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sabato 7 maggio 2016

SUPERGA

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La tragedia di Superga fu un incidente aereo avvenuto il 4 maggio 1949. Alle ore 17:03, il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI, siglato I-ELCE, con a bordo l'intera squadra del Grande Torino, si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica di Superga, che sorge sulla collina torinese; le vittime furono 31. Nel 2015, in ricordo della tragedia, la FIFA ha proclamato il 4 maggio come "giornata mondiale del giuoco del calcio".

L'aereo stava riportando a casa la squadra da Lisbona, dove aveva disputato un incontro amichevole con il Benfica, organizzata per aiutare, con l'incasso, il capitano della squadra lusitana Francisco Ferreira, in difficoltà economiche. Nell'incidente perse la vita l'intera squadra del Torino, vincitrice di cinque scudetti consecutivi dalla stagione 1942-1943 alla stagione 1948-1949 e che costituiva la quasi totalità della Nazionale italiana. Nell'incidente perirono anche i dirigenti della squadra e gli accompagnatori, l'equipaggio e tre noti giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport); Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio Tosatti) e Luigi Cavallero (La Stampa). Il compito di identificare le salme fu affidato all'ex Commissario Tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo, che aveva trapiantato quasi tutto il Torino in Nazionale.

Lo spezzino Sauro Tomà, infortunato al menisco, non prese parte alla trasferta portoghese; non presero quel volo neanche il portiere di riserva Renato Gandolfi (gli fu preferito il terzo portiere Dino Ballarin, fratello del terzino Aldo, che intercesse per lui), il radiocronista Nicolò Carosio (bloccato dalla cresima del figlio), Luigi Giuliano (capitano della Primavera del Toro e da poco tempo in pianta stabile in prima squadra, fu bloccato da un'influenza) e l'ex C.T. della Nazionale nonché giornalista Vittorio Pozzo (il Torino preferì assegnare il posto a Cavallero). Invitato ad aggregarsi alla squadra per l'amichevole da Valentino Mazzola. Tommaso Maestrelli, pur giocando nella Roma, non prese il volo poiché non riuscì a rinnovare il passaporto presso la questura. Anche il presidente del Torino, Ferruccio Novo, non prese parte al viaggio perché malato d'influenza.

Il Torino fu proclamato vincitore del campionato a tavolino e gli avversari di turno, così come lo stesso Torino, schierarono le formazioni giovanili nelle restanti quattro partite. Il giorno dei funerali quasi un milione di persone scesero in piazza a Torino per dare l'ultimo saluto ai giocatori. Lo shock fu tale che l'anno seguente la nazionale si recò ai Mondiali in Brasile viaggiando in nave.

Il trimotore Fiat G.212, con marche I-ELCE, delle Avio Linee Italiane, decolla dall'aeroporto di Lisbona alle 9:40 di mercoledì 4 maggio 1949. Comandante del velivolo è il tenente colonnello Meroni. Il volo atterra alle 13:00 all'aeroporto di Barcellona. Durante lo scalo, mentre l'aereo viene rifornito di carburante, la squadra del Torino incontra a pranzo quella del Milan che è diretta a Madrid.

Alle 14:50 l'I-ELCE decolla con destinazione l'aeroporto di Torino-Aeritalia. La rotta seguita fa sorvolare al trimotore Cap de Creus, Tolone, Nizza, Albenga, Savona. All'altezza di Savona l'aereo vira verso nord, in direzione del capoluogo subalpino, dove si prevede di arrivare in una trentina di minuti. Il tempo su Torino è pessimo. Alle 16:55 l'aeroporto di Aeritalia comunica ai piloti la situazione meteo: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità orizzontale scarsissima (40 metri).

La torre chiede anche un riporto di posizione. Dopo qualche minuto di silenzio alle 16:59 arriva la risposta: "Quota 2.000 metri. QDM su Pino, poi tagliamo su Superga". A Pino Torinese, che si trova tra Chieri e Baldissero Torinese, a sud est di Torino, c'è una stazione radio VDF (VHF direction finder), per fornire un QDM (Rotta magnetica da assumere per dirigersi in avvicinamento a una radioassistenza) su richiesta.

Giunti sulla perpendicolare di Pino, mettendo 290 gradi di prua ci si trova allineati con la pista dell'Aeritalia, a circa 9 chilometri di distanza, a 305 metri di altitudine. Poco più a nord di Pino Torinese c'è il colle di Superga con l'omonima basilica, in posizione dominante a 669 metri di altitudine. Si ipotizzò che - a causa del forte vento al traverso sinistro - l'aereo nel corso della virata potesse aver subìto una deriva verso dritta, che lo spostò dall'asse di discesa e lo allineò, invece che con la pista, con la collina di Superga; a seguito di recenti indagini è emersa la possibilità che l'altimetro si fosse bloccato sui 2000 metri e quindi inducesse i piloti a credere di essere a tale quota, mentre erano a soli 600 metri dal suolo.

Alle ore 17:03 l'aereo con il Grande Torino a bordo, eseguita la virata verso sinistra, messo in volo orizzontale e allineato per prepararsi all'atterraggio, si va invece a schiantare contro il terrapieno posteriore della basilica di Superga. Il pilota, che credeva di avere la collina di Superga alla sua destra, se la vede invece sbucare davanti all'improvviso (velocità 180 km/h, visibilità 40 metri) e non ha il tempo per fare nulla: non si ravvisano infatti, dalla disposizione dei rottami, tentativi di riattaccata o virata. L'unica parte del velivolo rimasta parzialmente intatta è l'impennaggio.

Alle 17:05 Aeritalia Torre chiama I-ELCE, non ricevendo alcuna risposta. Delle 31 persone a bordo non si salvò nessuno.



Attualmente i resti dell'aereo, tra cui un'elica, uno pneumatico e pezzi sparsi della fusoliera, ma anche le valigie di Mazzola, Maroso ed Erbstein, sono conservate in un museo di Grugliasco alle porte di Torino. Il Museo del Grande Torino e della leggenda granata, ospitato nella prestigiosa Villa Claretta Assandri di Grugliasco, è stato inaugurato il 4 maggio 2008, anniversario della tragedia. Attualmente, 8 dei 18 calciatori (i 2 allenatori e il giornalista Renato Casalbore), che perirono nell'incidente sono sepolti presso il cimitero monumentale di Torino; Romeo Menti è sepolto nel cimitero monumentale dell'Antella, nei pressi di Firenze.

A Montecitorio, la notizia della sciagura arriva mentre è in atto una discussione animata. Immediatamente i lavori vengono sospesi in segno di lutto. Il presidente del Consiglio De Gasperi è in Sardegna. Al posto suo, per Torino parte il sottosegretario Andreotti. Intanto, la strada per Superga è ormai preda di un gigantesco ingorgo: centinaia di automobili, migliaia di ciclisti, gente che a piedi sfida la pioggia. Tutti vogliono constatare di persona, ma tutti, compresi i familiari delle vittime, vengono bloccati ai cancelli della Basilica.I vigili del fuoco hanno ormai spento gli ultimi, flebili focolai. E' arrivato anche Vittorio Pozzo. Antica anima granata, conosce e ama quella squadra che anche lui ha contribuito a formare e che ha trasferito in azzurro quasi in blocco nell'ultima parte della sua epopea azzurra. Dal Torino il vecchio maestro si è distaccato a causa di un dissidio personale con Novo, proprio l'uomo che lo ha sostituito alla guida della Nazionale. Ma i ragazzi no, non c'entrano, per lui sono come figli.
Pozzo avanza con passo eretto fra i rottami, incrociando gente che corre, che grida, che piange.  «Su un lato del terrazzo - ricorderà dieci anni dopo - spazzando i rottami, qualcuno aveva già disposto quattro o cinque cadaveri. Erano i corpi, non martoriati, di Loik, di Ballarin, di Castigliano... Li riconobbi, e li nominai, sentendo uno dei presenti che aveva dato un'indicazione errata. Li conoscevo, oltre che dal viso, dagli abiti, dalle cravatte, da tutto. Fu allora che mi accorsi di un maresciallo dei carabinieri, che mi seguiva e prendeva nota di quanto dicevo. "Nessuno meglio di lei...", sussurrò, mettendosi sull'attenti. Fu allora, mentre rovistavo fra i resti di un po' di tutto che giacevano al suolo, che un uomo più alto di me ed avvolto in un impermeabile, mi mise una mano sulla spalla e mi disse in inglese: 'Your boys", i suoi ragazzi. Era John Hansen della Juventus, accorso fin lassù. Non so se piangessi, in quel momento. Dopo sì». A poche ore dall'incidente, l'Italia è già in lutto: il Grande Torino era da tempo al di sopra del tifo di parte e delle beghe di campanile. Era l'orgoglio di tutti; un simbolo della rinascita italiana dopo le piaghe di guerra; un inno alla gioventù, alla forza, alla lealtà. In un attimo era finito tutto, per un guasto, un errore o chissà che altro. L'aereo sembrava ora un'invenzione perversa: Carapellese e Lorenzi, compagni in azzurro dei granata, non vorranno più salirci, per tutta la vita. Boniperti ricorderà le parole che un giorno gli disse Loik, durante una trasferta della Nazionale: «Questa - e si riferiva all'aereo - sarà la nostra bara».


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giovedì 4 giugno 2015

IL MONUMENTO DEL DEPORTATO A SESTO SAN GIOVANNI



« Il sangue dei deportati dilavò su queste pietre delle cave di Gusen e Mauthausen »

Il monumento fu inaugurato, davanti a un migliaio di cittadini, il pomeriggio del 28 novembre 1998, con una solenne cerimonia alla presenza, tra gli altri, del presidente nazionale dell’A.N.E.D. (Associazione Nazionale ex Deportati Politici) Gianfranco Maris, dell’A.N.E.D. di Sesto San Giovanni, del presidente della Provincia Livio Tamberi, dei sindaci di Sesto San Giovanni Filippo Penati, di Cinisello Balsamo Daniela Gasparini, di Cologno Monzese Giuseppe Milan e di Muggiò Stefano Rijoff.
Durante la cerimonia l’attore Moni Ovadia lesse alcune significative pagine del Diario di Gusen di Aldo Carpi.

Dopo l’inaugurazione, un lungo corteo si recò fino all’Auditorium del Centro Scolastico Parco Nord, dove intervenne il presidente dell’A.N.E.D. Gianfanco Maris. Seguì una cerimonia durante la quale furono consegnate le medaglie d’oro ai deportati o ai loro familiari.

Prima di giungere in cima alla collina si incontra un acciottolato simile alla strada che i deportati percorrevano per arrivare alla scala della morte nel Lager di Mauthausen. In questo punto, a sinistra, è collocata una grossa pietra con incisa la dedica e gli autori del progetto. Poco più avanti inizia una ripida salita con alti gradini neri che evoca scala della morte che portava alla cava di Mauthausen, luogo di morte, di tortura e di scherno verso l’uomo e l’umanità. Questo percorso fu progettato dall’architetto Francesco Borrella, come parte integrante dell’opera (mentre i gradini intermedi furono aggiunti per rendere meno difficoltosa la salita).
Per queste caratteristiche il monumento fu definito itinerante.
Il deportato è rappresentato da una figura stilizzata che affonda i piedi nei sassi e che ha altri massi al posto della testa. Questa figura ha un doppio significato: da un lato, l’espressione massima dello sfruttamento dell’uomo nel Lager, dalla testa ai piedi investito dal lavoro disumano e sovraumano che ne determina un rapido decadimento fisico e poi la morte; dall’altro, i sassi al posto della testa rappresentano il massimo della spersonalizzazione della dignità di un uomo. Il deportato non doveva pensare, ragionare, ma eseguire solo ordini.

Alla base del monumento sono posti due grandi catini contenenti sassi provenienti dalle cave di pietra dei Lager di Gusen e di Mauthausen (portate dall’A.N.E.D. nel corso dei vari pellegrinaggi) e sei teche con le ceneri e le terre dei Lager di Gusen, Mauthausen, Dachau, Auschwitz, Ebensee, Ravensbrück e del Castello di Hartheim, dove furono deportati i lavoratori.
Il borgomastro del paese austriaco di Langenstein (Gusen), ad aprile del 1999, in occasione del gemellaggio tra Langenstein e Sesto San Giovanni, venne a deporre una corona alla base del monumento.

Intorno al monumento sono collocati dei masselli in porfido, disposti a semicerchio, su cui erano stati incisi inizialmente quattrocentosessanta nomi di deportati, sia deceduti che sopravvissuti, suddivisi per fabbrica.
Successivamente alla costruzione del monumento, a seguito delle ricerche condotte da Giuseppe Valota - ora presidente dell’A.N.E.D. di Sesto San Giovanni - vennero alla luce altri nominativi, principalmente di lavoratori della Pirelli. Pertanto, nel 2004 furono aggiunti nuovi masselli per un totale di trentuno masselli con cinquecentocinquantanove nominativi incisi.

Da alcuni documenti depositati presso il Comune di Sesto San Giovanni è possibile far risalire l'idea originaria di questo monumento al 1978, quando l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini fece dono a Sesto, città Medaglia d'oro al valor militare per la Resistenza, del progetto di un monumento, allora denominato allo schiavo di tutti i tempi, dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso. Ma il progetto, prima di essere realizzato, incontrò diversi problemi legati alla logistica e al reperimento dei materiali pensati dall'autore: per la struttura principale aveva previsto il Cor-ten, un tipo di acciaio molto raro e costoso, così come altri materiali a cui il progettista non voleva rinunciare.

Nel 1994 il progetto venne rispolverato dal comune di Sesto e venne contattato Belgiojoso che garantì una disponibilità pressoché totale. Il designer Giovanni Sacchi realizzò e donò alla città un modello del monumento, in legno, scala 1:10. Giuseppe Valota dell’ANED iniziò un confronto piuttosto serrato col Belgiojoso per adattare il progetto del monumento alla realtà della deportazione sestese. L’industriale Steno Marcegaglia, insediatosi con le sue aziende nell’area ex-Breda, donò il grande manufatto in Cor-ten alla comunità. I Melzi, proprietari dell’omonima cava, consigliarono una pietra d’Istria, simile a quella prevista dal progetto originario, ma a buon mercato. Collaborarono al progetto anche molte altre nuove aziende delle ex aree industriali di Sesto.

Per la posa del monumento vennero proposti tre diversi punti all'interno del Parco Nord Milano, nel territorio di Sesto San Giovanni: il rondò alberato in cui convergono tutti i percorsi del parco, la piazzola a prato che domina il campo volo e il boschetto che guarda la Breda. La scelta venne effettuata dall'allora novantenne architetto Belgiojoso, che optò per la terza soluzione. I motivi per questa scelta furono la visibilità del monumento dall'area della Breda e dal viale Fulvio Testi. Il monumento fu inaugurato il 28 novembre 1998.




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sabato 9 maggio 2015

LE CITTA' DEL LAGO D' ISEO : ISEO

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Iseo  è un comune italiano della provincia di Brescia in Lombardia.

Importante centro turistico sulla sponda sud-orientale del lago d'Iseo, si trova una ventina di chilometri a nord del capoluogo provinciale Brescia. Il suo territorio presenta le caratteristiche di un ambiente a cavallo fra il lago e la collina, fra l'acqua e la terra, particolarmente evidenti nell'habitat della Riserva naturale Torbiere del Sebino. Rientra inoltre nella zona vitivinicola della Franciacorta.

Il territorio comunale è variegato essendo formato da zona montana, collinare, lacustre. Le frazioni sono: Bersaglio, Bosine, Ciochet, Clusane, Covelo, Cremignane, Le Valzelle, Pilzone, Zuccone, Passo dei Tre Termini.

Iseo è tra i paesi rivieraschi del lago quello il cui centro storico ha meglio conservato l’organizzazione urbana medievale che, solo parzialmente modificata nei secoli XV-XVIII, è pervenuta quasi indenne fino all’ultimo scorcio dell’Ottocento. Le origini del Paese si perdono nell’antichità: le sue sponde furono abitate fin dalla preistoria come è stato documentato dal ritrovamento archeologico di strutture dell’età del Bronzo (XIII secolo a.C.) avvenuto negli anni 1999-2000 lungo la via per Rovato, il nome sembra però derivare dal culto della dea Iside che rimanda all’epoca romana; le condizioni naturali, estremamente favorevoli, rendono senz’altro probabile l’esistenza di  un aggregato di case e terreni significativo come è attestato dal rinvenimento di pavimentazioni di una domus o villa, nella parte alta del paese, risalenti al I secolo d.C. La fortuna di Iseo nasce in epoca altomedievale quando la presenza della pieve, del porto-mercato e del castello promuovono l’abitato come centro più importante dell’area sebina. La prima citazione della presenza di un castello in Iseo è contenuta nel Polittico di Santa Giulia datato alla fine del IX inizi X secolo: infatti l’elenco delle proprietà del potente monastero bresciano, fondato da Desiderio re dei Longobardi, riporta la presenza di una corte con una vigna nel castello. E’ però a partire dai primi secoli del basso medioevo che il castello, situato su un’emergenza rocciosa al limite meridionale del centro storico, andò a costruire l’apice e il fulcro delle difese del paese medievale. Iseo fu circondato da diverse cerchie di mura: la più antica cingeva probabilmente solo la collina sulla quale sorgeva il castello e la chiesa di Santo Stefano (oggi Madonna della Neve), successivamente furono realizzati altri due ampliamenti prima di giungere all’inizio del XIV secolo quando fu costruita la cinta muraria più ampia che andava a comprendere anche l’area della pieve, un tempo esterna al centro abitato. Al paese si accedeva attraverso tre porte: le porte del Campo sulla via per Rovato, la porta delle Mirolte, rivolta verso il monte, e la porta del Porciolo sulla via per la riviera sebina e della Valle Camonica. Tra XII e XIV secolo il paese fu coinvolto nelle guerre con il Comune di Brescia e nelle dispute fra impero e papato vivendo momenti drammatici come nel caso dell’assedio e del saccheggio avvenuto il 28 Luglio 1161 da parte dell’esercito di Federico Barbarossa. Iseo conservò comunque un livello di ricchezza elevato tale da consentire la realizzazione di edifici religiosi di grande qualità (pieve di Sant’Andrea e chiesa di San Silvestro) e la diffusione di un’edilizia civile in pietra che ancora oggi si può riscontrare nelle contrade del Sombrico e del Campo. Nel contempo emersero vari esponenti della nobiltà locale tra i quali la famiglia rappresentativa e potente fu quella ghibellina dei Da Iseo/Oldofredi che, alleata con la famiglia Federici della Valle Camonica, mantenne per vari secoli un controllo politico ed economico sia del paese che di larga parte del territorio sebino e franciacortino. Nel 1454 Venezia estese in modo stabile i suoi possedimenti alle provincie bresciana e bergamasca, dominio che manterrà per circa tre secoli e mezzo. Il paese pur mantenendosi dentro le mura trecentesche rinnovò i propri edifici, soprattutto nella parte centrale dell’odierna piazza Giuseppe Garibaldi, e lentamente conquistò terreno edificabile sottraendolo al lago. Gli anni tra il 1820 ed il 1860 furono caratterizzati da una forte espansione economica: filande, opifici e concerie erano localizzati sulla sponda del lago per usufruire dell’acqua necessaria alle lavorazioni manifatturiere e per la facilità di trasporto delle merci attraverso chiatte. Altra fonte di ricchezza per Iseo furono il porto, che venne potenziato, ed il mercato che si svolgeva due volte alla settimana. Nel 1840 vennero demolite le porte medievali e, negli stessi anni, l’architetto Rodolfo Vantini realizzo il nuovo palazzo dei Grani (ora Municipio) e ristrutturò completamente l’interno della pieve di Sant’Andrea. A fine Ottocento fu costruita la linea ferroviaria Brescia-Iseo che venne collegata con il porto (l’attuale viale della Repubblica) attraverso la demolizione delle case medievali della contrada del Campo. Dal secondo dopoguerra Iseo riprese la centralità economica nell’ambito del Basso Sebino soprattutto grazie alla riscoperta della sua vocazione turistica.
 
Clusane, il cui toponimo potrebbe derivare da Clodius o da Chiusa, per la sua favorevole posizione può definirsi uno dei più antichi insediamenti a lago, con tracce di attività palafitticole, con la sicura presenza dei Romani, dei Longobardi e dei monaci di Cluny. L’ambiente naturale, dominato da paludi e canneti, costituiva un ecosistema ricchissimo di vita che permetteva alle comunità primitive, insediate ai bordi del lago fin dal paleolitico, di avere a disposizione una diversificata offerta alimentare (caccia, pesca, piccoli orti), come dimostrano le punte di freccia e i tanti reparti archeologici trovati in questa zona. Particolarmente importante fu il ritrovamento di una lapide con dedica a Giove, ora conservata al museo Maffeiano di Verona. Resti di una villa romana sono ancora visibili sul lungolago dove, sul parametro in pietra, sono riconoscibili una nicchia a pianta  semicircolare affiancata su entrambi i lati da una serie di archetti ciechi. Il vasellame rinvenuto durante scavi archeologici di emergenza hanno consentito di datare l’edificio al I-II secolo d.C.. In età longobarda, in questo tratto di lago, vi erano le riserve di pesca del Monastero di Santa Giulia di Brescia. Nel 1093 alcuni nobili di stirpe longobarda donarono al Monastero Benedettino di Cluny la cappella dedicata ai Santi Gervasio e Protasio esistente nel castello di “Clixano”. I monaci francesi si insediarono nell’antico castrum sul promontorio, dove ora si trova la “chiesa vecchia” e lì fondarono un priorato. Furono probabilmente i monaci a dare impulso alla bonifica dei terreni paludosi di questa zona e a raccogliere contadini e pescatori intorno al piccolo monastero: da quelle comunità si svilupparono poi nei secoli successivi la Vicinia ed il Comune. Il paese dunque si costituì attorno all’antico castrum che racchiudeva, oltre alla chiesa, il primo nucleo di case. Nel XIV secolo, sulla propaggine occidentale del dosso ed all’esterno del borgo fortificato, fu edificato un castello residenziale (detto del Carmagnola) mentre fuori dalle mura, a diretto contatto con il lago, vi era il piccolo porto con affacciate le abitazioni dei pescatori. Il catastico di Giovanni da Lezze (1610), segnala a Clusane il castello circondatoda mura e ponte levatoio, con bellissime case di proprietà dei nobili bresciani, Sala, Maggi, Coradelli, e due mulini in prossimità del lago. A quell’epoca e fino alla fine dell’Ottocento gli abitanti erano quasi tutti pescatori. Nel 1906 venne aperto sulla riva del lago l’opificio della filanda Pirola, che occupava quasi tutte le donne del paese. Il centro di Clusane fu Comune autonomo fino al 1927, mentre oggi è frazione di Iseo. La fisionomia del centro abitato cambiò radicalmente nei primi anni del Novecento  in seguito alla costruzione della strada principale Iseo-Paratico e l’affermarsi di nuove forme economiche che trasformarono i pescatori in ristoratori. Il cambiamento fu dovuto proprio alla capacità di cucinare il pesce di lago, in particolare la tinca. Una forte espansione urbanistica si sviluppò sia lungo la strada provinciale, sia nella parte verso la collina, dove vennero costruiti gran parte dei ristoranti. A lago rimasero evidenti i segni della lunga, importante e particolare storia legata alla pesca fatta soprattutto in acque basse, con antichi strumenti come la fiocina, l’arma più antica con cui si praticava l’attività venatoria sulla terra ferma e qui impiegata, forse per la prima volta nell’acqua: il “furù”. Altri interessanti sistemi di pesca si erano sviluppati in questo tratto di lago, come “i légner”, “le fascine”, “le pescaie”, il “rét”, oggi in disuso. A Clusane si possono ancora vedere utilizzate vari tipi di nasse come i caratteristici berta velli, tamburelli e la “parola”, una delle tre grandi monumentali pentole dove si tingevano con le bucce di castagne le reti. La zona lacustre di fronte al paese è denominata “Foppa di Clusane” e costituisce il regno della tinca, pesce di acque basse. Quando i pescatori cominciarono a cucinare, nelle prime osterie del paese la tinca al forno, ripiena di pane e servita con la polenta, fu subito un successo turistico e Clusane diventò “il paese della tinca al forno”.

Cremignane è situata su una collina distante circa 3 Km in direzione Sud-Ovest. Tale collina è un raro esempio di un antichissimo conglomerato d’origine fluviale solcato e lisciato dal ghiacciaio dell’era quaternaria. Il nome Cremignane deriva forse da Grémegn o Greben, cioè luogo molto umido o terra arida e sterile. Il toponimo lascia intuire come la zona dovesse essere boscosa e acquitrinosa, tanto da essere considerata nel Medioevo una riserva di caccia e di pesca. Nell’alto Medioevo era abitato da una piccola comunità e un documento del 790 ricorda il nome di un monaco ribelle, Ardosino, specificandone la presenza da Cremignane. Nel secolo XI i cluniacensi stabilirono qui un priorato che era sotto le dirette dipendenze del papato. Dal punto di vista ecclesiastico però dipendeva ancora dalla Pieve di Iseo, la quale vi inviava sacerdoti officianti. Con il declino del priorato, nel XII secolo, i beni della chiesa passarono alla Pieve di Iseo e poi inglobati nella proprietà della famiglia Coradelli che edificò accanto alla chiesa un castello, del quale non rimane alcuna traccia. La chiesa è anche detta San Pietro della Lama per la vicinanza delle torbiere e degli acquitrini che lambivano il paese. Inizialmente l’edificio religioso consisteva in una piccola cappella edificata, secondo padre Fulgenzio Rinaldi, autore nel 1685 dei “momenti Historiali dell’antico e nobile castello d’Iseo”, negli stessi anni della costruzione di Sant’Andrea di Iseo (inizi VI secolo). Un edificio di culto di dimensioni probabilmente più consistenti venne edificato   fra il XV e il XVI secolo. Fra il 1584 e il 1627 la chiesa assunse la funzione di cimitero per gli abitanti del borgo. L’attuale chiesa venne riedificata, come ricorda una lapide, nel 1750 su un’area della Pieve di Iseo. L’unico altare conserva una pala, datata 1729 e firmata da Antonio Paglia, raffigurante una “Madonna col bambino e San Pietro”. La chiesa venne adornata nel XIX secolo con stucchi e affreschi di Teosa  (l’”Assunta” della cupola del presbiterio) e Santo Cattaneo (“Santi Andrea Apostolo, Giovanni Battista, Francesco d’Assisi, Giacomo Apostolo” nei peducci della suddetta volta). Fu ampliata agli inizi del XX secolo e la decorazione venne continuata dal bergamasco Pietro Servalli allievo del Loverini con l’affresco “La pesca miracolosa” nella cupola della navata. La decorazione è stata completata nel 1945 da Pietro Muzio Compagnoni e figlio. La consacrazione dell’edificio è avvenuta nel 1963.

Pilzone si trova a Sud-Ovest del torrente Vaglio ed è sovrastato a tramontana dal monte Punta dell’Orto. E’ frazione di Iseo e parrocchia autonoma ma originariamente apparteneva al pago e alla Pieve di Iseo. Già Comune nel 1280, nel XIV secolo venne investito di proprietà vescovili. Forse era una delle corti della famiglia Oldofredi, che a lungo mantenne il proprio potere su Iseo. In seguito Pilzone divenne feudo dei nobili Fenaroli qui possidenti di terreni e di una bella casa del XVII secolo, costruita in stile veneto, con portale in conci a bugnato in pietra di Sarnico e, nell’ala nobile, una torretta con bellissima gronda modanata. Oltre ai Fenaroli si distinsero nel XVII secolo le famiglie Borrelli e Buffoli. Dal punto di vista amministrativo appartenne alla quadra di Iseo e rimase Comune autonomo fino al 1928. Il centro storico è abbastanza compatto con vicoli che salgono lungo il versante; la maggior parte degli edifici è di tipo rurale, ma vi sono anche case che denotano un certo tenore di vita con aperture munite di cornici in pietra di Sarnico. Sul limite settentrionale del paese vi è la chiesa di San Tommaso di fondazione romanica; è documentata a partire dal XV secolo e restaurata più volte dal XVII secolo in poi. Dalla piazzetta di San Tommaso inizia il percorso della via Valeriana che, attraverso la riviera del Sebino e del Passo della Croce di Zone, conduce a Pisogne e alla Valle Camonica. Quando la chiesetta di San Tommaso si rivelò insufficiente a contenere la popolazione, la parrocchia fu spostata in basso lungo la strada del lago dove già esisteva una chiesa intitolata a San Pietro, di probabile fondazione cluniacense. La nuova parrocchiale venne restaurata più volte a partire dal XVI secolo, l’attuale intitolazione è alla Madonna Assunta ed ai Santi Pietro e Paolo. Nella parte più elevata del paese parte anche un sentiero che, attraverso una ripida valletta, conduce ad un pianoro dove sorge all’interno di un complesso rustico la chiesetta di San Fermo (secolo XVII). Caratteristica è la torre campanaria che, isolata dagli edifici e sul ciglio della parte rocciosa, risulta visibile da buona parte del lago. Di fronte al paese verso il lago si erge il Montecolo; un documento del X secolo cita una rocca che sorgeva sul colle, in località Pilzone, venduta dal vescovo di Cremona al figlio del conte Teutaldo, già proprietario del versante settentrionale della collina. Sul pendio su-occidentale della stessa si trovano delle cave per calce di pietra idraulica della “Calce di Palazzolo” intensamente sfruttate dal XIX secolo ma oggi non più in funzione. All’altezza di Covelo, a metà strada fra Iseo e Pilzone, sorge la piccolissima penisola di Montecolino scelta l’’inizio del XX secolo come base per una scuola di idroviazione attiva per tutta la 1ma Guerra Mondiale. Chiusa alla fine del 1918 venne riaperta nel 1930 come base di prova dell’idrovolante Caproni 97; la Caproni vi tenne uno stabilimento per la fabbricazione di idrovolanti fino al 1943 e usò il bacino antistante per le prove di immersione dei “mini-sommergibili” e per l’addestramento degli equipaggi. I piccoli natanti, riconvertiti in mezzi d’assalto, facevano parte di un progetto per attaccare New York e il porto di Freetown in Sierra Leone, sede di un acquartieramento della Flotta Inglese, progetto sfumato con l’Armistizio del 1943. I sommergibili rimasero a Montecolino fino alla fine della guerra e nella fabbrica trovò posto l’Officina Meccanica di Precisione della Decima MAS. Lungo la strada del lago si incontrano anche due edifici significativi: il primo è costituito dall’ex-casa Negrinelli (XIX secolo) dove sventolò nel 1848 la prima bandiera tricolore della rivolta risorgimentale, la seconda è costituita dal complesso in stile Liberty adibito ad albergo “Araba Fenice” che ospitò nel 1944 l’illustre statista inglese Winston Churchill.

Iseo è una piccola cittadina che si sviluppa attorno ad un vecchio borgo medioevale. Il centro del paese è Piazza Garibaldi, la cui statua si erge al centro, appoggiata sulla sommità di una base in tufo ricoperta di muschio.
Si tratta del primo monumento italiano (1883) dedicato all’”eroe dei due mondi” senza cavallo, opera dello scultore P.Bordini di Verona. Sulla piazza si affaccia anche l’austero palazzo comunale con l’orologio, progettato dall’architetto R.Vantini e portato a termine nel 1833.
L’edificio a sud, con un portico ad archi, mostra alcuni affreschi e dettagli che ne ricordano l’origine medievale. Contigua è anche piazza dello Statuto, alla cui destra, poco distante, si scorge l’Arsenale.

Il palazzo detto delle Milizie o dell’Arsenale fu inizialmente magazzino e poi residenza della famiglia degli Oldofredi. Divenuto proprietà comunale nel 1619, fu adibito a carcere mandamentale  da inizio Ottocento fino al 1980, anno in cui vennero restaurati l’antica loggia ed il porticato quattrocentesco.
Al piano terra il palazzo ospita mostre e rassegne culturali  curate dal “Centro Culturale l’Arsenale”.

Ritornando in piazza Garibaldi, a nord si imbocca via Mirolte, alla cui sinistra si trova subito la chiesetta di S.Maria del Mercato (sec. XIV), inizialmente cappella privata degli Oldofredi.
Il restauro avvenuto nel 1979 ha portato alla luce gli affreschi quattrocenteschi, in parte coperti nel 1700 da una Via Crucis del pittore iseano Voltolini.

Proseguendo lungo via Mirolte, sulla destra si scorgere il castello di Iseo. Della struttura originaria, costruita precedentemente al 1161, rimangono le grosse mura in conci di pietra e le quattro torri.
Il castello disponeva di mura di recinzione esterne, ma dopo alterne vicende di proprietà, distruzioni e ricostruzioni, nel 1585 fu adibito a convento dei cappuccini e così rimase fino al 1797.

Ritornando verso la piazza, a sinistra si incontra via Rampa dei Cappuccini, percorrendo la quale si incrocia la lunga salita a gradini che porta all’ingresso del castello, un tempo protetto da un ponte levatoio.
Al centro del cortile è situato un pozzo, mentre affreschi seicenteschi si possono ammirare sulle pareti circostanti. Alcune sale del castello sono oggi adibite a biblioteca comunale.

Da quest’area si raggiunge poi il santuario di S.Maria della Neve, continuando in salita lungo via Rampa dei Cappuccini. La chiesa sorge nel luogo occupato anticamente da una santella, nella quale durante la pestilenza del 1630 gli abitanti del rione veneravano l’affresco della Madonna, recitando il rosario e cantando litanie.
Nella chiesa si possono ammirare tre altari di marmo e parecchie reliquie, oltre ovviamente all’immagine della Madonna custodita in una teca sopra l’altare maggiore.

Ritornando in via Mirolte si giunge fino all’incrocio con via della Pieve, percorrendo la quale si arriva alla Pieve di S.Andrea. La tradizione vuole che a porre la prima pietra della chiesa sia stato il vescovo di Brescia, S.Vigilio (patrono di Iseo), che qui si rifugiò nel VI sec. per sfuggire ai Barbari.

 La Pieve di Sant'Andrea fu fondata nel V secolo ma rifatta in epoche successive. Si dice che venne fondata dal vescovo San Vigilio in persona, sui resti di un antico tempio pagano. La leggenda è avvalorata dal ritrovamento di alcuni resti romani durante alcuni lavori intorno alla chiesa, tra cui una statuetta di pietra raffigurante Ercole. L'aspetto attuale si deve prevalentemente ai rifacimenti del XIII secolo. Ma arcate ed elementi decorativi della facciata tradiscono i continui rifacimenti delle epoche successive. Curiosamente, il campanile è integrato all'interno della facciata. Nella chiesa è custodita anche la tomba in stile gotico di Giacomo Oldofredi. La Pieve riserva anche altre sorprese: un quadro a olio di Francesco Hayez che raffigura San Michele Arcangelo e un "San Pietro" di Giuseppe Diotti. Nella medesima piazza si possono visitare la Chiesa di San Giovanni Battista e l'ex Oratorio dei Disciplini.

Merita una visita anche la Chiesa di San Silvestro, del XIII secolo. Sull'abside è dipinta una "danza macabra", un affresco diviso in otto scene che rappresenta il trionfo della morte sulle vanità umane. Si tratta di un tema iconografico molto comune nel Trecento e nel Quattrocento. Gli affreschi sono stati ritrovati quasi per caso solo nel 1985, durante un restauro.
Iseo, tuttavia, è soprattutto una città da vivere all'aria aperta. Lungo i portici che dalla centrale piazza Garibaldi s'inoltrano per le piccole strade della città, fioriscono negozi di artigianato, gelaterie e locali in cui gustare prodotti tipici del territorio.Il lungolago di Iseo, infine, è lo spunto perfetto per una passeggiata romantica o per trascorrere con gli amici una bella serata estiva.

Al limitare del centro storico sorge l'antico Castello degli Oldofredi, che conserva l'aspetto austero dell'XI secolo, con la pianta quadrata e le massicce torri angolari in pietra. L'edificio fu incendiato da Federico Barbarossa e restaurato da Giacomo Oldofredi nel 1161: di conseguenza, è un simbolo della rinascita dei Comuni lombardi.
Con il dominio della Serenissima, il castello venne destinato ad uso esclusivamente militare e poi, dal 1580, la proprietà passò ai frati cappuccini, che lo trasformarono in convento. Negli ultimi anni è stato però oggetto di un importante restauro che ha permesso di recuperarne gli interni. Ora è sede della biblioteca comunale e di un piccolo ma ben curato Museo delle Guerre, che conserva reperti del primo e secondo conflitto mondiale.

Il campanile romanico risale al sec. XII ed è una vera rarità architettonica: rivela infatti l’origine lombarda delle sue maestranze. Sulla facciata destra della chiesa, ora a tre navate, è collocata l’arca gotica di Giacomo Oldofredi, signore di Iseo e della Franciacorta, che fece erigere le mura di Iseo e morì nel 1325 (l’iscrizione lapidea visibile sulla tomba ne ricorda le gesta).

Di fronte alla pieve si trova la chiesa di S.Giovanni Battista (XVIII sec.). A destra, dietro una casa settecentesca, si trova la chiesa di S.Silvestro dei Disciplini (sec. XIII).

Proseguendo per via Pusterla, fino a prendere la via pedonale che prosegue lungo il torrente Curtelo, si giunge all’ospedale, che racchiude l’antico convento dei francescani.
Da qui, molto vicina è la riva del lago dalla quale ammirare, da sinistra a destra, il corno di Predore tuffarsi in acqua, l’isoletta di S.Paolo e Montisola, infine la penisola del Montecolo.
All’orizzonte si erge il monte Guglielmo, che domina l’estremità nord del lago con i suoi quasi 2000 metri d’altezza.
Proseguendo lungo la riva del lago, in un attimo ci si trova al porto Gabriele Rosa, con il busto dedicato all’illustre storico e patriota iseano autore, nel 1874, di una delle prime guide dedicate al lago d’Iseo.
Lungo la passeggiata pedonale litoranea, si approda infine alla vecchia Filanda, ora corte di bar e negozi, ed al rinnovato polo scolastico iseano.

Il territorio occupato dal lago d’Iseo offre allo stesso tempo, un panorama lacustre, collinare e montano. La regione è caratterizzata da ricordi che hanno dato vita a specialità e piatti tipici di grande importanza nella gastronomia italiana, come i prodotti della pesca, dell’olio d’oliva, del miele, dei formaggi della vicina Valle Camonica, dei salumi di Monteisola e dei vini della confinante Franciacorta. Prodotti del territorio, una cucina semplice e schietta, dove la genuinità delle cose nate dall’acqua e dalla terra ed il rispetto delle tradizioni hanno radici che ci riportano ad un passato dall’economia semplice e sobria, povera con dignità. Oggi raffinata e arricchita da quelle tecniche, ancora sempre artigianali e da un’esaltazione professionale e moderna di cucina contemporanea.

La gente racconta..... la storia di una giovane ragazza di Monteisola, promessa sposa ad un nobile della Franciacorta. Non ne voleva proprio sapere di sposare il signorotto scelto dal padre per ragioni di interesse e, per questo ogni giorno si recava a Sensole, specchiandosi nelle acque del lago piangeva il proprio dolore.  Un giorno ebbe un capogiro e cadde in acqua. Un giovane pescatore di Sarnico, passando in barca in quel momento, la vide precipitare in acqua e corse in suo aiuto salvandola. Si innamorarono, riuscendo ad essere felici fino a quando il padre della ragazza non li scoprì. La rinchiuse nel castello in cui vivevano. Al pescatore toccò una sorte peggiore; fu imprigionato in un’umida grotta profonda e nascosta tra i boschi del monte di Sarnico. Vissero così molti mesi nel dolore per la separazione. Fu organizzato, dal padre della ragazza, il matrimonio della figlia con il nobile signorotto della Franciacorta e, giunto il giorno, per paura che il pescatore potesse ritornare, ordinò ai suoi servi di ucciderlo annegandolo nel lago. Informata da una serva fedele, la ragazza dal dolore, si uccise gettandosi nelle acque del lago per poter così ricongiungersi al suo amato pescatore. Si racconta che quando si scatena la Sarneghera la temuta tempesta, caratterizzata da imponenti temporali, sia dovuta ai due giovani che si stanno cercando nel fondo del lago per incontrarsi e abbracciarsi, e il cielo per vendetta si scaglia da Sarnico su Montisola e sulla Franciacorta.

È della madre di San Pietro la leggenda che narra di una donna malvagia che, durante tutta la sua vita non realizzò mai una buona azione. Dunque, quando morì, finì direttamente all’Inferno.  Con suppliche e preghiere San Pietro riuscì ad ottenere di trasportarla in Paradiso; venne così gettata una lunga corda che dal Paradiso arrivò fino all’Inferno. La madre del Santo tentò di arrampicarsi per raggiungere il figlio. Ma, mentre saliva, si attaccarono alla corda altre anime dannate bramose di uscire dall’Inferno. Se ne accorse, nonostante fosse quasi arrivata in Paradiso, cercò in tutti i modi di scacciarle e, lo fece con tanto furore e forza che scivolò con loro nuovamente all’Inferno. La fune venne ritirata, non le fu più permesso di salire nuovamente. Impazzita dall’odio e dal rancore contro tutto e tutti, esce dall’Inferno tutti i 29 Giugno, festa di suo figlio, scatenando violenti temporali e aggirandosi sul fondo del lago d'Iseo cercando di afferrare le gambe dei bagnanti e tentando di trascinare almeno un’anima all’Inferno per vendicarsi così del figlio che non riuscì a portarla in Paradiso.

Persone legate a Iseo:

Uranio Fontana, compositore iseano
Silvio Bonardi, garibaldino e politico iseano, con lo scoppio della Terza guerra di indipendenza italiana, si arruolò nel 2º Reggimento Volontari Italiani combattendo a Mentana e a Monterotondo.
Carlo Bonardi, garibaldino, partecipò alla Spedizione dei Mille e morì a Calatafimi.
Gabriele Rosa, politico e scrittore iseano, a causa della sua partecipazione ai moti rivoluzionari, fu detenuto allo Spielberg.
Uranio Fontana, compositore italiano nato a Iseo nel 1815.
Chiara Moroni, politica.
Cristina Plevani, personaggio televisivo vincitrice della prima edizione del Grande fratello.
Lucrezia Floriani, personaggio di fantasia, protagonista dell'omonimo romanzo della scrittrice francese George Sand.
Giulio Prigioni, ambasciatore e console d'Italia.
Riccardo Venchiarutti, giornalista RAI e sindaco di Iseo.
Franco Modigliani, Premio Nobel per l'economia nel 1985, fondò nel 1998 a Iseo la scuola estiva di studi economici I.S.E.O.. All'economista è dedicata l'aula magna dell'I.I.S. G. Antonietti.
Giorgio Zuccoli, velista, ottenne numerosi premi a livello internazionale. In ricordo al campione la nuova palestra dell'I.I.S. G. Antonietti è stata a lui dedicata.




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domenica 26 aprile 2015

SAN FERMO

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Quartiere situato nella parte orientale di Varese, a confine con Induno Olona.
E' raggiungibile attraverso il quartiere Valle Olona oppure prendendo la strada in direzione Induno Olona.
Il Santuario, edificio religioso di maggior pregio, è visibile tra le abitazioni, ben curato e sagomato.
Dal ridotto sagrato antistante, che costituisce un notevole balcone su Biumo Inferiore e su Varese.
II portale, del sec. XVII, costituisce forse testimonianza dell'edificio precedente.
All'interno si segnala l'altare maggiore, con discreto paliotto in scagliola (sec. XVIII) raffigurante Santa Chiara.
Da notare la bella trave scolpita, sopra l'altare maggiore, del sec. XVII.
Quattro tele (sec. XVII) appese in presbitero e a l'ingresso della navata.
Nell'era moderna San Fermo ha visto un incremento edilizio; questo un po' a discapito della caratteristica del borgo storico.

Da questo borgo si ha la possibilità di godersi uno splendido panorama sia sulla città che sul Monte Rosa. Ai piedi della collina su cui sorge si trova la zona di Valle Olona dove, anche se ormai in disuso o destinate ad altre scopi, sorgono ancora gli storici edifici delle industrie che lungo il corso del fiume Olona hanno portato allo sviluppo della città: le concerie (la Cornelia di Babini Cattaneo, la Cerutti e la Fraschini) e la cartiera (la Sterzi).


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sabato 25 aprile 2015

INDUNO OLONA

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Il comune di Induno Olona si trova in una posizione davvero invidiabile. Sorge all’inizio della Valceresio e della Valganna, alle pendici del monte Monarco; confina con i Comuni di Varese, Arcisate, Brinzio e Valganna e si estende su una superficie di 1246 ettari. Lo si raggiunge seguendo la statale N. 344 Varese-Porto Ceresio, linea ferroviaria Milano- Porto Ceresio. Si può osservare l’andamento collinare del territorio leggendo le quote di altitudine minime e massime di alcuni luoghi: si va dai 379 m sul livello del mare della frazione Olona, alla quota massima di 855 m sul livello del mare del monte Monarco. Essendo una zona prevalentemente collinare, la flora, la fauna e lo stesso clima sono tipici di un territorio prealpino.

Sull’origine del nome "Induno" (molto antico, anche se le prime notizie certe risalgono a dopo il 1200) esistono due ipotesi: la prima vuole una nascita Gallo-Celtica, poichè la parola "Dunum" indicava un luogo fortificato di solito posto su un poggio. La seconda ipotizza una derivazione latina "In Dunis" (Tra le dune) per le caratteristiche morfologiche del territorio prevalentemente alluvionale. La nascita di Induno può essere fatta risalire intorno al 450 a.C. epoca delle pacifiche invasioni galliche. Come mostrano i reperti rinvenuti in località "Pezza", i Romani giunsero in questo luogo solo verso il I° secolo a.C.

Nel IX secolo d.C. Induno viene aggregata ai Longobardi di Castel Seprio, (reperto di quel periodo, la "torre-rudere" della Pezza e il Castello di Frascarolo; Il feudo viene concesso alla Pieve di Arcisate, passa poi alla chiesa milanese e quindi agli Arcimbaldi.

Nel 1160 a Frascarolo l’arcivescovo di Milano, Oberto da Pirovano, difende Varese dall’assalto dei Comaschi che parteggiano per il Barbarossa, occupando anche Induno.

Nel 1396 viene costruita in località "Quadronna" la prima chiesa, ora non più luogo di culto. Nel 1564 intorno alla Chiesa di S. Pietro in Silvis nasce la prima parrocchia, mentre nel 1574 viene ultimata la chiesa di S. Giovanni Battista, oggi una delle due sedi parrocchiali. Nel 1775, dopo la dominazione spagnola, Induno Olona entra a far parte dei 1492 comuni lombardi, collocati nell’Intendenza di Varese, poi, dopo la parentesi napoleonica viene inserito nel Distretto di Arcisate, allora provincia di Como.

Nel XIX secolo, Induno si trasforma da paese agricolo a paese industriale, grazie anche alla presenza del fiume Olona che alimenta sei opifici. Nel 1894 la ferrovia unisce Induno con Varese e Milano.

Nel 1927 per permettere a Varese di diventare capoluogo della neocostituita provincia il paese perde l’autonomia amministrativa e viene aggregato a Varese. Nel 1949, l’anno seguente l’esplosione della polveriera al confine con Arcisate, gli indunesi scelgono di staccarsi da Varese e il 25-10-1950 Induno diventa nuovamente comune auotonomo.

Nel 1951 si tengono le prime elezioni ed è eletto sindaco Felice Maroni.

Nel 1971 Induno Olona diviene sede della comunità montana della Valceresio, fino al trasferimento della Comunità Montana della Valceresio nella nuova nuova sede di Arcisate nel 1990.

Nel 1973 il paese ottiene la sua seconda parrocchia con la nascita della chiesa di S.Paolo Apostolo.

Nel comune si rileva la presenza di edifici di grande fascino e ricchi di valenze storiche, quali il Castello Medici di Frascarolo, situato alle pendici del monte Monarco, l’antica chiesa di S. Pietro in Silvis e l’attuale Municipio. In paese vi sono altre testimonianze culturali importanti: la chiesa di S Giovanni Battista, il Santuario della Madonna di S. Bernardino, la torre-rudere della Pezza, la Villa Porro-Pirelli.

Da segnalare anche lo stabilimento delle Industrie Poretti,valido esempio di stile Liberty ed il museo Civico di Scienze Naturali, ricco di rocce, minerali e fossili provenienti dalla nostra zona.

Il castello di Frascarolo, di proprietà della famiglia dei marchesi Medici di Marignano dal 1543, non accessibile senza permesso specifico. Sorge in amena posizione al centro dell’immenso parco sulle pendici del monte Monarco, domina gli imbocchi della Valganna e della Valceresio e si raggiunge dal paese, dal quale dista un chilometro, attraverso una comoda carreggiabile con alcuni ampi tornanti. Le vicende storiche della monumentale costruzione sono strettamente legate a quelle di Induno e ne determinarono l’importanza nel corso dei secoli.
Interessanti e pregevoli decorazioni abbelliscono tutte le sale del castello, dalle cui finestre la vista spazia su uno stupendo giardino all’italiana, con terrazze e fontane, dal quale si gode un incantevole panorama sulla pianura lombarda. La deliziosa residenza ospitò nei secoli cenecoli di artisti e di eminenti personalità ecclesiastiche e laiche che qui trovavano una serena oasi di vita intellettuale e culturale. Qui visse Margherita De Medici, sorella di Pio IV e madre di San Carlo Borromeo, che, giovinetto, maturò forse qui la sua vocazione. Nel 1837 fu ospite Gaetano Donizetti, che dalla dolcezza dei luoghi trasse ispirazione per varie melodie e, poco dopo, lo scrittore Gian Battista Bazzoni, che per il racconto storico "il falco della rupe", attinse alla storia delle imprese del "Medeghino" il condottiero Gian Giacomo Medici.

La Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista vanta, nell’altare di destra dedicato alla Vergine, una bella serie di 15 tondi ad olio su rame di scuola del Morazzone, raffigurante i "Misteri del Rosario" che, abbastanza simili a quelli conservati nella basilica di San Vittore a Varese, si accostano anche ai disegni preparatori realizzati dal Morazzone, che si trovano agli Uffizi di Firenze.

Una visita merita anche il Santuario della Madonna di San Bernardino, posto sul colle alle spalle del nucleo antico del paese e sul cui piazzale antistante vi era moderna "Via Crucis".

Il santuario dedicato alla Madonna di San Bernardino sorge sui resti di una piccola cap-pella citata in alcuni documenti della prima metà del XVI secolo.

L’edificio si trova esattamente a metà strada tra la chiesa di San Pietro in Silvis e quella di San Salvatore (oggi distrutta).

Nel 1700 la devozione alla Madonna di San Bernardino diventò così importante da far decidere agli Indunesi di allargare la chiesa e abbellirla con pregevoli decorazioni : fu così che l’ antica piccola cappella divenne una chiesa molto ampia, a pianta centrale, molto equilibrata nelle proporzioni.

Sulla parete di fondo dell’ altare maggiore si può notare l’ immagine della Madonna di San Bernardino: si tratta di un affresco del 1500, racchiuso in una possente cornice di marmo. Purtroppo vari restauri, di cui l’ultimo risalente al 1954 , hanno trasformato il dipinto cancellandone le sembianze originali.

Anche gli altri dipinti presenti nella chiesa hanno subito pesanti interventi non sempre opportuni.

All’esterno, nello spazio antistante la chiesa, circondato da 14 edicole con la Via Crucis, ogni anno si svolge la festa del Santuario, durante la quale gli Indunesi portano le offerte che poi vengono vendute durante il cosidetto "incanto dei canestri". Questa festa ha origini antichissime quando la popolazione Indunese era esclusivamente contadina e aveva l'usanza di invocare la intercessione della Madonna di San Bernardino per ottenere un buon raccolto e allontanare le calamità naturali.

Un’altra Chiesa dedicata a Santa Caterina, è posta al culmine di una pittoresca scalinata poco distante dal "centro storico" del paese.

La Chiesa di San Pietro, detta "in silvis" risalente al XI secolo, sorge in collina nell’omonimo rione, lungo la prima strada di collegamento fra i borghi della Valceresio. Isolata dai primi nuclei abitati con a fianco forse la prima area cimiteriale, della quale sono state trovate tracce, fu muta testimone delle vicissitudini degli indunesi, che per secoli qui vennero a pregare, a esternare la loro gioia nei momenti felici, a chiedere aiuto in quelli difficili ed a comporre pietosamente i morti. E’ uno dei più antichi edifici di culto della Valceresio.

La chiesa,che risale al XII secolo,è stata costruita su un edifico precedente in una zona lontana dal paese, accanto all’antica strada che portava a Varese.

San Pietro in silvis ha svolto la funzione di parrocchiale fino al 1574. L’edificio attuale conserva molte caratteristiche dello stile romanico arricchito tuttavia da alcune aggiunte posteriori ; si notano i resti di un grande affresco che rappresenta la Vergine con Gesù e San Rocco.

All’interno, i recenti restauri hanno recuperato molti affreschi eseguiti in diverse epoche ( i più antichi risalgono al 1200 ).

Uno dei dipinti più belli è quello che si trova nell’abside e raffigura la Crocifissione.



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