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domenica 26 luglio 2015

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE A ARDESIO



Il santuario della Madonna delle Grazie, situato nel centro di Ardesio, risale al XVII secolo.

Il santuario fu edificato nel luogo in cui la tradizione vuole essere avvenuta, il 23 giugno 1607, un'apparizione mariana.

La sera del venerdì 23 giugno si era scatenato sul paese un furioso temporale che lasciava prevedere una tempesta distruttrice d'ogni coltivazione. Di fronte all'imminente pericolo la madre chiamò le due figlie e le mandò nella stanza delle immagini a pregare affinchè venisse scongiurata la bufera. Infatti l'Apparizione avvenne mentre era in pieno ritmo la stagione della raccolta del fieno e l'invito alle bambine era in rispondenza alle necessità di quella famiglia contadina e di tutta la popolazione. Mentre pregavano le bambine videro ai piedi del Crocifisso uno splendore con accanto un trono d'oro dove era seduta la Vergine Maria con in braccio il Figlio. Il fatto rimane isolato e non si ripetè in successive apparizioni della Vergine.
Ella si mostrò una sola volta ai piedi del quadro nella stanza dei Santi, seguirono invece fenomeni inspiegabili per tutto il mese di giugno, luglio e parte di agosto del 1607. La notizia si diffuse in un baleno e fu un accorrere di gente nel luogo privilegiato. Ci si invitava a vicenda dicendo: " E' comparsa la Madonna nella casa dei Salera in Ardesio, andiamo a vedere".
Propagandosi sempre più la fama della prodigiosa apparizione ed accorrendo da varie parti molta gente a visitare quelle immagini, il Parroco di Ardesio, don Giacomo Gaffuri, stimò suo dovere fare relazione alla Curia di Bergamo e per questo scopo mandò due persone di piena fiducia con lettera accompagnatoria al Vicario Generale della diocesi Mons. Giacomo Carrara. Questi diede ordine che si chiudesse la stanza e venisse vietato l'ingresso.
Intanto i fatti prodigiosi si rinnovavano per cui il Parroco sollecitò con lettera Mons. Vicario perché si volesse decidere sul da farsi. Mons. Carrara delegò con lettera del 25 agosto 1607 l'Arciprete di Clusone, don Decio Berlendis, perché si portasse sul luogo per prendere tutte le informazioni ed istruisse un processo giuridico in merito all'avvenimento accaduto. L'Arciprete venne immediatamente ad Ardesio e con il Parroco del paese si recò nella casa di Marco Salera ed esaminò ogni cosa. Nello stesso ambiente costituì il tribunale canonico composto, oltre che dai due Sacerdoti, da un pubblico Notaio Sig. Marco Maria Gaffuri ed altre ragguardevoli persone in funzione di giurati.
Furono interrogati diciannove testimoni che rilasciarono deposizioni giurate sulla autenticità della Apparizione. (Testimonianze conservate nell'archivio del Santuario).
Accertata la verità dei fatti, il Vicario Generale ordinò di coprire con un velo le Sacre Immagini e permise il libero accesso alla stanza.
Nel frattempo, in Ardesio cominciarono a verificarsi guarigioni improvvise e inspiegabili. Di questi fatti furono ascoltati altri diciotto testimoni del paese e cinque di Songavazzo. La lettura di questi atti convinse Mons. Carrara a portarsi in Ardesio per un sopralluogo personale. Giunse in Ardesio l'11 novembre e lì interrogò sia i primi che i secondi testimoni. Constatata la realtà dei fatti, il continuo flusso di pellegrini e l'ardente brama della popolazione, permise che si fabbricasse un Santuario con il titolo di Madonna delle Grazie.

L'apparizione di Ardesio avvenne in un periodo in cui l'eresia protestante, giunta dalla Svizzera e penetrata in Valtellina, zone con le quali molti valligiani avevano rapporti commerciali o professionali, stava tentando di propagarsi anche nelle valli orobiche, in parte facilitata dal governo della Serenissima che all'epoca era in contrasto con il papa e aveva espresso toni di condanna nei confronti dell'editto del cardinale Borromeo contro le dottrine "erronee".



La delibera per la costruzione della chiesa risale al 13 gennaio 1608, mentre la posa della prima pietra è del 24 giugno dello stesso anno. Successiva è invece la costruzione del campanile, iniziato nel 1645.
Il 24 giugno 1608, in solenne processione , con il Parroco don Gaffuri, fu collocata la prima pietra.
Incorporata ad essa, una lastra di piombo recava questa iscrizione latina:
« nel giorno 24 giugno 1608, essendo Papa Paolo V e Doge in Venezia Leonardo Donati , Vescovo di Bergamo Giovanni Battista Milani, la prima pietra di questa Chiesa è posta per mano del Sacerdote Andrea Gaffuri, Parroco ».
I lavori di costruzione procedettero con solerzia. Il Comune mise a disposizione i suoi boschi ed altre somme per pagare la manodopera degli operai. A più riprese si susseguirono delibere consiliari per molteplici concessioni. La motivazione era sempre all'unanimità , così formulata:
« à questo acciò detta Vergine Maria interceda presso Dio per questo Comune ».
La popolazione prestò la sua collaborazione offrendo una giornata a turno per lavorare. La fabbrica fu accelerata in modo tale che il 5 agosto 1608, finita la cappella dell'altare maggiore, vi fu celebrata la prima Messa e quindi con solennità una seconda dall'Arciprete di Clusone. Tale ricorrenza fu la solennità più grande del Santuario fino al 1691, anno in cui con pubblica delibera, si stabilì di festeggiare la data del 23 giugno di ogni anno, anniversario dell'Apparizione, essendo tra l'altro terminati i lavori di costruzione. Il Sommo Pontefice Paolo V con Breve del 27 gennaio 1609 concesse l'indulgenza plenaria a chi visitava il Santuario nel giorno dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria (non era ancora fissata la celebrazione per il 23 giugno) e pregava per la concordia dei principi cristiani, l'estinzione delle eresie e l'esaltazione della Santa madre Chiesa. Con un altro Breve del 29 luglio 1617 lo stesso Pontefice Paolo V ordinò che la Chiesa del miracolo avesse una sua amministrazione autonoma, non venisse mai vincolata a commenda o beneficio ecclesiastico alcuno; l'amministrazione di tutti i beni, di qualunque natura e da qualsiasi parte provenissero, rimanesse sempre in mano agli uomini di quella terra. Solo ne dovevano rendere conto al Vescovo Ordinario ogni anno. (i due brevi sono conservati, in originale , nell’archivio del Santuario). Questi documenti non solo dimostrano il sollecito intervento dell'autorità ecclesiastica, ma sono anche la prova della veridicità storica dei fatti narrati.

Nel 1645 iniziò la costruzione del campanile conclusasi circa vent'anni dopo con la spesa di ventimila scudi. Si adoperò marmo locale fornito dalla cava che ancor oggi è chiamata la «Corna della Madonna». Raggiunge l'altezza di 68 metri con una elegante linea architettonica che lo rende uno dei più ammirati della diocesi.La costruzione della struttura venne affidata all'Arch. Giovmaria Bettera da Gandino che era anche l'autore del disegno approvato all'unanimità.
Si assicura che il Card. Carrara alla vista del campanile, affermasse alla presenza del Vescovo di Bergamo Mons. Paolo Dolfin: « non ho visto cosa più solida né più elegante fuori delle porte di Roma». Le otto campane in-Re Bemolle maggiore classico che salutano i pellegrini furono fuse nella Fonderia Crespi da Crema nel 1780.

L'organo, opera di sommo rilievo, fu eseguito dal Sig. Giovanni Rogantino da Morbegno che con contratto autenticato dal notaio Bernardino Baldi di Clusone, nell'anno 1636 si obbligava a « costruirlo perfettissimo quanto sia possibile, con peltro del più fino ».

Nello stesso anno i tre intagliatori Battista Chinetti da Gandino, Paolo Luino e Andrea Facchinetti di Bergamo approntavano la grandiosa cassa e la Cantoria con pregevoli rilievi.
Fino alla metà del secolo scorso l'organo occupava gran parte della parete laterale sud del Santuario e la sua mole, avanzando nell'interno della navata centrale, impediva la linea architettonica e quindi la visuale armoniosa del tempio. Nel 1862 si pensa di collocarlo sulla facciata di fondo. La sistemazione con il rifacimento di tutta la meccanica, mantenendo le antiche canne, fu affidata ai fratelli Carlo e Francesco Perolini di Bergamo e lo spostamento della cassa al Sig. Giacomo Angelini detto Cristina sotto la direzione dell'architetto Cattò, pure di Bergamo. L'opera fu ultimata per il giugno 1863. Nel frattempo i pittori Maironi procedevano con gli affreschi in genere e il Bergametti ricavava leggeri dipinti nel 1864 e il Dolcini, più tardi nel 1884 rivestiva la volta di vivaci e abbondanti stucchi. Inizialmente il Santuario risultava di solamente 3 arcate; in seguito ne fu aggiunta una quarta nel 1718 e questo permise più tardi lo spostamento, come s'è detto, dell'organo e della cantoria.

Venne conservata la parete di fondo ovest e gli affreschi vennero incorniciati da una grande ancona in legno scolpito, dorato e dipinto, suddivisa in quattro scomparti. In alto sempre in legno scolpito dorato e dipinto, in rilievo cartelle raffiguranti: la Visitazione, lo Sposalizio e la fuga in Egitto. Dette opere sono dei Fantoni. Nella volta campeggia la tela dell'Immacolata tra un coro di Angeli, dipinta da Domenico Carpinoni. Negli angoli e nei vani intermedi ci sono opere affrescate dal pittore Cesare Maironi. Sulle pareti di fianco sono due ovali molto belli con la deposizione della Croce e la reposizione al sepolcro. Le due opere sono attribuite ad Antonio Guadagnini. Ci sono poi due cappelle laterali una dedicata a S. Anna e l’altra a S. Giuseppe con i rispettivi altari abbelliti da quadri del Guadagnini. Le volte abbellite dagli stucchi sono completate da numerosi ovali che glorificano la Madonna.

Ai piedi della stupenda ancona dell'affresco è collocato l'Altare Maggiore. Si presenta in bella armonia di marmi policromi con sculture e intarsi. La mensa è arricchita sulla fronte di un bel paliotto decorato da formella in marmo bianco ad alto rilievo che rappresenta il fatto dell'Apparizione, coronata da due angioletti quasi a tutto tondo. Seduti sui modiglioni ai lati del palio altri due angioletti. I gradini per i candelieri sono due con intarsi di marmi a girali, uccelletti e madreperle coronano ai lati il tabernacolo a tempietto ottagonale riccamente decorato. Tutto il lavoro delle opere descritte è dei Fantoni.

Sull'arco trionfale che chiude il presbiterio è il grande affresco della scena dell'Apparizione eseguito da Cesare Maironi.
Al centro della volta quattro belle grandi tele di autore ignoto. Sui fianchi della volta una bella sequenza di 6 affreschi che commentano le varie invocazioni contenute nella " Salve Regina ". L'autore più probabile è Francesco Bergametti discepolo del Guadagnini. Lungo la navata, sui due lati sono state affrescate dal pittore Cesare Maironi figure dell'antico testamento. Nella volta sono riportate in quattro lunette scene di altre quattro apparizioni, tra le più ricordate, della Vergine Santa: Quella della Madonna del miracolo di Desenzano, quella del Santuario di Tirano in Valtellina, quella della Madonna della fontana in Caravaggio, e quella di Lourdes. Lungo le navate laterali sono raffigurati nelle volte due teorie di Santi. Sono opera di Alberto Maironi , fratello di Cesare. Le due navate sono arricchite da due dipinti ad olio su tela del pittore Antonio Guadagnini raffiguranti una l'adorazione dei Magi e l'altro le Nozze di Cana. Sono grandiosi e molto belli, vengono ritenuti tra le opere migliori di questo pittore. Sul lato della navata laterale è stato posto un affresco del XV secolo donato da un privato di Ardesio al Santuario. Rappresenta il Mistero dell'Annunciazione di Maria Vergine. Tra i quadri e dipinti del Santuario, non va dimenticato L'incoronazione della Vergine con S. Carlo Borromeo in preghiera, un dipinto ad olio, del XVII secolo. La maniera dell'esecuzione è quella di Palma il Giovane.

La volta è sorretta da cornicione con aggetto decorato, appoggiato a sua volta su archi in muratura, sostenuti da colonne in marmo grigio locale in stile composito classico. Le navate laterali sono coperte da serie di volte a botte in muratura, gravati su piattabande, sorrette da colonne e paraste in marmo, in stile composito, incastonate nelle mura esterne. Il presbiterio, diviso dalle navate da un poderoso arco trionfale, sorretto da paraste scanalate in stile composito, rialzato da quattro gradini rispetto alla quota delle navate (non ha il coro), coperto da cupola a tazza sorretta da mensole arcuate. Completano il transetto due edifici coperti da cupola a tazza e lunotto a lanterna.La cripta, sotto il presbiterio è a pianta quadrata, coperta da cupola in muratura a tazza, ampliata dalla parte sotto la Sacrestia, a pianta rettangolare, su due possenti pilastri che ergono una serie di volte a crociera. La facciata est, è una struttura architettonica eseguita in pietra locale e marmo rosso a fronte in stile ionico settecentesco, riproduce la forma interna dell'edificio a tre navate. Le parti laterali sono ornate da due grandi paraste in stile ionico con sovrastante ricco cornicione marmoreo. Nella parte centrale, alla base ha sede l'entrata principale, affiancata da due ampie finestre con abbondanti decorazioni marmoree. In alto vi sono due finestre cieche a forma di edicola. La parte centrale termina con decoroso cornicione marmoreo. La parete sud è ornata da un elegante portichetto, eseguito a ricordo della Consacrazione del Santuario del 1919. E' costituito da una serie di archi a tutto sesto, sorretti da colonne in pietra locale in stile tuscano classico. Tra queste ed il muro della Chiesa si ergono leggere volte a vela in muratura. Il campanile nell'imponenza dei suoi 68 metri di altezza, eseguito in pietra locale a base quadrata fino alla cella campanaria, è completato in forma ottagonale ed arricchito da decorazioni in marmo rosso con capitelli e mascheroni stile barocco e cupola a cipolla.

Il pulpito, proveniente dalla bottega dei Fantoni, I due Angeli con Crocifisso donati dallo Scultore Andrea Fantoni.
Nello scurolo del Santuario è stato allocato il cosiddetto Sepolcro Fantoniano, composto da sette statue a grandezza più che naturale: il Cristo Morto posto sul trono-letto, la Vergine Addolorata seduta ai piedi della Croce, la Maddalena, Giovanni Evangelista, Maria di Cleofa, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Nel Santuario esiste anche una ricca raccolta di quadri/tavolette "ex voto".



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venerdì 29 maggio 2015

IL CASTELLO DI PANDINO

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Il castello venne fatto erigere dal signore di Milano Bernabò Visconti e dalla moglie Beatrice Regina Della Scala, intorno al 1355-1370 come residenza di campagna per la caccia, grande passione di Bernabò.

Intorno al 1355, il signore di Milano Bernabò Visconti, grande appassionato di caccia, scelse Pandino per farvi costruire un castello per poter comodamente  risiedere in questi luoghi  e dedicarsi alla sua attività prediletta; il territorio infatti, in quell’epoca era ancora ricco di boschi abitati e selvaggina. La costruzione ha la forma tipica dei castelli viscontei di pianura dell'epoca: pianta quadrata con quattro torri quadrate angolari, cortile interno con porticato ad archi acuti al piano terra e loggiato superiore con pilastrini quadrati. All'esterno sono visibili le numerose finestre, monofore al piano terra, in origine destinato alla servitù, bifore al piano superiore, riservato ai nobili. Il lato est del piano inferiore era originariamente aperto come una sorta di secondo porticato ed era adibito a salone per i banchetti estivi (attualmente, corsi e ricorsi storici, è utilizzata dalla mensa della scuola agraria).

Il castello al momento della realizzazione venne completamente affrescato persino nella zona delle stalle, ora utilizzate come biblioteca comunale. Le pitture del castello erano realizzate da svariate forme geometriche, tarsie a imitazione del marmo e alcune figure umane, variando vano per vano. Nelle forme geometriche vennero rappresentati gli stemmi araldici dei Visconti e Della Scala.

Alla morte di Beatrice Regina Della Scala sposò una Savoia ed in suo onore fece ridipingere gli stemmi scaligeri con lo stemma della casata Savoia.

Passato agli Sforza ed in seguito ad altre nobili famiglie, è attualmente di proprietà del Comune.
Grazie alla ricchezza dell'impianto originario e alla sua integrità, il castello di Pandino è sempre stato considerato come uno degli esempi più importanti dell'architettura fortificata viscontea trecentesca, in cui esigenze difensive e residenziali si sono perfettamente armonizzate. Costruito a nordest dell'abitato, all'interno dell'antica cerchia muraria fortificata, circondato da un profondo fossato prosciugato, ha uno schema architettonico semplice costituito da un quadrato di 66 m per lato, con quattro torri angolari sempre a base quadrata. Edificato totalmente in mattoni presenta una cornice marcapiano che divide in due la parete muraria, scandita a sua volta da monofore e bifore. Le torri sono invece tripartite, con una monofora al primo piano e una bifora negli altri due. I due ingressi sui lati sud e nord sono sottolineati dalla presenza dei rivellini che anche se hanno interrotto l'omogeneità delle facciate, sono stati ingentiliti con l'aggiunta dello stesso motivo decorativo di mattoni a scaletta che corre lungo tutta la restante parete muraria.
All'interno il cortile è caratterizzato da portici a sesto acuto, mentre al piano superiore da un loggiato con copertura a capriate. La destinazione originaria degli spazi non è nota, anche se non doveva essere molto differente da quella che è documentata per i secoli XVI e XVII, con al piano terra i servizi e ad oriente un ampio salone destinato ai banchetti. Si accedeva al piano superiore tramite una piccola scala in legno, oggi sostituita da quelle costruite nei torrioni.
Il castello, rara e preziosa testimonianza, conserva ancora quasi interamente le decorazioni che ne ornavano le pareti del portico, del loggiato e delle stanze, gli arconi delle finestre e i pilastri. In quasi tutte le stanze la decorazione segue uno sviluppo comune che prevede a partire dal pavimento uno zoccolo con specchiature marmoree riquadrate. Nella fascia superiore trova posto il motivo decorativo principale, che si sviluppa adattandosi ai particolari architettonici della stanza stessa. I motivi, a carattere fondamentalmente geometrico si succedono con diverse varianti e sono alternati a figure araldiche o vegetali.
Nella sala superiore dell'ala meridionale si conserva la testimonianza più integra di tutto l'apparato decorativo: sopra al consueto zoccolo marmoreo si sviluppa un finto loggiato con archi carenati ornati esternamente da fiori. Lo spazio tra un arco e l'altro è occupato da medaglioni con lo stemma dei Visconti e dei Della Scala; nella fascia superiore i motivi geometrici sono alternati a finte bifore.
Sulle superfici esterne del portico e del loggiato, pur se con delle varianti, si presentano gli stessi motivi che ornano le sale interne, mentre è più impegnativo fare delle ipotesi sulla decorazione esterna del castello perché scarse sono le tracce di colore riscontrate. Gli unici elementi figurativi si trovano sulle pareti del portico presso il salone dell'ala ovest e rappresentano San Cristoforo e Sant'Antonio abate. Il riquadro che contorna la figura è sormontato da una lunetta ogivale in cui è raffigurato a monocromo Cristo in pietà, affiancato da un angelo con i simboli della passione. Di fronte al salone sopra ogni pilastro del portico si intravede un tondo con un'immagine figurata. Solo due sono chiaramente distinguibili e rappresentano delle figure mostruose, composte dell'unione di un uomo e di un animale, intente a suonare uno strumento musicale. Se per i motivi decorativi di tipo geometrico parallelismi si possono riscontrare nella Rocca di Angera o nel castello di Legnano, questi ultimi soggetti sono particolarmente inconsueti.
A Pandino infatti, probabilmente per il tipo di soggetto rappresentato, pur se con delle diversità dovute al numero di frescanti presenti, e alle loro specifiche abilità, sono pochi i brani di particolare maestria, che potrebbero riferirsi ad un unico artista di buon livello che forse sovrintendeva a tutta la decorazione.

L'architettura dell'edificio risponde a quel tipo ideale di "palazzo fortificato" che i Visconti portarono a compiutezza di forme nella seconda metà del Trecento e che ha trovato qualche anno più tardi la sua più limpida e grandiosa affermazione nel castello di Pavia.
Delle quattro torri dell'organismo originario si sono conservate intatte solo quelle dell'ala orientale, mentre le corrispondenti due torri dell'ala occidentale vennero mozzate nell'Ottocento in quanto pericolanti. Del fossato circostante, interrato, restano attualmente solo i contorni. I corpi di fabbrica si presentano oggi privi di merlature, probabilmente demolite nel corso del Settecento quando il castello, decaduto al rango di edificio rurale, ebbe una nuova sistemazione delle coperture; le ricerche effettuate in questi anni da studiosi locali e dal Cavalieri ne hanno infatti accertato l'esistenza e hanno pure fatto luce sull'originaria disposizione delle falde del tetto, analoga a quella del castello di Pavia.
Ognuna delle quattro facciate è regolarmente scandita dalla presenza di sei monofore al piano terreno e da bifore al primo piano, mentre fasce di mattoni disposti a scaletta avvolgono, come festoni, le nude pareti dei corpi di fabbrica e delle torri.
Il cortile è circondato al piano terreno da un portico ad archi acuti di sei campate per lato e da un'aerea loggia soprastante, suddivisa in dodici campatelle per lato e spartita da snelli pilastrini che sostengono architravi in legno sui quali si appoggiano le falde del tetto. Sede del Comune e di uffici comunali, della biblioteca e del convitto della locale Scuola Casearia Professionale, lo stato di manutenzione del castello è buono per merito soprattutto dell'attenzione che l'Amministrazione comunale vi dedica ormai da un cinquantennio, con il costante obiettivo di un suo utilizzo sempre più orientato a valorizzare gli aspetti di storia, di cultura e di arte.
Nonostante le manomissioni sopra descritte il castello gode tuttora di una buona consistenza e costituisce una della maggiori e più apprezzabili architetture fortificate della Lombardia.

Adagiato nella bassa pianura lombarda, nel territorio compreso tra il corso dell'Adda e del Serio, il borgo di Pandino ha sempre ricoperto una posizione di rilievo. Per tradizione si riteneva che il castello fosse stato costruito a partire dal 1379, per volere di Regina della Scala moglie di Bernabò Visconti, che apprezzava notevolmente questi luoghi vicini alle terre venete di cui era originaria. Un'attenta rilettura dei documenti ha invece fatto anticipare la datazione di circa un ventennio, riconducendola agli anni compresi tra il 1354 (salita al potere di Bernabò), e il 1361, data del primo documento in cui si fa chiaro riferimento al castello. Nel 1385 Gian Galeazzo si impadronì del castello, che vendette dieci anni dopo al lucchese Niccolò de Diversis. Dopo aver recuperato il maniero i Visconti lo cedettero in feudo prima a Giorgio Benzone, signore di Crema (1414-1423), poi a Luigi Sanseverino (1434-1440). Nel 1469 il castello e i terreni circostanti furono concessi a Ludovico il Moro che irrobustì l'apparato difensivo con la costruzione dei rivellini. A partire dal 1479, essendo stati confiscati a Ludovico Maria Sforza tutti i beni, la fortezza fu nuovamente affidata ai Sanseverino, fino all'estinzione del ramo maschile della famiglia, per cui passò ai Landriani. Nel 1552 divenne di Pagano d'Adda e rimase a questo marchesato fino al 1862, quando fu completamente trasformato in azienda agricola, anche se era stato relegato a quest'uso già nel xviii secolo. Nel dopoguerra il corpo ovest fu acquistato dal Comune che ne intraprese i restauri negli anni '50, mentre le restanti ali rimasero, parcellizzate, a proprietari privati. Oggi vi hanno sede gli Uffici Comunali, il Convitto della Scuola casearia e la Biblioteca. L'esterno e il cortile sono visitabili tutti i giorni, mentre l'interno previo appuntamento.
Grazie alla ricchezza dell'impianto originario e alla sua integrità, il castello di Pandino è sempre stato considerato come uno degli esempi più importanti dell'architettura fortificata viscontea trecentesca, in cui esigenze difensive e residenziali si sono perfettamente armonizzate.

Il castello, uno dei più importanti e significativi esempi realizzati dalla dinastia viscontea, che pure fu una grande realizzatrice di architetture fortificate, fu fatto innalzare, secondo le approfondite ricerche storiche condotte da Giuliana Albini e Federico Cavalieri, da Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti, tra il 1354 e il 1361.
Nella seconda metà del Quattrocento gli Sforza, nel quadro di un esteso aggiornamento delle difese dello scacchiere dell'Adda, minacciato dalla presenza della Repubblica Veneta, rafforzarono le mura del borgo di Pandino e il castello stesso, al quale vennero addossati, in corrispondenza dei rispettivi ingressi, due torrioni muniti di apparato a sporgere e di ponti levatoi.
Dopo essere giunto nell'Ottocento e nella prima metà del Novecento a uno stato di grave decadenza per trascuratezza di manutenzione e per utilizzi incompatibili, il castello è stato acquistato nel 1947 dall'Amministrazione comunale di Pandino, che ha poi dato subito avvio a importanti lavori di restauro, scongiurandone la rovina che sembrava imminente. Successivamente è stato dato corso al restauro dei pregevoli dipinti trecenteschi, basati sul motivo geometrico del quadrilobo entro il quale sono raffigurati, in posizioni alterne, a gloria dei due proprietari, gli stemmi dinastici del biscione visconteo e della scala, che adornano, come un grande tappeto, le facciate verso il cortile e le pareti di fondo dei portici e delle logge.



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lunedì 27 aprile 2015

LA CHIESA DI SAN MARTINO A VARESE

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La Chiesa di San Martino di Varese è uno dei più antichi edifici sacri presenti in città. Uno dei primi documenti attestanti la presenza dell’edificio risale al 1233. Nel XV secolo fu decorata in cotto l’intera chiesetta, che all’epoca era di dimensioni ridotte rispetto a quella odierna. Con l’occasione furono realizzati anche degli affreschi in facciata. L’ampliamento della Chiesa di San Martino è dovuto al volere di San Carlo Borromeo, che auspicava l’unione tra l’edificio sacro e il vicino convento, separati da un lotto di terreno vuoto. Nel corso del XVII secolo venne realizzato un campanile, di cui oggi non resta traccia. Le decorazioni che oggi si possono ammirare all’interno della chiesa sono state realizzate tra il 1722 e il 1723. Molto interessanti sono le architetture illusionistiche realizzate da Giacomo e Antonio Francesco Giovannini. Molto apprezzata è soprattutto l’architettura illusionistica realizzata sul presbiterio. La Chiesa di San Martino custodisce importanti opere d’arte, realizzate da Giovanni Antonio Speroni e dal Magatti.

La facciata si caratterizza per un bel portale con modanature sode, e per le decorazioni scolpite di età tardo cinquecentesca-primo secentesca. Del campanile, costruito nel Seicento non rimane alcuna traccia .



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domenica 22 marzo 2015

LA CHIESA DI SANTA MARIA DEL TIGLIO

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Imponente sulle acque del Lario, Santa Maria del Tiglio è un "pezzo" più unico che raro nel panorama dell'architettura religiosa lombarda.

Edificata nel XII secolo, deve il nome a una leggenda secondo la quale una pianta di tiglio sarebbe cresciuta sul campanile a fine costruzione. La cornice paesaggistica in cui s'inserisce l'edificio – a fasce alternate di marmo bianco e pietra scura –, con alle spalle il fondale turchese del lago, accresce intensamente il fascino del luogo. È questa la cosiddetta "area sacra" di Gravedona, dove si trovano oggi le chiese di Santa Maria del Tiglio, per l'appunto, e di San Vincenzo (XVII sec.).

La chiesa di S. Maria del Tiglio fu eretta come battistero delle pieve in sostituzione di un antico battistero paleocristiano, risalente al V-VI secolo, di cui furono trovati i resti nel corso degli scavi eseguiti nel 1953 in occasione del restauro dell'edificio. L'antico battistero era stato edificato su un'area sacra in età romana, come sembra testimoniare la presenza di un'ara romana murata nell'interno della chiesa. Questo primo edificio, dedicato a S. Giovanni Battista, fu probabilmente oggetto di interventi in epoca carolingia e conservava un affresco raffigurante l'Adorazione dei Magi oggetto nell'anno 823 di un evento miracoloso, ricordato in cronache coeve, che avrebbe richiamato a Gravedona anche l'Imperatore Ludovico il Pio. Nel XII secolo ebbe inizio la costruzione del nuovo battistero a pianta centrale nella quale si innestavano le absidi ed il vestibolo di ingresso. Il primo documento che testimonia la presenza del nuovo edificio risale al 1154 e l'analisi delle murature e degli elementi decorativi sembra confermare la realizzazione della costruzione nella prima metà del XII secolo. Il battistero fu quindi arricchito da una decorazione pittorica realizzata in varie fasi a cavallo fra il XIII secolo, al quale sembra riferibile il Giudizio Universale in controfacciata, ed il XV secolo durante il quale fu realizzato probabilmente l'affresco con l'Adorazione dei Magi sopra l'absidiola destra.
La torre campanaria in facciata, che presenta un andamento singolare, venne realizzata in più fasi e fu oggetto di vari interventi di riparazione. Sopra la prima porzione a base quadrata, eseguita nel XIV secolo, fu aggiunta la porzione superiore a pianta ottagonale in forma romaniche ma completata solamente nel corso del XVI secolo, come documentano le carte d'archivio messe in luce da recenti studi. Le visite pastorali testimoniano anche la seconda denominazione, oltre alla dedicazione a S. Giovanni Battista, come chiesa della Beata Vergine del Tiglio, in relazione alla presenza secolare di un albero di tiglio, e confermano la destinazione dell'edificio come chiesa battesimale. Nel corso del XVII secolo nel battistero furono aggiunti due altari: uno nella cappella laterale destra, dedicato a Santa Marta, ed uno nella cappella laterale sinistra, dedicato alla Vergine del Carmine. Un ulteriore altare sul lato destro, dedicato alla Beata Vergine del Tiglio, risulta documentato nelle visite pastorali del XVIII secolo. Già nella seconda metà del XIX secolo la chiesa venne fatta oggetto di indagini legate agli studi sull'architettura romanica lombarda che auspicavano l'esecuzione di interventi di restauro dell'edificio. Il primo intervento fu avviato nel 1875 e comprese lo scavo dell'area circostante, per mettere in luce il basamento delle murature e cercare i resti del battistero paleocristiano, e il rifacimento della copertura, del cornicione e dello zoccolo. tetto. Nel 1925 e nel 1937 furono effettuati interventi anche sugli affreschi ma nel 1953 fu avviato un restauro radicale dell'edificio che comportò la rimozione delle aggiunte barocche al fine di recuperare l'assetto romanico. Sulla parete dietro l'altare sinistro, dedicato alla Beata Vergine, fu messo in luce un ciclo di affreschi ignorato fino a quella data dagli studiosi. In questa occasione furono compiuti anche gli scavi sotto la pavimentazione che consentirono di individuare i resti del fonte battesimale paleocristiano, utilizzato probabilmente fino al XVI secolo.

La chiesa come la vediamo oggi risale al XII secolo: il nome deriverebbe da una pianta di tiglio cresciuta sul campanile a fine costruzione. È un esempio chiaro di stile romanico, costruita utilizzando la pietra locale: il marmo bianco di Musso e la pietra nera di Olcio.

La pianta è centrale, nella tradizione dei battisteri, e presenta tre absidi semicircolari sui tre lati, mentre la facciata è caratterizzata dal campanile aggettante, un unicum nell'architettura lombarda, derivato da modelli renani e borgognoni; il campanile ha base quadrata, mentre la parte superiore è ottagonale, e probabilmente venne costruito in epoca più tarda. Alla base si trova il portale d'ingresso, lievemente strombato; un secondo portale si trova sul fianco destro. Lungo tutta la base del tetto corre una decorazione ad archetti pensili, tipica dello stile romanico, che si trova anche sopra la prima monofora del campanile. Accanto e sopra a questa finestra ci sono dei blocchi di marmo scolpiti, probabilmente materiali di recupero dal precedente edificio. Infatti, si nota una testina umana di età tardo-romana, incastonata come chiave di volta nella monofora: forse apparteneva ad una stele funeraria. Ai fianchi della monofora, conci in marmo, scolpiti a bassorilievo: sono datati al periodo altomedievale e raffigurano soggetti vari con valore simbolico, come un centauro con l'arco, un serpente e un nodo gordiano. Sul retro della chiesa, un altro marmo scolpito inserito nel muro esterno: appena sotto il primo ordine di archetti, un bassorilievo raffigurante due rilievi tondeggianti, chiamati "le mammelle della regina Teodolinda", che allude al tema della fertilità.

L'interno è un ampio ambiente caratterizzato dalle due absidi laterali, dal presbiterio in cui sono state ricavate tre nicchie e dal loggiato che corre sopra le absidi. Il pavimento è recente, ma nell'angolo nord-est si trova un frammento del mosaico pavimentale del V secolo: si riconoscono motivi geometrici formati da tessere bianche, nere e rosse, tipiche del periodo romano. Un tempo i muri dovevano essere decorati da un ricco ciclo di affreschi, di cui oggi restano poche testimonianze. Nel presbiterio si vedono ancora lacerti delle Storie di San Giovanni Battista, risalenti al XV secolo, e figure di Santi, tra cui Santo Stefano e San Gottardo, patrono dei passi alpini. Sopra la nicchia centrale di destra si trova un'Adorazione dei Magi, che venne realizzato al posto del fatiscente affresco miracoloso, citato negli Annali di Fulda.

Al centro dell'abside meridionale si vedono i resti di un affresco devozionale raffigurante la Vergine in trono col Bambino e Santi, mentre, in controfacciata si trova quello che è l'affresco più antico della chiesa: il Giudizio Universale. Quest'affresco risale alla prima metà del XIV secolo: vi si vede raffigurato il Cristo Redentore in mandorla, circondato dalle file dei beati e dei dannati; sullo sfondo, il paesaggio della Gerusalemme celeste, dove si notano campanili molto simili a quello della stessa chiesa di Santa Maria del Tiglio e della vicina Abbazia di Piona, prima del suo rifacimento nel XVIII secolo.

L'abside settentrionale è decorata dai resti di affreschi devozionali risalenti alla seconda metà del XIV secolo, raffiguranti Sant'Anna, Santa Susanna, San Giovanni Battista, San Lucio e San Giuliano l'ospitaliere nell'atto di uccidere i propri genitori. La presenza di santi come , Gottardo, Lucio e San Cristoforo, affrescati vicino all'arcone dell'ingresso, richiama la funzione di Gravedona come nodo di traffico dei commerci provenienti e direttismo verso l'area transalpina: sono infatti i santi invocati dai viaggiatori e Santa Maria del Tiglio era probabilmente una tappa per i commercianti che si incamminavano verso la difficile via delle Alpi. La parete nord ospita anche un capolavoro della scultura romanica lombarda: un "Crocifisso" ligneo scolpito nel XII secolo. La scultura, in legno di pioppo e ontano, raffigura un Cristo dai tratti del volto molto allungati, che richiamano la scultura dell'area renana e nordeuropea.



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domenica 1 marzo 2015

LA TRIENNALE A MILANO

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La Triennale di Milano ospitata all’interno del Palazzo dell’Arte, è un’istituzione culturale internazionale che produce mostre, convegni ed eventi di arte, design, architettura, moda, cinema, comunicazione e società. Organizza mostre di grande visibilità e attenzione come quelle dedicate all’arte contemporanea, agli architetti e designer di fama nazionale e internazionale, ai grandi stilisti che hanno cambiato il gusto e il costume, ai temi sociali.

Dal 2007 è sede del Triennale Design Museum un museo che cambia, attento alla storia e all’intero sistema del design (imprese, distretti produttivi, territorio, ricerca, editoria e formazione).

Dal 2011 ospita il Teatro dell’Arte, tra i più significativi del panorama milanese, nuovo punto di riferimento per progetti culturali e arti performative.

La Triennale di Milano è stata fondata a Monza nel 1923 in occasione della I Biennale delle arti decorative dell'ISIA ad opera di Guido Marangoni.
È stata trasferita a Milano nel 1933, anno della costruzione del Palazzo dell'Arte di Giovanni Muzio, realizzato grazie alla volontà dell'industriale tessile Antonio Bernocchi.

La Triennale si pone come obiettivo, sin dalla sua nascita, lo stimolo dell'interazione tra industria, mondo produttivo e le arti applicate. In questa ottica, negli anni, la Triennale ha assunto un ruolo di amplificatore mediatico per l'innovativo ambiente italiano, catalizzando anche il confronto tra le varie correnti che man mano andavano sviluppandosi.

Il ruolo innovativo dell'esposizione vi è manifestato sin dalle prime esposizioni, tanto che già nell'edizione del 1933 artisti come Giorgio De Chirico, Mario Sironi, Massimo Campigli e Carlo Carrà parteciparono esponendo loro opere. L'attenzione alla realtà contemporanea ha coinvolto la Triennale anche nell'opera di ricostruzione post-bellica, durante la quale ha assunto un ruolo preminente nella realizzazione del quartiere QT8 di Milano. Proprio da questa esperienza è nato l'interesse della Triennale per la pianificazione urbanistica e le innovazioni tecnologiche applicate all'edilizia, che diventeranno uno dei temi fondamentali degli anni cinquanta. La Triennale diventa negli stessi anni un punto di riferimento per il Disegno industriale, ospitando, tra le varie, le esposizioni del Premio Compasso d'oro.

Inaugurato nel 2007, Triennale Design Museum è il primo museo del design italiano e ne rappresenta la molteplicità di espressioni. È un museo dinamico, che si rinnova continuamente e offre al visitatore sguardi, punti di vista e percorsi inediti e diversificati. Un museo non solo scientifico e rigoroso ma anche emozionale e coinvolgente. Diretto da Silvana Annicchiarico, Triennale Design Museum ogni anno mette in scena il design italiano attraverso un sistema di rappresentazioni che ogni anno cambiano tematiche, ordinamenti scientifici e allestimenti.

Attraverso la sua innovativa formula, il museo cerca di rispondere alla domanda Che Cosa è il Design Italiano?. All’interno del museo sono presenti due spazi permanenti: il Teatro Agorà, progettato da Italo Rota, e il CreativeSet, progettato da Antonio Citterio. Nel primo, interamente realizzato in legno, si svolgono eventi, conferenze, e performance. Il secondo è destinato a mostre temporanee ed eventi dedicati alla promozione e valorizzazione del design contemporaneo.

Progettato da Giovanni Muzio e situato al piano seminterrato, il teatro è stato concepito per ospitare rappresentazioni di arte sperimentale, riunioni, conferenze e proiezioni cinematografiche.

La sala, che misura 24x24.60 e ha un'altezza di m. 12.20, è capace di circa 1200 posti distribuiti nella platea inclinata, nella balconata che la circonda e nella gradinata ad anfiteatro. Al di sotto della gradinata e all'interno della sala sono ricavati i disimpegni, le scale e il guardaroba. Un particolare studio è stato eseguito per il palcoscenico e i suoi servizi: la cavea dell'orchestra può essere chiusa per utilizzare lo spazio sovrastante o per aumentare la capienza della sala o per esigenze speciali di spettacolo; il palcoscenico, che ha una profondità complessiva di m. 22, un'altezza utile di m. 21, è dotato di sipario metallico e illuminato direttamente da grandi finestroni. Notevole importanza tecnica riveste il soffitto del teatro, che è anche pavimento delle sale superiori per le esposizioni.

Per ciò che riguarda il rapporto con la città e la sua ubicazione, nel quadro dell'intero sistema milanese delle strutture per lo spettacolo e, più in generale nel panorama europeo, il Teatro dell'Arte è ascrivibile in uno degli esempi più aggiornati ed evoluti, prendendo la strada del concetto di centro culturale.

Si tratta di attrezzature virtualmente flessibile adattabili a tutti gli usi, anche simultaneamente, offrendo un vero e proprio palcoscenico da consacrare alla narrazione dell’arte, del design e della cultura del progetto.

La Biblioteca del Progetto, inaugurata nel Marzo 2005, è la sede istituzionale di ordinamento, raccolta e incremento dei materiali cartacei, plastici, modelli e audiovisivi prodotti dalla Triennale di Milano, presso il Centro di Documentazione (ex Centro Studi Triennale) e l’Archivio Storico. La collezione che conta circa 14000 volumi si è arricchita del contributo di numerosi fondi privati. All’iniziale fondo Augusto Morello, proveniente da un fondo privato di circa 7000 volumi di arte, architettura, design ma anche filosofia ed estetica, si sono progressivamente aggiunti quelli di Casa Vogue, il fondo Alessandro Mendini, la preziosa raccolta dell'artista argentino Tomás Maldonado e il fondo Architectura & Natura. La raccolta della Biblioteca del Progetto comprende anche il Centro di Documentazione (ex Centro Studi Triennale) composto dai cataloghi delle esposizioni e delle mostre e dalle altre pubblicazioni ufficiali. Le varie edizioni della Triennale sono documentate da più di 400 volumi che testimoniano come l’Istituzione, in novanta anni di storia, abbia contribuito alla crescita del dibattito culturale italiano e internazionale nell’ambito delle arti, dell’architettura e del design. La raccolta dei periodici comprende circa 700 annate di riviste specialistiche italiane e straniere inserite nel catalogo nazionale dei periodici.


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martedì 24 febbraio 2015

STUDIARE A MILANO - IL POLITECNICO -


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 Il Politecnico di Milano (abbreviato PoliMi) è un'università statale italiana a carattere scientifico-tecnologico, fondata il 29 novembre 1863 a Milano con il nome di "Regio Istituto Tecnico superiore". I suoi campi di studio e ricerca scientifica comprendono l'ingegneria, l'architettura e il design. Il Politecnico rilascia i titoli accademici di laurea, laurea magistrale (ex laurea specialistica) e dottorato di ricerca ed è sede di diversi corsi di dottorato di ricerca e master universitari. L'Università conta circa 41560 studenti iscritti, di cui 900 allievi di dottorato.

« Voi darete all'Italia Ingegneri, Architetti »
(sen. Carlo Matteucci)
Il Politecnico, fondato il 29 novembre 1863 per l'impulso fornito dalla Società di incoraggiamento di arti e mestieri, è il più antico ateneo di Milano (la Statale è del 1923). Originariamente denominato "Istituto Tecnico Superiore", aveva la sua prima sede, con 36 studenti, nel Collegio Elvetico e alla sua guida fu nominato il matematico Francesco Brioschi. Inizialmente offriva solo un corso di ingegneria. Alla fondazione contribuirono le amministrazioni locali (Comune e Provincia di Milano), la Camera di Commercio, la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, associazioni culturali e imprenditori. I suoi primi 25 laureati risalgono al 1865. Nello stesso anno viene anche attivato per la prima volta il corso di architettura presso il Politecnico. La sede venne trasferita, nel 1866, al palazzo della Canonica in piazza Cavour. Successivamente, nel 1913, venne stipulata una convenzione tra lo Stato, il Comune e la Camera di Commercio di Milano, con il concorso della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, per decentrare e accorpare in un unico luogo gli istituti di istruzione superiore sparsi per la città. La scelta dell'ubicazione cadde sull'area periferica delle Cascine Doppie, ossia l'odierna Città Studi.

Nel 1915 fu posata la prima pietra del nuovo complesso, che verrà attivato ufficialmente nel 1927: il nuovo polo di piazza Leonardo Da Vinci in Città Studi divenne sede dell'ateneo, all'epoca Regio Politecnico di Milano. Pochi anni dopo, nel 1933, il Politecnico si suddivide in due distinte facoltà: ingegneria e architettura. Nel 1953 inaugura inoltre il primo centro di calcolo dell'Europa continentale, grazie all'impulso di Gino Cassinis ed Ercole Bottani. Non mancano i riconoscimenti: pochi anni dopo, nel 1963, Giulio Natta, professore ordinario di Chimica industriale, viene insignito del Premio Nobel per i suoi studi sulle materie plastiche. Un anno dopo viene realizzata la nuova sede di via Bonardi per la Facoltà di Architettura. Nel 1977 viene messo in orbita il satellite Sirio, sviluppato dal Politecnico in collaborazione con Telespazio, Compagnia Industriale Aerospaziale e Telettra. Nel 1989 vengono inaugurate le nuove sedi nel quartiere milanese di Bovisa e nelle città di Como e Lecco. Si avvia la strategia del Politecnico a rete che vedrà l'Ateneo aprire sedi anche a Cremona (1991), Mantova (1994) e Piacenza (1997). Nel 2002 viene creata la Fondazione Politecnico. Tra i principali obiettivi vi è il coinvolgimento delle imprese e le strutture pubbliche nell'università. Nel 2004 viene fondata, in collaborazione con il Politecnico di Torino, l'Alta Scuola Politecnica. L'8 aprile 2011 un team di studenti del corso di Ingegneria Gestionale ha vinto a Omaha in Nebraska (Stati Uniti) la finale mondiale della Global Investment Research Challenge tra 500 università di tutto il mondo, una competizione con finalità formative organizzata da CFA Institute, affermata associazione di professionisti della finanza.

A partire dall'anno accademico 2014/2015 le lauree magistrali si tengono esclusivamente in lingua inglese, e il Politecnico diventa così, non senza polemiche, la prima università italiana ad eliminare la lingua italiana da tutti i corsi di laurea magistrale.

Complessivamente il Politecnico può contare su cinque sedi distaccate nel territorio della Lombardia e una in Emilia-Romagna.

La sede centrale si trova a Milano in piazza Leonardo da Vinci (zona Città Studi), dove si trova il Campus Leonardo. La seconda sede milanese è presso il campus Bovisa, nell'omonimo quartiere (via La Masa e Via Lambruschini per ingegneria e via Durando per architettura e design.

Nel 2013 il Politecnico di Milano si è piazzato al 28º posto tra le migliori università nel mondo in ingegneria e informatica (Engineering and Information Technology) nel QS World University Rankings della Quacquarelli Symonds Limited, agenzia specializzata in istruzione superiore che collabora con la Times Higher Education, risultando la 230ª università mondiale oltre a essere la prima e unica università tecnica italiana tra le prime 30 del mondo. Il Politecnico si è inoltre piazzato al 75º posto nella Green Metric World University Ranking 2011, la classifica mondiale delle università più eco-sostenibili redatta dall'Università d'Indonesia, risultando così la prima università italiana. Secondo il rapporto SIR 2013, il Politecnico di Milano riporta un fattore d'impatto normalizzato di tutta la ricerca prodotta tra il 2007 e il 2011, pari a 1,42 (1,4 per la Statale di Milano e 2,03 per il Politecnico di Bari, valore più alto fra i centri di ricerca pubblici in Italia).
A livello italiano, il Politecnico di Milano ha ottenuto degli ottimi risultati in molte classifiche redatte dai maggiori quotidiani nazionali, come quella de Il Sole 24 ORE in cui nel 2012 risulta primo con 856 punti su 1000.

Il logo del Politecnico di Milano riprende un particolare dell'affresco vaticano di Raffaello, La scuola di Atene, che ritrae Euclide (con i tratti del Bramante) circondato da alcuni allievi, mentre illustra loro un teorema con l'ausilio di un compasso. L'ultima versione è del 2000, riprende i tratti dei loghi precedenti in modo stilizzato. La scritta Politecnico di Milano è realizzata con il carattere Futura.



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venerdì 20 febbraio 2015

LUOGHI DI CULTO MILANESE : SANTA MARIA DELLE GRAZIE

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Una delle chiese più visitate nel capoluogo lombardo è Santa Maria delle Grazie: curiosiamo un pò la storia e l'architettura.


La chiesa di Santa Maria delle Grazie è una basilica e santuario situata a Milano, appartenente all'Ordine Domenicano e facente capo alla parrocchia di San Vittore al Corpo. L’architettura della tribuna, edificata fra il 1492 e il 1493 per volere del Ludovico il Moro come mausoleo per la propria famiglia, costituisce una delle più alte realizzazioni del Rinascimento nell'Italia settentrionale.

Fu il secondo sito italiano dopo le incisioni rupestri in Valcamonica ad essere classificato come patrimonio dell'umanità dall'Unesco, insieme con l'affresco del Cenacolo di Leonardo da Vinci che si trova nel refettorio del convento (di proprietà del Comune di Milano).

Risale al 1459 la fondazione di un secondo nucleo di frati domenicani a Milano, in aggiunta al primo, antico insediamento di Sant’Eustorgio risalente al 1227, di soli undici anni successivo alla fondazione dell’ordine.

La congregazione di Domenicani, stabilitisi presso l'odierna San Vittore al Corpo, ricevette in dono nel 1460 un appezzamento di terreno dal conte Gaspare Vimercati, condottiero al servizio degli Sforza. Su questo terreno si trovavano una piccola cappella dedicata a Santa Maria delle Grazie, e un edificio a corte ad uso delle truppe del Vimercati. Il 10 settembre 1463 viene posata la prima pietra del complesso conventuale. La costruzione prese avvio da quello che è oggi il Chiostro dei Morti, adiacente alla primitiva cappella della Vergine delle Grazie, che oggi corrisponde all’ultima cappella della navata sinistra della chiesa. A dirigere i lavori fu chiamato Guiniforte Solari, architetto egemone in quegli anni a Milano, già ingegnere capo della fabbrica del Duomo, dell’Ospedale maggiore e della Certosa di Pavia. Grazie al mecenatismo del Vimercati, il convento fu completato nel 1469.

Il convento solariano si articolava attorno a tre chiostri. Il Chiostro dell’Infermeria, originario alloggio delle truppe del Vimercati inglobato nella costruzione, il Chiostro Grande, su cui affacciavano le celle dei frati, e il Chiostro dei Morti attiguo alla chiesa. Di questo chiostro oggi è possibile vedere la ricostruzione post-bellica, in quanto interamente distrutto dai bombardamenti del 1943. È costituito, a nord, dal fianco nord della chiesa, mentre sugli altri tre lati corre un portico di colonne in serizzo con capitelli gotici a foglie lisce. Sul portico si affacciano, a est, l’antica Cappella delle Grazie, le sale del Capitolo e del Locutorio e a nord la biblioteca, edificata da Solari sul modello della già celebre Biblioteca del convento domenicano di San Marco a Firenze, progettato da Michelozzo vent’anni prima. Il lato sud è invece interamente occupato dal refettorio, contenente il celeberrimo Cenacolo Vinciano.

La sala del refettorio, rettangolare, ha un’elaborata copertura costituita da una volta a botte “unghiata”, che si conclude nelle testate con volte “a ombrello”. Internamente era interamente decorata ad affresco sulle pareti e sulla volta. A seguito del crollo della volta e delle pareti principali, restano le due pareti terminali con l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci a destra e a sinistra la Crocefissione di Donato Montorfano, temi consueti per la decorazione dei refettori conventuali.

La Crocefissione, firmata e datata 1495 alla base della Croce, è l'impresa di maggiore levatura conservata del pittore milanese. Nell'interessante architettura dipinta sullo sfondo, sono già presenti elementi di linguaggio bramantesco. Nonostante il crollo del refettorio, l'opera si presenta complessivamente in buone condizioni. Completamente perduti sono invece i ritratti della famiglia ducale dipinti da Leonardo agli angoli del dipinto: Ludovico il Moro e Massimiliano a destra, Beatrice e Francesco a sinistra. Le figure vennero dipinte di profilo con la stessa tecnica a secco utilizzata per il cenacolo, che le condannò alla precoce scomparsa. Furono viste e lodate dal Vasari nel corso della sua visita a Milano. Le scarse tracce oggi presenti mostrano le caratteristiche del rigido ritratto di corte dalla consolidata tradizione, il che ha portato alcuni critici a metterne in dubbio la paternità di Leonardo, sempre estremamente innovativo nelle sue realizzazioni. Dalla maggioranza della critica, anche sulla base delle risultanze scientifiche dei restauri, sono tuttavia considerate autenticamente di sua mano.

Le navate costruite dal Solari, immerse nella penombra, vennero illuminate da Bramante con una monumentale tribuna all'incrocio dei bracci, coperta da una cupola emisferica. Vi aggiunse inoltre due ampie absidi laterali e una terza, oltre il coro, in asse con le navate. L'ordinata scansione degli spazi si riflette anche all'esterno, in un incastro di volumi che culmina nel tiburio che maschera la cupola, con una loggetta che si riallaccia ai motivi dell'architettura paleocristiana e del romanico lombardo.

È perfettamente conservata la decorazione delle tre navate, che copre interamente le volte e le pareti e che fu realizzata immediatamente dopo l'ultimazione della chiesa. I motivi geometrici a colori vivaci, le fiammelle e i radiali sono testimonianza del gusto tardogotico ancora diffuso. Di matrice rinascimentale sono invece i tondi, rappresentati nelle lunette della navata centrale, che rappresentano Santi entro una finta architettura in scorcio, variamente assegnati a Butinone, Zenale e Montorfano. Di mano del Butinone sono anche i pregevoli Santi domenicani rappresentati a figura intera nelle navate minori, fra le cappelle.

Nel chiostrino adiacente alla tribuna, sulla porta che conduce alla sacrestia, c'è un affresco realizzato da Bramantino.

La chiesa presenta sui due fianchi sette cappelle quadrate per lato, realizzate dal Solari ad eccezione dell’ultima a sinistra, dedicata alla Vergine delle Grazie e preesistente alla costruzione del complesso. Immediatamente dopo la costruzione dell’edificio, i più importanti casati milanesi richiesero il patrocinio delle cappelle, da utilizzarsi come sepoltura per i membri delle famiglie, ed affidandone la decorazione a vari artisti a cavallo fra quattrocento e cinquecento. Dal Libellus Sepulchrorum conservato negli archivi di stato, è possibile risalire alla committenza e alla decorazione originaria, anche per le capelle del lato sinistro distrutte durante la seconda guerra mondiale.
 La cappella, appartenente a Paolo da Cannobbio, era originariamente dedicata a San Paolo, raffigurato in un dipinto di Gaudenzio Ferrari collocato sull’altare. Il dipinto, requisito durante la dominazione francese all’inizio dell’ottocento, è ora conservato al museo di Lione. Oggi ospita sull’altare un affresco staccato, proveniente dalla cappella della Vergine delle Grazie, raffigurante la Madonna adorante il bambino, che contiene in basso i ritratti dell’intera famiglia dei committenti. Non è noto l’autore dell’opera di fine Quattrocento, di gusto ancora tardogotico.

Alla parete destra è posto il monumento funebre di Francesco Della Torre commissionato nel 1483. Il sarcofago classicheggiante, sorretto da colonne a candelabra, è ornato dai bassorilievi con l’Annunciazione, l’Adorazione dei pastori e l’Adorazione dei Magi. Prevalente è l’attribuzione ai fratelli Cazzaniga, figure di spicco della scuola rinascimentale lombarda.

Cappella di San Martino
Seconda a destra

Cappella degli Angeli, o Marliani
Terza a destra. Affreschi e pala d’altare di anonimo lombardo del XVI secolo, con episodi relativi all’Arcangelo Michele. Sulla serraglia in pietra al centro della volta è scolpita l’Annunciazione.

Cappella di Santa Corona

Quarta a destra. Apparteneva alla Confraternita di Santa Corona, che vi conservava una reliquia con la spina della corona di Cristo. Era utilizzata come sepoltura per i rettori della confraternita, fondata nel 1494 da Stefano da Seregno, la cui sede è oggi visibile all’interno della Pinacoteca ambrosiana. La facoltosa congregazione ordinò la decorazione ad affresco che riveste l’intera cappella nel 1539 al pittore più in vista della Milano del tempo, Gaudenzio Ferrari, che dipinse la Crocefissione e l’Ecce Homo alle pareti, e Angeli con gli strumenti della passione nelle vele. La Pala d’altare fu invece commissionata a Tiziano. L’Incoronazione di spine dipinta dal maestro veneto è oggi esposta al Louvre, nella sala della Gioconda, dopo che fu asportata dai commissari Napoleonici all’inizio dell’Ottocento. L’opera, ritenuta uno dei capolavori della maturità dell’artista, presenta caratteri tipici del manierismo romano nella monumentalità e nella posa avvitata delle figure. Il suo stile ebbe grande influenza nella cultura pittorica milanese, visibile anche negli stessi affreschi di Gaudenzio che ne condividono i toni imponenti e fortemente drammatici.

Cappella di San Domenico, o Sauli
Quinta a destra. Domenico Sauli commissionò nel 1541 l’intera decorazione pittorica, comprendente gli affreschi e la pala d’altare, al veneto Giovanni Demìo. Il ciclo, che comprende la Crocefissione all’altare, le lunette con Noli me tangere e Cristo in Emmaus e la decorazione della volta, mostra un forte accento manierista, caratterizzato da accenti nordici.

Cappella di San Vincenzo Ferrer, o Atellani
Sesta a destra. Originariamente appartenente alla famiglia degli Atellani, il cui palazzo quattrocentesco si può ancora vedere sul fianco della chiesa delle Grazie, fu affrescata nel seicento dai Fiammenghini, contiene una Madonna e Santi di Coriolano Malagavazzo.

Cappella di San Giovanni Battista
Settima a destra. Gli affreschi tardocinquecenteschi sono del manierista Ottavio Semino. Particolarmente elaborata è la volta a ombrello, dove Semino raffigura Profeti nelle lunette e negli spicchi, con Dio padre al centro. Dell’inizio del Cinquecento è invece la Pala di Marco d’Oggiono, allievo di Leonardo. Contiene il ritratto dell’ignoto committente, appartenente all’Ordine dei Cavalieri di Malta, in adorazione del Battista.

Cappella di Santa Caterina, o Bolla
Prima a sinistra. Gli affreschi contenuti nelle lunette, gravemente danneggiati durante la seconda guerra mondiale, sono la testimonianza della più antica fra le decorazioni delle cappelle. Rappresentano episodi di vita della Santa titolare della Cappella, commissionati dalla famiglia Bolla già alla fine del Quattrocento, variamente attribuiti a Donato Montorfano e a Cristoforo De' Mottis. Oltre al trittico cinquecentesco firmato Niccolò da Cremona, la cappella contiene opere scultoree di Francesco Messina: il Crocefisso sull'altare, e le sei formelle bronzee ispirate alla vita di Caterina da Siena.

Cappella Conti
Quarta a sinistra. Dopo la ricostruzione postbellica sono stati sistemati qui vari cenotafi, fra cui quello di Ettore Conti, promotore dei restauri degli anni trenta, di Wildt.

Cappella di San Giuseppe
Sesta a sinistra. Integralmente ricostruita dopo la seconda guerra mondiale, ospita una Sacra Famiglia cinquecentesca di Paris Bordon.

Cappella della Vergine delle Grazie
Settima a sinistra. La cappella era preesistente alla costruzione della chiesa, e costituisce il nucleo originario da cui prese origine tutto il complesso a cui diede anche il nome. Essa infatti esisteva già sul terreno che il Conte Vimercati donò ai monaci, e partendo dalle murature esterne di questa il Solari iniziò l'edificazione del convento e della chiesa.

Sopra l'arco d'ingresso alla cappella, la lunetta ospita la tela del Cerano con la Vergine libera Milano dalla Peste, eseguita dopo il 1630 come ringraziamento per la cessazione della tragica pestilenza che aveva falcidiato la popolazione milanese. L'opera contiene dettagli di crudo realismo, come il cadavere del bambino in primo piano e il bubbone esibito dalla donna retrostante, ed è pervasa da una cupa desolazione che rende ancora oggi la tragica atmosfera narrata da Alessandro Manzoni. All'interno della cappella, la pala d'altare raffigura la Madonna con il committente Gaspare Vimercati e la moglie, risalente alla fine del Quattrocento. Della stessa epoca è anche l'affresco sovrastante con l’Eterno circondato da Angeli, dai modi che ricordano ancora il gotico cortese. Per la sua affinità con gli affreschi della cappella ducale del Castello Sforzesco, è ritenuto di Bonifacio Bembo o della sua scuola.

Tutte le vetrate nella cappella, realizzate nel 1963, sono opera della pittrice Amalia Panigati e raffigurano l’Annunciazione, la Natività, la Crocifissione e l’Incoronazione della Vergine; la vetrata del portale sul chiostro rappresenta invece una Croce.

Il chiostro adiacente alla tribuna Bramantesca collega quest'ultima con la sagrestia monumentale.

È oggi detto "delle rane" per via delle ranocchie in bronzo che ornano la fontanella al centro del chiostro. La sua costruzione si colloca alla fine del Quattrocento, negli anni della ricostruzione della tribuna, e viene quindi ritenuto parte dello stesso progetto di Bramante per la tribuna.

Perfettamente quadrato, è costituito da cinque arcate per lato in cotto, rette da colonne marmoree e capitelli a motivi rinascimentali. Sulle lunette d'ingresso alla chiesa e alla sagrestia si trovano due lunette monocrome ascritte a Bramantino.

La sagrestia vecchia è un grande ambiente cui si accede dal Chiostro delle rane, sul lato opposto a quello della chiesa. Si tratta di una vasta aula rettangolare, che prospetta su Via Caradosso con grandi finestroni dalle cornici in cotto, restaurate nell'Ottocento. La sua costruzione risale all'ultimo decennio del Quattrocento, in concomitanza con il rifacimento della Tribuna. Il progetto è tradizionalmente assegnato a Bramante. Sopra il portale d'ingresso, una lunetta di Bramantino raffigura la Madonna fra San Giacomo e San Luigi di Francia. La presenza di quest'ultimo Santo fa risalire la datazione al periodo di dominazione Francese, fra il 1499 e il 1512. L'aula interna è coperta da una volta a botte unghiata, con testate a ombrello, e termina con una piccola abside. La decorazione ad affresco che ricopre la volta è stata da taluni attribuita a Leonardo, per la presenza del motivo del Nodo Vinciano, utilizzato anche nella Sala delle Asse al Castello Sforzesco. Al di sotto della volta, l'alta trabeazione presenta motivi decorativi classicheggianti con draghi e conchiglie. Lungo tutto il perimetro della sagrestia corrono gli armadi lignei destinati a custodire gli arredi sacri. Tutti gli sportelli sono ornati da dipinti databili all'inizio del Cinquecento, con scene bibliche. Di grande bellezza sono le quattordici ante a destra, con scene del Nuovo Testamento, nei modi del Bramantino, mentre sul lato sinistro sono raffigurati episodi dal Vecchio Testamento. Completano la decorazione della sala, sulla parete di fondo, affreschi cinquecenteschi.

domenica 7 settembre 2014

Danza Urbana

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Danza urbana

L'espressione "danza urbana" si riferisce ad eventi, performance e creazioni coreografiche in spazi pubblici ed indaga il rapporto tra danza, corpo danzante e architettura. Secondo queste premesse in questi contesto possono essere quindi considerate vicine esperienze di ricerca degli anni settanta come quelle di Trisha Brown e Joan Jonas, così come le pratiche di danza urbana come la breakdance, la danza con lo skateboard, o quella saltata del city jumping.
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Il termine "danza urbana" viene importato in Italia nel 1997 in corrispondenza del primo Danza Urbana - festival di danza nei paesaggi urbani a Bologna, oggi alla XIII edizione. Il festival, tra i più importanti ed innovativi festival di danza contemporanea in Italia, si svolge a Bologna, generalmente a settembre, coinvolgendo compagnie di danza da tutta Europa e da tutto il mondo.

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