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giovedì 4 giugno 2015

LE VILLE DI SESTO SAN GIOVANNI : VILLA TORRETTA

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Villa Torretta è una struttura a corte aperta, nella tipica forma di una "H", con un corpo centrale a tre piani e due ali laterali leggermente più basse. Caratteristica è senz'altro la torre quadrata, sormontata da una loggia con motivo a serliana, che dà il nome alla villa.

Localizzata al confine tra Sesto e Milano, questo edificio si trova in una situazione particolare rispetto al suo intorno, circondata com'è da strutture industriali e, recentemente, anche di tipo commerciale. Solo di recente, dopo il totale recupero dal punto di vista paesaggistico e architettonico, è diventata parte integrante del parco.

Venne acquistata agli inizi del Novecento dalla Breda, che la trasformò in alloggi per le famiglie degli operai. È rimasta abitata sino ai primi anni sessanta, ristrutturata dal 1997 al 2002 e attualmente è sede di un prestigioso albergo.

Del complesso fa parte l'Oratorio di Santa Margherita, sempre del XVI secolo, con affreschi attribuiti a Simone Barabino raffiguranti storie bibliche.

Le origini della Villa Torretta sono circondate da alcune leggende, non supportate da testimonianze: si narra che fu proprietà della regina Teodolinda e che in seguito fu un avamposto fortificato annesso alla Bicocca degli Arcimboldi, alla quale, sempre secondo queste leggende, la collegherebbe un lungo cunicolo. Di certo, in quei territori sostarono le truppe di Martino della Torre che nel 1259 incontrò Ezzelino III da Romano durante il tentativo di quest'ultimo di impadronirsi della Corona Ferrea a Monza. E sempre in questi territori, nel 1323, è avvenuto lo scontro tra le truppe del Re Roberto e le truppe di Galeazzo e Marco Visconti.

Attenendosi alla struttura del complesso e considerandone gli elementi architettonici, si ritiene che la costruzione risalga alla seconda metà del XVI Secolo o comunque a ridosso del Seicento e che fosse stata eretta non con finalità militari, bensì come una villa di campagna, dallo schema costruttivo del tutto riconducibile a quello di altre ville venete o toscane dello stesso periodo. Tra il 1580 e il 1597 la villa risulta di proprietà di Leonardo Spinola, nobile genovese della famiglia Spinola, la cui presenza nella zona di Milano è documentata sin dal 1546. Nelle cronache ecclesiastiche si legge di una visita di Carlo Borromeo presso l'Oratorio di Santa Margherita nel 1582. Una più precisa datazione della costruzione della villa si ottiene da due lapidi installate all'interno del complesso e rinvenute soltanto nel 1925 dopo un devastante incendio; sono datate 1607 e collocano la costruzione della villa tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo. In entrambe le lapidi appare il nome della contessa Delia Spinola-Anguissola che aveva ereditato dal padre la proprietà del complesso. Fu Delia che commissionò la costruzione, o meglio, la trasformazione della tenuta in una villa di campagna, una delle non rare ville di delizia presenti nella zona e rapidamente raggiungibili da Milano.

Vicino alla casa padronale, si costituì subito una piccola comunità autonoma, composta per la maggior parte da contadini e da piccoli artigiani. Da un'altra lapide posta all'interno della piccola chiesa si evince che già nel 1619 la villa rientrava nelle proprietà della famiglia Marino. L'edificio è stato oggetto di molti interventi nel corso degli secoli, ed è stato di proprietà di diverse famiglie milanesi e sestesi: i Visconti, i Serbelloni, gli Stanga e i De Ponti, già proprietari di Villa Visconti d'Aragona. Le famiglie nobili hanno attirato alla Torretta diversi personaggi illustri: uno su tutti, Alessandro Manzoni che dalla vicina Brusuglio si recava in villeggiatura alla Toretta, ospite dei Serbelloni-Busca.

Nel 1903, la proprietà della villa passa alla Breda, che la utilizza come alloggio per i propri dipendenti, adattandone i locali per sfruttare meglio gli spazi e accogliere più famiglie. I terreni circostanti, anch'essi passati alla Breda, ospiteranno invece i grandi stabilimenti dell'azienda fondata da Ernesto Breda. Sebbene i nuovi inquilini, gli operai, avessero in qualche modo mantenuto lo spirito delle prime comunità autonome formatesi accanto all'antica villa padronale, è proprio in questi anni che comincia il lungo periodo di decadenza dell'intero complesso, ormai trasformato per adattarsi alle nuove esigenze urbanistiche e abitative, scandite al ritmo delle prime grandi produzioni industriali: l'antica e nobile Villa Torretta in questi anni viene chiamata Cascina Torretta. I due incendi del 1925 e del 1933 degradano ancora di più il complesso e i residenti cominciano a spostarsi nei condomini della Sesto nuova che andava costruendosi poco lontano. Gli ultimi ad andarsene lo fanno all'inizio degli anni sessanta. Dal 1961, nonostante il vincolo della Soprintendenza, ha inizio un lungo periodo di totale abbandono che dura vent'anni; alla fine degli anni ottanta tutto il complesso viene acquistato dal Consorzio Parco Nord Milano e vengono effettuati degli interventi per salvare e mettere in sicurezza quanto rimaneva del patrimonio artistico della villa. Dal 1997 al 2002 è stato eseguito un dettagliato restauro della villa e dell'adiacente Oratorio di Santa Margherita.

Il complesso, che è di notevoli dimensioni, si trova nel territorio del comune di Sesto San Giovanni, al confine con il quartiere milanese della Bicocca e presenta uno sviluppo planimetrico di circa 5.000 m². È parzialmente nascosto dall'edilizia residenziale recente e si trova tra due trafficate arterie cittadine, ma il giardino della villa è diventato parte integrante del Parco Nord, anche grazie alla passerella ciclo-pedonale che scavalca il viale Fulvio Testi.

La villa si articola in due corti, una nobile e una rustica, entrambe aperte sul giardino antistante. Le due corti definiscono uno schema a forma di "E" (o doppia "U") con due ali di pari lunghezza e una invece più corta. Il corpo principale della villa è sormontato da una torretta quadrata di origine rinascimentale, da cui prende il nome l'intero complesso. Le murature sono in mattoni pieni, mentre le strutture orizzontali sono per lo più in legno. I soffitti a cassettoni sono ancora quelli originali. Un elemento di pregio è il portale barocco, che si affaccia sull’oratorio dedicato a santa Margherita. Nonostante l'attento restauro la villa ha irrimediabilmente perduto alcuni elementi originali, come colonne ed archi.

L'Oratorio di Santa Margherita sorge in un piccolo cortile che ospita anche il portale dell'adiacente Villa Torretta. La facciata della chiesa è barocca, dall'ornamentazione sobria che non turba le linee vagamente rinascimentali. Appena sotto al timpano in cotto è presente lo stemma gentilizio della famiglia Spinola-Anguissola. Le vetrate originali, che raffiguravano Santa Margherita, da qui il nome dell'oratorio, San Domenico e San Francesco, sono andate perdute; restano gli affreschi interni, restaurati alla fine degli anni novanta dopo anni di abbandono. La chiesa venne sconsacrata nel 1925 e trasformata in un fienile. Durante il periodo Breda la chiesa era adibita a dormitorio femminile per le dipendenti.

Gli affreschi sulle pareti rappresentano storie bibliche (Giuditta che taglia la testa a Oloferne e Il passaggio del Mar Rosso), la volta è affrescata con un Eterno in gloria e sulle pareti della cappella sono invece rappresentate alcune storie della Vergine (Annunciazione e Riposo nella Fuga in Egitto), mentre sul soffitto a volta della cappella sono rappresentate una Gloria angelica e degli Angeli musicanti. La Natività sulla pala dell'altare, di cui si trova traccia nelle note relative alle visite pastorali, è andata irrimediabilmente perduta. La paternità degli affreschi è stata a lungo dibattuta: scartata l'ipotesi che potesse trattarsi dell'opera di Sofonisba Anguissola, cugina della proprietaria originaria, per molti anni si è pensato che l'autore potesse essere Camillo Procaccini oppure anche il Morazzone. Le ultime ricerche attribuiscono la paternità degli affreschi a Simone Barabino, a quell'epoca attivo a Milano nella fiorente bottega del Procaccini.



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LE VILLE DI SESTO SAN GIOVANNI : VILLA PELUCCA

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Villa "Pelucca", documentata come proprietà della famiglia Pelucchi già dal XII secolo, ha subito nel corso del tempo numerose ristrutturazioni che ne hanno parzialmente modificato l'originario aspetto rinascimentale. Si caratterizza come uno dei primi esempi di villa suburbana con caratteri architettonici autonomi, ormai lontani dalla tipologia castellana e da quella semplicemente rurale.
La villa venne edificata per volere di Girolamo Rabia tra il 1518 e il 1524, secondo una disposizione apparentemente ad U, con corpo principale centrale e due ali minori, anche se quest'ultime sono forse da interpretarsi come il frutto dell'intervento di ristrutturazione intercorso nell'Ottocento. Tali ali, alleggerite da un portico con archi a tutto sesto e capitelli ionici cinquecenteschi, costituirebbero un importante precedente dello schema ad U barocco. E' ipotizzabile inoltre che anche nel corpo centrale della villa fosse presente in origine un porticato in continuità con quelli laterali.
Di notevole importanza il ciclo pittorico che decorava la villa, commissionato a Bernardino Luini dalla famiglia dei Rabia e strappato all'inizio dell'Ottocento per essere trasportato alla Pinacoteca di Brera. Fra il 1520 e il 1525 Luini affrescò quattro stanze della villa con soggetti mitologici, biblici, scene di vita campestre e la cappella, dove è ancora visibile una sinopia raffigurante Santa Caterina deposta nella tomba dagli angeli.
All'inizio dell'Ottocento la villa subì una radicale trasformazione in veste neoclassica e nell'occasione furono costruiti numerosi fabbricati da adibirsi a stalle. Tale ristrutturazione rende particolarmente complessa la definizione di quello che era l'aspetto originario della villa.
La villa è dal 1927 proprietà del Comune che la ha adibita a casa di riposo.

La villa dispone di un grande salone di rappresentanza, affrescato nel 1524 da Bernardino Luini. Gli affreschi, rimossi nel 1816 e nel 1906, sono in parte conservati alla Pinacoteca Brera di Milano e in parte presso altri musei internazionali come la Wallace Collection di Londra, il Museo del Louvre e il Museo Condé di Chantilly. All'interno dell'attuale villa sono state installate dieci riproduzioni fotografiche su tela a grandezza originale degli affreschi.

Gli affreschi decoravano tre stanze e la cappella della villa. Erano rappresentate le Storie dell'Esodo e la Fucina di Vulcano nel grande salone principale, le Storie di Apollo e Pan e le Storie di Psiche nelle altre due stanze; all'interno della cappella, era presente un affresco con Santa Caterina portata in volo dagli Angeli sul Sinai e sopra l'altare era affrescato l'Eterno in gloria fra gli Angeli. È probabile che anche le pareti della cappella fossero affrescate.

Gerolamo Rabia, nobile milanese, fu il committente per Luini di un ciclo di affreschi, tra l'altro, destinato a decorare la sua villa suburbana chiamata La Pelucca, nei pressi di Monza (oggi comune di Sesto San Giovanni e trasformata in casa di riposo). Nel periodo napoleonico risiedette nella villa il viceré Eugenio di Beauharnais, passando poi al demanio del Regno Lombardo-Veneto alla restaurazione nel 1816, poco prima che fosse venuta a privati. Gli affreschi vennero staccati tra il 1821 e il 1822 con una campagna diretta da Stefano Barezzi, che si trasportò, secondo l'uso dell'epoca su tavole di legno: tale tecnica è all'origine delle numerose fessure che ancora oggi sono visibili. Andarono perdute vaste porzioni delle scene, soprattutto relative alle architetture dipinte che le incorniciavano, alterando irrimediabilmente la leggibilità del ciclo e, in alcuni casi, la lettura stessa delle scene.

Non tutti i frammenti restarono però a Milano: alcuni presero la via del mercato antiquario, ricomparendo in diversi musei e collezioni. In tempi recenti Pinin Brambilla Bacilon e Maria Teresa Binaghi Olivari ne hanno condotto un restauro, che ha mantenuto gli storici supporti lignei. In seguito si è provveduto ad allestirli in galleria, con un criterio che per la prima volta li mostrava quasi al completo, dopo lunghi anni di permanenza nei depositi.

Gli affreschi di villa La Pelucca provengono da vari ambienti e compongono un vasto ciclo di stampo umanistico, con episodi tratti dal mondo cortese, dalla mitologia e dalla Sacra Scrittura. La sala più grande, col camino, era decorata dalla Fucina di Vulcano e alle pareti si trovavano Storie dell'Esodo. Una stanza adiacente aveva un sopracamino con il Sacrificio di Pan e sulle pareti il Busto di fanciulla, il Cavaliere e la Scena di metamorfosi, da Ovidio. Un altro ambiente vicino, più piccolo, mostrava il Bagno delle fanciulle, forse la più celebre tra le scene, e la scena di lettura non chiara, che sullo sfondo ha la Nascita di Adone; vi si trovavano inoltre il cosiddetto Gioco della mano calda (un specie di schiaffo del soldato), il frammento con la Coppia di giovani e le lunette con Putti vendemmianti.

Dalla cappella, tuttora esistente, provengono infine il Corpo di santa Caterina d'Alessandria trasportato dagli angeli e altri frammenti: un Eterno benedicente un Angelo adorante nei depositi di Brera e un secondo angelo oggi in collezione privata.






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LE VILLE DI SESTO SAN GIOVANNI : VILLA VISCONTI D'ARAGONA

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La villa si trova nel cuore del centro storico di Sesto, in vicolo De Ponti, vicino alla piccola chiesa barocca dedicata a Santo Stefano. Il cancello in ferro battuto introduce al portico con colonne di ordine dorico. Sulla sinistra il cortile si apre verso un basso edificio, attualmente chiamato il teatrino e un tempo adibito a rimessa e magazzino. Di fronte, allineato al vicolo di accesso e non al centro del cortile, è collocato il portico aperto dell'antica casa padronale. A destra, sotto il portico una piccola scala conduce ai piani superiori. La corte è completa nei quattro lati. Gli interni si componevano di un grande salone e tre stanze più piccole al piano terreno, mentre al primo piano si trovavano nove stanze e sopra il portico la galleria di rappresentanza.

Gli affreschi che adornano la galleria vennero eseguiti in occasione delle nozze di Giovanni Antonio Parravicini con Francesca Castiglioni, nel 1680 e al loro interno sono rappresentati gli stemmi degli sposi, il cigno dei Parravicini e il leone dei Castiglioni. Altri affreschi rappresentano la Liberalità o Lussuria, che tiene in mano da una parte un dado e dall'altra ori e denari, la Sapienza con bilancia e libro, la Ricchezza con una corona in una mano e uno scettro nell'altra e la Fortezza o Guerra armata di lancia e scudo. Altri affreschi raffigurano putti e decorazioni floreali, paesaggi con vedute e figure mitologiche. Le opere sono attribuite ad Agostino Santagostino, per le analogie con il ciclo allegorico profano della villa Casati Stampa di Balsamo, risalente allo stesso periodo. La decorazione dell'alcova adiacente la galleria è opera di diversi artisti.

Nel giardino della villa, la cui buona parte è stata trasformata in giardino pubblico, sono collocati resti marmorei di un certo interesse: una colonna risalente al periodo romano e un piccolo fonte battesimale del periodo paleocristiano. Come questi reperti siano giunti sino al giardino della villa non è dato saperlo. Sempre nel giardino è presente un piccolo pozzo del seicento con carrucola, risalente al periodo di costruzione della villa.

Non esistono notizie certe riguardo l'esatta data di costruzione della villa: da notizie del 1532 si possono trarre delle testimonianze della presenza, dove oggi sorge la villa, di una casa padronale con corte, orto e pozzo. Dal 1601 la proprietà della villa passa alla famiglia Selvini e in seguito alla famiglia Malombra e nel 1654 viene ceduta al conte Carlo di Belgiojoso che la adibisce a residenza di campagna e tenuta agricola; all'epoca la villa ospitava un allevamento di bachi da seta e un torchio. A metà del Seicento la villa passa alla famiglia Parravicini; è in questo periodo che avviene la svolta culturale della villa Visconti d'Aragona: gli interni del complesso si arricchiscono di affreschi di pregio al piano nobile e parallelamente viene allestita una pinacoteca, per volere di Giovanni Antonio Parravicini. Un inventario del 1721 registra come nella pinacoteca fossero raccolte tele raffiguranti paesaggi, nature morte o soggetti di genere, opere di pittori fiamminghi, olandesi, ma anche di noti pittori italiani: Cesare Da Sesto, Guglielmo il Borgognone e Caravaggio. La ricca pinacoteca del Parravicini andò definitivamente dispersa e venduta, a coprire i debiti delle famiglie che si sono succedute come proprietarie della villa.

All'inizio del XVIII Secolo la villa risulta di proprietà dei Visconti d'Aragona, il secolo successivo passerà ai Visconti-Borromeo per poi tornare ai Visconti d'Aragona. Questi ultimi sono costretti a cederla, nel 1873, ai propri fattori, la famiglia borghese De Ponti. I De Ponti ripartiscono la villa in tre corpi principali: uno dato in affitto, un’abitazione padronale e una filanda, una delle prime di Sesto, precoce manifestazione della sua imminente industrializzazione. Nel 1964 la Villa Visconti d'Aragona De Ponti viene acquistata dal Comune che nel 1980 la restaura su progetto dell’architetto Amedeo Bellini: all'epoca l'intero complesso versava in condizioni statiche precarie; l'intonaco interno appariva compromesso dall'umidità e gli affreschi furono strappati e ricollocati in sito su nuovi supporti. I locali vennero svuotati e adattati per ospitare il peso dei volumi della biblioteca.

Oggi la villa è sede di alcuni uffici comunali.




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IL VILLAGGIO FALCK A SESTO SAN GIOVANNI



La Falck e' in assoluto l'impresa sestese che realizza il maggior numero di iniziative a favore dei propri lavoratori e dei loro familiari.
Tra gli anni Venti e Trenta completa un proprio Villaggio per i dipendenti (lungo il viale Italia e nelle vie Puricelli Guerra, Cantore, Cairoli, Acciaierie, Falck e Torino). Il Villaggio dispone di una scuola materna, dove si insegna col metodo Montessori (secondo caso in Italia), di una scuola elementare e di una media (gestita da personale Falck). Nel 1939 la societa' realizza il Quartiere giardino - Villaggio Diaz.
Dagli anni Venti istituisce colonie estive e borse di studio per i figli dei dipendenti, mutue interne con agevolazioni per cure mediche (comprese quelle dentarie) e termali per i lavoratori.
Nel 1923 costruisce un campo sportivo. Le provvidenze della Falck superano spesso, per qualita' e quantita', le iniziative socio-assistenziali messe in campo dallo Stato sia in epoca fascista che in epoca repubblicana.

Il Villaggio Falck naque come espansione del vicino Villaggio Attilio Franco risalente al 1908 e fu costruito per rispondere alla crescente esigenza di residenze per gli operai degli stabilimenti Falck.
Le abitazioni, inserite in lotti definiti da una viabilità interna, ricalcavano l’esperienza ormai consolidata dei villaggi operai. La toponomastica originaria - via Bergamo, via Brescia, via Lecco - si riferiva ai luoghi della prima immigrazione di manodopera impegnata nelle lavorazioni siderurgiche.
La presenza degli orti permetteva alle famiglie di impegnare il tempo libero per migliorare la propria alimentazione e integrare il reddito. Dal 1926 il Villaggio si arricchì di un campo sportivo su via General Cantore, che si estendeva fino al piazzale di fronte allo Stabilimento Concordia.
Durante la seconda guerra mondiale il Villaggio divenne un importante punto di riferimento per la Resistenza al nazifascismo, al punto da indurre un’azione ferocemente intimidatoria nell’agosto 1944: due operai furono fucilati davanti al Circolo San Giorgio (originariamente chiamato Tripoli) e i loro corpi esposti come ammonimento. Una lapide è stata posta a memoria di questo evento.

L’impianto generale è costituito da tre isolati definiti da un tracciato viario a maglia ortogonale, delimitato solo nella parte posteriore a est da un muro di cinta. Realizzato in epoche differenti, il Villaggio include diciotto fabbricati residenziali: gli edifici sono in posizione centrale all’interno di singoli lotti recintati e con vicolo d’accesso indipendente.
Negli anni Venti vennero realizzate le prime dieci unità di due piani fuori terra, provviste di giardino sul fronte principale, orti sul retro e lavatoi esterni.
Nel 1935  il villaggio si estese verso est con la costruzione di altri due edifici, simili ai primi per impianto ma con un maggior numero di alloggi di dimensioni ridotte, e con la realizzazione, ai margini del Villaggio, di alcuni servizi per la popolazione quali il Circolo San Giorgio, un asilo, una scuola e una chiesa.
Tra il 1946 e il 1947 furono aggiunti quattro edifici, due di due piani fuori terra e due di tre piani. Le abitazioni si dotarono di un proprio impianto idrico e le dimensioni degli orti si ridussero. Questi ultimi scomparvero definitivamente nell’intervento del 1955 che completò il Villaggio con due palazzine d’angolo di tre piani fuori terra.
La coerenza nella scelta dei materiali e l’adozione di un omogeneo disegno dei fronti diedero un carattere unitario al complesso.
Tutti i progettisti erano professionisti che lavoravano abitualmente per la Falck.




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IL MONUMENTO DELLA RESISTENZA A SESTO SAN GIOVANNI



Il monumento alla Resistenza, concepito da Bottoni e da Anna Praxmayer, ripercorre in tredici tappe la lotta antifascista con scene graffiate in un muro di cemento che via via si alza, fino a spiccare verso il cielo con la Vittoria, che libera un volo di colombe di bronzo.
Il monumento si trova nell'omonima piazza della Resistenza, antistante la sede del palazzo comunale di Sesto, città decorata con la medaglia d'oro al valor militare, proprio per il contributo alla lotta per la Liberazione.

Il monumento è un muro figurato in cemento lungo circa 35 metri che si snoda lungo una breve e dolce salita, slanciandosi verso una statua rappresentante la Vittoria. Su entrambi i lati del muro sono rappresentate, con la tecnica del bassorilievo, le alterne vicende della Resistenza dal 1922 al 1945: Oppressione politica, Prigionia, Cospirazione, Resistenza nella città, Resistenza nelle campagne, Caduta del Fascismo, Invasione tedesca, Lager - prigioni - cimiteri, Ripresa delle armi, Resistenza nelle fabbriche, Resistenza in montagna, Vittoria della Resistenza e Pace nella democrazia. I tredici diversi momenti sono raffigurati in forma piana e regolare tramite figure quasi stilizzate, con uno schema tipico, ad esempio, dell'iconografia della Via Crucis. Circa a metà del muro è presente una scultura astratta, in metallo, a forma di reticolo di fili spinati, posta a rappresentare il dramma della deportazione nei campi di concentramento nazisti subita dagli oppositori politici al nazifascismo e dagli operai delle grandi industrie sestesi che avevano partecipato agli scioperi del 1943 e del 1944. All'estremità superiore dell'opera si staglia verso il cielo la Vittoria, che con le mani alzate libera un volo di colombe bronzee. Tutto il monumento è circoscritto da un piccolo prato con siepi e aiuole.

Sia pure in forme meno naturalistiche, più vicine alla arcaica espressività della scultura di Jenny Mucchi e di Marino Marini, la Vittoria possiede la stessa immediata comunicativa della statuaria ottocentesca propria del Romanticismo maturo. La ricerca di semplificazione formale non si traduce in astrazione dalle immagini che ne rendono chiaramente riconoscibile il significato. Al contrario, la gioia per la riconquistata libertà e il desiderio di pace, che vi si accompagna, si traducono nella figura leggiadra di una donna dalle cui mani si libra un volo di colombe.

Piero Bottoni firma l'architettura generale del monumento alla Resistenza di Sesto; gli viene affidato l'incarico di realizzare il monumento nel 1962 come parte integrante della nuova piazza che ospiterà, secondo il piano regolatore dell'epoca, il nuovo palazzo comunale e il municipio di rappresentanza. Il progetto urbanistico di tutta la piazza e dei palazzi pubblici è anch'esso del Bottoni. Tutte le sculture del monumento, i bassorilievi e la statua della Vittoria sono invece realizzate dalla scultrice Anna Praxmayer.

Inaugurato in occasione dei festeggiamenti per il 25 aprile del 1963, il monumento subì un attentato esplosivo nella notte tra il 22 e il il 23 maggio 1971, rivendicato dalle SAM che nella stessa notte firmarono altri due attentati a Milano. L'ordigno esplose alla base della statua della Vittoria, che venne lievemente danneggiata ma non restaurata e dove in seguito venne posta una piccola lapide a ricordo dell'accaduto. Sin dai momenti successivi all'attentato, vi furono diverse manifestazioni spontanee di cittadini, studenti e operai antifascisti presso il monumento e per il 24 maggio venne indetto uno sciopero di un'ora nelle maggiori fabbriche cittadine, per ribadire un secco "no" al fascismo.




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IL MONUMENTO DEL DEPORTATO A SESTO SAN GIOVANNI



« Il sangue dei deportati dilavò su queste pietre delle cave di Gusen e Mauthausen »

Il monumento fu inaugurato, davanti a un migliaio di cittadini, il pomeriggio del 28 novembre 1998, con una solenne cerimonia alla presenza, tra gli altri, del presidente nazionale dell’A.N.E.D. (Associazione Nazionale ex Deportati Politici) Gianfranco Maris, dell’A.N.E.D. di Sesto San Giovanni, del presidente della Provincia Livio Tamberi, dei sindaci di Sesto San Giovanni Filippo Penati, di Cinisello Balsamo Daniela Gasparini, di Cologno Monzese Giuseppe Milan e di Muggiò Stefano Rijoff.
Durante la cerimonia l’attore Moni Ovadia lesse alcune significative pagine del Diario di Gusen di Aldo Carpi.

Dopo l’inaugurazione, un lungo corteo si recò fino all’Auditorium del Centro Scolastico Parco Nord, dove intervenne il presidente dell’A.N.E.D. Gianfanco Maris. Seguì una cerimonia durante la quale furono consegnate le medaglie d’oro ai deportati o ai loro familiari.

Prima di giungere in cima alla collina si incontra un acciottolato simile alla strada che i deportati percorrevano per arrivare alla scala della morte nel Lager di Mauthausen. In questo punto, a sinistra, è collocata una grossa pietra con incisa la dedica e gli autori del progetto. Poco più avanti inizia una ripida salita con alti gradini neri che evoca scala della morte che portava alla cava di Mauthausen, luogo di morte, di tortura e di scherno verso l’uomo e l’umanità. Questo percorso fu progettato dall’architetto Francesco Borrella, come parte integrante dell’opera (mentre i gradini intermedi furono aggiunti per rendere meno difficoltosa la salita).
Per queste caratteristiche il monumento fu definito itinerante.
Il deportato è rappresentato da una figura stilizzata che affonda i piedi nei sassi e che ha altri massi al posto della testa. Questa figura ha un doppio significato: da un lato, l’espressione massima dello sfruttamento dell’uomo nel Lager, dalla testa ai piedi investito dal lavoro disumano e sovraumano che ne determina un rapido decadimento fisico e poi la morte; dall’altro, i sassi al posto della testa rappresentano il massimo della spersonalizzazione della dignità di un uomo. Il deportato non doveva pensare, ragionare, ma eseguire solo ordini.

Alla base del monumento sono posti due grandi catini contenenti sassi provenienti dalle cave di pietra dei Lager di Gusen e di Mauthausen (portate dall’A.N.E.D. nel corso dei vari pellegrinaggi) e sei teche con le ceneri e le terre dei Lager di Gusen, Mauthausen, Dachau, Auschwitz, Ebensee, Ravensbrück e del Castello di Hartheim, dove furono deportati i lavoratori.
Il borgomastro del paese austriaco di Langenstein (Gusen), ad aprile del 1999, in occasione del gemellaggio tra Langenstein e Sesto San Giovanni, venne a deporre una corona alla base del monumento.

Intorno al monumento sono collocati dei masselli in porfido, disposti a semicerchio, su cui erano stati incisi inizialmente quattrocentosessanta nomi di deportati, sia deceduti che sopravvissuti, suddivisi per fabbrica.
Successivamente alla costruzione del monumento, a seguito delle ricerche condotte da Giuseppe Valota - ora presidente dell’A.N.E.D. di Sesto San Giovanni - vennero alla luce altri nominativi, principalmente di lavoratori della Pirelli. Pertanto, nel 2004 furono aggiunti nuovi masselli per un totale di trentuno masselli con cinquecentocinquantanove nominativi incisi.

Da alcuni documenti depositati presso il Comune di Sesto San Giovanni è possibile far risalire l'idea originaria di questo monumento al 1978, quando l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini fece dono a Sesto, città Medaglia d'oro al valor militare per la Resistenza, del progetto di un monumento, allora denominato allo schiavo di tutti i tempi, dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso. Ma il progetto, prima di essere realizzato, incontrò diversi problemi legati alla logistica e al reperimento dei materiali pensati dall'autore: per la struttura principale aveva previsto il Cor-ten, un tipo di acciaio molto raro e costoso, così come altri materiali a cui il progettista non voleva rinunciare.

Nel 1994 il progetto venne rispolverato dal comune di Sesto e venne contattato Belgiojoso che garantì una disponibilità pressoché totale. Il designer Giovanni Sacchi realizzò e donò alla città un modello del monumento, in legno, scala 1:10. Giuseppe Valota dell’ANED iniziò un confronto piuttosto serrato col Belgiojoso per adattare il progetto del monumento alla realtà della deportazione sestese. L’industriale Steno Marcegaglia, insediatosi con le sue aziende nell’area ex-Breda, donò il grande manufatto in Cor-ten alla comunità. I Melzi, proprietari dell’omonima cava, consigliarono una pietra d’Istria, simile a quella prevista dal progetto originario, ma a buon mercato. Collaborarono al progetto anche molte altre nuove aziende delle ex aree industriali di Sesto.

Per la posa del monumento vennero proposti tre diversi punti all'interno del Parco Nord Milano, nel territorio di Sesto San Giovanni: il rondò alberato in cui convergono tutti i percorsi del parco, la piazzola a prato che domina il campo volo e il boschetto che guarda la Breda. La scelta venne effettuata dall'allora novantenne architetto Belgiojoso, che optò per la terza soluzione. I motivi per questa scelta furono la visibilità del monumento dall'area della Breda e dal viale Fulvio Testi. Il monumento fu inaugurato il 28 novembre 1998.




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IL MUSEO EX BREDA A SESTO SAN GIOVANNI



Gli stabilimenti della Breda si svilupparono all’inizio del ‘900 su un vasto territorio tra Sesto San Giovanni e Milano. Locomotive ed elettromeccanica, industria ferroviaria, fucine, siderurgia e aeronautica furono i settori di produzione. In quest’area, oggetto di trasformazione e riqualificazione, ci sono importanti testimonianze industriali e di residenza operaia. Il Museo dell’Industria e del Lavoro, il Carroponte, la Locomotiva Breda 830 e il Parco Torretta sono parte del Parco Archeologico Industriale ex Breda. Dove sorge la Torre dei modelli si trovava alle origini l'entrata principale della Breda. Qui tra il 1906 e il 1909 fu costruito uno stabilimento con tetto a shed e mattoni a vista, dove iniziò la produzione.

Viene fondata nel 1886 e apre i suoi stabilimenti sestesi nel 1903. Dall’iniziale produzione di locomotive a vapore (di cui si può vedere un esemplare del 1906 esposto all’interno del Parco archeologico industriale ex Breda) l’attività si estende in seguito alla fabbricazione di treni elettrici, materiale bellico, aerei e componenti per l’industria nucleare. Tra i prodotti più famosi i tram gialli che ancora circolano per Milano, il treno Settebello e i proni convogli della metropolitana milanese. Azienda­chiave nello sforzo bellico italiano, gli stabilimenti della Breda sono tra quelli maggiormente coinvolti nell’ondata di scioperi che precedono e seguono la caduta del governo Mussolini nel 1943. Al crollo del fascismo si introduce l’occupazione nazista, ostacolata dai Gap (Gruppi di azione patriottica) che si formano e riuniscono nelle fabbriche. Si susseguono arresti, deportazioni, fucilazioni e atti di sabotaggio e guerriglia. Il 28 aprile 1945 gli alleati entrano a Sesto San Giovanni.
La città viene insignita il 18 giugno 1971 della Medaglia d’Oro al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana.
Negli anni ’80 la Breda, che era arrivata a contare 20.000 addetti, si smembra ed in gran parte scompare. Sopravvivono ancora la Breda Energia che produce valvole per gasdotti e pozzi petroliferi oltre alla Ansaldo Camozzi ex Breda Nucleare.

A seguito della riqualificazione, l’area comprende adesso il Parco Archeologico Industriale ex Breda nonché diverse realtà e imprese tutt’ora operative, come la Vetrobalsamo, il Laboratorio Innovazione Breda e due distretti di piccole e medie aziende.
Il Parco Archeologico ex Breda, l’area all’interno della quale è collocato il Carroponte è uno dei brani della recente storia di Sesto San Giovanni che l’Amministrazione Comunale ha deciso di salvaguardare (al pari di altri elementi), e che si inserisce nell’ipotesi del museo diffuso sul territorio o dell’ecomuseo che prevede la tutela, il restauro e la valorizzazione di quegli elementi di carattere culturale, sociale, naturalistico e storico­artistico di particolare rilievo presenti in città. Un progetto che si svilupperà nei prossimi anni soprattutto grazie all’acquisizione degli enormi e stupendi edifici, oggetto di tutela presenti all’interno delle aree ex Falck.
Il parco ex Breda, un’area ex industriale trasformata in polo culturale occupa una superficie di circa 52.000 mq. Al suo interno vi è la Porta Breda, lo Spazio Mil, il Carroponte, la locomotiva Breda e il nuovo allestimento composto dal carro lingottiera Falck con le lingottiere e la nuova struttura in acciaio corten riportante i grandi numeri delle aziende sestesi ed in grado di fornire al visitatore numerosi contributi sonori. Lo Spazio Mil, costruito sulla tipologia del magazzino ricambi della Breda Siderurgica preesistente ospita al suo interno l’archivio Giovanni Sacchi, il ristorante il Maglio e lo spazio teatrale, in un uno spazio dominato da un imponente maglio Breda da 15 tonnellate, il Museo dell’Industria e del Lavoro.

Il parco è attraversato da una pista ciclabile dedicata a Luigi Malabrocca, storica maglia nera del Giro d'Italia e, verso la Villa Torretta, è presente la scultura Porta Breda (sempre in Corten) dell'artista Michele Festa.

Il carroponte presente nel parco venne costruito dalla Breda negli anni trenta del XX secolo. È lungo circa 200 metri, largo circa 60 metri e alto circa 20 metri ed è costituito da due file di colonne e di travi che un tempo sorreggevano sette gru a ponte della portata di tre, dieci e quaranta tonnellate. I rottami arrivavano nell'area su vagoni ferroviari provenienti dalla rete ferroviaria nazionale, che entravano negli stabilimenti Breda (e Falck) attraverso una rete di binari che attraversava buona parte della città di Sesto San Giovanni. Le gru, scorrendo sui binari posti in cima al carroponte, movimentavano i rottami ferrosi depositati nell’area: li scaricavano dai vagoni e li dividevano per tipologia e infine li avviavano alla fonderia. I diversi movimenti del carroponte, dal sollevamento e abbassamento del carico tramite l'argano, al movimento longitudinale e trasversale, venivano manovrati da un operaio addetto nella cabina posta sul ponte stesso. In seguito alla chiusura dell’acciaieria il carroponte cessò la sua attività, venendo definitivamente dismesso con la chiusura degli stabilimenti siderurgici Breda negli anni novanta.

A partire dagli anni duemila il carroponte è stato oggetto di una ristrutturazione e grazie alla costruzione di un palco coperto e ad una suggestiva illuminazione è sede di eventi, concerti, spettacoli e attività culturali.

All'interno del parco e in prossimità del carroponte è esposta una Locomotiva FS 830 (unità 017) di produzione Breda. Costruita nel 1906, faceva parte della seconda serie di 830, numerate da 15 a 44, che si differenziava dalla prima serie per il telaio più lungo nella parte posteriore, la maggiore capacità della carboniera e la cabina di pilotaggio dal taglio più moderno. La locomotiva Breda 830/017 era un modello ancora più particolareggiato, data l'assenza del compressore e dell'impianto di frenatura ad aria compressa. Per trent'anni, fino al 1936, questa locomotiva ha viaggiato sulla rete delle Ferrovie dello Stato Italiane. In seguito venne ceduta alla Cokitalia, dove rimase in servizio fino al 1986, subendo diversi ammodernamenti. Nel 1988 venne acquistata dalla Finanziaria Ernesto Breda e nel 1995 venne ceduta al comune di Sesto San Giovanni.

Nel 2005 ha subito un restauro presso l' Ansaldo-Camozzi e nel 2006, centenario della sua costruzione, è stata collocata all'interno del parco archeologico industriale ex-Breda e protetta da una copertura in plexiglass.

In prossimità della locomotiva è collocato un carro utilizzato per il trasporto delle lingottiere. Questo carro ferroviario veniva utilizzato per movimentare e pesare le lingottiere. Consentiva di ottenere un valore predefinito della tara delle lingottiere e agevolava il controllo della quantità del metallo che veniva colato al loro interno; insieme alla locomotiva è una testimonianza dell'importanza del sistema ferroviario all'interno del contesto industriale urbano, soprattutto per il servizio di collegamento fra i diversi siti cittadini di lavorazione.

Lo Spazio MIL (dove MIL è l'acronimo di Museo dell'Industria e del Lavoro) è un grande edificio in mattoni rossi a vista della prima metà degli anni trenta, un tempo adibito a magazzino ricambi della Breda Siderurgica. È stato ricostruito ed ampliato con una nuova porzione in ferro e cemento. Il complesso si articola su tre navate per uno spazio totale di circa tremila metri quadrati. Ospita spettacoli, mostre ed eventi.

All'interno dello Spazio MIL è ospitato l'archivio Giovanni Sacchi che raccoglie una grande quantità di documenti e modelli del noto designer e progettista sestese. I diversi materiali in archivio sono organizzati in aree predisposte per la loro conservazione e sono impiegati per allestire mostre tematiche temporanee. Nell’archivio è presente anche un'esposizione permanente dedicata all'iter progettuale di alcuni oggetti di design progettati e prodotti nella bottega di Giovanni Sacchi, operativa sino al 1997. È inoltre stato allestito un laboratorio con un'area attrezzata per lo svolgimento di laboratori di modellistica.

L'archivio è curato dalla Fondazione ISEC.

Il grande maglio a vapore è ospitato all'interno dello Spazio MIL. Venne costruito dalla Breda tra il 1910 e il 1920 ed è stato utilizzato fino alla fine degli anni ottanta. Completamente d’acciaio, il maglio veniva impiegato alla Breda Fucine nei lavori di fucinatura a caldo di pezzi di dimensioni ridotte. La grande mazza battente di acciaio poteva sviluppare una forza di millecinquecento chilogrammi per metro quadrato e per il suo funzionamento era necessario l'intervento di due o tre operai. Uno stantuffo a vapore, la cui valvola di alimentazione era manovrata da un operaio, sollevava la grande mazza battente, che veniva in seguito rilasciata e andava ad abbattersi sul pezzo in lavorazione. Il pezzo, di metallo riscaldato, veniva posizionato e tenuto sull’incudine da un altro operaio munito di pinze e riceveva i colpi necessari ad assumere la forma indicata dal disegno. Il peso dell’imponente maglio è di circa quindici tonnellate, per un’altezza di circa 5 metri. È stato donato dalla Metalcam al comune di Sesto San Giovanni.



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mercoledì 3 giugno 2015

CURIOSANDO PER SESTO SAN GIOVANNI

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« O beato di Sesto aer sincero,
O tranquilli recessi ove l'orrende
Sue nebbie il turbo cittadin non sente,
E franco brilla il cor, franco il pensier! »


« Arrivò a Sesto, sulla sera; nè pareva che l’acqua volesse cessare. Ma, sentendosi più in gambe che mai, e con tante difficoltà di trovar dove alloggiare, e così inzuppato, non ci pensò neppure. La sola cosa che l’incomodasse, era un grand’appetito; chè una consolazione come quella gli avrebbe fatto smaltire altro che la poca minestra del cappuccino. Guardò se trovasse anche qui una bottega di fornaio; ne vide una; ebbe due pani con le molle, e con quell’altre cerimonie. Uno in tasca e l’altro alla bocca, e avanti. »
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Cap. XXXVII)


Il Monastero di San Nicolao, denominato anche Monastero di San Nicolò, era un monastero presente a Sesto San Giovanni, risalente alla fine dell'XI secolo. Si trattava di un monastero cistercense femminile e dipendeva, come altre chiese di Sesto, dalla Basilica di San Giovanni in Monza; nel XII secolo le monache intrapresero una dura battaglia contro le decime imposte dalla chiesa monzese. Nel 1511 Papa Giulio II sopprime il preesistente convento e lo unisce al monastero della S.S. Annunziata di Milano, retto dalle Canonichesse Lateranensi. Nel 1797, con la Repubblica Cisalpina, Napoleone ne ordinò l'alienazione, che avvenne nel 1802.

La tradizione popolare per molti secoli ha attribuito la fondazione del monastero di San Nicolao a Santa Marcellina, sorella di Sant'Ambrogio.

Nei secoli l'edificio del monastero ha subito gravi danni causati da incuria e da diversi cambi di destinazione d'uso; nel 1962 è stata demolita la piccola chiesetta romanica presente nel complesso del monastero e nel 2010 la struttura muraria ancora esistente è stata oggetto di un intervento di risanamento e riqualificazione.

A Sesto San Giovanni troviamo le seguenti chiese :
Chiesa di Santa Maria Assunta
Chiesa di San Giuseppe
Chiesa di Santa Maria Nascente e Beato Giovanni Mazzucconi
Chiesa di San Giorgio alle Ferriere
Chiesa della Resurrezione di Gesù
Chiesa di San Giovanni Battista
Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice
Chiesa di San Giovanni Bosco
Chiesa del Ss. Redentore e San Francesco

Chiesa di San Carlo Borromeo

Sesto San Giovanni è la sede del Campo Nord-Italia della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno.

Oltre al caratteristico centro storico, a Sesto San Giovanni è possibile ammirare:
Villa Visconti d'Aragona, originaria del XVI secolo e attualmente utilizzata dai servizi comunali come biblioteca. La Villa conserva pregevoli sale con affreschi.
La Chiesa Parrocchiale, di antica fondazione, al cui interno è possibile ammirare interessanti opere d'arte.
Villa Pelucca, risalente al XVI Secolo, che vanta una Capella completamente affrescata da Bernardino Luini, l'allievo prediletto di Leonardo da Vinci.
Villa Puricelli Guerra, sede della prima filanda della città.


La Villa Torretta (origini medievali), di proprietà, nel corso dei secoli, di nobili famiglie milanesi, nel 1903 viene acquistata dalla Società Breda; conserva interessanti affreschi; oggi è sede di un importante e rinomato hotel di lusso.

Villa Mylius è una villa nobiliare del XVIII secolo. Si tratta della tipica villa di delizia, nobile dimora suburbana per soggiorni e villeggiature. La costruzione è orientata verso canoni neoclassici ed è costituita da un lungo corpo rettangolare a due piani. Dell'originario schema tradizionale a "U" è rimasto il solo corpo centrale, mentre delle due ali non è rimasta alcuna traccia. Nel tempo, accanto al corpo centrale, sono stati costruiti due edifici laterali perfettamente inseriti nell'architettura generale. Su uno di questi edifici è costruita una piccola torre, utilizzata, nei suoi ultimi anni di vita, dall'astronomo Barnaba Oriani per i suoi studi. Il complesso comprende anche un piccolo giardino botanico, il Giardino di Villa Mylius.

Verso la metà del XVIII secolo la villa sorse su un vasto appezzamento agricolo nel centro dell'allora borgo di Sesto. Non si conosce il nome della famiglia che commissionò la costruzione della villa. All'inizio del XIX secolo, Enrico Mylius divenne il proprietario della villa, dove decise di stabilirsi con la famiglia. Enrico Mylius era solito ricevere nella villa esponenti della cultura del periodo, la stessa attenzione filantropica caratterizzò anche la vita degli eredi di Mylius, in particolare della nuora Sophie che fece della villa il centro di veri e propri salotti intellettuali.

Nel 1921 la villa venne acquistata dal comune di Sesto San Giovanni e divenne la sede del municipio. Negli anni del fascismo sulla balconata della villa venne installata una mitragliatrice: un cambiamento brutale, non solo per la società, ma per la villa stessa. In quegli anni infatti molti degli affreschi, delle decorazioni floreali, degli stucchi e dei rosoni dorati finirono sotto una strato di calce. Nel 1954 l'allora sindaco Abramo Oldrini lesse, dalla balconata della villa, il documento ufficiale che proclamava Sesto San Giovanni città. In seguito, villa Mylius divenne prima sede dei vigili urbani e poi sede dell'ISEC.

Villa Puricelli Guerra è una villa del XVIII secolo con aggiunte del secolo successivo in stile neogotico e si sviluppa attorno a due cortili: il primo rappresenta la corte nobile, dove si articola la villa con tipica disposizione a "U", il secondo è invece delimitato da un corpo settecentesco e da un edificio neogotico. Sono conservati all'interno della villa delle tracce di affreschi, in quanto molti sono perduti, così come altri elementi decorativi, a causa dei diversi riadattamenti che nel XX secolo hanno trasformato parte della struttura originaria in abitazioni private.

Le prime notizie della villa Puricelli Guerra si riscontrano nella mappa catastale del 1721, nel periodo di Carlo VI, da dove risulta che la villa apparteneva all’ordine dei Gesuiti (come anche altri edifici storici di Sesto come la cascina Baraggia e la cascina Parpagliona) e sorgeva sui resti di una costruzione datata intorno all’anno mille. Nel 1773, tutti i possedimenti passarono a Maria Teresa d'Austria e a suo figlio Ferdinando. Nel 1797, dopo la venuta di Napoleone nel nord Italia, Giuseppe Manara divenne il proprietario della villa. Alla morte di Manara, la proprietà passa, nel 1812 a Giuseppe Puricelli Guerra che non si limitò ad amministrare i propri possedimenti, ma li rese innovativi e produttivi: nel 1832 infatti, nella corte della villa venne aperta una filanda, in seguito ammodernata nel 1840. La filanda chiuse nel 1890, dopo circa sessant'anni di attività, a causa della crisi generale del settore.

Nel 1923 la villa fu venduta alla Ercole Marelli, che l’adibì ad abitazione per operai e come dopolavoro aziendale. Nel 1970 il comune di Sesto San Giovanni acquista la villa e ne destina una parte ai servizi sociali e un'altra parte a una comunità di intervento sociale. Con i lavori di ristrutturazione, nel 1995, vengono individuati muri databili attorno all’anno mille e parti di un pavimento stradale del XIV e XV secolo.

Villa Campari, conosciuta anche come Casa Alta, è una villa nobiliare del XIX secolo. L’edificio, originariamente con mattoni a vista, ha uno stile vagamente neoclassico che rimanda alla fine del XVIII secolo. Accanto all’edificio principale venne costruito un sopralzo con alcune colonne in stile romanico. I diversi ambienti interni della villa sono ben distribuiti e comunicanti tra loro; la pavimentazione presenta molti disegni geometrici e colori. Ai lati della villa, verso il parco, i vecchi proprietari collocarono tredici effigi degli imperatori che governarono su Roma e Bisanzio, scolpite su marmo.

Il corpo centrale della villa è su due piani, con due ali poco più basse che formano una corte a "U" chiusa dalla cancellata in ferro battuto. Al centro del corpo centrale sorge una torretta che permetteva di liberare lo sguardo sino alle colline brianzole.

La villa Campari venne costruita nel 1826 dall'illustre famiglia patrizia milanese degli Arese-Lucini. Da subito viene chiamata Casa Alta. Nel 1903 la villa diventa proprietà di Davide e Guido Campari, che stabiliscono qui la loro abitazione, mentre nell'area del parco costruiscono la nuova e moderna fabbrica di liquori.

La Campari compie negli anni ottanta un primo attento e particolareggiato restauro. La villa conserva all’esterno il suo aspetto originario e al suo interno è ancora arredata con mobili, quadri e oggetti già presenti nel 1903, all’atto dell’acquisto, o successivamente aggiunti dalla famiglia Campari.

Nel XXI secolo, la sede storica e l'aria circostante la villa, sono state oggetto di un intervento urbanistico omogeneo a cura dell'architetto Mario Botta e dell'architetto sestese Giancarlo Marzorati. La villa, completamente ristrutturata sia negli esterni che negli interni e negli arredi, è sede di un ristorante e al suo interno sono ospitati eventi e corsi enogastronomici.

Villa Zorn fu costruita nei primi dell’ottocento dalla famiglia Marzorati che vi visse per oltre cinquant'anni. Nel 1870 venne ceduta agli Zorn, una ricca famiglia austriaca che viveva a Milano e che arricchì il parco antistante la villa di varietà rare e pregiate di piante. Sul lato nord del parco fece allestire un montagnetta dalla quale si poteva contemplare il paesaggio agricolo circostante.

Villa Zorn ha una foggia neoclassica e la sua struttura è un impianto a blocco lineare con la parte centrale più elevata. Il salone da ballo, cuore della villa, si trova al piano terra. Il parco, noto un tempo per la varietà di piante, conserva ancora alcune tracce dell’originario impianto romantico, come la fontana all'estremità sud. Attualmente è stato trasformato in un giardino pubblico.

La Villa Vigoni-Zoffa fu costruita agli inizi  del XVII secolo, oggi si possono ammirare solamente alcuni ruderi in un giardino pubblico.
La Villa Gaslini fu costruita all'inizio XIX secolo, di proprietà della nobile famiglia dei Gaslini, oggi è scomparsa.
Il Villaggio Falck è un villaggio operaio costruito dall'omonima fabbrica su un preesistente villaggio industriale, il Villaggio Attilio Franco del 1906.
Il Municipio (1961-67) e il Monumento alla Resistenza sono opere di Piero Bottoni.
La sede storica della Campari, di cui rimane la sola facciata, è stata ammodernata a partire dalla seconda metà degli anni novanta, su progetto dell'architetto Mario Botta.
Il Monumento al Deportato, opera dell'architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso presso il Parco Nord Milano.
Il Parco archeologico industriale ex-Breda, un museo diffuso sul territorio che un tempo ospitava gli stabilimenti tra Sesto e Milano. Ne fanno parte il Museo dell’Industria e del Lavoro, l'Archivio Giovanni Sacchi, il Carroponte, una Locomotiva Breda 830 e lo Spazio MIL, al cui interno è collocato un maglio a vapore della Breda dalla potenza di 1500 kg/m.

Al confine con i comuni di Bresso, Cinisello Balsamo e Milano sorge il Parco Nord Milano, vasto parco (circa 600 ettari), dal 1975 parco regionale della regione Lombardia. Lungo l'asta del Lambro, che scende da Monza toccando Brugherio e Cologno Monzese è situato il Parco Media Valle del Lambro, di rilevanti contenuti naturalistici ma soprattutto di archeologia industriale. Sesto è il comune capofila del consorzio che lo gestisce.

A Sesto San Giovanni ha sede la società Pro Sesto, fondata nel 1913, militante in serie D.

Le Società di pallacanestro che hanno sede nel Comune sono: la POSAL, fondata nel 1955 che partecipa al campionato regionale di serie C2 e la Rondinella Basket, fondata nel 1963 che dalla stagione 2015/2016 disputa anch'essa il campionato di serie C regionale. Nel basket femminile Sesto è rappresentata dalla Geas Basket che milita in serie A3, dopo aver giocato molti anni in serie A1.

Il primo maggio si disputa la gara di marcia Coppa Città di Sesto San Giovanni, in cui gareggiano molti dei migliori marciatori internazionali.




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LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : SESTO SAN GIOVANNI

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Sesto San Giovanni è un comune italiano alle porte della città metropolitana di Milano. Il nome del comune si compone di Sesto, ad indicare la distanza in miglia da Milano lungo un'antica strada romana che collegava Milano e Monza (ad sextum lapidem, ovvero presso la sesta pietra miliare) e San Giovanni, indicazione introdotta a partire dal 1100, per rendere chiara la dipendenza di Sesto dalla Basilica di San Giovanni a Monza e dal suo territorio, la Corte di Monza.

Nel XX secolo è stata sede di una delle più grandi ed estese concentrazioni industriali d’Italia, con stabilimenti metallurgici, elettronici ed elettrotecnici; nello stesso secolo era fiorente anche l’industria tessile, e la produzione libraria e della carta.

Dopo Milano è il comune più popoloso della Città Metropolitana.

Il comune di Sesto San Giovanni si sviluppa nell'ansa di territorio dove il fiume Lambro interseca il Naviglio della Martesana.  Sesto è inserita nell'area metropolitana di Milano e non presenta soluzione di continuità con il capoluogo, del quale è la naturale prosecuzione. Il territorio comunale è intersecato in direzione nord-sud dalla rete ferroviaria. A est della ferrovia, oltre al centro storico, si trovano le grandi aree ex-industriali. Lungo buona parte del confine orientale del comune scorre il fiume Lambro, mentre a sud-est un breve tratto del confine del territorio comunale è tracciato dal Naviglio della Martesana.

La storia di Sesto San Giovanni si estende per più di un millennio e, dagli inizi del Novecento, si caratterizza fortemente per la presenza sui territori sestesi di alcune tra le più grandi fabbriche e industrie italiane.

Le origini del borgo sono incerte: alcuni studiosi pensano che sia stato fondato dai romani, altri attribuiscono la fondazione ai Longobardi, giunti in Italia fra il 568 e il 569 d.C. È certo che questa popolazione dominò il territorio di Sesto: si pensi che Cascina de Gatti (comune autonomo fino al 1869, poi incluso nel comune di Sesto) un tempo si chiamava Sundro, dalla parola longobarda sundrium (= terreno tenuto e lavorato dai padroni da sé e con l'opera dei servi).

Del resto, i Longobardi avevano dominato nella vicina Modicia proprio nello stesso periodo, quindi è facile immaginare che abbiano potuto espandere tale dominio anche sui territori di Sesto.

Le primissime notizie storiche relative a Sesto risalgono comunque al IX secolo e testimoniano l'importanza del paese a cui facevano riferimento, per questioni legali o notarili, gli allora comuni limitrofi, Cinexellum, Balsamum o Colonia. Anche il fatto che già allora vi fossero sul territorio sei chiese denota la rilevanza di Sesto e la sua vastità di territorio e popolazione rispetto ai borghi confinanti. Intorno all'anno 1000 fu "terra fortificata" e disponeva di un vallo difensivo e di un castello piuttosto grande, non espressione della potenza di un feudo, quanto della potenza di qualche famiglia privata.

Nel XIII secolo la parrocchiale di Sesto era l'unica di rito ambrosiano soggetta alla Basilica di Monza. Vi era presente un monastero dedicato a San Nicolao che si narrava fosse stato fondato da suor Marcellina, sorella di Sant'Ambrogio. Le prime testimonianze di un ordinamento comunale sono presenti in un documento del 1244 inserito negli "Atti del Comune di Milano”. In tale documento Sesto San Giovanni è citato come comune. Negli "Statuti delle acque e delle strade del contado di Milano fatti nel 1346" Sesto San Giovanni risulta facente parte della corte di Monza: tra il XIII e il XIV secolo era tale il dominio di Monza sui territori sestesi da arrogarsi il diritto di eleggere tutte le cariche del comune, promulgare bandi e infliggere pene e per questi motivi nacquero frequenti dissapori e liti tra gli abitanti di Sesto e i canonici di Monza; tali controversie, all'ordine del giorno per tutto il periodo in cui Sesto visse nell'orbita monzese, hanno in alcuni casi richiesto l'intervento, per dirimere le questioni, dell'Arcivescovo di Milano e addirittura del Papa. Solo nel XV secolo, sotto il pontificato di Pio II, Sesto si è affrancata dalla giurisdizione monzese, grazie alla nomina del primo parroco in Sesto da parte dell'Arcivescovo di Milano.

Sesto fu più volte interessata a fatti d'arme: nel 1259 Martino della Torre signore di Milano vi riunì l'esercito per incontrare Ezzelino III da Romano che cercava di impadronirsi della Corona ferrea a Monza. L'11 giugno del 1323 fu il campo di Re Roberto forte di 30.000 fanti e 8.000 cavalieri, che si scontrò con Galeazzo e Marco Visconti. La vicina località della Bicocca degli Arcimboldi vide lo scontro tra i Visconti e i Torriani e successivamente nel 1522 una battaglia tra l'esercito imperiale condotto da Prospero Colonna e i Francesi comandati dal Lautrech.

Agli inizi della dominazione spagnola un registro censuario di quell'anno ci dice che a Sesto vivono 437 persone (101 nuclei familiari). Il 68% della popolazione lavora nei campi, il 20% circa è costituito da piccoli artigiani, il rimanente è rappresentato da nullatenenti. I terreni coltivati appartengono a pochi grandi proprietari, molti dei quali vivono a Milano.

Nel XVI secolo Sesto vede la costruzione o l'ampliamento di alcune delle sue ville storiche: Villa Torretta, Villa Pelucca e Villa Visconti d'Aragona. Le costruzioni originarie erano ad uso agricolo, a testimonianza di un'economia locale marcatamente rurale. Durante il Rinascimento, alcune nobili famiglie milanesi decisero di acquistare terreni e ville per trasformarle in ville di delizia, dove trascorrere periodi di villeggiatura a poca distanza dalla città, nella quiete di un borgo il cui tempo era scandito dai ritmi del lavoro nei campi. Le nuove ville vennero affrescate da diversi artisti dell'epoca: Simone Barabino all'Oratorio di Santa Margherita, presso la Torretta, Agostino Santagostino alla villa Visconti d'Aragona, e Bernardino Luini che affrescò la Pelucca con il famoso ciclo degli Affreschi da villa La Pelucca oggi conservato per la maggior parte alla Pinacoteca di Brera a Milano e in altri grandi musei internazionali, come la Wallace Collection di Londra, il Louvre di Parigi e al Museo Condé di Chantilly.

Nel 1770 il censimento promosso da Maria Teresa d'Austria (gli Asburgo dominano sul Ducato di Milano dal 1714) segnala che la popolazione sestese è composta da 1277 individui. La durezza dei lavori campestri, la scarsa e povera alimentazione, le condizioni abitative malsane non hanno frenato quindi l'espansione demografica di Sesto.
Nel 1770 i sestesi sono ancora in gran parte agricoltori. Gli artigiani sono solo 19: tra questi vi sono sei sarti, quattro falegnami, due calzolai, un fabbro e un oste.

Nel 1809 al comune di Sesto San Giovanni furono aggregati, non uniti, i comuni soppressi di Cassina de' Gatti e di Sant’Alessandro e la popolazione raggiunse 2.248 unità. Dall'inizio del secolo Sesto si conferma tra le mete preferite dei nobili milanesi, che scelgono questi territori per le loro residenze di campagna, da dove potevano gestire gli appezzamenti di terreno di cui erano proprietari. Tutto il territorio, o quasi, è di proprietà di circa una trentina di famiglie: tra le più importanti gli Zorn, i Visconti, i Mylius, i Serbelloni-Busca, i Puricelli Guerra, i Vigoni e i De Ponti; questi ultimi non erano nobili, ma fattori che si arricchirono fino ad acquistare la villa e i terreni dei Visconti d'Aragona. Alla fine del secolo i De Ponti erano tra i più importanti possidenti terrieri a Sesto, con proprietà che andavano dal Rondò alla Torretta. L'economia locale è quindi basata sull'agricoltura e sull'allevamento del baco da seta, che comporterà lo sviluppo manifatturiero dalla seconda metà del secolo. La conduzione delle terre è con contratto di mezzadria fino alla metà dell'Ottocento, quando i vasti fondi agrari verranno divisi per essere gestiti da famiglie meno numerose e con contratti colonici, più brevi e adattabili agli effettivi raccolti. Il grande incremento demografico di fine secolo provocherà un surplus di manodopera nelle campagne, che verrà assorbita dalla costituenda attività manifatturiera.
Nel XIX secolo Sesto San Giovanni è costituita da un nucleo storico (compreso tra le chiese di S. Nicolao, S. Maria Assunta e S. Stefano), formato da ville e corti, e da 24 cascine sparse nel territorio circostante. I campi sono coltivati prevalentemente a frumento e mais, ma sono presenti anche importanti coltivazioni di viti e gelsi.
Proprio gli alberi di gelso, a partire dagli anni Trenta, sono all'origine della prima attività manifatturiera nel territorio di Sesto: la trattura e filatura della seta (il baco da seta infatti si nutre delle foglie dei gelsi).
La prima filanda viene aperta nel 1832 da Giuseppe Puricelli Guerra in un'ala della villa di famiglia (nel 1840 viene ammodernata con l'introduzione delle "bacinelle da macero" a vapore). Nei decenni seguenti altre se ne aggiungono: la Savini (poi Gaslini) sulla vecchia strada per Monza, la De Ponti in via Vittorio Emanuele, la Gnocchi, la Chiavelli alla cascina Valdimagna. Nel 1878 sono sette e occupano 738 persone, per lo più giovani donne e bambine impegnate in un lavoro durissimo e malsano con paghe molto basse.

Nel 1840 viene ammodernata con l'introduzione delle "bacinelle da macero" a vapore, una tecnologia d'eccellenza per l'epoca. Queste innovazioni contribuiranno al superamento del concetto artigianale e daranno lavoro a un discreto numero di persone. Nei decenni seguenti altre filande vengono aperte: quella di Enrico Mylius, la Savini (poi Gaslini, in quanto acquisita dai nobili Gaslini, una famiglia proveniente da Milano), sulla vecchia strada per Monza, la De Ponti all'interno della Villa Visconti d'Aragona, la Gnocchi, la Chiavelli alla cascina Valdimagna. Nel 1878 le filande di Sesto San Giovanni sono sette e occupano 738 persone. Nel 1840 entra in funzione la seconda linea ferroviaria d'Italia dopo la Napoli-Portici, la Milano-Monza, che ha a Sesto una stazione intermedia, destinata ad allungarsi sino al confine svizzero e a collegarsi, dal 1882, con il centro Europa attraverso la galleria del San Gottardo. Nel 1876 viene inaugurata anche la tranvia Milano-Monza, parallela alla ferrovia, inizialmente a trazione equina, e in seguito elettrificata dalla società Edison nel 1901. Queste infrastrutture collegano Sesto a Milano e ai mercati europei. Le filande vanno sempre più ad ammodernarsi, la produzione aumenta, vengono introdotti i primi macchinari e parte nella seconda metà del secolo una lenta trasformazione economica del paese: accanto all'agricoltura, trasformando un prodotto ad essa legato, il baco, nasce l'industria sestese. Allo stesso modo si forma un humus unico per la futura industrializzazione: quando sorgeranno le grandi industrie, l'operaio della filanda sarà pronto a passare ad un altro tipo di lavorazione.

Insieme ai primissimi insediamenti manifatturieri, è in questo secolo che vengono costruite e ampliate le ville destinate alle famiglie dei proprietari terrieri, dei nobili e dei primi industriali: ad esempio, la Villa Mylius, accanto a Villa Zorn, residenza di Enrico Mylius dall'inizio del XVIII secolo. Divenne un vivace salotto culturale, da cui passarono personalità come Carlo Cattaneo, Massimo D'Azeglio, Alessandro Manzoni e Vincenzo Monti. Quest'ultimo dedicherà a Sesto alcuni famosi versi, mentre il Manzoni ne I promessi sposi, farà transitare da Sesto Renzo Tramaglino, di ritorno dal Lazzaretto. Sempre a villa Mylius, Barnaba Oriani condusse, dalla torretta della villa, parte dei suoi studi astronomici. Legano i loro destini a Sesto anche alcuni tra i rappresentanti della scapigliatura milanese: Giuseppe Rovani che a Sesto condusse parte della sua vita dissipata e irregolare e il pittore Tranquillo Cremona, mantenuto dal mecenate Giuseppe Puricelli Guerra, artista ach'egli.

Sesto e i suoi cittadini partecipano ai moti risorgimentali volti ad ottenere l'indipendenza nazionale: nel 1848 alcuni sestesi partecipano alle organizzazioni clandestine milanesi, alla prima guerra di indipendenza italiana, alle cinque giornate di Milano, alla spedizione dei Mille, alla seconda e terza guerra di indipendenza italiana. Sesto partecipa anche alla guerra d'Africa del 1896 e il concittadino Gaetano Gaslini, tenente dell'esercito, medaglia d'argento al valor militare, muore ad Adua.

Nel 1861, con la costituzione del Regno d’Italia, il comune di Sesto contava 4.344 abitanti. Nel 1866 la frazione di Occhiate venne separata da Sesto e venne aggregata a Brugherio. Nel 1869, il comune soppresso di Cassina de' Gatti viene definitivamente unito al comune di Sesto San Giovanni. Nel 1880 Sesto contava circa 6.000 abitanti e disponeva già delle infrastrutture che ne favoriranno il successivo sviluppo. Secondo una statistica di fine secolo, nel territorio sestese si contavano oltre diecimila alberi di gelso. Dalla loro coltivazione e dall'allevamento del baco da seta gli affittuari ricavavano denaro contante, grazie soprattutto alle filande cittadine che contribuiranno alla trasformazione dell'economia cittadina, da agricola ad agro-manifatturiera. Il raccolto dei cereali serviva invece a pagare l'affitto ai proprietari e a sfamare le famiglie.

Rispettivamente nel 1880 e nel 1883 vengono fondate a Sesto la Società di mutuo soccorso fra operai e contadini, di ispirazione laica e risorgimentale, e la Società cattolica di mutuo soccorso San Clemente, sciolta dopo i moti milanesi del 1898 perché ritenuta sovversiva.

La prima società che si insedia a Sesto è la Tessitura meccanica di nastri dell'austriaco Sigmund Strauss nel 1889. Nel 1893 la ditta Strauss impiega 40 operai e dispone di 128 telai meccanici.
Nel 1891 sorge la più antica fra le grandi imprese sestesi, l'Osva.

Verso la fine del secolo, l'industria serica sestese conosce un periodo di deciso declino: il tessile si sviluppa più a nord, dove le pendenze favorivano lo sfruttamento idrico come forza motrice. A Sesto aprono le prime officine, che cominciano ad assorbire gli operai e le operaie delle filande rimasti senza lavoro. La svolta per l'industria è rappresentata con l'apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo, collegata alla Milano-Monza: Sesto e i suoi territori possono finalmente accogliere le materie prime (minerale di ferro) e l'energia necessaria (carbone) per la costituenda industria siderurgica. Nel 1887 comincia a Sesto San Giovanni il processo di insediamento industriale: apre la tessitura meccanica di nastri Sigmund Strauss che introduce criteri industriali moderni e diversi rispetto ai sistemi esistenti. Nel 1891 apre la O.S.V.A., ovvero la Officine Sesto San Giovanni & Valsecchi Abramo, storica azienda italiana produttrice di articoli per ferramenta, per la casa, rubinetterie e, in un secondo tempo, elettrodomestici.
A cavallo tra Ottocento e Novecento comincia l'industrializzazione sestese: alcuni imprenditori milanesi (Breda, Camona, Marelli, Spadaccini) hanno necessità di spostare dal capoluogo lombardo i propri stabilimenti e Sesto fa al caso loro: il territorio sestese offre ampi spazi per imprese sempre più grandi e moderne, terreni a prezzi più bassi e di ottima qualità perché lontani dalle marcite della bassa milanese; il territorio disponeva anche delle necessarie infrastrutture: frequenti e comodi collegamenti con Milano erano assicurati dalla tramvia e grazie alla ferrovia e allo scalo merci venivano raggiunte le regioni del centro Europa. Le aziende che iniziano le attività produttive a Sesto San Giovanni necessitano di manodopera in abbondanza e gran parte dei primi operai sono pendolari che dal Lecchese, dal Comasco, dal Bresciano e dal Bergamasco arrivano a Sesto grazie alla ferrovia. Da Milano invece, arrivano in tram i tecnici che studiano e progettano i futuri stabilimenti produttivi.

Nei primi 20 anni del Novecento aprono a Sesto San Giovanni moltissime imprese: nel 1903 la Breda e lo stabilimento Campari; due anni dopo è la volta della Ercole Marelli, delle Edizioni Madella, delle fonderie di ghisa di Attilio Franco e di Luigi Balconi, dello stabilimento delle Pompe Gabbioneta e delle corderie Luigi Spadaccini. Nel 1906 aprono gli stabilimenti delle Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck e nel 1910 la Società italiana dei prodotti alimentari Maggi. È in questo periodo che Sesto San Giovanni viene soprannominata la piccola Manchester, città tra le più importanti della rivoluzione industriale in Inghilterra.

Con le prime fabbriche vi è anche un notevole incremento della popolazione: nel 1901 gli abitanti sono 6.952, dieci anni dopo raggiungono le 13.667 unità. Questo aumento favorisce, parallelamente, lo sviluppo urbanistico della città: tra il 1903 e il 1911 nasce la Sesto nuova, a ovest della ferrovia, attorno al Rondò. Alcuni degli imprenditori che a Sesto hanno partecipato all'industrializzazione contribuiscono in modo determinante alla crescita urbanistica della cittadina. Ernesto Breda e Luigi Spadaccini, tra le attuali vie Rovani, Cattaneo e Carducci costruiscono diverse case d'abitazione per i propri operai e impiegati. La Falck costruisce il Villaggio Falck, ampliando l'originario villaggio operaio delle fonderie Attilio Franco. Questa tendenza paternalistica perdura sino al 1940 circa: per poter avere a disposizione manodopera stabile vengono costruiti alloggi e stabili abitativi da diverse imprese sestesi, come ad esempio Osva, Gabbioneta ed Ercole Marelli. È in questi anni che va costituendosi il movimento operaio sestese con organizzazioni, sindacati e società di mutuo soccorso di orientamento cattolico e, soprattutto, socialista.

I socialisti già nel 1904 danno vita a un luogo di incontro per i lavoratori alternativo alla parrocchia, il Circolo Avvenire. Fondato in via Garibaldi da Carlo Borromeo, un tipografo che in questi anni è il personaggio di maggior spicco del socialismo sestese, il Circolo dà vita a numerose iniziative culturali e sociali a favore dei lavoratori e intorno a esso vedono la luce altre imprese destinate a rafforzare i legami tra lavoratori e movimento socialista.
Si deve ricordare a questo proposito la fondazione della Cooperativa di costruzione, per l'edificazione di case operaie (la prima casa è del 1910). All'attivismo dei socialisti, i cattolici oppongono iniziative simili (nel 1905 nasce il Circolo S. Clemente, propiziatore di iniziative sociali e culturali - è di quegli anni l'istituzione del Forno sociale e della Latteria sociale cooperativa di cascina de Gatti), ma risulta ben presto evidente la loro difficoltà a comprendere il fenomeno nuovo della grande fabbrica, di dare risposte ai problemi degli operai e di fornire loro prospettive di vita migliori.

L'attività dei socialisti a Sesto San Giovanni precede di diversi anni la nascita della sezione locale del Partito socialista, che avviene nel 1911. Nello stesso anno nascono anche i primi giornali stampati a Sesto e sono periodici essenzialmente politici: "Sesto lavoratrice" dei socialisti e l'"Indipendente" dei ceti moderati. I cattolici hanno invece come propria testata "Il Cittadino" di Monza che dal 1911 riporta la cronaca sestese.
Il primo confronto politico ufficiale avviene a Sesto San Giovanni nel luglio del 1914 con le elezioni amministrative. Con grande sorpresa anche degli stessi socialisti il Psi vince le elezioni contro un fronte moderato disunito, ma avendo presentato un numero insufficiente di candidati nella propria lista (14 su un totale di 30 consiglieri eletti con sistema maggioritario) non è in grado di governare la città.
Questo errore, dovuto all'incapacità dei socialisti di valutare la propria forza, porta a nuove elezioni nel dicembre dello stesso anno. Il fronte clerico-moderato, dopo lo spavento di luglio, si organizza e coinvolge nella battaglia alcuni tra i maggiori imprenditori sestesi: Marelli, Gabbioneta, Spadaccini, Strauss. La lista moderata questa volta vince, ma i socialisti vedono aumentare ancora i propri voti di 200 unità.
Durante la I guerra mondiale il Partito socialista sestese sviluppa una forte propaganda nelle fabbriche contro il conflitto, tanto che alla fine della guerra i socialisti sono maggioranza assoluta a Sesto.
Nel 1919 costituiscono la Camera del lavoro locale; nello stesso anno sono attivi ben quattro circoli socialisti: oltre all'Avvenire, il Torretta, il Nuova Sesto e il Gioconda. I cattolici sestesi danno vita sempre in quell'anno alla sezione locale del Partito popolare (il loro leader è Angelo Mandelli).
Nel periodo della prima guerra mondiale la città ha un atteggiamento abbastanza tiepido e, da parte dei ceti popolari e proletari, vi fu una decisa adesione alle idee e alle tematiche non interventiste. Le industrie sestesi si ampliano, si rinforzano anche grazie alle molte commesse pubbliche e alla conversione alla produzione bellica; la Falck, ad esempio, apre a partire dal 1917 gli stabilimenti Concordia, Vittoria e Vulcano che si affiancano allo storico stabilimento Unione. Vengono costituiti quattro "gruppi industriali integrati": Falck, Breda, Marelli e Pirelli, ognuno dei quali era organizzato e articolato in diversi stabilimenti. La fisionomia della città cambia nuovamente e prende forma la grande cintura industriale che caratterizzerà il territorio sestese per tutto il secolo e oltre.

Gli anni che vanno dal 1922 al 1930 sono anni di ripresa per l'industria sestese dopo la crisi economica post-bellica. Le grandi imprese di Sesto (Breda, Falck, Ercole e Magneti Marelli, Osva), riconvertiti i propri impianti per la produzione del tempo di pace, si consolidano, rinnovano i macchinari e ampliano il ventaglio della propria produzione. In questi anni nascono tra l'altro lo stabilimento B (accumulatori) della Magneti Marelli (1927) e la Società anonima lavorazione pelli e affini (Salpa) dell'imprenditore Riccardo Gualino, acquistata nel 1932 dalla Pirelli.
La crisi economica americana del 1929 influisce sull'economia italiana a partire dal 1930. A Sesto la crisi si manifesta con licenziamenti e tagli salariali.
La ripresa avviene solo a partire dalla metà degli anni Trenta in concomitanza con l'avventura coloniale dell'Italia in Abissinia e con l'appoggio alle truppe ribelli di Franco in Spagna. L'industria sestese si converte nuovamente alla produzione di armi.

Alla fine del 1919 si tengono le elezioni politiche. A Sesto il trionfo dei socialisti è indiscutibile: gli iscritti al voto sono 4.309, i socialisti ottengono 1.866 voti, i popolari 689, i combattenti 144, i fascisti 92 (il Fascio di Sesto viene fondato nel 1920 da Asvero Gravelli, da Gabbioneta e Angelo Menin, proprietari delle omonime imprese).
Nel 1920 nasce il Partito liberale di Sesto che si dota subito di un proprio giornale, "La Voce di Sesto".
Nell'ottobre del 1920 il Partito socialista conquista il Comune: alle elezioni amministrative ottiene 2.226 voti contro gli 873 del Partito popolare.
La prima amministrazione socialista nella storia di Sesto San Giovanni cerca di attuare una politica a favore della parte più povera della popolazione utilizzando lo strumento della maggiore tassazione nei confronti di industriali, esercenti e impiegati.
I bisogni dei ceti popolari sono enormi perché le amministrazioni comunali che si sono succedute dall'inizio del secolo sono state carenti per quanto riguarda la realizzazione di opere pubbliche e il miglioramento delle condizioni sanitarie proprio in un'epoca di enormi trasformazioni che hanno mutato radicalmente il volto della città.
La prima amministrazione socialista di Sesto San Giovanni (in carica dall'ottobre 1920) non ha vita lunga né facile: l'opposizione di industriali e ceti possidenti ai tentativi della Giunta di attuare una politica più attenta alle necessità dei ceti popolari trova una valida alleata nel Fascio di combattimento di Sesto, sorto alla fine dello stesso anno.
Le prime violenze dei fascisti contro le organizzazioni dei lavoratori sono dell'aprile 1921: la loro "impresa" più significativa porta alla distruzione della Camera del lavoro.
Col 1922 le azioni si intensificano: in gennaio è devastato il Circolo cattolico S. Clemente (subisce una seconda aggressione nel 1929); sono inoltre ripetutamente colpiti, oltre ai circoli socialisti, il ritrovo degli antifascisti romagnoli, il caffè Sport, e quello dei toscani, il caffè Risorgimento. L'attivismo fascista culmina il 31 ottobre 1922, pochi giorni dopo la Marcia su Roma, nell'occupazione del Municipio.

Le violenze fasciste non piegano la popolazione sestese: alle elezioni politiche del 1924 il Listone fascista ottiene 885 voti, ma le tre liste di sinistra, dei massimalisti, dei socialisti unitari e dei comunisti (il Partito comunista d'Italia è nato nel 1921), ottengono rispettivamente 723, 639 e 554 voti.

Nel 1922, l'allora sindaco socialista Umberto Comi si rifiuta di consegnare il Comune ai fascisti, appellandosi al mandato popolare che lo aveva eletto.
I popolari sestesi, come quelli di tutta la Brianza, a differenza che nel resto d'Italia, si sono allontanati dai fascisti a causa delle violenze contro i circoli cattolici e ottengono 885 voti. La maggioranza della popolazione di Sesto mostra il proprio antifascismo e tale sentimento si rafforza dopo il delitto del deputato socialista Giacomo Matteotti.
I fascisti cercano di piegare l'opposizione con i soliti metodi: nel 1926 Giovanni Rabino, segretario comunale socialista, viene ucciso a manganellate. Nel frattempo aumentano le iscrizioni sul "registro dei sovversivi" dell'Ufficio di polizia: sono solo 3 nel 1923, divengono 335 a fine luglio del 1925, mentre nel gennaio 1927 salgono a 800.
Le fabbriche di Sesto divengono un luogo di rifugio per lavoratori antifascisti provenienti da altre regioni.

Nel novembre 1926 sono promulgate in Italia le leggi eccezionali: tutte le organizzazioni e i partiti non fascisti vengono sciolti, sono abolite le libertà fondamentali di parola, d'opinione e di stampa. A Sesto San Giovanni i socialisti faticano a formare un'organizzazione clandestina e si sciolgono.

Stessa sorte tocca al Partito popolare (i cattolici sestesi in opposizione alle organizzazioni del regime si impegneranno nell'associazionismo cattolico). Solo il Partito comunista mantiene in vita una rete clandestina, imperniata su cellule di fabbrica composte da non più di cinque individui.
Il grado di opposizione al regime può essere valutato prendendo in considerazione i dati del primo referendum del regime, svoltosi nel marzo 1929: su 5.969 aventi diritto al voto si contano 756 voti contrari al fascismo, non pochi se si pensa che le schede di voto sono quasi trasparenti, dunque il voto non è affatto segreto e coloro che votano no rischiano pesanti bastonature.
Nel corso degli anni Trenta gli antifascisti operano in particolare all'interno della Breda, della Ercole Marelli e della Falck. La Breda soprattutto è il cardine della lotta antifascista. L'opera di fascistizzazione all'interno di questa società non ottiene grandi risultati: nel 1932 su 5.888 dipendenti solo 252 sono iscritti al Partito nazionale fascista.

Alla Ercole Marelli è attiva un'organizzazione clandestina; alla Falck operano significativi nuclei comunisti negli stabilimenti Concordia e Unione. Gli antifascisti nelle fabbriche, oltre a svolgere una rischiosa opera di propaganda, si impegnano in un lavoro pericoloso di infiltrazione nei sindacati fascisti per cercare di promuovere azioni sindacali così ben congegnate da coinvolgere gran parte dei lavoratori di interi reparti.
L'opera degli antifascisti subisce continue battute d'arresto: nel 1930 e nel 1939 due grandi ondate di arresti portano in carcere oltre 200 tra comunisti, socialisti e anarchici che in gran parte vengono deferiti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Decine di questi vengono inviati alle isole di confino.
Tra il 1936 e il 1942 Sesto San Giovanni vede insediarsi sul proprio territorio numerose piccole e medie imprese meccaniche ed elettromeccaniche attirate dalla ricchezza di infrastrutture della città. Contemporaneamente la sua popolazione cresce: nel 1940 ha 40.000

L'antifascismo della popolazione sestese si rafforza con l'inizio della II guerra mondiale. Le condizioni di vita nelle fabbriche divengono più difficili dopo la decisione del governo di militarizzare i lavoratori. L'andamento negativo del conflitto si fa sentire sulle famiglie: aumenta l'inflazione e gli stipendi non crescono di conseguenza, scarseggia il cibo e si diffonde il fenomeno della borsa nera.
Nel febbraio e nel novembre 1942 e poi nel febbraio 1943 avvengono brevi scioperi spontanei nelle fabbriche: annunciano agitazioni ben più importanti.

Sull'esempio degli scioperi del '43 di Torino e Genova viene organizzato anche nelle fabbriche sestesi un grande sciopero di massa: la mattina del 23 marzo l'appello allo sciopero in alcuni reparti della Ercole Marelli trova una pronta adesione da parte dei lavoratori. Al suono della sirena tutti i 1000 dipendenti del secondo stabilimento incrociano le braccia, mentre la direzione si affretta a informare le autorità politiche. Il prefetto di Milano e i fascisti minacciano raffiche di mitra per chi non riprende il lavoro, ma l'attività non riprende per l'intera giornata. Il giorno dopo vengono arrestati alcuni organizzatori della protesta, tra questi Giulio Casiraghi e Umberto Fogagnolo, che saranno insieme nella morte, l'anno successivo, in quella che verrà ricordata come la Strage di Piazzale Loreto. Ma nello stesso giorno la sollevazione si espande: scioperano, insieme agli operai della Marelli, gli operai di alcuni reparti della Falck e due sezioni della Breda. Sempre alla Breda si registra un altro imponente sciopero del novembre del '43, quando la fabbrica si ferma al completo e gli stabilimenti vengono circondati da una colonna di carri armati. Per la prima volta il duro tedesco, il nemico fino ad allora creduto invincibile, accoglie una delegazione di lavoratori e sembra aperto a una trattativa. L'intuizione che il nemico sia sempre più debole e stia per crollare è sempre più diffusa. Con gli scioperi del 1943 si preannuncia ciò che verrà confermato nei successivi due anni di lotta clandestina e armata che porterà alla Liberazione: le fabbriche di Sesto San Giovanni sono il presidio avanzato, l'elemento animatore e dirigente della lotta contro il nazifascismo.

Pochi giorni dopo la firma dell'armistizio che pone fine alle ostilità tra i militari italiani e quelli anglo-americani, Mussolini dà vita alla Repubblica sociale italiana.
I tedeschi in ottobre creano dei presidi all'interno delle maggiori fabbriche per vigilare sulla produzione e per evitare sabotaggi. Alla fine di ottobre i comunisti milanesi formano i primi Gruppi di azione patriottica (Gap) incaricati di compiere coraggiose azioni militari contro i nazisti: nelle loro file entrano molti lavoratori sestesi. Una delle imprese più clamorose dei Gap (alcuni sono operai della Breda) a Sesto viene compiuta nel febbraio 1944 con l'assalto alla Casa del fascio nella centrale piazza IV novembre.
Il controllo dei nazisti sulle fabbriche non ferma a lungo la protesta dei lavoratori: all'inizio del novembre 1943 le maestranze della Breda scioperano e manifestano contro il licenziamento di molte donne.
Il 13 dicembre poi viene proclamato uno sciopero generale, che è allo stesso tempo politico ed economico, per ottenere la liberazione dei detenuti politici, il miglioramento degli spacci aziendali e delle mense, l'aumento dei salari. Lo sciopero ha un grande successo e coinvolge le maggiori fabbriche sestesi.
All'inizio del 1944 nasce il Comitato di liberazione nazionale (Cln) di Sesto San Giovanni. Lo costituiscono: Mario Finetti per il Partito comunista, Dario Tagliaferri per il Partito socialista di unità proletaria, Mario Asti per la Democrazia cristiana, Umberto Fogagnolo per il Partito d'Azione.
Nello stesso periodo entrano in funzione nelle più importanti fabbriche i Comitati segreti di agitazione che riuniscono esponenti comunisti, socialisti, azionisti e democristiani.
La Resistenza contro i nazi-fascisti coinvolge nel frattempo l'intera cittadinanza: non si contano gli episodi di sostegno ai militari sbandati dopo l'8 settembre e ai perseguitati politici. Un esempio fra i tanti: nell'aprile del 1944 alcune donne, grazie all'aiuto dei ferrovieri dello scalo merci, aprono tre vagoni piombati di un treno in sosta e liberano più di cento giovani rastrellati alla Benedicta (ex convento sull'Appennino ligure-piemontese) dai nazi-fascisti e destinati ai campi di concentramento.
Sempre in aprile, il giorno 30, l'industria sestese subisce un duro colpo per il bombardamento da parte degli americani della sezione aeronautica Breda che viene rasa al suolo.
Il 1° marzo 1944 un nuovo sciopero generale: a Sesto si fermano oltre 45.000 operai, impiegati e tecnici. Cominciano dopo lo sciopero massicci arresti di lavoratori (inviati quasi tutti nei lager nazisti): alla sola Breda, ad esempio, vengono arrestate oltre 120 persone. La repressione non piega la rivolta, che anzi si fa più radicale e organizzata: nella primavera del 1944 i comunisti creano le Squadre di azione patriottica (Sap) composte in prevalenza da operai che non entrano in clandestinità come i gappisti, ma affiancano all'attività lavorativa azioni di disarmo, di sabotaggio e di propaganda.
Nel giro di pochi mesi nascono Sap socialiste e repubblicane. Numerosi lavoratori sestesi si uniscono alle formazioni partigiane che operano sulle montagne lecchesi, in Ossola e nell'Oltrepò pavese. All'inizio del 1945 i democristiani costituiscono un distaccamento sestese della 25ª Brigata del Popolo. La Resistenza a Sesto San Giovanni coinvolge anche alcuni imprenditori: il caso più significativo è quello di Enrico Falck, militante cattolico antifascista arrestato nel gennaio 1945 e scarcerato alla Liberazione.
La fine del fascismo è scandita da un'ondata di scioperi a partire dal 12 aprile 1945. Il 25 aprile lo sciopero generale annuncia l'insurrezione: gli operai armati presidiano le maggiori fabbriche. I pochi scontri con fascisti in fuga finiscono la sera del 27 aprile, gli alleati arrivano in città il giorno dopo. Il Cln assume il potere e insedia la Giunta comunale: è nominato sindaco Rodolfo Camagni (Pci), vicesindaci sono Enrico Recalcati (Dc) e Francesco Merli (Psiup).

Il 18 giugno 1971 la città ottiene con decreto presidenziale la ricompensa della Medaglia d'oro al valor militare per il contributo fornito dalla sua cittadinanza alla lotta di Liberazione dai nazi-fascisti. Nei venti mesi dell'occupazione nazista oltre 1.000 lavoratori di fabbriche sestesi vengono arrestati, 539 finiscono nei campi di sterminio e di lavoro nazisti, 222 di essi muoiono. Poco meno di 100 partigiani sestesi cadono in combattimento o sono fucilati. Centinaia i militari sestesi deportati dopo l'8 settembre in Germania nei campi di prigionia.

Terminata la guerra i sestesi devono fare i conti con problemi gravissimi. Vi è innanzitutto una grave mancanza di cibo e la Giunta comunale del Cln, appena insediata, affronta l'emergenza: alcuni magazzini statali vengono requisiti, coloro che nascondono derrate alimentari per la borsa nera sono perseguiti.
Contemporaneamente vengono create aziende agricole sui terreni liberi di alcune grandi imprese (Breda, Ercole Marelli, Falck). Grazie a questi e ad altri provvedimenti la città supera il momento più difficile.
Vi è poi il problema del lavoro. Le fabbriche di Sesto, se si fa eccezione per la Breda, non hanno subito pesanti bombardamenti, ma sono in ginocchio: tutte hanno prosperato con la produzione di armamenti e i loro organici si sono gonfiati.
Bisogna pensare a riconvertire le produzioni, bisogna far fronte alla scarsità di materie prime per le lavorazioni, alla carenza di liquidità finanziaria, alla difficoltà di far muovere le merci su un territorio sconvolto dalle distruzioni.
I lavoratori e i loro organismi rappresentativi (Commissioni interne e Consigli di gestione) assumono nel periodo immediatamente successivo alla guerra un ruolo di primo piano nelle fabbriche e cercano di riorganizzare le produzioni mantenendo intatto il livello occupazionale. Il tentativo fallisce e ben presto l'iniziativa torna esclusivamente nelle mani dei proprietari che avviano delle decise politiche di risanamento e ristrutturazione che hanno alti costi sociali.

Tra 1949 e 1951 le grandi imprese licenziano migliaia di individui, dopo aspre lotte di difesa dell'occupazione da parte dei lavoratori (è in questo periodo che si rafforza il mito di Sesto come "Stalingrado d'Italia", mito nato durante la Resistenza). Parallelamente, con il sostegno dello Stato che utilizza i fondi del Piano Marshall, rinnovano gli impianti e i macchinari e tagliano alcuni settori produttivi: il caso più famoso è quello della Breda che rinuncia alla produzione aeronautica.

La Giunta comunale del Cln rimane in carica fino alle prime elezioni amministrative (7 aprile 1946). I risultati delle elezioni sono molto chiari: il Partito comunista ottiene il 39% dei voti, il Partito socialista il 31,5%, la Democrazia cristiana il 27,5%, il Partito repubblicano poco più del 2%. Si insedia la prima di una serie di giunte di sinistra ed è eletto sindaco Abramo Oldrini, comunista ed ex deportato operaio della Breda. A giugno si vota il referendum istituzionale monarchia-repubblica: a Sesto San Giovanni la Repubblica ottiene l'86% dei voti.
La Giunta Oldrini gestisce uno dei periodi più vivaci nella vita della città: dalla crisi economica del secondo dopoguerra al boom economico. L'Amministrazione si impegna in una politica sociale di vasto respiro, per molti versi un modello per altri comuni: molte risorse vengono stanziate per opere pubbliche di primaria importanza come la costruzione o il rifacimento di strade, l'edificazione di scuole e dell'ospedale, il miglioramento del sistema idrico e di quello fognario, la costruzione di case popolari. Contemporaneamente sono fondate la Biblioteca civica - che oltre all'attività del prestito librario svolge opera di promozione culturale organizzando incontri, mostre di pittura, dibattiti, letture pubbliche di volumi - e le Scuole civiche di pittura e musica.
Il successore di Oldrini è Giuseppe Carrà (comunista, partigiano ed ex lavoratore della Breda, sindaco dal 1962 al 1970) che deve affrontare il problema della massiccia immigrazione in città di lavoratori meridionali.
È però già dall'inizio degli anni Cinquanta che la popolazione di Sesto cresce impetuosamente: nel 1951 la città ha 45.027 abitanti, nel 1961 arriva a 71.497 e dieci anni dopo tocca gli 89.413 residenti.

Per tutti gli anni sessanta il movimento operaio sestese è ancora molto forte: vengono organizzati scioperi e contestazioni, auotogestioni e manifestazioni per ottenere il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Nel 1962 si sciopera per il contratto collettivo nazionale di lavoro e le proteste proseguono per nove mesi, dal 1966 al 1968 ci sono altri scioperi per il rinnovo del contratto alla Breda, alla Ercole Marelli e alla Falck. Ma è il rinnovo del contratto del 1969 che vede il momento più alto della lotta sindacale: Sesto è coinvolta a tutti i livelli nelle contrattazioni del periodo noto come autunno caldo. La cosiddetta linea dura degli studenti che parteciparono al Sessantotto venne accolta dai giovani operai della Ercole Marelli, che organizzeranno dei blocchi stradali totali.

Dalle lotte del movimento operaio e studentesco del 1968 e del 1969, l'Italia eredita i suoi anni di piombo e Sesto, con le sue fabbriche e i suoi operai e le tantissime lotte sindacali che dall'inizio del secolo si sono intersecate nel tessuto cittadino, non ne sarà esente. Nel 1971, proprio nel pieno della strategia della tensione, Sesto fu colpita da un attentato di matrice fascista: nella notte tra il 22 e il il 23 maggio esplose un ordigno alla base del Monumento alla Resistenza, nel pieno centro cittadino. L'attentato venne rivendicato dalle SAM che nella stessa notte firmarono altri due attentati a Milano. Dopo l'episodio, vi furono manifestazioni spontanee di cittadini antifascisti presso il monumento e per il 24 maggio venne indetto uno sciopero di un'ora nelle maggiori fabbriche cittadine.

Nel 1976, il giovane sestese Walter Alasia, figlio di operai della Pirelli, iscritto prima a Lotta continua, poi entrato a far parte delle Brigate Rosse, rimarrà ucciso in uno scontro a fuoco in cui persero la vita il maresciallo dell'antiterrorismo Bazzega e l'allora vicequestore di Sesto San Giovanni, Padovani. Ad Alasia venne intitolata la "colonna" milanese delle Brigate Rosse, la colonna Walter Alasia che nel 1980, ormai fuoriuscita dall'organizzazione, uccise il direttore del personale della Ercole Marelli Renato Briano e il direttore tecnico della Falck, Manfredo Mazzanti.

Dall'inizio degli anni sessanta sino a metà anni settanta, diversi eventi hanno un forte impatto sulle aziende sestesi: tutto il paese conosce la recessione economica, dal 1968 c'è una contrazione dell'elettromeccanico e della meccanica pesante, dal 1971 la crisi della siderurgia mondiale e infine la crisi energetica, nel 1974. Nonostante le lotte e le rivendicazioni sindacali, le aziende sestesi fronteggiano queste difficoltà riducendo drasticamente il personale e varando radicali piani di ristrutturazione e riorganizzazione aziendali.

Nel 1978 il picco più alto con 98.739 residenti. La Giunta fa fronte al problema con una politica di accoglienza e rafforzando la propria azione sul piano urbanistico: nuove porzioni del territorio vengono destinate all'edilizia economica popolare.
Durante l'amministrazione Carrà la prima linea (rossa) della Metropolitana milanese giunge a Sesto: nel novembre 1964 viene inaugurata la stazione Sesto Marelli (la Metropolitana raggiungerà nel 1986 il centro della città con la fermata Sesto Rondò e successivamente la stazione ferroviaria con la fermata Sesto F.S.).
Nel 1970 è eletto sindaco Liberato Biagi (socialista, ex partigiano, assistente sociale e sindacalista). La sua azione si sviluppa nel periodo in cui iniziano a manifestarsi a Sesto i sintomi di crisi della grande industria elettromeccanica, meccanica e siderurgica. Sul piano politico-sociale la Giunta Biagi è attenta in particolare ai problemi dei giovani: vengono inaugurate in questo periodo la colonia permanente di Rota Imagna e il centro di vacanza a Marina di Bibbona. Per gli anziani si rafforza l'assistenza domiciliare; sono inoltre istituite le Condotte sociali di quartiere.

Quegli degli anni settanta sono solo i prodromi di ciò che inevitabilmente succederà a partire dagli anni ottanta, quando le grandi imprese sestesi cominciano a chiudere i battenti. Nel 1983 chiude la Ercole Marelli, l'anno successivo è la volta della Magneti Marelli. Negli stessi anni Breda e la Falck affrontano le difficoltà dei settori produttivi in cui sono impegnate: meccanica pesante, siderurgia, nucleare. Si susseguono chiusure di stabilimenti, reparti e riduzioni di personale. Nei primi anni novanta anche le due più grandi imprese storiche di Sesto San Giovanni mettono la parola fine alla loro quasi centenaria storia produttiva. Comincia una grande crisi occupazionale: in migliaia perdono il lavoro; per dare una misura della portata della crisi si pensi che la sola Falck tra 1980 e il 1986 licenzia quasi settemila dipendenti.

Si verifica un vero e proprio abbandono delle aree produttive e l’amministrazione Comunale decide di avviare, a metà degli anni ottanta, la progettazione di un nuovo PRG volto a sostituire quello vigente, del 1973. Il nuovo PRG, adottato nel 1994, conferma la destinazione d'uso industriale per le superfici occupate dalla società siderurgica Falck.

Nel 1995 la Falck smantella tutti gli impianti siderurgici di Sesto. Viste le scarse possibilità di guadagno con una vendita, il Gruppo Falck decide di affidare all'architetto Kenzo Tange il progetto per una riqualificazione delle aree. Nello stesso anno si costituisce l’Agenzia Sviluppo del Nord Milano, a cui partecipano i comuni di Sesto San Giovanni, Bresso, Cologno Monzese, Cinisello Balsamo, la Provincia di Milano, la camera di Commercio e altre aziende a partecipazione pubblica e privata presenti sul territorio.

È in questi anni che avviene la cosiddetta terziarizzazione di Sesto e molte sono le aziende nazionali ed internazionali che scelgono la città per insediare le loro sedi o filiali. Tra queste, Alitalia, Oracle, Wind, Epson, ABB e Alstom. C'è un rilevante sviluppo, durante tutti gli anni novanta e anche oltre, di diverse attività connesse al settore terziario: sul territorio sestese nascono molte imprese impegnate nel commercio all'ingrosso e nel trasporto delle merci. Insieme all'aumento delle attività nel terziario si assiste a un sensibile incremento delle attività creditizie e assicurative.

Le aree ex industriali di Sesto rimangono per la gran parte ancora da riqualificare: negli anni novanta e nei primi anni 2000 diversi sono stati i progetti, le proposte e i dibattiti sulle diverse destinazioni possibili, finché nel 2008 viene presentato un progetto di riqualificazione dell'architetto Renzo Piano che negli anni seguenti verrà adottato dall'amministrazione. il progetto prevede la riqualificazione di tutta l'area ex Falck, dei viali Italia ed Edison.

La Sesto San Giovanni di oggi non è più identificabile come la "cittadella delle fabbriche" o come la "piccola Manchester", né forse come la "Stalingrado d'Italia": le vicende economiche e politiche che ne hanno segnato la storia, specialmente nell'ultimo secolo, le permettono tuttavia di conservare una propria originalità. La fine delle grandi imprese, la chiusura delle grandi fabbriche, la disgregazione della classe operaia non sono coincise con la fine della città, anche dal punto di vista culturale: il patrimonio di esperienze e conoscenze di imprenditori, tecnici e operai che a Sesto ha formato la cultura del lavoro nel corso del Novecento non è andato disperso, ma è stato anzi sfruttato per superare i momenti più critici determinati dalla fine delle imprese e dei contratti lavorativi tradizionali, per rilanciare la città come importante polo economico-produttivo.

Persone legate a Sesto San Giovanni:
Federico Faruffini, noto pittore italiano, nato a Sesto.
Gaetano Gaslini, tenente dell'esercito, medaglia d'argento al valor militare, caduto ad Adua nel 1894, nato a Sesto, dove gli è dedicata una via.
Enrico Mylius, imprenditore, banchiere e filantropo tedesco, residente a Sesto dagli inizi dell'Ottocento, ha dato il nome a Villa Mylius.
Gianfranco Paglia, ufficiale paracadutista, Medaglia d'oro al valore militare, deputato di Futuro e Libertà per l'Italia, nato a Sesto.
Giuseppe Rovani, scrittore italiano, per molti anni residente a Sesto.
Valerio Staffelli, personaggio televisivo, residente a Sesto.
Gino Strada, fondatore di Emergency, nato a Sesto.
Ezio Monti, Generale di squadra aerea, pilota pluridecorato della Regia Aeronautica, nato a Sesto
Mabel Bocchi, cestista.
Andrea Bondanini, nuotatore di fondo, nato a Sesto.
Massimiliano Caniato, ex portiere italiano.
Massimo Carrera, calciatore, nato a Sesto.
Raffaello Ducceschi, marciatore, nato a Sesto.
Barbara Fusar Poli, pattinatrice, nata a Sesto.
Alessandro Gandellini, marciatore, residente a Sesto
Lorenzo Gaslini, calciatore e aviatore, nato a Sesto.
Stefano Guberti, calciatore italiano, nato a Sesto.
Fabio Macellari, calciatore italiano, nato a Sesto
Ferdinando Terruzzi, pistard, nato a Sesto



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