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domenica 26 luglio 2015

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE A ARDESIO



Il santuario della Madonna delle Grazie, situato nel centro di Ardesio, risale al XVII secolo.

Il santuario fu edificato nel luogo in cui la tradizione vuole essere avvenuta, il 23 giugno 1607, un'apparizione mariana.

La sera del venerdì 23 giugno si era scatenato sul paese un furioso temporale che lasciava prevedere una tempesta distruttrice d'ogni coltivazione. Di fronte all'imminente pericolo la madre chiamò le due figlie e le mandò nella stanza delle immagini a pregare affinchè venisse scongiurata la bufera. Infatti l'Apparizione avvenne mentre era in pieno ritmo la stagione della raccolta del fieno e l'invito alle bambine era in rispondenza alle necessità di quella famiglia contadina e di tutta la popolazione. Mentre pregavano le bambine videro ai piedi del Crocifisso uno splendore con accanto un trono d'oro dove era seduta la Vergine Maria con in braccio il Figlio. Il fatto rimane isolato e non si ripetè in successive apparizioni della Vergine.
Ella si mostrò una sola volta ai piedi del quadro nella stanza dei Santi, seguirono invece fenomeni inspiegabili per tutto il mese di giugno, luglio e parte di agosto del 1607. La notizia si diffuse in un baleno e fu un accorrere di gente nel luogo privilegiato. Ci si invitava a vicenda dicendo: " E' comparsa la Madonna nella casa dei Salera in Ardesio, andiamo a vedere".
Propagandosi sempre più la fama della prodigiosa apparizione ed accorrendo da varie parti molta gente a visitare quelle immagini, il Parroco di Ardesio, don Giacomo Gaffuri, stimò suo dovere fare relazione alla Curia di Bergamo e per questo scopo mandò due persone di piena fiducia con lettera accompagnatoria al Vicario Generale della diocesi Mons. Giacomo Carrara. Questi diede ordine che si chiudesse la stanza e venisse vietato l'ingresso.
Intanto i fatti prodigiosi si rinnovavano per cui il Parroco sollecitò con lettera Mons. Vicario perché si volesse decidere sul da farsi. Mons. Carrara delegò con lettera del 25 agosto 1607 l'Arciprete di Clusone, don Decio Berlendis, perché si portasse sul luogo per prendere tutte le informazioni ed istruisse un processo giuridico in merito all'avvenimento accaduto. L'Arciprete venne immediatamente ad Ardesio e con il Parroco del paese si recò nella casa di Marco Salera ed esaminò ogni cosa. Nello stesso ambiente costituì il tribunale canonico composto, oltre che dai due Sacerdoti, da un pubblico Notaio Sig. Marco Maria Gaffuri ed altre ragguardevoli persone in funzione di giurati.
Furono interrogati diciannove testimoni che rilasciarono deposizioni giurate sulla autenticità della Apparizione. (Testimonianze conservate nell'archivio del Santuario).
Accertata la verità dei fatti, il Vicario Generale ordinò di coprire con un velo le Sacre Immagini e permise il libero accesso alla stanza.
Nel frattempo, in Ardesio cominciarono a verificarsi guarigioni improvvise e inspiegabili. Di questi fatti furono ascoltati altri diciotto testimoni del paese e cinque di Songavazzo. La lettura di questi atti convinse Mons. Carrara a portarsi in Ardesio per un sopralluogo personale. Giunse in Ardesio l'11 novembre e lì interrogò sia i primi che i secondi testimoni. Constatata la realtà dei fatti, il continuo flusso di pellegrini e l'ardente brama della popolazione, permise che si fabbricasse un Santuario con il titolo di Madonna delle Grazie.

L'apparizione di Ardesio avvenne in un periodo in cui l'eresia protestante, giunta dalla Svizzera e penetrata in Valtellina, zone con le quali molti valligiani avevano rapporti commerciali o professionali, stava tentando di propagarsi anche nelle valli orobiche, in parte facilitata dal governo della Serenissima che all'epoca era in contrasto con il papa e aveva espresso toni di condanna nei confronti dell'editto del cardinale Borromeo contro le dottrine "erronee".



La delibera per la costruzione della chiesa risale al 13 gennaio 1608, mentre la posa della prima pietra è del 24 giugno dello stesso anno. Successiva è invece la costruzione del campanile, iniziato nel 1645.
Il 24 giugno 1608, in solenne processione , con il Parroco don Gaffuri, fu collocata la prima pietra.
Incorporata ad essa, una lastra di piombo recava questa iscrizione latina:
« nel giorno 24 giugno 1608, essendo Papa Paolo V e Doge in Venezia Leonardo Donati , Vescovo di Bergamo Giovanni Battista Milani, la prima pietra di questa Chiesa è posta per mano del Sacerdote Andrea Gaffuri, Parroco ».
I lavori di costruzione procedettero con solerzia. Il Comune mise a disposizione i suoi boschi ed altre somme per pagare la manodopera degli operai. A più riprese si susseguirono delibere consiliari per molteplici concessioni. La motivazione era sempre all'unanimità , così formulata:
« à questo acciò detta Vergine Maria interceda presso Dio per questo Comune ».
La popolazione prestò la sua collaborazione offrendo una giornata a turno per lavorare. La fabbrica fu accelerata in modo tale che il 5 agosto 1608, finita la cappella dell'altare maggiore, vi fu celebrata la prima Messa e quindi con solennità una seconda dall'Arciprete di Clusone. Tale ricorrenza fu la solennità più grande del Santuario fino al 1691, anno in cui con pubblica delibera, si stabilì di festeggiare la data del 23 giugno di ogni anno, anniversario dell'Apparizione, essendo tra l'altro terminati i lavori di costruzione. Il Sommo Pontefice Paolo V con Breve del 27 gennaio 1609 concesse l'indulgenza plenaria a chi visitava il Santuario nel giorno dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria (non era ancora fissata la celebrazione per il 23 giugno) e pregava per la concordia dei principi cristiani, l'estinzione delle eresie e l'esaltazione della Santa madre Chiesa. Con un altro Breve del 29 luglio 1617 lo stesso Pontefice Paolo V ordinò che la Chiesa del miracolo avesse una sua amministrazione autonoma, non venisse mai vincolata a commenda o beneficio ecclesiastico alcuno; l'amministrazione di tutti i beni, di qualunque natura e da qualsiasi parte provenissero, rimanesse sempre in mano agli uomini di quella terra. Solo ne dovevano rendere conto al Vescovo Ordinario ogni anno. (i due brevi sono conservati, in originale , nell’archivio del Santuario). Questi documenti non solo dimostrano il sollecito intervento dell'autorità ecclesiastica, ma sono anche la prova della veridicità storica dei fatti narrati.

Nel 1645 iniziò la costruzione del campanile conclusasi circa vent'anni dopo con la spesa di ventimila scudi. Si adoperò marmo locale fornito dalla cava che ancor oggi è chiamata la «Corna della Madonna». Raggiunge l'altezza di 68 metri con una elegante linea architettonica che lo rende uno dei più ammirati della diocesi.La costruzione della struttura venne affidata all'Arch. Giovmaria Bettera da Gandino che era anche l'autore del disegno approvato all'unanimità.
Si assicura che il Card. Carrara alla vista del campanile, affermasse alla presenza del Vescovo di Bergamo Mons. Paolo Dolfin: « non ho visto cosa più solida né più elegante fuori delle porte di Roma». Le otto campane in-Re Bemolle maggiore classico che salutano i pellegrini furono fuse nella Fonderia Crespi da Crema nel 1780.

L'organo, opera di sommo rilievo, fu eseguito dal Sig. Giovanni Rogantino da Morbegno che con contratto autenticato dal notaio Bernardino Baldi di Clusone, nell'anno 1636 si obbligava a « costruirlo perfettissimo quanto sia possibile, con peltro del più fino ».

Nello stesso anno i tre intagliatori Battista Chinetti da Gandino, Paolo Luino e Andrea Facchinetti di Bergamo approntavano la grandiosa cassa e la Cantoria con pregevoli rilievi.
Fino alla metà del secolo scorso l'organo occupava gran parte della parete laterale sud del Santuario e la sua mole, avanzando nell'interno della navata centrale, impediva la linea architettonica e quindi la visuale armoniosa del tempio. Nel 1862 si pensa di collocarlo sulla facciata di fondo. La sistemazione con il rifacimento di tutta la meccanica, mantenendo le antiche canne, fu affidata ai fratelli Carlo e Francesco Perolini di Bergamo e lo spostamento della cassa al Sig. Giacomo Angelini detto Cristina sotto la direzione dell'architetto Cattò, pure di Bergamo. L'opera fu ultimata per il giugno 1863. Nel frattempo i pittori Maironi procedevano con gli affreschi in genere e il Bergametti ricavava leggeri dipinti nel 1864 e il Dolcini, più tardi nel 1884 rivestiva la volta di vivaci e abbondanti stucchi. Inizialmente il Santuario risultava di solamente 3 arcate; in seguito ne fu aggiunta una quarta nel 1718 e questo permise più tardi lo spostamento, come s'è detto, dell'organo e della cantoria.

Venne conservata la parete di fondo ovest e gli affreschi vennero incorniciati da una grande ancona in legno scolpito, dorato e dipinto, suddivisa in quattro scomparti. In alto sempre in legno scolpito dorato e dipinto, in rilievo cartelle raffiguranti: la Visitazione, lo Sposalizio e la fuga in Egitto. Dette opere sono dei Fantoni. Nella volta campeggia la tela dell'Immacolata tra un coro di Angeli, dipinta da Domenico Carpinoni. Negli angoli e nei vani intermedi ci sono opere affrescate dal pittore Cesare Maironi. Sulle pareti di fianco sono due ovali molto belli con la deposizione della Croce e la reposizione al sepolcro. Le due opere sono attribuite ad Antonio Guadagnini. Ci sono poi due cappelle laterali una dedicata a S. Anna e l’altra a S. Giuseppe con i rispettivi altari abbelliti da quadri del Guadagnini. Le volte abbellite dagli stucchi sono completate da numerosi ovali che glorificano la Madonna.

Ai piedi della stupenda ancona dell'affresco è collocato l'Altare Maggiore. Si presenta in bella armonia di marmi policromi con sculture e intarsi. La mensa è arricchita sulla fronte di un bel paliotto decorato da formella in marmo bianco ad alto rilievo che rappresenta il fatto dell'Apparizione, coronata da due angioletti quasi a tutto tondo. Seduti sui modiglioni ai lati del palio altri due angioletti. I gradini per i candelieri sono due con intarsi di marmi a girali, uccelletti e madreperle coronano ai lati il tabernacolo a tempietto ottagonale riccamente decorato. Tutto il lavoro delle opere descritte è dei Fantoni.

Sull'arco trionfale che chiude il presbiterio è il grande affresco della scena dell'Apparizione eseguito da Cesare Maironi.
Al centro della volta quattro belle grandi tele di autore ignoto. Sui fianchi della volta una bella sequenza di 6 affreschi che commentano le varie invocazioni contenute nella " Salve Regina ". L'autore più probabile è Francesco Bergametti discepolo del Guadagnini. Lungo la navata, sui due lati sono state affrescate dal pittore Cesare Maironi figure dell'antico testamento. Nella volta sono riportate in quattro lunette scene di altre quattro apparizioni, tra le più ricordate, della Vergine Santa: Quella della Madonna del miracolo di Desenzano, quella del Santuario di Tirano in Valtellina, quella della Madonna della fontana in Caravaggio, e quella di Lourdes. Lungo le navate laterali sono raffigurati nelle volte due teorie di Santi. Sono opera di Alberto Maironi , fratello di Cesare. Le due navate sono arricchite da due dipinti ad olio su tela del pittore Antonio Guadagnini raffiguranti una l'adorazione dei Magi e l'altro le Nozze di Cana. Sono grandiosi e molto belli, vengono ritenuti tra le opere migliori di questo pittore. Sul lato della navata laterale è stato posto un affresco del XV secolo donato da un privato di Ardesio al Santuario. Rappresenta il Mistero dell'Annunciazione di Maria Vergine. Tra i quadri e dipinti del Santuario, non va dimenticato L'incoronazione della Vergine con S. Carlo Borromeo in preghiera, un dipinto ad olio, del XVII secolo. La maniera dell'esecuzione è quella di Palma il Giovane.

La volta è sorretta da cornicione con aggetto decorato, appoggiato a sua volta su archi in muratura, sostenuti da colonne in marmo grigio locale in stile composito classico. Le navate laterali sono coperte da serie di volte a botte in muratura, gravati su piattabande, sorrette da colonne e paraste in marmo, in stile composito, incastonate nelle mura esterne. Il presbiterio, diviso dalle navate da un poderoso arco trionfale, sorretto da paraste scanalate in stile composito, rialzato da quattro gradini rispetto alla quota delle navate (non ha il coro), coperto da cupola a tazza sorretta da mensole arcuate. Completano il transetto due edifici coperti da cupola a tazza e lunotto a lanterna.La cripta, sotto il presbiterio è a pianta quadrata, coperta da cupola in muratura a tazza, ampliata dalla parte sotto la Sacrestia, a pianta rettangolare, su due possenti pilastri che ergono una serie di volte a crociera. La facciata est, è una struttura architettonica eseguita in pietra locale e marmo rosso a fronte in stile ionico settecentesco, riproduce la forma interna dell'edificio a tre navate. Le parti laterali sono ornate da due grandi paraste in stile ionico con sovrastante ricco cornicione marmoreo. Nella parte centrale, alla base ha sede l'entrata principale, affiancata da due ampie finestre con abbondanti decorazioni marmoree. In alto vi sono due finestre cieche a forma di edicola. La parte centrale termina con decoroso cornicione marmoreo. La parete sud è ornata da un elegante portichetto, eseguito a ricordo della Consacrazione del Santuario del 1919. E' costituito da una serie di archi a tutto sesto, sorretti da colonne in pietra locale in stile tuscano classico. Tra queste ed il muro della Chiesa si ergono leggere volte a vela in muratura. Il campanile nell'imponenza dei suoi 68 metri di altezza, eseguito in pietra locale a base quadrata fino alla cella campanaria, è completato in forma ottagonale ed arricchito da decorazioni in marmo rosso con capitelli e mascheroni stile barocco e cupola a cipolla.

Il pulpito, proveniente dalla bottega dei Fantoni, I due Angeli con Crocifisso donati dallo Scultore Andrea Fantoni.
Nello scurolo del Santuario è stato allocato il cosiddetto Sepolcro Fantoniano, composto da sette statue a grandezza più che naturale: il Cristo Morto posto sul trono-letto, la Vergine Addolorata seduta ai piedi della Croce, la Maddalena, Giovanni Evangelista, Maria di Cleofa, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Nel Santuario esiste anche una ricca raccolta di quadri/tavolette "ex voto".



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mercoledì 17 giugno 2015

IL SANTUARIO DI CARAVAGGIO

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L’anno 1432 dalla nascita del Signore, il giorno 26 maggio alle ore cinque della sera, avvenne che una donna di nome Giannetta oriunda del borgo di Caravaggio, di 32 anni d’età, figlia di un certo Pietro Vacchie sposa di Francesco Varoli, conosciuta da tutti per i suoi virtuosissimi costumi, la sua cristiana pietà, la sua vita sinceramente onesta, si trovava fuori dall’abitato lungo la strada verso Misano, ed era tutta presa dal pensiero di come avrebbe potuto portare a casa i fasci d’erba che lì era venuta a falciare per i suoi animali.
Quand’ecco vide venire dall’alto e sostare proprio vicino a lei, Giannetta, una Signora bellissima e ammirevole, di maestosa statura, di viso leggiadro, di veneranda apparenza e di bellezza indicibile e non mai immaginata, vestita di un abito azzurro e il capo coperto di un velo bianco.
Colpita dall’aspetto così venerando della nobile Signora, stupefatta Giannetta esclamò: Maria Vergine!
E la Signora subito a lei: Non temere, figlia, perché sono davvero io. Fermati e inginocchiati in preghiera.
Giannetta ripose: Signora, adesso non ho tempo. I miei giumenti aspettano questa erba.
Allora la beatissima Vergine le parlò di nuovo: Adesso fa quello che voglio da te...
E così dicendo posò la mano sulla spalla di Giannetta e la fece stare in ginocchio. Riprese: Ascolta bene e tieni a mente, perché voglio che tu riferisca ovunque ti sarà possibile con la tua bocca o faccia dire questo...
E con le lacrime agli occhi, che secondo la testimonianza di Giannetta erano, e a lei parvero come oro luccicante, soggiunse:
L’altissimo onnipotente mio Figlio intendeva annientare questa terra a causa dell’iniquità degli uomini, perché essi fanno ciò che è male ogni giorno di più, e cadono di peccato in peccato. Ma io per sette anni ho implorato dal mio Figlio misericordia per le loro colpe. Perciò voglio che tu dica a tutti e a ciascuno che digiunino a pane ed acqua ogni venerdì in onore del mio Figlio, e che, dopo il vespro, per devozione a me festeggino ogni sabato. 
Quella metà giornata devono dedicarla a me per riconoscenza per i molti e grandi favori ottenuti dal Figlio mio per la mia intercessione.
La Vergine Signora diceva tutte quelle parole a mani aperte e come afflitta. Giannetta disse: La gente non crederà a me.
 La clementissima Vergine rispose: Alzati, non temere. Tu riferisci quanto ti ho ordinato. Io confermerò le tue parole con segni così grandi che nessuno dubiterà che tu hai detto la verità.
Detto questo, e fatto il segno di croce su Giannetta, scomparve ai suoi occhi.
Tornata immediatamente a Caravaggio, Giannetta riferì tutto quanto aveva visto ed udito. Perciò molti – credendo a lei – cominciarono a visitare quel luogo, e vi trovarono una fonte mai veduta prima da nessuno.
A quella fonte si recarono allora alcuni malati, e successivamente in numero sempre crescente, confidando nella potenza di Dio. E si diffuse la notizia che gli ammalati se ne tornavano liberati dalle infermità di cui soffrivano, per l’intercessione e i meriti della gloriosissima Vergine Madre di Dio e Signore nostro Gesù Cristo.


Dopo l'episodio del ramo fiorito altri fatti miracolosi testimoniarono la sacralità del luogo. La mannaia conservata nel sotterraneo del Sacro Fonte, antenata della più tristemente famosa ghigliottina, testimonia un episodio accaduto nel 1520. Un capo dei briganti, tale Giovanni Domenico Mozzacagna di Tortona, fu catturato nei dintorni e condannato a morte. Affinché l'esecuzione servisse da monito a molti, si decise di fissarla per il 26 maggio, giorno in cui la ricorrenza dell'Apparizione molta gente si sarebbe recata a Caravaggio. Durante i mesi di prigionia che precedettero la data stabilita il brigante si pentì e si convertì. Venne il giorno della esecuzione ma per quanti tentativi vennero fatti la scura s'inceppava prima di arrivare al collo del condannato. La folla gridò al miracolo; il condannato prima tornò in carcere e poi fu definitivamente liberato. Nella seconda celletta del sotterraneo viene conservato un catenaccio spezzato che ricorda un fatto avvenuto nel 1650. Un pellegrino, imbattutosi in un nemico che lo minacciava di morte, corse al riparo verso il tempio, ma trovando la porta chiusa invocò la Madonna. Il catenaccio si spezzò e la porta si aprì per poi richiudersi in faccia al persecutore.
Sul piazzale antistante il tempio, nei pressi della fontana, un obelisco ricorda un singolare fatto accaduto nel 1550. Un soldato dell'esercito di Matteo Grifoni, generale della Repubblica Veneta, rubò dal Sacro Fonte una preziosa tazza e la nascose in un bagaglio sopra il dorso di un mulo; ma quando fece per andarsene il mulo non ne volle sapere di muoversi. Il furto fu scoperto e il prezioso oggetto restituito. Il Comandante fece elevare a ricordo del fatto una Cappelletta che, caduta in seguito all'erosione delle acque, fu rimpiazzata nel 1752 da un obelisco. Divenuto cadente questo, nel 1911 fu sostituito con un altro a ricordare anche le celebrazioni del 1910 e del 2° centenario dell'incoronazione della Madonna. Sulle quattro facciate della base dell'obelisco tre epigrafi ricordano il fatto della tazza, la prima cappella e l'obelisco del 1752, le feste centenarie del 1910; sulla quarta è riportata un'esortazione al culto della Vergine.
Il Santuario Santa Maria del Fonte di Caravaggio, in provincia di Bergamo e diocesi di Cremona, è un immenso complesso eretto a partire dal XVI secolo sul luogo di una miracolosa apparizione della Vergine ad una contadinella.
Per secoli una pergamena antichissima che racconta l’apparizione della Madonna alla contadina Giannetta, è stata esposta in chiesa, nella sagrestia maggiore.
Il vescovo di Cremona Cesare Speciano, in visita al Santuario il 27 aprile 1599, l’ha fatta trascrivere come “documento ufficiale” dell’Apparizione stessa e di quanto avvenne in seguito.
Questa “memoria”: ci presenta il dialogo tra Maria e la veggente Giannetta e i “segni” che caratterizzano l’Apparizione del 1432.

L'erezione dell'attuale tempio mariano, fortemente voluto dall'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, iniziò nel 1575 dietro progetto dell'architetto Pellegrino Tibaldi (detto il Pellegrini); alternando fasi di sviluppo a lunghi intervalli, l'opera di costruzione si protrasse fino ai primi decenni del XVIII secolo, con numerose modifiche, seppur di poco conto, rispetto al progetto originario del Pellegrini.
Nell'aprile del 1906 papa Pio X lo elevò alla dignità di basilica minore.

Il Santuario di Caravaggio, oggi, oltre a fungere da importante luogo di preghiera, ospita oggigiorno un Centro d'accoglienza per pellegrini ed ammalati, un Centro di consulenza matrimoniale e familiare ed un Centro di spiritualità. Gli edifici che ospitano tali attività furono ristrutturati sul finire del XX secolo dagli architetti caravaggini Paolo e Salvatore Ziglioli; l'auditorium ospita pregevoli vetrate del pittore caravaggino Giorgio Versetti. La Cappella del centro di spiritualità, che venne inaugurata da papa Giovanni Paolo II durante il suo soggiorno presso il santuario nel 1992, ospita sculture ad opera del mozzanichese Mario Toffetti.

Il tempio monumentale sorge al centro di una vasta spianata circondata da portici simmetrici su tutti e quattro i lati, che corrono, con 200 arcate, per quasi 800 metri. Nel piazzale antistante il viale di collegamento con il centro cittadino si trova un alto obelisco in marmo con putti bronzei, opera di Rustico Soliveri, che, attraverso le sue iscrizioni, ricorda i diversi miracoli attribuiti dalla tradizione cattolica alla Madonna di Caravaggio. Poco oltre l'obelisco si trova una fontana di grosse dimensioni, la cui acqua passa sotto la chiesa, raccoglie quella del Sacro Fonte e confluisce nel piazzale posteriore, dove viene raccolta in una piscina a disposizione degli infermi per immergere le membra malate.

Un triplice viale alberato lungo circa 2 km, completato nel 1709, raccorda il Santuario al centro cittadino; al termine del viale, in corrispondenza dell'ingresso nel centro storico, si trova il trionfale arco di Porta Nuova, che reca nell'attico un gruppo marmoreo dell'Apparizione e fu eretto nel 1709 in occasione della solenne incoronazione della Vergine.

L'esterno della chiesa è grandioso: l'edificio misura 93 metri per 33, e raggiunge un'altezza di 22 metri che, con la cupola, arriva a 64 metri. L'edificio non è rivolto verso il viale di collegamento con la città, che venne costruito in seguito, ma, come dettato dalle consuetudini liturgiche, è disposto in maniera tale che il celebrante sia rivolto verso oriente. Esternamente, l'architettura è caratterizzata dal grigio dell'intonaco e il rosso dei mattoni. È questa l'estetica acquisita dopo i restauri degli anni settanta che eliminarono non senza polemiche il "giallo di Milano" che intonacava i muri.

All'interno il tempio mariano si presenta ad una sola navata, con una caratteristica pianta a croce latina, ed è caratterizzato da uno stile classico, con pilastri dai capitelli ionici.

Il tempio appare, in verità, diviso in due corpi separati: quello occidentale, più vasto, ospita quattro cappelle riccamente decorate per lato, le cantorie e l'ingresso principale; quello orientale, di dimensioni minori, consente la discesa alla cripta. Le due parti sono separate dal maestoso altare maggiore.

La decorazione del tempio è opera dei pittori caravaggini Giovanni Moriggia e Luigi Cavenaghi. Giovanni Moriggia dipinse, fra il 1845 ed il 1859, i quattro pennacchi sottostanti la cupola, che rappresentano Giuditta (la fortezza), Rut (la temperanza), Abigaille (la prudenza) ed Ester (la giustizia), oltre alla gloria della cupola stessa (l'Apoteosi di Maria), alle volte dei due bracci a lato dell'altare (La Cacciata di Adamo, La Natività di Maria, La Presentazione di Maria al tempio, Gesù fra i dottori, L'Assunzione di Maria Vergine) e ai lunettoni sull'arco interno delle due facciate (L'Annunciazione, Visita a Santa Elisabetta, Lo Sposalizio di Maria, La Natività di Gesù). Luigi Cavenaghi, fra il 1892 ed il 1903, si occupò della decorazione della volta dell'intero edificio.


Al di sopra del sacrario, e in corrispondenza della cupola centrale, si trova l'altare maggiore, certamente l'elemento più ricco e fastoso tra i complessi monumentali del santuario. Si tratta di una struttura rotonda in marmo, caratterizzata da colonne alternate a statue che sorreggono un trono slanciato verso la cupola; quest'ultimo termina in una gloria di angeli che portano una corona di stelle. Il progetto originario dell'altare è dell'architetto Filippo Juvarra, che si ispirò agli studi di Michelangelo per l'altare della Confessione della Basilica Vaticana; il complesso fu realizzato fra il 1735 ed il 1750 dall'ingegnere milanese Carlo Giuseppe Merlo, con la collaborazione degli scultori Nava e Mellone.


La parte del Santuario più ricca di opere d'arte è la sagrestia, anticamente cappella gentilizia della famiglia Secco; sulla sua volta campeggiano stupendi affreschi di Camillo Procaccini che illustrano episodi della vita di Maria. Le cimase degli elaborati armadi ospitano uno stuolo di putti alati, opera del caravaggino Giacomo Carminati.

Al di sotto dell'altare maggiore si trova il Sacro Speco, che ospita il gruppo statuario ligneo che ricostruisce la scena dell'Apparizione. L'opera, dello scultore di Ortisei Leopoldo Moroder, fu inaugurata nel 1932, in occasione dei festeggiamenti per il quinto centenario dell'Apparizione. Il cardinale Schuster, Legato Pontificio, celebrò personalmente l'incoronazione della statua, cui è possibile accedere direttamente dal braccio orientale della navata principale.

Sotto lo Speco si trova il Sacro Fonte sotterraneo, al quale si accede dall'esterno del tempio, ove si trova una fontana da cui si può attingere l'acqua. Si tratta, secondo la leggenda, del luogo esatto dove la giovane Giannetta de' Vacchi assistette alla prima apparizione della Madonna, la quale, come prova della propria origine divina, fece sgorgare una sorgente d'acqua dal terreno.

Il sotterraneo d'accesso al Sacro Fonte consiste in un lungo corridoio di circa trenta metri, che attraversa da lato a lato la chiesa e venne rivestito con mosaici dal pittore Mario Busini negli anni cinquanta del XX secolo. Il corridoio appare diviso in cinque celle successive; nella prima, tre nicchie ricavate dentro le pareti accolgono una Madonna marmorea, la ghigliottina e il catenaccio spezzato, a ricordo dei diversi miracoli attribuiti alla Vergine del Fonte.

Alla base della Madonna si trova un'epigrafe gotica, uno dei più importanti documenti risalenti all'epoca dell'Apparizione; il testo si compone di sei esametri latini, e recita

« La terra di Caravaggio è stata recentemente resa davvero felice, perché le apparve la Santissima Vergine nell'anno 1432 al tramonto del sesto giorno avanti le calende di giugno; ma Giovannetta è assai più felice di ogni altra persona, perché meritò di vedere la gran Madre del Signore. »

Il grande organo a canne della chiesa è stato costruito nel 1955 dalla ditta organaria milanese Balbiani Vegezzi-Bossi e, nel maggio dello stesso anno, collaudato dall'organista castiglionese Federico Caudana.
Lo strumento è a trasmissione elettrica, con 5600 canne, ed ha quattro tastiere (rispettivamente: Positivo espressivo, Grand'Organo, Espressivo e Corale-Eco, che insistono sulla stessa tastiera) di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32 note. I corpi d'organo sono così disposti all'interno della chiesa:
sulla parete destra della navata centrale, a metà di quest'ultima, all'interno dell'artistica cassa lignea settecentesca, si trovano le canne del Positivo espressivo, del Grand'Organo e dell'Espressivo;
all'interno della cupola si trovano le canne del corpo Eco espressivo (quarta tastiera);
alle spalle della consolle, sulla cantoria che si trova sulla parete di fronte rispetto alla cassa barocca, le canne del corpo Corale (quarta tastiera).



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sabato 30 maggio 2015

IL SANTUARIO DI SANTA MARIA DELL' APPARIZIONE A PANDINO

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Il santuario di Santa Maria dell'Apparizione (noto anche come santuario del Tommasone o Madonna del Riposo) è un luogo di culto mariano situato a Pandino.

Il moderno santuario si trova lungo la vecchia strada per Rivolta d'Adda, accanto ai resti di una più antica costruzione, ai margini settentrionali del centro abitato di Pandino.

Secondo la tradizione ad un giovane di nome Tommaso Damici nell'anno 1432 gli apparve la Madonna del Riposo in una località prossima alla cascina Falconera. Damici riuscì a convincere le autorità a costruire sul luogo dell'apparizione una cappella, entro la quale vi fu collocata una statua lignea.

C’era una volta, a Pandino, persa nella campagna, una vecchia cascina, proprio sulla curva, dove la strada si biforca : a destra si va ad Agnadello, diritto si arriva a Rivolta.
Per quasi duecento anni l’avevano abitata varie famiglie di agricoltori.
Si chiamava “Cascina Tomasone” e il nome le derivava da una vecchissima storia, tramandata dalla gente di padre in figlio.
Nel lontano 1432, quando Pandino aveva da pochi anni un Castello, pur essendo un piccolo borgo di soli quattrocento abitanti, nel cascinale abitava Tomaso Damici, un giovanotto robusto, detto anche Tomasone.
Era da poco rimasto orfano di genitori e conduceva la terra, che suo padre gli aveva lasciato, meglio che poteva.
A questo giovanotto, una notte, è apparsa la Madonna col Bambino in braccio, seduta sopra il ceppo di un noce, che un furioso temporale aveva abbattuto qualche giorno prima.
Quella notte egli stava andando a incendiare la cascina del suo vicino, Gaspare della Falconera, col quale aveva avuto un dissidio. Per tre volte egli è uscito di casa, tenendo delle brace accese in un coppo.
Ma giunto al cancello , ogni volta s’accorge che una bella signora forestiera sta riposandosi con un bimbo sulle ginocchia ed un libro in mano, proprio lì, su quel ceppo di noce che egli, a fatica, aveva trascinato in cascina, dopo averne a lungo discusso col vicino, che ne reclamava la proprietà. E ogni volta rientra in casa, sperando che la signora se ne vada.
Ma la terza volta la Madonna lo ferma , gli parla, si fa riconoscere , lo induce al perdono e chiede che venga costruita una chiesa, proprio lì, sul posto, come segno di pace.
Tomaso cade in ginocchio e si pente del gesto malvagio che stava attuando. Quando rialza la testa, la bella Signora è scomparsa. Ai piedi del ceppo di noce è sgorgata una fonte che prima non c’era.
Alle prime luci dell’alba, Tomaso corre in paese, parla con la gente, racconta a tutti la strana apparizione. I capi di Pandino insieme a donne, uomini e bambini, corrono al Tomasone.
E’ vero ! Lì c’è una pozza d’acqua cristallina che non c’era mai stata.
Arriva anche Ubone degli Uberti , il marmista, da sempre zoppicante e sofferente : arriva arrancando, dietro a tutti, con le sue stampelle : pieno di fiducia , immerge la gamba dolorante nella fonte del miracolo e la ritrae guarita. Butta le stampelle e grida il suo grazie a Maria.
Le madri pandinesi, nel corso dei secoli, hanno raccontato la storia di questo lontano miracolo ai figli bambini e poi, ogni volta, li portavano nella piccola chiesa di Santa Marta, di fronte al Castello, davanti ad una statua di legno dorato e dicendo :
“Ecco, questa è la Madonna del Tomasone, fermiamoci a dire un’ Ave Maria” :
Così i ragazzini pandinesi sono cresciuti per decenni, forse addirittura per secoli.

In seguito al consolidarsi della devozione, la cappella venne inglobata in un più ampio Santuario edificato alla fine del XV secolo. Sotto il portico antistante la Chiesa, venne conservata la cappella preesistente, nella quale continuò la devozione alla Vergine attraverso il suo simulacro.
Il Santuario quindi comprendeva: la cappella dell’apparizione, una fontana, la Chiesa con portico, ed una casa dove risiedeva un eremita addetto alla cura del luogo.
Nel seicento, per attribuire maggiore dignità e rilievo al culto della Vergine, la statua lignea fu spostata dalla nicchia esterna (che costituiva il reale luogo dell’apparizione) al più consono altare maggiore nell’abside del Santuario.

La descrizione più completa perviene grazie alla visita pastorale del Vescovo Fraganeschi del 1752. L’edificio appariva di discrete proporzioni, con portico in facciata; l’interno era ad una sola navata con ampio presbiterio contenente l’altare maggiore. L’altare ligneo custodiva la statua della Madonna (oggi nel nuovo Santuario) nascosta da una tela che recava dipinta la stessa immagine, e che, tramite un meccanismo, veniva sollevata durante le feste maggiori, mostrando così la statua ai fedeli.
Dietro l’altare si trovava un ampio coro illuminato da due finestre, tra le quali era collocata una tela con l’immagine di San Rocco, verso il quale nei secoli si era sviluppata una forte devozione parallela a quella per la Vergine.
Nella navata si trovavano due altari laterali, uno a destra, con statua di San Rocco, ed uno a sinistra, contenente un enorme quadro dell’Assunta. Questa grande tela di Andrea Mainardi, detto il Chiaveghino, dipinta nel 1586, è oggi conservata nella Chiesa Parrocchiale sul lato destro dopo l’ultima cappella. Fu commissionata per l’altare maggiore del Santuario, ma la costruzione del nuovo altare con l’immagine della Vergine ne fece venir meno la funzione, determinandone lo spostamento nell’altare laterale.

Le pareti erano ricoperte da numerosi affreschi di epoche diverse, recanti immagini di Santi. Ad oggi restano lacerti visibili di quanto rimane dell’antico Santuario.
Si possono riconoscere, da sinistra verso destra, San Fermo, i Santi Gioacchino ed Anna, San Defendente e San Carlo Borromeo in adorazione della Madonna di Loreto, le Sante Margherita e Lucia. Tutti gli affreschi sono inquadrati in una partitura pittorica che simula un susseguirsi di lesene in falsa prospettiva, che a loro volta inquadrano riquadri e nicchie.

Nella seconda metà del XVIII secolo, il lento declino del Santuario si concluse con la soppressione dovuta agli effetti di una riforma promulgata da Maria Teresa d’Austria nel 1755, che aveva coinvolto anche il patrimonio ecclesiastico.
La statua, simbolo della devozione dei pandinesi alla Madonna, venne quindi collocata sull’altare maggiore della Chiesa di S. Marta, con la promessa di essere riportata nella sua Casa appena fosse stato possibile.
Il Santuario, dopo reticenze da parte dell’amministrazione locale, dovette essere venduto a privati, che presto lo adibirono a cascinale. I proventi della vendita vennero destinati al pagamento dei debiti contratti dalla Comunità pandinese per la costruzione dell’ambizioso progetto della Chiesa Parrocchiale.

A distanza di oltre due secoli, giunse il momento tanto atteso, e, grazie all’infaticabile opera dell’allora Parroco Mons. Luigi Alberti, fu possibile riedificare un nuovo Santuario dove ricollocare la venerata immagine della Vergine del Riposo.
Posata la prima pietra il 23 Aprile dell’anno 1995, il Santuario venne consacrato il 5 Ottobre del 1997 dall’allora Vescovo di Cremona Mons. Giulio Nicolini.
Il nuovo edificio rispetta il significato dell’antico Santuario: vi si riconoscono infatti la fontana, memoria dell’antica vasca d’acqua, le opere Parrocchiali annesse (fra le quali la Casa dell’Accoglienza), che richiamano l’antico casolare dell’eremita, il portico, segno dell’accoglienza verso i pellegrini.





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domenica 17 maggio 2015

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEI MIRACOLI A CANTU'

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Il Santuario della Madonna dei Miracoli o Madonna Bella di Cantù è il simbolo principale della fede Canturina.

Secondo la tradizione, nel 1543, fuori la porta di Campo Rotondo (ora piazza degli Alpini), era presente un pilastro su cui era impressa la sacra effige della Madonna Bella (da cui il nome), che le anime devote erano solite adorare; proprio qui nel 1550 ca., Maria apparve ad una fanciulla, Angiolina della Cassina Novello, intenta a pregare per la fine della carestia, presso l’immagine. Maria le disse di andare in paese e avvisare che era tempo di mietere; con grande stupore e felicità tutti andarono a raccogliere le messi miracolose e la miseria terminò.

Presto la notizia si diffuse in tutta la zona dando inizio al culto di Santa Maria Bella, i tanti miracoli che si raccontano la fecero diventare la Madonna dei Miracoli.
L’immagine è ora conservata sopra l’altare e risale al 1300, forse un tempo posta in un altro edificio sacro e rappresenta Maria, tra due angeli musicanti davanti ad un trono in legno tricuspidato, con un raffinato stile gotico.
All’esterno della chiesa  la bella facciata in stile barocco, ma con un gusto che risente anche del neoclassico; fu terminata nel 1900 per opera dell’architetto Zanolini ed è ricca di elementi decorativi: nella parte inferiore, presenta delle lesene che la dividono in tre scomparti; nella parte superiore, si trova la statua della Madonna Immacolata, custodita dentro una nicchia raggiata.
All’interno presenta una struttura a tre navate, sormontate da volte a cupola in corrispondenza del transetto; la volta centrale era in origine più alta dell’attuale di due metri circa, come evidenzia l’affresco sulla parete.
Nel 1637-38, la Cappella grande fu meravigliosamente dipinta da Giovanni Mauro della Rovere, detto il Fiamminghino, su consiglio di San Carlo Borromeo, che visitò il santuario nel 1570 e notò la mancanza di opere pittoriche.
Il Fiamminghino si occupò magistralmente anche della cupola al cui centro la Vergine Assunta è circondata da putti festanti, sopra un porticato di otto scomparti, in cui sono rappresentati assisi sul trono i profeti Ezechiele, Geremia, Isaia, Mosè, il Re Davide e il Re Salomone.
Sulle pareti del presbiterio verso la chiesa, sempre ad opera del Fiamminghino, troviamo due bellissime raffigurazioni: La visita dei Re Magi (a sinistra) e Le nozze di Cana (a destra).
Le vistose differenze all’interno del santuario sono dovute al crollo che nel 1837 interessò la struttura e costrinse ad una lunga e dispendiosa ristrutturazione.
Nella seconda metà del ‘800 un altro crollo, portò alla ricostruzione dell’esterno del presbiterio, che fu però abbellito con degli stucchi, dei bassorilievi, degli ornamenti e opere pittoriche dall’architetto Giacomo Moraglia e, sempre in questa occasione, l’immagine della Madonna Bella fu spostata sull’altare maggiore, in marmo bianco, opera del Calvi, perfetta cornice per la sacra effige.
Gli affreschi del coro sono molto interessanti, opera di un autore ignoto, risalgono al 1724.
Tra il 1846 e il 1909 furono rifatti l’organo, l’altare maggiore e il pulpito in stile cinquecentesco, ma non sempre la nuova struttura si integra bene con la struttura antica, diversa la spazialità definita da luci, colori e materiali diversi; nelle navate i toni dominanti del bianco e dell’ocra, si distinguono dallo spazio attorno all’altare che presenta invece colori vivaci e decisi.
Nel 1923, sulla parete destra della Chiesa, fu eretto un nuovo altare, ideato dall’architetto Orombelli, in onore ai caduti della prima guerra mondiale.
Sulla navata di sinistra è visibile L’incoronazione della Vergine opera di Camillo Procaccini, risalente al 1610 e, sull’altare minore, L’apparizione di Cristo a S. Teresa opera di Grandon del 1714.




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martedì 21 aprile 2015

LA MADONNA DEL CARMINE



La devozione spontanea alla Vergine Maria, sempre diffusa nella cristianità sin dai primi tempi apostolici, è stata man mano nei secoli, diciamo ufficializzata sotto tantissimi titoli, legati alle sue virtù, ai luoghi dove sono sorti Santuari e chiese che ormai sono innumerevoli, alle apparizioni della stessa Vergine in vari luoghi lungo i secoli, al culto instaurato e diffuso da Ordini Religiosi e Confraternite, fino ad arrivare ai dogmi promulgati dalla Chiesa.
Maria racchiude in sé tante di quelle virtù e titoli, nei secoli approfonditi nelle Chiese di Oriente ed Occidente con Concili famosi e studi specifici, tanto da far sorgere una terminologia ed una scienza “Mariologica”, e che oltre i grandi cantori di Maria nell’ambito della Chiesa, ha ispirato elevata poesia anche nei laici.

La Tradizione racconta che già prima del Cristianesimo, sul Monte Carmelo (Karmel = giardino-paradiso di Dio) si ritiravano degli eremiti, vicino alla fontana del profeta Elia, poi gli eremiti proseguirono ad abitarvi anche dopo l’avvento del cristianesimo e verso il 93 un gruppo di essi che si chiamarono poi ”Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, costruirono una cappella dedicata alla Vergine, sempre vicino alla fontana di Elia.

Nel Primo Libro dei Re dell’Antico Testamento si racconta che il profeta Elia, che raccolse una comunità di uomini proprio sul monte Carmelo (in aramaico «giardino»), operò in difesa della purezza della fede in Dio, vincendo una sfida contro i sacerdoti del dio Baal. Qui, in seguito, si stabilirono delle comunità monastiche cristiane. I crociati, nell’XI secolo, trovarono in questo luogo dei religiosi, probabilmente di rito maronita, che si definivano eredi dei discepoli del profeta Elia e seguivano la regola di san Basilio. Nel 1154 circa si ritirò sul monte il nobile francese Bertoldo, giunto in Palestina con il cugino Aimerio di Limoges, patriarca di Antiochia, e venne deciso di riunire gli eremiti a vita cenobitica. I religiosi edificarono una chiesetta in mezzo alle loro celle, dedicandola alla Vergine e presero il nome di Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo. Il Carmelo acquisì, in tal modo, i suoi due elementi caratterizzanti: il riferimento ad Elia ed il legame a Maria Santissima.

Il 16 luglio ricorre una festa mariana molto importante nella Tradizione della Chiesa: la Madonna del Carmelo, una delle devozioni più antiche e più amate dalla cristianità, legata alla storia e ai valori spirituali dell’Ordine dei frati della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (Carmelitani). La festa liturgica fu istituita per commemorare l’apparizione del 16 luglio 1251 a san Simone Stock, all’epoca priore generale dell’ordine carmelitano, durante la quale la Madonna gli consegnò uno scapolare (dal latino scapula, spalla) in tessuto, rivelandogli notevoli privilegi connessi al suo culto.
Il Monte Carmelo, dove la Tradizione afferma che qui la sacra Famiglia sostò tornando dall’Egitto, è una catena montuosa, che si trova nell’Alta Galilea, una regione dello Stato di Israele e che si sviluppa in direzione nordovest-sudest da Haifa a Jenin. Fra il 1207 e il 1209, il patriarca latino di Gerusalemme (che allora aveva sede a San Giovanni d’Acri), Alberto di Vercelli, redasse per gli eremiti del Monte Carmelo i primi statuti (la cosiddetta regola primitiva o formula vitae). I Carmelitani non hanno mai riconosciuto a nessuno il titolo di fondatore, rimanendo fedeli al modello che vedeva nel profeta Elia uno dei padri della vita monastica.

La regola, che prescriveva veglie notturne, digiuno, astinenza rigorosi, la pratica della povertà e del silenzio, venne approvata il 30 gennaio 1226 da papa Onorio III con la bolla Ut vivendi normam. A causa delle incursioni dei saraceni, intorno al 1235, i frati dovettero abbandonare l’Oriente per stabilirsi in Europa e il loro primo convento trovò dimora a Messina, in località Ritiro. Le notizie sulla vita di san Simone Stock (Aylesford, 1165 circa – Bordeaux, 16 maggio 1265) sono scarse. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, maturò la decisione di entrare fra i Carmelitani e, completati gli studi a Roma, venne ordinato sacerdote. Intorno al 1247, quando aveva già 82 anni, venne scelto come sesto priore generale dell’Ordine. Si adoperò per riformare la regola dei Carmelitani, facendone un ordine mendicante: papa Innocenzo IV, nel 1251, approvò la nuova regola e garantì all’Ordine anche la particolare protezione da parte della Santa Sede.

Proprio a san Simone Stock, che propagò la devozione della Madonna del Carmelo e compose per Lei un bellissimo inno, il Flos Carmeli, la Madonna assicurò che a quanti si fossero spenti indossando lo scapolare sarebbero stati liberati dalle pene del Purgatorio, affermando: «Questo è il privilegio per te e per i tuoi: chiunque morirà rivestendolo, sarà salvo». La consacrazione alla Madonna, mediante lo scapolare, si traduce anzitutto nello sforzo di imitarla, almeno negli intenti, a fare ogni cosa come Lei l’avrebbe compiuta.

Si iniziò così un culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la ‘Stella Polare, la Stella Maris’ del popolo cristiano. E sul Carmelo che è una catena montuosa che si estende dal golfo di Haifa sul Mediterraneo, fino alla pianura di Esdrelon, richiamato più volte nella Sacra Scrittura per la sua vegetazione, bellezza e fecondità, continuarono a vivere gli eremiti, finché nella seconda metà del sec. XII, giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle ultime crociate del secolo; proseguendo il secolare culto mariano esistente, si unirono in un Ordine religioso fondato in onore della Vergine, alla quale i suddetti religiosi si professavano particolarmente legati.
L’Ordine non ebbe quindi un fondatore vero e proprio, anche se considera il profeta Elia come suo patriarca e modello; il patriarca di Gerusalemme s. Alberto Avogadro (1206-1214), originario dell’Italia, dettò una ‘Regola di vita’, approvata nel 1226 da papa Onorio III.
Costretti a lasciare la Palestina a causa dell’invasione saracena, i monaci Carmelitani, come ormai si chiamavano, fuggirono in Occidente, dove fondarono diversi monasteri: Messina e Marsiglia nel 1238; Kent in Inghilterra nel 1242; Pisa nel 1249; Parigi nel 1254, diffondendo il culto di Colei che: “le è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron” (Is 35,2). .
Altri papi ne hanno approvato e raccomandato il culto, lo stesso beato Giovanni XXIII lo indossava, esso consiste di due pezzi di stoffa di saio uniti da una cordicella, che si appoggia sulle scapole e sui due pezzi vi è l’immagine della Madonna.
Nel secolo d’oro delle fondazioni dei principali Ordini religiosi cioè il XIII, il culto per la Vergine Maria ebbe dei validissimi devoti propagatori: i Francescani (1209), i Domenicani (1216), i Carmelitani (1226), gli Agostiniani (1256), i Mercedari (1218) ed i Servi di Maria (1233), a cui nei secoli successivi si aggiunsero altri Ordini e Congregazioni, costituendo una lode perenne alla comune Madre e Regina.
L’Ordine Carmelitano partito dal Monte Carmelo in Palestina, dove è attualmente ubicato il grande monastero carmelitano “Stella Maris”, si propagò in tutta l’Europa, conoscendo nel sec. XVI l’opera riformatrice dei due grandi mistici spagnoli Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, per cui oggi i Carmelitani si distinguono in due Famiglie: “scalzi” o “teresiani” (frutto della riforma dei due santi) e quelli senza aggettivi o “dell’antica osservanza”.
Nell’Ordine Carmelitano sono fiorite figure eccezionali di santità, misticismo, spiritualità claustrale e di martirio; ne ricordiamo alcuni: S. Teresa d’Avila (1582) Dottore della Chiesa; S. Giovanni della Croce (1591) Dottore della Chiesa; Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1607); S. Teresa del Bambino Gesù (1897), Dottore della Chiesa; beato Simone Stock (1265); S. Angelo martire in Sicilia (1225); Beata Elisabetta della Trinità Catez (1906); S. Raffaele Kalinowski (1907); Beato Tito Brandsma (1942); S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, 1942); suor Lucia, la veggente di Fatima, ecc.
Alla Madonna del Carmine, come è anche chiamata, sono dedicate chiese e santuari un po’ dappertutto, essa per la promessa fatta con lo scapolare, è onorata anche come “Madonna del Suffragio” e a volte è raffigurata che trae, dalle fiamme dell’espiazione del Purgatorio le anime purificate.
Particolarmente a Napoli è venerata come S. Maria La Bruna, perché la sua icona, veneratissima specie dagli uomini nel Santuario del Carmine Maggiore, tanto legato alle vicende seicentesche di Masaniello, cresciuto alla sua ombra, è di colore scuro e forse è la più antica immagine conosciuta come ‘Madonna del Carmine’.
Durante tutti i secoli trascorsi nella sua devozione, Ella è stata sempre rappresentata con Gesù Bambino in braccio o in grembo che porge lo ‘scapolare’ (tutto porta a Gesù), e con la stella sul manto (consueta nelle icone orientali per affermare la sua verginità).
La sua ricorrenza liturgica è il 16 luglio, giorno in cui nel 1251, apparve al beato Simone Stock, porgendogli l’ “abitino”.




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sabato 28 marzo 2015

IL SANTUARIO DEL FRASSINO

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Al confine fra Lombardia e Veneto, fra le colline moreniche, vicino al laghetto di origine glaciale del Frassino, il Convento e il Santuario furono eretti nel 1514. Furono chiamati i Frati Francescani Minori. Il suo nome deriva dalla miracolosa apparizione della Madonna, una statuina in terracotta di fattura francese, luminosa, dimenticata su un frassino da un soldato francese, a Bartolomeo Broglia, aggredito da un serpente mentre stava potando le viti (1510).

La Chiesa ha la facciata preceduta da un portico con affreschi del Seicento. L'interno ad una navata conserva: alcune tele di Paolo Farinati; affreschi del Muttoni nel presbiterio; l'altare maggiore ed un coro in noce del 1652 con in alto un grande organo "callido"; nel quarto altare di sinistra la pala San Pietro e San Giovanni Battista, del Quattrocento, di Zeno da Verona; nella cappella della Madonna la statuetta in terracotta dell'apparizione, collocata dentro ad un pezzo dell'antico frassino. Il Convento, unito al Santuario, ha due Chiostri: il Chiostro degli Uccelli, con al centro una voliera; il Chiostro Interno con al centro la vasca dei pesci rossi e delle tartarughe marine, con affreschi del Seicento che narrano le Storie di San Francesco e di S. Antonio del Muttoni. Nel 1960 è stata costruita la Cappella Penitenziale, adiacente al Santuario.

Al luogo sacro fece visita, nel 1514, anche Isabella d'Este, che in una lettera al marito Francesco II Gonzaga, malato da tempo, scrisse:

« Hozi sono stata a Peschiera, smontando prima alla chiesa de la Madonna del Frassino, che si dice far tanti miraculi. Et ben ghi sono molte imagine de voti et principio di una bella chiesa. La ho pregata cordialmente per la sanità de Vostra Excellenzia. »
(Isabella d'Este)
Si decise quindi di costruire intorno alla cappella una chiesa più grande: la posa della prima pietra avvenne il 18 giugno 1515, mentre il 14 gennaio 1518, papa Leone X concesse l'autorizzazione per la costruzione di un convento dove potessero alloggiare i monaci.

Nel corso dei secoli successivi il santuario si abbellì di numerose opere d'arte e si arricchì economicamente tramite le donazioni dei fedeli: nel 1610 il semplice stile francescano fu rifinito con stucchi in stile barocco, così come fu abbellita la cappella della Madonna. Nel 1652 fu aggiunto il coro ligneo sull'altare principale, mentre nel corso del XVIII secolo fu posto l'organo.

Nel 1810 a seguito dell'invasione napoleonica il santuario subì una grave battuta d'arresto: i monaci furono allontananti dal convento ed una serie di profanazioni interessarono la chiesa; nel 1848 il borgo che era sorto intorno al santuario venne completamente raso a suolo in seguito ad un bombardamento, ma la chiesa riuscì miracolosamente a rimanere intatta. In seguito il convento fu adibito ad usi civili e militari, diventando quartier generale dell'esercito piemontese e poi ospedale comunale anche fin dopo il 1860, data di riapertura riapertura della chiesa, continuando a svolgere la funzione di accoglienza per persone senza fissa dimora e anziani. Nel 1898 sia il convento che la chiesa ritornarono nelle mani dei francescani: la chiesa fu completamente restaurata con il rifacimento sia della facciata che del pavimento e si provvide al restauro delle diverse opere d'arte contenute. Nel 1929 Pio XI concesse l'incoronazione della statua della Madonna del Frassino, avvenuta poi il 24 settembre 1930. Nel 1969 fu realizzata la cappella penitenziale, di stampo moderno, ad opera dell'architetto Avesani, mentre lavori di restauro sono stati effettuati dal 1996 al 1998. La facciata esterna della chiesa ha la caratteristica di avere la zona del portale d'ingresso protetta da una sorta di tetto a spiovente che poggia su 4 colonne che formano tre archi frontali e due laterali e che si chiudono con delle volte a crociera: ai lati e nella zona superiore del portale sono realizzati diversi affreschi di Domenico Muttoni che rievocano scene dell'apparizione della Madonna del Frassino. Sulla facciata è presente un rosone con vetri policromi.

L'interno la chiesa è a navata unica con dieci cappelle laterali, cinque per ogni lato, tutte della stessa dimensione eccetto le ultime due quelle poste ai lati dell'altare maggiore che invece risultano essere più ampie: si tratta della cappella di San Francesco d'Assisi o del Santissimo Sacramento e quella della Madonna del Frassino. La prima è protetta da un cancello in ferro battuto ed ha sull'altare una raffigurazione di San Francesco mentre riceve le stigmate, opera di Francesco Astolfi, risalente al XVIII secolo; nella cappella nel 1639 fu posto il sepolcro della Congregazione dei Cordigeri.

Quella dedicata alla Madonna è anch'essa protetta da un cancello in ferro battuto: sull'altare una tela del Farinati raffigurante il Padre Eterno tra una corona di angeli e San Francesco d'Assisi e Sant'Antonio Abate; ai piedi di queste raffigurazioni, in un tabernacolo in marmo è posta la piccola statua in terracotta della Madonna miracolosa che reca in braccio Gesù bambino: intorno sono stati posti alcuni ex voto. Sempre in questa cappella è presente l'affresco della Madonna del Frassino con Sant'Antonio Abate, risalente al XVI secolo e l'affresco della Madonna col Bambino in trono e San Bernardino da Siena, attribuito a Domenico Morone, scoperto da Carlo Zanfrognini durante i lavori di restauro del 1931 che dovrebbe essere la prima raffigurazione del miracolo. L'arco di ingresso, così come le pareti laterali sono interamente rivestiti da stucchi e fregi, opera di Giambattista Reti, tra cui spiccano le raffigurazioni dei profeti Geremia ed Isaia; altre tele di Bertanza da Salò raffigurano i misteri del Rosario ed i santi Giovanni, Francesco e Bernardino. Le cappelle minori del lato sinistro sono decorate rispettivamente con un dipinto della Natività coi santi Francesco e Bernardino da Siena del 1560, della Madonna col Bambino tra Sant'Anna, San Gioacchino e San Giovannino del 1586, della Madonna in Gloria del 1576, tutte opere di Paolo Farinati, mentre la quarta è adornata con una tela di Zeno da Verona del 1541 raffigurante San Pietro e Giovanni.

Nelle cappelle di destra si trovano invece il dipinto della Madonna con ai piedi Sant'Antonio, Valentino vescovo, Isidoro Agricola e San Domenico di Guzman, una statua del Sacro Cuore di Gesù, una statua di Gesù in croce ed un'altra tela sempre raffiguranti personaggi della chiesa.

L'altare principale ha una mensa in marmo e l'organo posto alle sue spalle; sulle mura laterali quattro affreschi del Muttoni che rappresentano Sant'Antonio da Padova che fa inginocchiare la mula davanti all'Ostensorio, Santa Chiara che mette in fuga i Saraceni con l'Ostensorio, San Bonaventura che riceve la comunione da un angelo e Gesù Bambino che appare a Giovanni Duns Scoto inginocchiato dinanzi al tabernacolo. La volta non presenta elementi artistici di rilievo.

Sul lato destro della chiesa è poto un piccolo cimitero riservato ai monaci francescani ed un corridoio, dove è possibile tra l'altro osservare il luogo in cui ebbe origine il miracolo, che conduce ai due chiostri del convento, i quali furono affrescati nel 1653 sempre dal Muttoni con scene della vita di San Francesco d'Assisi e Sant'Antonio da Padova: nei chiostri inoltre si trovano opere pittore più recenti, precisamente del XIX secolo, del pittore Salesio Pegrassi che raffigurano le vicende storiche del santuario ed una serie di ex voto. Al centro dei chiostri sono posti rispettivamente una gabbia per colombi ed una fontana sormontata da una statua di Sant'Antonio. Alle spalle della chiesa il campanile.


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giovedì 19 marzo 2015

IL SANTUARIO DEL MARZALE

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Il santuario del Marzale, più semplicemente il Marzale come viene popolarmente chiamato l'edificio, si trova lungo la stretta e tortuosa strada che da Ripalta Vecchia conduce a Ripalta Arpina snodandosi sul crinale di due valli fluviali, quella del Serio da un lato e quella del Serio Morto dall'altro. I dintorni della chiesa conferiscono a questo luogo sacro un'atmosfera di intimo raccoglimento, di calma e riflessione; circondato dai pioppeti, nel mezzo del Parco del Serio, il santuario è posto sull'estremità della riva alta del fiume Serio, alla quale si accede scendendo una scala alta i dodici metri circa di strapiombo che separano il Marzale dal fiume cremasco.

È un luogo carico di significati religiosi: la tradizione sacra e popolare parla di un’apparizione che sarebbe avvenuta nel XIV secolo.

Un piazzale racchiuso da un rustico muretto permette di accedere alla chiesa vera e propria, circondata su due lati da un portico e priva di vera facciata: una soluzione dettata dalla necessità di proteggere gli affreschi della Via Crucis (realizzati nel 1757 da Tommaso Piccinardi) posti all'esterno, ma forse conseguenza del crollo di parte della chiesa dopo una piena del Serio.

La chiesa ha un’aula unica e termina con tre cappelle. In quella centrale è posto l'altare barocco che incastona la devotissima immagine della Madonna del Latte (fino al 1659 sul muro di fondo), opera di autore ignoto e risalente al XV secolo. La Vergine vi appare seduta, nell'atto di porgere il latte al Bambino in braccio che con una manina tiene un piccolo fiore.

Degni di interesse gli affreschi delle pareti laterali: su quella settentrionale vi sono raffigurazioni del XIV e XV secolo parzialmente sovrapposte e presumibilmente opera di artisti locali. Uno di essi, in particolare, rappresenta lo sposalizio di Santa Caterina e fu eseguito per conto della famiglia Terni di Crema (vi è raffigurato lo stemma: campo superiore rosso, campo inferiore a quadri rossi e bianchi alternati su quattro linee). Le altre immagini raffigurano una Madonna del Latte, un Santo Ignudo (forse San Sebastiano), una Madonna in Trono ed altri riferiti alla Madonna. Un affresco è interrotto dalla controfacciata, altro chiaro indizio che la chiesa un tempo era più lunga.

Gli affreschi della parete meridionale sono più regolari (Madonna in Trono, Opere di Misericordia, San Francesco) e sono datati 1580. Tele ed ex voto sono stati rimossi dal Santuario per il pericolo di furti.

Al lato meridionale della chiesa è addossato un edificio che un tempo fungeva da abitazione dell'eremita (in dialetto "rèmech") che un tempo provvedeva alla manutenzione ed all'apertura della chiesa.

Una scala (detta "scala santa") scende dal ciglione boscoso verso la valle del Serio nel punto in cui sorge la cappella settecentesca dell'Apparizione.

La zona attorno al santuario fu teatro nel 1202 di un episodio che si inquadra nell’ambito delle lotte medievali tra i comuni, in particolare tra quelli di Crema e Cremona. Da oltre un secolo, precisamente dal 1098, allorché Enrico III cedeva l’Insula Fulcheria a Cremona, i due eserciti si battagliavano duramente e in tale contesto si inserisce lo storico assedio di Crema, al quale partecipava l’imperatore Federico I chiamato (e convinto da un adeguato compenso) dai cremonesi.

Dopo la pace di Costanza (1183) l’imperatore sanciva la legittimità della Lega Lombarda che permetteva ai comuni di riottenere gran parte della loro autonomia e se ne avvantaggiava Milano e assieme a questa il comune di Crema, suo fedele alleato: infatti, veniva revocato l’editto di Lodi (1162) con il quale veniva vietata la ricostruzione della città.

Dopo questa data iniziava la normalizzazione dei rapporti con il comune di Cremona, fino ad arrivare al primo storico accordo firmato nel 1202 presso il santuario.

Era il 21 ottobre, un lunedì, e si riunirono da una parte 23 rappresentanti di Milano, 2 lodigiani e 4 cremaschi, dall’altra parte 22 cremonesi. Affiancavano la delegazione i promotori della tregua, Boccaccio di Manerbio e Guercio Tempesta, podestà di Brescia. Presenti, inoltre, otto testimoni e i quattro podestà di Milano, Crema, Lodi e Cremona, che dovevano giurare il rispetto della tregua.

La delegazione firmava un protocollo diviso in tre parti:

Nella prima parte vi sono i nomi dei promotori, dei testimoni e dei podestà presenti.
La seconda parte è l’atto vero e proprio che menziona in sei punti le stipulazioni giurate: primo periodo di tregua dal 21 ottobre 1202 al giorno di San Pietro del 1203, quindi un ulteriore secondo periodo fino al 29 giugno 1208; liberazione dei prigionieri; restituzione delle prede di guerra; uguale giuramento fatto da tutti gli uomini abili alle armi da compiersi entro il 21 novembre 1202; disposizioni in caso di violazione della tregua; disposizioni in caso di reciproci mutamenti introdotti d'accordo tra le parti.
La terza parte propone le firme e le sottoscrizioni.
Sul piazzale antistante la chiesa sorge la cappella dei Morti del Marzale, che nacque come sacello cimiteriale col fine di ricordare i caduti di una battaglia combattutasi nei pressi tra fazioni guelfe e ghibelline nel 1403. Presenta sulla parete di fondo la Madonna del Carmine col Bambino e le anime del purgatorio, alle pareti laterali il martirio di San Sebastiano e Sant'Imerio Vescovo, il santo protettore della parrocchia di Ripalta Vecchia.

Ai piedi della cosiddetta "Scala Santa", che porta dal piazzale del Santuario del Marzale alla sottostante valle fluviale del Serio, sorge la Cappella dell'Apparizione che sorge sul luogo ove, secondo la tradizione, la Madonna apparve ad una fanciulla che pascolava le oche. In realtà la cappella, un tempo era allo stesso livello del Santuario, ma un eccezionale piena del Serio la distrusse assieme ad una parte della chiesa prima del XVI secolo.

Risale al 1712 una memorabile epidemia di peste bovina che infierì su tutta la pianura padana: per preservare il territorio da tale disgrazia gli abitanti di Ripalta fecero voto alla Madonna del Marzale; il territorio locale fu effettivamente preservato dalla malattia e gli abitanti, per riconoscenza, fecero voto di osservare un giorno di digiuno il 5 agosto, festività della Madonna della Neve. Ma era un voto troppo gravoso in un periodo denso di lavori agricoli: per cui il Vescovo di Crema Monsignor Faustino Griffoni commutò il voto in modo che ogni prima domenica d'agosto vi si tenesse tra Ripalta ed il Santuario una processione solenne. È questa l'origine della celebre, suggestiva fiaccolata votiva che si tiene a tutt'oggi seppur trasferita nel mese di settembre.

L'annuale fiera ha origine nel XVIII secolo: la domenica ed il lunedì di Pasqua vi si celebravano con particolare enfasi le celebrazioni della Resurrezione e con grande concorso di popolo. Ciò portò spontaneamente all'attrazione di mercanti e ambulanti, da cui, col tempo, la costituzione della Fiera del Marzale. Vista la concomitanza con la vicina Fiera della Pallavicina, ad Izano, nel 1934 la fiera venne trasferita alla domenica in Albis, ossia la prima domenica dopo Pasqua.



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I SANTUARI DELLA VALLE SERIANA

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Il Santuario della Madonna di Perello venne edificato a Sambusita dopo quattro apparizioni della Madonna ad un contadino, avvenute nel 1413. Nonostante l'unico accesso fosse costituito in origine da mulattiere, assunse ben presto una notevole importanza. L'eremo conserva ancora l'aspetto originario, con tre chiese quasi sovrapposte, un campanile, due sagrestie e locali per l'accoglienza dei pellegrini. Il santuario è aperto dal lunedì di Pasqua ad Ognissanti.

Il Santuario della Forcella è chiamato anche chiesa della Madonna delle Neve, si trova a Pradalunga, a 630 metri s.l.m. Vi si conserva un dipinto raffigurante la Madonna con il Cristo, che in origine era venerato dai contadini in un'edicola. Agli inizi del XVII secolo la peste che infuriava nella regione cessò in seguito alle invocazioni del popolo presso questa immagine sacra e per ringraziamento venne edificata la chiesa, inaugurata nel 1640, e venne istituita una processione. Il santuario conserva circa 50 ex voto di grazie ottenute per intercessione della Madonna.

La Madonna della Gamba era già venerata in una piccola chiesa risalente al XIV secolo, nella quale apparve nel 1440 ad una ragazza di dodici anni che vi si era recata a pregare con la madre per ottenere le venisse risparmiata l'amputazione di una gamba. Nel 1740 venne inaugurata sopra l'antica cappella una nuova chiesa più ampia, progettata da Giovan Battista Caniana, a navata unica. Nel 1797 vi fu aggiunto un campanile in stile rococò. Nell'abside sono custodite tre dipinti: l'"Annunciazione dell'Angelo a Maria" e la "Fuga in Egitto", di Francesco Cappello, e l'"Apparizione della Madonna" di Carlo Ceresa; nella chiesa si trovano inoltre il gruppo scultoreo dell'"Apparizione", di Andrea Fantoni e diversi ex voto.

Il Santuario della Madonna d'Erbia si trova in cima al monte d'Erbia, presso il "Santuario della Trinità". La chiesa venne costruita nel 1813 e vi si conserva una fedele riproduzione di una venerata immagine, distrutta da un contadino. Secondo la leggenda il 6 agosto del 1839 vi apparve la Madonna, vestita di bianco e di rosso, ad un giovane che si era rifiugiato per trovare protezione da un violento temporale. La Madonna, lasciandogli del cibo, gli assicurò che il padre l'avrebbe trovato e così accadde. La chiesa venne ampliata tra il 1878 e il 1881 e nuovamente nel 1927-28. La festa viene celebrata il 5 agosto e vengono distribuiti dei panini con l'impronta della Madonna d'Erbia per i malati.

Il santuario della Madonna delle Grazie, situato nel centro di Ardesio, risale al XVII secolo.

Il santuario fu edificato nel luogo in cui la tradizione vuole essere avvenuta, il 23 giugno 1607, un'apparizione mariana.
Quel giorno, due sorelle, Maria e Caterina Salera, si rifugiarono in una stanza della loro umile casa a pregare per scongiurare un violento temporale. D'un tratto la stanza si illuminò di luce e improvvisamente apparve loro la Madonna con il Bambino seduta su un trono d'oro. Subito dopo l'apparizione la tempesta si blocco e il cielo tornò sereno.

L'apparizione di Ardesio avvenne in un periodo in cui l'eresia protestante, giunta dalla Svizzera e penetrata in Valtellina, zone con le quali molti valligiani avevano rapporti commerciali o professionali, stava tentando di propagarsi anche nelle valli orobiche, in parte facilitata dal governo della Serenissima che all'epoca era in contrasto con il papa e aveva espresso toni di condanna nei confronti dell'editto del cardinale Borromeo contro le dottrine "erronee".

La delibera per la costruzione della chiesa risale al 13 gennaio 1608, mentre la posa della prima pietra è del 24 giugno dello stesso anno. Successiva è invece la costruzione del campanile, iniziato nel 1645.

L'interno della chiesa è costituito da tre navate divise in quattro campate da tre colonne.

Attraverso quattro gradini si accede al presbiterio, dove si trova l'affresco della "stanza dei santi", opera di Giacomo Busca rappresentante Gesù in croce con a lato la Madonna e altri santi. Sulla volta del presbiterio c'è una tela di Domenico Carpinoni che rappresenta l'Immacolata con un coro di angeli.

L'altare maggiore è opera del Fantoni, è in gran parte di marmo e su di esso è raffigurato l'episodio dell'Apparizione.

Nella chiesa, notevoli anche il pulpito, opera del Fantoni e il sontuoso organo di Giovanni Rogantino da Morbegno recentemente restaurato, con 1345 canne di cui 1255 di metallo e 90 di legno pregiato; la cassa, di origine rinascimentale, è composta da cinque campane e presenta numerosi intagli.

Nello scurolo si trova la statua della Madonna col Bambino, portata ogni anno il 22 giugno in processione. Nello scurolo anche, si trovano molti ex voto ed alcune statue di scuola fantoniana.


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