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giovedì 3 dicembre 2015

LA BASILICA DI SAN PIETRO

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La Basilica di San Pietro in Vaticano sorge nel luogo dove secondo la tradizione era stato sepolto l'apostolo Pietro (un cimitero a breve distanza dal circo di Nerone in cui era avvenuto il martirio): qui l'imperatore Costantino fece erigere intorno al 320 la primitiva Basilica di San Pietro, un edificio di dimensioni paragonabili all'attuale, costituito da cinque navate precedute da un grande atrio con quadriportico e cantharos per le abluzioni.
Con il pontificato di Niccolò V Parentucelli (1447-1455) ebbe inizio quel lungo processo che, in circa duecento anni e con il concorso di moltissimi artisti, avrebbe portato al completo rifacimento della vetusta basilica costantiniana. La svolta si ebbe con Giulio II Della Rovere (1503-1513), che nel 1505 decise la ricostruzione completa del tempio affidandone i lavori a Donato Bramante; questi progettò, ed iniziò, un grandioso edificio a croce greca con cupola rimasto tuttavia incompiuto per la scomparsa tanto del papa committente che del Bramante stesso (1514).
Seguì un periodo di incertezze e ripensamenti in cui alla guida del cantiere si succedettero Raffaello, Baldassarre Peruzzi e Antonio da San Gallo. Quest'ultimo in particolare si discostò dal progetto originario proponendo una più tradizionale pianta a croce latina. Nel 1547 Paolo III Farnese dette l'incarico di proseguire i lavori a Michelangelo.
L'anziano maestro - aveva più di settant'anni - recuperò subito la centralità del progetto bramantesco proiettandola però verso l'alto con la possente eppur slanciata cupola, eseguita dal Buonarroti fino al tamburo e  portata a termine, con qualche variante, da Giacomo della Porta tra il 1588 eil 1590. Sotto il pontificato di Paolo V Borghese (1605-1621), Carlo Maderno, incaricato del completamento dei lavori, aggiunse tre cappelle laterali -reintroducendo in tal modo la pianta a croce latina - ed eseguì la tanto discussa facciata, terminata nel 1614. Nel 1626 la basilica fu finalmente consacrata da papa Urbano VIII Barberini (1623-1644).
A partire dal 1629 la direzione del cantiere fu affidata a Gian Lorenzo Bernini, che realizzò gran parte dell'apparato decorativo e, tra il 1656 e il 1665, sistemò definitivamente la piazza antistante la basilica erigendo il celeberrimo colonnato.
L’imponente facciata, lunga 115 metri e preceduta dalla scalinata a tre ripiani progettata dal Bernini, presenta lesene e colonne corinzie ed è sormontata da un attico coronato da tredici colossali statue. Al centro si trova la Loggia delle Benedizioni: da qui il papa benedice i fedeli nelle occasioni più solenni e viene annunciata al mondo l’elezione di ogni nuovo pontefice. Entrando nel grande atrio progettato dal Maderno si può ammirare sulla destra, dietro una porta a vetri, la statua equestre diCostantino opera del Bernini. Delle cinque porte d’accesso notevole è quella mediana, i cui battenti sono opera quattrocentesca del Filarete (già nella vecchia basilica). La Porta Santa, la cui apertura dà ufficialmente inizio all’Anno Santo, è l’ultima sulla destra. L’interno, di dimensioni davvero grandiose, presenta una navata centrale e due navate laterali minori. Sul pavimento della navata mediana, a pochi metri dall’ingresso, c’è la Rota Porphyretica, un disco di porfido (già presso l’altare dell’antica basilica) su cui Carlo Magno s’inginocchiò, per ricevere da Leone III la corona imperiale, nella notte di Natale dell’anno 800. Procedendo verso l’altare si possono notare, sempre sul pavimento, le lettere bronzee con cui sono segnate le lunghezze delle più grandi chiese del mondo. Sull’ultimo pilastro di destra, una celebre statua di bronzo raffigurante San Pietro seduto e benedicente - a lungo creduta del V secolo ma ora assegnata con certezza al XIII secolo e forse ad Arnolfo di Cambio - introduce alla cupola, il cui luminoso interno fu decorato a mosaico dal Cavalier d’Arpino nel 1605. Sotto la cupola, sorretta dai quattro colossali pilastri bramanteschi decorati alla base con statue di santi (notevole, sotto il primo pilastro di destra, il San Longino del Bernini), spiccano le colonne tortili del grande baldacchino bronzeo eseguito tra il 1624 ed il 1633 da Gian Lorenzo Bernini in collaborazione con altri esecutori tra cui Francesco Borromini. Sotto al baldacchino è l’altare papale, che si affaccia sulla confessione edificata dal Maderno sull’asse della sottostante tomba di San Pietro. Sempre del Bernini è la scenografica Cattedra di San Pietro al centro dell’abside, fiancheggiata dai monumenti funerari ad Urbano VIII, anch’esso del Bernini, e a Paolo III, opera insigne di Guglielmo della Porta. Nella prima cappella della navata destra, dietro un cristallo di protezione, si può ammirare la Pietà, famosissimo gruppo marmoreo firmato da Michelangelo, che lo eseguì appena ventitreenne (1498-99) per un cardinale francese. Proseguendo lungo la navata destra si oltrepassano altre cappelle tutte con decorazioni ed opere di altissimo livello (nella terza, detta"del Sacramento", inferriata disegnata dal Borromini e ciborio del Bernini ispirato a S. Pietro in Montorio); nel transetto destro monumento di Clemente XIII, una delle opere più celebri di Antonio Canova (1784-92). Nella navata sinistra si segnalano la tomba di Innocenzo VIII del Pollaiolo (1498), il più antico dei monumenti funebri presenti nella basilica, e la stele funeraria nota come monumento Stuart, di Antonio Canova.




La basilica di San Pietro è uno dei più grandi edifici del mondo: lunga ben 218 metri e alta fino alla cupola 133,30 metri, la superficie totale è di circa 23 000 metri quadrati e può contenere 60.000 fedeli (secondo altre fonti 20.000).

L'edificio è interamente percorribile lungo il suo perimetro, benché sia collegato ai Palazzi Vaticani mediante un corridoio sopraelevato disposto lungo la navata destra e dalla Scala Regia a margine della facciata su Piazza San Pietro; due corridoi invece lo uniscono all'adiacente Sacrestia. Nonostante questo aspetto tradisca l'idea di una costruzione isolata al centro di una vasta piazza, come probabilmente l'aveva pensata Michelangelo Buonarroti, la presenza di passaggi sopraelevati, che non interferiscono con il perimetro della basilica, permette ugualmente di cogliere la complessa articolazione del tempio. L'esterno, in travertino, è caratterizzato dall'uso di un ordine gigante oltre il quale è impostato l'attico. Questa configurazione si deve sostanzialmente a Michelangelo Buonarroti e fu mantenuta anche nel corpo longitudinale aggiunto da Carlo Maderno.

Invece, lungo le navate, presso i 45 altari e nelle 11 cappelle che si aprono all'interno della basilica, sono ospitati diversi capolavori di inestimabile valore storico e artistico, come diverse opere di Gian Lorenzo Bernini e altre provenienti dalla chiesa paleocristiana, come la statua bronzea di san Pietro, attribuita ad Arnolfo di Cambio.

La facciata larga circa 114,69 metri e alta 45,44 metri, venne innalzata da Carlo Maderno fra il 1607 e il 1614, ed è articolata mediante l'uso di colonne d'ordine gigante che inquadrano gli ingressi e la Loggia delle Benedizioni, il luogo dove viene annunziata ai fedeli l'elezione del nuovo papa; al di sotto si trova un altorilievo di Ambrogio Buonvicino, intitolato Consegna delle Chiavi, del 1614 circa. Nella trabeazione, al di sotto del frontone centrale, è impressa l'iscrizione

« IN HONOREM PRINCIPIS APOST PAVLVS V BVRGHESIVS ROMANVS PONT MAX AN MDCXII PONT VII »

(In onore del principe degli apostoli; Paolo V Borghese Pontefice Massimo Romano anno 1612 settimo anno del pontificato )
La facciata è preceduta da due statue raffiguranti san Pietro e san Paolo, scolpite rispettivamente da Giuseppe De Fabris e Adamo Tadolini nel 1847 per sostituire quelle precedenti, compiute da Paolo Taccone e Mino del Reame nel 1461. Sulla sommità sono disposte le statue, alte anche oltre 5,7 m, di Gesù, Giovanni Battista e di undici dei dodici apostoli (manca san Pietro). Ai lati della medesima sono collocati due orologi realizzati nel 1785 da Giuseppe Valadier.

Sotto l'orologio di sinistra si trova la cella campanaria al cui interno sono ospitate le 6 campane: al centro del finestrone la campana maggiore realizzata dal Valadier nel 1785, ai lati superiori le due campane minori; all'interno, dietro al campanone, il "Campanoncino" del 1725 e dietro la "Rota" del XIII secolo; sopra a queste la "Predica" del XIX sececolo.

La facciata è stata restaurata in occasione del giubileo del 2000, e riportata ai colori originariamente voluti da Maderno.

Varcato il cancello centrale, si accede a un portico che si estende per tutta la larghezza della facciata e sul quale si aprono i cinque accessi alla basilica.

L'atrio è fiancheggiato da due statue equestri: Carlo Magno, a sinistra, di Agostino Cornacchini (1725) e, sul lato opposto, Costantino, creata dal Bernini nel 1670 e che sottolinea l'ingresso ai Palazzi Vaticani attraverso la Scala Regia. Alcuni stucchi arricchiscono tutta la volta sovrastante, ideati da Martino Ferrabosco ma realizzati da Ambrogio Buonvicino, a cui appartengono anche le trentadue statue di papi collocate ai lati delle lunette.

Sulla parete sopra l'accesso principale alla basilica è riportato un importante frammento del mosaico della Navicella degli Apostoli, eseguito da Giotto per la primitiva basilica e collocato nell'attuale sede solo nel 1674.

Per entrare nella basilica, oltrepassata la facciata principale, vi sono cinque porte.

La porta all'estrema sinistra è stata realizzata da Giacomo Manzù nel 1964, ed è nota come Porta della Morte: venne commissionata da Giovanni XXIII e prende questo nome poiché da questa porta escono i cortei funebri dei Pontefici. È strutturata in quattro riquadri; nel principale vi è la raffigurazione della deposizione di Cristo e della assunzione al cielo di Maria. Nel secondo sono rappresentati i simboli dell'Eucaristia: pane e vino, richiamati simbolicamente da tralci di vite e da spighe tagliate. Nel terzo riquadro viene richiamato il tema della morte. Sono raffigurati l'uccisione di Abele, la morte di Giuseppe, il martirio di san Pietro, la morte dello stesso Giovanni XXIII che non visse abbastanza per vederla (in un angolo è richiamata l'enciclica "Pacem in Terris"), la morte in esilio di Gregorio VII e sei animali nell'atto della morte. Dal lato interno alla basilica vi è l'impronta della mano dello scultore e un momento del Concilio Vaticano II, quello in cui il cardinale Rugambwa, primo cardinale africano, rende omaggio al papa.

Segue la Porta del Bene e del Male, opera di Luciano Minguzzi che vi ha lavorato dal 1970 al 1977.

La Porta Centrale, o Porta del Filarete, fu ordinata da papa Eugenio IV ad Antonio Averulino detto appunto il Filarete e venne eseguita tra il 1439 e il 1445 per l'accesso alla basilica costantiniana. È realizzata in due battenti di bronzo e ogni battente è diviso in tre riquadri sovrapposti. Nei riquadri in alto sono rappresentati a sinistra Cristo in trono a destra Madonna in trono; nei riquadri centrali sono rappresentati san Pietro e san Paolo, il primo mentre consegna le chiavi a papa Eugenio IV, il secondo rappresentato con la spada e un vaso di fiori. I riquadri inferiori rappresentano il martirio dei due santi. A sinistra la decapitazione di san Paolo, a destra la crocifissione capovolta di san Pietro. I riquadri sono incorniciati da girali animati con profili di imperatori e nell'intercapedine fra questi vi sono fregi con episodi del pontificato di Eugenio IV. Dal lato interno vi è l'insolita firma dell'artista. Questo ha rappresentato i suoi allievi al seguito di un mulo che lui stesso cavalca.

A destra rispetto alla precedente si trova la Porta dei Sacramenti. È stata realizzata da Venanzo Crocetti e inaugurata da papa Paolo VI il 12 settembre 1965. Sulla porta è rappresentato un angelo che annuncia i sette sacramenti.

La porta più a destra è la Porta Santa realizzata da Vico Consorti, fusa in bronzo dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli nel 1950 e donata a papa Pio XII. Nelle sedici formelle che la costituiscono si può vedere lo stesso Pio XII e la bolla di Bonifacio VIII che indisse il primo Giubileo nel 1300. Al di sopra sono presenti alcune iscrizioni: PAVLVS V PONT MAX ANNO XIII, mentre quella appena sopra la porta recita GREGORIVS XIII PONT MAX. In mezzo a queste due scritte sono presenti alcune lastre che commemorano le recenti aperture.

Nel giubileo dell'anno 1983 - 1984 dall'umana redenzione, Giovanni Paolo II, Pontefice Massimo, aprì e chiuse la porta santa, chiusa e sigillata da papa Paolo VI nel 1976. Giovanni Paolo II, Pontefice Massimo, nuovamente aprì e chiuse la porta santa nell'anno del Grande Giubileo dall'incarnazione del Signore 2000 - 2001. Paolo VI, Pontefice Massimo, aprì e chiuse la porta santa di questa basilica patriarcale vaticana nell'anno del Giubileo del 1975.



L'immenso spazio interno, lungo 187,36 metri (la scritta all'ingresso riporta 837 P.R. che sta per palmi romani), è articolato in tre navate per mezzo di robusti pilastri sui quali si aprono grandi archi a tutto sesto, alti 23 metri e larghi 13. La superficie calpestabile è di 15 160 metri quadrati. La navata centrale è lunga 90 metri (dalla controfacciata ai primi pilastri della cupola), larga 26 metri e alta circa 45 metri e da sola copre circa 2 500 metri quadrati di superficie. È coperta da un'ampia volta a botte e culmina, dietro al colossale Baldacchino di San Pietro, nella monumentale Cattedra.

Particolarmente ricercato è il disegno del pavimento marmoreo, in cui sono presenti elementi provenienti dalla precedente basilica, come il disco in porfido rosso egiziano sul quale si inginocchiò Carlo Magno il giorno della sua incoronazione (la cosiddetta Rota Porphyretica). Il pavimento marmoreo sostituisce quello precedenti in mattoni (quest'ultimo inizialmente presente solo nel corpo aggiunto da Maderno) e fu realizzato da Gian Lorenzo Bernini per il giubileo del 1650, assieme alle decorazioni della navata. Diecimila metri quadrati di mosaici rivestono poi le superfici interne e si devono all'opera di numerosi artisti che operarono soprattutto tra il Seicento e il Settecento, come Pietro da Cortona, Giovanni De Vecchi, Cavalier d'Arpino e Francesco Trevisani.

Fino all'intersezione col transetto, nelle nicchie ricavate nei pilastri posti sulla destra dell'ingresso, si trovano le statue di: Santa Teresa di Gesù (1754), Santa Maddalena Sofia Barat (1934), San Vincenzo de' Paoli (di Pietro Bracci, 1754), San Giovanni Eudes (1932), San Filippo Neri (di Giovanni Battista Maino, 1737), San Giovanni Battista de La Salle (1904), l'antica statua bronzea di san Pietro (Arnolfo di Cambio) e San Giovanni Bosco (1936). Sui pilastri di sinistra: San Pietro d'Alcántara (1713), Santa Lucia Filippini (1949), San Camillo de Lellis (1753), San Luigi Maria Grignion de Montfort (1948), Sant'Ignazio di Loyola (1733, di Camillo Rusconi), Sant'Antonio Maria Zaccaria (1909), San Francesco di Paola (di Giovanni Battista Maino, 1732) e San Pietro Fourier (1899).

Le acquasantiere, alte quasi due metri, furono realizzate tra il 1722 e il 1725 su disegno di Agostino Cornacchini. Constano di due conche in giallo di Siena, opera di Giuseppe Lironi, e due coppie di putti di Francesco Moderati e Giovanni Battista de Rossi.

Nella prima cappella a destra è collocata la celebre Pietà di Michelangelo, opera degli anni giovanili del maestro (1499) e che colpisce per l'armonia e il candore delle superfici; la scultura è protetta da una teca di cristallo a seguito dei danneggiamenti subiti nel 1972, quando un folle vi si avventò contro, colpendola in più punti con un martello.

Oltrepassati il monumento a Leone XII (1835-36) e il seicentesco monumento a Cristina di Svezia, rispettivamente di Giuseppe de Fabris e Carlo Fontana, segue quindi la Cappella di San Sebastiano, ove è collocato il grande mosaico del Martirio di san Sebastiano, realizzato sulla base di un dipinto del Domenichino da Pier Paolo Cristofari; nella cappella, coperta da una volta decorata con mosaici di Pietro da Cortona, sono conservati anche i monumenti realizzati nel corso del Novecento per Pio XI e Pio XII. Nell'altare della cappella è collocata la tomba del santo Giovanni Paolo II, ivi posta dopo l'esposizione in occasione della Beatificazione.

Procedendo oltre, si trovano i monumenti a Innocenzo XII (di Filippo della Valle, 1746) e a Matilde di Canossa (di Gian Lorenzo Bernini, 1633-37), che precedono l'ingresso alla Cappella del Santissimo Sacramento, schermata da una cancellata ideata da Francesco Borromini. La cappella fu progettata da Carlo Maderno per raccordare la basilica michelangiolesca con il corpo longitudinale seicentesco. All'interno si trova il tabernacolo del Santissimo Sacramento, realizzato in bronzo dorato da Gian Lorenzo Bernini nel 1674, prendendo a modello il tempietto bramantesco di San Pietro in Montorio. La pala d'altare, raffigurante la Trinità, è opera di Pietro da Cortona. All'esterno, la cappella, caratterizzata da un soffitto più basso rispetto al corpo della basilica, è chiusa da un alto attico, così da celare, a una vista dal basso, la differenza di quota della copertura. Nella cappella del Santissimo Sacramento avveniva il rituale del "bacio del piede" della salma del papa defunto, vale a dire l'ostensione ai fedeli delle spoglie mortali dei pontefici defunti, prima delle esequie. Tale prassi sarà interrotta da Pio XII, per il quale l'ostensione avvenne nella navata centrale.

Due monumenti, rispettivamente a Gregorio XIII (Camillo Rusconi, 1723) e a Gregorio XIV , chiudono la navata destra prima dell'ambulacro che corre intorno alla cupola.

La navata di sinistra si apre con la Cappella del Battesimo, progetta da Carlo Fontana e decorata con mosaici del Baciccio completati poi da Francesco Trevisani; il mosaico che troneggia dietro l'altare fu composto a imitazione di un dipinto di Carlo Maratta, ora collocato nella basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri.

Subito oltre è situata la tomba di Maria Clementina Sobieski (Pietro Bracci, 1742) e quindi il Monumento agli Stuart (Antonio Canova, 1829). Nell'adiacente Cappella della Presentazione  è conservato il corpo di Pio X, mentre lungo le pareti sono sistemati i monumenti a Giovanni XXIII e Benedetto XV, realizzati nel corso del XX secolo.

Nello spazio delimitato dal pilastro della navata si trovano quindi il monumento a Pio X (1923) e la tomba di Innocenzo VIII, eseguita da Antonio Pollaiolo (XV secolo).

Un'altra cancellata del Borromini delimita la Cappella del Coro, speculare proprio a quella del Santissimo Sacramento, di cui riprende anche la suddetta configurazione esterna. In corrispondenza dell'ultimo pilastro che precede l'ambulacro sono situati i monumenti a Leone XI (Alessandro Algardi, 1644) e a papa Innocenzo XI.



L'ambulacro, ovvero lo spazio che circonda i quattro pilastri che sorreggono la cupola, introduce verso il cuore della basilica così come l'aveva pensata Michelangelo Buonarroti.

Sul pilastro posto in corrispondenza con la navata destra si erge l'altare di San Girolamo, con la tomba di papa Giovanni XXIII posta alla base di un grande mosaico riproducente un dipinto del Domenichino.

La cappella compresa tra quella del Santissimo Sacramento e il transetto è quella Gregoriana. Essa è chiusa da una cupola incastonata all'interno della cortina muraria della basilica, ma all'esterno è sormontata da una delle due cupole ornamentali che circondano quella maggiore. Qui è situata la tomba di Gregorio XVI (Luigi Amici, 1848-57). La parete nord è delimitata dall'altare della Madonna del Soccorso , accanto al quale si trovano la tomba di Benedetto XIV e l'altare di San Basilio, impreziosito da un mosaico settecentesco.

Oltrepassando il transetto si trova il monumento a Clemente XIII (Antonio Canova (1787-92), di fronte al quale è posto l'altare della Navicella. Seguono gli altari di San Michele Arcangelo, Santa Petronilla e San Pietro che risuscita Tabita; la parete ovest ospita il monumento a Clemente X, opera tardoseicentesca di Mattia de Rossi.

Il lato sud dell'ambulacro è caratterizzato da una riproduzione in mosaico della celebre Trasfigurazione di Raffaello Sanzio, collocata sul pilastro posto a chiusura della navata sinistra. L'adiacente cappella, analoga alla Gregoriana, è detta Clementina, e qui riposano i resti di Gregorio Magno e Pio VII (Bertel Thorvaldsen, 1831, unico artista non cattolico ad aver lavorato per la basilica). L'altare della Bugia, ornato ancora con un mosaico settecentesco, si trova dinnanzi al monumento a Pio VIII (Pietro Tenerani, 1866); da qui, un corridoio conduce alla grande Sacrestia della basilica vaticana, posta all'esterno della chiesa stessa.

Invece, oltrepassato il transetto meridionale, si osserva il monumento a papa Alessandro VII, notevole opera di Gian Lorenzo Bernini, in cui il papa è mostrato assorto in preghiera, con la morte, raffigurata da uno scheletro che sorregge una clessidra, che precede una porta, il simbolico passaggio verso all'aldilà.

Seguono l'altare del Sacro Cuore di Gesù ( con il suo mosaico risalente solo agli anni trenta del XX secolo) e quindi la Cappella della Vergine della Colonna, ove si trovano l'omonimo altare e quello dedicato a san Leone Magno, con una grandiosa pala d'altare marmorea di Alessandro Algardi (1645-53) L'ambulacro si chiude con il settecentesco altare di San Pietro che guarisce un paralitico e il monumento a papa Alessandro VIII.

Il transetto settentrionale, verso i Palazzi Vaticani, fu costruito su progetto di Michelangelo Buonarroti, che eliminò il deambulatorio previsto dai suoi predecessori, murando gli accessi al corridoio esterno, non realizzato, e ricavandovi alcune nicchie sormontate da ampi finestroni rettangolari. Le nicchie ospitano tre altari, dedicati a san Venceslao, sant'Erasmo e, al centro, ai santi Processo e Martiniano.

Il transetto meridionale, analogo al precedente, è caratterizzato da altrettanti altari, intitolati a san Giuseppe (al centro), alla crocefissione di Pietro e a san Tommaso.

Lungo il transetto, nelle nicchie ricavate nei pilastri, sono collocate statue di santi; nel transetto destro: San Bonfiglio Monaldi (1906), San Giuseppe Calasanzio (1755), San Paolo della Croce (1876) e San Bruno (1744); nel transetto sinistro: San Guglielmo da Vercelli (1878), San Norberto (1767), Sant'Angela Merici (1866) e Santa Giuliana Falconieri (1740).

Con oltre 133 metri di altezza, 41,50 metri di diametro (di poco inferiore però a quello del Pantheon di Roma) e 537 scalini dalla base dell'edificio fino alla lanterna, la cupola è l'emblema della stessa basilica e uno dei simboli dell'intera città di Roma.

Poggia su un alto tamburo (costruito sotto la direzione di Michelangelo), definito all'esterno da una teoria di colonne binate e aperto da sedici finestroni rettangolari, separati da altrettanti costoloni. Quattro immensi pilastri, di 71 metri di perimetro, sorreggono l'intera struttura, il cui peso è stimato in 14 000 tonnellate.
La cupola fu costruita in soli due anni da Giacomo Della Porta, seguendo i disegni di Michelangelo, il quale però forse aveva previsto una cupola perfettamente sferica, almeno secondo quanto attestato dalle incisioni di Stefano Dupérac pubblicate poco dopo la morte dell'artista. Neanche il modello ligneo della cupola, conservato all'interno della basilica, aiuta a rivelare le vere intenzioni di Michelangelo. Il modello fu realizzato tra il 1558 e il 1561, quando i lavori del tamburo erano già stati cominciati, ma fu successivamente modificato e presenta alcune sostanziali differenze nella concezione della calotta e degli altri dettagli ornamentali. Del resto, Michelangelo si era riservato per sé il diritto di apportare modifiche alla struttura dell'intera basilica, per la quale non è giunto sino a noi nessun progetto definitivo, quindi la presenza di un modello non era da considerarsi strettamente vincolante ai fini della realizzazione dell'opera. Lo dimostrano, ad esempio, i timpani dei sedici finestroni che segnano il perimetro del tamburo: nel modello sono tutti di forma triangolare, mentre nella cupola vera e propria presentano forme curve e triangolari alternate.

In ogni caso, l'attuale configurazione della cupola si deve a Della Porta, che per prevenire dissesti strutturali la realizzò, tra il 1588 e il 1593, a sesto rialzato, circa 7 metri più alta rispetto a quella michelangiolesca, e cinse la base con catene di ferro. Ciò nonostante, nel corso dei secoli, a causa del manifestarsi di pericolose lesioni, soprattutto nel tamburo, si resero necessari altri interventi di consolidamento, a opera dell'ingegnere Giovanni Poleni, con l'inserimento nella struttura del tamburo e della cupola di altre catene.

Dal punto di vista strutturale è costituita da due calotte sovrapposte, secondo quanto già realizzato a Firenze dal Brunelleschi: la calotta interna, più spessa, è quella portante, mentre quella esterna, rivestita in lastre di piombo ed esposta agli agenti atmosferici, è di protezione alla prima. Ottocento uomini lavorarono al completamento della cupola che, nel 1593, fu chiusa con la svettante lanterna dotata di colonne binate.

Secondo l'incisione di Dupérac, altre quattro cupole minori, puramente ornamentali, avrebbero dovuto sorgere attorno alla maggiore per esaltarne la centralità, tuttavia furono portate a termine solo quelle sovrastanti le cappelle Gregoriana e Clementina.

La decorazione interna fu realizzata secondo la tecnica del mosaico, come la maggior parte delle raffigurazioni presenti in basilica: eseguita dai citati Cavalier d'Arpino e Giovanni De Vecchi per volontà di papa Clemente VIII, presenta scene col Cristo, gli apostoli e busti di papi e santi. La scalinata che permette di salire in cima alla cupola ha un particolare disegno a listoni a sbalzo ed è realizzata in cotto ferentinate.

Lo spazio sottostante la cupola è segnato dal monumentale Baldacchino di San Pietro, ideato dal genio di Gian Lorenzo Bernini e innalzato tra il 1624 e il 1633. Realizzato col bronzo prelevato dal Pantheon, è alto quasi 30 metri ed è sorretto da quattro colonne tortili a imitazione del Tempio di Salomone e del ciborio della vecchia basilica costantiniana, le cui colonne erano state recuperate e inserite come ornamento nei pilastri della cupola michelangiolesca. Al centro, all'ombra del Baldacchino, avvolto dall'immenso spazio della cupola, sorge l'Altare papale, detto di Clemente VIII (che lo consacrò nel 1594), collocato sulla verticale esatta del Sepolcro di San Pietro.

Lungo i quattro immensi pilastri che circondano l'invaso della cupola si trovano le sculture ordinate da Urbano VIII: sono San Longino di Gian Lorenzo Bernini (1639), Sant'Elena realizzata da Andrea Bolgi nel 1646, Santa Veronica di Francesco Mochi (1632), e infine Sant'Andrea di François Duquesnoy (1640).

La struttura del coro è analoga a quella del transetto ed è dominata, al centro della parete che chiude la basilica, la Cattedra di San Pietro, un monumentale reliquiario opera di Gian Lorenzo Bernini e contenente la cattedra dell'epoca paleocristiana, sorretta dalle statue dei quattro Padri della Chiesa e illuminata dalla sfolgorante apparizione della colomba.



A sinistra della cattedra si trova il monumento a Paolo III, realizzato da Guglielmo Della Porta. Alla destra invece sorge il Sepolcro di Urbano VIII, eseguito ancora dal Bernini, che vi lavorò a partire dal 1627: il complesso è dominato dalla statua del papa in atto di benedire, con ai lati del sarcofago le figure allegoriche della Carità e della Giustizia. Al centro uno scheletro scrive l'epitaffio.

Sui pilastri sono collocate le statue di San Domenico (1706), San Francesco Caracciolo (1834), San Francesco d'Assisi (1727) e Sant'Alfonso Maria de' Liguori (1839).

Le cosiddette Grotte Vaticane, ricavate nel dislivello tra la nuova e la vecchia basilica e attraversate dalle fondazioni di sostegno delle strutture superiori, hanno forma di una chiesa sotterranea a tre navate, e sono usate per luogo di sepoltura di molti pontefici. Dal piano della basilica superiore, proprio di fronte all’altare papale che è sovrastato dal Baldacchino del Bernini, scende al piano inferiore una doppia scalinata, recinta da un’elegante balaustra sulla quale ardono 99 lampade votive. Ci si trova così nella cosiddetta Confessione di San Pietro, opera di Carlo Maderno. Qui si trova la nicchia dei pallii, splendente per il mosaico del Cristo Pantocratore. Sotto l'icona, la preziosa cassetta contiene i pallii (ossia stole di lana con ricami di croci) che il papa conferisce ai neoeletti vescovi metropoliti per segnare il loro legame con lo stesso apostolo. Dietro la cassetta, si vede un residuo della parete marmorea del sepolcro eretto dall’imperatore Costantino per il Principe degli Apostoli. Infatti sul fondo della nicchia dei Pallii si apre la botola bronzea (cataracta o billicus confessionis) che, fin dalla costruzione della prima basilica, dava accesso alla sepoltura di Pietro. Normalmente si scende alle Grotte non dalla scalinata centrale, ma da scale a chiocciola ricavate nello spessore dei quattro pilastri che sorreggono la cupola. Nelle ore di maggiore affluenza, l'accesso avviene dall'esterno, lungo il fianco destro della basilica.

Il papa Pio XII, appena eletto (1939), promosse la ricerca archeologica con i nuovi scavi, che nell'arco di dieci anni, dapprima, riportarono alla luce il pavimento dell'antica basilica costantiniana e, successivamente, i resti di una necropoli romana, che occupava il pendio del colle Vaticano, e che fu interrata (come solo l’imperatore poteva ordinare) dai costruttori della prima basilica. La presenza di questo spazio cimiteriale confermerebbe così la convinzione che il luogo di sepoltura di San Pietro si trovasse proprio nel luogo in cui gli fu eretto dapprima un sepolcro e poi la basilica.

A seguito della campagna di scavi, nel 1953 furono rinvenute alcune ossa avvolte in un prezioso panno di porpora; esse provenivano con attendibilità da un loculo della stessa necropoli in cui si riconosceva una scritta incompleta in greco con il nome di Pietro. Questo ritrovamento dette al papa Paolo VI la convinzione che doveva trattarsi con ogni probabilità dei resti del corpo di san Pietro; i resti furono quindi ricollocati nella posizione sotterranea originaria, la quale corrisponde esattamente alla verticale dei tre successivi altari papali, del baldacchino bronzeo che li sovrasta, e della cupola che tutti li avvolge.

Nello spazio compreso tra le volte delle navate minori e il tetto si aprono una serie di vasti locali. Quelli situati sulla verticale del nucleo cinquecentesco sono a pianta ottagonale e gravitano al di sopra degli archi che separano l'ambulacro dalla navata principale. Sono denominati: ottagono di Sant'Andrea, di Simon Mago (oggi altare del Sacro Cuore), dello Storpio, della Navicella, di San Basilio, di San Girolamo, di San Sebastiano e della Trasfigurazione. Furono realizzati sotto la direzione di Antonio da Sangallo il Giovane, ma un disegno conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze lascia supporre la presenza sul cantiere dell'architetto Guidetto Guidetti. Nell'ottagono di Simon Mago, che si apre a margine della cupola della Madonna della Colonna, sul lato sud-ovest della basilica, è ospitato l'archivio storico della Fabbrica di San Pietro. Le altre sale conservano numerosi modelli dei progetti allestiti per la basilica: si ricordano il celebre modello ligneo per il completamento del tempio vaticano costruito dal Sangallo in scala 1:30, quello della cupola di Michelangelo, quello della sagrestia progettata da Filippo Juvarra e quello in scala 1:10 dell'imponente organo, mai realizzato, ideato da Aristide Cavaillé-Coll.

Lungo il corpo longitudinale della basilica si trovano invece alcuni ambienti a pianta rettangolare. Quelli posti lungo il lato meridionale sono denominati uno "Stanza degli Architetti" e l'altro "Stanza dei Vetri"; occupano un volume di oltre mille metri cubi e la loro altezza originaria variava rispettivamente da 11,50 a 15,50 metri. Erano utilizzati come ambiente di lavoro dal Vanvitelli e i suoi collaboratori, chiamati a decidere sul restauro della cupola di Michelangelo. Le due sale furono restaurate alla fine degli anni ottanta del Novecento, con la realizzazione di solai intermedi in ferro; questo permise di aumentare lo spazio a disposizione (da 135 a oltre 400 metri quadri), al fine di soddisfare le crescenti necessità della Fabbrica di San Pietro.

L'organo maggiore della basilica, che trova posto tra il baldacchino e la cattedra di San Pietro, è stato costruito da Tamburini nel 1962. I corpi d'organo sono due, situati nei transetti di coro della basilica rispettivamente in Cornu Epistulae e in Cornu Evangelii, e corrispondono ai due organi costruiti all'inizio del XX secolo dagli organari Carlo Vegezzi Bossi e Walcker. Il primo corpo d'organo comprende i registri della seconda e terza tastiera, il secondo quelli della prima e della quarta. I registri di pedale sono ripartiti nei due corpi come da necessità foniche. La consolle è posta accanto al corpo d'organo di sinistra all'interno degli stalli destinati alle cantorie. Un'altra consolle, utilizzata per le celebrazioni che si svolgono in piazza San Pietro, è stata costruita nel 1999 dall'organaro Mascioni. La trasmissione è elettrica.

La disposizione fonica rivela che si tratta di un normale, e neppur tanto grande, organo sinfonico tipico dell'epoca in cui è stato concepito.

Nella basilica, oltre a questo strumento, ce ne sono altri tre:

l'organo Morettini della cappella del Coro (1887), a due tastiere e pedaliera;
l'organo Tamburini della cappella del Coro (1974), a due tastiere e pedaliera;
l'organo Morettini della cappella del Santissimo Sacramento (1914), a unica tastiera e pedaliera, con cassa riccamente intagliata di Giacomo della Porta.

La Basilica possiede un concerto di sei campane fuse in epoche e fonditori differenti incastellate con sistema a slancio veloce su un castello ligneo risalente alla fine del XVIII secolo.

Dal conclave del 2005 le campane di San Pietro hanno un importante ruolo: il loro suono è il segnale definitivo dell'esito positivo del conclave. Questo provvedimento è stato attuato per fugare ogni dubbio sul colore della fumata che precede l'Habemus Papam.

Originariamente la sagrestia era situata presso la Rotonda di Sant'Andrea (o chiesa di Santa Maria della Febbre), un edificio a pianta centrale posto sul lato sud della basilica; esso era sorto come mausoleo funebre d'epoca imperiale e sopravvisse fino alla seconda metà del XVIII secolo.

Dopo vari tentativi non concretizzati, il concorso per la costruzione della nuova sagrestia fu indetto intorno al 1715 e tra i vari partecipanti primeggiò il progetto di Filippo Juvara, che presentò un modello ligneo oggi conservato presso i depositi della basilica. Tuttavia, i costi elevati dell'opera ne impedirono la realizzazione.

Solo nel 1776, papa Pio VI commissionò a Carlo Marchionni l'attuale edificio, i cui lavori furono conclusi nel 1784. La Sagrestia disegnata da Marchionni si inserisce tra le principali architetture romane di fine Settecento, ma non risulta particolarmente innovativa, tentando di armonizzarsi con lo stile della basilica. All'epoca della costruzione essa fu criticata persino dallo studioso Francesco Milizia (1725 - 1798), che per questo motivo fu costretto ad abbandonare la città.

Si tratta di un edificio esterno alla basilica, posto sulla sinistra della medesima; due corridoi sostenuti da arcate a sesto ribassato, la collegano alla navata di San Pietro, in corrispondenza della tomba di Pio VIII e della Cappella del Coro. All'interno di questo articolato volume, che in pianta e in alzato si presenta come l'aggregazione di diversi corpi di fabbrica, si apre la sala ottagonale della Sagrestia Comune, coperta da una grande cupola e affiancata dalle sacrestie dei Canonici e dei Beneficiati, dalla Sala del Capitolo e dalle stanze del Tesoro di San Pietro, dove sono conservati numerosi oggetti sacri. Nella sagrestia dei Beneficiati si trovava il Tabernacolo del Sacramento di Donatello e Michelozzo (1432-1433), ora esposto nell'adiacente Museo del Tesoro.

All'insieme delle opere necessarie per la sua realizzazione edile e artistica, fu preposto un ente, la Reverenda Fabrica Sancti Petri, del quale recentemente il Vaticano ha aperto gli archivi agli studiosi: fra i preziosi documenti catalogati vi sono migliaia di note, progetti, contratti, ricevute, corrispondenze (ad esempio fra Michelangelo e la Curia), che costituiscono una documentazione del tutto sui generis sulla quotidianità pratica degli artisti coinvolti. L'ente è tuttora operante per la gestione del complesso.

È da segnalare che l'immenso cantiere della basilica non passò inosservato alla cultura popolare romana: per far passare i materiali per il cantiere alle dogane senza che essi pagassero il dazio si incideva su ogni singolo collo l'acronimo A.U.FA. (Ad Usum FAbricae: destinato ad essere utilizzato nella fabbrica di San Pietro). Nella tradizione popolare romana nacque subito la forma verbale "auffo" o "auffa", tuttora utilizzata a Roma, per indicare qualcuno che vuole ottenere servigi o beni in modo gratuito. Sempre a Roma, ancora oggi, quando si parla di un lavoro perennemente in cantiere si è soliti paragonarlo alla Fabbrica di San Pietro.

La basilica di San Pietro è la più grande chiesa cattolica. Sul pavimento della navata centrale, muovendo dall'ingresso verso l'abside, si vedono inserite nel marmo delle stelle dorate: esse indicano la lunghezza totale (misurata dall'abside di San Pietro) di parecchie grandi chiese sparse nel mondo.

Il primato solo apparentemente le era stato tolto nel 1989 dalla basilica di Nostra Signora della Pace di Yamoussoukro, nella Costa d'Avorio, edificio ispirato proprio alle forme della basilica romana e propagandisticamente definito la "basilica più grande del mondo": in realtà si tratta solo della "basilica più alta del mondo" (158 m), mentre l'edificio è notevolmente più piccolo di quello di San Pietro.

Le forme della basilica di San Pietro, e in particolare quella della sua cupola, hanno fortemente influenzato l'architettura delle chiese cristiane occidentali. Ad esempio, il modello di San Pietro fu ripreso, già nel corso del Seicento, nella cupola della basilica romana di Sant'Andrea della Valle. Si ritiene che da San Pietro, oltre che dalla cupola di Santa Maria della Salute a Venezia, derivino anche le cupole a calotte separate che trovano nella cattedrale di St. Paul a Londra (1675) e nel Pantheon di Parigi (di Jacques-Germain Soufflot) due dei massimi esempi, e anche se costruita in modo tecnicamente diverso, la cupola di Les Invalides a Parigi (1680-1691). Il revival dell'architettura, che caratterizzò il periodo compreso tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, portarono alla costruzione di un gran numero di chiese ispirate, in maniera più o meno consistente, alla basilica petrina, tra cui la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Chicago (dal 1899), la basilica di San Giosafat a Milwaukee (1901), la chiesa del Cuore Immacolato di Maria a Pittsburgh (1904), la basilica di Oudenbosch (1865-1892), e la Cattedrale di Maria Regina del Mondo di Montreal (1875-1894), che replica molti aspetti di San Pietro su una scala più piccola. La seconda metà del Novecento ha visto adattamenti liberi di San Pietro nella Basilica di Nostra Signora di Lichen, la Basilica di Nostra Signora della Pace di Yamoussoukro e la Basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio a Napoli.

L'arciprete è il decano fra i presbiteri di una parrocchia, responsabile per la corretta esecuzione dei doveri ecclesiastici e per lo stile di vita dei curati a lui sottoposti.

Nel caso della Basilica Vaticana è il massimo responsabile dell'attività cultuale e pastorale della basilica. La carica dell'arciprete è antichissima ed è riservata ad un cardinale; attualmente mantiene l'incarico, dal 31 ottobre 2006, il cardinale Angelo Comastri.

Dal 1991, abolita la figura del Vescovo Sacrista di Sua Santità, che dalla creazione dello Stato Vaticano nel febbraio del 1929 era anche Vicario Generale dello Stato della Città del Vaticano, i suoi compiti sono stati assegnati all'arciprete della Basilica Vaticana.
L’imponenza della facciata seicentesca di Carlo Maderno rende l’idea delle mastodontiche dimensioni della Basilica di San Pietro, ancora oggi una delle chiese più grandi al mondo.
La primitiva Basilica di San Pietro, un edificio di dimensioni paragonabili all’attuale, fu eretta intorno al 320 dall’imperatore Costantino nel luogo dove, secondo la tradizione, era stato sepolto l’apostolo Pietro.
Nel corso dei secoli e sotto svariati pontificati ebbe inizio quel lungo processo che, in circa duecento anni e con il concorso di moltissimi artisti (Bramante, Michelangelo, Bernini), avrebbe portato al completo rifacimento della primitiva basilica costantiniana.
La cupola ideata da Michelangelo sorprende per dimensioni e armonia, caratteristiche che si apprezzano nell’impegnativa ma gratificante salita che permette di ammirarne da vicino sia l’interno che l’esterno.
Tra i tanti capolavori, assolutamente da non perdere la Pietà di Michelangelo, l’opera che stupisce da secoli per tecnica ed emotività.

Uno splendido colonnato di 284 colonne di ordine dorico e ottantotto pilastri in travertino di Tivoli circonda la Basilica di San Pietro, come volesse accogliere in un simbolico abbraccio i fedeli in visita.

La splendida architettura del colonnato fu commissionata da Papa Alessandro VII Chigi a Bernini, il quale dispose radialmente le quattro file di 284 colonne, di cui aumentò gradualmente il diametro, riuscendo così a mantenere invariate le relazioni proporzionali tra gli spazi e le colonne anche nelle file esterne.

Grazie a questo accorgimento, lo spettatore raggiungendo i dischi di porfido ai lati dell’obelisco vede il colonnato come composto da un’unica fila di colonne.


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domenica 29 novembre 2015

SANT'ANDREA


Andrea  fu un apostolo di Gesù Cristo, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa.

Andrea era il fratello di Pietro apostolo (Mc 1:16). Quasi sicuramente il suo nome, come altri nomi tramandati in greco, non era il nome originario di questo apostolo in quanto, nella tradizione ebraica o giudaica, il nome Andrea compare solo a partire dal II-III secolo.

Il Nuovo Testamento afferma che Andrea era figlio di Giona (Mt 16:17) o Giovanni (Gv 1:42); e che era nato a Betsaida sulle rive del Lago omonimo in Galilea (Gv 1:44). Assieme al fratello Pietro esercitava il mestiere di pescatore e la tradizione vuole che Gesù stesso lo avesse chiamato ad essere suo discepolo invitandolo ad essere per lui "pescatore di uomini", tradotto anche come "pescatore di anime". Agli inizi della vita pubblica di Gesù, occupavano la stessa casa a Cafarnao (Mc 1:21-29).

Il Vangelo secondo Giovanni riporta che Andrea era stato in precedenza discepolo di Giovanni il Battista, che gli indicò Gesù come «agnello di Dio» (Gv 1:35-40). Andrea fu il primo a riconoscere in Gesù il Messia e lo fece conoscere al fratello (Gv 1:41). Presto entrambi i fratelli divennero discepoli di Cristo. In un'occasione successiva, prima della definitiva vocazione all'apostolato, essi erano definiti come grandi amici e lasciarono tutto per seguire Gesù (Lc 5:11; Mt 4:19-20; Mc 1:17-18).

Nei vangeli Andrea è indicato essere presente in molte importanti occasioni come uno dei discepoli più vicini a Gesù (Mc 13:3; Gv 6:8, 12:22), ma negli Atti degli Apostoli si trova solo una menzione marginale della sua figura (At 1:13).

Eusebio di Cesarea ricorda nelle sue "Origini" che Andrea aveva viaggiato in Asia Minore ed in Scizia, lungo il Mar Nero come del resto anche sul Volga e sul Kiev. Il ricercatore George Alexandrou, ha scritto che Sant'Andrea ha passato 20 anni nei territori dei Daco-Romani, vissuto in una caverna nei pressi del villaggio Ion Corvin, oggi in Romania. Per questo egli è divenuto santo patrono della Romania e della Russia. Secondo la tradizione, egli fu il fondatore della sede episcopale di Bisanzio (Costantinopoli), dal momento che l'unico vescovato dell'area asiatica che era già stato fondato era quello di Eraclea. Nel 38, su questa sede gli succedette Stachys. La diocesi si svilupperà successivamente nel Patriarcato di Costantinopoli. Andrea è riconosciuto come santo patrono della sede episcopale.

Andrea è stato martirizzato per crocifissione a Patrasso (Patrae) in Acaia (Grecia). Dai primi testi apocrifi, come ad esempio gli Atti di Andrea citati da Gregorio di Tours, si sa che Andrea venne legato e non inchiodato su una croce latina (simile a quella dove Cristo era stato crocifisso), ma la tradizione vuole che Andrea sia stato crocifisso su una croce detta Croce decussata (a forma di 'X') e comunemente conosciuta con il nome di "Croce di Sant'Andrea"; questa venne adottata per sua personale scelta, dal momento che egli non avrebbe mai osato eguagliare il Maestro nel martirio. Quest'iconografia di sant'Andrea appare ad ogni modo solo attorno al X secolo, ma non divenne comune sino al XVII secolo. Proprio per il suo martirio, sant'Andrea è divenuto anche il patrono di Patrasso.

Gli scritti apocrifi che compongono gli Atti di Andrea, menzionati da Eusebio di Cesarea, Epifanio di Salamina e da altri, è compreso in un gruppo disparato di Atti degli apostoli che vengono tradizionalmente attribuiti a Lucio Carino. Questi atti risalgono al III secolo e, assieme al Vangelo di Andrea, appaiono tra i libri rigettati dalla chiesa nel Decretum Gelasianum di papa Gelasio I.

La serie completa degli Atti venne edita e pubblicata da Konstantin von Tischendorf nel suo Acta Apostolorum apocrypha (Lipsia, 1821), che si occupò di riordinarli per la prima volta in modo ordinato e filologicamente corretto. Un'altra versione è presente nella Passio Andreae, pubblicata da Max Bonnet (Supplementum II Codicis apocryphi, Parigi, 1895).

La festa di Sant'Andrea è ricordata il 30 novembre nelle Chiese d'Oriente e d'Occidente ed è festa nazionale in Scozia.

Dopo il martirio di sant'Andrea, secondo la tradizione, le sue reliquie vennero spostate da Patrasso a Costantinopoli. Leggende locali dicono che le reliquie vennero vendute dai romani. Sofronio Eusebio Girolamo scrisse che le reliquie di Andrea vennero portate da Patrasso a Costantinopoli per ordine dell'imperatore romano Costanzo II nel 357. Qui rimasero sino al 1208 quando le reliquie vennero portate ad Amalfi, in Italia, dal cardinale Pietro Capuano, nativo di Amalfi. Nel XV secolo, la testa di sant'Andrea fu portata a Roma, dove venne posta in una teca in uno dei quattro pilastri principali della basilica di San Pietro. Nel settembre del 1964, come gesto di apertura verso la Chiesa ortodossa greca, papa Paolo VI consegnò un dito e parte della testa alla chiesa di Patrasso. Il Duomo di Amalfi, dedicato appunto a sant'Andrea (come del resto la città stessa), contiene una tomba nella sua cripta che continua a contenere alcune altre reliquie dell'apostolo.

Nel sesto secolo la reliquia di una mano e di un braccio di sant'Andrea fu donata a Venanzio vescovo di Luni dal papa Gregorio Magno, suo grande amico. È tradizione che in tale tempo, e con l'occasione del dono, sia stata costruita in Sarzana la chiesa di Sant'Andrea, che divenne la dimora della reliquia. Da quel giorno l'apostolo divenne il patrono della città. Tali reliquie si conservano al presente nella Cattedrale di Sarzana; essa era stata portata da Costantinopoli a Roma da un certo Andrea, maggiordomo dell'imperatore Maurizio Tiberio.



La testa del santo venne donata, insieme ad altre reliquie (un mignolo e alcune piccole parti della croce), da Tommaso Paleologo, despota della Morea spodestato dai Turchi, a papa Pio II nel 1461, in cambio dell'impegno per una crociata che avrebbe dovuto riprendere Costantinopoli. Il papa accettò il dono promettendo di restituire le reliquie quando la Grecia fosse stata liberata e ne inviò la mandibola custodita nell'antico reliquiario a Pienza. Per decisione di papa Paolo VI nel 1964 le reliquie conservate a Roma vennero inviate nuovamente a Patrasso all'interno dell'antico reliquiario bizantino, fino ad allora custodito nella cattedrale pientina; in cambio il Papa donò alla cattedrale di Pienza il busto-reliquiario della testa commissionato da Pio II a Simone di Giovanni Ghini per la basilica di San Pietro in Vaticano. Le reliquie rese sono a tutt'oggi custodite nella chiesa di sant'Andrea a Patrasso in una speciale urna e vengono mostrate ai fedeli in occasione della festa del 30 novembre.

La chiesa madre di San Nicola in Gesualdo (AV) conserva un presunto osso del santo. La reliquia fu donata da Eleonora Gesualdo, badessa del celebre monastero del Goleto, quando, verso la fine del Cinquecento, si trasferì a Gesualdo presso il fratello principe Carlo.

Altre reliquie attribuite a sant'Andrea sono dislocate in punti fondamentali della sua venerazione: nel Duomo di Sant'Andrea di Amalfi, nella cattedrale di Santa Maria a Edimburgo (Scozia), nella chiesa di Sant'Andrea e Sant'Alberto a Varsavia (Polonia).

Nel 2007 una reliquia del santo è stata consegnata dal vescovo di Amalfi al patriarca ecumenico Bartolomeo affinché fosse conservata nella cattedrale di San Giorgio in Costantinopoli (sede del patriarcato).

Alla metà del X secolo, Andrea divenne santo patrono della Scozia. Molte leggende volevano che le reliquie di sant'Andrea fossero state traslate con poteri soprannaturali da Costantinopoli al luogo attualmente denominato "Sant'Andrea" (in pitico, Muckross; in gaelico, Cill Rìmhinn).

Due antichi manoscritti scozzesi ricordano che le reliquie di sant'Andrea vennero portate da Regolo al re dei Piti, Óengus I Mac Fergusa (729–761). L'unico Regolo conosciuto dagli storici (detto anche Riagail o Rule), il cui nome è tutt'oggi ricordato dalla torre di san Rule, fu un monaco irlandese espulso dall'Irlanda con san Colombano; la sua vita, ad ogni modo, sarebbe da collocarsi tra il 573 ed il 600. Vi sono buone ragioni per credere che le reliquie facessero originariamente parte della collezione del vescovo Acca di Hexham e che vennero da quest'ultimo portate ai Piti da Hexham (c. 732), dove venne fondata una sede episcopale, non come avrebbe voluto la tradizione a Galloway, ma sul luogo detto di Sant'Andrea. La connessione fatta con Regolo, ad ogni modo, è dovuta con tutta probabilità al desiderio di datare la fondazione della chiesa di Sant'Andrea in tempi più remoti possibili e quindi più vicini al martirio del Santo.

Un'altra leggenda vuole che nel tardo VIII secolo, durante una delle battaglie contro gli inglesi, il re Ungo (lo stesso Óengus I Mac Fergusa menzionato sopra oppure Óengus II dei Piti (820 – 834)) vide una nuvola incrociata a salterio, e disse ad alta voce ai propri compagni di osservare il fenomeno, indicativo di una protezione di sant'Andrea, e che, se avessero vinto per questa grazia, lo avrebbero eletto quale loro santo patrono. Ad ogni modo, si ha ragione di ritenere che sant'Andrea fosse già venerato in Scozia prima di questa data.

Le connessioni di Andrea con la Scozia sono probabilmente da attribuirsi anche al Sinodo di Whitby, dove la Chiesa celtica guidata da san Colombano sancì che, a giudicare dalle scritture, il fratello minore di Pietro aveva dovuto avere un ruolo addirittura superiore a tutti gli apostoli. Nel 1320 la Dichiarazione di Arbroath definì sant'Andrea come "il primo ad essere divenuto Apostolo".

Numerose chiese parrocchiali di Scozia e congregazioni della Chiesa cristiana del paese sono dedicate a Sant'Andrea. La Chiesa nazionale del popolo scozzese a Roma è la chiesa di Sant'Andrea degli Scozzesi.

Nella bandiera della Scozia (quindi anche in quella del Regno Unito e nello stemma della Nuova Scozia) e in diverse altre figura la croce di sant'Andrea. Compariva anche sulla bandiera dei confederati degli Stati Uniti d'America, anche se il fondatore, William Porcher Miles, riteneva di aver cambiato l'insegna da una croce classica ad una decussata per motivi araldici e non religiosi.

La tradizione romena vuole che sant'Andrea (chiamato Sfântul Apostol Andrei) sia stato uno dei primi a portare il Cristianesimo nella Scizia Minore, l'attuale Dobrugia, al popolo locale dei Daci (antenati dei romeni). Già presso i Padri della Chiesa, infatti, sant'Andrea viene citato come pellegrino in questa regione. Tre sono i toponimi e numerose antiche tradizioni sono riconducibili a sant'Andrea, molte delle quali possono conservare un substrato pre-cristiano. Esiste anche una caverna dove si ritiene che egli abbia alloggiato. La misteriosa tradizione che vuole che egli fosse solito battezzare nel villaggio di Copuzu è anche collegata da molti etnologi con il fenomeno delle campagne di cristianizzazione legate agli apostoli.

Il primo Cristianesimo in Ucraina, ricorda che l'apostolo Andrea avrebbe viaggiato nel sud dell'Ucraina, lungo il Mar Nero. La leggenda vuole che egli abbia anche percorso il fiume Dnieper e abbia raggiunto la località che in seguito sarebbe divenuta Kiev, dove venne eretta una croce sul sito dove abitualmente Andrea risiedeva, profetizzando la nascita della città all'insegna del Cristianesimo.

Le prime notizie relative alla piccola cappella di Luqa dedicata a sant'Andrea risalgono al 1497. La visita pastorale del delegato pontificio Pietro Dusina afferma che questa cappella conteneva tre altari, uno dei quali era dedicato a Sant'Andrea. La pala d'altare, raffigurante Maria coi Santi Andrea e Paolo venne dipinta dal pittore maltese Filippo Dingli. A quel tempo, molti pescatori vivevano a Luqa, e questa potrebbe essere una delle ragioni per cui Sant'Andrea venne scelto come Santo Patrono della città. La locale statua di Sant'Andrea venne scolpita nel legno da Giuseppe Scolaro nel 1779. Questa opera subì molti restauri, primo tra tutti quello risalente al 1913 ad opera del rinomato artista maltese Abraham Gatt. Il Martirio di Sant'Andrea, presente sull'altare principale della chiesa, venne dipinto da Mattia Preti nel 1687.

A Gesualdo (AV) la festa di Sant'Andrea ricorre ogni 30 novembre con l'accensione di falò, detti "vambalèrie", per le strade cittadine e le zone rurali. Tale tradizione nacque nell'Ottocento, a seguito dell'abbattimento del tiglio collocato nella piazza principale della cittadina (oggi Piazza Umberto I), il cui legno fu in parte bruciato e in parte utilizzato per la realizzazione della statua del santo, ancora oggi conservata nella cappella della Chiesa Madre di San Nicola insieme a una reliquia dell'apostolo.

Ad Amalfi (SA) la festa di S.Andrea ricorre più volte all'anno. La prima è il 28 gennaio, festa della reliquia; la seconda la domenica di Pasqua e il lunedì di Pasquetta; la terza il 7 e l'8 maggio, traslazione delle reliquie (detta "S.Andrea a'quaglia"). Le più particolari sono quella del 26 e 27 giugno, miracolo di S.Andrea e quella del 29 e 30 novembre, festa patronale. La vigilia della festa di giugno la mattina si tiene l'esposizione della statua, seguita dalla sfilata della banda e dalle S.Messe. A sera in cripta, a conclusione del triduo, si tengono i Vespri e la celebrazione della Manna. La sera del 27 giugno parte una processione per le vie del paese, seguita dalle marce sinfoniche e dallo spettacolo pirotecnico a mare. Alle cinque di mattina del 30 novembre, accompagnata da fuochi pirotecnici e campane, la banda sfila. Verso mezzogiorno, la processione parte per un percorso più breve rispetto a quello di giugno. La giornata è chiusa da fuochi pirotecnici.

Andrea deriva dal nome greco Andreas e dalla parola greca andros che significa "uomo, maschio, virile". Il termine andros (radice di altre parole italiane come androgino o androide) è l'equivalente del latino vir da cui deriva proprio l'aggettivo "virile". E' un nome molto antico, già in uso presso gli antichi greci grazie ai quali si diffuse in Palestina e Egitto; venne utilizzato anche dai primi cristiani, in venerazione di Sant'Andrea apostolo. Il nome è ancora oggi molto popolare in Italia (è stabilmente nella Top 5 dei nomi più usati per neonati dal 2004) e risulta il più diffuso al mondo nelle sue varianti sia al maschile che al femminile (in inglese, tedesco, olandese, spagnolo e nei paesi scandinavi il nome Andrea è esclusivamente femminile, ma esistono varianti maschili). In Italia l'utilizzo è quasi unicamente maschile anche se recentemente si registrano alcune bambine di nome Andrea dopo che per anni era stato addirittura vietato dalla legge.

Va notato che le forme ungheresi Andor ed Endre possono avere anche un'altra origine, norvegese in entrambi i casi, e il finlandese Antero coincide con Antero, un altro nome italiano di origine greca.

Mentre in diverse lingue (come l'inglese, il ceco, il tedesco e lo spagnolo) la grafia Andrea è la forma femminile del nome, all'interno della cultura italiana contemporanea Andrea ha valenza prevalentemente maschile. Tuttavia in epoca tardomedievale in Italia, almeno nell'area toscana, il nome era sostanzialmente ambigenere: un'analisi dei battezzati fiorentini fra il 1450 e il 1500 ha rivelato un cospicuo numero di donne con questo nome. La tendenza ad attribuirlo alle femmine è ritornata sul finire del XX secolo, non tanto per ragioni storiche quanto sotto l'influsso delle culture straniere (si pensi agli ormai piuttosto comuni Daniel e Christopher) e il suo uso ha raggiunto livelli degni di nota, anche se non alti come nelle epoche passate (nel 2013 in Italia hanno ricevuto questo nome 281 bambine, pari allo 0,12% del totale), ma rimane nel complesso raro ed eccezionale; di fatto in italiano Andrea è usato quasi solo al maschile, mentre per il femminile storicamente si è ripiegato di solito su Andreina.

Sulla questione si è acceso un dibattito anche a livello legale: la legge italiana (nel D.P.R. n. 396 del 2000) stabilisce che il nome deve accordarsi al sesso del nascituro; Andrea dunque, che in italiano è consolidatamente maschile, verrebbe così precluso alle neonate, a meno che non fosse usato come secondo nome (va detto che l'ufficiale dello stato civile sarebbe comunque obbligato a formare l'atto di nascita secondo la volontà del genitore, anche in contravvenzione a tale normativa, potendo però decidere di segnalarlo al Procuratore della Repubblica, che eventualmente costringerebbe alla rettifica).

Si sono avuti casi giudiziari dove è stata imposta la rettifica del nome in concordanza con questa legge (come nel dicembre 2011 presso il tribunale civile di Mantova), ma nel novembre 2012 la Corte di cassazione ha accolto la protesta di una coppia di genitori di Pistoia contro la decisione con la quale la Corte di Appello di Firenze, il 3 agosto 2010, aveva disposto la rettifica del nome Andrea che avevano dato alla loro figlia: in tale occasione, la Corte di Cassazione rilevò che, dato il contesto multiculturale che si è venuto a creare in Italia, attribuire il nome Andrea ad una bambina, seguendo una moda forestiera, non è ridicolo o vergognoso, né crea ambiguità riguardo al genere della persona.

A livello di curiosità, si può notare che Andrea è uno dei pochi nomi italiani maschili che finiscono per -a a godere di ampia diffusione, assieme a Luca, Mattia e Nicola; ne esistono poi molti altri meno comuni, come Elia, Enea e Tobia.

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giovedì 30 aprile 2015

I SANTI PATRONI DI LAVENO : FILIPPO E GIACOMO



In quel tempo, disse Gesù a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò». 

 Gv 14, 6-14


Gli apostoli Filippo e Giacomo “Minore” sono festeggiati lo stesso giorno perché le loro reliquie furono deposte insieme nella Chiesa dei Dodici Apostoli a Roma.

Filippo è conosciuto principalmente attraverso i Vangeli e gli Atti degli Apostoli.
Filippo, come Pietro e Andrea, era originario di Bethsaida, sulle sponde del lago di Tiberiade; fu tra i primi a seguire Gesù  quando questi passò dal suo paese. Gesù disse una parola “Seguimi”. Filippo lo seguì portandosi dietro anche Natanaele al quale egli aveva detto: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret". (cfr. Gv 1,43-48).
Più tardi, Filippo fu testimone dei miracoli del Maestro, come quello della moltiplicazione dei pani, quando, sulla montagna, Gesù venne circondato da una folla tale che...dice Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". (cfr. Gv 6,5-7).
Ma l'insegnamento più grande del Maestro, Filippo lo provocò con una sua domanda, dopo l'ultima Cena, quando :« Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre... " » (cfr. Gv 14,8-31)
Parole inaudite, frasi che danno le vertigini e che i discepoli comprenderanno pienamente solo quando lo Spirito Santo scenderà su di loro, nel giorno della Pentecoste. Parole che Filippo si porterà dentro nella sua missione (cfr. At 8,5-40).
La tradizione più comune afferma che Filippo morì crocifisso a Geropoli all’età di 87 anni.
Filippo è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quella evangelica (commemorazione liturgica il 3 maggio), dalla Chiesa anglicana (1° maggio), dalla Chiesa ortodossa (14 novembre), dalla Chiesa armena (17 novembre), dalla Chiesa copta (18 novembre).

Giacomo,a differenza di Filippo, non ha quasi parte alcuna nei Vangeli; egli era, pare, figlio d'Alfeo, e forse cugino di Gesù. Viene detto “Minore” per distinguerlo da Giacomo “Maggiore”, fratello di Giovanni Evangelista e figlio di Zebedeo. La sua parte principale ha inizio dopo l'Ascensione di Gesù e dopo la Pentecoste ed è narrata negli Atti degli Apostoli. In effetti, nella prima Chiesa, Giacomo “Minore” godette d'una particolare autorità.
Quando S. Pietro venne miracolosamente liberato dalle catene, nella prigione del Re Erode, corse a darne notizia, per primo all'Apostolo Giacomo.
S. Paolo, dopo la conversione, tornando a Gerusalemme, si diresse subito alla casa di Giacomo, per ricevere istruzioni. E dopo il suo ultimo viaggio in missione, lo stesso Paolo farà la sua precisa relazione proprio nella casa di Giacomo, dove gli altri Apostoli si sono radunati.
Anche gli Ebrei avevano grande ammirazione per la figura di questo Galileo, primo vescovo cristiano di Gerusalemme. Qui fondò una comunità di cristiani, operando sempre numerose conversioni.
Eppure anch'egli cadde vittima della persecuzione o meglio di una specie di sommossa, durante la quale Giacomo venne portato su un punto elevato del Tempio, perché rinnegasse la sua fede in Gesù, dinanzi al popolo.
Alla leale e animosa risposta dell'Apostolo, molti, anche tra gli ebrei, resero Gloria al Signore ma i Farisei, esasperati, fecero precipitare Giacomo dall'alto del Tempio.
Era l'anno 62, e anche fra gli Ebrei, i più saggi e giusti si dolsero di quella uccisione voluta da pochi facinorosi ed eseguita da una folla eccitata.
Giacomo lasciò a monumento sempiterno la Lettera Cattolica nella quale è celebre il suo detto: “la fede senza le opere è morta”.

Significato dei nomi :
Filippo : "che ama i cavalli" (greco)
Giacomo : "che segue Dio" (ebraico).




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