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lunedì 13 giugno 2016

SANT'ANTONIO DI PADOVA

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Fernando di Buglione nasce a Lisbona. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra i Canonici Regolari di Sant'Agostino. Nel 1219, a 24 anni, viene ordinato prete. Nel 1220 giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori mutando il nome in Antonio. Invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Per circa un anno e mezzo vive nell'eremo di Montepaolo. Su mandato dello stesso Francesco, inizierà poi a predicare in Romagna e poi nell'Italia settentrionale e in Francia. Nel 1227 diventa provinciale dell'Italia settentrionale proseguendo nell'opera di predicazione. Il 13 giugno 1231 si trova a Camposampiero e, sentondosi male, chiede di rientrare a Padova, dove vuole morire: spirerà nel convento dell'Arcella.

Nasce in Portogallo, a Lisbona, il 15 agosto del 1195  da una famiglia di origini nobili. Non appena adolescente, decide di entrare nel monastero agostiniano di São Vicente, fuori le mura di Lisbona, per vivere l’ideale evangelico senza compromessi.

Sant’Antonio, prima francescano poi missionario, fu un instancabile viaggiatore. Visitò molte terre desolate e disperate dalla fame del tempo e dopo aver percorso la Francia e l’Italia in viaggi apostolici estenuanti, Antonio si ritira a Camposampiero, località situata nei pressi di Padova.

Qui il Conte Tiso ha l’opportunità di assistere a un miracolo, cioè il Bambino Gesù accolto tra le braccia del frate. Accortosi che la vita lo sta ormai abbandonando, Antonio chiede a Tiso di essere portato a Padova. Assistito dai francescani, Sant’Antonio da Padova muore all’età di trentasei anni, sussurrando le parole “Vedo il mio Signore”. E’ il 13 giugno del 1231. Meno di un anno dopo, Papa Gregorio IX lo nominerà santo.

Sant’Antonio da buon predicatore  parlava con la gente, ne condivideva l’esistenza umile e tormentata, impegnandosi a diffondere la conversione alla religione cristiana propugnando sempre valori di pace. Attendeva alle confessioni, si confrontava personalmente o in pubblico con i sostenitori di eresie.

Sant’Antonio ha avuto una particolare predilezione per i bambini. Tra i miracoli da lui compiuti, quand’era in vita, più di uno riguarda proprio loro. Per questo è invalsa la tradizione di porre i piccoli, fin dalla nascita, sotto la protezione del Santo.

Non mancano i miracoli, dalla predica ai pesci alla mula rimasta a digiuno per tre giorni che si inginocchia di fronte all’Ostensorio, favorendo la conversione del suo padrone precedentemente ateo. Tra preghiere, penitenze, mortificazioni e sacrifici, Antonio ha modo di incontrare, tra l’altro, il dittatore Ezzelino da Romano a Verona. Egli diventa il primo dei Frati Minori a insegnare, su manifesta volontà di Francesco, teologia all’Università di Bologna.

La notizia della morte di Antonio si diffuse rapidamente e quel che temeva padre Vinotto s'avverò. Le reliquie di un Santo erano viste come portatrici, oltre che di vantaggi spirituali e miracoli, di prosperità sicura in tempi di pellegrinaggi e di fede diffusa. Gli abitanti di Capodiponte, nella cui giurisdizione si trovava Arcella, arrivarono per primi: «Qui è morto e qui resta»; spalleggiati dalle clarisse: «Non lo abbiamo potuto vedere da vivo, che ci resti almeno da morto». L'indomani giunsero all'Arcella i frati di Santa Maria Mater Domini per traslare la salma, ma furono affrontati, armi in pugno, dagli uomini più giovani di Capodiponte. Ogni forma di dialogo pacato risultò inutile, sicché i frati rientrarono a Padova dove si rivolsero al Vescovo. Questi, saputo che Antonio aveva espresso precisa volontà di morire in città, nel suo convento, diede loro ragione e incaricò il Podestà di sedare gli animi, anche con la forza, se necessario. L'uso della forza non si rese necessario e il 17 giugno, all'Arcella, si svolse la cerimonia funebre. La sera dello stesso giorno, la salma del Santo fu trasportata al convento di Santa Maria Mater Domini a Padova.



La Chiesa nella persona del papa Gregorio IX, in considerazione della mole di miracoli attribuitagli, lo canonizzò dopo solo un anno dalla morte. Pio XII, che nel 1946 ha innalzato sant'Antonio tra i Dottori della Chiesa cattolica, gli ha conferito il titolo di Doctor Evangelicus, in quanto nei suoi scritti e nelle prediche che ci sono giunte era solito sostenere le sue affermazioni con citazioni del Vangelo.

Gli fu dedicata la grande Basilica di Padova; sia la basilica che Sant'Antonio vengono comunemente chiamati in città "il Santo". La sua data di nascita ci è stata tramandata dalla tradizione, e la sua festa cade il 13 giugno, giorno della sua morte; a Padova, in occasione della ricorrenza, si svolge un'imponente celebrazione con una grande e sentita processione.

Fin dal giorno dei funerali la tomba di Antonio divenne meta di pellegrinaggi che durarono per giorni. Devoti di ogni condizione sociale sfilavano davanti alla sua tomba toccando il sarcofago e chiedendo miracoli, grazie e guarigioni. A causa della folla le autorità decisero di disciplinare il flusso e tutta Padova – si legge nell'Assidua –«nei giorni prefissati veniva in processione a piedi nudi», anche di notte.

In quel periodo furono attribuiti alla sua intercessione molti miracoli e, «a furor di popolo», il vescovo e il podestà li sottoposero al giudizio del Papa.

Papa Gregorio IX, che conosceva Antonio, avendo assistito alle sue prediche, accolse gli ambasciatori padovani e nominò una commissione di periti, presieduta dal vescovo di Padova, per raccogliere le testimonianze e le prove documentarie utili al processo di canonizzazione.

Secondo l'Assidua la commissione fu sommersa a Padova «da una gran folla, accorsa per deporre con le prove della verità, di essere stata liberata da svariate sciagure grazie ai meriti gloriosi del beato Antonio». Il Vescovo ascoltò «le deposizioni confermate con giuramento», mise per iscritto i «miracoli» approvati e promosse le indagini necessarie. Completato l'esame diocesano, inviò al Papa una seconda delegazione. A Roma l'istruttoria fu assegnata al cardinale Giovanni d'Abbeville, che in pochi mesi esaurì il compito assegnatogli.

Fu Gregorio IX stesso che pose fine al processo quando tagliò ogni ritrosia rimasta fissando al 30 maggio, festa di Pentecoste, la cerimonia ufficiale di canonizzazione e che inviò per questo una Bolla ai fedeli e al podestà di Padova. Nel Duomo di Spoleto, Gregorio IX ascoltò la lettura dei cinquantatré miracoli approvati e, dopo il canto del Te Deum, proclamò solennemente e ufficialmente santo frate Antonio, fissandone la festa liturgica nel giorno anniversario della sua nascita in cielo, il 13 giugno. I fedeli poterono festeggiare Antonio come santo esattamente un anno dopo la sua morte. Completato dopo soli 352 giorni, il suo processo di canonizzazione è da sempre considerato il più veloce della storia della Chiesa Cattolica (più veloce di soli due giorni rispetto a quello di Pietro da Verona, avvenuto dopo soli 354 giorni dalla morte del domenicano e quindi il secondo processo di canonizzazione più veloce della Chiesa Cattolica).

Per l'afflusso di pellegrini che affluiva a Padova sulla tomba, si iniziò la costruzione di una chiesa più capiente che fu terminata nel 1240. Nel 1263 il Ministro Generale dei francescani, Bonaventura da Bagnoregio, fece traslare la salma di Antonio di Padova nella nuova basilica. Si narra che durante l'ispezione prima del trasporto dei resti mortali, sarebbe stata rinvenuta la lingua intatta e rosea come fosse viva. Ogni anno, ancora oggi, i frati Antoniani in Padova ricordano quel ritrovamento.

Ancora oggi sono milioni le persone che annualmente visitano la sua tomba nella Basilica di Padova, e la maggior parte di queste persone porta nell'animo una profonda venerazione per questo grande frate francescano.

Sebbene "il Santo" venga comunemente chiamato "Sant'Antonio da Padova", questa denominazione non indica la sua originaria provenienza poiché egli era nato e cresciuto nel Portogallo. Il suo nome viene affiancato alla città di Padova perché qui ha avuto luogo la sua attività più significativa. Tra l'altro è usanza che i frati prendano il nome di provenienza dal convento a cui appartengono, quindi in questo senso è corretto riferirsi a Sant'Antonio di Padova (nel senso di appartenenza) ma non da Padova. Soltanto in Portogallo egli è chiamato comunemente Santo António de Lisboa, ovvero "Sant'Antonio da Lisbona", sua città natale.

Una reliquia di Sant'Antonio di Padova si trova anche a Zugliano (VI), dove si può visitare la chiesa di San Zenone, santuario antoniano. Subito dopo l'entrata a destra si trova l'Arca del Santo, all'altare che custodisce, per singolare privilegio, alcuni frammenti dell'osso radio, preziosissime reliquie date in dono alla parrocchia nel lontano 1656.

Una insigne Reliquia del Santo è custodita, dal febbraio 1995, presso la Basilica-Santuario di Afragola (NA), il secondo luogo di culto (per importanza) dedicato al Santo, per tale ragione i Frati Conventuali di Padova hanno ben ritenuto di affidarle il titolo puramente onorifico di "Padova del Sud".

 Tredici è il numero ricorrente in Sant’Antonio infatti quando si dice la Tredicina con questo termine si intendono innanzitutto i tredici giorni di preparazione alla festa di sant’Antonio che ha luogo il 13 giugno. La Tredicina si ripete ancora oggi nella Basilica e in altri santuari antoniani o chiese francescane, come pure privatamente in tante famiglie.

Ma con lo stesso termine si intende anche una preghiera articolata in tredici punti e tredici sono anche i miracoli che si dice possa compiere Sant’Antonio in una sola giornata.

Numerose associazioni nel mondo sono nate e operano nel nome di Sant’Antonio, portando la sua presenza soprattutto caritativa. Da secoli, in tutto il mondo, milioni di persone si dimostrano legate a Sant’Antonio con grande amore e devozione autentica.

I devoti vedono in Sant’Antonio un amico, ascoltatore e confidente. Egli è l’interlocutore dei poveri, che dialoga con chiunque abbia da condividere qualche sofferenza nel corpo o nello spirito.

A Sant’Antonio viene chiesta luce per illuminare la propria esistenza, aiutare chi è smarrito, consolare chi soffre e soccorrere i bisognosi. I devoti lo riconoscono e lo amano con il giglio ( purezza e trasparenza della vita) con il Gesù Bambino (segno di amore tenero e disponibile) e il libro (parola di Dio). In alcune chiese francescane o, comunque, legate particolarmente a sant’Antonio, il giorno della sua festa (13 giugno) si è soliti benedire dei piccoli pani, che poi vengono distribuiti ai fedeli e consumati per devozione. In alcuni paesi sono gli stessi fedeli o qualcuno di loro a prendere l’iniziativa.

Tale devozione deriva certamente dall’iniziativa dei “pane dei poveri” che nel passato era molto viva presso le chiese.

La morte avvenne di venerdì, il 13 giugno 1231, sul far della sera. Per questo i frati della Basilica ogni venerdì sera, con una semplice ma toccante funzione, rievocano il momento del transito.



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mercoledì 3 febbraio 2016

SAN BIAGIO

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San Biagio era un medico armeno, vissuto nel III secolo d.C.: si narra che compì un miracolo quando una madre disperata gli portò il figlio morente per una lisca conficcata in gola. San Biagio gli diede una grossa mollica di pane che, scendendo in gola, rimosse la lisca salvando il ragazzo. Inutile aggiungere che, dopo aver subito il martirio, Biagio venne fatto santo e dichiarato protettore della gola.

S. Biagio nacque a Sebaste nell'Armenia. Passò la giovinezza fra gli studi, dedicandosi in modo particolare alla medicina. Al letto dei sofferenti curava le infermità del corpo, e con la buona parola e l'esempio cristiano cercava pure di risanare le infermità spirituali.

Geloso della sua purezza ed amatissimo della vita religiosa, pensava di entrare in un monastero, quando, morto il vescovo di Sebaste, venne eletto a succedergli. Da quell'istante la sua vita fu tutta spesa per il bene dei suoi fedeli.

In quel tempo la persecuzione scatenata da Diocleziano e continuata da Licinio infuriava nell'Armenia per opera dei presidi Lisia ed Agricola°. Quest'ultimo, appena prese possesso della sua sede, Sebaste, si pose con febbrile attività in cerca di Biagio, il vescovo di cui sentiva continuamente magnificare lo zelo. Ma il sagace pastore, per non lasciare i fedeli senza guida. ai primordi della procella, si era eclissato in una caverna del monte Argeo.

Per moltissimo tempo rimase celato in quella solitudine, vivendo in continua preghiera e continuando sempre il governo della Chiesa con messaggi segreti. Un giorno però un drappello di soldati mandati alla caccia delle belve per i giochi dell'anfiteatro, seguendo le orme delle fiere, giunsero alla sua grotta. Saputo che egli era precisamente il vescovo Biagio, lo arrestarono subito e lo condussero al preside.

Il tragitto dal monte alla città fu un vero trionfo, perchè il popolo, nonostante il pericolo che correva, venne in folla a salutare colui che aveva in somma venerazione. Fra tanta gente corse anche una povera donna che, tenendo il suo povero bambino moribondo sulle sue braccia, scongiurava con molte lacrime il Santo a chiedere a Dio la guarigione del figlio. Una spina di pesce gli si era fermata in gola e pareva lo volesse soffocare da un momento all'altro. Biagio, mosso a compassione di quel bambino, sollevò gli occhi al cielo e fece sul sofferente il segno della croce.

Giunto a Sebaste, il prigioniero venne condotto dal giudice Agricola, che voleva convincerlo a sacrificare agli idoli; ma il Santo con gran calma gli dimostrò che quello era un atto indegno di una creatura ragionevole, perché la ragione dice all'uomo che vi è un Dio solo, eterno, e creatore di ogni cosa. Per tutta risposta il giudice lo fece battere con verghe e poi gettare in carcere.

Dopo qualche tempo lo volle di nuovo al tribunale, per interrogarlo nuovamente, ma trovò sempre in lui la più grande fermezza. Gli furono allora lacerate le carni con pettini di ferro e così lacero com'era fu sospeso ad un tronco d'albero. Sperimentati ancora contro l'invitto martire tutti i supplizi più inumani, fu condannato ad essere sommerso in un lago. I carnefici condottolo sulla sponda lo lanciarono nell'acqua, e mentre tutti si aspettavano di vederlo annegare. Biagio tranquillamente si pose a camminare sull'acqua finché raggiunse la sponda opposta. Il giudice. fuori di sè, vedendo di non poter spegnere altrimenti quella vita prodigiosa, lo fece decapitare.

La sua memoria è celebrata il 3 febbraio.
Il corpo di san Biagio fu sepolto nella cattedrale di Sebaste. Nel 732 una parte dei suoi resti mortali, deposti in un'urna di marmo, furono imbarcati, per esser portati a Roma. Una tempesta fermò la navigazione sulla costa di Maratea, dove i fedeli accolsero l'urna contenente le reliquie – il "sacro torace" e altre parti del corpo – e la conservarono nella Basilica di Maratea, sul monte San Biagio. La cappella con le reliquie fu poi posta sotto la tutela della Regia Curia dal re Filippo IV d'Asburgo, con lettera reale datata 23 dicembre 1629: da allora è nota popolarmente col nome di Regia Cappella.

Un gran numero di località vantano di possedere un frammento del corpo del santo. Ciò è dovuto, oltre all'antica usanza di sezionare i corpi dei santi e distribuirne le parti per soddisfare le richieste dei fedeli, alla pratica della simonia, una delle cui forme consisteva nel vendere reliquie false, o reliquie di santi omonimi ma meno conosciuti.

A Casal di Principe (CE) si festeggia il 3 febbraio con la venerazione e l'apertura di un santuario a Lui dedicato dove vi è conservata la reliquia di un ossicino della mano del Santo.

A Carosino, un paesino in provincia di Taranto, è custodita una delle reliquie: un pezzo della lingua, conservato in un'ampolla incastonata in una croce d'oro massiccio.

Ad Avetrana (Taranto) è custodito in un ostensorio d'argento e d'oro un frammento della gola di san Biagio, sul quale si legge l'iscrizione "GUTTURRE SANCTI BLASI" ("la gola di san Biagio", in latino-barbara).

A Caramagna Piemonte (Cuneo) è custodita dall'anno 1000 una sua reliquia (un pezzo del cranio), conservata in un busto argenteo; si ha notizia della sua presenza già dall'atto di fondazione dell'antica abbazia di Santa Maria di Caramagna, datato 1028.

Nella parrocchia di San Biagio di Montefiore, frazione del comune di Recanati, in provincia di Macerata, si conserva, in un reliquiario a forma di braccio benedicente con palma del martirio, un osso intero dell'avambraccio.

Nel santuario di Cardito (NA), è conservato un ossicino del braccio. Sempre in Campania, a Palomonte (in provincia di Salerno), nella chiesa madre della Santa Croce si conserva un'altra reliquia del santo.

A Mugnano di Napoli (NA), nella chiesa di San Biagio, si conserva una reliquia del santo.

A Penne, in Abruzzo, è invece venerato il cranio del santo. Sempre in Abruzzo, nel duomo di San Flaviano a Giulianova, è conservato il braccio di san Biagio, racchiuso in un raffinato reliquiario d'argento, in forma di braccio con mano benedicente e recante una palma, datato 1394 e firmato da Bartolomeo di ser Paolo da Teramo.

Nella parrocchia di Lanzara, frazione del comune di Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, sono conservati due piccoli ossi d'una mano.

Nella parrocchia di San Biagio in San Simone, frazione di Sannicola, diocesi di Nardò-Gallipoli, provincia di Lecce, si conserva una reliquia del corpo del Santo, con festeggiamenti due volte l'anno.



Nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venera nel giorno di san Biagio un frammento del braccio di questo santo, racchiuso in un reliquiario a forma di braccio benedicente. La reliquia è portata in processione dal vescovo e esposta alla pubblica venerazione dopo la solenne messa pontificale, che si celebra in cattedrale al vespro del 3 febbraio.

Nella chiesa a lui dedicata nella città dalmata di Ragusa (oggi in Croazia), si conserva, secondo la tradizione, il cranio del santo patrono, in un ricco reliquiario a forma di corona bizantina, che viene portato solennemente in processione nella ricorrenza liturgica del santo.

A Ostuni è conservato un frammento d'un osso del martire, venerato e posto sulla gola di ogni fedele che si presenta in pellegrinaggio al santuario di San Biagio, sui colli ostunesi, il 3 di febbraio.

A San Piero Patti (Messina) è custodito, in una teca d'argento nella chiesa di Santa Maria Assunta, un molare di san Biagio. La teca è portata in processione in occasione delle due feste che la cittadina dedica al santo: il 3 febbraio e la prima domenica d'ottobre.

A Mercato Vecchio di Montebelluna, in provincia di Treviso, nella chiesa di San Biagio è custodito un pezzo di veste, e ogni anno, il 3 febbraio, per tutto il giorno vi si benedicono, in onore del santo, pani e arance.

Ad Acquaviva Collecroce, in provincia di Campobasso, nella parrocchia di Santa Maria Ester si conserva una reliquia del santo donata alla comunità verso la metà del Settecento.

A Napoli, nella Sala del Tesoro della basilica di San Domenico Maggiore, si conserva, in un reliquiario a forma di braccio, un frammento d'un dito del martire.

Ad Avellino, nella chiesina dell'Arciconfraternita dell'Immacolata (adiacente alla Cattedrale di Avellino), è conservato un frammento osseo della mano del santo.

A Bindo di Cortenova, in provincia di Lecco, ogni anno si celebra la grande festa di san Biagio. Tra gli usi tradizionali, il bacio delle candele benedette, il falò e i tipici ravioli molto aromatici chiamati in insubre scapinasc.

A Eboli, in provincia di Salerno, nella chiesa di San Nicola si conservano un dito e altre reliquie di san Biagio.

Ad Asti, presso la chiesa di Santa Maria Nuova, nell'altar maggiore si conservano un dente e alcuni altri resti.

A Brescia, nel tesoro della chiesa di San Lorenzo, si conserva il reliquiario di san Biagio, con alcuni denti e un osso ritenuti del santo.

A Caronia in provincia di Messina, Diocesi di Patti, si venerano una falange del dito mignolo e un frammento del braccio e sono conservati in due preziosi reliquiari.

A Orbetello in provincia di Grosseto era conservato il teschio di San Biagio, rubato 2 anni fa e non più trovato. I festeggiamenti in onore del patrono continuano comunque.

A Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, all'interno di un reliquiario a forma di braccio benedicente è conservato un frammento di avambraccio del Santo. Con la reliquia, al termine della Solenne celebrazione, il 3 febbraio, viene impartita la benedizione e invocata l'intercessione del Santo per la protezione dai mali del corpo e dello spirito.

Nella Basilica di San Biagio a Maratea, alla destra della Regia Cappella dedicata al santo, vi è la palla di ferro sparata dai cannoni francesi durante l'assedio del dicembre 1806; su questa palla di ferro, inesplosa, sono ben visibili delle impronte che, secondo la tradizione, sarebbero le dita della mano destra di san Biagio.

Relativamente alla sola esperienza della cittadina di Fiuggi, si narra che nel 1298 fece apparire delle finte fiamme sul paese, proprio mentre questi era in procinto di essere messo sotto assedio dalle truppe papali. La cittadina, che all'epoca si chiamava Anticoli di Campagna, era feudo dei Colonna che a loro volta erano in guerra con la nobile famiglia romana dei Cajetani. L'intenzione dei Cajetani era quella di attaccare il paese da due lati: dal basso scendendo dal castello di Monte Porciano e dall'alto, alle spalle di Fiuggi dalla parte di Torre Cajetani; in virtù di tale piano divisero le proprie forze. San Biagio avrebbe fatto apparire delle finte fiamme che indussero le truppe nemiche, che oramai si accingevano all'attacco, a pensare di essere state precedute dalle forze alleate. Di conseguenza mossero oltre, ritornando ai loro alloggiamenti. I fedeli il giorno successivo lo elessero patrono della città.
A ricordo di ciò persiste tuttora l'antica tradizione paesana di bruciare grandi cataste di legna di forma piramidale, denominate stuzze, a ricordo dell'"apparizione". Tale manifestazione avviene la sera del 2 febbraio di ogni anno nella piazza più alta del paese (p.za Trento e Trieste), dinnanzi al Municipio.

A Salemi in provincia di Trapani, san Biagio è compatrono assieme a san Nicola della città dal 1542. Si narra che in quell'anno, sotto il regno di Carlo V, la città di Salemi e le campagne circostanti, venissero invase dalle cavallette che ne distrussero i raccolti procurando, così, fame e carestia; allora i salemitani pregarono san Biagio, protettore delle messi e dei cereali, di liberarli da tale flagello ed il santo esaudì queste loro preghiere. Da allora i salemitani, in ricordo di questo evento, nella ricorrenza della festa del santo, ogni anno il 3 febbraio, preparano dei pani in miniatura: i "cavadduzzi", cioè le cavallette e i "cuddureddi", (impastando farina e acqua) questi ultimi rappresentano la gola di cui san Biagio è protettore. La chiesetta dedicata al santo si trova nel quartiere del Rabbato. Il 3 febbraio "cuddureddi" e "cavadduzzi" vengono benedetti e distribuiti ai fedeli che accorrono da ogni parte della città per pregare il santo e per farsi benedire la gola dal sacerdote con le candele accese ed incrociate. Dal 2008 viene fatta una rievocazione storica del miracolo delle cavallette, che vede dame, nobili e cavalieri, clero e popolani in costume medievale, uscire dal castello, percorrere tutto il centro storico ed arrivare alla chiesa del santo per deporre i doni e benedire le gole. Manifestazione a cui partecipano tutte le associazioni cittadine e le scuole.

In Albania, a Durazzo nel monastero di san Biagio durante la prima metà del XX secolo secondo migliaia di testimoni vi sarebbe avvenuto il miracolo di una roccia dalla quale sgorgava olio con effetti curativi per i credenti. Tale monastero è tuttora meta di pellegrinaggio da parte di numerosi fedeli albanesi sia musulmani che cristiani.

In molti luoghi, a motivo del miracolo del salvataggio di un bambino che stava soffocando dopo aver ingerito una lisca di pesce, il 3 febbraio, giorno di san Biagio, è tradizione compiere una benedizione della gola con le candele benedette il giorno precedente, festa della Presentazione di Gesù al tempio.
A Comiso all'uscita del simulacro viene eseguito l' "Inno a San Biagio".

A Lanzara, in Campania, è consuetudine mangiare la famosa "Polpetta di S.Biagio", e, per tener viva questa tradizione, nel periodo della festa viene fatta la "Sagra della Polpetta", tra le più longeve dell'Agro Nocerino Sarnese.
A Cannara, in Umbria, si festeggia il 3 febbraio con lo svolgimento di giochi popolari di abilità. Sin dal giorno prima è usanza far rotolare, quanto più a lungo possibile, forme di formaggio per le vie del centro storico secondo una tradizione già attestata nel XVI secolo col nome di Ruzzolone. Altri giochi consistono nella corsa con i sacchi o nel rompere con un bastone, e bendati, delle brocche appese fra le case che si affacciano in piazza Garibaldi (già del Grano) dove si svolgono la maggior parte delle altre prove. Molto seguito è anche il "gioco degli spaghetti" che premia colui che riesce a finire per primo il piatto di pasta con le mani legate dietro la schiena. Momento solenne è quello della processione religiosa con la statua lignea del Santo, accompagnata dai fedeli e dalle note della banda musicale cittadina.
A valle del paese di Romallo, in Trentino, si trova un interessante eremo dedicato a S. Biagio. Il 3 di febbraio si celebra la messa e viene impartita la benedizione della gola.
Il 3 febbraio si celebra la festa di San Biagio anche a Taranta Peligna, in Abruzzo. In onore del Santo protettore dei lanaioli, con una cerimonia di grande fascino, vengono preparate le "Panicelle", pani a forma di mano che vengono distribuite fra le genti del Paese. Il legame tra Taranta Peligna e il culto di San Biagio è testimoniato anche dalla presenza dei lanifici che hanno dato lustro al pese per la lavorazione delle coperte abruzzesi chiamate "tarante".
A Maratea si tengono due feste in onore del santo: una è quella del 3 febbraio, quando si tiene la benedizione della gola dei fedeli; la seconda, più fastosa, è quella dell'anniversario della traslazione delle reliquie, che si svolge a partire dal primo sabato fino alla seconda domenica di maggio, settimana in cui si svolgono ben quattro processioni del simulacro del santo.
San Biagio si festeggia il 3 febbraio anche ad Acquaviva Collecroce, in Molise. Durante la celebrazione liturgica si benedicono le gole dei fedeli. Anticamente con l'olio benedetto, ora mediante due candele incrociate. Per l'occorrenza si preparano le "Pandiçe" (pane di San Biagio) e dei dolci di forma circolare chiamati "Colaci". La Parrocchia conserva una pregevole tela del Cinquecento raffigurante il martirio di San Biagio; una reliquia donata al popolo verso la metà del Settecento e un'artistica statua in cartapesta del 1886 dello scultore sordomuto Gabriele Falcucci di Atessa.
Si festeggia San Biagio anche a Cessalto, in Veneto. Si racconta che il Santo salvò un bambino da morte sicura per aver ingoiato una lisca di pesce. Invocato il Santo, il bambino sputò la lisca di pesce e si salvò.
Il 3 febbraio a Lettomanoppello si celebra la festa liturgica di San Biagio. Durante la celebrazione eucaristica il parroco, oltre a benedire la gola dei fedeli con due candele incrociate, benedice, come da secolare tradizione, i "tarallucci di San Biagio" che sono dei dolci a forma di piccola ciambella impastati con semini di anice. I tarallucci poi vengono riportati a casa e donati a parenti ed amici che dopo averli baciati ne mangiano per ingraziarsi la protezione di San Biagio, particolarmente a protezione della gola e dai mali di stagione.
A Caronia si celebra la festa di San Biagio con grande devozione e pietà. Il giorno della festa, per antica consuetudine si benedicono i "cudduri di San Brasi", pani e dolci a forma di ciambella di nocciole e mandorle fuse con il miele. Questi segni di devozione vengono benedetti dall'Arciprete durante la Santa Messa Solenne e poi sono donati ai malati e alle persone che ne fanno espressa richiesta in Parrocchia.
Il 3 febbraio, a San Marco in Lamis, la gente sin dal mattino subito affolla la chiesa per la benedizione del pane che verrà distribuito ai poveri. La sera dopo una Santa Messa solenne, vi è l'imposizione delle Candele alla gola, da parte del parroco.
Nella parrocchia di Montefiore di Recanati il patrono San Biagio si festeggia la prima domenica di febbraio. Durante la celebrazione liturgica si benedicono le gole dei fedeli con due candele incrociate e viene benedetto il pane. Dopo la S.Messa principale delle 11,15 viene portata in processione per il paese la reliquia del santo.
A Plaesano, alla fine della processione, prima di rientrare in chiesa, vengono effettuati tre giri di corsa intorno alla chiesa con la statua del santo in spalla.
A Orbetello il 3 febbraio si celebra la festa liturgica del santo, dove i pescatori della laguna donano il loro pesce. Il 12 maggio c'è la Traslazione, ovvero i pellegrini prelevano il teschio del Santo dalla Chiesa di Ansedonia e lo portano in processione lungo la laguna, fino alla parrocchia di Orbetello.
A San Biagio, frazione di Garlasco, dopo l'invocazione: "San Bias, la gula e al nas", si procede alla benedizione della gola e del naso nella chiesa parrocchiale a lui dedicata, e a pranzo si consumano i ravioli di magro con ripieno di grana e barlande, seguiti dal tradizionale panettone di San Biagio.
A Ruvo di Puglia, dove San Biagio è anche Santo Patrono, il 3 febbraio si celebra la Messa di devozione nella Concattedrale di età romanica, dove è custodita la reliquia del Santo. Inoltre si Benedicono i "friciduzze" (taralli realizzati nelle forme di mano, bastone, piede e Mitra di San Biagio) e le "fettuccine di San Biagio", nastrini colorati che proteggono dal mal di gola.
A Chiavari in Liguria, San Biagio è contitolare della parrocchia di Bacezza. Ogni 3 febbraio nel Santuario di Nostra Signora dell'Olivo si celebra l'Eucaristia con la benedizione del grano e la venerazione di una reliquia del Santo.
Ad Alvito il 3 febbraio nella Cappella di San Biagio, costruita nel XVIII secolo, il parroco unge le gole dei fedeli con dell'olio benedetto per proteggerli dal mal di gola.
a Vignanello il 3 febbraio, dopo la solenne messa, il parroco unge le gole dei fedeli per proteggerli, inoltre nel primo fine settimana di agosto si svolgono festeggiamenti in onore di san Biagio con processioni concerti etc.

I fedeli si rivolgono a san Biagio nella sua qualità di medico, anche per la cura dei mali fisici e in particolare per la guarigione dalle malattie della gola: è tra i quattordici santi ausiliatori. Durante la sua celebrazione liturgica, in molte chiese i sacerdoti benedicono le gole dei fedeli accostando ad esse due candele; per questo è anche patrono degli specialisti otorinolaringoiatri. È anche protettore dei cardatori di lana, degli animali e delle attività agricole. In mancanza di un santo patrono a loro dedicato, a cavallo tra il 2013 e il 2014 alcune equipe d'animazione l'hanno eletto a protettore, indicandolo come patrono degli animatori.

San Biagio è il santo patrono delle diocesi di Cassano allo Ionio e di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.

Il panettone di San Biagio è una tradizione di Milano poco conosciuta al di fuori dei confini della città, ma utilissima per finire i panettoni avanzati dalle feste di Natale.

Perchè bisogna mangiare il panettone di San Biagio? E’ presto detto: il 3 febbraio è la giornata che la chiesa cattolica dedica alla celebrazione di San Biagio, una figura che secondo la tradizione popolare milanese ‘benedis la gola e él nas‘. I milanesi, infatti, sono soliti mangiare un panettone benedetto proprio in questa giornata (anche se non è freschissimo, anzi meglio).
Una massaia prima di Natale portò a un frate un panettone perchè lo benedicesse. Essendo molto impegnato, il frate – che si chiamava Desiderio – le disse di lasciarglielo e passare nei giorni successivi a riprenderlo. Ma la donna se ne dimenticò e frate Desiderio, dopo averlo benedetto, iniziò a sbocconcellarlo finchè si accorse di averlo finito.

La donna si ripresentò a chiedere il suo panettone benedetto proprio il 3 febbraio, giorno di San Biagio: il frate si preparò a consegnarle l’involucro vuoto e a scusarsi, ma al momento di consegnarglielo si accorse che nell’involucro era comparso un panettone grosso il doppio rispetto all’originale. Era stato un miracolo di San Biagio, che diede il via alla tradizione di portare un panettone avanzato a benedire ogni 3 febbraio e poi mangiarlo a colazione  per proteggere la gola.




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sabato 13 giugno 2015

LA CHIESA DI SANTA MARIA DEI MIRACOLI A BRESCIA



Il santuario di S. Maria dei Miracoli si presenta oggi come un edificio dalla configurazione assai originale, di complessa lettura a causa di una lunga vicenda di
stratificazioni e aggiunte successive, costantemente limitate dai vincoli del preesistente, fitto tessuto urbano e sostanzialmente prive di un progetto unitario di base. In borgo S. Nazaro, sul muro esterno della casa di un certo Federico Pelaboschi, esisteva nel Quattrocento un'immagine della Vergine ritenuta miracolosa; intorno a essa era sorta un'edicola votiva, probabilmente a contenere un altare e a ricovero delle offerte sollecitate dalla devozione popolare. Il luogo doveva tuttavia rivelarsi assai interessante sotto il rispetto economico, oltre che sotto il profilo devozionale, se nel 1486 il Consiglio comunale di Brescia deliberava di acquistare casa Pelaboschi e tre anni più tardi acquisiva altre case adiacenti. Nacque così l'idea di creare una prima cappella, concepita probabilmente come semplice stabilizzazione degli apparati provvisori e verosimilmente strutturata come un protiro a due ordini formato dalla sovrapposizione di due arcosolii voltati a lacunari, il superiore a protezione dell'immagine miracolosa, l'inferiore con accesso a un locale retrostante adibito a sagrestia, ricavato dalla stessa casa Pelaboschi.
Ben presto si manifestò l'esigenza di progettare un organismo più ampio; anche il vescovo della città e il doge veneziano si interessarono alla questione e il ruolo di procuratori della fabbrica spettò a due figure di spicco nella vita culturale bresciana del tempo come il nobile Giovan Pietro Averoldi, padre del mecenate Altobello e legato al governo della Serenissima, e l'umanista 'antiquario' Giovanni Maria Tiberino.
(I lavori per la costruzione della chiesa furono ultimati solo nel 1581, quando l'immagine sacra venne condotta all'interno,sull'altare maggiore).

Gioiello di scultura rinascimentale, fu edificata a partire dal 1488 per onorare l'immagine miracolosa della Madonna col Bambino affrescata all'esterno di una abitazione che sorgeva in questo luogo: la parte centrale della facciata (1488) ne era in origine il sacello. La facciata presenta accanto a questo nucleo centrale più antico, il protiro a quattro colonne aggiunto verso la fine del XVI secolo e il coronamento superiore del 1560; le parti laterali sono invece del Seicento. Tutta bianca in pietra di Botticino è finemente decorata dalle maestranze che lavorarono contemporaneamente alla Loggia e che scolpirono capitelli, lesene e fregi con motivi sacri e profani. Nelle nicchie sovrastanti le porte laterali le due statue sono opera del Calegari.
La facciata dei Sanmicheli, corrispondente al livello più basso e raffinato della facciata attuale, viene compiuta entro l'anno 1500. Nel frattempo, l'edificio religioso subisce un rapido sviluppo, anche grazie al crescere del numero di fedeli e delle elemosine e, probabilmente a cantieri ancora aperti, viene deciso per il suo ampliamento, portando il santuario alla dimensione definitiva. Le partiture architettoniche interne, connotate da caratteri decorativi elaborati e raffinati, vengono forse realizzati da Gasparo Cairano e bottega. Lo stesso scultore realizza inoltre il ciclo di Apostoli per la prima cupola, interposto al ciclo di Angeli del Tamagnino, entrambi consegnati e pagati nel 1489.
L'interno, quasi interamente distrutto dal bombardamento del 2 marzo 1945 ed in seguito restaurato, ha pianta quadrata e abside pentagonale; pilastri e colonne dividono lo spazio in tre navate, sovrastate da quattro cupole. Fra i dipinti cinquecenteschi, si segnala la copia del quadro del Moretto conservato oggi alla pinacoteca Tosio Martinengo e, nel presbiterio, le opere di Pier Maria Bagnadore, Tommaso Bona, Pietro Marone, Grazio Cossali. Nell'abside si conserva l'immagine miracolosa della Madonna che, dalla facciata ove si trovava, venne qui trasportata nel 1581.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/06/le-chiese-di-brescia.html


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mercoledì 20 maggio 2015

IL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE DEI MIRACOLI A SARONNO

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Il santuario della Beata Vergine dei Miracoli, venne eretto nel 1498 dal popolo di Saronno per dare degna ospitalità al simulacro della Madonna del miracolo (una statua della seconda metà del XIV secolo, posta allora in una cappella sulla strada Varesina) ritenuta dispensatrice di miracolose guarigioni. Il territorio lombardo si arricchiva così di un nuovo santuario mariano che divenne presto meta importante di devozione e che si arricchì con il tempo di formidabili tesori d'arte.

Nel gennaio 1923 papa Pio XI elevò il santuario al rango di basilica minore.

L'8 maggio 1498, per iniziativa della comunità saronnese, fu avviata la edificazione del Santuario nel sito in cui già sorgeva una cappella (detta "del miracolo") che era divenuta oggetto di speciale devozione in virtù della fede popolare nella "portentosa guarigione" avvenuta nel 1447 ed in altre che la seguirono.

Il Santuario di Saronno sorge a seguito della guarigione miracolosa di un giovane del borgo di nome Pietro Morandi detto "Pedretto", che soffriva da parecchi anni di una grave forma di sciatica che lo immobilizzava sul suo pagliericcio non consentendogli di camminare. Siamo negli anni attorno al 1460 e non oltre il 1462. All'incrocio tra la strada Varesina, chiamata, allora, strada di Lugano perché quivi giungeva la strada che da Monza, attraversando Saronno, portava e porta verso il Ticino per raggiungere il Piemonte, vi era una piccola cappella, una piccola edicola, con una statua della Madonna con in braccio il Bambino Gesù; una statua di terracotta datata nella seconda metà del trecento. Davanti a questa capelletta, in una fredda notte d'inverno, "in una invernata", così sta scritto, avvenne il miracolo. Il povero Pedretto era costretto a letto da circa sei anni quando una notte, mentre si tormenta dal dolore spasimando, la sua cameretta si illumina di un improvviso fulgore, dentro il quale appare una bellissima Donna che per tre volte gli dice:

"Pietro, se brami guarire, va' alla cappella di strada Varesina, edifica un tempio là dove sorge il simulacro della Madonna, i mezzi non mancheranno giammai..."
Chiamati i suoi, manifestò loro il proposito di recarsi alla cappella, mentre un vigore improvviso gli si diffuse per tutta la persona. Giunto sul luogo indicatogli dalla Signora il Pedretto cominciò a pregare e poi, sopraffatto dalla stanchezza, si addormentò. Quando si svegliò era ormai l'alba e si si trovò completamente guarito. Riconoscente alla Madonna, si dette da fare per esaudire il desiderio di Maria: la costruzione del Santuario fu terminata nel 1511. I documenti dell'archivio storico ci dicono che molte altre guarigioni seguirono alla prima.

I saronnesi vollero rendere grazie alla Madonna e, dopo la costruzione di alcune chiesette, andate presto in rovina, soprattutto perché l'afflusso dei devoti di Saronno e dei pellegrini, che giungeva da tutto il contado, era in continuo crescendo, l'8 maggio 1498 iniziarono i lavori di costruzione della prima parte dell'attuale basilica, quella orientale. Il Campanile del Santuario di Saronno è risultato uno dei più belli e più antichi della Lombardia.

L'afflusso dei fedeli e dei pellegrini era ormai così alto da non consentire a tutti di entrare in chiesa durante le funzioni religiose. Ciò è documentato dalle numerose richieste di autorizzazione a celebrare all'aperto inoltrate alla Curia arcivescovile di Milano. Sappiamo che il Concilio di Trento aveva proibito la celebrazione della Messa al di fuori della chiesa, per celebrare all'aperto occorreva la dispensa. Così gli amministratori del Santuario (sei deputati, eletti dalla popolazione saronnese) decisero di ampliare la chiesa, allungandola. Tra il 1560 e il 1578, in due periodi successivi, la chiesa venne allungata con cinque campate su tre navate. Dopo 168 anni dalla fondazione la costruzione, l'abbellimento e la decorazione del Santuario erano finalmente terminati. I saronnesi avevano fatto costruire una chiesa che destava l'ammirazione di tutti.

Il Santuario di Saronno alla fine del 1600 possedeva terreni per 3.000 pertiche milanesi e 14 case. E tutto questo sino all'arrivo in Italia di Napoleone e la costituzione della Repubblica Cisalpina, quando vennero incamerati i beni degli enti ecclesiastici, e tra questi anche quelli del Santuario. A questa rapina, si aggiunga, nel 1817, l'abolizione dei deputati da parte del governo austriaco del Lombardo Veneto; la lenta ripresa si ebbe solo agli inizi del XX° secolo.

Anzitutto è bene sottolineare che la guarigione del giovane Pedretto non è frutto di una invenzione o di una leggenda, è provato da un documento ufficiale della Chiesa: il "Processo informativo canonico sull'origine del Santuario di S.Maria de Miracoli di Saronno". Processo voluto da S.Carlo Borromeo, allora arcivescovo di Milano che, in ottemperanza alle disposizioni del Concilio di Trento, volle testimonianze e verifiche che dimostrassero, senza alcun dubbio, l'origine miracolosa dell'evento straordinario da cui ebbe origine il Santuario. In quel secolo era forte l'irrisione degli eretici per ogni evento soprannaturale attribuito alla Madonna e ai santi.
Il processo canonico si tenne a Saronno il 6 aprile 1578 e vennero raccolte le deposizioni giurate dei testimoni, come si legge nel documento redatto al termine del processo. Il processo venne istruito perché i primi documenti sull'origine del Santuario erano andato perduti. A Saronno dal 23 agosto 1576 al 23 marzo 1577 infierì la peste, che causò tanti morti tra i cittadini. Durante questa infausta evenienza, i monatti, entrati in casa Visconti, dove vi era un appestato, bruciarono suppellettili e incartamenti. Tra questi anche la raccolta fatta da Gio Batta Visconti comprendente molti documenti riguardanti i primi anni di vita del Santuario. Per fortuna non tutto andò perduto, perché gran parte delle carte si trovavano presso la sala del capitolo dei deputati.

Da alcuni passi delle deposizioni dei testimoni possiamo leggere:

"Et così essendo divulgato questo miracolo d'intorno i popoli cominciorno a concorrere alla divozione".

Sono i primi pellegrini che, nella seconda metà del 1400, venivano a venerare la Beata Vergine e a chiederle le grazie e a vedere il miracolato.

Si legge ancora:
"Questa benedetta Madonna ha fatto et continua a fare delli miracoli, et ci sono stati portati di gran voti, come tavolette, scanse et simili, per gratie che là ha fatto".

A dimostrare la continuità dei Miracoli il primo storico del santuario, Luigi Sampietro, accenna alle tavole e ai voti antichi di grande valore che ornavano di gloria l'altare di Nostra Signora, senza indicare il tempo e le persone che ottennero le grazie.

Ecco alcuni miracoli avvenuti lungo i secoli.

Cristoforo Brasca, colpito da tempo da paralisi nelle gambe, invano ricorse ai mezzi suggeriti dalla scienza. Ma, con fervida fede invocata la grazia dalla Madonna di strada Varesina, il 12 marzo 1533 guari per miracolo.
In S.Maria al Pasquirolo di Rho, nel convento degli Agostiniani, frate Daniele da Nudoli, infetto alla gola, restò impossibilitato di proferire parola e di prendere cibo. Dichiarato inguaribile dai medici, implorò la Vergine dei Miracoli di Saronno, ed in tre giorni rimase completamente risanato. Il 27 marzo 1536 scioglieva il suo voto.
Nei vigneti dei conti Pirro e Vitaliano Visconti Borromeo di Lainate, i bruchi infestavano le viti e ne consumavano perfino i tralci: a scampare al flagello, i Visconti Borromeo ricorsero alla Nostra Signora facendo voto di offrire ogni anno due brente di vino bianco. Fatto il voto, i bruchi scomparvero il 17 giugno 1575. Ma l'erede Fabio dimenticò l'esecuzione del voto ed il vigneto venne di nuovo infestato dai bruchi. Allora anch'egli rinnovò il voto, e cessò l'infestazione. Grato alla Vergine, si recò in Santuario con l'offerta, seguendo la processione ed assistendo alla S.Messa di ringraziamento celebrata solennemente dal curato di Lainate. Nel 1610 Giambattista Visconti, notaio di Saronno, delirava per la febbre acutissima. I medici disperavano della sua guarigione. Ma il Visconti si rivolse a Maria con grande fede, e d'improvviso guari e Le offerse un bel voto. Nel 1630, Giampietro Terruzzi, corriere del re cattolico per lo Stato di Milano, dimorando a Madrid per affari, si ammalò con pericolo di morte. Invocando l'aiuto della Madonna di Saronno, guarì perfettamente. Nell'anno seguente, Michelangelo Prevosti, doratore della navata maggiore del Santuario, con altri artisti eseguiva i lavori sull'impalcatura. Quando scoppia un temporale e la folgore gli guizza dinanzi strappandogli di mano gli arnesi. Fu un momento di terrore per lui e per gli altri; ma la Vergine invocata li lasciò tutti incolumi. G.Battista Maestri di Saronno, anno 1633, si infermò a morte per un'ulcera maligna. Nella festa dell'Assunta il Maestri si raccolse in profonda preghiera e nello stesso giorno il tumore scomparve. Fabrizio Pallavicini della Valtellina, diretto a Milano, giunto a Saronno (anno 1634) si ammalò gravemente. Fece ricorso alla Madonna, e guarì miracolosamente. In segno di riconoscenza Le offri un voto e si accostò ai Sacramenti all'altare della Vergine. In una notte del 1635, G.Battista Terragni da Mariano, prestinaio in Saronno, d'improvviso venne assalito da un sicario, che gli scaricò sul petto tre colpi d'archibugiata. Alla scarica fatale il Terragni implorò il patrocinio della Madonna, verso la quale nutriva una grande devozione. Le palle gli forarono la giubba e la camicia senza punto ferirlo. Sull'alba del mattino si prostrò riconoscente all'altare della Vergine e Le offri una tavoletta d'argento. Angelo Chiodi, da molti anni era infestato dagli spiriti maligni. Nel 1644 si fece esorcizzare da un religioso dell'Ordine di S.Agostino. Il Padre agostiniano comandò al demonio in virtù della Madonna dei Miracoli di Saronno di uscire dall'ossesso e lo spirito maligno lo lasciò libero. Nel 1650 Bernardo Soldani, prevosto di Gerenzano, colpito da febbre maligna e spedito dai medici, si preparava alla morte. Un cappellano del Santuario lo consiglia di ricorrere con fiducia alla Beata Vergine. Il Soldani accetta il consiglio con grande fede, e la febbre scompare.

Nicolò Pessina, napoletano, soldato in Como, nel 1656 per la febbre ossea gli si rattrappirono la gambe tanto da non poter più camminare. Una notte, tormentato da atroci dolori, fu ricreato dalla Vergine apparsagli che gli disse: "Se vuoi guarire ricorri con fiducia alla Madonna di Saronno".

Il Pessina con fervida fede a Lei si rivolge e ottiene la guarigione. A ricordo del miracolo portò le sue grucce all'altare della Madonna e fece giurata deposizione dinanzi ai testimoni. Erasmo Caimi, Prevosto di S.Maria della Scala di Milano, il 22 febbraio 1662, da Milano passava per Saronno in pariglia diretto a Turate, quando i destrieri s'impennarono e, liberi dalle briglie, si danno a precipitoso cammino. Il Caimi nell'imminente pericolo di essere travolto dalla vettura, si raccomanda l'anima a Dio e con fervida supplica invoca la Madonna di Saronno, il cui tempio scorgeva da lontano. D'un tratto i cavalli si arrestarono ed Erasmo si porta al tempio per far celebrare la Messa solenne di ringraziamento.

Una tavoletta rievocava, un tempo, il ricordo del fulmine scoppiato il 29 luglio 1715, che, percorrendo la tribuna e l'atrio dell'altare maggiore, strisciò intorno ai fedeli genuflessi, mandando scintille di fuoco. In tanto spavento i devoti invocarono la Madonna e il fulmine scomparve senza lesione di alcuno. Frate Francesco Cavagna, dei Conventuali, residente in S.Francesco di Saronno, sale sul campanile l'8 settembre del 1723. Raggiunto il primo piano, si sfasciano le tavole e precipita a capofitto. Più morto che vivo viene trasportato al Convento. Si dispera di salvarlo; ma frate Francesco si raccomanda alla Beata Vergine e in breve ricupera perfetto vigore.
Un Sacerdote venne colpito da morbo fatale che lo minacciava della vita. Fiducioso implorò la guarigione e la Madonna lo esaudì. La tavoletta della grazia ricevuta segnava il 10 ottobre 1741. Nel 1748 un saronnese venne travolto dalle acque del torrente Lura con pericolo di annegarsi. Invocata la Vergine, restò incolume.

E non si finirebbe più, se si volesse anche solo accennare alle grazie ed ai prodigi che la Madonna dei Miracoli ha operato. Quello che s'è scritto è solo qualche fiore del vastissimo giardino.

Non va passato però sotto silenzio il fatto seguente che è degno di essere tramandato alla grata memoria dei posteri. La cronaca dell'epoca, con la penna di D.Edoardo Benetti, lo narrò cosi:

"Correvano le ardenti giornate della Liberazione in quell'aprile 1945... D'un tratto la nostra Cittadina fu scossa da una sparatoria improvvisa e uomini d'arme passavano per le vie invitando i cittadini a ritirarsi nelle case. "I tedeschi!" si gridava, "I tedeschi! Una colonna vagante sta per entrare in città!".
Il Prevosto Mons.Antonio Benetti era già accorso là donde provenivano gli spari: dal settore del Santuario. Aveva con sé l'Olio Santo... Non si sa mai! Giunse cosi al posto di blocco tenuto dai "rossi" (e proprio da un Comandante Rossi) a cinquanta metri dal Santuario, all'imbocco della strada per Uboldo. Che cos'era accaduto? Qualche cosa di strano certamente, spiegava il Comandante, ancora tutto emozionato... Avvistata una Colonna motorizzata che avanzava sparando a tutto spiano, il Comandante - come era suo dovere - aveva ordinato il fuoco dalle due mitragliatrici di lato... Ma queste - provate egregiamente cinque minuti prima - si rifiutavano di sparare, inceppandosi a un tempo ambedue, come inchiodate da una forza arcana... La temuta e creduta colonna nemica altro non era che una Colonna di "azzurri" di Legnano, venuta in visita amichevole, e che sparava a salve in segno di giubilo, come aveva precedentemente mandato ad avvertire da una staffetta. Ma la staffetta aveva perso la strada!... Tutti vi riconobbero un tratto di particolare assistenza della cara Madonna, che a pochi metri di distanza dal suo bel Santuario, aveva voluto evitare un terribile fatto di sangue.


Nella storia del Santuario vi sono state parecchie occasioni che hanno richiamato grandi folle di pellegrini.

La prima si ebbe come conseguenza della peste che infierì tra il 1576 e il 1577, detta anche peste di S.Carlo. Il morbo era giunto a Saronno da Milano e colpì pesantemente tutta la zona. Del borgo morirono 307 persone, un numero molto elevato corrispondente a un sesto della popolazione. I saronnesi si rivolsero alla loro Madonna, perché facesse cessare il flagello e il 23 marzo 1577 si riunirono i capi famiglia nella chiesa parrocchiale e fecero voto solenne e perpetuo di digiunare la vigilia della festa dell'Annunciazione (25 marzo) e, il giorno della festa, di recarsi processionalmente al Santuario "con le pute vergini et ogni una con una candela in mano come al suo comodo et offrirgli alla Madonna de miracoli et il curato habbi a raccompagnare detta processione et dire la S. Messa". Così si legge nella cronaca dell'epoca: "E perché il voto fosse perpetuo fu rogato un istrumento notarile da notaio Batta Pusterla di Tradate". Da quel giorno la peste cessò. Nei paesi vicini si sparse la notizia del voto e la cessazione del morbo. Corsero allora a frotte gli abitanti dei centri abitati vicini e anche abbastanza lontani con processioni penitenziali per implorare la grazia anche per i loro paesi e ad offrire la cera. Il voto fatto fu sempre rispettato dai saronnesi nei secoli, e ancora oggi viene celebrata la Festa del Voto, non più con la solenne processione e a partire dagli anni cinquanta, con una Messa solenne concelebrata dal prevosto e dai parroci della città. Il concorso di fedeli è sempre molto elevato, che non offrono più la cera, un tempo bene prezioso, ma fanno offerte tante e generose.

Un'altra grande manifestazione religiosa, che interessò l'intera diocesi ambrosiana, fu quella della traslazione del simulacro della Vergine dalla cappella del primo miracolo all'interno del Santuario, il 10 settembre 1581. Traslazione voluta e officiata da S.Carlo Borromeo. La cappelletta era stata abbellita con un piccolo altare e contornata da un portico. San Carlo volle che la statua miracolosa troneggiasse sull'altare maggiore del Santuario. Per l'occasione il santo arcivescovo chiese ed ottenne dal papa Gregorio XIII l'indulgenza plenaria per tutti i fedeli che avessero pregato, in quel giorno, in Santuario. Il 6 settembre indirizzò a tutta la diocesi una lettera pastorale precisando i motivi dell'evento straordinario: spingere ad una maggior devozione mariana, lucrare la indulgenza plenaria, rendere l'onore dovuto alle immagini sacre, in particolare a quella della Madonna di Saronno. Fece affiggere un manifesto in tutta la diocesi. Invitò tutta diocesi a partecipare alla solenne cerimonia. ecco un brano, molto significativo della lettera pastorale: "Et acciochè questa solenne translatione riesca con maggior divotione, ricordiamo che i popoli venghino processionalmente, et che ciascuno Vicario Foraneo, et Curati procurino che dette processioni si faccino da popoli secondo i nostri ricordi, cioè con ogni studio di divotione et pietà, con modestia christiana, con prece, et orationi sante, et con distintione degli uomini, et donne". L'afflusso dei pellegrini e dei devoti fu enorme. Leggiamo nella cronaca della giornata:"... la dominica con numero infinito di tutte le parti et stato non solo (il ducato di Milano) ma di quello di fori dello stato ancora, che in questo borgo non vi era luogo per alloggiarli come ancho di capirli, nonostando le provvisione incredibile di cibarie fate, oltra l'infinità di maleficiati (ammalati) che vi concorsero per l'intercessione della Beata Vergine Maria et presentia del Santo furono liberati".
La processione fu oltremodo solenne e attraversò le vie del borgo e S.Carlo "seguitando sempre esso Santo detta processione pontificalmente vestito con una mano sulla bara" (il carro a quattro ruote su cui troneggiava la statua della Beata Vergine), carro tirato da sei cavalli bianchi. Scrivono ancora i cronisti che il santo arcivescovo era "circondato et quasi assediato d'immemorabile popolo che non si poteva la processione continuare." Fu evento memorabile nella storia del Santuario. La spinta di riforma dei costumi venuta a seguito del Concilio di Trento e, per nostra diocesi, dall'opera di S. Carlo Borromeo prima e del card. Federico Borromeo poi, ha portato anche al Santuario di Saronno un fervore spirituale di grande importanza, che ha segnato profondamente la sua vita anche nei secoli futuri.

Nel 1652, Luigi Sanpietro, che per trent'anni fu prefetto del Santuario, ci ha lasciato scritto che i saronnesi si recavano al Santuario per ben quindici volte in processione. Queste iniziavano il 25 marzo per la festa del voto, si susseguivano sino all'8 di settembre, festa della Natività di Maria SS. Le processioni solenni venivano fatte nelle festività della Madonna, mentre le altre processioni o erano organizzate dalle varie confraternite o in anniversari particolari, come ad esempio il giorno di S.Vittore con la processione nella campagne che si concludeva al Santuario. Tra queste la più suggestiva era certo quella che si svolgeva la notte del Giovedì Santo.

In verità non si è ancora ritrovato il documento che rechi il nome dell'architetto che concepì il progetto iniziale del santuario con una pianta a croce latina, formata dai locali dell'abside, del presbiterio, dell'antipresbiterio, dell'aula sormontata dal tiburio e dalla cupola e dalle due cappelle laterali. La fruizione dell'edificio era tuttavia pensata in senso inverso rispetto alle tradizionali chiese medievali a croce latina, in modo da sottolineare la centralità della volta come struttura circolare sotto la quale si raccoglieva idealmente la comunità ecclesiale.

La planimetria ed i suoi rapporti proporzionali attentamente studiati (con riferimenti espliciti alla sezione aurea) mostra, per il progetto, la paternità di un architetto di profonda cultura umanistica e stilisticamente legato a modelli già diffusi in Lombardia: si è formulata l'ipotesi che possa trattarsi di Giovanni Antonio Amadeo (impegnato in quegli anni nella fabbrica del Duomo di Milano).

Accanto al santuario fu costruita (entro il 1507) la casa dei "deputati" (che componevano un organismo elettivo incaricato di sovrintendere all'amministrazione dei beni ed alla "fabbrica" dell'edificio sacro); pochi anni dopo (1511-16) venne innalzato il campanile, alto 47 metri, progettato dall’architetto Paolo della Porta, ritenuto tra i più belli della Lombardia e preso a modello per numerosi altre chiese.

L'ipotesi è avvalorata dal fatto che dalla documentazione superstite si apprende con certezza che Amadeo fu il progettista dell'elegante tiburio (ultimato nel 1508) che conferisce all'intero edificio l'impronta inconfondibile del rinascimento lombardo. Il tiburio presenta esteriormente 24 eleganti finestre, determinate da 12 bifore corrispondenti al tamburo dodecagonale che copre una cupola di 8 lati generati dall'inserimento di quattro spicchi angolari su un alzato fondato su 4 piloni d'angolo, secondo il tradizionale schema costruttivo ad quadratum, secondo una semplice progressione aritmetica (4+8+12 = 24) che si sviluppo dal basso verso l'alto, dal quadrato dell'aula al cerchio della cupola, dalla Terra al Cielo.

Il crescente afflusso dei fedeli, dopo alcuni anni, portò i deputati del Santuario ad intraprendere un progetto di ampliamento con la costruzione di un edificio a tre navate che si sviluppano su cinque campate. I nuovi lavori iniziarono nel 1556, ma proseguirono con relativa lentezza, visto che nel 1566 erano costruite solo tre delle cinque campate previste e che la facciata aveva una sistemazione del tutto provvisoria.

Fu san Carlo Borromeo – di cui va ricordato l'attaccamento al santuario della Beata Vergine dei Miracoli – a dare impulso alla ripresa dei lavori. Per completare i lavori si doveva, tra l'altro, demolire la superstite "cappelletta del Miracolo", persistente ai primi lavori del 1498. San Carlo officiò personalmente il rito solenne – avvenuto il 19 settembre 1581 – della traslazione all’interno del santuario dell'antica statua trecentesca della Madonna.

Alla progettazione della facciata fu chiamato l'architetto Pellegrino Tibaldi, più noto come il Pellegrini. La costruzione iniziò nel 1596 e durò sino al 1613. Lo stile adottato dal Pellegrini si ispira a canoni classici, tardo rinascimentali, ed è fortemente teso a sottolineare la maestosità dell'edificio sacro. La ricchezza dei motivi ornamentali (con colonne, lesene, due grandi cariatidi che affiancano il portale di ingresso, fregi, balaustre, le statue nelle alte nicchie laterali, ecc.) produce un complesso architettonico di grande solennità.

Furono avanzati, subito dopo il completamento della facciata, rilievi critici da parte di quei deputati che la giudicavano "alquanto tozza", in contrasto con l'armoniosa eleganza del tiburio. Nel 1630, per ovviare alla supposta pesantezza della facciata, Carlo Buzzi progettò il rialzo della balaustra mistilinea che regge la statua dell'Assunta e quelle di due coppie di angeli che suonano la tromba. Il progetto rimase a lungo sulla carta e fu realizzato solo nel 1666.

Completate le eleganti architetture rinascimentali del primo santuario, si iniziò quasi subito a convocare una serie di artisti, tra i migliori attivi in quel tempo nel ducato lombardo, per i lavori di decorazione interna.

Si alternarono o si trovarono a collaborare tra loro pittori quali Bernardino Luini (1525 – 1532), Cesare Magni (1533), Gaudenzio Ferrari (1535 – 1545), Bernardino Lanino (1547); scultori del legno quali Andrea da Milano -detto anche Andrea da Saronno (1527 – 1536)-, Giulio Oggioni (1539); ma anche valenti plasticatori, battitori del ferro ed altro ancora.

Il primo grande artefice che legò il proprio nome al santuario di Saronno fu Bernardino Luini: a lui si deve il complesso degli affreschi che ornano le pareti dell'abside, del presbiterio, dell'antipresbiterio e di quelle sottostanti la cupola; sue sono anche le figure sulla volta della cappella del Cenacolo, ed un Natività posta nel chiostro.

Le principali opere eseguite per il santuario mariano riguardano doverosamente la vita della Madonna. Nell'antipresbiterio sono poste le scene dello Sposalizio della Vergine e di Gesù tra i Dottori; mentre nel presbiterio (o Cappella Maggiore) troviamo le scene dell'Adorazione dei Magi e della Presentazione di Gesù al Tempio: esse costituiscono uno dei punti più alto raggiunti da Luini come autore di opere a fresco.

Riconosciamo, nell'impaginazione di queste scene, la grande vena narrativa di Bernardino, con una moltitudine di personaggi, disposti su piani diversi, che si mostrano nei loro coloratissimi abbigliamenti; hanno volti di vivace espressività e paiono muoversi in un'atmosfera calma e suadente. Se, ad esempio, si osserva lo Sposalizio della Vergine, si rimane colpiti dall'epressione dei pretendenti delusi: non c'è in essi nessun segno di rancore, anzi si palesa un accenno di sorriso ottenuto utilizzando ad affresco la tecnica dello "sfumato" ideata da Leonardo. Il pittore milanese dimostra qui quello stile delicatissimo, vago ed onesto nelle figure sue che il Vasari gli riconosce proprio in relazione agli affreschi di Saronno.
È stata sottolineata la grande padronanza delle tecniche prospettiche che il Luini dimostra di saper applicare nelle scene citate. In particolare, un sapiente uso dell'illusionismo prospettico fa sì che lo spettatore, percorrendo in un senso e nell'altro i due ambienti, abbia l'impressione che le figure dipinte sulle scene gli vengano incontro.

La Cappella Maggiore risponde ad un progetto iconografico ed artistico unitario che non conosce cedimenti e che lega strettamente tra loro soluzioni pittoriche ed architettoniche. I due grandi dipinti dell’Adorazione dei Magi e della Presentazione di Gesù al Tempio sono delimitati da paraste aggettanti, con capitelli in pietra grigio-azzurra, che reggono archi in cotto: adagiate su tali archi, Bernardino ha dipinto le quattro figure aeree delle Sibille (considerate profetesse dell’annuncio evangelico) con i loro cartigli.

Tra le finestre, nelle lunette della volta a botte sono collocati in coppie — secondo una iconografia molto diffusa — i Quattro evangelisti ed i Quattro Dottori della Chiesa. Completano il complesso programma decorativo otto figure monocrome (o "seppie") poste sulle lesene della cappella: sono le rappresentazioni allegoriche Virtù teologali e cardinali alle quali si aggiunge l'allegoria della Pace.

Scomparso Bernardino Luini (1532), a continuare la sua opera negli impegnativi affreschi della cupola, fu chiamato Gaudenzio Ferrari (1534), che stava allora ultimando gli affreschi in San Cristoforo a Vercelli.

Il 28 settembre 1534 Gaudenzio Ferrari firma il contratto per i lavori nella cupola di Santa Maria dei Miracoli di Saronno. Inizia gli affreschi nel 1535 e li termina nel luglio dell'anno dopo, ma continuerà ad operare anche negli anni successivi, per le sculture lignee di Dio Padre, della Vergine Assunta, dei Profeti e delle Sibille, ed infine per i tondi sotto la cupola che potè solo cominciare; li finì il suo allievo Bernardino Lanino. Come nel Sacro Monte di Varallo, Gaudenzio opera sia come pittore che come scultore; al Sacro Monte prevale la scultura, qui la pittura. Il numero delle "giornate" necessarie a realizzare l'affresco erano state contate durante un restauro di diversi anni fa: settantanove; ma durante un restauro più recente ne sono state contate cento. Poche comunque, a dimostrazione sia della attenta preparazione iniziale, sia della velocità di esecuzione: la tecnica dell'affresco gli era assolutamente congeniale, e nel restauro più recente sono state scoperte nei panni degli angeli delle finiture in stucco rivestite di oro zecchino.
Nell'interno della cupola c'è un grande coro angelico disposto su quattro cerchi concentrici. E' il concerto di angeli più affollato che si conosca; gli strumenti musicali presenti sono oltre cinquanta, e ci sono persino degli strumenti musicali provenienti dal Nuovo Mondo, ed altri di pura invenzione, che, a detta di qualche esperto musicale potrebbero anche suonare, e non c'è da stupirsi: la cultura musicale era in quell'epoca assai diffusa fra gli artisti: Leonardo venne a Milano anche perché era famoso per la maestria nel suonare il liuto.
In Gaudenzio c'è, come sempre, grande chiarezza narrativa, perché si era abituato al Sacro Monte di Varallo ad organizzare scene in pittura e scultura comprensibili ai pellegrini. "Meglio dei corpi ritraeva gli animi", disse bene di lui il Lanzi, anche se forse voleva essere una critica. Al suo modo di dipingere ma soprattutto di raccontare è sensibile Lorenzo Lotto, nei suoi anni lombardi, i più felici della sua vita. Gaudenzio opera quasi sempre in provincia, fra il Piemonte e la Lombardia, continuando ad essere attento alle novità di Leonardo, Raffaello e Durer, ma senza mettere in crisi la sua vera natura.
Il nome più appropriato per la rappresentazione nella cupola di Saronno sarebbe "L'Assunzione della Vergine", ma è in fondo giusto che sia nota come "Concerto d'Angeli", anche per motivi legati all'utilizzo della chiesa, che all'origine era a pianta centrale. I fedeli si radunavano quasi tutti sotto la cupola, ed erano molto frequenti le messe cantate, in cui il canto terrestre dei fedeli era in sintonia con l'orchestra angelica della cupola. Inoltre, era un Santuario "dei Miracoli", quindi la liturgia seguiva l'entusiasmo e le aspettative dei fedeli, che erano spesso pellegrini che venivano da lontano, fiduciosi in un miracolo, proprio come al Sacro Monte.
Circa dieci anni prima il Correggio aveva affrescato la cupola del Duomo di Parma con lo stesso tema, "L'Assunzione della Vergine". Il raffronto è interessante, specie dopo che le due cupole sono state entrambe restaurate; nel Correggio prevale il movimento turbinoso, danzante, degli angeli, ed i cerchi divengono delle spirali ascendenti verso lo spazio infinito; in Gaudenzio l'attenzione è sempre rivolta al popolo sottostante: prevale la sodezza terrestre, anche l'arguzia narrativa, la curiosità nella rappresentazione.




Il principale intagliatore che lavorò al Santuario fu Andrea da Milano (che, proprio in virtù dell’ampia attività qui svolta, è anche detto "Andrea da Saronno"); a lui si devono innanzi tutto i due gruppi scultorei — pesantemente ridipinti — che occupano le cappelle laterali, a fianco dell'aula della cupola.

In accordo con la spiritualità francescana che condizionò vivamente i lavori al santuario (si tenga presente che i deputati avevano affidato ai frati minori la celebrazione delle funzioni religiose) le statue dovevano favorire la immedesimazione dei fedeli con la vita di Cristo.

Nella cappella sinistra — sulla cui volta il Luini aveva dipinto figure di Angeli con i simboli della Passione — è raffigurato, con potente teatralità, il Cenacolo (1531). L'ambientazione della scena è fortemente suggestiva, con gli apostoli – colti, secondo il modello di Leonardo, nel preciso momento in cui Gesù annuncia che sarà tradito – intenti a discutere tra loro od a guardare increduli il Maestro. Risulta evidente, dalla postura delle figure scolpite, dalla scelta dei colori e dai panneggi delle vesti, come Andrea si collochi nella vasta schiera degli emuli del Cenacolo vinciano cercando, per quanto gli è possibile, di catturare la vibrante drammaticità presente del dipinto.

Alle spalle del gruppo, lungo i tre lati della cappella, si trovano grandi tele di Camillo Procaccini (1598): quelle laterali raffigurano gli episodi dell'Orazione nell'orto e del Bacio di Giuda, quella di fondo presenta una suntuosa scena di Servitori e vasellame che contrasta in modo disturbante con la semplicità della mensa del Cenacolo.

Il gruppo del Compianto sul Cristo morto (o della Deposizione dalla Croce) occupa la cappella destra. Andrea da Milano riprende un tema a quei tempi assai diffuso nei gruppi scultorei ispirandosi verosimilmente al modello di Agostino de Fondulis nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano. Il gruppo appare oggi, in alcune sue parti, poco coerente (ad esempio nelle figure, più piccole, degli angeli che portano i simboli della Passione). Esso ha subito infatti varie risistemazioni; inizialmente comprendeva un numero molto più ampio di statue che componevano scene diverse della Passione: oltre al Compianto, la scena del Calvario (con i ladroni sulla Croce) e quella della Discesa al Limbo.Nel "Museo del Santuario" si possono ammirare le statue superstiti di una Figura maschile dolente e della Gitana.

Dopo il suo arrivo al santuario (1535), è Gaudenzio Ferrari a guidare il lavoro degli intagliatori nella decorazione della cupola. Andrea da Milano realizza la figura del Padre Eterno al centro della cupola, ed inizia ad intagliare quella della Madonna Assunta, posta all'altezza del tamburo (essa è poi completata da Battista da Milano, 1537).

La realizzazione (1539) delle 22 statue di Profeti e Sibille poste nelle nicchie del tamburo della cupola viene invece affidata ad un altro abile intagliatore, Guido Oggioni, allievo di Andrea.

Per completare il resoconto delle opere che Andrea da Milano ha realizzato per il santuario, si devono citare anche le statue delle Sante Lucia, Agata, Maria Maddalena, Liberata, Marta e quella di San Giovanni poste nell'abside con i busti di Re Davide, Salomone, Abacuc e Isaia.

Il campanile fu concluso nel 1516 e venne dotato di due campane. Agli inizi del 1555 la primitiva campana maggiore si ruppe e venne rifusa nello stesso anno. Nel 1567 risultano esserci sul campanile ben tre campane, la mezzana delle quali si ruppe alla fine dello stesso anno. Questa venne rifusa il 28 febbraio 1568. Le tre campane vennero rifuse per farne due più grosse, fusione che avvenne il 13 gennaio 1585. Non è noto il nome del fonditore, ma è lo stesso che fuse nel 1582 la campana posta nella torre dei monaci della basilica di Sant'Ambrogio a Milano. Nel 1617, per dar maggior decoro e per differenziare maggiormente le suonate, si decise per la fusione di una nuova campana, più grande delle due esistenti. La fusione avvenne in loco dal fonditore Nicola Bonavilla. Contemporaneamente venne fusa una campanella, da usare come richiamo. Queste due vennero posizionate nella lanterna, una sopra l’altra. Ma la campana maggiore già nel 1619 si crepò, e venne rifusa, questa volta a Milano, sempre da Nicola Bonavilla. Questa campana durò poco, infatti nel 1639 risultava stonata a causa di una crepa e vennero interpellati diversi fonditori, tra cui ancora Nicola Bonavilla, che venne subito scartato. Vennero scelti invece i fonditori milanesi Lorenzo e Pietro Paolo Mirri, che rifusero la campana a Milano nel 1640.

Nel 1903 vennero sostituiti i ceppi lignei con ceppi in ghisa e nel 1922, nel corso del restauro della torre, venne rifatto il castello, portando la campana maggiore dalla lanterna alla cella inferiore con le altre due. La campana usata come richiamo rimase nella lanterna fino all’ottobre 2010, quando, essendo in disuso, venne calata dal campanile e posta nel chiostro del santuario. L’intonazione del concerto risulta similare a Mib3 Maggiore anche se vi sono delle evidenti discrepanze tonali tra le tre campane, dovute al fatto che il concetto di “concerto” secondo una scala musicale in Italia nasce circa un secolo dopo la fusione di queste campane.

Il concerto è montato a sistema ambrosiano ed è composto di tre campane in Mib3 Maggiore:

la campana minore (nota Sol3), è stata fusa in loco nel 1585 dai maestri locali e suona per difendere il popolo dai mali (diametro 987 mm)
la campana mezzana (nota Fa3), è stata fusa in loco nel 1585 dai maestri locali e suona per render lode alla Madonna dei Miracoli, patrona (diametro 1097 mm)
la campana maggiore (nota Mi♭3), è stata rifusa più volte a seguito di crepe e porta come data 1640, e suona a lode di Cristo Risorto (diametro 1257 mm)
Nel chiostro vi è una campana montata a mezzo ambrosiano, fusa insieme al vecchio campanone Bonavilla nel 1617, suonante un Fa♯4 (diametro 513 mm)

Nel 1594 si decise di dotare il Santuario di una piccola torretta per ospitare l’orologio. Questa era dotata di una campanella per il battito delle ore, anch’essa fusa nel 1594. Nel 1650, in seguito ad un sopralzo del portico, per ragioni di estetica si decise di ampliare la torre dell’orologio, con le stesse fattezze della prima, lo stesso orologio e la stessa campana. Nel 1668, nel corso di una riparazione dell’orologio, venne rifatta la cella campanaria.

Nel 1757, siccome l’orologio continuava ad essere irregolare e la sua riparazione era costosa e non poteva essere garantita, si decise di costruire un nuovo orologio, da posizionare però sul campanile del santuario, quindi la torre dell’orologio venne abbattuta e della campana non si hanno più notizie. Ma nel 1769, allo scadere del contratto di manutenzione del nuovo orologio, si decise per la ricostruzione di una nuova torre apposita e il trasferimento dell’orologio su questa. La nuova torre venne costruita dov’era la precedente. Nell’agosto 1769 venne comprata una campana, che però venne subito consegnata ai fratelli Francesco ed Innocenzo Bonavilla di Milano, che la rifusero con l’aggiunta di altro bronzo per ottenere le due nuove campane per le ore:
Campana delle mezzore, suonante un Mi♭4 crescente, fusa dai fratelli Bonavilla di Milano nel 1769 (diametro 551,5 mm)
Campana delle ore, suonante un Re♭4, fusa dai fratelli Bonavilla di Milano nel 1769 (diametro 639 mm).




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