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martedì 5 luglio 2016

I PILASTRI DELL'ISLAM

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Per i musulmani i 5 pilastri sono degli obblighi fondamentali che il fedele è tenuto a rispettare. Essi sono la testimonianza della fede, la preghiera, fare zakat (l'elemosina), digiunare nel mese di Ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nel corso della vita.

Per il Corano "non esiste divinità al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta". La testimonianza della fede viene chiamata Shahada ed è una formula che il musulmano pronuncia giornalmente.

Secondo il Corano, il Libro Sacro dell'Islam, "Non esiste divinità all'infuori di Dio (Allah), e Maometto è il Suo profeta". Questa dichiarazione di fede viene detta ayyab, una semplice formula che il musulmano pronuncia giornalmente. Intrinseca in questa azione è l'accettazione del Profeta Maometto: "Maometto non è padre di nessuno dei vostri uomini, egli è l'Inviato di Allah e il sigillo dei profeti. Allah ha piena conoscenza di tutte le cose". (Corano 33:40)

La preghiera va recitata cinque volte al giorno: all'alba, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, al tramonto e di notte. Ogni preghiera dura pochi minuti ed è un collegamento diretto tra il fedele e Dio. Per gli uomini è obbligatorio riunirsi in una moschea per pregare (chi è malato può restare a casa), ma per le donne no.

Per gli uomini è obbligatorio riunirsi in una moschea per pregare (chi è malato può restare a casa anche se il profeta Maometto, in caso di malattia, andava lo stesso alla moschea), ma per le donne no. Al venerdì, giorno festivo per i musulmani, la preghiera congregazionale (jumua) si tiene a mezzogiorno, ed è ritenuta obbligatoria per gli uomini e facoltativa per le donne. Un musulmano può pregare praticamente ovunque, anche sul lavoro o a scuola. È raccomandato però che si metta una stuoia pulita a terra dove pregare e di rivolgersi in direzione (qibla) della Mecca durante la preghiera.

Prima di fare la preghiera bisogna essere in stato di purità, o wudu. Wudu è il nome del rito dell'"abluzione minore", una pulizia rituale con acqua pura o, in caso d'impossibilità, sostituibile col tayammum (sfregarsi con terra pulita invece di acqua), in cui le parti lavate comprendono: le mani, la bocca, il naso, il volto, le braccia, la testa, le orecchie e i piedi fino alle caviglie.

Se il lavaggio viene eseguito con acqua, il musulmano è considerato in stato di ahara (purità rituale), il che significa che si è ripulito dai peccati per il periodo che intercorre tra due preghiere. In altre parole, a meno che il musulmano non faccia qualcosa per rimuovere questa pulizia, non ci sarà bisogno di altri lavaggi prima della preghiera successiva. Quando invece viene fatto il tayammum e cioè viene usata la sabbia, la pulizia è temporanea e solo per quella preghiera, indipendentemente dal fatto che venga o meno commesso un atto impuro. Perciò, prima di eseguire un'altra preghiera, si dovrà procedere al lavaggio rituale del wudu.

Tradizionalmente la salat deve essere recitata in arabo (anche se la persona non lo parla né lo comprende, dato che comunque le preghiere vanno recitate a memoria): l'arabo è una lingua sacra ed è la lingua nella quale è stato rivelato il Sacro Corano. La salat comprende la testimonianza di fede in Dio (Allah) e nella missione profetica (shahada) di Maometto, che implica una richiesta di perdono e invoca la benedizione celeste. Si recitano la prima sura (al-Fatia) e una o più parti del Corano (imparate a memoria). L'intera sessione include varie posizioni (raka): in piedi, inchinati, inginocchiati e prostrati.

Un altro dei pilastri fondamentali è il credo che tutte le cose appartengono a Dio. Le ricchezze quindi sarebbero soltanto in custodia agli esseri umani. Il termine 'zakat' significa sia purificazione che crescita. Fare zakat vuol dire quindi "dare una percentuale di alcune proprietà ai bisognosi. La zakat viene calcolata individualmente e implica il pagamento annuale del 2,5% del capitale in eccesso a quello che serve per far fronte ai bisogni primari. Una persona può anche donare una cifra maggiore come carità volontaria, nella speranza di una ricompensa divina.

Nel mese del Ramadan non si può bere, mangiare, fumare e avere rapporti sessuali durante tutto il giorno, fino al calare del sole. Sono esclusi i malati e le donne durante il loro ciclo mestruale, che dovranno recuperare i giorni saltati il prima possibile.



Durante il mese lunare di Ramadan i musulmani trascorrono più tempo in preghiera o ascoltando ogni giorno una parte del Corano letto da lettori specializzati in moschea o in luoghi allestiti allo scopo. Il Sawm mira a disciplinarsi, rafforzando le virtù della pazienza (sabr) e dell'autocontrollo, e del fare anche capire e provare su di sé le difficoltà che provano coloro che a volte non hanno di che mangiare. Questi atti vengono fatti sempre dedicando l'aspetto penitenziale del tutto a Dio.

Infine c'è il pellegrinaggio a La Mecca (Hajj), il luogo sacro dei musulmani, che va effettuato almeno una volta nell'arco della vita per tutti quelli che siano in grado di affrontarlo, sia economicamente che fisicamente. Un pellegrinaggio "minore" e assolutamente facoltativo è la visita della Mecca nei mesi diversi da quello del pellegrinaggio "maggiore" canonico. Del pari non obbligatoria è la ziyara, la visita alla Moschea del Profeta a Medina.

Il pellegrino indossa una tenuta distintiva composta da due pezze di stoffa non cucite per lo più di colore bianco che non mostrino differenze di classe sociale e di cultura, perché tutti sono uguali davanti a Dio. L'esecuzione del Hajj coinvolge una serie di rituali, compresa la circumambulazione antioraria del più importante santuario islamico, la Kaba, una costruzione cubica coperta da un drappo nero (kiswa) che è situata al centro di una grande spianata sacra (matàf). Dopo aver percorso 7 volte a passo affrettato (ma non di corsa) il tragitto fra Safa e Marwà, un altro momento essenziale è costituito dalla sosta (wuquf) nella pianura di Arafa, qualche Km. a sud della Mecca, dal sacrificio di animali e dalla tonsura dei capelli che esaurisce l'intera cerimonia.

Sia pur assai meno che nei secoli scorsi, il Hajj costituisce ancora oggi una prova ardua e potenzialmente rischiosa e non sono infatti mancati negli ultimi anni gravi incidenti che hanno provocato un gran numero di morti fra i pellegrini. Comunque, con l'avvento dei moderni mezzi di trasporto e un'adeguata infrastruttura, l'Arabia Saudita ha mostrato di essere in grado di accogliere milioni di visitatori all'anno (2 milioni per il solo hajj). Un pellegrinaggio "minore" e assolutamente facoltativo è la visita della Mecca nei mesi diversi da quello del pellegrinaggio "maggiore" canonico. Del pari non obbligatoria è la ziyara, la visita alla Moschea del Profeta a Medina.

L'origine dei cinque pilastri è da attribuirsi al cosiddetto Hadith di Gabriele attribuito al terzo califfo Umar ibn al-Khaab .


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mercoledì 17 giugno 2015

IL SANTUARIO DI CARAVAGGIO

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L’anno 1432 dalla nascita del Signore, il giorno 26 maggio alle ore cinque della sera, avvenne che una donna di nome Giannetta oriunda del borgo di Caravaggio, di 32 anni d’età, figlia di un certo Pietro Vacchie sposa di Francesco Varoli, conosciuta da tutti per i suoi virtuosissimi costumi, la sua cristiana pietà, la sua vita sinceramente onesta, si trovava fuori dall’abitato lungo la strada verso Misano, ed era tutta presa dal pensiero di come avrebbe potuto portare a casa i fasci d’erba che lì era venuta a falciare per i suoi animali.
Quand’ecco vide venire dall’alto e sostare proprio vicino a lei, Giannetta, una Signora bellissima e ammirevole, di maestosa statura, di viso leggiadro, di veneranda apparenza e di bellezza indicibile e non mai immaginata, vestita di un abito azzurro e il capo coperto di un velo bianco.
Colpita dall’aspetto così venerando della nobile Signora, stupefatta Giannetta esclamò: Maria Vergine!
E la Signora subito a lei: Non temere, figlia, perché sono davvero io. Fermati e inginocchiati in preghiera.
Giannetta ripose: Signora, adesso non ho tempo. I miei giumenti aspettano questa erba.
Allora la beatissima Vergine le parlò di nuovo: Adesso fa quello che voglio da te...
E così dicendo posò la mano sulla spalla di Giannetta e la fece stare in ginocchio. Riprese: Ascolta bene e tieni a mente, perché voglio che tu riferisca ovunque ti sarà possibile con la tua bocca o faccia dire questo...
E con le lacrime agli occhi, che secondo la testimonianza di Giannetta erano, e a lei parvero come oro luccicante, soggiunse:
L’altissimo onnipotente mio Figlio intendeva annientare questa terra a causa dell’iniquità degli uomini, perché essi fanno ciò che è male ogni giorno di più, e cadono di peccato in peccato. Ma io per sette anni ho implorato dal mio Figlio misericordia per le loro colpe. Perciò voglio che tu dica a tutti e a ciascuno che digiunino a pane ed acqua ogni venerdì in onore del mio Figlio, e che, dopo il vespro, per devozione a me festeggino ogni sabato. 
Quella metà giornata devono dedicarla a me per riconoscenza per i molti e grandi favori ottenuti dal Figlio mio per la mia intercessione.
La Vergine Signora diceva tutte quelle parole a mani aperte e come afflitta. Giannetta disse: La gente non crederà a me.
 La clementissima Vergine rispose: Alzati, non temere. Tu riferisci quanto ti ho ordinato. Io confermerò le tue parole con segni così grandi che nessuno dubiterà che tu hai detto la verità.
Detto questo, e fatto il segno di croce su Giannetta, scomparve ai suoi occhi.
Tornata immediatamente a Caravaggio, Giannetta riferì tutto quanto aveva visto ed udito. Perciò molti – credendo a lei – cominciarono a visitare quel luogo, e vi trovarono una fonte mai veduta prima da nessuno.
A quella fonte si recarono allora alcuni malati, e successivamente in numero sempre crescente, confidando nella potenza di Dio. E si diffuse la notizia che gli ammalati se ne tornavano liberati dalle infermità di cui soffrivano, per l’intercessione e i meriti della gloriosissima Vergine Madre di Dio e Signore nostro Gesù Cristo.


Dopo l'episodio del ramo fiorito altri fatti miracolosi testimoniarono la sacralità del luogo. La mannaia conservata nel sotterraneo del Sacro Fonte, antenata della più tristemente famosa ghigliottina, testimonia un episodio accaduto nel 1520. Un capo dei briganti, tale Giovanni Domenico Mozzacagna di Tortona, fu catturato nei dintorni e condannato a morte. Affinché l'esecuzione servisse da monito a molti, si decise di fissarla per il 26 maggio, giorno in cui la ricorrenza dell'Apparizione molta gente si sarebbe recata a Caravaggio. Durante i mesi di prigionia che precedettero la data stabilita il brigante si pentì e si convertì. Venne il giorno della esecuzione ma per quanti tentativi vennero fatti la scura s'inceppava prima di arrivare al collo del condannato. La folla gridò al miracolo; il condannato prima tornò in carcere e poi fu definitivamente liberato. Nella seconda celletta del sotterraneo viene conservato un catenaccio spezzato che ricorda un fatto avvenuto nel 1650. Un pellegrino, imbattutosi in un nemico che lo minacciava di morte, corse al riparo verso il tempio, ma trovando la porta chiusa invocò la Madonna. Il catenaccio si spezzò e la porta si aprì per poi richiudersi in faccia al persecutore.
Sul piazzale antistante il tempio, nei pressi della fontana, un obelisco ricorda un singolare fatto accaduto nel 1550. Un soldato dell'esercito di Matteo Grifoni, generale della Repubblica Veneta, rubò dal Sacro Fonte una preziosa tazza e la nascose in un bagaglio sopra il dorso di un mulo; ma quando fece per andarsene il mulo non ne volle sapere di muoversi. Il furto fu scoperto e il prezioso oggetto restituito. Il Comandante fece elevare a ricordo del fatto una Cappelletta che, caduta in seguito all'erosione delle acque, fu rimpiazzata nel 1752 da un obelisco. Divenuto cadente questo, nel 1911 fu sostituito con un altro a ricordare anche le celebrazioni del 1910 e del 2° centenario dell'incoronazione della Madonna. Sulle quattro facciate della base dell'obelisco tre epigrafi ricordano il fatto della tazza, la prima cappella e l'obelisco del 1752, le feste centenarie del 1910; sulla quarta è riportata un'esortazione al culto della Vergine.
Il Santuario Santa Maria del Fonte di Caravaggio, in provincia di Bergamo e diocesi di Cremona, è un immenso complesso eretto a partire dal XVI secolo sul luogo di una miracolosa apparizione della Vergine ad una contadinella.
Per secoli una pergamena antichissima che racconta l’apparizione della Madonna alla contadina Giannetta, è stata esposta in chiesa, nella sagrestia maggiore.
Il vescovo di Cremona Cesare Speciano, in visita al Santuario il 27 aprile 1599, l’ha fatta trascrivere come “documento ufficiale” dell’Apparizione stessa e di quanto avvenne in seguito.
Questa “memoria”: ci presenta il dialogo tra Maria e la veggente Giannetta e i “segni” che caratterizzano l’Apparizione del 1432.

L'erezione dell'attuale tempio mariano, fortemente voluto dall'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, iniziò nel 1575 dietro progetto dell'architetto Pellegrino Tibaldi (detto il Pellegrini); alternando fasi di sviluppo a lunghi intervalli, l'opera di costruzione si protrasse fino ai primi decenni del XVIII secolo, con numerose modifiche, seppur di poco conto, rispetto al progetto originario del Pellegrini.
Nell'aprile del 1906 papa Pio X lo elevò alla dignità di basilica minore.

Il Santuario di Caravaggio, oggi, oltre a fungere da importante luogo di preghiera, ospita oggigiorno un Centro d'accoglienza per pellegrini ed ammalati, un Centro di consulenza matrimoniale e familiare ed un Centro di spiritualità. Gli edifici che ospitano tali attività furono ristrutturati sul finire del XX secolo dagli architetti caravaggini Paolo e Salvatore Ziglioli; l'auditorium ospita pregevoli vetrate del pittore caravaggino Giorgio Versetti. La Cappella del centro di spiritualità, che venne inaugurata da papa Giovanni Paolo II durante il suo soggiorno presso il santuario nel 1992, ospita sculture ad opera del mozzanichese Mario Toffetti.

Il tempio monumentale sorge al centro di una vasta spianata circondata da portici simmetrici su tutti e quattro i lati, che corrono, con 200 arcate, per quasi 800 metri. Nel piazzale antistante il viale di collegamento con il centro cittadino si trova un alto obelisco in marmo con putti bronzei, opera di Rustico Soliveri, che, attraverso le sue iscrizioni, ricorda i diversi miracoli attribuiti dalla tradizione cattolica alla Madonna di Caravaggio. Poco oltre l'obelisco si trova una fontana di grosse dimensioni, la cui acqua passa sotto la chiesa, raccoglie quella del Sacro Fonte e confluisce nel piazzale posteriore, dove viene raccolta in una piscina a disposizione degli infermi per immergere le membra malate.

Un triplice viale alberato lungo circa 2 km, completato nel 1709, raccorda il Santuario al centro cittadino; al termine del viale, in corrispondenza dell'ingresso nel centro storico, si trova il trionfale arco di Porta Nuova, che reca nell'attico un gruppo marmoreo dell'Apparizione e fu eretto nel 1709 in occasione della solenne incoronazione della Vergine.

L'esterno della chiesa è grandioso: l'edificio misura 93 metri per 33, e raggiunge un'altezza di 22 metri che, con la cupola, arriva a 64 metri. L'edificio non è rivolto verso il viale di collegamento con la città, che venne costruito in seguito, ma, come dettato dalle consuetudini liturgiche, è disposto in maniera tale che il celebrante sia rivolto verso oriente. Esternamente, l'architettura è caratterizzata dal grigio dell'intonaco e il rosso dei mattoni. È questa l'estetica acquisita dopo i restauri degli anni settanta che eliminarono non senza polemiche il "giallo di Milano" che intonacava i muri.

All'interno il tempio mariano si presenta ad una sola navata, con una caratteristica pianta a croce latina, ed è caratterizzato da uno stile classico, con pilastri dai capitelli ionici.

Il tempio appare, in verità, diviso in due corpi separati: quello occidentale, più vasto, ospita quattro cappelle riccamente decorate per lato, le cantorie e l'ingresso principale; quello orientale, di dimensioni minori, consente la discesa alla cripta. Le due parti sono separate dal maestoso altare maggiore.

La decorazione del tempio è opera dei pittori caravaggini Giovanni Moriggia e Luigi Cavenaghi. Giovanni Moriggia dipinse, fra il 1845 ed il 1859, i quattro pennacchi sottostanti la cupola, che rappresentano Giuditta (la fortezza), Rut (la temperanza), Abigaille (la prudenza) ed Ester (la giustizia), oltre alla gloria della cupola stessa (l'Apoteosi di Maria), alle volte dei due bracci a lato dell'altare (La Cacciata di Adamo, La Natività di Maria, La Presentazione di Maria al tempio, Gesù fra i dottori, L'Assunzione di Maria Vergine) e ai lunettoni sull'arco interno delle due facciate (L'Annunciazione, Visita a Santa Elisabetta, Lo Sposalizio di Maria, La Natività di Gesù). Luigi Cavenaghi, fra il 1892 ed il 1903, si occupò della decorazione della volta dell'intero edificio.


Al di sopra del sacrario, e in corrispondenza della cupola centrale, si trova l'altare maggiore, certamente l'elemento più ricco e fastoso tra i complessi monumentali del santuario. Si tratta di una struttura rotonda in marmo, caratterizzata da colonne alternate a statue che sorreggono un trono slanciato verso la cupola; quest'ultimo termina in una gloria di angeli che portano una corona di stelle. Il progetto originario dell'altare è dell'architetto Filippo Juvarra, che si ispirò agli studi di Michelangelo per l'altare della Confessione della Basilica Vaticana; il complesso fu realizzato fra il 1735 ed il 1750 dall'ingegnere milanese Carlo Giuseppe Merlo, con la collaborazione degli scultori Nava e Mellone.


La parte del Santuario più ricca di opere d'arte è la sagrestia, anticamente cappella gentilizia della famiglia Secco; sulla sua volta campeggiano stupendi affreschi di Camillo Procaccini che illustrano episodi della vita di Maria. Le cimase degli elaborati armadi ospitano uno stuolo di putti alati, opera del caravaggino Giacomo Carminati.

Al di sotto dell'altare maggiore si trova il Sacro Speco, che ospita il gruppo statuario ligneo che ricostruisce la scena dell'Apparizione. L'opera, dello scultore di Ortisei Leopoldo Moroder, fu inaugurata nel 1932, in occasione dei festeggiamenti per il quinto centenario dell'Apparizione. Il cardinale Schuster, Legato Pontificio, celebrò personalmente l'incoronazione della statua, cui è possibile accedere direttamente dal braccio orientale della navata principale.

Sotto lo Speco si trova il Sacro Fonte sotterraneo, al quale si accede dall'esterno del tempio, ove si trova una fontana da cui si può attingere l'acqua. Si tratta, secondo la leggenda, del luogo esatto dove la giovane Giannetta de' Vacchi assistette alla prima apparizione della Madonna, la quale, come prova della propria origine divina, fece sgorgare una sorgente d'acqua dal terreno.

Il sotterraneo d'accesso al Sacro Fonte consiste in un lungo corridoio di circa trenta metri, che attraversa da lato a lato la chiesa e venne rivestito con mosaici dal pittore Mario Busini negli anni cinquanta del XX secolo. Il corridoio appare diviso in cinque celle successive; nella prima, tre nicchie ricavate dentro le pareti accolgono una Madonna marmorea, la ghigliottina e il catenaccio spezzato, a ricordo dei diversi miracoli attribuiti alla Vergine del Fonte.

Alla base della Madonna si trova un'epigrafe gotica, uno dei più importanti documenti risalenti all'epoca dell'Apparizione; il testo si compone di sei esametri latini, e recita

« La terra di Caravaggio è stata recentemente resa davvero felice, perché le apparve la Santissima Vergine nell'anno 1432 al tramonto del sesto giorno avanti le calende di giugno; ma Giovannetta è assai più felice di ogni altra persona, perché meritò di vedere la gran Madre del Signore. »

Il grande organo a canne della chiesa è stato costruito nel 1955 dalla ditta organaria milanese Balbiani Vegezzi-Bossi e, nel maggio dello stesso anno, collaudato dall'organista castiglionese Federico Caudana.
Lo strumento è a trasmissione elettrica, con 5600 canne, ed ha quattro tastiere (rispettivamente: Positivo espressivo, Grand'Organo, Espressivo e Corale-Eco, che insistono sulla stessa tastiera) di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32 note. I corpi d'organo sono così disposti all'interno della chiesa:
sulla parete destra della navata centrale, a metà di quest'ultima, all'interno dell'artistica cassa lignea settecentesca, si trovano le canne del Positivo espressivo, del Grand'Organo e dell'Espressivo;
all'interno della cupola si trovano le canne del corpo Eco espressivo (quarta tastiera);
alle spalle della consolle, sulla cantoria che si trova sulla parete di fronte rispetto alla cassa barocca, le canne del corpo Corale (quarta tastiera).



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sabato 28 marzo 2015

LA CHIESA DI SANT' ANNA



La chiesa, che si trova all'entrata del borgo di fronte alla Rocca, risale al 1300. All'interno vi sono decorazioni e affreschi anche quattrocenteschi. Gli stucchi sono in stile barocco. Sull'altare vi è l'effige della Madonna dipinta su una pietra con lo stemma scaligero.

La Chiesa di S. Anna è situata in piazza Castello e fiancheggia il ponte levatoio di ingresso al paese, è una piccola  chiesetta del Quattrocento costruita per la guarnigione del castello; è formata da un presbiterio e da un piccolo spazio  coperto da volta a botte; al suo interno si trovano degli affreschi del XVI secolo e stucchi del XVII secolo. Una parte di affresco del Trecento sovrasta l'altare
 
E’ una piccola ma particolarissima Chiesa della metà del XIV secolo adiacente all’ingresso principale dell’abitato di Sirmione del Garda. In origine era costituita solo da una piccola cappella,l'attuale abside, adibita al servizio religioso della guarnigione del castello del quale ha inglobato alcuni merli difensivi ancor’oggi visibili lungo il prospetto Sud. In quell’epoca la chiesa si chiamava “S.Maria in Castro”, poi Beata Vergine al Ponte ed infine S.Anna. Nel XV secolo il presbiterio viene riccamente decorato con volta a crociera e nel XVII secolo si realizza la navata oggi coperta con volta a botte coevo è il ciclo degli affreschi poi coperti da scialbi e riscoperti nel 1919 in seguito ad interventi di restauro.

Le sue fondamenta appoggiano nei fondali fangosi del porticciolo sirmionese, mentre uno dei suoi lati costituisce un corpo unico con l’arco d’ingresso. L’edificio risale al Trecento ed inizialmente era la cappella in cui si recavano a pregare le guardie del castello. Nel corso dei secoli subì diversi interventi ed una seconda parte dell’edificio fu realizzata nel 1700. Fu chiamata la chiesa di S. Maria del Ponte, poi divenne S. Anna ed era meta di pellegrinaggio per chi desiderava avere un figlio, tradizione che si tramanda anche oggi. La chiesetta ha un volto affrescato e all’interno recentemente è stata posizionata l’icona di S. Anna. Sono in molti i residenti o i gestori delle attività del centro storico che iniziano o finiscono la loro giornata con un breve passaggio di fronte alla chiesetta. In estate ad affollarla sono i turisti, che trovano in quel piccolo, ma prezioso spazio sacro un attimo di tranquillità, riflessione e di preghiera.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/03/sirmione.html

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giovedì 12 marzo 2015

SACRO MONTE DI VARESE

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Il Sacro Monte di Varese fa parte del gruppo dei nove Sacri Monti prealpini del Piemonte e della Lombardia inseriti nel 2003 dall'UNESCO nella lista del Patrimonio dell'Umanità.
È costituito da quattordici cappelle, dedicate ai misteri del Rosario, che conducono al santuario di Santa Maria del Monte, luogo di pellegrinaggio sin dal Medioevo, che funge da quindicesima cappella che tra l'altro conserva un organo neoclassico del 1831, opera di Luigi Maroni Biroldi, restaurato da Pietro Talamona nel 1871 e da Vincenzo Mascioni nel 1989. I lavori iniziarono nel 1604, lungo i due chilometri di un ampio percorso acciottolato.

Grazie a munifiche donazioni, la costruzione fu assai più rapida di quella di altri sacri monti, e tredici delle cappelle furono terminate entro il 1623. Nel 1698 i lavori risultavano completati nella loro forma attuale. Come avviene nel Rosario, le cappelle sono divise a gruppi di cinque. Lo stile architettonico delle cappelle, degli archi trionfali e delle fontane è variegato, ispirato ai modi stilistici del manierismo. Le statue e gli affreschi che ornano le cappelle costituiscono nel loro complesso un’elevata testimonianza dell’arte sacra seicentesca in area milanese.

Il borgo di Santa Maria del Monte, dove si trova il santuario (quota 844 mt.s.l.m.), è collegato al resto della città, oltre che attraverso una linea automobilistica urbana , anche attraverso una storica funicolare recentemente rimessa in funzione. La sommità del Sacro monte si erge sino alla massima quota di 883 metri s.l.m

Lungo le pendici si snoda la strada acciottolata, lunga più di due chilometri, tocca le 14 cappelle. L'altura – già secoli prima che si desse avvio, nel 1605, alla Fabbrica del Santissimo Rosario - era stata testimone di rilevanti manifestazioni di fede, la cui origine sconfina addirittura nella leggenda. Si vuole infatti che, nel luogo in cui si trova il santuario dedicato alla Madonna (punto di arrivo del percorso devozionale) già nel IV secolo esistesse una modesta cappella fatta costruire da Sant'Ambrogio come ringraziamento per la vittoria sugli ariani.
Certa è l'esistenza in questo sito di un santuario romanico dell'XI secolo (di cui si è conservata la cripta), costruito forse su un precedente edificio altomedievale; esso era dotato all'esterno di un endonartece per accogliere i fedeli. Già allora, come ora, affluivano infatti al santuario sul monte Orona fedeli provenienti d'ogni dove, sin da Milano e dal Canton Ticino. Attorno al santuario si venne progressivamente aggregando un borgo con case per i sacerdoti e per i laici che vi lavoravano, con ricoveri per i pellegrini.

Il santuario, ormai insufficiente ad accogliere i pellegrini, fu quasi interamente ricostruito nel 1472 su disegno dell'architetto Bartolomeo Gadio; assumendo un impianto con tre navate e tre absidi, disposte a triconco. Ad un successivo ampliamento è dovuto il prolungamento della navata centrale verso l'ingresso.
Ancora nella seconda metà del XV secolo le beate Caterina da Pallanza e Giuliana da Busto Arsizio, divenute poi fondatrici dell'Ordine delle Romite ambrosiane, si ritirarono in un romitorio adiacente al santuario, per condurre una vita di preghiera; il loro esempio fu seguito da altre giovani donne. Nel 1474 papa Sisto IV concesse alla comunità di erigere un monastero ed il 10 agosto 1476 le religiose presero il velo.

Fu proprio una delle romite del monastero, suor Maria Tecla Cid, a concepire all'inizio del XVII secolo l'idea di un percorso capace di mettere agevolmente in comunicazione la pianura di Varese con il santuario ed il borgo sul monte di Santa Maria, offrendo il conforto di soste e l'occasione di meditare sui Misteri del Rosario.
L'idea trovò entusiastico appoggio ed infaticabile sostegno organizzativo da parte del padre cappuccino Giovanni Battista Aguggiari che provvide a coinvolgere nell'impresa alcune nobili famiglie milanesi e ad estendere la raccolta di fondi alle comunità dei fedeli di numerosi paesi su un ampio territorio circostante. Nel 1604 fu convocato l'architetto Giuseppe Bernascone, detto "il Mancino" per il progetto delle diverse cappelle e del percorso scenografico lungo le pendici del monte: fu lui il vero regista artistico della realizzazione dell'intero complesso devozionale. Prese in tal modo avvio, nel 1604, la Fabbrica del Ss. Rosario. Si deve ricordare, al proposito, che la recita del Rosario era stata codificata nella forma attuale da papa Pio V nel 1569 ed era diventata popolare dopo la battaglia di Lepanto (1571). Da allora, aveva avuto una formidabile espansione, come recita collettiva, anche nei riti processionali. Si comprende così quanto dovesse comparire desiderabile ed urgente che le numerose processioni al santuario di Santa Maria potessero svolgersi nella cornice teatrale di un’ascesa scandita dalla successione ritmica delle preghiere con momenti di sosta nei quali meditare di fronte ai Misteri raffigurati plasticamente ed in maniera vivida nelle cappelle.

La costruzione del Sacro Monte di Varese fu molto più rapida di quella di altri Sacri Monti e tredici delle quattordici cappelle previste furono terminate entro il 1623. Nel 1698 i lavori risultavano completati nella forma attuale, comprese le statue in terracotta dipinta e gli affreschi che hanno il compito di ampliare illusivamente le scena dei vari Misteri.

Le cappelle, come i Misteri del Rosario, sono divise in gruppi di cinque, separati tra loro da archi trionfali e da fontane per il ristoro dei pellegrini. Le cappelle realizzate dal Bernascone sono quattordici, una in meno dei Misteri del Rosario, poiché il santuario – meta del percorso – assume la funzione di quindicesima ed ultima cappella, grazie alla costruzione avvenuta in quegli anni, di un nuovo altare in marmo dedicato alla Incoronazione della Vergine, che racchiude una trecentesca statua lignea, icona oggetto di speciale venerazione.

La rapidità dei lavori nei primi venti anni della Fabbrica del Ss. Rosario (che apparve a quei tempi cosa miracolosa) fu frutto non solo delle disponibilità finanziarie, ma anche da indubbie capacità organizzative di Padre Aguggiari e degli altri "deputati della Fabbrica": i tanti tipi di diversa manodopera necessaria (muratori, carpentieri, stuccatori, ecc.) furono reclutati con cedole di appalto esposte nei mercati di Como, Lugano e Varese.

Sino al 1610 i lavori furono coordinati dai "deputati" della Fabbrica; successivamente vi fu un interessamento diretto e costante da parte di Federico Borromeo. Nel 1612, dopo una visita pastorale, egli scrisse i Decreti che disciplinavano, in modo a volte anche dettagliato, il piano di realizzazione del Sacro Monte, in specie per il programma iconografico che doveva ispirarsi ai canoni artistici post-tridentini. Nello stesso periodo il cardinale milanese soprintendeva anche la realizzazione del Sacro Monte di Orta ed a quello di Arona. Il complesso prealpino dei Sacri Monti piemontesi e lombardi doveva, nei suoi disegni, configurarsi come una sorta di ideale sbarramento difensivo della fede contro la Riforma protestante diffusasi nel nord Europa fatto da alture sacralizzate, testimonianze di una fede popolare antica e dell'impegno controriformistico della chiesa cattolica.

Dopo l'interruzione dovuta alla peste del 1630-32, proseguirono soprattutto i lavori di decorazione delle cappelle, lavori che nel 1698 risultavano completati.

Il Sacro Monte di Varese, per la qualità degli artisti che parteciparono alla sua realizzazione, costituisce una testimonianza di grande rilievo della cultura artistica sviluppatasi nel Ducato di Milano.

Già poco dopo la ricostruzione quattrocentesca del santuario, appoggiata da Gian Galeazzo Maria Sforza si assisté ad un fluire numeroso di artisti di area milanese per realizzarne l’apparato decorativo. Tra questi – quali rappresentanti delle illustri botteghe di intagliatori che operarono tra la seconda metà del XV e la prima metà XVI secolo in area milanese – vanno ricordati il Maestro di Trognano autore dei pannelli lignei che ornavano l'altare maggiore, e Andrea da Milano autore del gruppo scultoreo raffigurante la Adorazione dei Magi tuttora presente nel santuario. Altre opere ed arredi liturgici, già appartenenti al santuario, sono conservate nel Museo del santuario, conosciuto anche come Museo Baroffio.
Va ricordato anche che sul finire del XVI secolo le Romite Ambrosiane avevano promosso la realizzazione, nel perimetro claustrale, di alcune cappelle dedicate alla Passione di Cristo popolate di statue policrome.

Durante il XVII secolo, parallelamente ai lavori nella Fabbrica del Santissimo Rosario, vennero chiamati al santuario artisti attivi anche in altri Sacri Monti, quali Giovanni Mauro della Rovere detto il Fiammenghino (autore dell'affreschi delle navate laterali) ed i fratelli Prestinari (probabili autori del gruppo ligneo della "Presentazione di Gesù al Tempio").

Il maggior fervore di attività, nel corso del XVII secolo, si registrò ovviamente attorno alle cappelle del Sacro Monte. Qui la qualità artistica di Giuseppe Bernascone, detto "il Mancino" si apprezza innanzi tutto nella sua capacità di rappresentare "in forma di monumento" la preghiera del Rosario fondendo armonicamente tra loro strutture architettoniche e paesaggio. Questa sua attitudine "scenografica" – che gli valse anche il coinvolgimento nel cantiere del Sacro Monte di Locarno – si palesa nella duplice attenzione a come lo spettatore dovesse percepire da lontano lo snodarsi delle cappelle e degli archi trionfali lungo il tracciato dell'ampia strada acciottolata, ed a come il pellegrino dovesse godere, da alcune cappelle, del panorama verso la pianura ed il lago di Varese. Non è a caso la presenza di alcune cappelle, attorno alle quali corre un porticato che invita il visitatore ad ammirare il paesaggio tutt'intorno.

Vennero chiamati alla realizzazione delle cappelle un nutrito gruppo di artisti accomunati dalla condivisione della concezione federiciana dell’arte e dalla esperienza di lavori nei Sacri Monti piemontesi e lombardi realizzati in un linguaggio che va, senza contrasti stilistici, dal manierismo al barocco.
Va citata, tra di essi, la presenza di plasticatori come i fratelli Marco Aurelio e Cristoforo Prestinari, Dionigi Bussola, Giovanni Ghisolfi, Martino Retti e Francesco Silva, e di pittori come il già citato Morazzone, Carlo Francesco Nuvolone, Antonio Busca, i fratelli G. Battista e G. Francesco Lampugnani, Francesco Maria Bianchi ed altri. Assieme al Bernascone, essi hanno conferito al Sacro Monte di Varese la fisionomia di una sorta di museo all'aperto di quella stagione alta del Seicento lombardo che ruota attorno alla figura di Federico Borromeo.

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