Visualizzazione post con etichetta miracolo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta miracolo. Mostra tutti i post

domenica 26 luglio 2015

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE A ARDESIO



Il santuario della Madonna delle Grazie, situato nel centro di Ardesio, risale al XVII secolo.

Il santuario fu edificato nel luogo in cui la tradizione vuole essere avvenuta, il 23 giugno 1607, un'apparizione mariana.

La sera del venerdì 23 giugno si era scatenato sul paese un furioso temporale che lasciava prevedere una tempesta distruttrice d'ogni coltivazione. Di fronte all'imminente pericolo la madre chiamò le due figlie e le mandò nella stanza delle immagini a pregare affinchè venisse scongiurata la bufera. Infatti l'Apparizione avvenne mentre era in pieno ritmo la stagione della raccolta del fieno e l'invito alle bambine era in rispondenza alle necessità di quella famiglia contadina e di tutta la popolazione. Mentre pregavano le bambine videro ai piedi del Crocifisso uno splendore con accanto un trono d'oro dove era seduta la Vergine Maria con in braccio il Figlio. Il fatto rimane isolato e non si ripetè in successive apparizioni della Vergine.
Ella si mostrò una sola volta ai piedi del quadro nella stanza dei Santi, seguirono invece fenomeni inspiegabili per tutto il mese di giugno, luglio e parte di agosto del 1607. La notizia si diffuse in un baleno e fu un accorrere di gente nel luogo privilegiato. Ci si invitava a vicenda dicendo: " E' comparsa la Madonna nella casa dei Salera in Ardesio, andiamo a vedere".
Propagandosi sempre più la fama della prodigiosa apparizione ed accorrendo da varie parti molta gente a visitare quelle immagini, il Parroco di Ardesio, don Giacomo Gaffuri, stimò suo dovere fare relazione alla Curia di Bergamo e per questo scopo mandò due persone di piena fiducia con lettera accompagnatoria al Vicario Generale della diocesi Mons. Giacomo Carrara. Questi diede ordine che si chiudesse la stanza e venisse vietato l'ingresso.
Intanto i fatti prodigiosi si rinnovavano per cui il Parroco sollecitò con lettera Mons. Vicario perché si volesse decidere sul da farsi. Mons. Carrara delegò con lettera del 25 agosto 1607 l'Arciprete di Clusone, don Decio Berlendis, perché si portasse sul luogo per prendere tutte le informazioni ed istruisse un processo giuridico in merito all'avvenimento accaduto. L'Arciprete venne immediatamente ad Ardesio e con il Parroco del paese si recò nella casa di Marco Salera ed esaminò ogni cosa. Nello stesso ambiente costituì il tribunale canonico composto, oltre che dai due Sacerdoti, da un pubblico Notaio Sig. Marco Maria Gaffuri ed altre ragguardevoli persone in funzione di giurati.
Furono interrogati diciannove testimoni che rilasciarono deposizioni giurate sulla autenticità della Apparizione. (Testimonianze conservate nell'archivio del Santuario).
Accertata la verità dei fatti, il Vicario Generale ordinò di coprire con un velo le Sacre Immagini e permise il libero accesso alla stanza.
Nel frattempo, in Ardesio cominciarono a verificarsi guarigioni improvvise e inspiegabili. Di questi fatti furono ascoltati altri diciotto testimoni del paese e cinque di Songavazzo. La lettura di questi atti convinse Mons. Carrara a portarsi in Ardesio per un sopralluogo personale. Giunse in Ardesio l'11 novembre e lì interrogò sia i primi che i secondi testimoni. Constatata la realtà dei fatti, il continuo flusso di pellegrini e l'ardente brama della popolazione, permise che si fabbricasse un Santuario con il titolo di Madonna delle Grazie.

L'apparizione di Ardesio avvenne in un periodo in cui l'eresia protestante, giunta dalla Svizzera e penetrata in Valtellina, zone con le quali molti valligiani avevano rapporti commerciali o professionali, stava tentando di propagarsi anche nelle valli orobiche, in parte facilitata dal governo della Serenissima che all'epoca era in contrasto con il papa e aveva espresso toni di condanna nei confronti dell'editto del cardinale Borromeo contro le dottrine "erronee".



La delibera per la costruzione della chiesa risale al 13 gennaio 1608, mentre la posa della prima pietra è del 24 giugno dello stesso anno. Successiva è invece la costruzione del campanile, iniziato nel 1645.
Il 24 giugno 1608, in solenne processione , con il Parroco don Gaffuri, fu collocata la prima pietra.
Incorporata ad essa, una lastra di piombo recava questa iscrizione latina:
« nel giorno 24 giugno 1608, essendo Papa Paolo V e Doge in Venezia Leonardo Donati , Vescovo di Bergamo Giovanni Battista Milani, la prima pietra di questa Chiesa è posta per mano del Sacerdote Andrea Gaffuri, Parroco ».
I lavori di costruzione procedettero con solerzia. Il Comune mise a disposizione i suoi boschi ed altre somme per pagare la manodopera degli operai. A più riprese si susseguirono delibere consiliari per molteplici concessioni. La motivazione era sempre all'unanimità , così formulata:
« à questo acciò detta Vergine Maria interceda presso Dio per questo Comune ».
La popolazione prestò la sua collaborazione offrendo una giornata a turno per lavorare. La fabbrica fu accelerata in modo tale che il 5 agosto 1608, finita la cappella dell'altare maggiore, vi fu celebrata la prima Messa e quindi con solennità una seconda dall'Arciprete di Clusone. Tale ricorrenza fu la solennità più grande del Santuario fino al 1691, anno in cui con pubblica delibera, si stabilì di festeggiare la data del 23 giugno di ogni anno, anniversario dell'Apparizione, essendo tra l'altro terminati i lavori di costruzione. Il Sommo Pontefice Paolo V con Breve del 27 gennaio 1609 concesse l'indulgenza plenaria a chi visitava il Santuario nel giorno dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria (non era ancora fissata la celebrazione per il 23 giugno) e pregava per la concordia dei principi cristiani, l'estinzione delle eresie e l'esaltazione della Santa madre Chiesa. Con un altro Breve del 29 luglio 1617 lo stesso Pontefice Paolo V ordinò che la Chiesa del miracolo avesse una sua amministrazione autonoma, non venisse mai vincolata a commenda o beneficio ecclesiastico alcuno; l'amministrazione di tutti i beni, di qualunque natura e da qualsiasi parte provenissero, rimanesse sempre in mano agli uomini di quella terra. Solo ne dovevano rendere conto al Vescovo Ordinario ogni anno. (i due brevi sono conservati, in originale , nell’archivio del Santuario). Questi documenti non solo dimostrano il sollecito intervento dell'autorità ecclesiastica, ma sono anche la prova della veridicità storica dei fatti narrati.

Nel 1645 iniziò la costruzione del campanile conclusasi circa vent'anni dopo con la spesa di ventimila scudi. Si adoperò marmo locale fornito dalla cava che ancor oggi è chiamata la «Corna della Madonna». Raggiunge l'altezza di 68 metri con una elegante linea architettonica che lo rende uno dei più ammirati della diocesi.La costruzione della struttura venne affidata all'Arch. Giovmaria Bettera da Gandino che era anche l'autore del disegno approvato all'unanimità.
Si assicura che il Card. Carrara alla vista del campanile, affermasse alla presenza del Vescovo di Bergamo Mons. Paolo Dolfin: « non ho visto cosa più solida né più elegante fuori delle porte di Roma». Le otto campane in-Re Bemolle maggiore classico che salutano i pellegrini furono fuse nella Fonderia Crespi da Crema nel 1780.

L'organo, opera di sommo rilievo, fu eseguito dal Sig. Giovanni Rogantino da Morbegno che con contratto autenticato dal notaio Bernardino Baldi di Clusone, nell'anno 1636 si obbligava a « costruirlo perfettissimo quanto sia possibile, con peltro del più fino ».

Nello stesso anno i tre intagliatori Battista Chinetti da Gandino, Paolo Luino e Andrea Facchinetti di Bergamo approntavano la grandiosa cassa e la Cantoria con pregevoli rilievi.
Fino alla metà del secolo scorso l'organo occupava gran parte della parete laterale sud del Santuario e la sua mole, avanzando nell'interno della navata centrale, impediva la linea architettonica e quindi la visuale armoniosa del tempio. Nel 1862 si pensa di collocarlo sulla facciata di fondo. La sistemazione con il rifacimento di tutta la meccanica, mantenendo le antiche canne, fu affidata ai fratelli Carlo e Francesco Perolini di Bergamo e lo spostamento della cassa al Sig. Giacomo Angelini detto Cristina sotto la direzione dell'architetto Cattò, pure di Bergamo. L'opera fu ultimata per il giugno 1863. Nel frattempo i pittori Maironi procedevano con gli affreschi in genere e il Bergametti ricavava leggeri dipinti nel 1864 e il Dolcini, più tardi nel 1884 rivestiva la volta di vivaci e abbondanti stucchi. Inizialmente il Santuario risultava di solamente 3 arcate; in seguito ne fu aggiunta una quarta nel 1718 e questo permise più tardi lo spostamento, come s'è detto, dell'organo e della cantoria.

Venne conservata la parete di fondo ovest e gli affreschi vennero incorniciati da una grande ancona in legno scolpito, dorato e dipinto, suddivisa in quattro scomparti. In alto sempre in legno scolpito dorato e dipinto, in rilievo cartelle raffiguranti: la Visitazione, lo Sposalizio e la fuga in Egitto. Dette opere sono dei Fantoni. Nella volta campeggia la tela dell'Immacolata tra un coro di Angeli, dipinta da Domenico Carpinoni. Negli angoli e nei vani intermedi ci sono opere affrescate dal pittore Cesare Maironi. Sulle pareti di fianco sono due ovali molto belli con la deposizione della Croce e la reposizione al sepolcro. Le due opere sono attribuite ad Antonio Guadagnini. Ci sono poi due cappelle laterali una dedicata a S. Anna e l’altra a S. Giuseppe con i rispettivi altari abbelliti da quadri del Guadagnini. Le volte abbellite dagli stucchi sono completate da numerosi ovali che glorificano la Madonna.

Ai piedi della stupenda ancona dell'affresco è collocato l'Altare Maggiore. Si presenta in bella armonia di marmi policromi con sculture e intarsi. La mensa è arricchita sulla fronte di un bel paliotto decorato da formella in marmo bianco ad alto rilievo che rappresenta il fatto dell'Apparizione, coronata da due angioletti quasi a tutto tondo. Seduti sui modiglioni ai lati del palio altri due angioletti. I gradini per i candelieri sono due con intarsi di marmi a girali, uccelletti e madreperle coronano ai lati il tabernacolo a tempietto ottagonale riccamente decorato. Tutto il lavoro delle opere descritte è dei Fantoni.

Sull'arco trionfale che chiude il presbiterio è il grande affresco della scena dell'Apparizione eseguito da Cesare Maironi.
Al centro della volta quattro belle grandi tele di autore ignoto. Sui fianchi della volta una bella sequenza di 6 affreschi che commentano le varie invocazioni contenute nella " Salve Regina ". L'autore più probabile è Francesco Bergametti discepolo del Guadagnini. Lungo la navata, sui due lati sono state affrescate dal pittore Cesare Maironi figure dell'antico testamento. Nella volta sono riportate in quattro lunette scene di altre quattro apparizioni, tra le più ricordate, della Vergine Santa: Quella della Madonna del miracolo di Desenzano, quella del Santuario di Tirano in Valtellina, quella della Madonna della fontana in Caravaggio, e quella di Lourdes. Lungo le navate laterali sono raffigurati nelle volte due teorie di Santi. Sono opera di Alberto Maironi , fratello di Cesare. Le due navate sono arricchite da due dipinti ad olio su tela del pittore Antonio Guadagnini raffiguranti una l'adorazione dei Magi e l'altro le Nozze di Cana. Sono grandiosi e molto belli, vengono ritenuti tra le opere migliori di questo pittore. Sul lato della navata laterale è stato posto un affresco del XV secolo donato da un privato di Ardesio al Santuario. Rappresenta il Mistero dell'Annunciazione di Maria Vergine. Tra i quadri e dipinti del Santuario, non va dimenticato L'incoronazione della Vergine con S. Carlo Borromeo in preghiera, un dipinto ad olio, del XVII secolo. La maniera dell'esecuzione è quella di Palma il Giovane.

La volta è sorretta da cornicione con aggetto decorato, appoggiato a sua volta su archi in muratura, sostenuti da colonne in marmo grigio locale in stile composito classico. Le navate laterali sono coperte da serie di volte a botte in muratura, gravati su piattabande, sorrette da colonne e paraste in marmo, in stile composito, incastonate nelle mura esterne. Il presbiterio, diviso dalle navate da un poderoso arco trionfale, sorretto da paraste scanalate in stile composito, rialzato da quattro gradini rispetto alla quota delle navate (non ha il coro), coperto da cupola a tazza sorretta da mensole arcuate. Completano il transetto due edifici coperti da cupola a tazza e lunotto a lanterna.La cripta, sotto il presbiterio è a pianta quadrata, coperta da cupola in muratura a tazza, ampliata dalla parte sotto la Sacrestia, a pianta rettangolare, su due possenti pilastri che ergono una serie di volte a crociera. La facciata est, è una struttura architettonica eseguita in pietra locale e marmo rosso a fronte in stile ionico settecentesco, riproduce la forma interna dell'edificio a tre navate. Le parti laterali sono ornate da due grandi paraste in stile ionico con sovrastante ricco cornicione marmoreo. Nella parte centrale, alla base ha sede l'entrata principale, affiancata da due ampie finestre con abbondanti decorazioni marmoree. In alto vi sono due finestre cieche a forma di edicola. La parte centrale termina con decoroso cornicione marmoreo. La parete sud è ornata da un elegante portichetto, eseguito a ricordo della Consacrazione del Santuario del 1919. E' costituito da una serie di archi a tutto sesto, sorretti da colonne in pietra locale in stile tuscano classico. Tra queste ed il muro della Chiesa si ergono leggere volte a vela in muratura. Il campanile nell'imponenza dei suoi 68 metri di altezza, eseguito in pietra locale a base quadrata fino alla cella campanaria, è completato in forma ottagonale ed arricchito da decorazioni in marmo rosso con capitelli e mascheroni stile barocco e cupola a cipolla.

Il pulpito, proveniente dalla bottega dei Fantoni, I due Angeli con Crocifisso donati dallo Scultore Andrea Fantoni.
Nello scurolo del Santuario è stato allocato il cosiddetto Sepolcro Fantoniano, composto da sette statue a grandezza più che naturale: il Cristo Morto posto sul trono-letto, la Vergine Addolorata seduta ai piedi della Croce, la Maddalena, Giovanni Evangelista, Maria di Cleofa, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Nel Santuario esiste anche una ricca raccolta di quadri/tavolette "ex voto".



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/07/ardesio.html




.

FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE





http://www.mundimago.org/



mercoledì 17 giugno 2015

LA CHIESA DEI SANTI FERMO E RUSTICO A CARAVAGGIO



Concepita in stile romanico e dunque dal disegno trecentesco si presenta lombardo-gotica a seguito delle successive trasformazioni. L'edificazione durò comunque, come avveniva spesso, parecchio: il portale, per esempio, non può essere anteriore al 1450 poiché in esso vi figura, a destra di chi guarda, l'immagine di San Bernardino con l'aureola (la canonizzazione è di quell'anno).
Nella seconda metà del XVIII secolo viene trasformato l'interno, che, già manomesso, vede le sue strutture antiche ricoperte, in stridente contrasto con la facciata. La chiesa fu restaurata nel 1932. La facciata fu ulteriormente 'ripulita' nel 1990. In essa si possono notare le tre nicchie del frontone con le statue della Vergine, di S. Fermo e S. Rustico, e, nella lunetta del portale, la Vergine col Bambino e i Ss. Fermo e Rustico, affresco di Giovanni Moriggia.

Secondo la leggenda, nel 306, i due Santi Fermo e Rustico transitarono per la città e resuscitarono un morto. L'elemento leggendario si scontra però con la mancanza di rilievi archeologici che permettano di accertare l'esistenza di insediamenti stabili nel territorio comunale in un'epoca tanto remota.

Seppure la chiesa parrocchiale sorga in territorio bergamasco, appartiene a livello ecclesiastico alla diocesi di Cremona della quale ne è il centro più espanso.

Attualmente la parrocchia è retta dall'Arciprete parroco Mons. Angelo Lanzeni.

I primi documenti che fanno riferimento esplicito alla chiesa risalgono al 1196 e al 1218; è certo, tuttavia, che le sue origini siano anteriori, e che probabilmente un primo edificio sacro fu eretto contestualmente alla nascita stessa del paese, ancora prima dell'anno 1000.

Le stesse navate laterali (e di conseguenza l'alzata centrale) furono aggiunte nel 1429, alterando l'originaria forma a capanna. Si procedette contestualmente alla realizzazione delle cappelle laterali, le quali, nonostante numerose modifiche successive, presentano tuttora numerose dedicazioni e (nella terza a sinistra) decorazioni murali del periodo medievale. Fino all'inizio del XX secolo le cappelle ospitavano anche lunghe lapidi tombali intestate a illustri famiglie locali.

L'interno dell'edificio di culto fu fortemente trasformato fra il 1777 ed il 1798; nonostante l'opposizione della cittadinanza si volle procedere ad un notevole rimaneggiamento della struttura interna della chiesa in favore di uno stile più marcatamente barocco. I lavori furono guidati dal pittore scenografo piemontese Fabrizio Galliari, cui venne anche affidata la ristrutturazione del presbiterio e del coro. Fra i principali interventi di rinnovamento architettonico disposti da Galliari si evidenziano la chiusura dei pilastri mediante paraste a capitello corinzio e la collocazione di grandi medaglie da istoriare sulle volte, che vennero foderate. Precedentemente austero, l'aspetto della chiesa divenne in questo modo spiccatamente barocco, seguendo vicende analoghe a quelle del duomo di Crema; al contrario di quest'ultimo, tuttavia, la Chiesa di San Fermo e Rustico conserva tuttora inalterate le forti correzioni settecentesche.

Un importante restauro avvenne nel 1932; nel 1990 fu operata una nuova opera di ripulitura della facciata.

La facciata della chiesa appare tripartita fra due pilastri quadrati, posti agli estremi, e due colonne interne semicircolari, che salendo passano a quadrate per sostenere l'alto frontone; l'aspetto slanciato è accentuato dalle cinque guglie ottagonali. La parte centrale è caratterizzata da un portale in marmo, sovrastato da un grande rosone a dieci raggi.

Il frontone della facciata è dominato da tre nicchie con le statue della Madonna, di san Fermo e di san Rustico; nella lunetta del portale figura un affresco di Giovanni Moriggia raffigurante la Vergine col Bambino e i santi Fermo e Rustico.

La colorazione diseguale del cotto della facciata, unitamente alla presenza di alcune finestre mai aperte, porta a pensare a numerose modifiche intervenute in corso d'opera rispetto al progetto originario.

La cappella del Santissimo Sacramento, costruita tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, si affacciava originariamente sull'antico cimitero cittadino, collocato nelle sue adiacenze; solo in un secondo momento venne incorporata alla chiesa. Chiaramente amadeesca, è stata attribuita al suo seguace Giovanni Battagio, autore dell'Incoronata di Lodi.

La struttura interna della parrocchiale. Le lettere indicano le medaglie di Federico e Carlo Ferrario, realizzate sul finire del XVIII secolo; i numeri corrispondono alle altre opere.
Sul finire del XVIII secolo, appena terminato il rivestimento delle volte disposto da Fabrizio Galliari, si decise di commissionare gli affreschi delle sedici medaglie che sovrastano le campate, in modo da approfittare dei ponteggi già presenti. Ricevettero l'incarico i pittori milanesi Federico e Carlo Ferrario, padre e figlio.

Rispetto alle altre opere dei Ferrario, i medaglioni della chiesa di san Fermo e Rustico, ispirati a fatti biblici, sono caratterizzati da colori meno accesi e più ponderati, forse sintomo di influenze del praghese Reiner.

Danneggiate dall'incuria, dall'umidità e dal pulviscolo, le medaglie vennero pulite nel 1931 da Luigi Pastro, che venne criticato per le tonalità troppo scure di verde utilizzate per le vele circostanti.

La Cappella di san Rocco e san Sebastiano era originariamente dedicata a san Gottardo, poi ricordato e raffigurato anche nella cappella di Sant'Ambrogio. L'opera principale è la "Madonna col Bambino tra san Francesco, san Rocco e san Sebastiano", riconducibile (malgrado oggettive difficoltà di raffronto che portarono in passato a diverse attribuzioni) a Fermo Ghisoni, contaminato da influenze mantovane. San Francesco rappresenta forse allegoricamente il donatore del dipinto, e san Rocco raffigura l'autore stesso. L'opera è racchiusa in una ancona lignea della fine del XVI secolo; il suo attuale paliotto apparteneva tuttavia all'altare della cappella del Santissimo Sacramento.

Ai lati della cappella si trovano due piccole tele centinate raffiguranti a sinistra Santo Stefano, e a destra San Lorenzo. Le due tele risalgono ai primi anni del Seicento, e potrebbero essere ricondotte, per affinità di stile, al caravaggino Giambattista Secco.

Le pareti laterali e la volta della cappella ospitano inoltre cinque storie della vita di sant'Antonio: Sant'Antonio fra gli appestati, Sant'Antonio presentato al papa, Sant'Antonio in carcere, Sant'Antonio liberato dal carcere e Tre putti con la corona. Di queste, le ultime tre, collocate alla volta della cappella, sono state sottoposte ad un intervento di restauro sul finire del XX secolo.

Sino al 1674 l'altare situato nella cappella di sant'Antonio di Padova ospitava una tela con l'effigie del santo; da quell'anno è al contrario presente l'attuale nicchia con una statua del santo.

Gli originari stucchi decorativi che adornavano la volta furono rimossi nel 1923, quando il pittore Mario Albertella vi affrescò Ezzelino da Romano davanti a sant'Antonio, Sant'Antonio benedice con l'ostensorio, Gloria di sant'Antonio. Lo stesso Albertella raffigurò, nella vetrata del lunettone, Sant'Antonio tra gli indigeni africani.

Ai lati, la cappella ospita due dipinti risalenti alla seconda metà del XVII secolo raffiguranti miracoli del santo: il Miracolo del piede riattaccato e Sant'Antonio risuscita un morto.

La Cappella della Beata Vergine del Rosario era originariamente dedicata a san Giovanni evangelista, e fu intitolata alla Madonna del Rosario solamente attorno al 1650. Per l'occasione venne decorata con numerosi stucchi e tele, che sono rimasti inalterati sino ad oggi, con la sola eccezione del simulacro della Vergine nella nicchia centrale, sostituito nel 1937 con una statua lignea dello scultore gardenese Moroder, e dello smantellamento degli stucchi seicenteschi, terminato nel 1923 ma avviato già sul finire del XVIII secolo.

La lesena d'ingresso e il sottarco ospitano una fascia dipinta dell'Albertella.

I dipinti sono riconducibili ad Andrea Asper; ai lati e nella volta si trovano quindici pannelli con i Misteri del Rosario risalenti al XVII secolo; di fronte a sinistra, San Gerolamo; a destra, San Domenico e la Madonna (datati 1655 e firmati da Asper).

La cappella di san Bernardino, undique depicta (interamente dipinta), era originariamente intitolata al solo san Bernardino da Siena, di cui ospitava un'immagine sopra all'altare. Successivamente vi fu collocato anche un dipinto con il Crocifisso tra san Bernardino e l'Angelo custode.

Nel 1709 la cappella si arricchì del paliotto dell'altare, con un finto intarsio marmoreo in scagliola a rabeschi recante la figura centrale di San Bernardino, a firma di Pietro Solari; in seguito si aggiunsero l'ancona (con la pala) e la balaustrata. Il quadro posto sopra l'altare, raffigurante San Bernardino e santa Maria del Suffragio, è circondato da una cornice adorata ed è opera di Francesco Bradella (prima metà del XVIII secolo).

Ai lati si trovano due piccole tele del Seicento, raffiguranti San Pietro martire (a sinistra) e Santa Caterina da Siena (a destra). Le pareti laterali ospitano altre due tele del medesimo periodo, raffiguranti Santa Teresa d'Avila e San Mauro, ritoccate nel 1931.

La cura e la decorazione della cappella furono amministrate dal Monte dei Morti, con sede all'imbocco di porta Folcero, il quale raccoglieva offerte per il culto dei defunti.

A differenza delle precedenti quattro, la cappella dell'Apparizione è collocata al termine del transetto laterale che dà ingresso alla cappella del Santissimo Sacramento; è dedicata alla Madonna di Caravaggio, e fu costruita solo nel 1841. In precedenza al culto dell'Apparizione era riservata l'attuale cappella di San Pietro e Sant'Andrea, il cui altare, viceversa, era collocato a chiusura del transetto, prima dell'edificazione della nuova cappella.

La cappella ospita L'Apparizione della Madonna a Giannetta, di Giovanni Moriggia, risalente al 1844. Incorniciata da un'ancona bianca, la tela rappresenta il miracolo dell'apparizione mariana conferendovi un'atmosfera monumentale.

Ai quattro angoli della cupola neoclassica sono affrescati altrettanti angeli, recanti invocazioni della Salve Regina.

Il sarcofago di Fermo Secco, morto nel 1401, è in parte murato nella parete del transetto di fronte alla cappella del Santissimo Sacramento; vi fu trasportato dalla cappella di Sant'Ambrogio, fondata dalla stessa famiglia Secco.

Il bassorilievo sul lato del sarcofago raffigura la Vergine col Bambino tra sant'Antonio abate e san Marco, i quali le affidano simbolicamente la famiglia Secco; sulla sinistra sono raffigurati il padre Fermo e i tre figli Gianluigi, Marco ed Emanuele, mentre sulla destra compaiono la madre, Florida dei conti d'Arco, e la figlia Antonia. Ai due lati sono rappresentati gli stemmi dei rispettivi casati.

Il fastigio soprastante ospita un epitaffio in distici latini, che narra le imprese di Fermo, tessendone un elogio. La grafia è gotica, come lo è il resto del sarcofago. Fermo Secco vi è descritto come signore di Calcio e castellano di Angera, di Dertona e di Novara, oltre che valoroso condottiero presso i confini di Trento.

Al sarcofago di Fermo Secco faceva anticamente da contraltare un monumento alla famiglia Sforza, che sorgeva nella navata centrale della chiesa, davanti all'altare maggiore; i resoconti storici lo descrivono come un complesso marmoreo rotondo, con diversi stemmi scolpiti delle famiglie Sforza Bentivoglio (il ramo caravaggino degli Sforza era stato infatti iniziato da Giampaolo Sforza, figlio di Ludovico il Moro, e dalla moglie Violante Bentivoglio). In un secondo momento il monumento fu ricollocato all'esterno della chiesa, all'entrata del cimitero che ne occupava il lato sud, dietro al campanile.

Sul fianco destro della chiesa il Campanile, merita una storia a parte. La prima pietra di questa grande torre fu posta il 29 giugno del 1500 da Giovanni Dandolo, a quella data prefetto veneto del borgo da soli dieci mesi, il quale intendeva dare al paese un degno campanile che sostituisse quello esistente, modesto, collocato secondo alcuni presso il tetto della navata laterale sinistra, fra la cappella di Sant'Ambrogio e la sagrestia, secondo altri dove si trova quello attuale. La costruzione, edificata secondo schemi architettonici bramanteschi, si interruppe all'altezza di quarantotto metri (lo si può notare dal colore diverso dei mattoni). I lavori ripresero dopo il 1515 ma giunti al piano delle campane, si interruppero nuovamente. Solo nel XIX secolo l'architetto Lewis Gruner fece coprire (a quota 54 metri) la torre con un tetto e quattro semplici spioventi pensando di interpretare il pensiero dell'antico costruttore. Nel 1894 il prof. Angelo Bedolini, caravaggino, progettò sopra la cella campanaria un cornicione classico con una balaustra, e sulla terrazza disegnò una cupola ottagonale sormontata da un capolino e dalla croce. Il progetto restò tale per molti anni; nel 1912 ebbe parziale attuazione, e solo nel 1932 la costruzione venne definitivamente portata a termine. Il campanile raggiunse così l'altezza di settantuno metri.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.com/2015/06/in-visita-caravaggio.html



.

FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



lunedì 8 giugno 2015

IL SANTUARIO DI RHO



Il Santuario della beata Vergine Addolorata di Rho è uno degli edifici di culto più grandi e più preziosi della Lombardia. Prende origine da un fatto prodigioso avvenuto il 24 aprile 1583: sul volto della Vergine dipinta in un affresco della Pietà, in una piccola cappella di campagna all’incrocio tra la strada per Gallarate e quella per Saronno, scorrevano lacrime di sangue.
San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, confermò il miracolo e commissionò il progetto di un grande tempio mariano all’architetto Pellegrino Tibaldi.
Alla costruzione, durata due secoli, parteciparono sia i contadini di Rho con il loro lavoro, sia le famiglie nobili della zona (i Visconti, i Simonetta, i Crivelli) che commissionarono opere d’arte nelle loro cappelle di famiglia, contraddistinte dai rispettivi stemmi araldici.
A custodia del Santuario furono posti i Padri Oblati dell’Addolorata, con il compito di tener viva la fede con la predicazione e la dottrina cattolica. Padre Giorgio Maria Martinelli (1655-1727), il cui sepolcro è venerato all’altare del sacro Cuore, ne fu il Fondatore.
Ancora oggi il Santuario di Rho è punto di riferimento per gli Arcivescovi, il clero e i fedeli della diocesi di Milano e ospita numerosi pellegrinaggi.

Il miracoloso pianto di sangue, avvenuto il 24 aprile 1583, giorno dedicato a S. Giorgio, commosse tutta la Diocesi. Quelli erano tempi assai tristi: si susseguivano le guerre, le carestie e le pestilenze. Perciò la Gran Madre di Dio anche per portare aiuto ai suoi fedeli, apparve in diversi luoghi operando miracoli in favore degli infelici. Era di domenica ed alcuni fedeli erano soliti radunarsi nella chiesetta per l'officio della B.V. Terminata la funzione, prima di recarsi a cantare il Vespero in chiesa parrocchiale, un certo Girolamo de Ferri con tre amici, andò di nuovo all'Oratorio a fare un po' di orazione. Difatti dopo alcune preghiere, i tre uomini se ne andarono e rimase solo il Ferri; questi, mentre devotamente pregava la Madonna, osservò che il volto della Sacra Immagine era pallido più del solito, pensò che forse qualche pittore l'avesse recentemente ritoccato e ne uscì senza più pensarci. Mentre ritornava in paese si incontrò con l'amico Alessandro de Ghioldi, detto il Marchettino, che si portava alla chiesetta, dal quale fu invitato a ritornare assieme all'Oratorio della Madonna e,mentre ambedue erano inginocchiati a pregare, il Ghioldi rivolgendosi a Gerolamo " vedi là, gli disse, com'è sporco quell'occhio? non era così quando abbiamo cantato il Vespro? " e Girolamo rispose " nè men era così poco fa quando io mi son trattenuto ad orare ". E così discorrendo fra loro, lontano dal sospettare dell'avvenuto miracolo, anzi credendo si trattasse di qualche innocente oltraggio, schizzato di recente su quell'Immagine dalle rondinelle che solevano in quel luogo svolazzare, il Ghioldi si recò a casa di un certo Maffeo a prendere la chiave per aprire il cancelletto che chiudeva la Cappelletta, e togliere quella sozzura dal volto della Madonna prima che si essicasse. Il custode non si trovò in casa e la chiave la ottenne dalla mamma del Maffeo, certa Caterina Candiani detta la Faina, la quale poi si recò anch'essa all'Oratorio.
Aperti i cancelli, entrò per primo Girolamo Ferri e salì sull'altare per togliere dal sacro volto quella creduta lordura, e, per non imbrattare il suo fazzoletto, disse all'amico di procurargli qualche pezzuola usata. Questi, veduto in terra uno straccio di pannolino, lo raccolse e glielo porse. Senonchè mentre il Ferri credeva di pulire l'occhio della Madonna, vide impresse nel pannolino tre macchie di sangue vivo e notò l'occhio della Madonna tutto rosseggiante, vedendo inoltre scendere dall'occhio della Vergine altre due lagrime di sangue, che scesero fino alle labbra, ed una terza le seguiva fermandosi sotto il mento. Non pensando minimamente al grande prodigio cui avevano assistito, buttarono via il pannolino. Nel frattempo la suddetta Faina era arrivata alla Cappelletta e, sentendo ciò che era successo, disse che si ricordava che la Madonna aveva fatto altri miracoli.
Il Ferri e il Ghioldi emozionati e scossi, si portarono ad avvertire il Prevosto Traiano Spandrio, che si recò sul posto con il prete Viviani Prati e con Giovanni Giolti notaio Apostolico. Il Viviani salì sull'altare e toccò l'occhio della Vergine, ancora umido di sangue, in modo da bagnarsi il dito. Le pareti avevano tracce di umidità, ma il pannolino esaminato recava evidenti macchie di sangue. Il Prevosto, con molta prudenza e con molta fede, esortò il popolo a venerare l'Immagine, ma usò tutta la sua avvedutezza nell'ammettere il miracolo, ed avvertì subito l'Ordinario di Milano. L'Arcivescovo volle innanzitutto far svolgere con estremo rigore le indagini per accertarsi dei fatti: poi, nel mese di maggio del 1583, inviò a Rho il Dr. Griffido Noberti, Canonico Ordinario della Metropolitana ed il Barnabita Carlo Bascapè, insieme al notaio Bolino.
L'inchiesta sul miracolo durò quasi un mese, e durante tale periodo si verificarono molti altri prodigi. Si discusse con i testimoni oculari del fatto, si raccolsero dichiarazioni e deposizioni sulle grazie straordinarie che anche in passato la Madonna aveva largamente elargito. Le testimonianze sui " Miracoli dell'Addolorata " formarono un cospicuo volume, conservato oggi presso l'Archivio Arcivescovile di Milano. San Carlo, appena ebbe il rapporto, lo esaminò molto attentamente in tutti i suoi particolari e promosse ulteriori indagini, ma al termine esclamò: " Qui c'è il dito di Dio ". " Era la Vergine che piangeva per amor nostro-scrive Padre Borgonovo. La Corredentrice piangeva sui peccatori e cogli afflitti, col pianto inteneriva il Cuor di Gesù, commoveva a penitenza, eccitava a speranza.
Se Gesù per il sacrificio è Sommo Sacerdote, Maria pel pianto continua il Sacerdozio di Gesù. E se Gesù morto diè prova suprema d'amore con l'effusione dell'ultimo suo sangue, Maria ne dà segno e prova d'amore effondendo vivo sangue dalla sua immagine ". Fu in tal senso che S. Carlo definì il pianto di sangue della nostra Madonna Addolorata e tale ancora si considera.

L'affresco "miracoloso" ci richiama il "Gesiolo" (Gesio nel dialetto rhodense), la cripta che sta sotto l'abside del Santuario, il luogo in cui avvenne la lacrimazione. E ci richiama anche la pezzuola (panèt nel dialetto locale) che ha raccolto le lacrime di sangue dell'Addolorata, attualmente conservata in Sacristia dentro un artistico reliquiario d'argento.

Sul luogo dove oggi si trova il santuario nel 1522 venne eretta una piccola cappella dedicata alla Madonna della Neve, in segno di ringraziamento per una grazia ricevuta da un aristocratico dell'epoca. Sul piccolo altare venne posto un quadro, il cui autore ci è oggi sconosciuto, raffigurante una Pietà.

Dopo un'indagine sull'accaduto, l'arcivescovo, il futuro San Carlo Borromeo, ordinò all'architetto Pellegrino Tibaldi la progettazione di un santuario per il culto mariano allo scopo di commemorare il miracolo. La posa della prima pietra avvenne solo un anno dopo, il 6 marzo 1584, e il nuovo luogo di culto avvolse la piccola cappella, che pure oggi è ancora accessibile dall'esterno.

Nell'ottobre di quell'anno San Carlo tornò nuovamente a Rho, ospite dei conti Simonetta, e prese alcune decisioni riguardo al Santuario in costruzione: metà delle elemosine sarebbero andate ai sacerdoti del Collegio dei Padri Oblati, ai quali venne conferito il compito di supervisionare la costruzione della struttura e la loro futura gestione. Non molti giorni dopo San Carlo morì e gli succedette Gaspare Visconti, che con un decreto confermò la volontà dell'illustre predecessore. La parrocchia di Rho non accettava questa soluzione, desiderando il controllo della situazione, ma a favore degli Oblati si schierò anche il papa Gregorio XIV.

Nel 1586 il santuario, sebbene ancora in lavorazione, venne già aperto al culto dal cardinale Visconti e Federico Borromeo: l'affresco della Pietà fu posto sull'altare maggiore, dove si trova tuttora. Da quel momento in poi però l'edificazione del luogo di culto fu lenta e richiese in tutto circa tre secoli. Nel 1694 vennero poste le fondamenta per il peristilio che avrebbe dovuto abbellire il santuario secondo il progetto del Tebaldi. Il 4 aprile 1721 fu ufficialmente costituito il Collegio dei Padri Oblati, per la cui edificazione viene prescelto il terreno accanto al Santuario, impedendo di fatto la realizzazione del peristilio.

Frattanto agli inizi del XVII secolo era iniziata la decorazione delle cappelle laterali, grazie alle donazioni delle più munifiche famiglie locali: fra queste i Simonetta, i Crivelli, i Visconti ed i Turri, tutti ricordati da stemmi araldici e sepolture nei pressi degli altari.

Nel 1751 sorsero problemi per un'altra intuizione del Tibaldi: la cupola venne considerata troppo costosa dal rettore del collegio, padre De Rocchi, perciò l'architetto Giuseppe Merlo fu incaricato di rivedere il progetto. Le quattro colonne del progetto originale furono sostituite con quattro archi appoggiati su otto pilastri, riducendo gli ornamenti esterni della cupola e del lucernario. I fondi andarono comunque esauriti e i lavori poterono ricominciare solo dopo qualche anno, quando venne completata la cupola, alta 54 metri con un diametro di 18.

Il 4 aprile 1755 la chiesa fu consacrata in una cerimonia dal cardinale Giuseppe Pozzobonelli, che la intitolò alla Regina dei Martiri. Lo stesso cardinale diede una forte spinta alla conclusione dei lavori di edificazione del santuario, sia per quanto riguarda la cupola, di cui si è detto sopra, sia per quanto riguarda la torre campanaria, progettata da Giulio Galliori, costruita nella seconda metà del XVIII secolo ed alta 75 metri. Al termine dell'era napoleonica, anche la facciata venne ridisegnata, lavoro compiuto dal neoclassico Leopold Pollack.

Nel 1876 vennero finalmente avviati del collegio (in attesa da un secolo e mezzo), ultimato nel 1911. La costruzione del santuario invece risultò compiuta nel 1888 quando venne montato l'ultimo insieme di campane. Il santuario fu inaugurato ufficialmente e solennemente dal cardinale Andrea Carlo Ferrari nel settembre 1895; nel 1923 Papa Pio XI lo promosse al grado di Basilica romana minore.

Alla fine del XX secolo durante un'opera di restauro l'altare fu ricostruito per opera dello scultore Floriano Bodini. Nella serie di lavori a seguire venne rinnovato l'impianto elettrico (2003), restaurate le cappelle di San Giuseppe (nel 2004), San Carlo (2007) e San Giorgio (2010).

La cappella originale (al posto dell'affresco miracoloso vi è una copia) è stata inglobata alla base dell'abside, sotto il coro, ed è tuttora accessibile dal lato di corso Europa, all'incrocio con via Lainate.

L’interno del Santuario costituisce una ricca panoramica dell’arte lombarda tra tardo Manierismo sino alle porte del Novecento.

Meritano una visita specifica la cappella di San Giuseppe, decorata da Camillo Procaccini e aiuti entro il 1603, con la splendida pala d’altare del Riposo nella fuga in Egitto; la cappella di San Giorgio, con il pregevole ciclo di affreschi del Morazzone (1614-1615), i notevoli stucchi e la pala d’altare raffigurante San Giorgio e il drago dipinta da Giovanni Ambrogio Figino verso il 1606; la sontuosa cappella di San Carlo, tra i più riusciti episodi di stile barocco in Lombardia, decorata da Andrea Lanzani nel 1684.

Numerose tele del XVII secolo sono distribuite tra la Sagrestia, Penitenzieria e cappelle laterali, tra cui un Martirio di Santa Caterina di Camillo Procaccini, la pala d’altare della cappella di San Giovanni Battista attribuita a Giovanni Mauro della Rovere detto il Fiammenghino, e la bella pala d’altare di Sant’Anna dipinta da Carlo Vimercati nel 1714.

Grandiosi cicli ad affresco ottocenteschi furono eseguiti in navata da Giuseppe Carsana (1868-1889), pittore bergamasco proveniente dall’Accademia Carrara, e dal torinese Luigi Morgari (1890-1895) coadiuvato con raffinatissime decorazioni e quadrature di Achille e Angelo Secchi.

Notevoli gruppi scultorei ottocenteschi decorano gli interni, tra cui i due grandiosi modelli in gesso dello scultore Pompeo Marchesi "La Religione" e "San Carlo comunica San Luigi Gonzaga" giunti direttamente dallo studio milanese dello scultore nel 1868. Altri bei gruppi in stucco coronano le neoclassiche cappelle laterali, tra i quali spicca per qualità esecutiva quello di Grazioso Rusca sul coronamento della cappella di Sant’Ambrogio eseguito verso il 1806.

Tra i dipinti ottocenteschi opere di Giuseppe Sogni, Raffaele Casnedi e Roberto Galperti da Verolanuova.

Una visita non deve mancare nel periodo natalizio, occasione per vedere lo spettacolare Presepio in sagome dipinte di Giuseppe Carsana (seconda metà del XIX sec.), costituito da venti sagome in carta a grandezza naturale, studiato per il doppio allestimento natalizio e dell’Epifania.

Meritevole di particolare attenzione il monumentale altare maggiore, di origine secentesca ma ampliato alla fine dell’ottocento su progetto dell’architetto Gaetano Moretti, con sculture in marmo di Carrara di Antonio Carminati, e bronzi di Eugenio Bellosio e Giovanni Lomazzi. Nel retro dell’altare una bella pala della metà del Seicento dipinta da Cristoforo Storer raffigura San Carlo che posa la prima pietra del Santuario di Rho.

L’altare post conciliare è stato consacrato dal Cardinal Carlo Maria Martini il 24 aprile 1998, ed è stato eseguito in marmo di Candoglia su modelli dello scultore Floriano Bodini.

Notevoli opere di ebanisteria e scultura lignea, specialmente settecenteschi, decorano l’interno della basilica, tra i quali spicca sopra l’arco del presbiterio il grande Crocefisso con due angeli intagliato da Giuseppe Antignati nel 1765, l’elegante coro il noce del 1747 di Antonio Maria Pozzi, e i notevoli pulpiti e casse d’organo in legno dorato eseguiti da Benedetto Cazzaniga nella seconda metà del Settecento.

In Sagrestia e Penitenzieria grandiosi armadi e arredi dei secoli XVII-XIX.

L’impostazione architettonica fu già definita nell’originario progetto del’architetto di San Carlo, Pellegrino Tibaldi, che pensò ad una grandiosa basilica a croce latina, con una vasta navata adatta a contenere enormi flussi di pellegrini.

La lunghezza della navata maggiore è pari a metri 74, il braccio del transetto maggiore pari a metri 43, la cupola raggiunge l’altezza di metri 54 mentre il campanile è alto metri 75. Ai fianchi della navata si aprono otto cappelle laterali, quattro per lato.

Lo schema planimetrico pellegrinesco fu sostanzialmente rispettato durante il complesso cantiere di costruzione della chiesa, iniziato nel 1584 e proseguito nel corso del primo quarto del Seicento con interventi di Martino Bassi, Dionigi Campazzo, Aurelio Trezzi e forse Fabio Mangone. La maggiore rinuncia al progetto originario coincide con la mancata realizzazione del vasto quadriportico che doveva procedere la facciata, abbandonato a causa della costruzione del collegio affacciato sul piazzale del Santuario.

Notevole per ampiezza e architettura la luminosa cupola, eseguita tra il 1752 e il 1764 su progetto di Carlo Giuseppe Merlo, non senza complesse valutazioni statiche, caratterizzata da lesene binate di ordine corinzio e otto ampi finestroni. Certamente uno dei più impegnativi cantieri del panorama architettonico milanese nel XVIII secolo.

Altrettanto considerevole la facciata, disegnata da Leopold Pollack, ispirata a schemi cinquecenteschi, e selezionata tra gli altri progetti di Carlo Benedetto Merlo e Luigi Cagnola, decorata dai bei bassorilievi neoclassici di Grazioso Rusca.

Al centro del piazzale il monumento in bronzo a San Carlo Borromeo, eseguito nel 1883-1884 dallo scultore Francesco Barzaghi ad opera della Fonderia Barigozzi.

Accanto al Santuario c'è una Casa di spiritualità, in cui si tengono incontri, ritiri ed esercizi spirituali, specialmente per il clero. È la Casa degli Oblati Missionari che, oltre al servizio religioso in Santuario, si dedicano alla predicazione delle missioni popolari e degli esercizi spirituali. Il loro fondatore è un prete ambrosiano del Settecento; il Venerabile P. GIORGIO MARIA MARTINELLI, sepolto in Santuario nella cappella del Sacro Cuore. Nacque a Brusimpiano (Va) il 9 maggio 1655. Venne a Rho nel 1715 per dare inizio alla sua opera, e il 4 aprile 1721 fondò la comunità degli Oblati Missionari di Rho: potremmo dire i "missionari dell'Addolorata". Morì la sera del 2 novembre 1727 in concetto di santità.  Il 7 luglio 1977 Papa Paolo VI ne proclamava l'eroicità delle virtù e lo dichiarava "Venerabile".





LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/06/in-giro-per-rho.html



.

FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



sabato 6 giugno 2015

IL TEMPIO CIVICO DELL'INCORONATA A LODI

.


Il tempio dell'Incoronata, di proprietà del Comune di Lodi è una piccola e splendida costruzione ottagonale, ideata nel 1488 da Giovanni Battagio, allievo del Bramante, e ultimata dall'Amadeo e dal Dolcebuono. L'interno, a pianta centrale, è un irripetibile, delizioso capolavoro del Rinascimento. L'insieme è una sinfonia blu e oro, rallegrata dai colori delle lesene affrescate a putti e dai dipinti sistemati nei nicchioni dell'ordine inferiore.

Verso la fine del XV secolo nella contrada de' Lomellini (oggi via Incoronata) era situata una casa di tolleranza, sulla cui facciata era affrescata un'immagine della Madonna.

Risse, duelli e litigi fra ubriachi e prostitute erano quotidiani. Durante una di queste risse, secondo la tradizione nel mese di settembre del 1487, l'effigie della Madonna lacrimò e invitò i presenti a costruire su quel luogo un tempio a lei dedicato.

I governanti della città che avevano già intenzione di chiudere la casa malfamata, colsero l'occasione e abbatterono l'edificio. Incaricarono della progettazione del tempio l'architetto lodigiano Giovanni Battaggio, allievo del Bramante.

La prima pietra dell'edificio, su cui era impresso lo stemma di Lodi,fu posta il 29 maggio 1488. Battagio guidò la fabbrica per un anno, cedendo poi il compito all'architetto luganese Gian Giacomo Dolcebuono, sotto la cui direzione i lavori proseguirono sino al 1493. L'effigie di Maria incoronata fu trasferita all'interno della chiesa, sull'altare maggiore.

Per espressa volontà del vescovo Pallavicino, l'edificio rimase sempre di proprietà del comune, che ne aveva sostenuto la costruzione: per tale ragione, all'interno del tempio si trovano alcune rappresentazioni artistiche dello scudo araldico municipale. L'amministrazione finanziaria della chiesa fu demandata dapprima ad un collegio di funzionari nobili, a cui subentrarono poi il Monte di Pietà (che aveva sede nel palazzo adiacente al tempio]) ed infine il medesimo comune di Lodi.

Nel corso dei secoli, numerosi cittadini lodigiani contribuirono al sostentamento della chiesa; i loro ritratti sono oggi raccolti nella cosiddetta Galleria dei benefattori, ospitata in un locale accessibile dalla sagrestia.

Nel 1988, in occasione del 500º anniversario dell'edificazione del tempio, fu inaugurato il Museo del tesoro dell'Incoronata, una collezione di oggetti legati alla storia del luogo di culto.

Come prescritto dal diritto canonico per le chiese che non appartengono all'amministrazione ecclesiastica, l'attività liturgica del Tempio dell'Incoronata è affidata ad un rettore nominato dal vescovo di Lodi.

Il progetto dell'edificio fu realizzato da Giovanni Battagio; i lavori di costruzione furono diretti in gran parte da Gian Giacomo Dolcebuono, che verosimilmente si attenne alle indicazioni del suo predecessore.

Il tempio, collocato in una caratteristica via molto stretta nei pressi di piazza della Vittoria, è a pianta ottagonale, coperto da una cupola ad otto spicchi sormontata da una lanterna; esternamente, attorno al tamburo, sempre ottagonale, corre una balaustra a colonnine e pinnacoli; tra il 1511 e il 1513 è documentato l'intervento al tiburio dell'architetto Giovanni Antonio Amadeo. Il campanile, disegnato da Lorenzo Maggi, venne realizzato nel 1503, mentre la facciata fu completata solo nel 1879 da Afrodisio Truzzi.

L'interno è impreziosito da sontuose decorazioni in oro e presenta, nell'ordine superiore, un matroneo ad archetti sorretto da colonnine blu e oro.

Con il trascorrere degli anni, l'edificio divenne una vera e propria galleria d'arte: ospita infatti numerosi affreschi, tavole e tele realizzati tra la fine del Quattrocento e gli inizi dell'Ottocento dai maggiori artisti che operarono a Lodi. Il Bergognone è l'autore di quattro tavole, tra le quali sono particolarmente importanti L'Annunciazione (che offre uno spaccato di paesaggio tipicamente lodigiano) e La presentazione al Tempio (che riproduce l'interno dell'Incoronata). Martino e Albertino Piazza hanno invece realizzato il Polittico Berinzaghi e L'Incoronazione della Vergine, dipinto su seta posto dietro l'altare maggiore. Callisto Piazza e Stefano Maria Legnani, infine, lasciarono qui alcuni dei loro maggiori capolavori.

Gli otto spicchi della parte interna della cupola, affrescati nel 1840 da Enrico Scuri, raffigurano i Trionfi dei santi lodigiani.

Il nicchione dell'ingresso principale è impreziosito dalle Storie di Abramo (1562) di Fulvio Piazza; sopra il portone si trova l'Epifania, opera attribuita a Callisto Piazza.

All'interno del nicchione alla destra dell'ingresso, sopra una cantoria riccamente decorata con dipinti e intagli dorati, vi è l'organo a canne, rifacimento di Giovanni Battista Chiesa effettuato nel 1775 di un precedente organo di Domenico De Luca risalente al 1507. Lo strumento, a trasmissione meccanica originaria, è racchiuso all'interno di una ricca cassa con portelle dipinte raffiguranti San Bassiano (portella di destra) e la Madonna col Bambino (portella di sinistra). L'organo ha un'unica tastiera di 50 note con prima ottava scavezza ed una pedaliera a leggio anch'essa con prima ottava scavezza.

La cappella di san Paolo possiede alle pareti numerose opere realizzate dal Bergognone. Tra esse spiccano l'Annunciazione e la Visitazione

Al giorno d'oggi, il tempio è un'importante attrazione turistica insieme all'adiacente Museo del tesoro dell'Incoronata.

Il Museo, realizzato nel 1988, è allestito negli spazi sotterranei sottostanti la monumentale sacrestia del Tempio dell'Incoronata. Consta di tre locali di diverse dimensioni caratterizzati dal reciproco intersecarsi di volte a botte e a vela, archi, nicchie, strombature di finestre.

Durante i lavori di sistemazione degli ambienti sono stati messi in evidenza alcuni dei particolari architettonici esistenti per ricordare e sottolineare il carattere un tempo "domestico" dei locali utilizzati: un pozzo ancora funzionante, scivoli per lo scarico della legna dal piano stradale, nicchie e cunicoli di collegamento con la zona abitata sovrastante.

Le opere presentate hanno un carattere di rarità e di unicità che consiste nel determinare dal punto di vista formale un insieme di pezzi che, oltre a possedere i requisiti di un museo d'arte sacra, testimonia la raccolta di oggetti legati alle funzioni religiose di un importante santuario.

Alcune delle argenterie riportano marchi di bottega, tracce fondamentali per risalire al laboratorio dell'orefice e al luogo di produzione, come il caso di una pisside da viatico, del XVIII secolo, con il motivo della campana, marchio già noto nel Seicento; un calice settecentesco con la punzonatura della Croce di Malta; un ostensorio della fine del secolo XIX, eseguito dal celebre argentiere Luigi Caber, operante all'insegna del Cervo d'Oro; un turibolo seicentesco, con il simbolo del Leone Marciano, eseguito dal milanese Bernardo Longon.

Abbastanza vasto è il repertorio di oggetti liturgici d'uso complementare: reliquiari, candelieri, vasi portapalme, secchielli, ampolline, busti portareliquie. Fra i corredi liturgici spiccano i molteplici paramenti con pianete, piviali, stole, manipoli, veli omerali e da calice, borse, tunicelle e camici bordati da ricchi merletti databili ai secoli XVII e XVIII.

Un accenno particolare va riservato alla preziosa Pace tardocinquecentesca, frutto di una bottega di smaltatori milanesi, conservata in un contenitore di cuoio, che reca inciso sul retro l'immagine di Cristo alla colonna e sul verso il pastorale con mitria vescovile, un animale rampante e l'iscrizione Ama Dio.

Degna di nota è una sveglia d'appoggio, raffinato oggetto di tecnica orologiaia e di arte applicata, databile alla metà del Settecento, che fu eseguita da Antonio Kurtzweil, attivo a Vienna fra il 1746 e il 1763.




LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/06/visitando-lodi.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



sabato 30 maggio 2015

IL SANTUARIO DI SANTA MARIA DELL' APPARIZIONE A PANDINO

.


Il santuario di Santa Maria dell'Apparizione (noto anche come santuario del Tommasone o Madonna del Riposo) è un luogo di culto mariano situato a Pandino.

Il moderno santuario si trova lungo la vecchia strada per Rivolta d'Adda, accanto ai resti di una più antica costruzione, ai margini settentrionali del centro abitato di Pandino.

Secondo la tradizione ad un giovane di nome Tommaso Damici nell'anno 1432 gli apparve la Madonna del Riposo in una località prossima alla cascina Falconera. Damici riuscì a convincere le autorità a costruire sul luogo dell'apparizione una cappella, entro la quale vi fu collocata una statua lignea.

C’era una volta, a Pandino, persa nella campagna, una vecchia cascina, proprio sulla curva, dove la strada si biforca : a destra si va ad Agnadello, diritto si arriva a Rivolta.
Per quasi duecento anni l’avevano abitata varie famiglie di agricoltori.
Si chiamava “Cascina Tomasone” e il nome le derivava da una vecchissima storia, tramandata dalla gente di padre in figlio.
Nel lontano 1432, quando Pandino aveva da pochi anni un Castello, pur essendo un piccolo borgo di soli quattrocento abitanti, nel cascinale abitava Tomaso Damici, un giovanotto robusto, detto anche Tomasone.
Era da poco rimasto orfano di genitori e conduceva la terra, che suo padre gli aveva lasciato, meglio che poteva.
A questo giovanotto, una notte, è apparsa la Madonna col Bambino in braccio, seduta sopra il ceppo di un noce, che un furioso temporale aveva abbattuto qualche giorno prima.
Quella notte egli stava andando a incendiare la cascina del suo vicino, Gaspare della Falconera, col quale aveva avuto un dissidio. Per tre volte egli è uscito di casa, tenendo delle brace accese in un coppo.
Ma giunto al cancello , ogni volta s’accorge che una bella signora forestiera sta riposandosi con un bimbo sulle ginocchia ed un libro in mano, proprio lì, su quel ceppo di noce che egli, a fatica, aveva trascinato in cascina, dopo averne a lungo discusso col vicino, che ne reclamava la proprietà. E ogni volta rientra in casa, sperando che la signora se ne vada.
Ma la terza volta la Madonna lo ferma , gli parla, si fa riconoscere , lo induce al perdono e chiede che venga costruita una chiesa, proprio lì, sul posto, come segno di pace.
Tomaso cade in ginocchio e si pente del gesto malvagio che stava attuando. Quando rialza la testa, la bella Signora è scomparsa. Ai piedi del ceppo di noce è sgorgata una fonte che prima non c’era.
Alle prime luci dell’alba, Tomaso corre in paese, parla con la gente, racconta a tutti la strana apparizione. I capi di Pandino insieme a donne, uomini e bambini, corrono al Tomasone.
E’ vero ! Lì c’è una pozza d’acqua cristallina che non c’era mai stata.
Arriva anche Ubone degli Uberti , il marmista, da sempre zoppicante e sofferente : arriva arrancando, dietro a tutti, con le sue stampelle : pieno di fiducia , immerge la gamba dolorante nella fonte del miracolo e la ritrae guarita. Butta le stampelle e grida il suo grazie a Maria.
Le madri pandinesi, nel corso dei secoli, hanno raccontato la storia di questo lontano miracolo ai figli bambini e poi, ogni volta, li portavano nella piccola chiesa di Santa Marta, di fronte al Castello, davanti ad una statua di legno dorato e dicendo :
“Ecco, questa è la Madonna del Tomasone, fermiamoci a dire un’ Ave Maria” :
Così i ragazzini pandinesi sono cresciuti per decenni, forse addirittura per secoli.

In seguito al consolidarsi della devozione, la cappella venne inglobata in un più ampio Santuario edificato alla fine del XV secolo. Sotto il portico antistante la Chiesa, venne conservata la cappella preesistente, nella quale continuò la devozione alla Vergine attraverso il suo simulacro.
Il Santuario quindi comprendeva: la cappella dell’apparizione, una fontana, la Chiesa con portico, ed una casa dove risiedeva un eremita addetto alla cura del luogo.
Nel seicento, per attribuire maggiore dignità e rilievo al culto della Vergine, la statua lignea fu spostata dalla nicchia esterna (che costituiva il reale luogo dell’apparizione) al più consono altare maggiore nell’abside del Santuario.

La descrizione più completa perviene grazie alla visita pastorale del Vescovo Fraganeschi del 1752. L’edificio appariva di discrete proporzioni, con portico in facciata; l’interno era ad una sola navata con ampio presbiterio contenente l’altare maggiore. L’altare ligneo custodiva la statua della Madonna (oggi nel nuovo Santuario) nascosta da una tela che recava dipinta la stessa immagine, e che, tramite un meccanismo, veniva sollevata durante le feste maggiori, mostrando così la statua ai fedeli.
Dietro l’altare si trovava un ampio coro illuminato da due finestre, tra le quali era collocata una tela con l’immagine di San Rocco, verso il quale nei secoli si era sviluppata una forte devozione parallela a quella per la Vergine.
Nella navata si trovavano due altari laterali, uno a destra, con statua di San Rocco, ed uno a sinistra, contenente un enorme quadro dell’Assunta. Questa grande tela di Andrea Mainardi, detto il Chiaveghino, dipinta nel 1586, è oggi conservata nella Chiesa Parrocchiale sul lato destro dopo l’ultima cappella. Fu commissionata per l’altare maggiore del Santuario, ma la costruzione del nuovo altare con l’immagine della Vergine ne fece venir meno la funzione, determinandone lo spostamento nell’altare laterale.

Le pareti erano ricoperte da numerosi affreschi di epoche diverse, recanti immagini di Santi. Ad oggi restano lacerti visibili di quanto rimane dell’antico Santuario.
Si possono riconoscere, da sinistra verso destra, San Fermo, i Santi Gioacchino ed Anna, San Defendente e San Carlo Borromeo in adorazione della Madonna di Loreto, le Sante Margherita e Lucia. Tutti gli affreschi sono inquadrati in una partitura pittorica che simula un susseguirsi di lesene in falsa prospettiva, che a loro volta inquadrano riquadri e nicchie.

Nella seconda metà del XVIII secolo, il lento declino del Santuario si concluse con la soppressione dovuta agli effetti di una riforma promulgata da Maria Teresa d’Austria nel 1755, che aveva coinvolto anche il patrimonio ecclesiastico.
La statua, simbolo della devozione dei pandinesi alla Madonna, venne quindi collocata sull’altare maggiore della Chiesa di S. Marta, con la promessa di essere riportata nella sua Casa appena fosse stato possibile.
Il Santuario, dopo reticenze da parte dell’amministrazione locale, dovette essere venduto a privati, che presto lo adibirono a cascinale. I proventi della vendita vennero destinati al pagamento dei debiti contratti dalla Comunità pandinese per la costruzione dell’ambizioso progetto della Chiesa Parrocchiale.

A distanza di oltre due secoli, giunse il momento tanto atteso, e, grazie all’infaticabile opera dell’allora Parroco Mons. Luigi Alberti, fu possibile riedificare un nuovo Santuario dove ricollocare la venerata immagine della Vergine del Riposo.
Posata la prima pietra il 23 Aprile dell’anno 1995, il Santuario venne consacrato il 5 Ottobre del 1997 dall’allora Vescovo di Cremona Mons. Giulio Nicolini.
Il nuovo edificio rispetta il significato dell’antico Santuario: vi si riconoscono infatti la fontana, memoria dell’antica vasca d’acqua, le opere Parrocchiali annesse (fra le quali la Casa dell’Accoglienza), che richiamano l’antico casolare dell’eremita, il portico, segno dell’accoglienza verso i pellegrini.





LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-pandino.html






FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



lunedì 25 maggio 2015

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE A LEGNANO

.


La costruzione del Santuario è legata ad un miracolo occorso a due ragazzi sordomuti. In corrispondenza di una via che costeggiava l'Olona e che si staccava dall'attuale corso Magenta (all'altezza delle scuole "Bonvesin de la Riva"), c'era una piccola cappelletta su cui era dipinto un affresco della Madonna con il Bambino, San Rocco e San Sebastiano. Risaliva al XVI secolo e fu affrescata nel 1575 a protezione dei legnanesi contro la peste. Verso la fine del XVI i due figli sordomuti di un ricco proprietario si ripararono, nel corso di un forte temporale, sotto la piccola tettoia a riparo dell'affresco. Ad un certo punto la Madonna apparve e disse: "Dite a vostro padre, che ha i mezzi per farlo, di costruire qui un portichetto, così voi potete ripararvi meglio". Al loro ritorno a casa, raccontarono l'accaduto facendo gridare al miracolo i genitori. In seguito a questo fatto, si moltiplicarono a Legnano le donazioni, tant'è che i fondi raccolti furono sufficienti a costruire addirittura una chiesa. Dopo l'edificazione, che durò dal 1582 al 1583, il tempio fu oggetto di pellegrinaggi. Questi ultimi fatti portarono alla necessità di costruire una chiesa più grande.

Nel 1610 col beneplacito del Cardinale Federico Borromeo, fu avviata la realizzazione di un nuovo santuario per opera dell’architetto Antonio Parea di Novara.
Ci vollero 40 anni e l’intervento prima dell’ingegnere. Francesco Maria Richini poi dell’architetto Barca di Ghemme per realizzare l’attuale struttura della chiesa: una navata centrale con tre cappelle per parte. Sulla facciata fu costruito un grande portico sostenuto da due colonne, quest’ultimo fu demolito nel 1863 durante il rifacimento della facciata, quest’ultima realizzata in cotto. La chiesa è ricca di opere d’arte, notevole è l’altare con decorazioni dorate e un affresco raffigurante la Madonna. Alle pareti si trovano due quadri realizzati da Francesco Lampugnani rappresentanti l’Annunciazione e la Visitazione di Maria. Sono importanti anche i diversi affreschi della cupola e delle cappelle, ed altri dipinti.
Nel giardino, che circonda il Santuario, sono disposte a semicerchio quindici cappelle che originariamente vennero affrescate nel 1895/97 dal pittore cremonese Bacchetta.
Nella parte retrostante l’abside del Santuario nel quale centro è eretta una cappella con una bella Madonna del Rosario che regge il Bambino dedicata, nel 1899, alla nobile canossiana Barbara Melzi.
Nel 1936 fu ripristinata l'originale copertura in marmo e fu realizzato un nuovo portico caratterizzato da un dipinto della Madonna apparsa ai bambini sordomuti.
Notevoli sono alcuni quadri del Settecento situati nella cappellina centrale di destra, che è dedicata a Sant'Antonio Abate. La cappella di fronte è invece intitolata a San Mauro. Le due cappelle all'ingresso sono arricchite da affreschi dei fratelli Turri. Nella prima cappella di destra è ospitato una tela opera di Biagio Bellotti che raffigura San Francesco Saverio. La cappella di fronte è intitolata a Sant'Anna. I quadri e le decorazioni della volta di quest'ultima cappella sono anch'essi dei fratelli Turri.




LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-legnano.html




FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



domenica 17 maggio 2015

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEI MIRACOLI A CANTU'

.


Il Santuario della Madonna dei Miracoli o Madonna Bella di Cantù è il simbolo principale della fede Canturina.

Secondo la tradizione, nel 1543, fuori la porta di Campo Rotondo (ora piazza degli Alpini), era presente un pilastro su cui era impressa la sacra effige della Madonna Bella (da cui il nome), che le anime devote erano solite adorare; proprio qui nel 1550 ca., Maria apparve ad una fanciulla, Angiolina della Cassina Novello, intenta a pregare per la fine della carestia, presso l’immagine. Maria le disse di andare in paese e avvisare che era tempo di mietere; con grande stupore e felicità tutti andarono a raccogliere le messi miracolose e la miseria terminò.

Presto la notizia si diffuse in tutta la zona dando inizio al culto di Santa Maria Bella, i tanti miracoli che si raccontano la fecero diventare la Madonna dei Miracoli.
L’immagine è ora conservata sopra l’altare e risale al 1300, forse un tempo posta in un altro edificio sacro e rappresenta Maria, tra due angeli musicanti davanti ad un trono in legno tricuspidato, con un raffinato stile gotico.
All’esterno della chiesa  la bella facciata in stile barocco, ma con un gusto che risente anche del neoclassico; fu terminata nel 1900 per opera dell’architetto Zanolini ed è ricca di elementi decorativi: nella parte inferiore, presenta delle lesene che la dividono in tre scomparti; nella parte superiore, si trova la statua della Madonna Immacolata, custodita dentro una nicchia raggiata.
All’interno presenta una struttura a tre navate, sormontate da volte a cupola in corrispondenza del transetto; la volta centrale era in origine più alta dell’attuale di due metri circa, come evidenzia l’affresco sulla parete.
Nel 1637-38, la Cappella grande fu meravigliosamente dipinta da Giovanni Mauro della Rovere, detto il Fiamminghino, su consiglio di San Carlo Borromeo, che visitò il santuario nel 1570 e notò la mancanza di opere pittoriche.
Il Fiamminghino si occupò magistralmente anche della cupola al cui centro la Vergine Assunta è circondata da putti festanti, sopra un porticato di otto scomparti, in cui sono rappresentati assisi sul trono i profeti Ezechiele, Geremia, Isaia, Mosè, il Re Davide e il Re Salomone.
Sulle pareti del presbiterio verso la chiesa, sempre ad opera del Fiamminghino, troviamo due bellissime raffigurazioni: La visita dei Re Magi (a sinistra) e Le nozze di Cana (a destra).
Le vistose differenze all’interno del santuario sono dovute al crollo che nel 1837 interessò la struttura e costrinse ad una lunga e dispendiosa ristrutturazione.
Nella seconda metà del ‘800 un altro crollo, portò alla ricostruzione dell’esterno del presbiterio, che fu però abbellito con degli stucchi, dei bassorilievi, degli ornamenti e opere pittoriche dall’architetto Giacomo Moraglia e, sempre in questa occasione, l’immagine della Madonna Bella fu spostata sull’altare maggiore, in marmo bianco, opera del Calvi, perfetta cornice per la sacra effige.
Gli affreschi del coro sono molto interessanti, opera di un autore ignoto, risalgono al 1724.
Tra il 1846 e il 1909 furono rifatti l’organo, l’altare maggiore e il pulpito in stile cinquecentesco, ma non sempre la nuova struttura si integra bene con la struttura antica, diversa la spazialità definita da luci, colori e materiali diversi; nelle navate i toni dominanti del bianco e dell’ocra, si distinguono dallo spazio attorno all’altare che presenta invece colori vivaci e decisi.
Nel 1923, sulla parete destra della Chiesa, fu eretto un nuovo altare, ideato dall’architetto Orombelli, in onore ai caduti della prima guerra mondiale.
Sulla navata di sinistra è visibile L’incoronazione della Vergine opera di Camillo Procaccini, risalente al 1610 e, sull’altare minore, L’apparizione di Cristo a S. Teresa opera di Grandon del 1714.




LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/i-paesi-della-brianza-cantu.html




FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



domenica 19 aprile 2015

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA RIVA A ANGERA

.


Il Santuario della Madonna della Riva di Angera sorge sul lungolago della cittadina, sul luogo dove sin dal XV si trovava un affresco votivo raffigurante una Madonna col Bambino. Di fronte al santuario si trova il porto austriaco e lo sguardo spazia sulla zona meridionale del lago: la passeggiata lungo l’Allea passa proprio di fronte all’ingresso della piccola Chiesa, il cui esterno reca evidenti i segni di un’opera incompiuta.

« Nel 1657 alli 27 giugno seguì il miracolo di sudor di sangue, che si vede dalla fronte della beata vergine, quale era sopra d'un muro laterale della porta che serviva alla Casa Berna. Così come si postuama di preferire, avevano fatta la ghirlanda di fiori alla suddetta effigie le diverse donzelle di Angera. Ed una donna che era solita passando avanti inginocchiarsi a salutare con l'Ave Maria la divina immagine, osservava che mandava dalla faccia il sangue e poi sangue ancora. La donna, intimorita dal fatto, gridò al miracolo. Intervenne il Prevosto Sig.Giorgio Castiglioni, il quale asciugò il sangue miracoloso con un bianco lino »

Il prodigioso evento si ripeté l'8 settembre, festa della Natività di Maria, quando attorno all’effigie era già stata edificata una piccola cappella provvisoria.
"La Madonna fu osservata bagnarsi tutta di sangue... Sono prodigi questi mentre il giorno della Sua Nascita, che doveva essere festosa, si mostra così sanguinosa".
La grandezza e la popolarità dell’avvenimento convinsero l’arcivescovo, il prevosto Giorgio Castiglioni e il conte Renato Borromeo a costruire una chiesa proprio in quel luogo. Dopo aver acquistato l’edificio su cui esisteva il dipinto dall’oste Emanuele Berna, si diede incarico all’architetto milanese Gerolamo Quadrio di progettarne la costruzione.
Il 10 agosto 1662 il Vicario generale della diocesi, Cesare da Biandrate, delegato arcivescovile, assistito dal conte Renato Borromeo, feudatario della città di Angera, procedette alla posa della prima pietra del Santuario.
Negli anni seguenti numerose difficoltà economiche impedirono di proseguire i lavori e la chiesa rimase incompleta: furono costruiti così solo il coro e il presbiterio, inaugurati e benedetti nel 1667.
Si tratta di un progetto incompleto: l’imponenza dell’edificio, sproporzionato nelle dimensioni, ne è la testimonianza più evidente. Il progetto originario prevedeva un edificio ottagonale, con portici e colonnati attorno, due torri campanarie e due ampie sacrestie: se completato la sua facciata sarebbe arrivata a oltre la metà dell'attuale porto delle barche.
Nel 1735, sul lato posteriore del tetto, fu costruito un piccolo campanile e nel 1943 la facciata, che era diventata pericolante, fu rafforzata con un apparato murario di stile moderno, opera dell’architetto Rino Ferrini di Angera. L’interno, dall’ampia spazialità proiettata in altezza, è stato reso più luminoso con il restauro curato dall’architetto Vincenti di Milano (1980-81), che ha dato una chiara tonalità alle pareti, scandite dalle lesene e dai capitelli a stucco. Sopra l’ingresso, in alto, vi è una vetrata realizzata nel 1957 dal professor Bertuzzi di Milano, con l’Assunzione della Vergine.
Sulla calotta absidale sono state lasciate in evidenza alcune figure affrescate nel 1943 dal pittore Coccoli di Brescia rappresentanti l’Incoronazione della Vergine tra angeli musicanti. Al centro è l’elegante altare con la venerata Immagine della Madonna col Bambino, staccata dal muro originario e trasportata su tela ad opera del pittore Anselmi di Milano. Pregevole è l’anonima "Gloria d’Angeli" che incornicia l’immagine miracolosa: quest’opera seicentesca necessita di restauri. Sul retro dell’altare vi è una tela seicentesca con la Crocifissione proveniente dalla chiesa di Santa Maria Assunta.
Le pareti sono ornate con dipinti provenienti in gran parte dalle altre chiese angeresi: sulla parete sinistra la "Visita di San Carlo alle valli", che nel Seicento ornava le ante dell’antico organo della Chiesa parrocchiale, sulla destra le due tele dell'Ascensione e dell'Assunzione della Madonna. Ritenute prima del Morazzone, poi di Procaccini e di Isidoro Bianchi, queste opere sono state recentemente attribuite a Bartolomeo Roverio detto il Genovesino che probabilmente le dipinse attorno al 1623.

Il Santuario è da secoli il centro della devozione mariana di tutti gli Angeresi e delle popolazioni dei paesi limitrofi e meta di numerosi pellegrinaggi. I documenti conservati nell’archivio parrocchiale danno testimonianza di tre grandi grazie ottenute per il patrocinio della Madonna della Riva.

6 giugno 1745
Rianimazione di una bimba di otto mesi, rimasta soffocata sotto la culla che si era rovesciata durante la momentanea assenza dei genitori, i coniugi Simonelli Martino e Cattaneo Angela Giacomina.
Giugno 1746
Improvvisa guarigione da una grave infermità del canonico Baldassarre Contini, che ha potuto così attendere al suo ministero sacerdotale in preparazione della Festa della Madonna della Riva.
16 ottobre 1747
Improvvisa guarigione di Margherita Contini Corti, giudicata in fin di vita dai medici curanti.

Numerose altre grazie furono ottenute lungo il corso di questi tre secoli per l’intercessione della Madonna della Riva, come testimoniano gli "ex voto" posti nell’abside del santuario. L’immagine miracolosa della Madonna col Bambino, oltre all’importanza devozionale possiede anche un suo valore artistico. L’affresco, del 1443, nel nostro secolo è stato staccato dal muro originario e trasportato su tela.
L’inondazione del 1868 ha cancellato completamente la figura del Bambino e le mani della Vergine. Ciò che colpisce dell’opera sono soprattutto la dolcezza del viso della Madonna e la raffinatezza del velo, particolari che dimostrano la preparazione notevole dell’autore influenzato forse da qualche artista del centro Italia.
L'anniversario del miracolo è ricordato il 27 giugno e la Festa del Santuario è fissata per la prima domenica di luglio.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/04/le-citta-del-lago-maggiore-angera.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://mundimago.org/le_imago.html



domenica 12 aprile 2015

SAN DANIELE COMBONI

.


Daniele Comboni nasce a Limone sul Garda (Brescia - Italia) il 15 marzo 1831, in una famiglia di contadini al servizio di un ricco signore della zona. Papà Luigi e mamma Domenica sono legatissimi a Daniele, il quarto di otto figli, morti quasi tutti in tenera età. Essi formano una famiglia unita, ricca di fede e valori umani, ma povera di mezzi economici. Ed è appunto la povertà della famiglia Comboni che spinge Daniele a lasciare il paese per andare a frequentare la scuola a Verona, presso l'Istituto fondato dal Sacerdote don Nicola Mazza.

In questi anni passati a Verona, Daniele scopre la sua vocazione al sacerdozio, completa gli studi di filosofia e teologia e soprattutto si apre alla missione dell'Africa Centrale, attratto dalle testimonianze dei primi missionari mazziani reduci dal continente africano. Nel 1854 Daniele Comboni viene ordinato sacerdote e tre anni dopo parte per l'Africa assieme ad altri 5 missionari mazziani, con la benedizione di mamma Domenica che arriva a dire: «Va', Daniele, e che il Signore ti benedica».

Etimologia: Daniele = Dio è il mio giudice, dall'ebraico

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nella città di Khartum in Sudan, san Daniele Comboni, vescovo, che fondò l’Istituto per le Missioni Africane e, nominato vescovo in Africa, si prodigò senza mai lesinare energie nel predicare il Vangelo in quelle regioni e nel prendersi in tutti i modi cura della dignità degli esseri umani.

Autunno 1857: partono per il Sudan cinque missionari mandati da don Nicola Mazza di Verona, educatore ed evangelizzatore. Fine 1859: tre di essi sono già morti, due rifugiati al Cairo, e a Verona torna sfinito il quinto. È Daniele Comboni, unico superstite degli otto figli dei giardinieri Luigi e Domenica, sacerdote dal 1854. Riflette a lungo su quel disastro e su tanti altri, giungendo a conclusioni che saranno poi la base di un “Piano”, redatto nel 1864 a Roma. In esso Comboni chiede che tutta la Chiesa si impegni per la formazione religiosa e la promozione umana di tutta l’Africa. Il “Piano”, con le sue audaci innovazioni, è lodatissimo, ma non decolla. Poi, per avversioni varie e per la morte di don Mazza (1865), Comboni si ritrova solo, impotente.
Ma non cambia. Votato alla “Nigrizia”, ne diventa la voce che denuncia all’Europa le sue piaghe, a partire dallo schiavismo, proibito ufficialmente, ma in pratica trionfante. Quest’uomo che sarà poi vescovo e vicario apostolico dell’Africa centrale, vive un duro abbandono, finché il sostegno del suo vescovo, Luigi di Canossa, gli consente di tornare in Africa nel 1867, con una trentina di persone, fra cui tre padri Camilliani e tre suore francesi, aiuti preziosi per i malati. Nasce al Cairo il campo-base per il balzo verso Sud. Nascono le scuole. E proprio lì, nel 1869, molti personaggi venuti all’inaugurazione del Canale di Suez scoprono la prima novità di Comboni: non solo ragazzi neri che studiano, ma maestre nere che insegnano. Inaudito. Ma lui l’aveva detto: "L’Africa si deve salvare con l’Africa".
Poi si va a Sud: Khartum, El-Obeid, Santa Croce... Lui si divide tra Africa ed Europa, ha problemi interni duri. Ma "nulla si fa senza la croce", ripete. Una croce per tutte: il suo confessore lo calunnia, e Comboni continua a fare la sua confessione a lui. Un leone che sa essere dolce. Uno che per gli africani è già santo, che strapazza i pascià, combatte gli schiavisti e serve i mendicanti. Da lui l’africano impara a tener alta la testa. Nell’autunno 1881 riprendono le epidemie: vaiolo, tifo fulminante, con strage di preti e suore in Khartum desolata. Comboni assiste i morenti, celebra i funerali, e infine muore nella casa circondata da una folla piangente. Ha 50 anni.
Poco dopo scoppia la rivolta anti-egiziana del Mahdi, che spazza via le missioni e distrugge la tomba di Comboni (solo alcuni resti verranno in seguito portati a Verona). Dall’Italia, dopo la sua morte, si chiede ai suoi di venir via, di cedere la missione. Risposta dall’Africa: "Siamo comboniani". E non abbandonano l’Africa. Ci sono anche ai giorni nostri, in Africa e altrove. Ne muoiono ancora oggi. Intanto il Sudan ha la sua Chiesa, i suoi vescovi.

In generale, ai fini della canonizzazione, la Chiesa cattolica ritiene necessario un secondo miracolo, dopo quello richiesto per la beatificazione: nel caso di Daniele Comboni, ha ritenuto miracolosa la guarigione di Lubna Abdel Aziz, una sudanese di 32 anni di religione musulmana.

Nata a Khartoum nel 1965, l'11 novembre 1997 venne ricoverata al "St. Mary’s Maternity Hospital" di Khartoum, gestito dalle suore comboniane, per il suo quinto parto cesareo. Dopo la nascita di un bambino di 5 libbre, sopravvennero per la donna gravi complicazioni: si verificarono ripetute emorragie con nuovi interventi chirurgici, tra cui un'isterectomia. Nonostante le trasfusioni la donna era in fin di vita: polso e pressione non erano misurabili, e si era verificato anche un edema polmonare.

Intanto, nonostante il pessimismo dei medici, le suore avevano iniziato una novena di preghiere all'allora beato Daniele Comboni. Il 13 novembre la donna si riprese inaspettatamente, e il 18 novembre fu dimessa in buone condizioni di salute.

La Consulta medica della Congregazione per le Cause dei Santi, nella seduta dell'11 aprile 2002, dichiarò la guarigione "rapida, completa, scientificamente inspiegabile."

Nel Congresso Peculiare del 6 settembre 2002, i Consultori Teologi riconobbero la guarigione come soprannaturale e dovuta all'intercessione del beato Daniele Comboni. Alle medesime conclusioni giunsero i cardinali e i vescovi nella Sessione Ordinaria del 15 ottobre 2002.

Il decreto sul miracolo è stato promulgato il 20 dicembre 2002, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II, che ha canonizzato il beato il 5 ottobre 2003.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/04/le-citta-del-garda-limone-sul-garda.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://mundimago.org/le_imago.html



Post più popolari

Elenco blog AMICI