata da Fontanalba, Fontanelle, Bozza, Navèi, Pozzo Lazzaro, Riana, Fontanazze di Canale (laddove Canale sembra riferito alla derivazione del torrente Viganella in corrispondenza dell’ex manifattura Roncari), Pessina (se non derivante da nome di famiglia).
Da nomi di famiglia derivano: il Ronco dei Bianchi, il Cantun Frepet (Filippetti), la cascina Martitt (Martinoia), il Ronco di Tognaso, il Ronco dei Tapiroli, i Pirinoli oltre la Roggia Viganella (già sede dell’omonima cartiera).
Anche la devozione religiosa ha lasciato tracce diffuse, infatti si trovano: Croce di San Pietro, Crocetta, Cappalletta di Fontana e di Primarona, Contrada della Madonnina,Contrada della Gesiola. Forse anche la strada del Luguzzone (1680) fa riferimento al santo protettore dei pastori, San Lucio, il cui nome fu deformato così.
Il luogo abitato ha dato a sua volta origine a nomi caratteristici: Sottocasa, Contrada degli Omenoni (imputabile alla presenza di affreschi con grandi figure in una casa vicina), Contrada della Volta (perché sottopassante una casa), Contrada del Torchio, Contrada del Torchio dell’olio (poi via Campidoglio).

Il Museo Civico Floriano Bodini, nato dalla volontà della Amministrazione Comunale in collaborazione con la Provincia di Varese e della Comunità Montana della Valcuvia, con il finanziamento della Regione Lombardia e il contributo della Fondazione Cariplo, si fonda sulla cospicua donazione di opere d'arte conferita dal Maestro Floriano Bodini. Si trova nel centro storico di Gemonio, in una tipica corte settecentesca restaurata con il duplice intento di preservare le strutture originarie e restituire una moderna ed efficace immagine espositiva. Il Museo offre un ampio panorama di opere scultoree da Leonardo Bistolfi a Medardo Rosso, da Arturo Martini a Giacomo Manzù, da Giuseppe Grandi a Lucio Fontana, senza scordare Francesco Messina maestro di Bodini negli anni di formazione all'Accademia di Brera. Tra i quadri sono da menzionare quegli artisti legati al Realismo Esistenziale come nel caso di Giuseppe Banchieri, Mino Ceretti, Gianfranco Ferroni, Giuseppe Guerreschi, Bepi Romagnoni e Tino Vaglieri. Nell'ambito della grafica, infine, vi sono opere di Fernand Léger, Henry Moore, Georges Rouault e Graham Sutherland. Il Museo è dotato di un'ampia e ricca biblioteca che conta più di 5.000 titoli, con una particolare attenzione agli scultori ed agli autori del Realismo Esistenziale. Il "corpus"delle opere di Floriano Bodini, distribuito lungo tutta la planimetria del Museo, si costituisce di gessi, bronzi, marmi e medaglie. Il museo è sede di mostre di grande interesse artistico e culturale:

Realismo esistenziale 1954-1964 - dal 3 luglio al 4 dicembre 2005
Lucio Fontana - Attraversando la materia - dal 17 giugno al 29 ottobre 2006
Jean Rustin - Soglie di un orizzonte - dal 14 aprile al 10 giugno 2007
Adolfo Wildt - Anima Mundi - dal 14 luglio al 28 ottobre 2007
Marino Marini - Gli Archetipi - dal 1º giugno al 31 agosto 2008
Anselmo Bucci - L'arte della Cronca. Dal Giro d'Italia a Tour de France - dal 14 settembre al 30 novembre 2008
Eugenio Fasana - Mitografia di un alpinista - dal 21 settembre al 23 dicembre 2014
Persone legate a Gemonio:
Innocente Salvini, pittore
Eugenio Fasana, alpinista, guida alpina, scrittore, pittore e giornalista
Floriano Bodini, scultore
Umberto Bossi, politico
Renato Pozzetto, comico
Matteo Contini, calciatore
Cochi Ponzoni, attore
Said Ahmed Said, calciatore.



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venerdì 6 marzo 2015

PARCO DELL'OGLIO

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Il Parco dell' Oglio si divide in due parti : Parco nord e Parco sud.

Il Parco Oglio Nord è un parco fluviale della regione Lombardia istituito il 16 aprile 1988 con L.R. n° 18, che si sviluppa lungo l'asta del fiume Oglio nel tratto compreso tra l'uscita dal Lago d'Iseo ed i comuni di Seniga, sponda sinistra, e Gabbioneta-Binanuova, sponda destra. Il tratto tra Seniga-Gabbioneta Binanuova e la foce è protetto dal Parco Oglio Sud.

Il Parco Oglio Sud è un parco fluviale che si sviluppa lungo l'asta del fiume Oglio nel tratto che fa da confine tra le province di Cremona e Mantova. Il tratto planiziale precedente, dall'uscita dal Lago d'Iseo è, invece, protetto dal Parco Oglio Nord.

Il Parco Oglio Sud è parco regionale della regione Lombardia dal 1988 ed occupa una superficie di 12.800 ettari. La sede amministrativa è a Calvatone.

Nel parco sono presenti numerose specie di uccelli, tipici della Pianura Padana:

Airone bianco maggiore
Airone cenerino
Albanella minore
Assiolo
Basettino
Beccaccia
Bigia padovana
Cappellaccia
Forapaglie
Forapaglie castagnolo
Garzetta
Lodolaio
Moretta tabaccata


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