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mercoledì 3 febbraio 2016

SAN BIAGIO

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San Biagio era un medico armeno, vissuto nel III secolo d.C.: si narra che compì un miracolo quando una madre disperata gli portò il figlio morente per una lisca conficcata in gola. San Biagio gli diede una grossa mollica di pane che, scendendo in gola, rimosse la lisca salvando il ragazzo. Inutile aggiungere che, dopo aver subito il martirio, Biagio venne fatto santo e dichiarato protettore della gola.

S. Biagio nacque a Sebaste nell'Armenia. Passò la giovinezza fra gli studi, dedicandosi in modo particolare alla medicina. Al letto dei sofferenti curava le infermità del corpo, e con la buona parola e l'esempio cristiano cercava pure di risanare le infermità spirituali.

Geloso della sua purezza ed amatissimo della vita religiosa, pensava di entrare in un monastero, quando, morto il vescovo di Sebaste, venne eletto a succedergli. Da quell'istante la sua vita fu tutta spesa per il bene dei suoi fedeli.

In quel tempo la persecuzione scatenata da Diocleziano e continuata da Licinio infuriava nell'Armenia per opera dei presidi Lisia ed Agricola°. Quest'ultimo, appena prese possesso della sua sede, Sebaste, si pose con febbrile attività in cerca di Biagio, il vescovo di cui sentiva continuamente magnificare lo zelo. Ma il sagace pastore, per non lasciare i fedeli senza guida. ai primordi della procella, si era eclissato in una caverna del monte Argeo.

Per moltissimo tempo rimase celato in quella solitudine, vivendo in continua preghiera e continuando sempre il governo della Chiesa con messaggi segreti. Un giorno però un drappello di soldati mandati alla caccia delle belve per i giochi dell'anfiteatro, seguendo le orme delle fiere, giunsero alla sua grotta. Saputo che egli era precisamente il vescovo Biagio, lo arrestarono subito e lo condussero al preside.

Il tragitto dal monte alla città fu un vero trionfo, perchè il popolo, nonostante il pericolo che correva, venne in folla a salutare colui che aveva in somma venerazione. Fra tanta gente corse anche una povera donna che, tenendo il suo povero bambino moribondo sulle sue braccia, scongiurava con molte lacrime il Santo a chiedere a Dio la guarigione del figlio. Una spina di pesce gli si era fermata in gola e pareva lo volesse soffocare da un momento all'altro. Biagio, mosso a compassione di quel bambino, sollevò gli occhi al cielo e fece sul sofferente il segno della croce.

Giunto a Sebaste, il prigioniero venne condotto dal giudice Agricola, che voleva convincerlo a sacrificare agli idoli; ma il Santo con gran calma gli dimostrò che quello era un atto indegno di una creatura ragionevole, perché la ragione dice all'uomo che vi è un Dio solo, eterno, e creatore di ogni cosa. Per tutta risposta il giudice lo fece battere con verghe e poi gettare in carcere.

Dopo qualche tempo lo volle di nuovo al tribunale, per interrogarlo nuovamente, ma trovò sempre in lui la più grande fermezza. Gli furono allora lacerate le carni con pettini di ferro e così lacero com'era fu sospeso ad un tronco d'albero. Sperimentati ancora contro l'invitto martire tutti i supplizi più inumani, fu condannato ad essere sommerso in un lago. I carnefici condottolo sulla sponda lo lanciarono nell'acqua, e mentre tutti si aspettavano di vederlo annegare. Biagio tranquillamente si pose a camminare sull'acqua finché raggiunse la sponda opposta. Il giudice. fuori di sè, vedendo di non poter spegnere altrimenti quella vita prodigiosa, lo fece decapitare.

La sua memoria è celebrata il 3 febbraio.
Il corpo di san Biagio fu sepolto nella cattedrale di Sebaste. Nel 732 una parte dei suoi resti mortali, deposti in un'urna di marmo, furono imbarcati, per esser portati a Roma. Una tempesta fermò la navigazione sulla costa di Maratea, dove i fedeli accolsero l'urna contenente le reliquie – il "sacro torace" e altre parti del corpo – e la conservarono nella Basilica di Maratea, sul monte San Biagio. La cappella con le reliquie fu poi posta sotto la tutela della Regia Curia dal re Filippo IV d'Asburgo, con lettera reale datata 23 dicembre 1629: da allora è nota popolarmente col nome di Regia Cappella.

Un gran numero di località vantano di possedere un frammento del corpo del santo. Ciò è dovuto, oltre all'antica usanza di sezionare i corpi dei santi e distribuirne le parti per soddisfare le richieste dei fedeli, alla pratica della simonia, una delle cui forme consisteva nel vendere reliquie false, o reliquie di santi omonimi ma meno conosciuti.

A Casal di Principe (CE) si festeggia il 3 febbraio con la venerazione e l'apertura di un santuario a Lui dedicato dove vi è conservata la reliquia di un ossicino della mano del Santo.

A Carosino, un paesino in provincia di Taranto, è custodita una delle reliquie: un pezzo della lingua, conservato in un'ampolla incastonata in una croce d'oro massiccio.

Ad Avetrana (Taranto) è custodito in un ostensorio d'argento e d'oro un frammento della gola di san Biagio, sul quale si legge l'iscrizione "GUTTURRE SANCTI BLASI" ("la gola di san Biagio", in latino-barbara).

A Caramagna Piemonte (Cuneo) è custodita dall'anno 1000 una sua reliquia (un pezzo del cranio), conservata in un busto argenteo; si ha notizia della sua presenza già dall'atto di fondazione dell'antica abbazia di Santa Maria di Caramagna, datato 1028.

Nella parrocchia di San Biagio di Montefiore, frazione del comune di Recanati, in provincia di Macerata, si conserva, in un reliquiario a forma di braccio benedicente con palma del martirio, un osso intero dell'avambraccio.

Nel santuario di Cardito (NA), è conservato un ossicino del braccio. Sempre in Campania, a Palomonte (in provincia di Salerno), nella chiesa madre della Santa Croce si conserva un'altra reliquia del santo.

A Mugnano di Napoli (NA), nella chiesa di San Biagio, si conserva una reliquia del santo.

A Penne, in Abruzzo, è invece venerato il cranio del santo. Sempre in Abruzzo, nel duomo di San Flaviano a Giulianova, è conservato il braccio di san Biagio, racchiuso in un raffinato reliquiario d'argento, in forma di braccio con mano benedicente e recante una palma, datato 1394 e firmato da Bartolomeo di ser Paolo da Teramo.

Nella parrocchia di Lanzara, frazione del comune di Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, sono conservati due piccoli ossi d'una mano.

Nella parrocchia di San Biagio in San Simone, frazione di Sannicola, diocesi di Nardò-Gallipoli, provincia di Lecce, si conserva una reliquia del corpo del Santo, con festeggiamenti due volte l'anno.



Nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venera nel giorno di san Biagio un frammento del braccio di questo santo, racchiuso in un reliquiario a forma di braccio benedicente. La reliquia è portata in processione dal vescovo e esposta alla pubblica venerazione dopo la solenne messa pontificale, che si celebra in cattedrale al vespro del 3 febbraio.

Nella chiesa a lui dedicata nella città dalmata di Ragusa (oggi in Croazia), si conserva, secondo la tradizione, il cranio del santo patrono, in un ricco reliquiario a forma di corona bizantina, che viene portato solennemente in processione nella ricorrenza liturgica del santo.

A Ostuni è conservato un frammento d'un osso del martire, venerato e posto sulla gola di ogni fedele che si presenta in pellegrinaggio al santuario di San Biagio, sui colli ostunesi, il 3 di febbraio.

A San Piero Patti (Messina) è custodito, in una teca d'argento nella chiesa di Santa Maria Assunta, un molare di san Biagio. La teca è portata in processione in occasione delle due feste che la cittadina dedica al santo: il 3 febbraio e la prima domenica d'ottobre.

A Mercato Vecchio di Montebelluna, in provincia di Treviso, nella chiesa di San Biagio è custodito un pezzo di veste, e ogni anno, il 3 febbraio, per tutto il giorno vi si benedicono, in onore del santo, pani e arance.

Ad Acquaviva Collecroce, in provincia di Campobasso, nella parrocchia di Santa Maria Ester si conserva una reliquia del santo donata alla comunità verso la metà del Settecento.

A Napoli, nella Sala del Tesoro della basilica di San Domenico Maggiore, si conserva, in un reliquiario a forma di braccio, un frammento d'un dito del martire.

Ad Avellino, nella chiesina dell'Arciconfraternita dell'Immacolata (adiacente alla Cattedrale di Avellino), è conservato un frammento osseo della mano del santo.

A Bindo di Cortenova, in provincia di Lecco, ogni anno si celebra la grande festa di san Biagio. Tra gli usi tradizionali, il bacio delle candele benedette, il falò e i tipici ravioli molto aromatici chiamati in insubre scapinasc.

A Eboli, in provincia di Salerno, nella chiesa di San Nicola si conservano un dito e altre reliquie di san Biagio.

Ad Asti, presso la chiesa di Santa Maria Nuova, nell'altar maggiore si conservano un dente e alcuni altri resti.

A Brescia, nel tesoro della chiesa di San Lorenzo, si conserva il reliquiario di san Biagio, con alcuni denti e un osso ritenuti del santo.

A Caronia in provincia di Messina, Diocesi di Patti, si venerano una falange del dito mignolo e un frammento del braccio e sono conservati in due preziosi reliquiari.

A Orbetello in provincia di Grosseto era conservato il teschio di San Biagio, rubato 2 anni fa e non più trovato. I festeggiamenti in onore del patrono continuano comunque.

A Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, all'interno di un reliquiario a forma di braccio benedicente è conservato un frammento di avambraccio del Santo. Con la reliquia, al termine della Solenne celebrazione, il 3 febbraio, viene impartita la benedizione e invocata l'intercessione del Santo per la protezione dai mali del corpo e dello spirito.

Nella Basilica di San Biagio a Maratea, alla destra della Regia Cappella dedicata al santo, vi è la palla di ferro sparata dai cannoni francesi durante l'assedio del dicembre 1806; su questa palla di ferro, inesplosa, sono ben visibili delle impronte che, secondo la tradizione, sarebbero le dita della mano destra di san Biagio.

Relativamente alla sola esperienza della cittadina di Fiuggi, si narra che nel 1298 fece apparire delle finte fiamme sul paese, proprio mentre questi era in procinto di essere messo sotto assedio dalle truppe papali. La cittadina, che all'epoca si chiamava Anticoli di Campagna, era feudo dei Colonna che a loro volta erano in guerra con la nobile famiglia romana dei Cajetani. L'intenzione dei Cajetani era quella di attaccare il paese da due lati: dal basso scendendo dal castello di Monte Porciano e dall'alto, alle spalle di Fiuggi dalla parte di Torre Cajetani; in virtù di tale piano divisero le proprie forze. San Biagio avrebbe fatto apparire delle finte fiamme che indussero le truppe nemiche, che oramai si accingevano all'attacco, a pensare di essere state precedute dalle forze alleate. Di conseguenza mossero oltre, ritornando ai loro alloggiamenti. I fedeli il giorno successivo lo elessero patrono della città.
A ricordo di ciò persiste tuttora l'antica tradizione paesana di bruciare grandi cataste di legna di forma piramidale, denominate stuzze, a ricordo dell'"apparizione". Tale manifestazione avviene la sera del 2 febbraio di ogni anno nella piazza più alta del paese (p.za Trento e Trieste), dinnanzi al Municipio.

A Salemi in provincia di Trapani, san Biagio è compatrono assieme a san Nicola della città dal 1542. Si narra che in quell'anno, sotto il regno di Carlo V, la città di Salemi e le campagne circostanti, venissero invase dalle cavallette che ne distrussero i raccolti procurando, così, fame e carestia; allora i salemitani pregarono san Biagio, protettore delle messi e dei cereali, di liberarli da tale flagello ed il santo esaudì queste loro preghiere. Da allora i salemitani, in ricordo di questo evento, nella ricorrenza della festa del santo, ogni anno il 3 febbraio, preparano dei pani in miniatura: i "cavadduzzi", cioè le cavallette e i "cuddureddi", (impastando farina e acqua) questi ultimi rappresentano la gola di cui san Biagio è protettore. La chiesetta dedicata al santo si trova nel quartiere del Rabbato. Il 3 febbraio "cuddureddi" e "cavadduzzi" vengono benedetti e distribuiti ai fedeli che accorrono da ogni parte della città per pregare il santo e per farsi benedire la gola dal sacerdote con le candele accese ed incrociate. Dal 2008 viene fatta una rievocazione storica del miracolo delle cavallette, che vede dame, nobili e cavalieri, clero e popolani in costume medievale, uscire dal castello, percorrere tutto il centro storico ed arrivare alla chiesa del santo per deporre i doni e benedire le gole. Manifestazione a cui partecipano tutte le associazioni cittadine e le scuole.

In Albania, a Durazzo nel monastero di san Biagio durante la prima metà del XX secolo secondo migliaia di testimoni vi sarebbe avvenuto il miracolo di una roccia dalla quale sgorgava olio con effetti curativi per i credenti. Tale monastero è tuttora meta di pellegrinaggio da parte di numerosi fedeli albanesi sia musulmani che cristiani.

In molti luoghi, a motivo del miracolo del salvataggio di un bambino che stava soffocando dopo aver ingerito una lisca di pesce, il 3 febbraio, giorno di san Biagio, è tradizione compiere una benedizione della gola con le candele benedette il giorno precedente, festa della Presentazione di Gesù al tempio.
A Comiso all'uscita del simulacro viene eseguito l' "Inno a San Biagio".

A Lanzara, in Campania, è consuetudine mangiare la famosa "Polpetta di S.Biagio", e, per tener viva questa tradizione, nel periodo della festa viene fatta la "Sagra della Polpetta", tra le più longeve dell'Agro Nocerino Sarnese.
A Cannara, in Umbria, si festeggia il 3 febbraio con lo svolgimento di giochi popolari di abilità. Sin dal giorno prima è usanza far rotolare, quanto più a lungo possibile, forme di formaggio per le vie del centro storico secondo una tradizione già attestata nel XVI secolo col nome di Ruzzolone. Altri giochi consistono nella corsa con i sacchi o nel rompere con un bastone, e bendati, delle brocche appese fra le case che si affacciano in piazza Garibaldi (già del Grano) dove si svolgono la maggior parte delle altre prove. Molto seguito è anche il "gioco degli spaghetti" che premia colui che riesce a finire per primo il piatto di pasta con le mani legate dietro la schiena. Momento solenne è quello della processione religiosa con la statua lignea del Santo, accompagnata dai fedeli e dalle note della banda musicale cittadina.
A valle del paese di Romallo, in Trentino, si trova un interessante eremo dedicato a S. Biagio. Il 3 di febbraio si celebra la messa e viene impartita la benedizione della gola.
Il 3 febbraio si celebra la festa di San Biagio anche a Taranta Peligna, in Abruzzo. In onore del Santo protettore dei lanaioli, con una cerimonia di grande fascino, vengono preparate le "Panicelle", pani a forma di mano che vengono distribuite fra le genti del Paese. Il legame tra Taranta Peligna e il culto di San Biagio è testimoniato anche dalla presenza dei lanifici che hanno dato lustro al pese per la lavorazione delle coperte abruzzesi chiamate "tarante".
A Maratea si tengono due feste in onore del santo: una è quella del 3 febbraio, quando si tiene la benedizione della gola dei fedeli; la seconda, più fastosa, è quella dell'anniversario della traslazione delle reliquie, che si svolge a partire dal primo sabato fino alla seconda domenica di maggio, settimana in cui si svolgono ben quattro processioni del simulacro del santo.
San Biagio si festeggia il 3 febbraio anche ad Acquaviva Collecroce, in Molise. Durante la celebrazione liturgica si benedicono le gole dei fedeli. Anticamente con l'olio benedetto, ora mediante due candele incrociate. Per l'occorrenza si preparano le "Pandiçe" (pane di San Biagio) e dei dolci di forma circolare chiamati "Colaci". La Parrocchia conserva una pregevole tela del Cinquecento raffigurante il martirio di San Biagio; una reliquia donata al popolo verso la metà del Settecento e un'artistica statua in cartapesta del 1886 dello scultore sordomuto Gabriele Falcucci di Atessa.
Si festeggia San Biagio anche a Cessalto, in Veneto. Si racconta che il Santo salvò un bambino da morte sicura per aver ingoiato una lisca di pesce. Invocato il Santo, il bambino sputò la lisca di pesce e si salvò.
Il 3 febbraio a Lettomanoppello si celebra la festa liturgica di San Biagio. Durante la celebrazione eucaristica il parroco, oltre a benedire la gola dei fedeli con due candele incrociate, benedice, come da secolare tradizione, i "tarallucci di San Biagio" che sono dei dolci a forma di piccola ciambella impastati con semini di anice. I tarallucci poi vengono riportati a casa e donati a parenti ed amici che dopo averli baciati ne mangiano per ingraziarsi la protezione di San Biagio, particolarmente a protezione della gola e dai mali di stagione.
A Caronia si celebra la festa di San Biagio con grande devozione e pietà. Il giorno della festa, per antica consuetudine si benedicono i "cudduri di San Brasi", pani e dolci a forma di ciambella di nocciole e mandorle fuse con il miele. Questi segni di devozione vengono benedetti dall'Arciprete durante la Santa Messa Solenne e poi sono donati ai malati e alle persone che ne fanno espressa richiesta in Parrocchia.
Il 3 febbraio, a San Marco in Lamis, la gente sin dal mattino subito affolla la chiesa per la benedizione del pane che verrà distribuito ai poveri. La sera dopo una Santa Messa solenne, vi è l'imposizione delle Candele alla gola, da parte del parroco.
Nella parrocchia di Montefiore di Recanati il patrono San Biagio si festeggia la prima domenica di febbraio. Durante la celebrazione liturgica si benedicono le gole dei fedeli con due candele incrociate e viene benedetto il pane. Dopo la S.Messa principale delle 11,15 viene portata in processione per il paese la reliquia del santo.
A Plaesano, alla fine della processione, prima di rientrare in chiesa, vengono effettuati tre giri di corsa intorno alla chiesa con la statua del santo in spalla.
A Orbetello il 3 febbraio si celebra la festa liturgica del santo, dove i pescatori della laguna donano il loro pesce. Il 12 maggio c'è la Traslazione, ovvero i pellegrini prelevano il teschio del Santo dalla Chiesa di Ansedonia e lo portano in processione lungo la laguna, fino alla parrocchia di Orbetello.
A San Biagio, frazione di Garlasco, dopo l'invocazione: "San Bias, la gula e al nas", si procede alla benedizione della gola e del naso nella chiesa parrocchiale a lui dedicata, e a pranzo si consumano i ravioli di magro con ripieno di grana e barlande, seguiti dal tradizionale panettone di San Biagio.
A Ruvo di Puglia, dove San Biagio è anche Santo Patrono, il 3 febbraio si celebra la Messa di devozione nella Concattedrale di età romanica, dove è custodita la reliquia del Santo. Inoltre si Benedicono i "friciduzze" (taralli realizzati nelle forme di mano, bastone, piede e Mitra di San Biagio) e le "fettuccine di San Biagio", nastrini colorati che proteggono dal mal di gola.
A Chiavari in Liguria, San Biagio è contitolare della parrocchia di Bacezza. Ogni 3 febbraio nel Santuario di Nostra Signora dell'Olivo si celebra l'Eucaristia con la benedizione del grano e la venerazione di una reliquia del Santo.
Ad Alvito il 3 febbraio nella Cappella di San Biagio, costruita nel XVIII secolo, il parroco unge le gole dei fedeli con dell'olio benedetto per proteggerli dal mal di gola.
a Vignanello il 3 febbraio, dopo la solenne messa, il parroco unge le gole dei fedeli per proteggerli, inoltre nel primo fine settimana di agosto si svolgono festeggiamenti in onore di san Biagio con processioni concerti etc.

I fedeli si rivolgono a san Biagio nella sua qualità di medico, anche per la cura dei mali fisici e in particolare per la guarigione dalle malattie della gola: è tra i quattordici santi ausiliatori. Durante la sua celebrazione liturgica, in molte chiese i sacerdoti benedicono le gole dei fedeli accostando ad esse due candele; per questo è anche patrono degli specialisti otorinolaringoiatri. È anche protettore dei cardatori di lana, degli animali e delle attività agricole. In mancanza di un santo patrono a loro dedicato, a cavallo tra il 2013 e il 2014 alcune equipe d'animazione l'hanno eletto a protettore, indicandolo come patrono degli animatori.

San Biagio è il santo patrono delle diocesi di Cassano allo Ionio e di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.

Il panettone di San Biagio è una tradizione di Milano poco conosciuta al di fuori dei confini della città, ma utilissima per finire i panettoni avanzati dalle feste di Natale.

Perchè bisogna mangiare il panettone di San Biagio? E’ presto detto: il 3 febbraio è la giornata che la chiesa cattolica dedica alla celebrazione di San Biagio, una figura che secondo la tradizione popolare milanese ‘benedis la gola e él nas‘. I milanesi, infatti, sono soliti mangiare un panettone benedetto proprio in questa giornata (anche se non è freschissimo, anzi meglio).
Una massaia prima di Natale portò a un frate un panettone perchè lo benedicesse. Essendo molto impegnato, il frate – che si chiamava Desiderio – le disse di lasciarglielo e passare nei giorni successivi a riprenderlo. Ma la donna se ne dimenticò e frate Desiderio, dopo averlo benedetto, iniziò a sbocconcellarlo finchè si accorse di averlo finito.

La donna si ripresentò a chiedere il suo panettone benedetto proprio il 3 febbraio, giorno di San Biagio: il frate si preparò a consegnarle l’involucro vuoto e a scusarsi, ma al momento di consegnarglielo si accorse che nell’involucro era comparso un panettone grosso il doppio rispetto all’originale. Era stato un miracolo di San Biagio, che diede il via alla tradizione di portare un panettone avanzato a benedire ogni 3 febbraio e poi mangiarlo a colazione  per proteggere la gola.




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martedì 28 aprile 2015

PERSONE DI VARESE : LUIGI SACCO

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Sacco, Luigi. - Medico e igienista (Varese 1769 - Milano 1836). Appassionato fautore della vaccinazione jenneriana, contribuì a diffonderla in tutto il Lombardo-Veneto. Scrisse fra l'altro: Osservazioni pratiche sull'uso del vaiolo vaccino come preservazione del vaiuolo umano (1800).

Luigi Sacco (Varese, 9 marzo 1769 – Milano, 26 dicembre 1836) è stato un medico italiano, pioniere della vaccinazione anti-vaiolosa.

Luigi Sacco nacque a Varese il 9 marzo 1769,da Carlo Giuseppe e da Maddalena Guaita,civili ed agiati borghesi. Studiò medicina all'Università di Pavia alla quale si iscrisse dopo aver vinto il posto di alunno al Collegio Ghislieri e dove fu allievo di Lazzaro Spallanzani di Antonio Scarpa e di Giovanni Pietro Frank e di altri luminari di quell'ateneo. Nel 1792 conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia. Diversi testimoni affermano che Sacco vestiva la tunica collegiale allora d'uso in modo trasandato, e spesso dimenticava passatempi e pranzo, tutto assorto negli studi fisiologici o negli studi anatomici sui cadaveri.

Nel 1792, dopo essersi laureato, si trasferì a Milano dove cominciò la sua carriera pratica e contrasse amicizia con Pietro Moscati,rinomato professore di ostetricia. Presentò alla Società Patriottica delle Scienze a Milano uno scritto "Sopra una nuova maniera di preparare gli insetti" che gli valse un premio, assieme alla nomina di socio corrispondente. Continuò a viaggiare per l'Italia, allo scopo di erudirsi sempre di più, tentando di realizzare il suo desiderio di visitare l'America, ma una volta, quasi al momento di partire, una donna che si definì una "principessa" lo invitò a non imbarcarsi. Fu quasi un segno del destino perché l'imbarcazione a bordo della quale avrebbe dovuto trovarsi fece naufragio.

Quando nel 1798 Edward Jenner pubblicò uno scritto "An inquiry into the causes and effects of the variolae vaccinae", nel quale descrive il proprio metodo di vaccinazione, Luigi Sacco iniziò ad interessarsi alle cause della contaminazione del vaiolo in Italia. Nel settembre del 1800 si recò a Varese esaminando un certo numero di vacche provenienti dalla Svizzera colpite dal vaiolo, che presentavano pustole e croste sulle mammelle. Decise prelevare dall'interno dalle pustole mature del materiale con il quale effettuare i suoi esperimenti.

Il dottor Sacco nel suo libro "Osservazioni pratiche sull'uso del vajuolo vaccino,come preservativo del vajuolo umano",così scrive:

« Abbenché non mi sembrasse di poter dubitare che questo fosse il vero vajuolo vaccino,pure essendo la prima volta che io lo vedeva,mi nacque il sospetto che le pustole potessero essere del genere di quelle che accompagnano il vajuolo spurio descritto da Jenner. »
(Ferrario,  p. 6)
Il primo esperimento venne effettuato su cinque bambini di età compresa tra i 2 e i 7 anni. Avevano timore della vaccinazione, allora il dottor Sacco per persuaderli si autovaccinò. La facilità con la quale s'inoculò, l'assenza di dolore e la promessa di premi, indussero i ragazzi a lasciarsi vaccinare.

Quattro di loro contrassero il vaiolo vaccino ed uno non subì alcuna alterazione,nemmeno dopo una seconda vaccinazione. Anche il dottor Sacco , dopo l'inoculazione,contrasse il vaiolo vaccino,con la comparsa di varie pustole che dopo alcuni giorni essiccarono. Dal settembre del 1800 all'aprile del 1801 egli eseguì più di 300 innesti di virus vaccino a Varese,a Giussano,a Montonate ed in gran parte a Milano. Questi furono dunque i primi trionfi della vaccinazione in Lombardia ed il governo della Repubblica Cisalpina nominò il dottor Sacco direttore della vaccinazione, ponendo a sua disposizione gli orfanotrofi per istituirvi pubblici esperimenti.

Fin dalle prime vaccinazioni si serviva di un ago simile a quello che si adopera per l'abbassamento della cateratta. Scoprì inoltre uno dei più importanti vantaggi del vaiolo vaccino : tra gli uomini questa malattia non è contagiosa, trasmettendosi soltanto per inoculazione.

Pertanto, secondo il dottor Sacco, i vaccinati possono mescolarsi con coloro che non lo sono e con chiunque non abbia contratto il vaiolo umano, senza temere di recar loro qualsiasi danno Mentre con l'inoculazione del vaiolo umano si metteva spesso in pericolo di vita, non solo l'inoculato, ma anche le persone che gli stavano intorno. Riteneva che la differenza di nomi attribuiti dagli abitanti al vaiolo vaccino fosse stata la causa del ritardo di questa scoperta. Questa malattia veniva chiamata groffera , scabbiola, broccardo, varola,ecc...

Dopo il 1801 effettuò vaccinazioni a Parma, Reggio Emilia, Modena, e, recatosi a Bologna continuò a sperimentare l'innesto del vaiolo vaccino per contrastale la proliferazione di una micidiale epidemia vaiolosa. Fu un successo, e i bolognesi riconoscenti, premiarono il dottor Sacco con una medaglia d'oro, cosa che fecero anche i bresciani, nel maggio 1802.

Nel 1802 pubblicò a Milano il suo "Rapporto del solenne pubblico esperimento di controprova coll'innesto del vajuolo umano" condotto nell'Orfanotrofio della Stella il 31 agosto 1802 su 63 individui,e riuscito con grande successo in presenza delle principali autorità della Repubblica e di molti professori dell'arte.

Nel 1803 venne nominato medico primario dell'Ospedale Maggiore di Milano e direttore generale della vaccinazione nella Repubblica Cisalpina.Nello stesso anno pubblicò il suo libro "Memoria sul vaccino unico mezzo per estirpare radicalmente il vajuolo umano, diretto ai governi che amano la prosperità delle loro nazioni", testo che divenne famoso in tutta Europa. Il suo ceppo di vaccino antivaioloso fu utilizzato in paesi remoti quali la Persia, Bagdad e l'Indostan.

Luigi Sacco riteneva che per estirpare totalmente il vaiolo naturale fosse necessario che i governi adottassero misure a favore della vaccinazione, e che i cittadini stessi formassero dei gruppi di pressione, per incoraggiare e assicurare quelle persone che ancora dubitavano nell'efficacia del vaccino.

Egli stesso effettuò un'intensa propaganda, e le sue circolari erano sempre unite ad un'omelia scritta da un vescovo, con l'intendo di infondere religiosamente nel popolo la necessità e l'obbligo in coscienza di farsi vaccinare. Nel 1804 effettuò esperimenti di vaccinazione con il vaiolo pecorino e scoprì che questo virus innestato nell'uomo produce il medesimo effetto del vaccino del vaiolo umano. Nel 1806, in poco più di sei mesi presentò al governo i nomi di 130.000 persone, vaccinate solo in alcune zone del Nord dell'Italia e di 120.000 nelle province venete. Grazie alla vaccinazione, la città di Venezia risolse una grave epidemia di vaiolo che uccideva circa 15 persone al giorno.
Nel 1809 pubblicò la sua opera più importante, il "Trattato di vaccinazione,con osservazioni sul giavardo e sul vajuolo pecorino", in cui riepilogò quanto aveva narrato nei suoi scritti precedenti, dedicando l'opera al principe Eugenio di Beauharnais viceré del regno d'Italia. L'illustre professore Giuseppe Frank chiamò quest'opera "Opus aureum". L'opera venne tradotta in Germania da Guglielmo Sprengel, in Francia da Joseph Daquin e anche in Inghilterra. La fama del dottor Sacco divenne mondiale. Ben grato al grande Jenner, nel suo trattato diceva che la scoperta jenneriana fu uno dei più preziosi doni della Provvidenza, e merita la riconoscenza della presente e delle future generazioni.
Durante i suoi studi sul vaccino il dottor Sacco però cadde in errore: riteneva che una sola vaccinazione avrebbe reso immune il vaccinato per tutta la vita, fatto che ancora non era stato statisticamente confermato. La sola esperienza del tempo dimostrò infatti che molti individui vaccinati, dopo 10-15 anni dalla vaccinazione furono attaccati dal vaiolo umano, e alcuni di loro morirono.

Egli affermava:

« So bene essersi detto che talvolta il vajuolo è venuto a qualche vaccinato;io però rispondo con tutta ingenuità di non aver finora mai osservato alcun esempio di tal fatto.»
(Luigi Sacco)
Temendo che il popolo diminuisse troppo la sua fede nel vaccino, continuò a sostenere la sua convinzione. Durante l'epidemia vaiolosa proveniente da Marsiglia e da Genova nel 1823,che colpì anche coloro che erano stati vaccinati, il dottor Sacco riteneva che la causa di ciò fosse una vaccinazione con vaccino spurio e che non fosse necessario effettuare una rivaccinazione. Nel settembre 1832 a Vienna egli lesse al Congresso dei Naturalisti e Medici della Germania una dissertazione da titolo : "De vaccinationis necessitate per totum orbem rite instituendae", in cui ribadiva che bastava una sola vaccinazione per preservare il popolo dal vaiolo umano.

Fin da quando ebbe rassegnato la carica di direttore generale della vaccinazione dedicò parte del suo tempo ad attività industriali, agricole e terapeutiche. Nel 1811 venne premiato con una medaglia d'oro, per aver istituito una fabbrica di barbabietole da zucchero e con una medaglia d'argento dall' Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti per i prodotti che si ricavavano dalle barbabietole.

Nel 1820 l'Istituto del Regno Lombardo-Veneto premiò il dottor Sacco con una medaglia d'argento per avere introdotto una nuova macchina che preparava il lino e la canapa senza macerazione. Contemporaneamente a tali iniziative, intellettuali e pratiche, agrarie e industriali, inventati o perfezionati da lui, si occupò di una grandiosa opera di idraulica agraria nella provincia di Sondrio, assieme all'imprenditore francese Giacomo Rousselin.

Nel 1835 venne nominato Cavaliere dell'Ordine Imperiale Austriaco della Corona di Ferro. Nel maggio 1836, in occasione della memorabile adunanza dei medici di Milano, fece adottare alcuni provvedimenti anticontagio per difendere la popolazione dalla nuova pestilenza del cholera morbus indostanico.

Negli ultimi anni della sua vita il dottor Sacco iniziò alcuni esperimenti su cani idrofobi, utilizzando il cloro come cura contro l'idrofobia. In alcuni casi aizzava dei cani alla rabbia, privandoli d'acqua, di cibo e lasciandoli chiusi in gabbia sotto il sole.

Per questo motivo non ottenne alcun appoggio e dovette terminare questi esperimenti. Nonostante ciò continuò a fare ricerche sul cloro, in particolare come cura del tifo petecchiale. Infatti dopo che ricomparve nel 1820 la febbre petecchiale,vennero radunati alcuni malati e il dottor Sacco se ne prese cura. Il loro corpo veniva lavato con idrocloro puro e dovevano bere tre bibite al giorno di idrocloro allungato con acqua : dopo otto o nove giorni giungevano alla convalescenza. Il dottor Sacco mostrava interesse verso ogni novità medica o chirurgica: sperimentò l uso dell'agopuntura,dello iodio e della litotrissia, per la quale fece appositamente costruire un semplice letto d'operazione.

Si dice che mentre viaggiava per l'Italia, generoso propugnatore e propagatore della vaccinazione, era da un lato accolto dalle accademie e retribuito con medaglie e onorificenze sociali, dall'altro veniva considerato un impostore o un temuto emissario della Repubblica e preso a sassate dal popolo quando teneva le sue conferenze sulla vaccinazione nella pubblica piazza.

Asseriva di non saper singolarmente amare qualcuno. Nonostante ciò sposò Carolina Borghi, già vedova di due mariti, i signori Giovanni Attanasio e Carlo Resnati, e dalla quale ebbe una figlia di nome Maddalena che morì poco dopo la nascita.

Si prese cura delle tre figlie che la moglie aveva avuto dai precedenti matrimoni.Nel 1829 venne nominato temporaneamente direttore dell' Ospedale Maggiore e dei Luoghi Pii Uniti di Milano, ma non sostenne abbastanza il decoro e i diritti dei suoi colleghi, si mostrò troppo debole e ligio nei confronti di chi voleva trovare colpe nei suoi dipendenti e pretendeva eccessive restrizioni nei rimedi costosi per i vari ospizi.

Il dottor Sacco era un uomo d'alta statura, sobrio nel vivere, di carattere un po' confuso, astratto e divagato; non faceva distinzione nel visitare il tugurio del miserabile del povero malato o il palazzo del ricco o del principe. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò al giardinaggio, ed in particolare si prese cura della sua raccolta di migliaia di camelie di diversa varietà.Il 26 dicembre 1836, a 67 anni,morì vittima di un attacco cardiaco dovuto ad una dilatazione abnorme dell'arco aortico,in un'abitazione di corso Monforte a Milano.









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PERSONE DI VARESE : GIULIO BIZZOZERO

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Giulio Bizzozero (Varese, 1846 – Torino, 1901), medico e senatore del Regno d’Italia, è noto per essere stato il primo a descrivere le piastrine del sangue. Per i suoi studi sul tessuto connettivo e sul sistema linfatico è considerato il padre fondatore dell’istologia italiana. Ma ha svolto un ruolo decisivo nello sviluppo del sistema sanitario italiano.
Compiuti gli studi classici a Milano, s'iscrisse alla facoltà di medicina dell'università di Pavia dopo un'iniziale perplessità sulla scelta tra gli studi medici e quelli letterari. Allievo interno nel laboratorio di fisiologia sperimentale, fondato nel '60 da Oehl, vi portava a termine nel '62 la sua prima memoria di anatomia microscopica: Della distribuzione dei canali vascolari... Passato nel laboratorio di patologia generale diretto da Mantegazza, riusciva a pubblicare prima della laurea altri sei lavori sperimentali su problemi di istologia normale e patologica. Il 5 giugno 1866 conseguiva, ventenne, la laurea in medicina a Pavia, con il premio Matteucci destinato ai laureandi che avessero conseguito i massimi punti in tutte le materie d'insegnamento. Il mese successivo si arruolava volontario come medico militare. Tornato a Pavia nel '67, gli era conferito l'incarico dell'insegnamento della patologia generale e dell'istologia: alla riluttanza della facoltà medica di Pavia, motivata dall'età troppo giovane del Bizzozero, vennero incontro i buoni uffici del ministro della Pubblica Istruzione, Coppino, sollecitato dal Mantegazza. Una fonte biografica parla di un esordio del Bizzozero come anotomo-patologo e di un'infezione cadaverica, contratta al tavolo autoptico, che l'avrebbe indotto a passare agli studi di patologia generale: ma non precisa, la fonte anzidetta, se ciò avvenne prima o dopo la laurea ( Abba, in Almanacco igienico-sanitario, 1901). Viaggi scientifici lo condussero presso  Frey a Zurigo - dove si rese padrone della tecnica istologica, che avrebbe poi esposta sistematicamente nel fortunato Manuale- e presso  Virchow a Berlino, dove ebbe conoscenza diretta di quegli orientamenti teorici e sperimentali della "fisiologia patologica" - una disciplina nascente dalla confluenza di fisiologia e di patologia, che Virchow aveva identificata senz'altro con la "biologia", ovvero con la teoria dei fenomeni vitali nel più lato senso - cui si era aperto a Pavia, ancora studente, attraverso l'insegnamento dei maestri Oehl e Mantegazza, nonché attraverso Cantani, Tommasi e  Moleschott, tutti di formazione tedesca. Fece conoscere e riconoscere presto l'efficacia del suo magistero; nel '73, l'anno in cui vinceva il concorso per la cattedra di patologia generale ed era chiamato all'università di Torino, aveva già intorno a sé, come occasionali collaboratori o come allievi, alcuni tra i più valenti ricercatori della medicina italiana dei decenni successivi: Golgi, Foà, Bassini. A Torino, tra forti contrasti - quegli stessi, avrebbe successivamente ricordato il necrologio del n. 19 della Münchener Medizinische Wochenschrift del 1901, che si erano determinati tra il Virchow e gli anatomo-patologi di Vienna e di Parigi -, istituì un laboratorio di patologia generale annesso alla sua cattedra, assecondando l'esigenza cui si aprivano in quegli anni altri autorevoli insegnamenti delle facoltà mediche italiane. Venutigli meno i mezzi di cui in un primo tempo aveva potuto disporre, adibì per un certo tempo a laboratorio alcune stanze della sua abitazione. A Torino riprese un'iniziativa già tentata a Pavia - con la pubblicazione di un Giornale di scienze fisiche e naturali, che ebbe breve vita - e fondò l'Archivio italiano per le scienze mediche, che si accreditò ben presto anche all'estero come il più autorevole organo della medicina italiana a orientamento sperimentalistico.
L'annata prima dell'Archivio italiano per le scienze mediche "pubblicatoda una società di studiosi e diretto da  Bizzozero in Torino" vide uscire quattro nutriti fascicoli negli anni 1876-77: poi annate ed anni solari coincisero. Analogo negli intenti, e nella funzione che di fatto esplicò, all'Archiv für pathologische Anatomie fondato dal Virchow nel '47, l'Archivio del Bizzozero se ne distinse tuttavia per la mancanza di quella componente teorica e metodologica che dette alla rivista del Virchow un durevole significato nella storia della scienza. Privo finanche della consueta pagina di presentazione ai lettori, il nuovo periodico si apriva con un lavoro del Bizzozero e del Manfredi Sul mollusco contagioso. Importante per il carattere e la finalità della rivista la comparsa, nel fascicolo 3 dell'annata I, di una Rivista bibliografica italiana e di una rubrica di Nuove pubblicazioni, che giovarono, soprattutto all'estero, all'affermazione della giovane scuola medica del nostro Paese. Tra i collaboratori della prima annata figurano Foà, Grassi, Golgi, Forlanini, Moleschott, Albertoni.

Direttore della Scuola superiore di medicina veterinaria di Torino dal 1884, rettore dell'ateneo torinese nel 1885, membro del Consiglio superiore di sanità dal 1887, dal 1888 membro della Accademia delle Scienze di Berlino e dal 1890 senatore del Regno, Bizzozero nel '97 assumeva con  Pagliani la direzione della Rivista d'igiene e sanità pubblica. Negli ultimi anni di vita - la morte, dovuta a un'affezione pleuropolmonare acuta, lo colse prematuramente l'8 aprile 1901, all'età di cinquantacinque anni - non potendo applicarsi all'osservazione microscopica protratta perché sofferente d'una grave forma di coroidite, prese viva parte al dibattito su quei problemi dell'igiene pubblica, cui già all'inizio dell'attività torinese aveva dato un primo, significativo contributo con la memoria: Sui provvedimenti contro la trichina (1879).

Nel novembre 1882, inaugurandosi l'anno accademico dell'università di Torino, il discorso ufficiale era stato tenuto da Bizzozero sul tema: La difesa della società dalle malattie infettive.Bizzozero auspicò che l'igiene pubblica si adeguasse alle nuove vedute sul contagio e sulle epidemie, derivanti dalle esperienze di  Pasteur sulle fermentazioni e sulla diffusione di alcune gravi malattie, e sollecitò l'istituzione di un ufficio centrale di sanità presso il ministero dell'Interno, che sarebbe dovuto essere "un corpo eminentemente tecnico, munito di estesi poteri".

Scoppiata nell'84 una grave epidemia di colera, che serpeggiò fino al 1887, la Società d'igiene di Torino, per iniziativa del Bizzozero e di  Pagliani, denunziò l'inefficienza di un sistema di profilassi e di disinfezione ancora fondato sulle quarantene e sui cordoni sanitari. La giustezza dei rilievi formulati dagli igienisti piemontesi non sfuggì al Crispi, che istituì una direzione sanitaria, al livello tecnico, alle dipendenze immediate del ministro dell'Interno e varò la Legge sulla tutela dell'igiene e della sanità pubblica. Nel giugno '91 Bizzozero intervenne in Senato con due energici discorsi contro la minaccia d'un decentramento dei servizi sanitari, che sembrava fosse nelle intenzioni del primo governo di Rudinì. Nel '96 il secondo ministero di Rudinì, per realizzare economie di bilancio, prese l'iniziativa di un decentramento dei servizi sanitari e di una riduzione dell'organico centrale, che trovarono nel Bizzozero un deciso oppositore.

Dal 1896 alla morte nacquero i maggiori scritti del Bizzozero sui problemi della pubblica igiene. Nei due articoli: La vaccinazione e i suoi oppositori (1897), Il vaiolo e la vaccinazione a Milano (1898), Bizzozero riprendeva quell'opera di convincimento a favore della pratica jenneriana, ch'era stata incominciata agli inizi del secolo dallo "Jenner italiano",  Sacco, autore del noto Trattato di vaccinazione (1809). La cura e la profilassi della tubercolosi e della gonorrea, il problema della repressione dell'alcolismo, l'approntamento di misure difensive contro le epidemie di peste, la prevenzione della difterite, la propaganda a favore di misure igieniche elementari, come la bollitura dell'acqua, per contenere la diffusione del tifo, furono oggetto di articoli apparsi su periodici scientifici e sulla Nuova Antologia, nonché dei discorsi inaugurali tenuti ai congressi d'igiene di Torino (1898) e di Como (1899). Caratteristica del Bizzozero igienista fu la mediazione tra leggi e abitudini igieniche da una parte, e dall'altra il progresso delle conoscenze scientifiche, attinto alle più autorevoli fonti italiane e straniere.

Ma i contributi per i quali Bizzozero appartiene alla storia delle discipline biologiche sono quelli di argomento istologico e istopatologico: tra tutti spiccano i lavori sugli elementi figurati del sangue e sul meccanismo della coagulazione.

Le prime osservazioni originali del Bizzozero sul midollo delle ossa risalgono agli anni in cui egli frequentava come allievo interno il laboratorio del Mantegazza. Questi nel '65 riferiva all'Istituto lombardo che Bizzozero aveva osservato movimenti ameboidi delle cellule incolori del midollo delle ossa. Con i lavori che pubblicò tra il 1862 ed il '68 Bizzozero si qualificava intanto come l'istologo italiano più esperto delle nuove tecniche microscopiche e citochimiche: e i lavori del '68-'69 sulla funzione ematopoietica del midollo delle ossa (Sulla funzione ematopoietica del midollo delle ossa. Due comunicazioni preventive sul midollo delle ossa) poterono così portare decisivi elementi di prova a favore di un'ipotesi, ch'era già stata formulata da altri autori.

"È un fatto conosciuto già da molto tempo - affermava Bizzozero con la consueta obiettività (Sul midollo..., in Opere scientifiche, p. 196), che il midollo deve esercitare una grande influenza sull'ematopoiesi e sulla nutrizione generale dell'organismo". Tra le numerose memorie e comunicazioni preventive, apparse in quegli anni sullo stesso argomento, il citato lavoro del Bizzozero si segnala per l'esattezza e la metodicità delle osservazioni microscopiche, e per l'organicità della descrizione anatomo-fisiologica. Bizzozero distingueva il midollo osseo in rosso, gelatinoso e giallo; gli attribuiva senz'altro la funzione di "produzione di globuli rossi e bianchi, ed in particolari circostanze, distruzione di globuli rossi"; sosteneva l'analogia tra i globuli rossi nucleati del midollo, quelli del sangue embrionale e fetale e quelli del sangue anemico e leucemico; descriveva esattamente i vari tipi di "cellule midollari", insinuando fondati dubbi sulla presunta metaplasia dei globuli bianchi in globuli rossi, e la conformazione dei capillari intramidollari; iniziava un esame sistematico delle alterazioni del midollo in varie sindromi morbose.

Attraverso lavori di minore originalità - ad eccezione di quello del '79: Il cromocitometro. Nuovo strumento per dosare l'emoglobina del sangue, contenente la descrizione di un nuovo, semplice apparecchio costruito dal Bizzozero, che poteva fungere da citometro e da cromometro, e che ha tuttora la più larga applicazione negli studi ematologici e nella pratica clinica -, si giunge alle fondamentali memorie sulle piastrine, pubblicate dal B. nel 1883-84: Di un nuovo elemento morfologico del sangue e della sua importanza nella trombosi; Die Blutplaettchen im peptonisirten Blute; Sul terzo elemento morfologico del sangue; Sulla preesistenza delle piastrine nel sangue normale dei mammiferi.

Con questi lavori Bizzozero affrontava quei problemi ancora irrisolti dell'ematologia, con i quali si erano cimentati di recente Schultze (in Archiv für mikroskopische Anatomie, I), che considerava gli ammassi di globuli o granuli incolori, di forma irregolare e di diversa grandezza, talvolta isolati, osservati nel sangue di individui sani, come formazioni di natura albuminosa che egli chiamava "Körnchenbildungen", Ranvier (in Gazette médicale, 1873, pp. 93 s.) e G. Hayem (in Archives de Physiologie, 1878), il quale riteneva che gli elementi discoidi degli ammassi granulari dessero origine ai globuli rossi e li chiamava "ematoblasti".

Bizzozero progettò un nuovo tipo di esperimento: lo studio del sangue circolante nell'animale vivo. L'osservazione microscopica del mesentere di cavia o di coniglio gli permetteva di affermare che "veramente a lato dei globuli rossi e dei bianchi circola un terzo elemento morfologico". Esso è "rappresentato da piastrine pallidissime, a forma di disco a superfici parallele, o, più di rado, di lente, ovali o rotonde; di diametro uguale ad un terzo o alla metà di quello dei globuli rossi. Esse sono sempre incolori, e circolano disperse irregolarmente fra gli altri globuli... Sono in regola isolate l'una dall'altra, il che non toglie però che non di rado si veggano riunite in ammassi più o meno grandi. Ciò però è già un indizio della loro alterazione..." (Di un nuovo elemento..., in Opere scientifiche). Quanto alla funzione del terzo elemento morfologico, già lo Schultze e il Ranvier avevano osservato l'esistenza di un rapporto tra gli ammassi granulari del sangue e il reticolo fibrinoso della coagulazione: ma poteva trattarsi di una coincidenza fortuita, e Bizzozero, nel mostrarsi sensibile a tale rischio, rivelava altresì d'aver assimilato la lezione metodologica del Virchow, che sulla base d'una rigorosa analisi formale aveva confutato la teoria trombotica dell'infarto polmonare, proposta dalla scuola anatomopatologica francese. Bizzozero cercò di determinare il comportamento delle piastrine "in quelle condizioni in cui il sangue spontaneamente non coagula" (ibid., p. 687). E. Brücke aveva già dimostrato l'influenza della parete vascolare normale sul liquido ematico. "Era quindi importante per la questione che ci occupa di sapere come si comportino le piastrine per tutto quel tempo che il sangue si conserva liquido; poiché, se in questo frattempo esse subissero la trasformazione granulosa, noi avremmo un argomento di gran peso contro l'influenza loro sulla coagulazione" (ibid., p. 687). Bizzozero istituì due diverse serie di esperimenti. Nella prima eseguì prelievi di sangue a varia distanza di tempo dalla morte dell'animale, dimostrando che l'alterazione delle piastrine coincideva con l'inizio della coagulazione; nella seconda, con prelievi eseguiti da un tratto di vaso arterioso o venoso, isolato con una duplice legatura, di un animale vivo, Bizzozero ottenne lo stesso risultato d'una concomitanza tra inizio della coagulazione e modificazioni piastriniche.

Nell'importante memoria Sulla struttura degli epiteli pavimentosi stratificati (1886),  Bizzozero confermava e corroborava la sua scoperta di spazi ("intercigliari" o "interspinosi") esistenti tra le ciglia o spine degli elementi cellulari degli epiteli anzidetti, che costituiscono un vero sistema lacunare di notevole importanza fisiologica per capire come avvenga la nutrizione dell'epitelio: i primi risultati erano stati comunicati dal Bizzozero in un lavoro del 1870, dallo stesso titolo.

Si giunse così, attraverso il fondamentale articolo Sulla produzione e sulla rigenerazione fisiologica degli elementi ghiandolari (1887), all'ampia sintesi dei problemi di fondo dell'istofisiologia, contenuta nel discorso del Bizzozero all'XI Congresso medico internazionale di Roma (aprile 1894).

Con Virchow, la teoria cellulare aveva dato il massimo rilievo all'autonomia, potenziale o attuale, della cellula nel contesto dell'organismo dei Metazoi. Alle due funzioni attribuite alla cellula da Schwann, la nutrizione e l'accrescimento, Virchow ne aveva aggiunta una terza, l'eccitabilità, mentre aveva distinto l'accrescimento in riproduzione e sviluppo. Restava aperto il quesito dei limiti che l'organismo pone all'esercizio delle funzioni cellulari, e in primo luogo alla funzione riproduttiva. La risposta implicava problemi teorici di grande portata, che il Virchow aveva delineati, sia pure da lontano, nelle memorie degli anni seguiti alla Cellularpathologie (1858). Bizzozero, riluttante a salire a quegli elevati livelli teorici, dove la scienza trapassa in assiomatica e poi in filosofia naturale, generalizzò i risultati d'una trentennale esperienza istologica in una classificazione dei tessuti dal punto di vista del rapporto differenziamento-riproduzione cellulare, che è rimasta alla base di tutto l'edificio dell'istologia e dell'embriologia. L'anzidetta classificazione distingue tra i tessuti quelli a elementi labili, stabili e perenni.

L'impostazione stessa del problema nasceva, nel Bizzozero, dalla volontà di evitare i grandi problemi della teoria biologica, fermandosi a una problematica sperimentale espressa in modo rigoroso. "Preciso in poche domande il mio tema: per quali modificazioni istologiche crescono i tessuti del nostro organismo, e come decorre in essi quel processo continuo, fisiologico di rigenerazione che vale a conservarne immutate la costituzione e le proprietà? come possono i diversi tessuti riparare le perdite cui patologicamente vanno soggetti? quale parte nell'avviare e dirigere questi processi di accrescimento e di rigenerazione rappresentano i vasi sanguigni, quale i nervi, quale gli elementi stessi?" (Sulla produzione..., in Opere scientifiche, II, p. 1102). Nei tessuti a elementi labili le cellule hanno una vita breve, perché dopo il differenziamento subiscono processi degenerativi e muoiono: a sostituire le cellule morte provvedono elementi cellulari derivati per divisione da cellule indifferenziate. Merito grande del Bizzozero fu l'aver distinto gli epiteli ghiandolari delle ghiandole a secrezione apocrina e merocrina - a elementi cellulari stabili - dai comuni epiteli di rivestimento e da quelli delle cellule a secrezione olocrina. Le cellule stabili, diversamente dalle labili, durano per tutta la vita dell'organismo, ma in determinati casi possono differenziarsi e moltiplicarsi. Le cellule perenni durano tutta la vita dell'organismo, e non si dividono mai. Tessuti a elementi perenni sono i muscoli striati e il tessuto nervoso. Il B., per primo, segnalò l'esistenza di limitati e irregolari fenomeni cariocinetici nei muscoli e nei nervi, precorrendo analoghe segnalazioni, che sarebbero state fatte in seguito da altri autori per limitare il valore della classificazione del Bizzozero. Riferendoci all'ampia recente disamina di questi problemi, che trovasi in S. Leghissa, Citologia e istologia, Torino 1967, pp. 267-288, si può ribadire quanto abbiamo affermato, che la classificazione dei tessuti proposta dal Bizzozero resta ancor oggi a fondamento dell'istologia e dell'embriologia normali e patologiche.

Il Manuale di microscopia clinica (1879), tradotto in francese, inglese e russo, dette al mondo scientifico la misura dell'assoluta padronanza di tecniche e metodi d'osservazione con la quale Bizzozero aveva affrontato i compiti della fase "microscopica" - come l'aveva chiamata il Virchow - del pensiero biologico.

Nella prefazione alla prima edizione Bizzozero affermava d'essersi proposto di diffondere tra i medici l'uso del microscopio come strumento diagnostico. L'opera è organica, ma priva di quelle trattazioni che potevano avere un interesse soltanto scientifico. Dopo un capitolo sulla descrizione e l'uso del microscopio, i successivi sono dedicati all'esame del sangue, degli essudati, del pus, della pelle, del contenuto boccale, del vomito, delle feci, dello sputo, del muco nasale, dell'occhio e delle parti annesse, delle secrezioni dei genitali maschili e femminili, del secreto delle mammelle, dell'orina, degli schizomiceti patogeni.

Bizzozero, a considerarne in sintesi la vita e l'opera, assolse in Italia il compito che il Virchow aveva assolto in Germania già nei due decenni precedenti l'inizio dell'attività scientifica del giovane anatomopatologo di Pavia: correlare l'assiomatica delle discipline biologiche, e la stessa medicina pratica, con la nuova prospettiva d'osservazione aperta dal microscopio e definita dalle Ricerche microscopiche di Schwann. Egli fu l'autore al quale più deve la biologia italiana della seconda metà dell'Ottocento, che con Bizzozero riacquistò un prestigio europeo. A lui si deve, d'altra parte, quel trapasso della positività in agnosticismo e positivismo che nell'ambito biologico hanno caratterizzato buona parte della più seria scienza italiana di fronte al ricorrere di corrive ideologie, materialistiche o spiritualistiche, nella sede della scienza stessa, ma anche di fronte ad esigenze autentiche del pensiero scientifico. Privo dei vigorosi spunti metodologici che l'Archiv del Virchow offriva attraverso gli articoli del suo direttore, l'Archivio del Bizzozero rimase lo strumento editoriale di ricercatori abili e coscienziosi, ma incapaci di far udire la loro voce nel più ampio concerto della cultura nazionale.



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giovedì 26 febbraio 2015

ENZO JANNACCI

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Vincenzo Jannacci detto Enzo (Milano, 3 giugno 1935 – Milano, 29 marzo 2013) è stato un cantautore, cabarettista e attore italiano, tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra.

Caposcuola del cabaret italiano, nel corso della sua cinquantennale carriera ha collaborato con svariate personalità della musica, dello spettacolo, del giornalismo, della televisione e della comicità italiana, divenendo artista poliedrico e modello per le successive generazioni di comici e di cantautori.

Autore di quasi trenta album, alcuni dei quali rappresentano importanti capitoli della discografia italiana, e di varie colonne sonore, Enzo Jannacci, dopo un periodo di ombra nella seconda metà degli anni novanta, è tornato a far parlare di sé ottenendo vari premi alla carriera e riconoscimenti per i suoi ultimi lavori discografici.

È ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano, insieme ad Adriano Celentano, Luigi Tenco, Little Tony e Giorgio Gaber, con il quale formò i Due Corsari. Muore all'età di 77 anni dopo una lunga malattia. È uno tra gli artisti con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, con quattro Targhe ed un Premio Tenco.

Il ramo paterno della famiglia è di origine pugliese: il nonno, Vincenzo, di origine macedone era emigrato in Puglia dove conobbe la nonna di Jannacci, originaria di Bisceglie, la coppia emigrò poi a Milano poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale. Il ramo materno è lombardo; il padre, che aveva due fratelli e una sorella (Vincenzo, Giacomo, e Angioletta da cui nacquero Pierangela, Domenico, Alfredo e Bruno) era un ufficiale dell'aeronautica e lavorava all'aeroporto Forlanini (Milano Linate), partecipò alla Resistenza e in particolare alla difesa della sede dell'Aviazione milanese di piazza Novelli, un'impresa che ispirerà poi canzoni come Sei minuti all'alba.

Dopo avere terminato nel 1954 gli studi liceali presso il Liceo Scientifico "Leonardo da Vinci", si diploma in armonia, composizione e direzione d'orchestra al Conservatorio di Milano. Successivamente nel 1967 si laurea in medicina all'Università di Milano. Per ottenere la specializzazione in chirurgia generale si trasferisce in Sudafrica, entrando nell'equipe di Christiaan Barnard. Continuava ad esercitare la professione di medico nonostante si fosse già diplomato al Conservatorio tempo prima.

In seguito si reca negli Stati Uniti. Il 23 novembre 1967 si sposa con Giuliana Orefice, che dà alla luce (il 5 settembre 1972) il loro unico figlio Paolo, divenuto musicista e direttore d'orchestra.

Il 1º gennaio 2003, il primo giorno di pensione di Jannacci, l'amico Giorgio Gaber muore dopo una lunga malattia nella propria casa vicino a Camaiore. Ai funerali di due giorni dopo (nell’Abbazia di Chiaravalle, dove Gaber si era sposato con Ombretta Colli), Enzo partecipa, riuscendo a dire soltanto «Ho perso un fratello».

La carriera di musicista inizia negli anni cinquanta. Dopo il diploma in armonia, composizione e direzione d'orchestra ed otto anni di pianoforte presso il Conservatorio di Milano con il maestro Gian Luigi Centemeri, inizia - all'età di vent'anni - a frequentare gli ambienti del cabaret, mettendo subito in mostra le proprie doti di intrattenitore e presentatore. Nel frattempo, si avvicina al jazz e comincia a suonare in alcuni locali milanesi, ma contemporaneamente scopre anche il rock and roll, genere nuovo che stava ottenendo grande successo negli Stati Uniti d'America con artisti del calibro di Chuck Berry, Bill Haley ed Elvis Presley.

Nel 1956 diventa tastierista dei Rocky Mountains, alla cui voce c'è Tony Dallara, che si esibiscono ripetutamente alla Taverna Mexico, all'Aretusa ed al club Santa Tecla, ottenendo grande successo; tuttavia, alla fine di quell'anno, Jannacci lascia il gruppo e, grazie all'amico Pino Sacchetti, conosce Adriano Celentano, che gli propone di entrare come tastierista nel suo complesso, i Rock Boys, con cui si esibisce nei locali sopracitati ed in particolare al Santa Tecla.

Il 17 maggio 1957 la band suona al primo "Festival italiano di rock and roll", che si tiene nel Palazzo del Ghiaccio e che costituisce una svolta all'interno del panorama musicale nostrano; il gruppo suona la canzone Ciao ti dirò, che si rivela un successo e permette a Celentano di acquisire vasta fama ma, soprattutto, gli fa ottenere un contratto con la casa discografica Music.

Alla fine del 1958 Jannacci, (pur continuando a suonare con i Rock Boys), forma un duo con Gaber, noto con il nome di "I Due Corsari", che debutta nel 1959 con alcuni 45 giri incisi per la Dischi Ricordi; la fortunata esperienza prosegue anche nell'anno successivo con altri due 45 giri e con due flexy-disc, intitolati Come facette mammeta (un classico della canzone umoristica napoletana) e Non occupatemi il telefono, usciti in abbinamento alla rivista "Il musichiere".
In quel periodo l'ambiente musicale milanese si infervora grazie a cantanti rock come Clem Sacco, Guidone, Ricky Gianco ed Adriano Celentano (partecipa come pianista ad alcune sue incisioni per la Jolly), tuttavia, questo cambiamento nella musica popolare italiana si registra anche in altri centri come, per esempio, Genova dove s'impongono i cantautori Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Luigi Tenco e Gino Paoli, vicini alla Dischi Ricordi: con questi ultimi Jannacci collabora in vari progetti.

Come jazzista suona con musicisti dello spessore di Stan Getz, Gerry Mulligan, Chet Baker e Franco Cerri, con i quali registra numerosi dischi, mentre è da Bud Powell che impara a lavorare sulla tastiera prevalentemente con la mano sinistra. Dopo i primi 45 giri incisi con Gaber, debutta come solista con canzoni quali L'ombrello di mio fratello e Il cane con i capelli: sono brani nei quali il cantautore milanese fa già intuire uno stretto rapporto tra la musica e la comicità surreale, un legame che caratterizzerà gran parte della sua produzione artistica. A questo filone, quasi precursore del demenziale (che lui stesso definisce "schizo", abbreviazione di schizoide), si affiancano subito brani più romantici ed introspettivi, come Passaggio a livello, delicata canzone d'amore che Luigi Tenco reincide valorizzando Jannacci anche come autore e pubblicata dalla Tavola Rotonda insieme a Il giramondo nel 1961.

Intanto, continua la fortunata esperienza dei Due Corsari; tutti i 45 giri pubblicati nel biennio 1959-1960, tra cui le celebri Birra, Fetta di limone e Tintarella di luna vengono raccolti una decina di anni dopo nell'album Giorgio Gaber e Enzo Jannacci, pubblicato dalla Family, una sottoetichetta della Ricordi. Nel frattempo i Rock Boys si sono sciolti, e dalle loro ceneri (con alcuni cambi di formazione) sono nati I Ribelli: Jannacci continua a suonare con loro, e partecipa ai primi due 45 giri del gruppo (Enrico VIII e Alle nove al bar, entrambi del 1961); abbandona poi il complesso per dedicarsi soprattutto alla sua carriera solista.

Nel febbraio 1961 Giorgio Gaber partecipa al Festival di Sanremo con una canzone scritta da Jannacci, Benzina e cerini, che non ha però grande fortuna, essendo esclusa dalla finale. Successivamente scrive Un nano speciale e L'artista, nelle quali Enzo racconta di individui poveri, patetici ed emarginati, una tematica che gli sarà molto cara e che affronterà ripetutamente nell'arco di tutta la sua carriera di cantautore. Il 1º dicembre la Ricordi pubblica il 45 giri di Enzo Il cane con i capelli / Gheru gheru, distribuito – in una bizzarra quanto antesignana operazione di marketing – abbinato a un grande cane di peluche con tanto di capelli. All'inizio del 1962, il regista teatrale Filippo Crivelli lo scrittura per lo spettacolo Milanin Milanon, in cui recita insieme a Tino Carraro e Milly e per il quale compone una delle sue prime canzoni in dialetto milanese, Andava a Rogoredo. Poco dopo, con l'aiuto dell'animatore Bruno Bozzetto, firma un simpatico sketch per la televisione, Pildo e Poldo, che apparirà nella trasmissione Carosello fino al 1964.

Nel 1963 segue come pianista la tournée dell'amico Sergio Endrigo, e sempre nello stesso anno inizia ad esibirsi al Derby, locale milanese di cabaret, dove conosce prima Dario Fo, e quindi Cochi e Renato: in entrambi i casi, nascono spontanee amicizie che portano all'inizio di interessanti collaborazioni, soprattutto in ambito musicale. Poco dopo partecipa come comparsa ne La vita agra, pellicola firmata da Carlo Lizzani; canta L'ombrello di mio fratello in un locale nel momento in cui vi entra il protagonista, interpretato da Ugo Tognazzi. Un'altra piccola parte gli verrà riservata nel 1967, quando reciterà per Giorgio Bianchi nel film Quando dico che ti amo. Nel dicembre 1964, viene pubblicato il suo disco di esordio, La Milano di Enzo Jannacci, formato interamente da pezzi cantati in dialetto e contenente uno dei suoi capolavori, El portava i scarp del tennis, commovente racconto della vita sciatta e modesta di un senzatetto milanese; Jannacci la canta alla fine dell'anno nel programma di Mike Bongiorno La fiera dei sogni: è il suo esordio televisivo.

Allo stesso periodo risalgono due 45 giri: Veronica, con testo scritto da Fo e Sandro Ciotti (racconto di un amore consumato al cinema) e Sfiorisci bel fiore, (sulle morti in miniera) reinterpretato dopo molti anni da Mina, Gigliola Cinquetti, Pierangelo Bertoli e Francesco De Gregori. L'anno successivo Jannacci ritorna a teatro con lo spettacolo 22 canzoni, scritto a quattro mani con Dario Fo, dove sfrutta l'occasione di proporre molti nuovi brani, poi inseriti in un disco dal vivo: Enzo Jannacci in teatro, edito dalla Jolly nel 1965. La modalità di composizione dell'album è decisamente innovativa, trattandosi infatti del primo album italiano live in assoluto: i pezzi presenti nel disco sono dunque quelli cantati nel corso di una delle repliche della rappresentazione teatrale, registrati e quindi riproposti in formato LP. Jannacci vi inserisce inoltre due brani in più, che erano stati interpretati in precedenza da Fo: Aveva un taxi nero (dallo spettacolo I sani da legare, del 1954) e Il foruncolo (che lo stesso drammaturgo varesino aveva presentato a Canzonissima del 1962).

Tra le canzoni suonate nell'arco dello spettacolo, che riscuote un grande successo e che per questo viene replicato numerose volte (sempre presso il Teatro Odeon di Milano), la più curiosa è La mia morosa la va alla fonte, basata su di una musica del XV secolo che successivamente il giovanissimo Fabrizio De André userà come accompagnamento melodico per una delle sue canzoni più famose, Via del Campo. Nel fare questo, il cantautore genovese sapeva che la ballata fosse stata modificata da Jannacci, e per questo si è reso conto del plagio: tuttavia, dopo alcuni anni i due si sono chiariti, così che De André ha restituito volentieri a Jannacci la paternità musicale della canzone.

Il 1966 è l'anno di Sei minuti all'alba, in cui nella title-track è affrontato il tema della Resistenza, argomento tra i più cari al musicista milanese per i trascorsi del padre nei corpi partigiani durante la Seconda guerra mondiale; la canzone, dedicata al genitore ed a tutti coloro che condivisero questa difficile esperienza, parla proprio del breve tempo che separa il partigiano, catturato dai nemici, dalla sua fucilazione, che avverrà proprio al sorgere del sole. Soldato Nencini racconta invece delle difficoltà di integrazione di un soldato, proveniente dall'Italia meridionale, in una caserma del Nord e precisamente di Alessandria, dove ai problemi di ambientamento con i commilitoni si aggiunge anche la lettera dell'amata Mariù, che gli annuncia la volontà di separarsi, complice l'incapacità di sopportare la terribile lontananza dall'innamorato; nell'album vi è poi Faceva il palo, divertente brano in dialetto milanese scritto con Walter Valdi.

Realizza quindi "Papalla", un'altra scenetta per gli spot di Carosello che durerà cinque anni.

Enzo Jannacci torna alla ribalta due anni dopo con un nuovo album, realizzato con la solita collaborazione di Fo e insieme a Fiorenzo Fiorentini: Vengo anch'io. No, tu no, trainato dall'omonimo singolo, diventa in breve tempo campione di vendite e balza in cima alle classifiche italiane, ed il brano giunge addirittura al primo posto dell'hit parade di Lelio Luttazzi. Il cantautore riscuote improvvisamente un grande seguito, che gli vale la partecipazione a diversi show televisivi, come Quelli della domenica, iniziato il 4 febbraio, in compagnia di alcuni amici collegati all'ambiente del Derby (Cochi e Renato, Bruno Lauzi, Lino Toffolo e Felice Andreasi in primis).

Jannacci non paga lo scotto di essere un "novellino" davanti alle telecamere, dimostrando di sapere calcare nel migliore dei modi i palchi televisivi come quelli del teatro, solitamente a lui più confacenti. Gli apprezzamenti della critica arrivano anche con Ho visto un re, brano cantato insieme a Fo e ad un coro di accompagnamento: il pezzo appare al primo ascolto ironico e nonsense, ma in realtà è infuso di metafore a sfondo politico. Non a caso, diventa uno dei brani simboli del '68, amato proprio per la sua apparente innocenza che nasconde una graffiante satira sociale. Questa caratteristica è ravvisabile anche nella canzone più celebre dell'album, la già citata Vengo anch'io. No, tu no, il cui exploit è certamente dovuto all'apparente semplicità ed orecchiabilità del testo ed in particolare del ritornello: in realtà, la definizione di "canzoncina" che le viene solitamente attribuita è molto riduttiva. Infatti, come sottolineato dal critico musicale Gianfranco Manfredi, colui che pronuncia la ricorrente domanda «Vengo anch'io?» e che viene respinto dagli altri con un eloquente quanto significativo «No, tu no», simboleggia il tipico personaggio che, secondo l'immaginario collettivo, cerca ad ogni costo di non sentirsi escluso dal gruppo di amici a cui si riconduce, chiedendo di poterci essere -qualunque sia il progetto e l'intenzione della massa- come tutti gli altri. Ma le altre persone lo respingono solo per il gusto di vedere qualcuno nel ruolo dell'emarginato, di quello «di cui si deve ridere ma che non deve ridere».

Inoltre, lo stesso Manfredi, riportando il testo completo e originario della canzone, ha rivelato l'esistenza di due strofe che, per motivi legati alla censura, sono state rimosse dalla canzone e che si riferisce alla tragedia dei minatori italiani in Belgio (Disastro di Marcinelle) ed anche alla sanguinaria dittatura del generale congolese Mobutu, le cui efferatezze in materia di diritti umani stavano scuotendo in quel periodo le coscienze dell'occidente.

Nel 1968 partecipa alla dodicesima edizione di Canzonissima, dove arriva in finale. Vorrebbe presentare Ho visto un re nello scontro diretto contro Gianni Morandi, ma la Rai si oppone; ripiega quindi su Gli zingari, brano struggente e delicato, molto diverso dalla leggerezza e dal tono goliardico dei suoi successi più recenti, ed infatti non ottiene l'apprezzamento del pubblico. La commissione incaricata dai dirigenti RAI di approvare le proposte dagli artisti in gara, aveva dunque respinto la scelta iniziale definendola eccessivamente intrisa di significato politico e di tono polemico. Questa delusione, che va al di là della mancata vittoria alla manifestazione, è così cocente da indurre Jannacci a trasferirsi per quattro anni (a periodi alterni), prima in Sudafrica e poi negli Stati Uniti, allo scopo di riprendere gli studi di medicina, in particolare di chirurgia e cardiologia, che aveva abbandonato temporaneamente dopo la laurea e l'inizio della carriera nel mondo dello spettacolo. Nello stato africano collabora con il cardiologo Christiaan Barnard, grazie al quale approfondisce notevolmente le sue conoscenze in ambito medico.

Nel periodo della specializzazione medica, la notorietà del personaggio Jannacci subisce un calo vistoso. Tuttavia il cantautore milanese non abbandona completamente quelle che sono le sue passioni: continua così a scrivere nuove canzoni. Dopo la pubblicazione di una sorta di raccolta, comprendente tuttavia qualche pezzo inedito, dal titolo Le canzoni di Enzo Jannacci, tra il 1970 ed il 1972 escono altri due LP nuovi di zecca: La mia gente e Jannacci Enzo in cui spiccano tre canzoni Mexico e nuvole, scritta da Giorgio Conte, e Ragazzo padre, manifesto dell'indifferenza e del disinteresse di Stato e Chiesa nei confronti di chi non segue l'etica impartita dalle autorità pubbliche e religiose.

Nello stesso periodo, per tentare di rilanciarsi, Jannacci realizza un programma con l'amico e scrittore Luciano Bianciardi (che aveva conosciuto nella metà degli anni sessanta quando cantava molto in milanese). Il titolo del programma è "Ohé sunt chì", come la canzone scritta con Dario Fo che apriva lo storico Recital "22 Canzoni" del 1965.

Sempre nel 1972 esce Giorgio Gaber e Enzo Jannacci, disco che racchiude tutti i successi firmati dai "Due corsari" tra il 1959 ed il 1960. Il 20 giugno 1970 prende parte con Mina alla prima puntata della terza serie dello show Senza rete, dove canta Messico e nuvole, La mia gente, un medley di L’Armando / Faceva il palo / El portava i scarp del tennis/ Vengo anch’io. No, tu no, concludendo l'esibizione interpretando con Nicola Arigliano e la "Tigre di Cremona" la sigla di chiusura Ciao, devo andare. Due anni dopo è ospite di Cochi e Renato nella sesta puntata del loro spettacolo TV Il buono e il cattivo: con loro canta El carrete.

Nei periodi di pausa dall'attività lavorativa, torna quindi a Milano, dove dedica molto tempo alla realizzazione, col giornalista Beppe Viola, di uno spettacolo teatrale, La tapparella e di un libro, L'incompiuter, edito dalla Bompiani in una collana diretta da Umberto Eco. Nel 1970 è il protagonista di un episodio (Il frigorifero) del film di Mario Monicelli Le coppie, in cui interpreta il ruolo di Gavino Puddu, un povero venditore di castagnaccio di origine sarda che, d'accordo con la moglie (Monica Vitti), acquista a rate un frigorifero che perderà non riuscendo a pagare i debiti contratti; alla fine, appoggerà di buon grado la decisione della consorte di prostituirsi per potere tirare avanti.

L'anno dopo è il protagonista de L'udienza di Marco Ferreri, dove recita la parte di un modesto e stralunato ufficiale in congedo, Amedeo, che vuole incontrare a tutti i costi il Papa, non vi riesce per le lentezze della burocrazia vaticana e per varie vicissitudini, e alla fine muore sotto il colonnato di San Pietro.

Ritornato definitivamente in patria, redige in pochi mesi due pièce teatrali che porta quasi immediatamente in televisione: Il poeta e il contadino (1973) e Saltimbanchi si muore (1979), di cui cura anche la regia.

Il primo dei due spettacoli, grazie all'impegno di Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, ha anche una trasposizione televisiva: Enzo vi partecipa una sola volta, interpretando Il panettiere, Canzone intelligente e La mia zia con Felice Andreasi e Teo Teocoli. Dal 1974 comincia con successo a comporre colonne sonore per il cinema: la prima in ordine di tempo accompagna Romanzo popolare di Mario Monicelli, regista che già qualche anno prima aveva scelto Jannacci per un ruolo da attore all'interno di un suo altro film; nel 1975, è la volta di Pasqualino Settebellezze, firmato da Lina Wertmuller. Dal 1975 al 1988 Jannacci curerà l'accompagnamento musicale di altri quattro film: L'Italia s'è rotta, per la regia di Steno, 1976; Sturmtruppen, Salvatore Samperi; Gran bollito, Mauro Bolognini, 1977; Saxofone, Renato Pozzetto, 1978; Piccoli equivoci, Ricky Tognazzi, 1988.

Nel 1974 realizza insieme a Cochi e Renato la sigla di Canzonissima, più nota con il titolo E la vita, la vita, oltre ad altri brani di genere comico-demenziale (La gallina, Silvano, Il bonzo, L'uselin della comare ed altri ancora).

Nel 1984 scrive l'inno del Milan, di cui si dichiara tifoso sfegatato; nel mese di ottobre Antenna 3, emittente televisiva lombarda, durante il programma Effetto concerto trasmette uno spettacolo di Jannacci, dove canta Mario, scritta alla fine degli anni settanta con Pino Donaggio.

Il 1985 inizia con la pubblicazione di un nuovo disco, L'importante, formato da canzoni all'apparenza semplici e goliardiche, ma che in realtà riflettono fortemente la distanza che Jannacci sente verso le nuove tendenze musicali degli ottanta. Porta quindi in teatro un nuovo spettacolo, il recital Niente domande, dopodiché si prende una pausa prolungata, che dura fino a quasi tutto il 1986, quando cominciano le registrazioni di un altro album e Jannacci suona dal vivo a Lugano un concerto che cinque anni dopo sarà pubblicato in formato VHS, e successivamente in CD e DVD.

Nel 1989 partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo, senza troppo successo, con Se me lo dicevi prima, incentrata sulla lotta contro la droga, oltre che al XIV Premio Tenco. Sempre nel 1989 incide, nel corso di una fortunata tournée, un album doppio dal vivo che contiene gran parte dei suoi successi e s'intitola Trent'anni senza andare fuori tempo.

Nel 1991 ritorna al Festival di Sanremo con la canzone La fotografia in coppia con Ute Lemper, e riceve il Premio della Critica; contemporaneamente realizza il suo ultimo vinile, con gli arrangiamenti di Celso Valli, intitolato Guarda la fotografia (Il gruista, I dispiaceri, La strana famiglia (cantata con Gaber), L’alfabeto muore, La fotografia...).

Nel 1994 si presenta per la terza volta al Festival di Sanremo in coppia con Paolo Rossi con il brano I soliti accordi, insolitamente dissacrante per la manifestazione, che è anche il titolo del rispettivo CD, arrangiato da Giorgio Cocilovo e Paolo Jannacci.

Nel 1996 partecipa al XXI Premio Tenco. Nel 1998 partecipa per la quarta volta al Festival di Sanremo con Quando un musicista ride, che vince nuovamente il premio della Critica per il miglior testo, e da cui nasce una raccolta omonima con tre brani inediti (uno dei quali, Già la luna è in mezzo al mare, è realizzato insieme all'ormai Nobel per la Letteratura Dario Fo).

Successivamente, Jannacci ritorna alla sua vecchia passione del jazz (nel 1999 presenta al Teatro Smeraldo di Milano la serata straordinaria Viva il jazz, trasmessa da Rai 1). Nel 2000 riceve il Premio Ciampi alla carriera.

Nel 2001, dopo sette anni di assenza dovuti anche alla difficoltà di trovare una casa discografica, presenta grazie all'etichetta Ala Bianca un nuovo CD, dedicato al padre, Come gli aeroplani, realizzato in collaborazione col figlio Paolo, composto in gran parte da canzoni inedite (Come gli aeroplani, Cesare, Sono timido, Varenne, Luna rossa...) più una versione italiana di The windmills of your mind di Michel Legrand.

Nel 2002 vince, con Lettera da lontano, la Targa per la migliore canzone dell'anno al XXVII Premio Tenco. Del 2003 è il CD L'uomo a metà (L'uomo a metà, Il sottotenente, Maria, Gino...), il cui brano omonimo si aggiudica di nuovo la Targa Tenco per la miglior canzone.

La raccolta The Best 2006 è il suo ultimo doppio cd, contenente i 35 brani più significativi della quarantennale carriera del cantautore milanese, riarrangiati e prodotti dal figlio Paolo: più di due ore e mezzo di musica, con 3 brani inediti (Rien ne va plus, Mamma che luna che c'era stasera e Il ladro di ombrelli) e una versione in italiano di Dona che te durmivet (contenuta in "Sei minuti all'alba"), che diventa Donna che dormivi; inoltre c'è una nuova versione di Bartali in duetto con Paolo Conte.

Come autore per altri e arrangiatore, ha contribuito tra l'altro agli album La Rossa (1980) di Milva e Mina quasi Jannacci (1977) di Mina, oltre che a svariati dischi di Cochi e Renato.

Nel 2011 l'etichetta discografica Ala Bianca pubblica, per la prima volta in formato diverso dal vinile, Foto ricordo, O Vivere O Ridere, Quelli Che... e Secondo te... Che gusto c'è? ed un confanetto che racchiude i quattro album.

Fa i suoi primi spettacoli nei teatrini di cabaret nel 1955, facendosi apprezzare per il talento comico. Nel 1962 il regista Filippo Crivelli lo scrittura per lo spettacolo Milanin Milanon, che va in scena al Teatro Gerolamo, con Tino Carraro e Milly: comincia così la sua carriera parallela di attore di teatro e poi anche di cinema. Al Derby di Milano era stato notato anche da Dario Fo, che nel 1964 realizza con lui lo storico recital 22 canzoni, che riscuote un grande successo: il Teatro Odeon di Milano registra quasi un mese di tutto esaurito.

Una rarità assoluta come attore teatrale Jannacci la interpretò con Franca Valeri e Francesca Siciliani nel 1970, nell'atto unico "La cosiddetta fidanzata". Venne trasmesso in TV il 20 novembre del 1970 e fa parte di un ciclo di atti unici della Valeri intitolato "Le donne balorde". È stato riproposto in TV nel 1976 e fu commissionato dalla Rai nel 1975 da Raffaele La Capria che ne era allora funzionario. Il testo di "La cosiddetta fidanzata" è presente nel libro "Tragedie da ridere" di Franca Valeri, pubblicato da "La Tartaruga" nel 2003.

Interpreta poi numerosi altri lavori come Il poeta e il contadino (1973), Saltimbanchi si muore (1979), La tappezzeria, scritta a quattro mani con Beppe Viola, con cui scrive anche L'incomputer edito dalla Bompiani in una collana diretta da Umberto Eco (1974). Nel 1985 ha portato in teatro il recital Niente domande; nell'86 lo spettacolo teatrale "Parlare con i limoni"; nel 1988-89 un altro recital, Tempo di pace... pazienza!.

Nel 1991, al teatro Carcano di Milano e al teatro Goldoni di Venezia, interpreta (in modo molto personale) in compagnia di Giorgio Gaber, Felice Andreasi e Paolo Rossi un classico del teatro dell'assurdo, Aspettando Godot di Samuel Beckett.

Nel 1998 presenta in teatro lo spettacolo È stato tutto inutile (dove ripropone canzoni come Pesciolin e Brutta gente, da tempo assenti nelle esecuzioni dal vivo). Nel 2003, in apertura dei concerti della tournée tratta dal disco "L'uomo a metà", fa un lungo e affettuoso monologo sull'amico Giorgio Gaber.

Nel 2004, al Teatro dei Filodrammatici di Milano, firma la regia de La storia del mago, un pastiche di suoi testi, interpretati dai suoi quattro fedelissimi allievi: Osvaldo Ardenghi, Andrea Bove, Egidia Bruno e Enzo Limardi.

Sempre nel 2004, firma per Egidia Bruno la regia e le musiche de La Mascula, tratto dall'omonimo racconto della Bruno, vincitore del Premio Massimo Troisi 2002.

Esordisce nel cinema nel 1964 con il film La vita agra di Carlo Lizzani: canta L'ombrello di mio fratello in un locale dove entra il protagonista, interpretato da Ugo Tognazzi.

Al cinema è poi protagonista di un episodio (Il frigorifero) diretto da Monicelli per il film Le coppie (1970), e de L'udienza di Marco Ferreri (1971). Ha inoltre interpretato i film Il mondo nuovo di Ettore Scola (1982), Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada di Lina Wertmüller, accanto a Ugo Tognazzi (1983) e Figurine di Giovanni Robbiano (1997). Nel 2010 è tra gli interpreti de La bellezza del somaro, per la regia di Sergio Castellitto, film nel quale interpreta il ruolo dell'anziano fidanzato della figlia adolescente dei protagonisti.

Ha composto anche numerose colonne sonore, come quelle di Romanzo popolare di Monicelli (1974, di cui insieme a Beppe Viola ha anche tradotto in un felicissimo slang milanese i dialoghi di Age e Scarpelli e al quale ha regalato una delle più poetiche e intense canzoni da lui scritte, Vincenzina e la fabbrica); Pasqualino Settebellezze (1975), di Lina Wertmüller, per il quale ebbe la nomination per l'Oscar; Sturmtruppen (1976); Gran bollito di Mauro Bolognini (1977); Saxofone di e con Renato Pozzetto (1979) e Piccoli equivoci di Ricky Tognazzi (1989).

Nel 1963 inizia la collaborazione con l'animatore Bruno Bozzetto, che inserisce nella fortunata trasmissione Carosello il suo sketch Unca Dunca, trasmesso in televisione fino al 1970.

L'anno successivo il regista Filippo Crivelli lo scrittura per lo spettacolo Milanin Milanon, con Tino Carraro e Milly, dando così inizio alla sua carriera parallela di attore di teatro e poi anche di cinema. Per lo spettacolo Jannacci compone una nuova canzone, Andava a Rogoredo, incisa su disco due anni dopo, mentre la registrazione dello show sarà stampata solo nel 1972. In televisione, dopo un inizio problematico (bocciato al suo primo provino, nel 1961), alcuni spot di Carosello e la partecipazione allo spettacolo Quelli della domenica, con Cochi e Renato, Lino Toffolo, Felice Andreasi, Bruno Lauzi e altri comici del Derby (1968), è stato lanciato dalla riduzione degli spettacoli teatrali Il poeta e il contadino (1973) e nel 1978 Saltimbanchi si muore con Boldi, Abatantuono, Teocoli, Porcaro, Thole, Di Francesco, Giorgio Faletti, Guido Nicheli, Gianrico Tedeschi di cui era autore e regista.

Nel 1974 è autore della sigla di Canzonissima E la vita, la vita, cantata da Cochi e Renato; nel 1977 è autore e interprete della sigla di Secondo voi?, Secondo te… che gusto c’è.

Ha partecipato agli show Jannacci Special (1980), Ci vuole orecchio (1981), Gran simpatico (1983), D.O.C. (1989). Nel 1991 Rai 3 ha trasmesso L'importante è esagerare, una serie di otto puntate dedicata alla sua carriera. Nel 1988 partecipa a "Trasmissione forzata" su Rai 3, che segna il ritorno televisivo di Dario Fo e Franca Rame. Nel 2006 in occasione degli ottant'anni del Premio Nobel "Fabbri Editori" ristampa in DVD tutto "Il Teatro di Dario Fo e Franca Rame" includendo 2 DVD del programma "Trasmissione Forzata". Nel 1995 ha fatto coppia con Piero Chiambretti ne Il Laureato bis. È autore della sigla di Quelli che il calcio... nelle edizioni condotte da Fabio Fazio.

Nel 1997 realizza la trasmissione M.B.U.* Quelli di Jannacci (l’indicazione finale spiega: * = Milano Bolgia Umana), che va in onda alle due di notte su Rai 1 per nove puntate. Il costo della trasmissione è bassissimo: «In tutto 80 milioni. Come mai? Semplice, non rubiamo», commenta Jannacci.

Nel 2000 compone la sigla della serie TV Nebbia in Valpadana, che vede il ritorno della coppia Cochi e Renato, i quali sette anni dopo lo chiamano come ospite fisso del loro programma televisivo Stiamo lavorando per noi.

Nel 2010 e 2011 compare varie volte nel popolare show televisivo Zelig, di Canale 5, nella veste di cantante e cabarettista. Il figlio di Enzo, Paolo Jannacci, ricopre la carica di maestro dell'orchestra del medesimo show nel 2011.

Il 19 dicembre 2011 Fabio Fazio conduce uno speciale su Enzo Jannacci in cui amici di lungo corso del musicista milanese, presente in studio col figlio Paolo, lo omaggiano interpretando suoi brani. Tra cui Dario Fo, Ornella Vanoni, Fabio Fazio, Cochi e Renato, Paolo Rossi, Teo Teocoli, Roberto Vecchioni, Massimo Boldi, Antonio Albanese, J-Ax, Ale e Franz, Irene Grandi e altri. Enzo Jannacci compare nell'ultima parte dell'evento cantando due sue canzoni, fra cui la celeberrima Quelli che... rivisitata e attualizzata per l'occasione.

Appassionato di Arti marziali, Jannacci ha dedicato molti anni alla pratica del Karate, sotto la guida del maestro Hiroshi Shirai, raggiungendo il grado di cintura nera.

Enzo Jannacci è morto a Milano il 29 marzo 2013 a 77 anni per un tumore; era ricoverato alla clinica Columbus. Grande il cordoglio espresso da personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport, di cui era noto appassionato ed in particolare del calcio (era tifoso del Milan). La camera ardente è stata allestita il 31 marzo e 1º aprile al foyer del Teatro Dal Verme. Il funerale è stato celebrato il 2 aprile nella basilica di Sant'Ambrogio e il cantautore è stato sepolto nel Famedio del cimitero monumentale.

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giovedì 19 febbraio 2015

BUON ONOMASTICO ASIA



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Asia è un nome proprio di persona femminile.
E' una ripresa del nome del continente asiatico,che tramite il greco e il latino indica l'est il luogo dove nasce il sole. In antichità però il nome veniva usato al maschile.

Il 19 febbraio la Chiesa cattolica ricorda Sant'Asia medico e martire.

Figlio di Eubula,donna di origini e vocazione cristiana,ed Eustorgio, ricco pagano di Nicomedia, fu educato dalla madre alla religione cristiana, ma la sua passione fu la medicina; ben presto divenne medico di Galerio.
Crebbe a Nicodemia, città molto stimolante dal punto di vista culturale e scientifico, sede di prestigiose scuole di medicina.
Allontanandosi così dal cristianesimo scoprì la sua vocazione molto più tardi grazie agli insegnamenti del prete Ermola che lo riportò sulla giusta via, verso un percorso che avrebbe segnato il suo destino. L'imperatore Massimiano lo volle come medico a corte ancora prima che egli finisse gli studi di medicina.. Un giorno, mentre stava tornando a casa dalla corte, vide sul ciglio della strada un ragazzo morto, ucciso da un morso di serpente. In preda alla compassione chiese al Signore di far morire il serpente e così fu. Questo miracolo lo cambiò profondamente al punto di chiedere ad Ermolao di essere battezzato nonostante fossero già in atto le persecuzioni cristiane. Poco dopo ci fu un altro miracolo al quale assistette il padre che, come il figlio,volle essere battezzato anch'esso.
Alla morte del padre tutte le ricchezze di famiglia passarono nelle sue mani.
L'invidia per questa fortuna, da parte di alcuni colleghi li spinse a denunciarlo durante le persecuzioni di Diocleziano. L'imperatore cercò di risparmiarlo chiedendogli di abiurare ma Asia non rinnegò la sua fede anzi la gridò apertamente, autocondannandosi a morte. Le intenzioni dei miscredenti non si piegarono nemmeno quando Asia, per mostrare a tutti che era nel giusto, risanò un paralitico sotto gli occhi di tutti. Senza alcun attenuante fu condannato ad essere bruciato sul rogo ma le fiamme misteriosamente si spensero. Si provò allora ad immergerlo ancora vivo nel piombo fuso ma il materiale prima di accoglierlo si raffreddò. Allora si provò a gettarlo in mare con un masso legato al piede, ma al contatto dell'acqua la grande pietra prese a galleggiare. Non rimase altro che farlo sbranare dalle belve feroci ma quando lo videro lo accorsero facendogli le feste. Fu infine legato ad una ruota ma quando cominciò a girare le corde che lo tenevano legato si spezzavano. Solo quando egli diede il suo consenso gli fu tagliata la testa nell' anno 305.

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