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martedì 9 febbraio 2016

SANT'APOLLONIA




“Per Sant’Apollonia il caldo e il freddo bisticciano”. Per cui per la giornata il proverbio ci fornisce un’immagine divertente dove il caldo ed il freddo, quasi personificati, pare s’azzuffino per stabilire chi dei due si debba imporre. Ciò nonostante non capiamo ancora se Sant’Apollonia porterà l’inizio della bella stagione: per il momento il caldo ed il freddo si contendono il primato e di fatto, in questi giorni, pare proprio essere così… .

Apollonia (Alessandria d'Egitto, 249 circa) è stata una martire cristiana, venerata dalla Chiesa cattolica come santa.

La tradizione vuole che le furono cavati i denti di bocca e per questo viene considerata patrona dei dentisti, igienisti dentali e odontotecnici. La memoria liturgica viene festeggiata il 9 febbraio.
La storia del martirio di Apollonia ci è giunta tramite il racconto da Eusebio di Cesarea (265-340), il quale riporta un brano della lettera del vescovo Dionigi di Alessandria († 265), indirizzata a Fabio di Antiochia, in cui si narrano gli avvenimenti dei quali era stato testimone. Tra il 248 ed il 249 in Alessandria d'Egitto scoppiò una sommossa popolare contro i cristiani, eccitata da un indovino pagano. Apollonia, un'anziana donna cristiana non sposata che aveva aiutato i cristiani e fatto opera di apostolato, venne catturata tra gli altri e venne percossa al punto di farle cadere i denti. Secondo la tradizione popolare le furono divelti i denti con le tenaglie. Venne poi preparato un gran fuoco per bruciarla viva se non avesse pronunciato delle bestemmie. Riuscita a liberarsi con un'astuzia dalle mani della plebe, si lanciò da sé tra le fiamme, dove morì, ritenendo senza dubbio che il suicidio non costituisse una colpa in quella situazione, temendo che le venisse violata la castità con lo stupro o che ulteriori torture prima del rogo le avrebbero fatto vacillare la fede. Il corpo della martire, secondo alcuni racconti, sarebbe stato ridotto in cenere. Alcune fonti dicono che morì durante il regno di Filippo l'Arabo, il presunto imperatore cristiano: se ciò è vero, Apollonia morì non dopo la primavera del 249.



Una Passio latina, invece, trasferisce questo martirio in Roma, durante il governo dell'imperatore Giuliano: ciò lo posticipa almeno al 331, ben ottantadue anni dopo.

Papa Pio VI, volendo mettere ordine nel culto delle reliquie, fece raccogliere in tutta Italia presunti denti di santa Apollonia, riempiendo uno scrigno di tre chili di peso buttato successivamente nel Tevere.

La sua festa si celebra sin dall'antichità il 9 febbraio.

A causa della tradizione secondo la quale le furono estirpati i denti, santa Apollonia è raffigurata nell'iconografia come una giovane vergine che tiene in mano una tenaglia che stringe un dente.

È stata tale la devozione per la santa martire Apollonia, protettrice dei denti e delle relative malattie, che dal Medioevo in poi si moltiplicarono i suoi denti-reliquie miracolosi, venerati dai fedeli e custoditi nelle chiese e oratori sacri dell’Occidente; al punto che papa Pio VI (1775-1799), che era molto rigido su queste forme di culto, fece raccogliere tutti quei denti che si veneravano in Italia, raccolti in un bauletto e pesanti circa tre kg e li fece buttare nel Tevere.


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giovedì 21 gennaio 2016

SANT'AGNESE

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De S. Agnes la luserta la cor gió per la scies (A Sant'Agnese la lucertola corre lungo la siepe)
A Sant'Agnésa, un'ura distésa 
(A sant'Agnese un'ora abbondante, cioè il giorno si è allungato di un'ora abbondante dal solstizio d'inverno del 21 dicembre)

Agnese (Roma, 290-293 – Roma, 21 gennaio 305) era, secondo la tradizione latina, una nobile appartenente alla gens Clodia che subì il martirio durante la persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano all'età di 12 anni.

La parola “Agnese”, traduzione dell’aggettivo greco “pura” o “casta”, fu usato forse simbolicamente come soprannome per esplicare le sue qualità. Visse in un periodo in cui era illecito professare pubblicamente la fede cristiana. Secondo il parere di alcuni storici Agnese avrebbe versato il sangue il 21 gennaio di un anno imprecisato, durante la persecuzione di Valeriano (258-260), ma secondo altri, con ogni probabilità ciò sarebbe avvenuto durante la persecuzione dioclezianea nel 304. Durante la persecuzione perpetrata dall’imperatore Diocleziano, infatti, i cristiani furono uccisi così in gran numero tanto da meritare a tale periodo l’appellativo di “era dei martiri” e subirono ogni sorta di tortura.
Anche alla piccola Agnese toccò subire subire una delle tante atroci pene escogitate dai persecutori. La sua leggendaria Passio, falsamente attribuita al milanese Sant’Ambrogio, essendo posteriore al secolo V ha perciò scarsa autorità storica. Della santa vergine si trovano notizie, seppure vaghe e discordanti, nella “Depositio Martyrum” del 336, più antico calendario della Chiesa romana, nel martirologio cartaginese del VI secolo, in “De Virginibus” di Sant’Ambrogio del 377, nell’ode 14 del “Peristefhanòn” del poeta spagnolo Prudenzio ed infine in un carme del papa San Damaso, ancora oggi conservato nella lapide originale murata nella basilica romana di Sant’Agnese fuori le mura. Dall’insieme di tutti questi numerosi dati si può ricavare che Agnese fu messa a morte per la sua forte fede ed il suo innato pudore all’età di tredici anni, forse per decapitazione come asseriscono Ambrogio e Prudenzio, oppure mediante fuoco, secondo San Damaso. L’inno ambrosiano “Agnes beatae virginia” pone in rilievo la cura prestata dalla santa nel coprire il suo verginale corpo con le vesti ed il candido viso con la mano mentre si accasciava al suolo, mentre invece la tradizione riportata da Damaso vuole che ella si sia coperta con le sue abbondanti chiome. Il martirio di Sant’Agnese è inoltre correlato al suo proposito di verginità. La Passione e Prudenzio soggiungono l’episodio dell’esposizione della ragazza per ordine del giudice in un postribolo, da cui uscì miracolosamente incontaminata.



Assai articolata è anche la storia delle reliquie della piccola martire: il suo corpo venne inumato nella galleria di un cimitero cristiano sulla sinistra della via Nomentana. In seguito sulla sua tomba Costantina, figlia di Costantino il Grande, fece edificare una piccola basilica in ringraziamento per la sua guarigione ed alla sua morte volle essere sepolta nei pressi della tomba. Accanto alla basilica sorse uno dei primi monasteri romani di vergini consacrate e fu ripetutamente rinnovata ed ampliata. L’adiacente cimitero fu scoperto ed esplorato metodicamente a partire dal 1865. Il cranio della santa martire fu posto dal secolo IX nel “Sancta Sanctorum”, la cappella papale del Laterano, per essere poi traslato da papa Leone XIII nella chiesa di Sant’Agnese in Agone, che sorge sul luogo presunto del postribolo ove fu esposta. Tutto il resto del suo corpo riposa invece nella basilica di Sant’Agnese fuori le mura in un’urna d’argento commissionata da Paolo V.

Ad Agnese sono dedicati, a Roma, la Chiesa di Sant'Agnese in Agone, in piazza Navona, il luogo supposto del martirio, e il complesso monumentale di Sant'Agnese fuori le mura, fatto erigere dalla principessa Costantina, figlia dell'imperatore Costantino I, sulle catacombe nelle quali fu sepolto il suo corpo. Qui, ogni anno il 21 gennaio, due agnelli allevati da religiose vengono benedetti e offerti al papa perché dalla loro lana siano tessuti i palli dei patriarchi e dei metropoliti del mondo cattolico.

Sant'Agnese è la patrona delle vergini, delle fidanzate, dei giardinieri, dei tricologi e dell'Ordine della Santissima Trinità. Anche l'Almo collegio Capranica, tradizionalmente costruito sul luogo della sua casa natale, la venera come patrona.

A L'Aquila è patrona della Festa di Sant'Agnese e delle Malelingue.

Sant'Agnese è figura importante del romanzo Fabiola (di Nicholas Wiseman), di cui si ricorda la trasposizione cinematografica realizzata da Alessandro Blasetti nel 1949.




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mercoledì 20 gennaio 2016

SAN SEBASTIANO



San Sebastian ga la viola in man (detto veneto per significare che, usualmente, il giorno di San Sebastiano si respira un clima primaverile)

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Nel 260 l’imperatore Galliano aveva abrogato gli editti persecutori contro i cristiani, ne seguì un lungo periodo di pace, in cui i cristiani pur non essendo riconosciuti ufficialmente, erano però stimati, occupando alcuni di loro, importanti posizioni nell’amministrazione dell’impero.
E in questo clima favorevole, la Chiesa si sviluppò enormemente anche nell’organizzazione; Diocleziano che fu imperatore dal 284 al 305, desiderava portare avanti questa situazione pacifica, ma poi 18 anni dopo, su istigazione del suo cesare Galerio, scatenò una delle persecuzioni più crudeli in tutto l’impero.
Sebastiano, che secondo s. Ambrogio era nato e cresciuto a Milano, da padre di Narbona (Francia meridionale) e da madre milanese, era stato educato nella fede cristiana, si trasferì a Roma nel 270 e intraprese la carriera militare intorno al 283, fino a diventare tribuno della prima coorte della guardia imperiale a Roma, stimato per la sua lealtà e intelligenza dagli imperatori Massimiano e Diocleziano, che non sospettavano fosse cristiano.
Grazie alla sua funzione, poteva aiutare con discrezione i cristiani incarcerati, curare la sepoltura dei martiri e riuscire a convertire militari e nobili della corte, dove era stato introdotto da Castulo, domestico (cubicolario) della famiglia imperiale, che poi morì martire.
La leggendaria ‘Passio’, racconta che un giorno furono arrestati due giovani cristiani Marco e Marcelliano, figli di un certo Tranquillino; il padre ottenne un periodo di trenta giorni di riflessione prima del processo, affinché potessero salvarsi dalla certa condanna sacrificando agli dei.
Nel tetro carcere i due fratelli stavano per cedere alla paura, quando intervenne il tribuno Sebastiano riuscendo a convincerli a perseverare nella fede; mentre nel buio della cella egli parlava ai giovani, i presenti lo videro circondato di luce e tra loro c’era anche Zoe, moglie del capo della cancelleria imperiale, diventata muta da sei anni. La donna si inginocchiò davanti a Sebastiano, il quale dopo aver implorato la grazia divina fece un segno di croce sulle sue labbra, restituendole la voce.
A ciò seguì una collana di conversioni importanti, il prefetto di Roma Cromazio e suo figlio Tiburzio, Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio; tutti in seguito subirono il martirio, come pure i due fratelli Marco e Marcelliano e il loro padre Tranquillino.
Sebastiano per la sua opera di assistenza ai cristiani, fu proclamato da papa s. Caio “difensore della Chiesa” e proprio quando, secondo la tradizione, aveva seppellito i santi martiri Claudio, Castorio, Sinforiano, Nicostrato, detti Quattro Coronati, sulla via Labicana, fu arrestato e portato da Massimiano e Diocleziano, il quale già infuriato per la voce che si diffondeva in giro, che nel palazzo imperiale si annidavano i cristiani persino tra i pretoriani, apostrofò il tribuno: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me, ingiuriando gli dei”.
Sebastiano fu condannato ad essere trafitto dalle frecce; legato ad un palo in una zona del colle Palatino chiamato ‘campus’, fu colpito seminudo da tante frecce da sembrare un riccio; creduto morto dai soldati fu lasciato lì in pasto agli animali selvatici.
Ma la nobile Irene, vedova del già citato s. Castulo, andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura, secondo la pia usanza dei cristiani, i quali sfidavano il pericolo per fare ciò e spesso venivano sorpresi e arrestati anche loro.
Ma Irene si accorse che il tribuno non era morto e trasportatolo nella sua casa sul Palatino, prese a curarlo dalle numerose lesioni. Miracolosamente Sebastiano riuscì a guarire e poi nonostante il consiglio degli amici di fuggire da Roma, egli che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede davanti a Diocleziano e al suo associato Massimiano, mentre gli imperatori si recavano per le funzioni al tempio eretto da Elagabolo, in onore del Sole Invitto, poi dedicato ad Ercole.
Superata la sorpresa, dopo aver ascoltato i rimproveri di Sebastiano per la persecuzione contro i cristiani, innocenti delle accuse fatte loro, Diocleziano ordinò che questa volta fosse flagellato a morte; l’esecuzione avvenne nel 304 ca. nell’ippodromo del Palatino, il corpo fu gettato nella Cloaca Massima, affinché i cristiani non potessero recuperarlo.
L’abbandono dei corpi dei martiri senza sepoltura, era inteso dai pagani come un castigo supremo, credendo così di poter trionfare su Dio e privare loro della possibilità di una resurrezione.
La tradizione dice che il martire apparve in sogno alla matrona Lucina, indicandole il luogo dov’era approdato il cadavere e ordinandole di seppellirlo nel cimitero “ad Catacumbas” della Via Appia.
Le catacombe, oggi dette di San Sebastiano, erano dette allora ‘Memoria Apostolorum’, perché dopo la proibizione dell’imperatore Valeriano del 257 di radunarsi e celebrare nei cosiddetti “cimiteri cristiani”, i fedeli raccolsero le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo dalle tombe del Vaticano e dell’Ostiense, trasferendoli sulla via Appia, in un cimitero considerato pagano.
Costantino nel secolo successivo, fece riportare nei luoghi del martirio i loro corpi e dove si costruirono poi le celebri basiliche.
Sulla Via Appia si costruì un’altra basilica costantiniana la “Basilica Apostolorum”, in memoria dei due apostoli.
Fino a tutto il VI secolo, i pellegrini che vi si recavano attirati dalla ‘memoria’ di s. Pietro e s. Paolo, visitavano in quel cimitero anche la tomba del martire, la cui figura era per questo diventata molto popolare e quando nel 680 si attribuì alla sua intercessione, la fine di una grave pestilenza a Roma, il martire s. Sebastiano venne eletto taumaturgo contro le epidemie e la chiesa cominciò ad essere chiamata “Basilica Sancti Sebastiani”.
Il santo venerato il 20 gennaio, è considerato il terzo patrono di Roma, dopo i due apostoli Pietro e Paolo.
Le sue reliquie, sistemate in una cripta sotto la basilica, furono divise durante il pontificato di papa Eugenio II (824-827) il quale ne mandò una parte alla chiesa di S. Medardo di Soissons il 13 ottobre 826; mentre il suo successore Gregorio IV (827-844) fece traslare il resto del corpo nell’oratorio di San Gregorio sul colle Vaticano e inserendo il capo in un prezioso reliquiario, che papa Leone IV (847-855) trasferì poi nella Basilica dei Santi Quattro Coronati, dove tuttora è venerato.
Gli altri resti di s. Sebastiano rimasero nella Basilica Vaticana fino al 1218, quando papa Onorio III concesse ai monaci cistercensi, custodi della Basilica di S. Sebastiano, il ritorno delle reliquie risistemate nell’antica cripta; nel XVII secolo l’urna venne posta in una cappella della nuova chiesa, sotto la mensa dell’altare, dove si trovano tuttora.



Dato storico certo, che ne testimonia il culto sin dai primi secoli, è l'inserimento del nome di Sebastiano nella Depositio martyrum, il più antico calendario della Chiesa di Roma e risalente al 354.

San Sebastiano è invocato come patrono delle Confraternite di Misericordia italiane, poiché si rileva in lui l'aspetto del soccorritore che interviene in favore dei martirizzati, dei sofferenti (l'agiografia vuole che fosse proprio lui a soccorrere i suoi colleghi uccisi in odio alla fede cristiana e/o a provvedere almeno alla loro sepoltura). Questo tipo di confraternita infatti ha tuttora un preciso carisma assistenziale e gestisce direttamente, con l'opera dei propri volontari, una fitta e variegata rete di servizi socio-sanitari di precisa ispirazione e collocazione cristiana e cattolica. San Sebastiano è anche patrono degli Agenti di Polizia Locale e dei loro comandanti, ufficiali e sottufficiali (Breve apostolico del 3 maggio 1957 di sua santità Pio XII, di venerata memoria).

Come si può facilmente intuire dalla lettura del suo profilo biografico (sua esperienza lavorativa, sua testimonianza di fede, ecc.), si capisce perché un "miliziano" sia stato individuato, appunto, come patrono dei suoi "commilitoni" e non solo, data l'affinità simbolica tra categorie e/o strumenti (gli arcieri ad es. scagliano frecce, come quelle che colpirono il santo durante il suo martirio, ecc.). L'esempio più attinente è, simbolicamente, costituito dalle frecce quali prefigurazioni di punizioni (la malattia in senso lato): come il santo riuscì ad evitare che le frecce lo uccidessero, così egli viene invocato come intercessore che riesce a scansare possibili cause di sofferenza. Se si considera che la malattia può essere vista nell'accezione di "punizione", si comprende perché il santo abbia tra i suoi patronati pure quello di essere invocato contro le malattie (specie quelle contagiose, viste come frecciate), per esserne preservati. In questo senso, se San Rocco viene considerato il taumaturgo che cura le pestilenze, san Sebastiano viene considerato il santo taumaturgo che ne costituisce la "profilassi".

San Sebastiano ha un'importanza particolare per la comunità LGBT, all'interno della quale numerosi omosessuali lo rivendicano come santo patrono e come intercessore, senza che però questo culto sia riconosciuto dalla Chiesa Cattolica. Il suo ruolo di santo protettore contro le epidemie è stato talvolta esteso alla più grave epidemia della contemporaneità, l'AIDS.

Spesso, in passato, Sebastiano veniva invocato come protettore contro la peste. Attualmente, in Italia, è il santo patrono della polizia municipale. Oggi è anche invocato contro le epidemie in generale, insieme a san Rocco.

San Sebastiano è particolarmente venerato in Sicilia fin dal 1575, anno in cui infuriò la peste e in molte città veniva invocato contro la terribile epidemia.
Ma il culto si diffonde sin dal 1414 anno in cui, secondo un antichissimo documento custodito negli archivi della Basilica in Melilli, una statua del Santo martire sarebbe stata ritrovata presso il luogo denominato Stentinello a circa tre km a sud di Thapsos, l'attuale isola Magnisi in provincia di Siracusa. Sempre secondo questo documento alcuni marinai sostennero di essersi salvati da un naufragio grazie alla protezione di quella statua. Subito accorsero in quel luogo centinaia di persone incuriosite da tutta la provincia. Nessuno riuscì a sollevare la cassa contenente il simulacro del santo, nemmeno il vescovo di Siracusa accompagnato dal clero e dai fedeli della città. Ma i cittadini di Melilli il 1º maggio 1414 giunti sul posto riuscirono a risollevare la cassa che entrata in paese tra invocazioni e preghiere divenne di nuovo pesante: segno che San Sebastiano voleva fermarsi lì. All'ingresso del paese si sarebbe verificato il primo miracolo: un lebbroso venne guarito. Da allora ogni anno (la festa è stata spostata al 4 maggio per motivi di ordine pubblico da quando fu istituita la festa del lavoro) San Sebastiano viene festeggiato solennemente. Il 4 maggio alle ore 04.00 del mattino viene aperto il santuario per accogliere i pellegrini provenienti da ogni parte invocando il santo: "semu vinuti di tantu luntanu, Primu Diu e Sammastianu! E chiamamulu ca n'ajuta!" Melilli si popola di tantissimi fedeli provenienti da tutta la Sicilia orientale e oltre. Anche all'estero gli emigrati hanno diffuso la devozione. Commovente l'arrivo dei nuri di Melilli e di Solarino. Questi pellegrini sono chiamati nuri perché in passato facevano il pellegrinaggio quasi nudi, con pantaloncini o mutande e a torso scoperto, con in mano fiori in omaggio al Santo. Oggi, invece, i nuri di San Sebastiano indossano vestiti bianchi e fascia rossa, camminando sempre scalzi. Affrontano chilometri di strada, offrendo torce e ceri votivi (ex voto) rappresentanti parti di corpo guarite miracolosamente o per le quali si chiede la grazia. Dopo il 4 maggio segue il solenne ottavario che si conclude il giorno 11 maggio quando tra grida di invocazione e richieste di intercessione il simulacro viene velato e conservato. Ritornerà ai fedeli il 20 gennaio giorno della sua festa liturgica.
San Sebastiano è poi particolarmente venerato ad Acireale perché, durante la seconda guerra mondiale, sotto la minaccia di un bombardamento, gli Acesi fecero voto affinché la città non fosse bombardata e così fu. San Sebastiano è quindi, assieme a santa Venera, patrono di Acireale: il 20 gennaio si svolge una festa a lui dedicata.

Ad Accadia, in provincia di Foggia, il 20 gennaio si svolge la festa patronale di San Sebastiano animata da tipici falò rionali. Dopo la solenne processione del santo e la benedizione di tutti i falò si tiene il palio di San Sebastiano giunto nel 2013 alla XXX edizione a cui partecipano i vari rioni e le frazioni del comune.

È santo patrono di Mistretta e la festa si svolge due volte all'anno: il 20 gennaio e il 18 agosto. È pure santo patrono di Tortorici e la festa si svolge due volte l'anno: il 20 gennaio con replica la prima domenica successiva (l'ottava) e la prima domenica di maggio. San Sebastiano è anche santo protettore di Cerami e la festa si svolge ogni anno il 28 agosto.

In Calabria, venerato e festeggiato a Pernocari (VV) il 20 gennaio e la terza domenica di agosto. È inoltre festeggiato come patrono a Fagnano Castello e Orsomarso, in provincia di Cosenza e ad Anoia Superiore il 20 di gennaio in provincia di RC, dove viene acceso un grande falò in suo onore e durante la festa viene baciata la reliquia.

San Sebastiano è festeggiato anche a Termoli (CB) il 20 gennaio, quando gruppi di persone intonano un brano dedicato al Santo per le strade della città ricevendo in dono soldi o leccornie. Lo spettacolo viene riproposto anche durante il periodo estivo, precisamente il 7 agosto, per permettere a coloro che vivono fuori città di potervi assistere.

San Sebastiano è venerato nella cittadina di Barcellona Pozzo di Gotto di cui ne è anche il santo patrono cittadino. Qui, nella basilica minore di S.Sebastiano sita in piazza duomo, nel centro città, è custodita un inestimabile reliquia che consiste nell'osso dell'avambraccio del santo martire detto ivi "Brazzu di San Bastianu", spesso citato in detti del luogo come "Ci voli u brazzu di san Bastianu!", il quale si invoca in un momento dove sarebbe propizio un ausilio.

A Cassaro (Siracusa) si festeggia il 20 gennaio con l'uscita di "san mastianeddu" una piccola statua che viene portata in processione di corsa per le vie del piccolo comune dai "nudi". L'ultima domenica di luglio di ogni 3 anni, dalla chiesa a lui dedicata, esce alle 12:00 in processione solenne la cinquecentesca statua di San Sebastiano

Il culto di San Sebastiano è presente anche a Berchidda e ad Ulassai in Sardegna. La sua festività ricorre il 20 gennaio, data in cui tradizionalmente viene realizzato un grande fuoco e si offrono arance in un grande banchetto. La notte di San Sebastiano apre le porte ai riti dell'antico carnevale denominato su Maimulu.

Anche in Liguria è presente il culto del santo da lungo tempo. A Costarainera si trova una chiesa dedicata a San Sebastiano, edificata probabilmente del XIV secolo e attualmente in degrado. Fu probabilmente edificata sull'antico tracciato della via Aurelia che in quel tratto passava nell'entroterra e non sulla costa ligure, a causa delle frequenti incursioni di pirati.

Bellissima struttura è il Protocenobio di San Sebastiano ad Alatri (Frosinone), dove, secondo diversi documenti, avrebbe avuto origine la Regula Magistri.

Anche ad Ales (OR), viene festeggiato il Santo con il tipico falò, detto in "abaresu" (lingua Sarda locale) "su fogadoni" dall'altezza di svariati metri. Il 20 di gennaio, la sera, il falò ("sa tuva") viene benedetto dal vescovo prima di essere acceso, una volta dato alle fiamme, su sonadori (il musicista di organetto/fisarmonica-launeddas) inizia a suonare balli tipici del luogo e della Sardegna intera, i tipici "ballus sardus" (balli sardi), nel frattempo viene distribuita la cena, composta da specialità del luogo come cixiri, brobei a buddiu, proceddu e druccis, tottu isciustu de 'inu bellu (ceci, pecora bollita, maialetto e dolci (tipici sardi), tutto bagnato da del buon vino. Il giorno dopo si ha la processione per riportare il Santo nella sua chiesa dalla cattedrale e, subito dopo la messa si ha il tipico rinfresco "su cumbidu", a base di dolci sardi e "crannaccia" (vernaccia).

La leggenda del soldato martire dal corpo efebico e glabro ha interessato pittori e scultori di ogni era, il che ha portato a concentrare gli artisti sull'iconografia del santo nudo dalla bella anatomia a discapito di quella del militare maturo. Il santo era tra l'altro una delle poche figure nude che avevano il diritto di stare in una chiesa. Emblematico è l'episodio tramandato da Giorgio Vasari nelle Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori in merito al pittore Fra Bartolomeo.
Sicché il suo stato di santo ha cristallizzato per secoli le raffigurazioni del giovane ignudo col corpo bello e virile trafitto da frecce, o dal fisico nudo che si abbandona languidamente alle cure di angeli.

La rappresentazione più antica del santo è nel mosaico della Basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna, datato tra 527 e il 565. La parete laterale sulla destra contiene grandi mosaici che raffigurano la processione di 26 martiri, condotta da san Martino e presieduta, tra gli altri, dallo stesso Sebastiano, ma i martiri sono rappresentati nello stile bizantino e non sono individualizzati, per cui hanno un'espressione identica.

Un'altra raffigurazione antica di Sebastiano è in un mosaico nella Basilica di San Pietro in Vincoli a Roma, che si fa risalire al 682 e rappresenta un uomo barbuto rivestito da un'armatura ma che non reca l'attributo della freccia.

Il soggetto del santo ignudo e disteso dal viso languido risanato dopo il martirio da un gruppo di pie donne riscuote particolare fortuna nella pittura del XVII secolo, con schizzi di luce irradiati da una candela che rischiarano il corpo incorrotto del soldato, in lotta tra la vita e la morte, in una scena notturna e intima. Testimoniano gli effetti luminosi che si dipanano sul corpo nudo del santo gli esempi di Georges de La Tour e Jusepe de Ribera.




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venerdì 4 dicembre 2015

SANTA BARBARA



Iddio, che illumini i cieli e colmi gli abissi,
arda nei nostri petti, perpetua,
la fiamma del sacrificio.
Fa più ardente della fiamma
il sangue che scorre nelle vene,
vermiglio come un canto di vittoria.
Quando la sirena urla per le vie della città,
ascolta il palpito dei nostri cuori
votati alla rinuncia.
Quando a gara con le aquile
verso Te saliamo,
ci sorregga la Tua mano piagata.
Quando l'incendio, irresistibile avvampa,
bruci il male che si annida nelle case degli uomini,
non la ricchezza che accresce la potenza della Patria.
Signore, siamo i portatori della Tua croce,
e il rischio è il nostro pane quotidiano.
Un giorno senza rischio non è vissuto,
poichè per noi credenti la morte è vita,
è luce: nel terrore dei crolli,
nel furore delle acque,
nell'inferno dei roghi.
La nostra vita è il fuoco,
la nostra fede è Dio
Per Santa Barbara Martire.

Santa Barbara (Nicomedia, 273 – 306 circa) è venerata come santa e martire dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Benché non vi siano dati certi sulla sua vita, la sua figura è divenuta leggendaria grazie alla Legenda Aurea e il suo culto molto popolare per il fatto di essere considerata protettrice contro i fulmini e le morti improvvise e violente.

Nacque nel 273 d.C. a Nicomedia in Bitinia e Ponto, provincia asiatica dell'impero romano (oggi Izmit, in Turchia).

La leggenda vuole che suo padre Dioscoro, di religione pagana, l'avesse rinchiusa in una torre per proteggerla dai suoi pretendenti. Inoltre, per evitare che utilizzasse le terme pubbliche, egli gliene fece costruire di private. Barbara, vedendo che nel progetto vi erano solamente due finestre, ordinò ai costruttori di aggiungerne una terza, con l'intenzione di richiamare il concetto di Trinità. Quando il padre vide la modifica alla costruzione, intuì che la figlia poteva esser diventata cristiana.

La madre di Barbara aveva già abbracciato segretamente la religione cristiana, finendo col rivelare il suo segreto alla figlia. Questa, dopo aver sentito alcune delle preghiere, percepì Gesù all'interno del suo cuore, diventando così cristiana e coinvolgendo nella sua nuova passione anche la sua amica Giuliana, che convinse a convertirsi e a pregare insieme a lei.

Il padre decise allora di denunciare sua figlia al magistrato romano che, in quei tempi di persecuzione, la condannò alla decapitazione, prescrivendo che la sentenza venisse eseguita proprio dal genitore, dopo due giorni di feroci torture. Queste iniziarono con una flagellazione con verghe, che secondo la leggenda si tramutarono in piume di pavone (e per questo motivo spesso nella sua iconografia la santa è raffigurata tenendo in mano delle lunghe piume), quindi venne torturata col fuoco, ebbe le mammelle tagliate e fu quindi decapitata. Era il 4 dicembre dell'anno 306. Secondo la leggenda, Dioscoro procedette all'esecuzione, ma subito dopo venne ucciso da un fulmine, interpretato come punizione divina per il suo gesto. Con lei soffrì lo stesso martirio anche Giuliana.

Esistono diverse tradizioni sul luogo del martirio e della deposizione del corpo: la tradizione indica in Nicomedia il luogo del suo martirio. Tra le tante leggende sul luogo della sua morte una di queste, storicamente infondata e non avvalorata dall'antica tradizione, riferisce che il martirio avvenisse a Scandriglia e il corpo sia stato poi trasferito a Rieti nel X secolo per metterlo in salvo dalle scorrerie saracene: qui divenne patrona della città e le fu dedicata la cappella più ricca della Cattedrale. Un'altra vuole il martirio avvenuto in Egitto e le reliquie trasferite a Costantinopoli, da dove i veneziani, alla fine del X secolo, le avrebbero portate a Venezia, e di lì a Torcello e poi a Murano. Oggi i resti della Santa riposano nella Cappella omonima a Burano.

Viene festeggiata dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa il 4 dicembre (giorno in cui la Chiesa universale la ricordava prima che venisse cancellata dal calendario liturgico generale), data del suo martirio.



È invocata contro la morte improvvisa per fuoco, perciò gli esplosivi ed i luoghi dove vengono conservati sono spesso chiamati "santabarbara" in suo onore. È patrona dei minatori, degli addetti alla preparazione e custodia degli esplosivi, degli armaioli e più in generale, di chiunque rischi di morire di morte violenta e improvvisa. Molto invocata dai militari, è anche la protettrice della Marina Militare, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, delle armi di Artiglieria e Genio. È anche la protettrice dei geologi, dei montanari, dei lavoratori nelle attività minerarie e petrolifere, degli architetti, degli stradini, dei cantonieri, degli artisti sommersi e dei campanari, nonché di torri e fortezze.

Nel culto popolare è uso rivolgersi a Santa Barbara recitando la seguente preghiera: "Santa Barbara Benedetta, liberaci dal tuono e dalla saetta".

Come patrona delle attività principali del gruppo ENI le è stata dedicata la grande nuova chiesa costruita a Metanopoli, quartier generale del gruppo, per decisione di Enrico Mattei.

Alla santa è dedicata la caserma 'Santa Barbara' dell'Esercito Italiano, situata ad Anzio e attualmente sede della Brigata RISTA - EW. La Caserma della scuola di artiglieria contraerei di Sabaudia (LT), La Caserma sede dell'Artiglieria a Cavallo (Voloire) sita a Milano. Come protettrice dei Marinai della Marina Militare, un'immagine della Santa viene sempre posta nei depositi munizioni delle Unità Navali e delle caserme. Il 4 dicembre a bordo delle Unità Navali della Marina Militare, secondo la tradizione, si dona un fascio di rose rosse al 1º Direttore del Tiro di bordo. È tra le Sante più venerate al mondo, specie in sud America, Asia, Europa e Stati Uniti.

Santa Barbara è la Santa che rappresenta la capacità di affrontare il pericolo con fede, coraggio e serenità anche quando non c'è alcuna via di scampo. È stata eletta, infatti, patrona dei Vigili del Fuoco, in quanto protettrice di coloro che si trovano "in pericolo di morte improvvisa".
La tradizione invoca Barbara contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa. I suoi resti si trovano nella cattedrale di Rieti.
Esistono molte redazioni in greco e traduzioni latine della passio di Barbara; si tratta, però, di narrazioni leggendarie, il cui valore storico è molto scarso, anche perché vi si riscontrano non poche divergenze. In alcune passiones, infatti, il suo martirio è posto sotto l'impero di Massimino il Trace (235-38) o di Massimiano (286-305), in altre, invece, sotto quello di Massimino Daia (308-13). Né maggiore concordanza esiste sul luogo di origine, poiché si parla di Antiochia di Nicomedia e infine, di una località denominata 'Heliopolis ', distante 12 miglia da Euchaita, città della Paflagonia. Nelle traduzioni latine, la questione si complica maggiormente, perché per alcune di esse Barbara sarebbe vissuta nella Toscana, e, infatti, nel Martirologio di Adone si legge: 'In Tuscia natale sanctae Barbarae virginis et martyris sub Maximiano imperatore'. Ci si trova, quindi, di fronte al caso di una martire il cui culto fino dall'antichità fu assai diffuso, tanto in Oriente quanto in Occidente; invece, per quanto riguarda le notizie biografiche, si possiedono scarsissimi elementi: il nome, l'origine orientale, con ogni verosimiglianza l'Egitto, e il martirio. La leggenda, poi, ha arricchito con particolari fantastici, a volte anche reali, la vita della martire: si tratta di particolari che hanno avuto un influsso sia sul culto come sull'iconografia. Il padre di Barbara, Dioscoro, fece costruire una torre per rinchiudervi la bellissima figlia richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di consacrarsi a Dio.
Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d'acqua vicino alla torre e vi si immerse tre volte dicendo: 'Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo'. Per ordine del padre, la torre avrebbe dovuto avere due finestre, ma Barbara ne volle tre in onore della S.ma Trinità. Il padre, pagano, venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, decise di ucciderla, ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire.
Nuovamente catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente. Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito; poi, visti inutili i tentativi, ordinò di tormentarla avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla sanguinare in ogni parte. Durante la notte, continua il racconto seguendo uno schema comune alle leggende agiografiche, Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata. Il giorno seguente il prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture: sulle sue carni nuovamente dilaniate fece porre piastre di ferro rovente. Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti cristiani, venne associata al martirio: le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero quasi subito. Barbara, portata ignuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante l'ordine di flagellazione. Infine, il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso che eseguì la sentenza. Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò il crudele padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri. L'imperatore Giustino, nel sec. VI, avrebbe trasferito le reliquie della martire dall'Egitto a Costantinopoli; qualche secolo più tardi i veneziani le trasferirono nelle loro città e di qui furono recate nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Torcello (1009). Il culto della martire fu assai diffuso in Italia, probabilmente importato durante il periodo dell'occupazione bizantina nel sec. VI, e si sviluppò poi durante le Crociate. Se ne trovavano tracce in Toscana, in Umbria, nella Sabina. A Roma, poi, secondo la testimonianza di Giovanni Diacono (Vita, IV, 89), San Gregorio Magno, quando ancora era monaco, amava recarsi a pregare nell'oratorio di Santa Barbara. Il testo, però, ha valore solo per il IX sec.; comunque, è certo che in questo secolo erano stati costruiti oratori in onore di Barbara, dei quali fa testimonianza il Liber Pontificalis (ed. L. Duchesne, II, pp. 50, 116) nelle biografie di Stefano IV (816-17) e Leone IV (847-55).
Barbara è particolarmente invocata contro la morte improvvisa (allusione a quella del padre, secondo la leggenda); in seguito la sua protezione fu estesa a tutte le persone che erano esposte nel lavoro al pericolo di morte istantanea, come gli artificieri, gli artiglieri, i carpentieri, i minatori; oggi venerata anche come protettrice dei Vigili del Fuoco. Nelle navi da guerra il deposito delle munizioni è denominato 'Santa Barbara'. La festa di Barbara è celebrata il 4 dicembre.

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domenica 29 novembre 2015

SANT'ANDREA


Andrea  fu un apostolo di Gesù Cristo, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa.

Andrea era il fratello di Pietro apostolo (Mc 1:16). Quasi sicuramente il suo nome, come altri nomi tramandati in greco, non era il nome originario di questo apostolo in quanto, nella tradizione ebraica o giudaica, il nome Andrea compare solo a partire dal II-III secolo.

Il Nuovo Testamento afferma che Andrea era figlio di Giona (Mt 16:17) o Giovanni (Gv 1:42); e che era nato a Betsaida sulle rive del Lago omonimo in Galilea (Gv 1:44). Assieme al fratello Pietro esercitava il mestiere di pescatore e la tradizione vuole che Gesù stesso lo avesse chiamato ad essere suo discepolo invitandolo ad essere per lui "pescatore di uomini", tradotto anche come "pescatore di anime". Agli inizi della vita pubblica di Gesù, occupavano la stessa casa a Cafarnao (Mc 1:21-29).

Il Vangelo secondo Giovanni riporta che Andrea era stato in precedenza discepolo di Giovanni il Battista, che gli indicò Gesù come «agnello di Dio» (Gv 1:35-40). Andrea fu il primo a riconoscere in Gesù il Messia e lo fece conoscere al fratello (Gv 1:41). Presto entrambi i fratelli divennero discepoli di Cristo. In un'occasione successiva, prima della definitiva vocazione all'apostolato, essi erano definiti come grandi amici e lasciarono tutto per seguire Gesù (Lc 5:11; Mt 4:19-20; Mc 1:17-18).

Nei vangeli Andrea è indicato essere presente in molte importanti occasioni come uno dei discepoli più vicini a Gesù (Mc 13:3; Gv 6:8, 12:22), ma negli Atti degli Apostoli si trova solo una menzione marginale della sua figura (At 1:13).

Eusebio di Cesarea ricorda nelle sue "Origini" che Andrea aveva viaggiato in Asia Minore ed in Scizia, lungo il Mar Nero come del resto anche sul Volga e sul Kiev. Il ricercatore George Alexandrou, ha scritto che Sant'Andrea ha passato 20 anni nei territori dei Daco-Romani, vissuto in una caverna nei pressi del villaggio Ion Corvin, oggi in Romania. Per questo egli è divenuto santo patrono della Romania e della Russia. Secondo la tradizione, egli fu il fondatore della sede episcopale di Bisanzio (Costantinopoli), dal momento che l'unico vescovato dell'area asiatica che era già stato fondato era quello di Eraclea. Nel 38, su questa sede gli succedette Stachys. La diocesi si svilupperà successivamente nel Patriarcato di Costantinopoli. Andrea è riconosciuto come santo patrono della sede episcopale.

Andrea è stato martirizzato per crocifissione a Patrasso (Patrae) in Acaia (Grecia). Dai primi testi apocrifi, come ad esempio gli Atti di Andrea citati da Gregorio di Tours, si sa che Andrea venne legato e non inchiodato su una croce latina (simile a quella dove Cristo era stato crocifisso), ma la tradizione vuole che Andrea sia stato crocifisso su una croce detta Croce decussata (a forma di 'X') e comunemente conosciuta con il nome di "Croce di Sant'Andrea"; questa venne adottata per sua personale scelta, dal momento che egli non avrebbe mai osato eguagliare il Maestro nel martirio. Quest'iconografia di sant'Andrea appare ad ogni modo solo attorno al X secolo, ma non divenne comune sino al XVII secolo. Proprio per il suo martirio, sant'Andrea è divenuto anche il patrono di Patrasso.

Gli scritti apocrifi che compongono gli Atti di Andrea, menzionati da Eusebio di Cesarea, Epifanio di Salamina e da altri, è compreso in un gruppo disparato di Atti degli apostoli che vengono tradizionalmente attribuiti a Lucio Carino. Questi atti risalgono al III secolo e, assieme al Vangelo di Andrea, appaiono tra i libri rigettati dalla chiesa nel Decretum Gelasianum di papa Gelasio I.

La serie completa degli Atti venne edita e pubblicata da Konstantin von Tischendorf nel suo Acta Apostolorum apocrypha (Lipsia, 1821), che si occupò di riordinarli per la prima volta in modo ordinato e filologicamente corretto. Un'altra versione è presente nella Passio Andreae, pubblicata da Max Bonnet (Supplementum II Codicis apocryphi, Parigi, 1895).

La festa di Sant'Andrea è ricordata il 30 novembre nelle Chiese d'Oriente e d'Occidente ed è festa nazionale in Scozia.

Dopo il martirio di sant'Andrea, secondo la tradizione, le sue reliquie vennero spostate da Patrasso a Costantinopoli. Leggende locali dicono che le reliquie vennero vendute dai romani. Sofronio Eusebio Girolamo scrisse che le reliquie di Andrea vennero portate da Patrasso a Costantinopoli per ordine dell'imperatore romano Costanzo II nel 357. Qui rimasero sino al 1208 quando le reliquie vennero portate ad Amalfi, in Italia, dal cardinale Pietro Capuano, nativo di Amalfi. Nel XV secolo, la testa di sant'Andrea fu portata a Roma, dove venne posta in una teca in uno dei quattro pilastri principali della basilica di San Pietro. Nel settembre del 1964, come gesto di apertura verso la Chiesa ortodossa greca, papa Paolo VI consegnò un dito e parte della testa alla chiesa di Patrasso. Il Duomo di Amalfi, dedicato appunto a sant'Andrea (come del resto la città stessa), contiene una tomba nella sua cripta che continua a contenere alcune altre reliquie dell'apostolo.

Nel sesto secolo la reliquia di una mano e di un braccio di sant'Andrea fu donata a Venanzio vescovo di Luni dal papa Gregorio Magno, suo grande amico. È tradizione che in tale tempo, e con l'occasione del dono, sia stata costruita in Sarzana la chiesa di Sant'Andrea, che divenne la dimora della reliquia. Da quel giorno l'apostolo divenne il patrono della città. Tali reliquie si conservano al presente nella Cattedrale di Sarzana; essa era stata portata da Costantinopoli a Roma da un certo Andrea, maggiordomo dell'imperatore Maurizio Tiberio.



La testa del santo venne donata, insieme ad altre reliquie (un mignolo e alcune piccole parti della croce), da Tommaso Paleologo, despota della Morea spodestato dai Turchi, a papa Pio II nel 1461, in cambio dell'impegno per una crociata che avrebbe dovuto riprendere Costantinopoli. Il papa accettò il dono promettendo di restituire le reliquie quando la Grecia fosse stata liberata e ne inviò la mandibola custodita nell'antico reliquiario a Pienza. Per decisione di papa Paolo VI nel 1964 le reliquie conservate a Roma vennero inviate nuovamente a Patrasso all'interno dell'antico reliquiario bizantino, fino ad allora custodito nella cattedrale pientina; in cambio il Papa donò alla cattedrale di Pienza il busto-reliquiario della testa commissionato da Pio II a Simone di Giovanni Ghini per la basilica di San Pietro in Vaticano. Le reliquie rese sono a tutt'oggi custodite nella chiesa di sant'Andrea a Patrasso in una speciale urna e vengono mostrate ai fedeli in occasione della festa del 30 novembre.

La chiesa madre di San Nicola in Gesualdo (AV) conserva un presunto osso del santo. La reliquia fu donata da Eleonora Gesualdo, badessa del celebre monastero del Goleto, quando, verso la fine del Cinquecento, si trasferì a Gesualdo presso il fratello principe Carlo.

Altre reliquie attribuite a sant'Andrea sono dislocate in punti fondamentali della sua venerazione: nel Duomo di Sant'Andrea di Amalfi, nella cattedrale di Santa Maria a Edimburgo (Scozia), nella chiesa di Sant'Andrea e Sant'Alberto a Varsavia (Polonia).

Nel 2007 una reliquia del santo è stata consegnata dal vescovo di Amalfi al patriarca ecumenico Bartolomeo affinché fosse conservata nella cattedrale di San Giorgio in Costantinopoli (sede del patriarcato).

Alla metà del X secolo, Andrea divenne santo patrono della Scozia. Molte leggende volevano che le reliquie di sant'Andrea fossero state traslate con poteri soprannaturali da Costantinopoli al luogo attualmente denominato "Sant'Andrea" (in pitico, Muckross; in gaelico, Cill Rìmhinn).

Due antichi manoscritti scozzesi ricordano che le reliquie di sant'Andrea vennero portate da Regolo al re dei Piti, Óengus I Mac Fergusa (729–761). L'unico Regolo conosciuto dagli storici (detto anche Riagail o Rule), il cui nome è tutt'oggi ricordato dalla torre di san Rule, fu un monaco irlandese espulso dall'Irlanda con san Colombano; la sua vita, ad ogni modo, sarebbe da collocarsi tra il 573 ed il 600. Vi sono buone ragioni per credere che le reliquie facessero originariamente parte della collezione del vescovo Acca di Hexham e che vennero da quest'ultimo portate ai Piti da Hexham (c. 732), dove venne fondata una sede episcopale, non come avrebbe voluto la tradizione a Galloway, ma sul luogo detto di Sant'Andrea. La connessione fatta con Regolo, ad ogni modo, è dovuta con tutta probabilità al desiderio di datare la fondazione della chiesa di Sant'Andrea in tempi più remoti possibili e quindi più vicini al martirio del Santo.

Un'altra leggenda vuole che nel tardo VIII secolo, durante una delle battaglie contro gli inglesi, il re Ungo (lo stesso Óengus I Mac Fergusa menzionato sopra oppure Óengus II dei Piti (820 – 834)) vide una nuvola incrociata a salterio, e disse ad alta voce ai propri compagni di osservare il fenomeno, indicativo di una protezione di sant'Andrea, e che, se avessero vinto per questa grazia, lo avrebbero eletto quale loro santo patrono. Ad ogni modo, si ha ragione di ritenere che sant'Andrea fosse già venerato in Scozia prima di questa data.

Le connessioni di Andrea con la Scozia sono probabilmente da attribuirsi anche al Sinodo di Whitby, dove la Chiesa celtica guidata da san Colombano sancì che, a giudicare dalle scritture, il fratello minore di Pietro aveva dovuto avere un ruolo addirittura superiore a tutti gli apostoli. Nel 1320 la Dichiarazione di Arbroath definì sant'Andrea come "il primo ad essere divenuto Apostolo".

Numerose chiese parrocchiali di Scozia e congregazioni della Chiesa cristiana del paese sono dedicate a Sant'Andrea. La Chiesa nazionale del popolo scozzese a Roma è la chiesa di Sant'Andrea degli Scozzesi.

Nella bandiera della Scozia (quindi anche in quella del Regno Unito e nello stemma della Nuova Scozia) e in diverse altre figura la croce di sant'Andrea. Compariva anche sulla bandiera dei confederati degli Stati Uniti d'America, anche se il fondatore, William Porcher Miles, riteneva di aver cambiato l'insegna da una croce classica ad una decussata per motivi araldici e non religiosi.

La tradizione romena vuole che sant'Andrea (chiamato Sfântul Apostol Andrei) sia stato uno dei primi a portare il Cristianesimo nella Scizia Minore, l'attuale Dobrugia, al popolo locale dei Daci (antenati dei romeni). Già presso i Padri della Chiesa, infatti, sant'Andrea viene citato come pellegrino in questa regione. Tre sono i toponimi e numerose antiche tradizioni sono riconducibili a sant'Andrea, molte delle quali possono conservare un substrato pre-cristiano. Esiste anche una caverna dove si ritiene che egli abbia alloggiato. La misteriosa tradizione che vuole che egli fosse solito battezzare nel villaggio di Copuzu è anche collegata da molti etnologi con il fenomeno delle campagne di cristianizzazione legate agli apostoli.

Il primo Cristianesimo in Ucraina, ricorda che l'apostolo Andrea avrebbe viaggiato nel sud dell'Ucraina, lungo il Mar Nero. La leggenda vuole che egli abbia anche percorso il fiume Dnieper e abbia raggiunto la località che in seguito sarebbe divenuta Kiev, dove venne eretta una croce sul sito dove abitualmente Andrea risiedeva, profetizzando la nascita della città all'insegna del Cristianesimo.

Le prime notizie relative alla piccola cappella di Luqa dedicata a sant'Andrea risalgono al 1497. La visita pastorale del delegato pontificio Pietro Dusina afferma che questa cappella conteneva tre altari, uno dei quali era dedicato a Sant'Andrea. La pala d'altare, raffigurante Maria coi Santi Andrea e Paolo venne dipinta dal pittore maltese Filippo Dingli. A quel tempo, molti pescatori vivevano a Luqa, e questa potrebbe essere una delle ragioni per cui Sant'Andrea venne scelto come Santo Patrono della città. La locale statua di Sant'Andrea venne scolpita nel legno da Giuseppe Scolaro nel 1779. Questa opera subì molti restauri, primo tra tutti quello risalente al 1913 ad opera del rinomato artista maltese Abraham Gatt. Il Martirio di Sant'Andrea, presente sull'altare principale della chiesa, venne dipinto da Mattia Preti nel 1687.

A Gesualdo (AV) la festa di Sant'Andrea ricorre ogni 30 novembre con l'accensione di falò, detti "vambalèrie", per le strade cittadine e le zone rurali. Tale tradizione nacque nell'Ottocento, a seguito dell'abbattimento del tiglio collocato nella piazza principale della cittadina (oggi Piazza Umberto I), il cui legno fu in parte bruciato e in parte utilizzato per la realizzazione della statua del santo, ancora oggi conservata nella cappella della Chiesa Madre di San Nicola insieme a una reliquia dell'apostolo.

Ad Amalfi (SA) la festa di S.Andrea ricorre più volte all'anno. La prima è il 28 gennaio, festa della reliquia; la seconda la domenica di Pasqua e il lunedì di Pasquetta; la terza il 7 e l'8 maggio, traslazione delle reliquie (detta "S.Andrea a'quaglia"). Le più particolari sono quella del 26 e 27 giugno, miracolo di S.Andrea e quella del 29 e 30 novembre, festa patronale. La vigilia della festa di giugno la mattina si tiene l'esposizione della statua, seguita dalla sfilata della banda e dalle S.Messe. A sera in cripta, a conclusione del triduo, si tengono i Vespri e la celebrazione della Manna. La sera del 27 giugno parte una processione per le vie del paese, seguita dalle marce sinfoniche e dallo spettacolo pirotecnico a mare. Alle cinque di mattina del 30 novembre, accompagnata da fuochi pirotecnici e campane, la banda sfila. Verso mezzogiorno, la processione parte per un percorso più breve rispetto a quello di giugno. La giornata è chiusa da fuochi pirotecnici.

Andrea deriva dal nome greco Andreas e dalla parola greca andros che significa "uomo, maschio, virile". Il termine andros (radice di altre parole italiane come androgino o androide) è l'equivalente del latino vir da cui deriva proprio l'aggettivo "virile". E' un nome molto antico, già in uso presso gli antichi greci grazie ai quali si diffuse in Palestina e Egitto; venne utilizzato anche dai primi cristiani, in venerazione di Sant'Andrea apostolo. Il nome è ancora oggi molto popolare in Italia (è stabilmente nella Top 5 dei nomi più usati per neonati dal 2004) e risulta il più diffuso al mondo nelle sue varianti sia al maschile che al femminile (in inglese, tedesco, olandese, spagnolo e nei paesi scandinavi il nome Andrea è esclusivamente femminile, ma esistono varianti maschili). In Italia l'utilizzo è quasi unicamente maschile anche se recentemente si registrano alcune bambine di nome Andrea dopo che per anni era stato addirittura vietato dalla legge.

Va notato che le forme ungheresi Andor ed Endre possono avere anche un'altra origine, norvegese in entrambi i casi, e il finlandese Antero coincide con Antero, un altro nome italiano di origine greca.

Mentre in diverse lingue (come l'inglese, il ceco, il tedesco e lo spagnolo) la grafia Andrea è la forma femminile del nome, all'interno della cultura italiana contemporanea Andrea ha valenza prevalentemente maschile. Tuttavia in epoca tardomedievale in Italia, almeno nell'area toscana, il nome era sostanzialmente ambigenere: un'analisi dei battezzati fiorentini fra il 1450 e il 1500 ha rivelato un cospicuo numero di donne con questo nome. La tendenza ad attribuirlo alle femmine è ritornata sul finire del XX secolo, non tanto per ragioni storiche quanto sotto l'influsso delle culture straniere (si pensi agli ormai piuttosto comuni Daniel e Christopher) e il suo uso ha raggiunto livelli degni di nota, anche se non alti come nelle epoche passate (nel 2013 in Italia hanno ricevuto questo nome 281 bambine, pari allo 0,12% del totale), ma rimane nel complesso raro ed eccezionale; di fatto in italiano Andrea è usato quasi solo al maschile, mentre per il femminile storicamente si è ripiegato di solito su Andreina.

Sulla questione si è acceso un dibattito anche a livello legale: la legge italiana (nel D.P.R. n. 396 del 2000) stabilisce che il nome deve accordarsi al sesso del nascituro; Andrea dunque, che in italiano è consolidatamente maschile, verrebbe così precluso alle neonate, a meno che non fosse usato come secondo nome (va detto che l'ufficiale dello stato civile sarebbe comunque obbligato a formare l'atto di nascita secondo la volontà del genitore, anche in contravvenzione a tale normativa, potendo però decidere di segnalarlo al Procuratore della Repubblica, che eventualmente costringerebbe alla rettifica).

Si sono avuti casi giudiziari dove è stata imposta la rettifica del nome in concordanza con questa legge (come nel dicembre 2011 presso il tribunale civile di Mantova), ma nel novembre 2012 la Corte di cassazione ha accolto la protesta di una coppia di genitori di Pistoia contro la decisione con la quale la Corte di Appello di Firenze, il 3 agosto 2010, aveva disposto la rettifica del nome Andrea che avevano dato alla loro figlia: in tale occasione, la Corte di Cassazione rilevò che, dato il contesto multiculturale che si è venuto a creare in Italia, attribuire il nome Andrea ad una bambina, seguendo una moda forestiera, non è ridicolo o vergognoso, né crea ambiguità riguardo al genere della persona.

A livello di curiosità, si può notare che Andrea è uno dei pochi nomi italiani maschili che finiscono per -a a godere di ampia diffusione, assieme a Luca, Mattia e Nicola; ne esistono poi molti altri meno comuni, come Elia, Enea e Tobia.

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venerdì 15 maggio 2015

LA CHIESA DI SAN PIETRO MARTIRE A MONZA

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Eretta nella prima metà del Trecento in sobrie forme di matrice cistercense, la chiesa domenicana di San Pietro Martire era annessa a un convento, già fondato nel 1280, che fu sede del tribunale dell’Inquisizione. Sia l’esterno, sia l’interno a tre navate sono stati restaurati all’inizio del Novecento per recuperarne l’assetto originario. Vi si conservano numerosi frammenti di affreschi della prima metà del XIV secolo, riferibili a pittori lombardi influenzati dal linguaggio di Giotto.
Dalla parete esterna dell’abside, dov’erano stati murati forse nel 1817, provengono i resti di un polittico in terracotta di pregevole fattura posto ora al Museo e Tesoro del Duomo di Monza, probabilmente destinato in origine a uno degli altari posti all’interno. Accanto a tre frammenti della cornice e a due formelle con busti di santi, vi compaiono quattro elementi di maggiori dimensioni, identificabili con altrettanti scomparti dell’unico ordine dell’ancona. Entro nicchie coronate da conchiglie classicheggianti, vi sono modellati ad alto rilievo i santi Giorgio (o Michele), Paolo, Giovanni e un santo monaco (forse Pietro Martire), che pur nella diversità dei tipi, risultano accomunati dalla resa fortemente contrastata dei panneggi, dalla nervosa incisione dei tratti fisionomici e dalla ricca, straripante decorazione delle cornici. Caratteri, questi, che permettono di datarli al sesto decennio del Quattrocento e di attribuirli a un maestro lombardo non ancora identificato, autore anche di altri pregevoli pezzi, tra cui un polittico conservato nella chiesa parrocchiale di Mozzanica.
Allo stesso autore, ma non allo stesso gruppo, appartiene anche una bella Madonna inginocchiata. Pertinente forse a un altro polittico del medesimo edificio, si segnala per l’eleganza della posa e l’evidenza data alla cintura, che anche qui potrebbe rimandare al culto della Madonna della Cintola.

Le prime notizie della chiesa risalgono al 1369, ma è molto probabile che l’edificio sia ancora più antico, essendo l’ordine domenicano documentato in Monza dall'anno 1288. La chiesa è dedicata al santo monaco domenicano Pietro, ucciso nel 1252 dai patarini mentre si recava da Como a Milano.

L'originale abside viene rifatta nel 1645. Nel 1776 l'annesso convento venne soppresso. L'abside fu nuovamente modificata nel 1817 e nello stesso anno fu rimaneggiato anche il campanile. L’edificio subì ulteriori modifiche nel corso degli anni venti del XX secolo.

L'interno conserva frammenti di pitture trecentesche, recuperati negli ultimi lavori di restauro (anni sessanta del XX secolo). Il coro ligneo è del XVII secolo.

Sotto l'altare è l'urna che custodisce il corpo di san Prospero martire, traslato a Monza dalle catacombe romane di Sant'Agnese.

Dalla navata sinistra una porta immette nel chiostro del XV secolo.

Sulla piazza antistante la facciata si trova il monumento a Mosè Bianchi, pittore monzese.




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sabato 18 aprile 2015

PERSONE DI ANGERA : PIETRO MARTIRE D' ANGHIERA



Pietro Martire d'Anghiera è stato uno storico spagnolo di origine italiana.

Nacque ad Arona sul lago Maggiore il 2 febbraio 1457, da famiglia di cognome ignoto, probabilmente cospicua, verosimilmente originaria di Anghiera, ma proprietaria di beni ad Arona. Ebbe almeno due fratelli minori, Giorgio, che fu governatore di Monza, e Giambattista, per il quale ottenne, per raccomandazione dei sovrani di Spagna, l'accesso nell'esercito della Repubblica veneta. Passò alcuni anni alla corte ducale di Milano e fu nutrito di buoni studi umanistici, ma in proposito non si hanno particolari. Dopo l'uccisione di Gian Galeazzo si trasferì a Roma (ve lo troviamo almeno dal 1478), munito di efficaci raccomandazioni, specie di Ascanio Sforza, onde vi ebbe favorevoli accoglienze e fu in rapporti con l'Accademia di Pomponio Leto e del Platina, pure mantenendo intatti i suoi principi cattolici: fu ospite di Bartolomeo Scandiano nella sua villa di Rieti, poi, durante il pontificato di Innocenzo VIII, segretario del governatore di Roma F. Negri, con il quale visitò Perugia e altri luoghi dello Stato pontificio. Nel 1486 Iñigo Lopez de Mendoza, conte di Tendilla, venuto come ambasciatore dei sovrani spagnoli a Roma, dove si trattenne quasi un anno, fu colpito dall'ingegno vivace e dalla vasta cultura del giovane non ancora ventenne e lo indusse a seguirlo in Spagna. L'Anghiera aderì, nonostante il parere contrario del Leto, del cardinale Arcimboldi arcivescovo di Milano e, soprattutto, dello Sforza (creato cardinale nel 1484), che tentò di tutto per distoglierlo; non riuscendo nell'intento, si fece almeno promettere che avrebbe mandato frequenti rapporti su tutto ciò che accadeva alla corte spagnola; promessa che fu mantenuta, poiché abbiamo numerose lettere allo Sforza (e ad altri) ricche di preziose informazioni. In Spagna, dove si fece subito un posto di primo piano a corte,  doveva rimanere ormai per tutto il resto della sua vita, salvo brevi assenze per missioni. Dal 1488  ora a seguito del Tendilla, ora dello stesso Ferdinando prese parte attiva alle ultime campagne di guerra contro gli Arabi, militare e storico al tempo stesso. Fu nel 1489 all'assedio di Baza, espugnata solo nel dicembre, e poi all'assedio di Granata, ultima fortezza tenuta dai Mori. Di questi fatti d'arme, decisivi per la storia di Spagna, egli fu, in molte sue lettere, relatore preciso ed efficace; ad esse ricorsero, come a fonte sicura, molti storici posteriori. A Granata conobbe probabilmente Cristoforo Colombo, intermediario forse il confessore della regina Isabella, Talavera, amico e protettore di ambedue gli italiani. Affascinato dallo splendore della città, vi rimase a fianco del Tendilla, che ne fu primo govematore, e del Talavera, primo vescovo. E durante il soggiorno a Granata, che dovette rappresentare per lui un periodo di riposo, egli maturò il proposito di mutare l'abito militare per quello ecclesiastico: abbracciò gli ordini minori ed ebbe uno stallo di canonico nella cattedrale. Ma solo parecchi anni più tardi divenne prete, e fu anzi protonotario apostolico.
Il rientro a corte avvenne sul finire del 1492, allorché la regina Isabella lo nominò "contino de su casa", ossia gentiluomo di camera, e da allora egli divenne un valido aiuto della regina nel nobile proposito diredimere il popolo spagnolo dalla ignoranza in cui versava. Egli stesso fu maestro e precettore di molti giovani nobili seguendo la corte nei suoi spostamenti di città in città; invitato dalla università di Salamanca, rifiutò la cattedra, ma consentì a tenere una lettura ed ebbe un uditorio di quattromila tra professori e studenti; un vero trionfo, che egli stesso esaltò in una lettera celebre.

A corte ebbe la ventura di seguire da vicino la grande impresa di Colombo e di assistere al suo trionfale ritorno dalla prima navigazione transoceanica. Ne dette notizia subito in lettere, specie allo Sforza, al conte Giovanni Borromeo, poi ad altri conoscenti, anche spagnoli, e le informazioni in esse contenute sono tra i documenti contemporanei più importanti e più significativi della eccezionale impresa. Notevole è che Colombo vi è sempre additato come figure.

Anche negli anni seguenti  dovette seguire con perspicace attenzione,tutti i fatti e gli avvenimenti connessi con la scoperta del Nuovo Mondo e in genere con le navigazioni oceaniche: fu in rapporto con Sébasúano Caboto, con Vasco da Gama, con Amerigo Vespucci, con Fernando Cortés, con Fernando Magellano. Nel 1497 fu designato per una missione diplomatica in Boemia, che peraltro non ebbe poi più luogo. Quattro anni più tardi gli venne invece affidata dal sovrano una-missione molto delicata e, di gran fiducia presso il sultano d'Egitto, che, inasprito dalle persecuzioni contro i Mori in Spagna, minacciava rappresaglie contro i cristiani e specialmente contro i francescani della Custodia di Terrasanta.

Raggiunta per terra Venezia, dove fece un breve ma delizioso soggiomo, si imbarcò per Rosetta, vide Alessandria, della quale descrisse a vivi colori, lo squallore, raggiunse il Cairo, visitò, con grande curiosità, la multiforme città e i suoi dintorni; ricevuto benevolmente dal sultano e compiuta con successo la sua missione, si rimbarcò per Venezia, che stava allora per schierarsi coi Francesi contro la Spagna. Qualche passo fatto per comporre la vertenza, senza essere a ciò autorizzato, lo mise in difficoltà. Trasferitosi da Venezia in Lombardia, rivide con grande emozione Arona, suo paese natale, e poté tornare in Spagna per via di terra, con un salvacondotto ottenuto per mezzo del card. d'Amboise.

Dei viaggio in Egitto scrisse una breve, ma diligentissima relazione (Legatio Babylonica), che, ricca di osservazioni de visu, fu assai apprezzata dai contemporanei e contribuì a dissipare molte idee errate che ancora a quel tempo circolavano sull'Egitto.

In questo periodo  ricevette gli ordini religiosi maggiori e fu nominato priore del capitolo di Granata, ma continuò ad occuparsi in modo particolare delle relazioni coi diplomatici che frequentavano la corte. Morta la sua grande protettrice, la regina Isabella (26 nov. 1504), trascorse alcuni mesi appartato a Granata, ma poi raggiunse il re Ferdinando e lo assisté con consigli nel burrascoso periodo che seguì la morte della regina; e di tutti gli avvenimenti, così di quelli familiari, come dei politici, tenne sempre diligente nota. Dopo la morte di Ferdinando, nel 1516, i fatti che accompagnarono gli inizi del regno di colui che doveva divenire poi uno dei più grandi sovrani del mondo, hanno un'eco nella sua corrispondenza.

Da qualche anno si era accinto alla stesura della grande opera cui deve soprattutto la sua,fama, le Decades de Orbe novo, delle quali la prima fu pubblicata, insieme con altri suoi scritti, a Siviglia già nel 1511, e a sua insaputa, come egli stesso ha occasione di farci sapere con vivo e ripetuto rammarico; le prime tre erano tutte composte nel 1515 e l'autore ne mandava copia a Leone X, che gradì moltissimo il dono e nell'anno seguente ne autorizzò la stampa. L'opera dovette essere molto apprezzata, perché nel 1520 fu nominato storiografo ufficiale, con lauto stipendio, e già due anni prima era stato addetto al Consiglio delle Indie, e qualche tempo dopo ebbe addirittura l'alto ufficio di consigliere dell'importante istituzione, allora riordinata. Nell'esercizio di questa sua funzione, in anni ricchi di tante vicende per le terre nuovamente scoperte, impegnò tutta l'autorità che gli veniva dalla lunga pratica di affari diplomatici e dalla larga conoscenza che egli aveva di uomini, di paesi, di avvenimenti recenti.

Le ambizioni  non furono mai eccessive: nel 1518 declinò, allegando la sua età avanzata, la designazione ad ambasciatore presso il sultano di Costantinopoli; invece nel 1521, forse per un ritorno di nostalgia, rinnovò il tentativo già fatto dieci anni prima di ottenere l'abbazia di San Graziano in Arona, sua città natale, e rimase deluso di non aver potuto soddisfare questo desiderio. Nel 1524 il re lo fece nominare da Clemente VII abate mitrato di Santiago nell'isola di Giamaica; non poté prendere possesso di persona di questo uffìcio, ma ne devolvé le rendite per costruire la chiesa di Sevilla del Oro in quell'isola.

Sofferente di fegato da più anni, era malato nel giugno 1526 allorché la corte fissò la residenza a Granata; la città dove l'A. aveva iniziato la sua carriera doveva vederne la fine. Il 23 settembre fece testamento, lasciando la maggior parte dei suoi beni ai parenti in Lombardia e morì pochi giorni dopo. Il suo corpo venne sepolto nel duomo di Granata.

Può definirsi, per cultura e per spirito, un umanista, anche se la sua conoscenza del latino letterario non fu perfetta; dell'umanista ebbe l'interesse per tutte le cose nuove anche nel campo scientifico, onde la continua penetrante attenzione portata a tutti gli avvenimenti connessi con la scoperta del Nuovo Mondo; dell'umanista ebbe l'ingegno vivace, l'abito mentale. Fu scrittore e descrittore diligente, ed abilmente sfruttò informazioni attinte a conoscenze personali o a documenti e materiali che ebbe sotto mano per ragioni di ufficio. Come fonte storica è giudicato molto autorevole, anche se da usarsi con qualche cautela, per tutto il periodo (34 anni) che le Decadi abbracciano; fonte di prim'ordine per Colombo, della cui scoperta fu il primo ad intuire l'importanza, e anche per Vespucci, Caboto, Vasco da Gama, Balboa, ecc.

Come si è già accennato, quando si decise a lasciare l'Italia, lo Sforza si fece da lui promettere una continuata corrispondenza su tutto ciò che di notevole fosse man mano da segnalare in Spagna. E la promessa fu largamente mantenuta: l'Opus epistolarum, dedicato proprio allo Sforza, contiene 813 lettere che vanno dal 1488, poco dopo la sua partenza da Roma, al 1525. Esse naturalmente non sono tutte dirette allo Sforza, ma a molti altri personaggi, sia spagnoli come in prima linea il conte di Tendilla, sia italiani, come Giovanni Borromeo, Pomponio Leto, Bartolomeo Scandiano, Pietro Ranzano e altri.

In alcune lettere sono state rilevate contraddizioni, incertezze, elementi di sospetto valore; ma si deve tener presente che la edizione che ne possediamo è assai imperfetta e forse in alquante lettere furono introdotte interpolazìoni. E può darsi anche che talune lettere possano essere dirette a destinatari fittizi, come esercitazioni letterarie, secondo un uso non infrequente nel secolo XVI; ma a nessuna lettera potrebbe negarsi autenticità di contenuto. Celeberrime sono le tre lettere del 1493 dirette rispettivamente a Giovanni Borromeo (14 maggio), al conte di Tendilla (13 settembre) e ad Ascanio Sforza (stessa data), nelle quali si accenna al felice ritorno di Colombo dalla prima traversata atlantica; ma dei viaggi colombiani successivi si parla in numerose altre lettere, dalle quali si possono anche seguire tutte le vicende delle successive spedizioni spagnole e portoghesi e rilevare le conseguenze delle inattese scoperte, delle quali  fu testimone, alla corte di Spagna, per tutto il periodo che può dirsi eroico, chiuso dalla circumnavigazione di Magellano. In conclusione le lettere  hanno il valore di fonte storica di prim'ordine.

Di quello stesso periodo le Decades de Orbe novo costituiscono in sostanza una narrazione continuativa. Le iniziò nel 1493 e ancora una volta sotto forma di lettere (dieci) dedicate ad Ascanio Sforza, al card. Ludovico d'Aragona ed (una) al conte di Tendilla. Esse furono, come sappiamo dallo stesso autore, raccolte in opuscolo e pubblicate senza il suo consenso a Siviglia nel 1511. Più tardi, continuando la sua esposizione, dette ad essa la forma di Decadi, forse ad immagine di Tito Livio.

L'opuscolo su menzionato, ampliato e riveduto, costituì la prima Deca, pubblicata con la seconda e la terza ad Alcalá (Compluti) nel 1516. Queste tre decadi sono dedicate a papa Leone X; la quarta, che reca la data 1519, è pure dedicata allo stesso pontefice; della quinta i primi capitoli sono dedicati ad Adriano VI in data 30 ott. 1520, i successivi a Clemente VII senza data (ma non prima dei settembre 1522 perché vi si parla del ritorno della nave superstite di Magellano). La sesta decade, presentata a Giovanni Ruffo arcivescovo di Cosenza, è del 1522 o 1523, la settima, dedicata a Francesco Maria Sforza duca di Milano, è del 1525, l'ottava dedicata a Clemente VII, è della fine dello stesso anno. La prima edizione completa fu pubblicata, come si è già detto, nel 1530.

Per giudicare a pieno il valore delle Decades come fonte storica bisogna anche qui distinguere anzitutto fra le notizie che l'autore ci dà in base a rapporti personali con viaggiatori, navigatori, conquistatori che conobbe, interrogò, o dai quali ebbe narrazioni e relazioni di prima mano, e le informazioni che arrivarono a lui per via indiretta e che non sempre poté controllare. Inoltre in quanto egli scrive si intravede talvolta l'influenza dell'ambiente di corte e degli alti personaggi coi quali fu in relazione. Ma un giudizio definitivo non può darsi, mancando un'edizione critica delle Decades e, in base ad essa, un esame critico e comparativo con altre fonti contemporanee. Certo l'opera fu presto e largamente utilizzata dagli storici, a cominciare dall'Oviedo il cui Sumario de las Indias occidentales (1526) è scritto sulla falsariga, anzi può considerarsi addirittura come un riassunto delle Decades.


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giovedì 19 febbraio 2015

BUON ONOMASTICO ASIA



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Asia è un nome proprio di persona femminile.
E' una ripresa del nome del continente asiatico,che tramite il greco e il latino indica l'est il luogo dove nasce il sole. In antichità però il nome veniva usato al maschile.

Il 19 febbraio la Chiesa cattolica ricorda Sant'Asia medico e martire.

Figlio di Eubula,donna di origini e vocazione cristiana,ed Eustorgio, ricco pagano di Nicomedia, fu educato dalla madre alla religione cristiana, ma la sua passione fu la medicina; ben presto divenne medico di Galerio.
Crebbe a Nicodemia, città molto stimolante dal punto di vista culturale e scientifico, sede di prestigiose scuole di medicina.
Allontanandosi così dal cristianesimo scoprì la sua vocazione molto più tardi grazie agli insegnamenti del prete Ermola che lo riportò sulla giusta via, verso un percorso che avrebbe segnato il suo destino. L'imperatore Massimiano lo volle come medico a corte ancora prima che egli finisse gli studi di medicina.. Un giorno, mentre stava tornando a casa dalla corte, vide sul ciglio della strada un ragazzo morto, ucciso da un morso di serpente. In preda alla compassione chiese al Signore di far morire il serpente e così fu. Questo miracolo lo cambiò profondamente al punto di chiedere ad Ermolao di essere battezzato nonostante fossero già in atto le persecuzioni cristiane. Poco dopo ci fu un altro miracolo al quale assistette il padre che, come il figlio,volle essere battezzato anch'esso.
Alla morte del padre tutte le ricchezze di famiglia passarono nelle sue mani.
L'invidia per questa fortuna, da parte di alcuni colleghi li spinse a denunciarlo durante le persecuzioni di Diocleziano. L'imperatore cercò di risparmiarlo chiedendogli di abiurare ma Asia non rinnegò la sua fede anzi la gridò apertamente, autocondannandosi a morte. Le intenzioni dei miscredenti non si piegarono nemmeno quando Asia, per mostrare a tutti che era nel giusto, risanò un paralitico sotto gli occhi di tutti. Senza alcun attenuante fu condannato ad essere bruciato sul rogo ma le fiamme misteriosamente si spensero. Si provò allora ad immergerlo ancora vivo nel piombo fuso ma il materiale prima di accoglierlo si raffreddò. Allora si provò a gettarlo in mare con un masso legato al piede, ma al contatto dell'acqua la grande pietra prese a galleggiare. Non rimase altro che farlo sbranare dalle belve feroci ma quando lo videro lo accorsero facendogli le feste. Fu infine legato ad una ruota ma quando cominciò a girare le corde che lo tenevano legato si spezzavano. Solo quando egli diede il suo consenso gli fu tagliata la testa nell' anno 305.

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