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giovedì 20 agosto 2015

ROVATO

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Rovato è un comune della provincia di Brescia.

Il 2 giugno 2014 ha ottenuto il riconoscimento del titolo di città.

Secondo la tradizione, c'era un tempio al dio Sole, culto diffuso tra i legionari dalla fine del sesto secolo A.C.. Si notano sul monte Orfano sistemi di fortificazione costruito secondo i dettami tecnico strategici tipicamente gallici: cioè bastioni costituiti da potenti recinti di massi e pali; più all'interno si scorgono costruzioni destinate agli uomini e cioè recinti per cavalli; magazzini per attrezzi ed alimenti. L'area del convento dell'Annunciata e di S. Michele sopra Rovato costituiva il vero caposaldo del territorio dotato di potenti e articolate fortificazioni. La costruzione e il mantenimento di queste costruzioni difensive fu possibile grazie alla straordinaria ricchezza di queste zone quanto a legname pietre ed acqua.

La prosperità del popolo Cenomano e delle sue conquiste in Franciacorta volge a termine nel primo secolo a.C., con l'avvento dei Romani. Era il tempo di Giulio Cesare e della Gallia Cisalpina, tempo di grande innovatività nei settori del commercio, dell'agricoltura, dell'edilizia. Proprio in questo periodo di estrema floridezza la Franciacorta acquista importanza e si organizza attorno al castrum di Rovato, collegato ad opere militari sul Monte Orfano e sui colli circostanti, che divenne il fulcro di tutto quanto il sistema accentrando la funzione militare, artigianale, commerciale e rurale. La riorganizzazione militare dell'area del Monte Orfano in particolare a Rovato diede la seguente struttura del territorio: venne edificato un poderoso castrum consistente nel quadrilatero urbano, all'interno del quale altri quadrilateri, a livelli diversi, erano adibiti a varie funzioni; il tutto era legato un sistema di imponenti mura.

L'impoverimento causato dalle razzie e dai saccheggi, conseguente all'avvento delle invasioni barbariche, ha una battuta d'arresto con l'insediamento dei Longobardi nel 568 d.C. La popolazione longobarda entrata dall'arco alpino in Italia e guidata nei primi tempi dal re Alboino, ristruttura la fortificazione romana presente nell'area dell'attuale convento della SS. Annunciata facendo di Rovato il centro istituzionale dell'antica Franciacorta. Con la conversione dei longobardi al cattolicesimo, curata dal pontefice Gregorio Magno, durante il regno di Agilulfo, la storia religiosa e quella civile s'intrecciano. I longobardi, infatti, attribuiscono all'area del monte Orfano, già loro sede giurisdizionale, anche la funzione di centro del culto cristiano. Quest'ipotesi è prepotentemente confermata dall'edificazione della chiesa di S. Michele, posta sulla cima del Monte Orfano, a pochi passi dal convento. S. Michele rappresenta infatti l'angelo guerriero patrono dei longobardi. L'ubicazione nei pressi di una sorgente e l'analisi della struttura architettonica confermano l'origine longobarda della chiesa datata presumibilmente tra l'ottavo e il nono sec. d.C.

Nel 1265, acclamato dai guelfi, il conte di Fiandra Roberto de Béthune (facente parte della spedizione italiana di Carlo d'Angiò) occupa il castello. La campana del vespro del 9 novembre fu il segnale dell'insurrezione antifrancese dei rovatesi, che misero in fuga gli stranieri. L'insofferenza dei rovatesi verso qualsiasi giogo si confermò nel 1312, nei confronti delle truppe di Enrico VII. Nel 1326, dopo un assedio, Azzone Visconti riuscì a impossessarsi di Rovato solo col tradimento. Dopo le contese tra Milano e Venezia, Rovato solo con ritardo, nel marzo 1428, acconsentì a giurare fedeltà alla Serenissima. Nel 1438, al passaggio dell'Oglio da parte delle truppe viscontee di Niccolò Piccinino, Venezia affidò la difesa del contado a Leonardo Martinengo da Barco con mille valtrumplini che, dopo scaramucce, si chiusero nel castello di Rovato (13-30 agosto) ad opporre infruttuosa resistenza all'assedio. Riconquistato nel 1440 da Venezia, dopo altre occupazioni milanesi (il 7 novembre 1453 il vincitore Francesco Sforza riconobbe il valore dei difensori, scrivendo di proprio pugno "virtute" sulla porta nord del castello), solo con la pace di Lodi del 9 aprile 1454 Rovato tornò definitivamente a Venezia. La Dominante riconobbe l'importanza strategica del luogo e nel 1470 concesse sgravi fiscali per agevolare le opere di fortificazione. Un famoso storico di Rovato, il Cocchetti afferma che nell'archivio comunale di Rovato rinvenne memorie del '400 che facevano riferimento agli antenati del pittore Alessandro Bonvicino, meglio conosciuto come il Moretto. La cittadinanza fu chiamata a versare contributi per le guerre che Venezia condusse nella seconda metà del secolo, in particolare contro i Turchi che, conquistata nel 1453 Costantinopoli, minacciavano i domini della Serenissima nel Mediterraneo orientale. Sempre nel '400 nacque il "Consorzio", istituto di carità che funzionò fino al 1811, quando i suoi beni confluirono nell'ospedale. Dopo che l'impari lotta di Venezia contro tutti, messile contro da papa Giulio II nella lega di Cambrai, si risolse nella dura sconfitta subita dalla Serenissima il 14 maggio 1509 ad Agnadello dove alcuni capitani bresciani tradirono - il 19 maggio Rovato aprì il proprio castello ai francesi, incapaci però di accattivarsi la simpatia della popolazione. Un notabile rovatese, Lorenzo Gigli, organizzò l'insurrezione, scoppiata il 7 agosto nonostante il giorno prima la guarnigione occupante fosse stata rinforzata di un corpo di cavalleria. Il 9 i francesi dovettero abbandonare ignominiosamente il campo. Ma nessuno seguì il coraggioso esempio di Rovato, che rimase libera e isolata. Il Gigli e altri furono presi e le loro teste caddero nel settembre successivo in piazza della Loggia a Brescia. Nel febbraio 1512 Rovato, non persasi d'animo, partecipò alla sollevazione antifrancese che nel capoluogo si concluse col tristemente famoso "sacco di Brescia" ad opera di Gaston de Foix. Per scontare la fallita ribellione, Rovato dovette sborsare una multa ingentissima (quasi 10 mila ducati d'oro), oltre a partecipare alla multa di 96 mila ducati imposta alla provincia. Quando riprese il potere, Venezia non manifestò particolare gratitudine a Rovato. Anzi: il 3 maggio 1519 autorizzò il mercato del bestiame a Chiari, in concorrenza con quello rovatese, che vantava una tradizione medievale. Nel '500 nacque l'Accademia medica degli "Eccitati", per iniziativa del medico di Rovato Felice Bettera (autore di un "Trattato sulla peste"), che mise a disposizione, come sede, la propria abitazione. Vi si mettevano in comune le singole esperienze di casi incontrati nell'esercizio della professione.
 
Nel 1685 La Repubblica di Venezia concesse l'erezione di un archivio notarile a Rovato. Personaggio di rilievo fu, in quel secolo, Leonardo Cozzando (1620-1702), professore di filosofia a Verona e Vicenza, che scrisse un volume sulla filosofia greca e una "Libreria bresciana", stesa nel convento dell'Annunciata, dove trascorse i suoi ultimi anni. Durante la guerra di successione spagnola (primi del '700) Venezia, neutrale, concesse però agli eserciti stranieri di attraversare il suo territorio. Il principe Eugenio di Savoia, che comandava gli imperiali (e batté i francesi presso Chiari) sostò a Rovato e, salito al Monte Orfano, lo definì "il più bel punto di vista che abbia l'Italia". Significativa fu nell'800 la presenza a Rovato dell'architetto Rodolfo Vantini, amico del prevosto Carlo Angeloni. Si batté con successo perché la ferrovia Chiari-Brescia passasse per il paese (e non, come da un primo progetto, per Travagliato), disegnò il portico della piazza centrale ed eseguì altri lavori nella zona. Durante il Risorgimento, Rovato partecipò all'insurrezione antiaustriaca di Brescia del marzo 1848 (raccolse e curò i feriti); l'anno dopo le truppe austriache, dirette a Brescia per reprimere le famose Dieci giornate, passarono da Rovato. Nell'aprile 1862 fu Garibaldi in persona a inaugurare la Società del tiro a segno. Iniziarono anni di sviluppo e progresso: nel 1877 fu inaugurata la ferrovia per Coccaglio e nel 1897 la tramvia Chiari-Rovato-Iseo. Va ricordato lo storico rovatese Carlo Cocchetti (1817-88), insegnante, considerato il fondatore dell'istituto magistrale "Gambara" di Brescia, autore di "Brescia e la sua Provincia", comparsa nel 1858 nella "Grande illustrazione del Lombardo-Veneto" curata dal suo amico Cesare Cantù.

La dipartita degli austriaci inaugurò a Rovato un regime politico e amministrativo centrato sul raggiungimento di un'ampia autonomia. Il 12 febbraio 1860, la Giunta municipale rovatese si costituì in ufficio e relazionò al Consiglio del 7 marzo successivo il proprio programma. Nel 1861 si deliberò di licenziare "il pedone distrettuale" sostituito dall'Ufficio Postale. Nel 1862 fu istituita la "Giudicatura Mandamentale" (la Pretura) che trovò sede presso il Municipio. Nel 1868 nacque la "Società Operaia, Industriale ed Agricola" di Rovato, la società aveva una matrice laica di stampo liberale, e creò ben presto una scuola per lavoratori. La scuola si consolidò nel tempo e divenne la " Scuola Professionale di Disegno Francesco Ricchino", tuttora esistente. Il 24 maggio del 1869 aprì il suo sportello in Municipio, su istanza del Comune, la Cassa di Risparmio di Milano.Fu un avvenimento di grande importanza nella strategia economica del nostro paese, che nel corso della propria storia vide un sempre più consistente incremento d'Istituti di Credito. Nel 1871, secondo i dati del censimento, gli abitanti di Rovato erano 7370. Dieci anni più tardi, 1881, raggiunsero i 7825 di cui 4582 residenti nel centro e i restanti nelle frazioni. L'Ospedale civile sorto nel 1763 per oblazione dei cittadini, fu in seguito ceduto alla "Congregazione di Carità" a cui il Comune rimborsava parte delle spese per i degenti poveri. Nel 1889 fu istituito l'asilo infantile, sovvenzionato dal municipio mentre dal 1836 esisteva a Rovato un orfanotrofio femminile fondato dal prevosto Angelini per le ragazze rimaste orfane a causa dell'epidemia di colera. La situazione scolastica, fu oggetto di particolare attenzione da parte della rappresentanza municipale; anche perché il paese aveva una lunga tradizione culturale da rispettare risalente al XV secolo, cioè alla fondazione del convento dell'Annunciata. Gli alunni delle classi rovatesi erano nel 1894 complessivamente 1141.La popolazione rovatese era prevalentemente costituita da: agricoltori, possessori di fondi e lavoratori sussidiari, da un rilevante numero di commercianti, a questi va aggiunta la schiera dei piccoli commercianti che esercitavano la loro attività nelle bancarelle del mercato, e dagli operai delle industrie artigianali. Per quanto riguardava la classe operaia le retribuzioni erano inadeguate ad affrontare i problemi della vita quotidiana così come per i contadini che erano gravati da pesanti carichi fiscali imposti dal governo per risanare le finanze, le condizioni di vita dei lavoratori della terra erano per la maggior parte dei casi miserabili. Base principale dell'alimentazione quotidiana era la polenta di granoturco che non forniva un'alimentazione completa e provocava la pellagra. Contro queste situazioni di grave disagio le organizzazioni sindacali d'ispirazione socialista e cattolica diedero vita ai primi grandi scioperi. A Rovato nel 1897 incrociarono le braccia, chiedendo aumenti salariali, i conciatori di pelle dello stabilimento Merlini (37 su 39) e lo sciopero ebbe esito favorevole. Nel 1900, sempre a Rovato scioperarono gli operai della fabbrica Buffoli richiedendo una diminuzione delle ore di lavoro, 12 giorni di sciopero anche questi con esito positivo. L'eco della Rivoluzione Industriale si faceva sentire anche a Rovato. Sempre nel 1900 in un nuovo censimento gli abitanti risultarono 10.190. Rovato d'inizio secolo era piena di grandi progetti, impegnata nella realizzazione d'importanti opere destinate ad incidere profondamente nella vita civile e sul peso che Rovato aveva nei confronti dei comuni contermini, in forza dei servizi esclusivi che era in grado di erogare. Nel 1912 Rovato ebbe un suo primo periodico quindicinale, "Il Monte Orfano" diretto e quasi totalmente scritto da Oreste Bonomelli. Nel 1913 fu terminata la costruzione dell'acquedotto comunale posto nell'attuale Piazza Montebello, importante oltre che per le sue rilevanti dimensioni, anche per i pregevoli ornamenti in stile liberty. Sempre nel 1913 si tenne la prima Grande Esposizione Agricola Industriale, su ispirazione della manifestazione bresciana del 1904. La scarsa presenza d'attività industriali e manifatturiere portò,tuttavia, centinaia di rovatesi ad emigrare. Il flusso principale era orientato verso l'Australia, dove i cittadini furono impiegati nei lavori agricoli pesanti (il taglio della canna da zucchero), l'Argentina, il Belgio e la Francia dove si trovava lavoro nelle miniere di carbone. La Prima Guerra Mondiale che sconvolse e devastò l'intera Europa segnò anche il paese. Rovato pagò con 160 giovani vite stroncate e un numero imprecisato di mutilati e invalidi il suo tributo alla guerra. Ne è memoria il Sacrario ai Caduti presso le Scuole Elementari Comunali. A peggiorare la situazione nel 1918 vi fu una grave epidemia di Spagnola. Nel dopoguerra i problemi rimasti sopiti durante il conflitto si acuirono: disoccupazione, povertà diffusa, sfiducia nei confronti delle istituzioni erano all'ordine del giorno. Le elezioni del 1920 a Rovato si svolsero in un clima di grandi contrasti ed attese. Si presentò a Rovato, per la prima volta, il Partito Popolare con una lista composita guidata dal Cav. Antonio Rossi che raccolse molti moderati riscuotendo il successo elettorale mentre la minoranza fu rappresentata dai socialisti capeggiati da Oreste Bonomelli. Nel 1922 Mussolini instaurò la dittatura fascista e anche a Rovato il clima di convivenza civile si guastò. Nel 1926 furono sciolti i Consigli Comunali ed i sindaci sostituiti dai podestà, mentre venne cancellata ogni forma di partecipazione politica democratica. Anche Rovato seguì lo stesso destino. Furono anche gli anni della "Trasvolata polare" del 1926, fortunata, e del 1928 sfortunato nella quale perse la vita il rovatese Attilio Caratti "pioniere dell'aria".Nel 1935 furono edificate le Scuole Elementari Comunali. " L'8 giugno del 1940 a Rovato in Piazza Cavour quattro enormi altoparlanti presidiati da pochi fascisti trasmisero ad una folla costretta e curiosa la dichiarazione di guerra di Benito Mussolini. La popolazione di Rovato, ad eccezione di qualche decina d'applausi, raccolse la notizia in un silenzio impressionante - ricorda Mons.Zenucchini-. L'Italia era nuovamente in guerra. Nuovamente Rovato vide partire i suoi giovani con lo zaino sulle spalle; centinaia di loro morirono e altri 72 vennero dichiarati dispersi, la maggioranza sul Fronte Orientale. Dal 25 luglio all'8 settembre 1943, il regime fascista crollò sotto il peso delle disastrose campagne militari.Ma non era ancora finita la guerra. Rovato veniva occupata il 10 settembre 1943 da un autocolonna della Wermacht. Al potere militare tedesco si univa il potere civile del resuscitato fascismo; in contrasto sorgono le prime organizzazioni clandestine con un piano comune di lotta. Le prime fasi della Resistenza iniziano nell'ottobre 1943 con atti di sabotaggio e di propaganda. Nell'aprile del 1944 si costituisce a Rovato il Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.). La liberazione dal nazi-fascismo era vicina, ma fu caratterizzata da momenti di grande tensione fra i cittadini rovatesi in cui persero la vita il Segretario Comunale Vighenzi e Silvio Bonomelli. Dal 28 aprile sventolavano dal Palazzo Comunale, le bandiere delle nazioni alleate e Rovato era chiamata ad affrontare il periodo della ricostruzione.



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venerdì 5 giugno 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : LODI



Lodi è una città italiana della Regione Lombardia; si trova in bassa Valle Padana lungo il fiume Adda ed è capoluogo dell'omonima provincia, istituita nel marzo 1992 ed operativa dal maggio 1995.

La città fu fondata il 3 agosto 1158 da Federico Barbarossa, in seguito alla distruzione dell'antico borgo di Laus Pompeia, già municipium romano, sede vescovile e libero comune. Durante il Rinascimento conobbe un periodo di grande splendore artistico e culturale, dopo aver ospitato nel 1454 la firma dello storico trattato tra gli Stati preunitari italiani noto come pace di Lodi.

Nel XXI secolo, la città è un importante nodo stradale e centro industriale nei settori della cosmesi, dell'artigianato e della produzione lattiero-casearia. È inoltre il punto di riferimento di un territorio prevalentemente votato all'agricoltura e all'allevamento: in virtù di tale peculiarità, Lodi è stata scelta come sede del Parco Tecnologico Padano, uno dei centri di ricerca più qualificati a livello europeo nel campo delle biotecnologie agroalimentari.

Sono sviluppate anche le attività legate al settore terziario; dagli anni duemila, in particolare, è in forte espansione il turismo: Lodi fa parte del circuito delle città d'arte della Pianura Padana e offre quale spunto principale la presenza di alcuni importanti monumenti, tra cui il Duomo, il Tempio Civico dell'Incoronata, la chiesa di San Francesco, la chiesa di Sant'Agnese e palazzo Mozzanica.

La storia di Lodi trae le sue origini dalle vicende legate all'antico borgo di Laus Pompeia, così chiamato a partire dall'89 a.C. in onore del console romano Gneo Pompeo Strabone.

Laus fu fondata dai Celti Boi intorno all'anno 1000 a.C. in un territorio abitato fin dal neolitico dai primi agricoltori nomadi; in epoche successive, la città divenne municipium romano (49 a.C.), sede vescovile (IV secolo) e infine – nell'XI secolo – libero comune. Nel Medioevo, in virtù della sua posizione geografica privilegiata e dell'intraprendenza dei suoi abitanti, Laus insidiò la supremazia commerciale e politica di Milano; la tensione tra le due città sfociò in un conflitto al termine del quale le milizie milanesi distrussero Laus (24 maggio 1111).

L'antica Laus Pompeia si trovava in corrispondenza dell'odierna Lodi Vecchio, a circa 7 km dal luogo in cui sorge la città attuale; il borgo era situato sulla confluenza delle strade che da Placentia (Piacenza) e da Acerrae (Pizzighettone) conducevano a Mediolanum (Milano), e nel punto di incrocio con la strada che da Ticinum (Pavia) proseguiva fino a Brixia (Brescia).

Plinio il Vecchio afferma che fu fondata dai Celti Boi, sebbene storicamente quel territorio fu sempre occupato dagli Insubri. In ogni caso non ci è stato tramandato il toponimo gallico dell'antico borgo. I romani vi giunsero tra il 223 a.C. e il 222 a.C., anni in cui i consoli (Publio Furio Filo e Gaio Flaminio Nepote prima, Marco Claudio Marcello e Gneo Cornelio Scipione poi) attaccarono e sconfissero gli Insubri. Questa prima occupazione durò poco in quanto gli Insubri, approfittando della discesa di Annibale, si ripresero la loro indipendenza e la mantennero per un paio di decenni. Solo nel 195 a.C. la resistenza degli Insubri fu definitivamente estirpata; da allora fino al 49 a.C., Laus fece parte della provincia della Gallia Cisalpina.

Nell'89 a.C. il borgo assunse finalmente il nome di Laus Pompeia in onore del console romano Gneo Pompeo Strabone, che proprio quell'anno aveva concesso il diritto latino agli abitanti delle comunità in Transpadana. Questo provocò una trasformazione radicale non solo sotto il profilo giuridico dei cittadini, ma anche e soprattutto sotto quello culturale (il latino divenne lingua ufficiale) e urbanistico (l'abitato venne riedificato in forma rettangolare).

Nel 49 a.C., Laus divenne municipio di cittadini romani, e iniziò ad essere retta da un quattuorvirato. Da allora smise di far parte della Gallia Cisalpina.

Tra l'agosto del 14 d.C. e il luglio del 23 d.C. fu collocata su una porta di Laus l'epigrafe: «Tiberio Cesare Augusto, figlio di Augusto, e Druso Cesare, figlio di Augusto, fecero costruire questa porta». Evidentemente quindi doveva esistere una cinta muraria.

Il culto più praticato sul territorio era quello di Ercole, che nella tarda romanità assunse il valore di simbolo del potere dello stato e quello della civiltà che sconfigge la barbarie. In realtà, questa grande diffusione fu verosimilmente dovuta all'identificazione con un precedente dio celtico: Ogmios. Il tempio di Ercole sorgeva fuori città, sulla riva destra dell'Adda, dove oggi, a Lodi Nuova, si trova la chiesa della Maddalena. Come in ogni altro luogo dell'impero romano, era vivissimo il culto dei defunti.

Fin dal III secolo si hanno notizie dell'esistenza di una comunità cristiana (il 12 luglio 303 vi furono decapitati San Felice e San Nabore) ma l'organizzazione di essa in diocesi avvenne solo con san Bassiano Vescovo, verso la fine del IV secolo. Un'epistola di sant'Ambrogio afferma che nel novembre 387 Bassiano invitò Felice Vescovo di Como e lo stesso Ambrogio alla cerimonia di consacrazione della Basilica dei Dodici Apostoli, situata nel suburbio di Laus Pompeia. Successivamente fu costruita la Cattedrale di Santa Maria, posta sul lato sud dell'antico foro.

Le invasioni ripresero agli inizi del V secolo: il 18 novembre 401 Alarico oltrepassò le Alpi, puntando su Milano e seminando terrore e devastazione nelle campagne indifese; nel febbraio 402 la strada che conduceva da Milano a Piacenza era impercorribile, tanto che Quinto Aurelio Simmaco, per recarsi a Milano ad incontrare l'imperatore Onorio, una volta arrivato a Piacenza, dovette passare per Pavia.

Nel 452 gli Unni di Attila penetrarono in Italia, puntando nuovamente su Milano e colpendo direttamente Laus Pompeia.

Le campagne laudensi furono sicuramente interessate anche dagli scontri fra Flavio Oreste ed Odoacre, re degli Eruli, e fra quest'ultimo e Teodorico, re dei Goti. Lo stesso vale per la guerra ventennale che Giustiniano condusse contro i Goti d'Italia.

Nel 568 fu la volta dei Longobardi, che scesero nell'Italia settentrionale. Il 3 agosto 569 entrarono in Milano, ma occuparono Laus solo nel 575, dopo la resa di Pavia. Questo può significare che non ci fu una guerra combattuta, ma un arretramento volontario del fronte, dovuto al fatto che la zona di Laus era forse diventata indifendibile. Poco si sa di ciò che avvenne nei secoli successivi, se non che iniziarono a diffondersi le prime colture sul territorio (viti, prati, cerreti, castagneti, sebbene fossero abbondantissime le paludi) e le prime attività commerciali importanti: in una concessione del re Liutprando nel 715 si legge che il commercio fluviale da e per l'Adriatico era garantito a Laus ed al suo territorio da due porti fluviali, posti alla confluenza dell'Adda e del Lambro nel Po.

Nel 774 ebbe inizio la dominazione dei Franchi e la città costituì un comitatus.

Tra la fine del IX secolo e l'inizio del X secolo, in pieno periodo di anarchia feudale, vi furono due invasioni degli Ungari alle quali seguì un periodo di stasi, grazie agli accordi stretti con loro dal re Berengario. Tuttavia, queste incursioni diffusero un sentimento di paura collettiva che spinse alla costruzioni di castelli nel basso lodigiano.

Il 24 novembre 975, con un diploma dell'imperatore Ottone II, il Vescovo di Lodi Andrea ottenne per la prima volta il riconoscimento del potere temporale sui territori laudensi; l'imperatore concedeva i possessi terrieri, le famiglie di servi della gleba, i mercati, le gabelle e le dogane. Queste concessioni furono ulteriormente ampliate nel luglio 981 con un nuovo diploma con il quale il Vescovo poté presiedere i processi. La figura del vescovo Andrea fu quindi fondamentale per la storia di Laus, in quanto egli pose le basi per la futura autonomia cittadina in forma di vassallaggio diretto al sovrano.
Laus, situata nei pressi del Lambro e con alle spalle l'Adda, risultò nei secoli alto e basso medievali molto favorita dalla sua posizione strategica, tanto che Milano iniziò a contrastarla: a causa di un'azione distruttiva del 1111, i cittadini di Laus furono costretti ad un'umiliante sottomissione. Milano impose regole e divieti specifici fino a prescrivere che non potesse più costituirsi un nucleo abitato unico, così che gli abitanti si distribuirono in agglomerati sparsi, secondo la volontà imposta dai milanesi.

Trascorsi circa 50 anni di continui contrasti, nel 1158 la mano di Milano si fece ancora più pesante. Il 25 aprile venne intimato lo sgombero di quel che restava dell'antica Laus ed i milanesi rasero al suolo la città.
In questo frangente drammatico, i laudensi chiesero giustizia a Federico I Barbarossa che, il 3 agosto 1158 venne in soccorso della città e pubblicò il diploma imperiale di fondazione, dotando anche la città di particolari privilegi, fra cui quello di costruire ponti su tutti i corsi d'acqua del territorio e di navigare per tutta la Lombardia con piena esenzione delle tasse. Federico Barbarossa tornò in Italia accampatosi a sud di Milano, ricevette una processione di esuli laudensi che chiedevano giustizia. Il 3 agosto 1158, Lodi venne rifondata dall'imperatore. Si racconta che quello stesso giorno la pioggia, come segno propiziatore, ruppe il sereno di quella domenica d'estate. Il sito prescelto non fu quello delle rovine di Laus, ma sul Monte Guzzone, lungo le rive dell'Adda, nei pressi dell'antico tempio di Ercole, dove già sorgeva un porto fluviale ed un ponte detto del Fanzago. Questa nuova posizione fu scelta per consentire una posizione di maggior controllo sul territorio ed una più facile difesa; adesso infatti la città poteva essere attaccata su un solo lato. Si suppone anche questa posizione fu scelta anche per un altro motivo: spostandosi dal Lambro all'Adda, fiume su cui Milano non aveva pretese, si evitava una delle più gravi ragioni di attrito che la divideva con la rivale.

Una volta sconfitti i milanesi, il Barbarossa convocò una seconda dieta a Roncaglia per regolare una volta per tutte la questione dei diritti feudali nell'Italia settentrionale. L'imperatore accordò a Lodi straordinari privilegi, fra cui quello di costruire ponti su tutti i corsi d'acqua del territorio e di navigare per tutta la Lombardia con piena esenzione delle tasse.
La posizione della nuova città era strategica, sorgeva su un promontorio circondato dal fiume Adda e dalle paludi: l'unico lato vulnerabile risultava quello meridionale, esposto agli attacchi della terra ferma. Un primo intervento difensivo portò alla realizzazione del fossato entro cui scorreva la Roggia Molina. Nel 1160 vennero innalzate le possenti mura e qualche anno dopo il castello: Lodi divenne una piazzaforte militare. Cunicoli sotterranei con funzione militare percorrevano tutta la città e collegavano anche il castello con l'esterno. Ne è testimonianza un interessante passo del Guicciardini (F. Guicciardini, Storia d'Italia, libro XVII, cap. 5), che racconta la presa di Lodi del 1526, che si inserisce nella lotta fra i Francesi e gli Imperiali di Carlo V: "... Fabrizio Marramaus, il quale, udito lo strepito, veniva verso le mura con una piccola parte dei suoi fanti, fu costretto a ritirarsi nella rocca,,, Ma venuto l'avviso a Milano, il Marchese del Guasto con alcuni cavalli leggieri e con tremila fanti spagnoli, si spinse a Lodi senza tardare, e messa la fanteria senza ostacolo per la porta di soccorso nella rocca, situata in modo che si poteva entrarvi per una via coperta naturale... entrò...".

Parte di questi sotterranei esiste ancora. L'associazione LODI MURATA, in collaborazione con l'Amministrazione comunale,  lavora dai primi anni Duemila ad un progetto di ripristino ad uso turistico dei medesimi.
 
Lodi divenne sede vescovile e libero Comune.

Durante il Sinodo di Lodi, tenutosi nel 1161, il Barbarossa nominò Vittore IV antipapa, in opposizione a papa Alessandro III. Nello stesso concilio, su iniziativa dell'antipapa, Federico Barbarossa nominò arcivescovo di Magonza Corrado di Wittelsbach, allo scopo di porre fine allo scisma tra Rodolfo di Zähringen e Cristiano di Buch. Questo provocò la scomunica dell'imperatore da parte di Alessandro III; le città ribelli si sentirono quindi sciolte dall'obbedienza e passarono al contrattacco: il 12 marzo 1160 anche il Vescovo di Lodi Alberico da Merlino fu colpito da scomunica (in quanto sostenitore dell'antipapa Vittore IV) e già il 22 marzo i milanesi cinsero d'assedio Lodi. Questo attacco e quello successivo di luglio furono respinti, ma già dal 3 agosto dello stesso anno si iniziò la costruzione delle mura di Lodi, volute e finanziate da Federico I. Le operazioni militari si conclusero nella primavera del 1162, quando i milanesi, stremati da un blocco durato un inverno, chiesero di trattare; il Barbarossa impose la resa a discrezione: la distruzione di Milano iniziò il 27 marzo 1162 e vi parteciparono anche i fanti lodigiani.

Durante la sua terza discesa in Italia, l'imperatore si fermò di nuovo a Lodi (il 2 novembre 1163) e per l'occasione furono trasferite le reliquie di san Bassiano nella nuova Cattedrale, la costruzione della quale fu in parte finanziata dalla coppia imperiale (furono offerte in totale 35 libbre d'oro). Una volta tornato in Germania però, iniziò una serie di abusi da parte dei messi imperiali, che fecero crescere il malcontento generale per una situazione che sembrava ormai anacronistica. Anche durante la quarta discesa in Italia del Barbarossa (novembre 1166), le lamentele dei Comuni lombardi non furono ascoltate e anche per questo il 7 aprile del 1167, questi giurarono nel monastero cluniacense di Pontida, di far fronte comune e di ricostruire Milano. Nonostante i ripetuti tentativi diplomatici per convincere i lodigiani a far parte della Lega Lombarda, questi continuarono a rifiutarsi e così, il 12 maggio 1167 la città fu cinta d'assedio, capitolando il 22 maggio. Fra le condizioni di resa, figurava l'impegno della Lega a costruire una cerchia di mura spesse due braccia e alte dodici (circa un metro per sei).

L'assenza di Federico I dall'Italia durò sette anni, durante i quali la Lega Lombarda si consolidò ulteriormente. Quando l'imperatore tornò in Lombardia per la quinta volta, cinquanta milites lodigiani parteciparono alla battaglia di Legnano, dove fu definitivamente sconfitto il 29 maggio 1176.

Alla morte del Barbarossa sembrò riaprirsi il contrasto con Milano, a causa del fatto che il nuovo sovrano Enrico VI aveva confermato ai lodigiani il libero uso delle acque del Lambro. Vi furono nuovi scontri tra i due Comuni nel 1193, e si giunse alla pace solo nel 1198: Lodi cedeva ai milanesi i diritti sulle acque del Lambro e in cambio otteneva garanzie commerciali e doganali, oltre il riconoscimento dell'autorità sul proprio territorio e l'esclusiva del porto sull'Adda.

Nel XIII secolo Lodi continuò a crescere. Nel 1220 fu intrapresa la costruzione del canale Muzza, alla quale contribuirono sia proprietari lodigiani, sia capitali milanesi. Questa opera idraulica per secoli contribuì alla floridezza dell'agricoltura del territorio. In epoca medievale, infatti, la città era lambita dal lago Gerundo: il territorio era in gran parte paludoso e insalubre, ma grazie alle opere di ingegneria idraulica e al lavoro dei monaci cistercensi e benedettini fu bonificato e trasformato in una delle regioni più fertili d'Europa.

In città iniziarono a formarsi una serie di fazioni interne, soprattutto a causa dell'affermarsi della borghesia artigiana. In questo periodo la fazione dei nobili è capeggiata dalla famiglia degli Overgnaghi, mentre quella del ceto emergente dai Sommariva.

Intanto, la tregua fra i comuni della Lega Lombarda e il nuovo imperatore Federico II diventava sempre più precaria; il 27 novembre 1237 si arrivò allo scontro presso Cortenuova, con esito disastroso per la Lega. Lodi si arrese e il sovrano vi fece solenne ingresso il 12 dicembre. Federico fece rafforzare le fortificazioni e costruì un castello a fianco di Porta Cremonese, sopra la palude di Selvagreca. Lodi tornò ad essere un punto strategico nelle operazioni contro ai milanesi. In questi anni, oltre alle divisioni politiche, si aggiunsero le divisioni religiose. Si arrivò ad un punto tale che il papa Gregorio IX, sdegnato per la messa al rogo di un frate francescano, colpì la città con l'interdetto, privandola della dignità vescovile. Nel 1250 con la morte di Federico II, il nuovo papa Innocenzo IV entrò trionfalmente in Milano, incitando a distruggere la fortezza ghibellina di Lodi. Si giunse alla pace nell'anno seguente, e il governo fu affidato per dieci anni a Sozzo Vistarini, uno dei più ricchi capi nobili che però aveva abbandonato la fazione degli Overgnaghi mettendosi a capo del "popolo". Nel 1252 il papa restituì a Lodi la dignità vescovile.

Il potere straordinario concesso a Sozzo Vistarini è il chiaro segno di un mutamento del regime cittadino, con l'inizio dell'età signorile: formalmente contuarono ad eleggersi i consoli, ma nella pratica il governo era tenuto da una famiglia, impersonata dal proprio capo. Ai Vistarini successero i Torriani di Milano con Martino (dal 1259 al 1263), Filippo (fino al 1265) e quindi Napo. Nei decenni successivi ci furono una serie di tumulti tra gli Overgnaghi e i Vistarini da un lato e i Sommariva dall'altro, finché nel 1292 ebbe la meglio il partito guelfo, capeggiato da Antonio Fissiraga.

In questi anni intanto la città vide una forte espansione, con il rifacimento e l'ampliamento della cerchia muraria e l'inizio della costruzione delle chiese di San Francesco e di San Domenico. Attorno al 1300 si diffuse la leggenda del drago Tarantasio che avrebbe infestato le paludi dell'Adda e che sarebbe morto per intercessione di San Cristoforo; per questo fu ampliata la chiesa in suo onore, all'interno della quale pare fosse appesa una mascella fossile di un cetaceo, scomparsa dopo la profanazione del tempio. Quando nel 1945 Enrico Mattei scoprì dei pozzi di gas metano nella vicina Caviaga, alcuni iniziarono a pensare che l'animale, scomparso sotto terra dopo la bonifica delle paludi, fosse riapparso in forma di gas; il cane a sei zampe, logo dell'azienda, sarebbe quindi lo stesso Tarantasio.

Nel 1301 ripresero le ostilità coi Visconti di Milano. Il Fissiraga strinse alleanze con i signori di Pavia e di Piacenza, radunando le forze antiviscontee nella primavera del 1302. L'esercito si diresse verso Milano, affrontando Matteo Visconti, ma a causa di una rivolta scoppiata nella città, Matteo è costretto a trattare ancor prima di combattere. In questi trattati stipulati il 14 giugno 1302, i Torriani rientrarono a Milano, affidando il ruolo di podestà proprio ad Antonio Fissiraga.

La situazione mutò nel 1311 con la discesa in Italia dell'imperatore Enrico VII che occupò Lodi, permettendo il ritorno dei Vistarini e degli altri ghibellini esiliati, ed esigendo che i rappresentanti del comune giurassero sulle reliquie di San Bassiano che gli sarebbero rimasti fedeli, osservando le clausole di pacificazione. La guida del partito ghibellino a Lodi era Bassiano Vistarini che, con l'aiuto di Matteo Visconti, nel 1321 si fece proclamare signore di Lodi; a lui succedettero i figli Giacomo e Sozzo i quali tennero il potere fino al 1328.

Dopo una parentesi guelfa guidata dall'ex mugnaio Temacoldo, durante la quale furono consegnate al papa Giovanni XXII le chiavi della città, il 31 agosto 1335, dopo un lungo assedio, Lodi cadde sotto i colpi di Azzone Visconti. Da questo momento la storia di Lodi fu strettamente legata a quella di Milano. In questo periodo fu ristabilita la pace fra le famiglie lodigiane in lotta e furono iniziati i lavori per la costruzione del maestoso castello di Porta Regale (concluso nel 1370).

Con la morte di Gian Galeazzo Visconti, avvenuta il 3 settembre 1402, Lodi fu assegnata a Giovanni Maria, erede al titolo ducale. La debolezza di quest'ultimo causò la disgregazione dello stato: a Lodi, Luigi Vistarini si proclamò rettore della città, ma i Fissiraga reagirono provocando tumulti. Fu acclamato signore Antonio II Fissiraga; la sua politica a favore dei Visconti però generò il malcontento e presto fu costretto ad asserragliarsi dentro il suo palazzo. A questo punto Giovanni Vignati, discendente da nobile famiglia guelfa del contado, con un piccolo esercito prese il castello entro il quale si era rifugiato Antonio Fissiraga e dove probabilmente fu ucciso. Nominato signore il 23 novembre 1403, Giovanni Vignati condusse una politica di stacco netto dai Visconti. Radunò tutte le forze ostili ai Visconti ed organizzò un'azione contro Milano nel 1404, che però, dopo una serie di attacchi e contrattacchi, si risolse in un nulla di fatto.

Il 7 novembre 1406, Giovanni Vignati ricevette l'ambito titolo di patrizio veneto; la Repubblica di Venezia, infatti, vedeva di buon occhio le piccole signorie nate dalla debolezza dei Visconti. Altri scontri nel 1409 e 1410 permisero al Vignati di conquistare Melegnano e Piacenza. Il 16 settembre 1412 il nuovo duca Filippo Maria firmò un accordo nel quale riconosceva Giovanni come signore di Lodi e di Piacenza, ma lo obbligava all'assistenza politica e militare. Questo patto si rivelò l'inizio del declino di Giovanni Vignati.

Il 9 dicembre 1413, dal Duomo di Lodi, l'imperatore Sigismondo del Lussemburgo e l'antipapa Giovanni XXIII convocarono il Concilio di Costanza, che avrebbe poi risolto lo Scisma d'Occidente. La città fu sede di ambascerie da ogni parte d'Italia e Giovanni Vignati fu insignito del titolo ereditario di conte di Lodi.

Nell'agosto 1415 il duca di Milano catturò Giacomo, uno dei figli del Vignati. Questi venne a patti, e dovette dichiararsi vassallo del duca, prestando giuramento di fedeltà. Recatosi a Milano per ottenere la liberazione del figlio prevista dai patti, fu arrestato a sorpresa con l'accusa di tradimento. Intanto Francesco Bussone, detto il Carmagnola, occupava Lodi (20 agosto) e uccideva Ludovico, l'altro figlio del Vignati. Dopo aver ucciso anche Giovanni, i due cadaveri furono trascinati per le strade di Milano ed esposti per tre mesi nel rione Vigentino. D'ora in poi la storia di Lodi si identificherà completamente con quella del Ducato di Milano.

Nel 1419 divenne vescovo di Lodi Gerardo Landriani, grande cultore degli studi letterari e in rapporto con i più noti umanisti del tempo. Nello stesso periodo operò Maffeo Vegio, considerato uno dei migliori poeti in latino del XV secolo.

Durante il Rinascimento, conobbe un periodo di grande splendore artistico e culturale, dopo aver ospitato nel 1454 lo storico trattato tra gli Stati regionali italiani noto come Pace di Lodi. Il 9 aprile 1454 infatti, presso il castello di Porta Regale, sede locale della corte degli Sforza, gli Stati regionali italiani firmarono la Pace di Lodi, che assicurò quarant'anni di stabilità politica e territoriale, favorendo la rifioritura del Rinascimento.
La Pace di Lodi fu uno degli eventi più significativi della storia italiana del Quattrocento, ponendo fine al lungo conflitto tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia che durava dai primi anni del secolo e sancendo così l'inizio di un'alleanza tra Francesco Sforza e la Serenissima.

L'importanza storica del trattato, che fu ratificato dai principali Stati regionali, consiste nell'aver garantito all'Italia un assetto territoriale stabile e quarant'anni di pace, favorendo di conseguenza la rifioritura artistica e letteraria del Rinascimento.

Dopo la morte di Filippo Maria Visconti, il Ducato di Milano cadde nel caos: venne istituita la Repubblica Ambrosiana e a Lodi i cittadini proclamarono la loro appartenenza alla Repubblica di Venezia, che ratificò l'adesione il 12 ottobre 1447. Tuttavia la situazione cambiò rapidamente quando Francesco Sforza assunse il comando delle truppe della Repubblica Ambrosiana: dopo la sconfitta di Caravaggio, Venezia cedette Lodi a Milano, evitandole almeno il saccheggio; la città fu comunque assediata e devastata dai soldati del Piccinino. Seguirono una serie di rivolte, conflitti e devastazioni, dopo le quali l'11 settembre 1449 si giunse alla proclamazione di Francesco Sforza a signore di Lodi e duca di Milano. A causa della sua posizione di confine, il territorio lodigiano fu più volte percorso dagli eserciti milanesi e veneti, in guerra fra loro, ma già l'anno seguente iniziarono le trattative di pace che prevedevano che il confine veneto fosse stabilito poco oltre l'Adda.

Il periodo di pace cessò nel 1494, anno in cui il re Carlo VIII di Francia scese in Italia. Da questo momento, per almeno un ventennio si susseguirono una serie di passaggi di eserciti, con il loro seguito di scorrerie e di saccheggi che devastarono anche il territorio lodigiano.
In base alle clausole della pace di Cambrai (1529), il ducato di Milano rimase nelle mani di Francesco II Sforza; alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel novembre 1535, Carlo V e Francesco I entrarono in guerra per il possesso del ducato.
Ebbero la meglio gli spagnoli e nel 1540 fu nominato duca di Milano l'infante Filippo II.
Nelle corso del XVII secolo Lodi non fu toccata dalle guerre, ma le autorità spagnole si preoccuparono comunque di potenziare le fortificazioni, trasformando la città in una vera e propria fortezza. Il clima di tensione, oltre che la continua richiesta di tasse produssero una depressione economica, accentuata dalla famosa peste 'manzoniana'del 1630, portata in città dal passaggio dei Lanzichenecchi.
Il Lazzaretto fu allestito fuori Porta Cremonese. Alla fine dell'epidemia, il bilancio non è chiaro: le vittime variano da 127 a 500, su una popolazione totale di circa 10.200 persone; a Lodi dunque, la peste avrebbe avuto conseguenze meno disastrose che da altre parti.
L'economia dell'epoca era tipicamente agricola ed i prodotti principali erano costituiti dal latte, formaggi carni; si producevano inoltre lino e ceramica.

Dal punto di vista artistico fu rifinito il campanile del Duomo e costruito il portico di piazza Mercato; la facciata del municipio fu sistemata, con l'aggiunta delle iscrizioni dedicate a Pompeo Strabone e al Barbarossa. Nel 1679 vide la luce il primo teatro, con due ordini di palchi e il loggione, anche se rimase riservato ai nobili. La vita culturale si svolge nelle accademie, che hanno visto operare un poeta come Francesco De Lemene e il padre della storiografia lodigiana, Defendente Lodi. Nel 1622 la Congregazione dell'Oratorio, detta dei Filippini, pose le basi per la raccolta che formerà la futura biblioteca civica.

Questo secolo fu segnato da una serie di festeggiamenti molto sontuosi, che paiono fare a pugni con il periodo di ristrettezza economica; in particolare si ricordano i festeggiamenti per il passaggio dell'arciduchessa Margherita d'Austria nel 1598 che andava a sposarsi con Filippo III; quelli per la nascita di un principe (il 4 maggio 1605 fu inscenata la presa di un castello di legno, costruito apposta in piazza maggiore); la festa per l'elezione di Ferdinando III a Re dei Romani; le feste per i passaggi dell'arciduchessa Maria Anna d'Austria (1649) e della duchessa di Savoia (1651), ed infine per le nozze del re si organizzò una grande festa in maschera, cui partecipò anche il governatore spagnolo.
La guerra di successione spagnola determinò il passaggio alla dominazione austriaca, sancita in particolare dai trattati di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714). Con il governo di Maria Teresa d'Austria (1740-1780), arrivarono le riforme che segnarono l'avvio della ripresa economica, specie grazie alla moltiplicazione ed alla riorganizzazione razionale dei terreni coltivabili nel circondario; fu inoltre introdotta la coltivazione del riso.
Il Secolo dei Lumi si fece sentire anche a Lodi: i Barnabiti seguivano lo sviluppo del sapere nelle scuole superiori di San Giovanni alle Vigne, e nel 1776 si aprirono i primi corsi elementari pubblici.

Nel 1792 l'impero austriaco entrò in guerra con la Francia.
Nel 1796 il Direttorio decise di portare la guerra in Italia, per alleggerire lo sforzo sul fronte tedesco. Nel marzo 1796, il giovane Napoleone Bonaparte assunse il comando dell'armata d'Italia; dopo aver sconfitto in sole tre settimane il re di Sardegna, proseguì la sua marcia a sud del Po, attraversandolo presso Piacenza il 7 maggio. Colti alla sprovvista, gli austriaci, ripiegarono su Lodi, attestandosi al di là dell'Adda.
Il 10 maggio 1796, le avanguardie francesi entrarono in città scontrandosi coi nemici nella famosa battaglia del ponte di Lodi.
Quando l'armata napoleonica – proveniente da Casalpusterlengo – raggiunse Lodi, il grosso dell'esercito austriaco (comandato dal generale Beaulieu) era già arroccato nelle fortificazioni situate sulla riva sinistra dell'Adda, protetto da 10.000 uomini a guardia del ponte. Dopo un duello di artiglierie, Napoleone inviò un contingente alla ricerca di un guado; la manovra di aggiramento riuscì e fu determinante per la vittoria dei francesi.
La battaglia rappresentò il primo grande successo di Napoleone: l'importanza di tale evento giustifica la presenza in molte città, francesi e non solo, di strade e piazze dedicate al ponte di Lodi (per esempio nel VI arrondissement di Parigi, si trova la "Rue du Pont de Lodi").
Colti alla sprovvista, gli austriaci, guidati dal generale Beaulieu, ripiegarono su Lodi, attestandosi al di là dell'Adda. Il 10 maggio 1796, le avanguardie francesi entrarono in città scontrandosi coi nemici nella famosa battaglia del ponte di Lodi. La chiese di San Rocco, San Cristoforo e San Domenico furono trasformate in ospedali e tutta la città subì danni notevoli. Il 12 maggio, Cristoforo Saliceti, commissario del Direttorio, sequestrò il Tesoro di San Bassiano.

Questa vittoria fu comunque importantissima per la carriera di Napoleone che il 15 maggio entrò trionfante in Milano.

Già dal 1789 era presente a Lodi un club giacobino segreto, che si riuniva presso l'Osteria del Gallo per iniziativa di Andrea Terzi. Con l'arrivo dei francesi, ci furono grandi festeggiamenti, ovunque si piantarono alberi della libertà (persino nel Seminario) e spuntarono coccarde bianche, rosse e blu.

Il 9 luglio 1797 viene proclamata la Repubblica Cisalpina, ed inizia la distruzione degli stemmi gentilizi e la soppressione degli enti religiosi di Sant'Agnese, San Cristoforo, San Domenico e Sant'Antonio. Dopo una brevissima parentesi in cui gli austro-russi occuparono Lodi (28 aprile 1799), il 9 novembre, divenuto console con un colpo di stato, Napoleone rioccupa la Lombardia, rientrando a Lodi nel giugno 1800. Il Dipartimento dell'Adda viene inglobato con quello dell'Alto Po, con capoluogo a Cremona; Lodi rimane capoluogo di un distretto, suddiviso a sua volta in sei cantoni. Il 13 maggio 1809 fu collocato nella piazza Maggiore un monumento a ricordo della battaglia del ponte.

Dopo l'incoronazione di Napoleone ad imperatore dei francesi, l'Italia divenne un regno (19 marzo 1805), con a capo Napoleone stesso. Il conte Francesco Melzi d'Eril venne nominato duca di Lodi, mentre il vescovo Gianantonio Della Beretta ricevette il titolo di barone del regno il 28 marzo 1811.

Dal 1806 al 1816 furono aggregati alla città di Lodi i tre chiosi (Porta Cremonese, Porta d'Adda, Porta Regale), e i comuni limitrofi di Arcagna, Boffalora, Bottedo, Campolungo, Cornegliano, Montanaso, Torre de' Dardanoni e Vigadore. La chiese di San Rocco, San Cristoforo e San Domenico furono trasformate in ospedali e tutta la città subì danni notevoli. La battaglia rappresentò il primo grande successo di Napoleone. Con l'arrivo dei francesi, ci furono grandi festeggiamenti, ovunque si piantarono alberi della libertà  e spuntarono le coccarde transalpine bianche, rosse e blu.
Il 9 luglio 1797 venne proclamata la Repubblica Cisalpina, ed iniziò la distruzione degli stemmi gentilizi e la soppressione degli enti religiosi di Sant'Agnese, San Cristoforo, San Domenico e Sant'Antonio.

Il dominio francese terminò con la disfatta di Lipsia del 1813: il 26 aprile 1814 gli austriaci tornarono a Milano; il 7 aprile 1815, in base alle decisioni del Congresso di Vienna, si costituì ufficialmente il Regno Lombardo-Veneto e Lodi ottenne il titolo di Città Regia, diventando, insieme con Crema, capoluogo della provincia di Lodi e Crema.
Durante questi anni di restaurazione Lodi si sviluppa soprattutto sotto due fronti: dal punto di vista culturale nascono tre testate giornalistiche, si apre il liceo comunale (ottobre 1821), che annovera tra i concorrenti a cattedre Giacomo Leopardi e numerose istituzioni culturali come il collegio Cosway (1830) e quello dei barnabiti (1832), il cui ritorno fu permesso dal vescovo Alessandro Maria Pagani; dal punto di vista urbanistico, nel 1819 viene introdotta l'illuminazione ad olio, nel 1835 la piazza Maggiore viene pavimentata con ciottoli ed in occasione della visita dell'imperatore Ferdinando I (17 settembre 1838) vengono smantellate le fortificazioni di porta Regale e porta Cremonese; al loro posto fu aperto un passeggio alberato, con un obelisco recante epigrafi latine.

I moti insurrezionali del 1821 e del 1831 passarono inavvertiti, negli anni 40 però la situazione cambiò; l'ambiente politicamente più attivo era il Liceo comunale dove, soprattutto tra il corpo docente, c'è un gruppo fortemente anti-austriaco, guidato dall'abate Luigi Anelli, docente di filosofia che nutre sentimenti repubblicani, esprimendoli in una introduzione a Demostene; anche Paolo Gorini esprime le sue idee nazionali durante le lezioni di fisica e nel 1847 si iscrive il bresciano Tito Speri. Si trattava comunque di piccole minoranze, tant'è che durante le cinque giornate di Milano, solo pochissimi accorsero per partecipare ai combattimenti.
Dopo le sconfitte di Magenta (4 giugno 1859) e di Melegnano (8 giugno) ad opera dell'esercito franco-piemontese, gli austriaci furono costretti a lasciare Lodi, non prima di aver bruciato il ponte dell'Adda. Il 20 settembre il re Vittorio Emanuele II visitò la città e, circa un mese dopo, la provincia di Lodi e Crema venne smembrata fra quelle di Milano e Cremona. Lodi fu assegnata alla provincia di Milano.

Il 23 marzo 1848 tuttavia, alla notizia della vittoria milanese, scoppia un tumulto, subito sedato. Il giorno seguente le truppe di Radetzky in ritirata, passano per la città. I liberali possono così uscire allo scoperto, costituendo un governo provvisorio. Il 30 marzo arrivano i piemontesi; da Lodi partono volontari 31 giovani (tra cui un diciottenne Tiziano Zalli) guidati da Eusebio Oehl, per arruolarsi nel "Battaglione Studenti". Ne moriranno 9 in battaglia.

Nell'estate le sorti della guerra volsero a favore degli austriaci del maresciallo Radetzky, che rioccupò Lodi il 3 agosto: l'abate Luigi Anelli e Cesare Vignati (che nel marzo aveva emesso un proclama a favore della libertà) furono licenziati dal liceo; il medico Francesco Rossetti, reo di cospirazione mazziniana, fu arrestato il 16 ottobre 1852. Furono anni di rappresaglie in cui si viveva un clima di "caccia all'uomo"; tuttavia, il 1º luglio 1859 il vescovo Gaetano Benaglia, disponibile alle novità e sensibile alle esigenze del nuovo ceto operaio, prese posizione a favore del regime sabaudo. All'inizio dello stesso anno, 34 volontari partirono per arruolarsi con Garibaldi, anche se furono poi dirottati nell'esercito regolare; 15 di loro moriranno in battaglia.

La pace di Zurigo (10 novembre 1859) sancì ufficialmente il passaggio della Lombardia al regno di Sardegna, tramite la Francia.

Il 5 maggio 1860 due lodigiani (Luigi Martignoni e Luigi Bay) partirono da Quarto con la spedizione dei Mille; contando quelli che si aggiunsero in seguito, in vari scaglioni, in totale furono 234 i giovani che vi parteciparono, distinguendosi soprattutto nell'attacco a Milazzo e negli scontri di Pizzo Calabro.

Rientrato a metà dicembre l'ultimo scaglione di volontari, la vita in città tornò alla normalità. Il 17 marzo 1861 il parlamento proclamò il regno d'Italia con la partecipazione del deputato del collegio di Lodi. Un anno dopo Giuseppe Garibaldi inaugurò la sezione lodigiana del tiro a segno nazionale.
Alla metà del XIX secolo, Lodi era ancora racchiusa entro le antiche mura medievali. Negli anni successivi alla nascita del Regno d'Italia, la città si trasformò rapidamente, diventando un centro all'avanguardia in diversi settori. Si insediarono le prime industrie (tra cui il Lanificio Varesi-Lombardo nel 1868 e la Polenghi Lombardo nel 1870); inoltre, allo scopo di sostenere le attività agricole e artigianali, nel 1864 fu fondata la Banca Mutua Popolare Agricola (la prima banca popolare italiana) ad opera di Tiziano Zalli, attivista e convinto sostenitore di Giuseppe Garibaldi. La città fu anche toccata dallo sviluppo infrastrutturale dei primi decenni postunitari: nel 1861 fu inaugurata la linea ferroviaria Milano - Piacenza, divenuta in seguito parte del grande itinerario dorsale italiano. Una della principali conseguenze dello sviluppo industriale fu la presa di coscienza da parte della classe lavoratrice: negli ultimi decenni del secolo ebbero luogo numerosi scioperi e nacquero le prime "leghe rosse" organizzate.

Tuttavia dal punto di vista sociale furono anni di stasi demografica, causata dalla perdita del rango di capoluogo, ma anche dal declino dell'economia agricola. Nel 1877 vennero annessi al territorio municipale di Lodi i comuni suburbani di Chiosi Uniti con Bottedo e Chiosi d'Adda Vigadore. Il termine «chiosi», di origine dialettale, indicava le terre agricole circostanti la città di Lodi, analogamente ai più noti Corpi Santi intorno a Milano.

Una della principali conseguenze dello sviluppo industriale della città fu la presa di coscienza da parte della classe lavoratrice: negli ultimi decenni del secolo ebbero luogo numerosi scioperi e nacquero le prime "leghe rosse" organizzate che lottavano per difendere i diritti elementari dei lavoratori. Nel 1868 Enrico Bignami fondò La Plebe, il primo giornale socialista italiano, l'unico a pubblicare gli scritti di Marx ed Engels; nel 1873 la sezione socialista di Lodi era l'unica attiva in Italia ed inviò i propri delegati al VI congresso dell'Internazionale di Ginevra. Due anni più tardi, La Plebe inaugurò la propria redazione milanese, che vide il debutto giornalistico di Filippo Turati.

Parallelamente al movimento socialista si affermò anche il movimento sociale cattolico che aveva come organo di stampa Il Lemene, poi diventato Il Cittadino. In questo periodo Lodi era particolarmente attiva dal punto di vista culturale: oltre a quelli già citati, erano presenti numerosi altri giornali, tra cui Il Corriere dell'Adda, Il Proletario, Il Fanfulla, La Zanzara, Rococò, Sorgete! e Il Rinnovamento; inoltre i teatri cittadini passarono da uno a quattro e nel 1869 venne inaugurato il Museo civico.
Durante le operazioni belliche coloniali si distinse particolarmente il 15º Reggimento Cavalleria, ribattezzato "Cavalleggeri di Lodi" poiché era di stanza in città. Le imprese del Reggimento "Lodi" vennero esaltate anche da Gabriele D'Annunzio nel quarto libro delle "Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi".
Fu vissuta invece molto più tragicamente la prima guerra mondiale, a causa della quale morirono 331 lodigiani e moltissimi altri rimasero mutilati o feriti. Durante la "grande guerra" aumentò anche la coscienza del proprio ruolo da parte delle donne, che iniziarono a lavorare nelle fabbriche, sostituendo i mariti impegnati al fronte.
La poetessa lodigiana Ada Negri, figlia di un'operaia del lanificio, fu una delle maggiori sostenitrici della causa femminista con le sue liriche di protesta.

Dopo il conflitto i principali partiti della scena politica lodigiana diventarono i cattolici (Riccardo Oliva fu eletto nel 1914 primo sindaco cattolico di Lodi) e i socialisti (lo scultore Ettore Archinti divenne sindaco nel 1920). In seguito alla marcia su Roma, l'amministrazione socialista venne sciolta e l'unica alternativa al regime fu rappresentata dall'Azione cattolica.
Durante il periodo fascista, Lodi perse importanza a livello istituzionale: il sindaco venne sostituito dal podestà, e nel 1927 fu abolito il circondario.

Durante il periodo fascista, Lodi perse importanza a livello istituzionale: il sindaco venne sostituito dal podestà, e nel 1927 fu abolito il circondario (analogamente a tutti i circondari italiani). Attorno agli anni trenta si diffuse l'architettura razionalista e vennero costruiti diversi edifici e strutture pubbliche, come il palazzo delle poste, il padiglione pediatrico dell'ospedale, l'acquedotto, il sottopassaggio alla ferrovia, l'istituto fanciullezza, l'istituto tecnico e altre scuole; di contro però furono distrutti l'antico palazzo municipale, il mercato coperto, il teatro Verdi e gran parte della cerchia muraria.

Mussolini visitò la città due volte (4 ottobre 1924 e 5 ottobre 1934) ed in generale il fascismo venne subito con rassegnazione dai lodigiani.
Il secondo conflitto mondiale coinvolse a fondo la popolazione e furono numerose le vittime civili. Dopo l'armistizio nacquero i primi movimenti di resistenza: il Comitato di Liberazione Nazionale si costituì nell'ottobre 1943 con una maggioranza democristiana ed un ben organizzato gruppo comunista. Erano presenti anche i socialisti e i rappresentanti di altri partiti laici.
Le prime agitazioni scoppiarono nel gennaio 1944 presso le Officine Adda, seguite il 9 luglio da un attentato mortale al gerarca fascista Paolo Baciocchi, commissario prefettizio di Sant'Angelo. La rappresaglia si fece sentire: il 22 agosto 1944 presso il poligono di tiro a segno vennero fucilati cinque partigiani lodigiani; nello stesso luogo il 31 dicembre fu la volta di altri cinque. Queste, in seguito ricordate come "martiri del poligono", non furono le uniche vittime della Resistenza lodigiana. Lo stesso ex sindaco Ettore Archinti morì il 17 novembre 1944 nel Campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania.

Il 27 aprile 1945  i tedeschi lasciarono la città e quando gli alleati giunsero da Crema e da Piacenza la trovarono totalmente libera. Nel maggio dello stesso anno si instaurò un'amministrazione provvisoria con rappresentanti di tutte le forze politiche del CLN: il sindaco era il socialista Mario Agnelli, vicesindaci il comunista Edgardo Alboni e il democristiano Alfredo Brusoni.

Il bilancio finale dei lodigiani caduti per la libertà è di 55 uomini morti in battaglia e 12 martiri dei lager nazisti.

A partire dal 1955, la città conobbe un impetuoso sviluppo urbanistico che coinvolse entrambe le sponde dell'Adda: vennero creati nuovi quartieri, tra cui quello delle "case Fanfani" (ad ovest del centro storico) ed il "villaggio Oliva" (a sud-ovest), entrambi realizzati nell'ambito del piano INA-Casa. Tra gli anni settanta e i duemila, oltre al completamento di un sistema di strade tangenziali, ebbe luogo la dismissione di gran parte del patrimonio edilizio industriale, riconvertito in nuove aree residenziali.
Con la nascita della Provincia di Lodi nel 1992, la città riprese il ruolo antico di capoluogo del territorio circostante, il lodigiano appunto, e si gettarono le basi per l'insediamento di tutti gli uffici statali e regionali previsti dalla legge per le città capoluogo.
Ripresa economica ed istituzionale si accompagnarono con un'intensa attività di terziario avanzato, che da allora caratterizza buona parte delle dinamiche sociali ed economiche locali.
Forte è tuttavia il pendolarismo, soprattutto verso Milano.

Oggi Lodi costituisce un importante nodo stradale e centro industriale (nei settori della cosmesi, dell'artigianato e della produzione lattiero-casearia). È inoltre il punto di riferimento di un territorio prevalentemente votato all'agricoltura e all'allevamento: in virtù di ciò, la città è stata scelta come sede del Parco Tecnologico Padano, uno dei centri di ricerca più qualificati a livello europeo nel campo delle biotecnologie agroalimentari.
Restano molto sviluppate le attività legate al terziario avanzato (assicurazioni, banche, servizi) ed all'informatica grazie alla presenza dell'azienda Zucchetti, leader nazionale del settore.
Notevole la presenza in città di associazioni del volontariato, in prevalenza di stampo ecclesiale ma non solo, dedite a svariati compiti in ambito solidaristico e sociale. Buona a tal proposito anche l'integrazione degli stranieri, grazie a politiche di attenzione conciliate con quelle della sicurezza, che le amministrazioni cittadine hanno attuato sin dalla fine degli anni '90 del Novecento.
Come molti altri centri dell'Italia settentrionale, Lodi è diventata una città multietnica con una presenza significativa di cittadini provenienti dall'estero.




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