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sabato 23 maggio 2015

PERSONE DI BUSTO ARSIZIO : BEATA GIULIANA PURICELLI



La beata Giuliana Puricelli (Busto Arsizio, 1427 – Varese, 15 agosto 1501) è stata una religiosa italiana, fondatrice dell'Ordine delle Romite Ambrosiane. A lei e a Luigi Gonzaga è intitolata la chiesa parrocchiale del quartiere di San Luigi e Beata Giuliana a Busto Arsizio, oltreché una scuola elementare.

Giuliana nacque nel 1427 da una famiglia di contadini abitanti a Cascina Verghera, tra Busto Arsizio e Gallarate. Il luogo viene identificato da alcuni (ad es. il Bondioli) nella Cascina dei Poveri (Rione Beata Giuliana) nel territorio del comune di Busto Arsizio, da altri con Verghera, frazione del comune di Samarate (ad es. il Sevesi per il quale la beata senz'altro appartenne alla famiglia Puricelli).

Il padre, uomo rozzo e violento, non voleva che la figlia si consacrasse al Signore e la voleva assolutamente maritare. Il 14 ottobre 1454, festa di san Callisto, all'età di ventisette anni Giuliana, recatasi di nascosto al Sacro Monte di Varese, si mise sotto la direzione spirituale della beata Caterina da Pallanza che da qualche anno vi conduceva vita eremitica. Iniziò, con l'autorizzazione di Sisto IV, il 10 agosto 1476 la vita monastica in un convento eretto presso il santuario di Santa Maria del Monte o Sacro Monte di Varese. Giuliana, semplice conversa, essendo analfabeta, visse eroicamente in umiltà, spirito di penitenza, ubbidienza e servizio del prossimo, offrendo, tramite la ruota del monastero, l'acqua fresca ai pellegrini assetati - cosa questa che le Romite Ambrosiane fanno ancor oggi - nutrendo nel suo cuore una devozione profonda a Gesù crocifisso ed alla Beata Vergine Maria, finché la morte non la rapì il 15 agosto 1501 all'età di settantaquattro anni, dopo quarantasette anni di vita religiosa, dei quali ventidue passati in eremitaggio e venticinque in monastero.

Il culto fu confermato, insieme con quello della beata Caterina da Pallanza, la festa di Pentecoste del 1729, dal vescovo di Bobbio in qualità di delegato dell'arcivescovo di Milano, Benedetto Odescalchi; nel 1769 esso venne riconosciuto come esistente ab immemorabili dalla Sacra Congregazione dei Riti e da Clemente XIV.

Il corpo della beata, dapprima sepolto nel cimitero, il 23 ottobre 1650 fu traslato solennemente nel coro del monastero delle Romite Ambrosiane; in seguito, nel 1729, in occasione della conferma diocesana del culto, fu traslato insieme a quello della beata Caterina, in un oratorio appositamente eretto presso il vicino santuario mariano, ove attualmente si trovano, esposti alla venerazione dei fedeli.

Nel 1673 i bustocchi sovvenzionarono con 50 scudi le esigenze edilizie del monastero di Varese e ottennero in cambio la camicia indossata dalla beata nel giorno della sua traslazione all'interno della chiesa interna del monastero avvenuta nel 1650, la seconda reliquia di Giuliana a giungere a Busto Arsizio (la prima fu il velo, ottenuto in seguito ad una richiesta nel 1653).

Il culto tributatole sin dalla morte venne riconosciuto dalla Congregazione dei Riti il 12 settembre 1769 e papa Clemente XIV lo confermò il 16 settembre successivo.

Il 15 ottobre 1762 il prevosto Pietro Borroni fece la ricognizione del velo e della camicia della beata e il canonico Antonio Lavazza, notaio ecclesiastico, stese un attestato che certificava l'originalità delle due reliquie (all'epoca erano molte le false reliquie, tanto che la Chiesa decise di operare questo tipo di indagine critica e selettiva). Nella seconda metà degli anni Settanta del Settecento nacque l'idea di dedicare alla beata Giuliana Puricelli un altare all'interno della Basilica di San Giovanni Battista. Il 5 settembre 1778 si decise che ogni 29 (giorno della celebrazione del martirio di San Giovanni Battista) e 30 agosto si sarebbero esposte all'interno della basilica le reliquie della beata. L'altare all'interno della basilica fu fortemente voluto da un comitato popolare del quale faceva parte anche il pittore e architetto Biagio Bellotti. Fu lo stesso Biagio Bellotti a ridisegnare l'esistente cappella di Sant'Ambrogio e a dipingere il quadro, ornato da marmi, raffigurante Sant'Ambrogio insieme alla beata Giuliana che viene incoronata dalla Madonna; ai loro piedi è dipinto un paesaggio che sale dalla pianura verso la montagna varesina. Nell'angolo della pala Bellotti dipinse un testo che ricorda la propria paternità dell'opera e il contesto culturale in cui fu prodotta:

(LA)
« D.O.M.
B.V. JULIANE CULTU
PROBATO
NATALI PAGULO
PENITUS ADSERTO
NOVISSIMUM
PATRIÆ MON(UMENTUM)
VO(VIT) PIN(XIT) POS(UIT)
CAN(ONICUS) OL(IM)
B(LASIUS) B(ELLOTTUS)
MDCCLXXX »
(IT)
« Nell'anno 1780 Biagio Bellotti, già canonico, promise dipinse e collocò questo ennesimo omaggio dei concittadini ad onore del grande Iddio e della beata Giuliana vergine, dopo che la Chiesa ebbe approvato il culto di lei e che fu irrefutabilmente individuato il cascinale dov'ella era nata. »
(Biagio Bellotti, pala d'altare della cappella si Sant'Ambrogio e Beata Giuliana, Basilica di San Giovanni Battista a Busto Arsizio)
Da quel momento la cappella assunse la doppia denominazione e l'aspetto visibile ancora oggi.

Nel 1951 l'associazione culturale La Famiglia Bustocca scelse la beata Giuliana come sua patrona.

Il Martirologio Romano fissa per la sua memoria la data del 15 agosto.

Nel Santuario di Santa Maria di Piazza, probabilmente su iniziativa del curato e storico Pietro Antonio Crespi Castoldi, nell'ultimo lustro del Cinquecento venne inserita la statua della Beata Iuliana de Busto tra le 32 statue lignee che adornano il tiburio della chiesa, opera dello scultore milanese Fabrizio De Magistris e poi dipinte a biacca nel 1602 in modo che apparissero simili al marmo.
Negli stessi anni venne dipinto alla Cascina dei Poveri un affresco, andato poi perduto, raffigurante la Madonna venerata da Caterina da Pallanza e Giuliana inginocchiate e con la scritta "Hic Juliane natale solum" (qui è nata Giuliana).

Nella Basilica di San Giovanni Battista di Busto Arsizio si trova ancora oggi un affresco risalente alla seconda metà del Seicento e opera del pittore Antonio Crespi Castoldi, il Riposo durante la fuga in Egitto. È collocato nel transetto della basilica, sopra la porta d'ingresso alla sagrestia e raffigura la beata inginocchiata sopra un sasso (che probabilmente simboleggia il Sacro Monte di Varese) che ne riporta il nome e la patria bustese, nell'atto di meditare sulla scena della fuga in Egitto e di ricevere dal Bambino Gesù un giglio, simbolo di purezza.

Nel 1668 un grande quadro, andato poi disperso, probabile opera di Antonio Crespi, fu posto alla Cascina dei Poveri come pala d'altare dell'oratorio di San Bernardino, che era stato costruito dieci anni prima: rappresentava la beata Giuliana insieme a San Bernardino da Siena.

Accanto al campanile della basilica di San Giovanni Battista di Busto Arsizio si trova una statua della santa, opera di Biagio Bellotti del 1782, restaurata nel 2012 dall'associazione La Famiglia Bustocca.

Nel XVII secolo fu realizzata una statua-reliquario, collocato nella basilica di San Giovanni per accogliere una particola della pelle della beata, concessa nel 1837 dal cardinale arcivescovo Karl Kajetan von Gaisruck.

Nel 1908 la fabbriceria della basilica di San Giovanni Battista affidò al pittore Carlo Grossi l'incarico di affrescare la chiesa, specificandogli di includere anche la beata. il pittore dedicò quindi a Giuliana un medaglione nel transetto di destra, Gloria della beata Giuliana.

Una delle leggende che la riguardano afferma che dopo la sua morte Carlo V conquistò la Lombardia. Qualcuno parlò ai soldati di alcuni tesori nascosti nel cimitero delle monache. Questi andarono e scoperchiarono le tombe; ma quando ebbero aperto la tomba della Beata Giuliana la santa levò la mano per poi farla ricadere nella posizione in cui si trova tuttora. Il gesto della santa fu accompagnato da una scossa di terremoto che fece fuggire gli invasori.




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mercoledì 20 maggio 2015

IL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE DEI MIRACOLI A SARONNO

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Il santuario della Beata Vergine dei Miracoli, venne eretto nel 1498 dal popolo di Saronno per dare degna ospitalità al simulacro della Madonna del miracolo (una statua della seconda metà del XIV secolo, posta allora in una cappella sulla strada Varesina) ritenuta dispensatrice di miracolose guarigioni. Il territorio lombardo si arricchiva così di un nuovo santuario mariano che divenne presto meta importante di devozione e che si arricchì con il tempo di formidabili tesori d'arte.

Nel gennaio 1923 papa Pio XI elevò il santuario al rango di basilica minore.

L'8 maggio 1498, per iniziativa della comunità saronnese, fu avviata la edificazione del Santuario nel sito in cui già sorgeva una cappella (detta "del miracolo") che era divenuta oggetto di speciale devozione in virtù della fede popolare nella "portentosa guarigione" avvenuta nel 1447 ed in altre che la seguirono.

Il Santuario di Saronno sorge a seguito della guarigione miracolosa di un giovane del borgo di nome Pietro Morandi detto "Pedretto", che soffriva da parecchi anni di una grave forma di sciatica che lo immobilizzava sul suo pagliericcio non consentendogli di camminare. Siamo negli anni attorno al 1460 e non oltre il 1462. All'incrocio tra la strada Varesina, chiamata, allora, strada di Lugano perché quivi giungeva la strada che da Monza, attraversando Saronno, portava e porta verso il Ticino per raggiungere il Piemonte, vi era una piccola cappella, una piccola edicola, con una statua della Madonna con in braccio il Bambino Gesù; una statua di terracotta datata nella seconda metà del trecento. Davanti a questa capelletta, in una fredda notte d'inverno, "in una invernata", così sta scritto, avvenne il miracolo. Il povero Pedretto era costretto a letto da circa sei anni quando una notte, mentre si tormenta dal dolore spasimando, la sua cameretta si illumina di un improvviso fulgore, dentro il quale appare una bellissima Donna che per tre volte gli dice:

"Pietro, se brami guarire, va' alla cappella di strada Varesina, edifica un tempio là dove sorge il simulacro della Madonna, i mezzi non mancheranno giammai..."
Chiamati i suoi, manifestò loro il proposito di recarsi alla cappella, mentre un vigore improvviso gli si diffuse per tutta la persona. Giunto sul luogo indicatogli dalla Signora il Pedretto cominciò a pregare e poi, sopraffatto dalla stanchezza, si addormentò. Quando si svegliò era ormai l'alba e si si trovò completamente guarito. Riconoscente alla Madonna, si dette da fare per esaudire il desiderio di Maria: la costruzione del Santuario fu terminata nel 1511. I documenti dell'archivio storico ci dicono che molte altre guarigioni seguirono alla prima.

I saronnesi vollero rendere grazie alla Madonna e, dopo la costruzione di alcune chiesette, andate presto in rovina, soprattutto perché l'afflusso dei devoti di Saronno e dei pellegrini, che giungeva da tutto il contado, era in continuo crescendo, l'8 maggio 1498 iniziarono i lavori di costruzione della prima parte dell'attuale basilica, quella orientale. Il Campanile del Santuario di Saronno è risultato uno dei più belli e più antichi della Lombardia.

L'afflusso dei fedeli e dei pellegrini era ormai così alto da non consentire a tutti di entrare in chiesa durante le funzioni religiose. Ciò è documentato dalle numerose richieste di autorizzazione a celebrare all'aperto inoltrate alla Curia arcivescovile di Milano. Sappiamo che il Concilio di Trento aveva proibito la celebrazione della Messa al di fuori della chiesa, per celebrare all'aperto occorreva la dispensa. Così gli amministratori del Santuario (sei deputati, eletti dalla popolazione saronnese) decisero di ampliare la chiesa, allungandola. Tra il 1560 e il 1578, in due periodi successivi, la chiesa venne allungata con cinque campate su tre navate. Dopo 168 anni dalla fondazione la costruzione, l'abbellimento e la decorazione del Santuario erano finalmente terminati. I saronnesi avevano fatto costruire una chiesa che destava l'ammirazione di tutti.

Il Santuario di Saronno alla fine del 1600 possedeva terreni per 3.000 pertiche milanesi e 14 case. E tutto questo sino all'arrivo in Italia di Napoleone e la costituzione della Repubblica Cisalpina, quando vennero incamerati i beni degli enti ecclesiastici, e tra questi anche quelli del Santuario. A questa rapina, si aggiunga, nel 1817, l'abolizione dei deputati da parte del governo austriaco del Lombardo Veneto; la lenta ripresa si ebbe solo agli inizi del XX° secolo.

Anzitutto è bene sottolineare che la guarigione del giovane Pedretto non è frutto di una invenzione o di una leggenda, è provato da un documento ufficiale della Chiesa: il "Processo informativo canonico sull'origine del Santuario di S.Maria de Miracoli di Saronno". Processo voluto da S.Carlo Borromeo, allora arcivescovo di Milano che, in ottemperanza alle disposizioni del Concilio di Trento, volle testimonianze e verifiche che dimostrassero, senza alcun dubbio, l'origine miracolosa dell'evento straordinario da cui ebbe origine il Santuario. In quel secolo era forte l'irrisione degli eretici per ogni evento soprannaturale attribuito alla Madonna e ai santi.
Il processo canonico si tenne a Saronno il 6 aprile 1578 e vennero raccolte le deposizioni giurate dei testimoni, come si legge nel documento redatto al termine del processo. Il processo venne istruito perché i primi documenti sull'origine del Santuario erano andato perduti. A Saronno dal 23 agosto 1576 al 23 marzo 1577 infierì la peste, che causò tanti morti tra i cittadini. Durante questa infausta evenienza, i monatti, entrati in casa Visconti, dove vi era un appestato, bruciarono suppellettili e incartamenti. Tra questi anche la raccolta fatta da Gio Batta Visconti comprendente molti documenti riguardanti i primi anni di vita del Santuario. Per fortuna non tutto andò perduto, perché gran parte delle carte si trovavano presso la sala del capitolo dei deputati.

Da alcuni passi delle deposizioni dei testimoni possiamo leggere:

"Et così essendo divulgato questo miracolo d'intorno i popoli cominciorno a concorrere alla divozione".

Sono i primi pellegrini che, nella seconda metà del 1400, venivano a venerare la Beata Vergine e a chiederle le grazie e a vedere il miracolato.

Si legge ancora:
"Questa benedetta Madonna ha fatto et continua a fare delli miracoli, et ci sono stati portati di gran voti, come tavolette, scanse et simili, per gratie che là ha fatto".

A dimostrare la continuità dei Miracoli il primo storico del santuario, Luigi Sampietro, accenna alle tavole e ai voti antichi di grande valore che ornavano di gloria l'altare di Nostra Signora, senza indicare il tempo e le persone che ottennero le grazie.

Ecco alcuni miracoli avvenuti lungo i secoli.

Cristoforo Brasca, colpito da tempo da paralisi nelle gambe, invano ricorse ai mezzi suggeriti dalla scienza. Ma, con fervida fede invocata la grazia dalla Madonna di strada Varesina, il 12 marzo 1533 guari per miracolo.
In S.Maria al Pasquirolo di Rho, nel convento degli Agostiniani, frate Daniele da Nudoli, infetto alla gola, restò impossibilitato di proferire parola e di prendere cibo. Dichiarato inguaribile dai medici, implorò la Vergine dei Miracoli di Saronno, ed in tre giorni rimase completamente risanato. Il 27 marzo 1536 scioglieva il suo voto.
Nei vigneti dei conti Pirro e Vitaliano Visconti Borromeo di Lainate, i bruchi infestavano le viti e ne consumavano perfino i tralci: a scampare al flagello, i Visconti Borromeo ricorsero alla Nostra Signora facendo voto di offrire ogni anno due brente di vino bianco. Fatto il voto, i bruchi scomparvero il 17 giugno 1575. Ma l'erede Fabio dimenticò l'esecuzione del voto ed il vigneto venne di nuovo infestato dai bruchi. Allora anch'egli rinnovò il voto, e cessò l'infestazione. Grato alla Vergine, si recò in Santuario con l'offerta, seguendo la processione ed assistendo alla S.Messa di ringraziamento celebrata solennemente dal curato di Lainate. Nel 1610 Giambattista Visconti, notaio di Saronno, delirava per la febbre acutissima. I medici disperavano della sua guarigione. Ma il Visconti si rivolse a Maria con grande fede, e d'improvviso guari e Le offerse un bel voto. Nel 1630, Giampietro Terruzzi, corriere del re cattolico per lo Stato di Milano, dimorando a Madrid per affari, si ammalò con pericolo di morte. Invocando l'aiuto della Madonna di Saronno, guarì perfettamente. Nell'anno seguente, Michelangelo Prevosti, doratore della navata maggiore del Santuario, con altri artisti eseguiva i lavori sull'impalcatura. Quando scoppia un temporale e la folgore gli guizza dinanzi strappandogli di mano gli arnesi. Fu un momento di terrore per lui e per gli altri; ma la Vergine invocata li lasciò tutti incolumi. G.Battista Maestri di Saronno, anno 1633, si infermò a morte per un'ulcera maligna. Nella festa dell'Assunta il Maestri si raccolse in profonda preghiera e nello stesso giorno il tumore scomparve. Fabrizio Pallavicini della Valtellina, diretto a Milano, giunto a Saronno (anno 1634) si ammalò gravemente. Fece ricorso alla Madonna, e guarì miracolosamente. In segno di riconoscenza Le offri un voto e si accostò ai Sacramenti all'altare della Vergine. In una notte del 1635, G.Battista Terragni da Mariano, prestinaio in Saronno, d'improvviso venne assalito da un sicario, che gli scaricò sul petto tre colpi d'archibugiata. Alla scarica fatale il Terragni implorò il patrocinio della Madonna, verso la quale nutriva una grande devozione. Le palle gli forarono la giubba e la camicia senza punto ferirlo. Sull'alba del mattino si prostrò riconoscente all'altare della Vergine e Le offri una tavoletta d'argento. Angelo Chiodi, da molti anni era infestato dagli spiriti maligni. Nel 1644 si fece esorcizzare da un religioso dell'Ordine di S.Agostino. Il Padre agostiniano comandò al demonio in virtù della Madonna dei Miracoli di Saronno di uscire dall'ossesso e lo spirito maligno lo lasciò libero. Nel 1650 Bernardo Soldani, prevosto di Gerenzano, colpito da febbre maligna e spedito dai medici, si preparava alla morte. Un cappellano del Santuario lo consiglia di ricorrere con fiducia alla Beata Vergine. Il Soldani accetta il consiglio con grande fede, e la febbre scompare.

Nicolò Pessina, napoletano, soldato in Como, nel 1656 per la febbre ossea gli si rattrappirono la gambe tanto da non poter più camminare. Una notte, tormentato da atroci dolori, fu ricreato dalla Vergine apparsagli che gli disse: "Se vuoi guarire ricorri con fiducia alla Madonna di Saronno".

Il Pessina con fervida fede a Lei si rivolge e ottiene la guarigione. A ricordo del miracolo portò le sue grucce all'altare della Madonna e fece giurata deposizione dinanzi ai testimoni. Erasmo Caimi, Prevosto di S.Maria della Scala di Milano, il 22 febbraio 1662, da Milano passava per Saronno in pariglia diretto a Turate, quando i destrieri s'impennarono e, liberi dalle briglie, si danno a precipitoso cammino. Il Caimi nell'imminente pericolo di essere travolto dalla vettura, si raccomanda l'anima a Dio e con fervida supplica invoca la Madonna di Saronno, il cui tempio scorgeva da lontano. D'un tratto i cavalli si arrestarono ed Erasmo si porta al tempio per far celebrare la Messa solenne di ringraziamento.

Una tavoletta rievocava, un tempo, il ricordo del fulmine scoppiato il 29 luglio 1715, che, percorrendo la tribuna e l'atrio dell'altare maggiore, strisciò intorno ai fedeli genuflessi, mandando scintille di fuoco. In tanto spavento i devoti invocarono la Madonna e il fulmine scomparve senza lesione di alcuno. Frate Francesco Cavagna, dei Conventuali, residente in S.Francesco di Saronno, sale sul campanile l'8 settembre del 1723. Raggiunto il primo piano, si sfasciano le tavole e precipita a capofitto. Più morto che vivo viene trasportato al Convento. Si dispera di salvarlo; ma frate Francesco si raccomanda alla Beata Vergine e in breve ricupera perfetto vigore.
Un Sacerdote venne colpito da morbo fatale che lo minacciava della vita. Fiducioso implorò la guarigione e la Madonna lo esaudì. La tavoletta della grazia ricevuta segnava il 10 ottobre 1741. Nel 1748 un saronnese venne travolto dalle acque del torrente Lura con pericolo di annegarsi. Invocata la Vergine, restò incolume.

E non si finirebbe più, se si volesse anche solo accennare alle grazie ed ai prodigi che la Madonna dei Miracoli ha operato. Quello che s'è scritto è solo qualche fiore del vastissimo giardino.

Non va passato però sotto silenzio il fatto seguente che è degno di essere tramandato alla grata memoria dei posteri. La cronaca dell'epoca, con la penna di D.Edoardo Benetti, lo narrò cosi:

"Correvano le ardenti giornate della Liberazione in quell'aprile 1945... D'un tratto la nostra Cittadina fu scossa da una sparatoria improvvisa e uomini d'arme passavano per le vie invitando i cittadini a ritirarsi nelle case. "I tedeschi!" si gridava, "I tedeschi! Una colonna vagante sta per entrare in città!".
Il Prevosto Mons.Antonio Benetti era già accorso là donde provenivano gli spari: dal settore del Santuario. Aveva con sé l'Olio Santo... Non si sa mai! Giunse cosi al posto di blocco tenuto dai "rossi" (e proprio da un Comandante Rossi) a cinquanta metri dal Santuario, all'imbocco della strada per Uboldo. Che cos'era accaduto? Qualche cosa di strano certamente, spiegava il Comandante, ancora tutto emozionato... Avvistata una Colonna motorizzata che avanzava sparando a tutto spiano, il Comandante - come era suo dovere - aveva ordinato il fuoco dalle due mitragliatrici di lato... Ma queste - provate egregiamente cinque minuti prima - si rifiutavano di sparare, inceppandosi a un tempo ambedue, come inchiodate da una forza arcana... La temuta e creduta colonna nemica altro non era che una Colonna di "azzurri" di Legnano, venuta in visita amichevole, e che sparava a salve in segno di giubilo, come aveva precedentemente mandato ad avvertire da una staffetta. Ma la staffetta aveva perso la strada!... Tutti vi riconobbero un tratto di particolare assistenza della cara Madonna, che a pochi metri di distanza dal suo bel Santuario, aveva voluto evitare un terribile fatto di sangue.


Nella storia del Santuario vi sono state parecchie occasioni che hanno richiamato grandi folle di pellegrini.

La prima si ebbe come conseguenza della peste che infierì tra il 1576 e il 1577, detta anche peste di S.Carlo. Il morbo era giunto a Saronno da Milano e colpì pesantemente tutta la zona. Del borgo morirono 307 persone, un numero molto elevato corrispondente a un sesto della popolazione. I saronnesi si rivolsero alla loro Madonna, perché facesse cessare il flagello e il 23 marzo 1577 si riunirono i capi famiglia nella chiesa parrocchiale e fecero voto solenne e perpetuo di digiunare la vigilia della festa dell'Annunciazione (25 marzo) e, il giorno della festa, di recarsi processionalmente al Santuario "con le pute vergini et ogni una con una candela in mano come al suo comodo et offrirgli alla Madonna de miracoli et il curato habbi a raccompagnare detta processione et dire la S. Messa". Così si legge nella cronaca dell'epoca: "E perché il voto fosse perpetuo fu rogato un istrumento notarile da notaio Batta Pusterla di Tradate". Da quel giorno la peste cessò. Nei paesi vicini si sparse la notizia del voto e la cessazione del morbo. Corsero allora a frotte gli abitanti dei centri abitati vicini e anche abbastanza lontani con processioni penitenziali per implorare la grazia anche per i loro paesi e ad offrire la cera. Il voto fatto fu sempre rispettato dai saronnesi nei secoli, e ancora oggi viene celebrata la Festa del Voto, non più con la solenne processione e a partire dagli anni cinquanta, con una Messa solenne concelebrata dal prevosto e dai parroci della città. Il concorso di fedeli è sempre molto elevato, che non offrono più la cera, un tempo bene prezioso, ma fanno offerte tante e generose.

Un'altra grande manifestazione religiosa, che interessò l'intera diocesi ambrosiana, fu quella della traslazione del simulacro della Vergine dalla cappella del primo miracolo all'interno del Santuario, il 10 settembre 1581. Traslazione voluta e officiata da S.Carlo Borromeo. La cappelletta era stata abbellita con un piccolo altare e contornata da un portico. San Carlo volle che la statua miracolosa troneggiasse sull'altare maggiore del Santuario. Per l'occasione il santo arcivescovo chiese ed ottenne dal papa Gregorio XIII l'indulgenza plenaria per tutti i fedeli che avessero pregato, in quel giorno, in Santuario. Il 6 settembre indirizzò a tutta la diocesi una lettera pastorale precisando i motivi dell'evento straordinario: spingere ad una maggior devozione mariana, lucrare la indulgenza plenaria, rendere l'onore dovuto alle immagini sacre, in particolare a quella della Madonna di Saronno. Fece affiggere un manifesto in tutta la diocesi. Invitò tutta diocesi a partecipare alla solenne cerimonia. ecco un brano, molto significativo della lettera pastorale: "Et acciochè questa solenne translatione riesca con maggior divotione, ricordiamo che i popoli venghino processionalmente, et che ciascuno Vicario Foraneo, et Curati procurino che dette processioni si faccino da popoli secondo i nostri ricordi, cioè con ogni studio di divotione et pietà, con modestia christiana, con prece, et orationi sante, et con distintione degli uomini, et donne". L'afflusso dei pellegrini e dei devoti fu enorme. Leggiamo nella cronaca della giornata:"... la dominica con numero infinito di tutte le parti et stato non solo (il ducato di Milano) ma di quello di fori dello stato ancora, che in questo borgo non vi era luogo per alloggiarli come ancho di capirli, nonostando le provvisione incredibile di cibarie fate, oltra l'infinità di maleficiati (ammalati) che vi concorsero per l'intercessione della Beata Vergine Maria et presentia del Santo furono liberati".
La processione fu oltremodo solenne e attraversò le vie del borgo e S.Carlo "seguitando sempre esso Santo detta processione pontificalmente vestito con una mano sulla bara" (il carro a quattro ruote su cui troneggiava la statua della Beata Vergine), carro tirato da sei cavalli bianchi. Scrivono ancora i cronisti che il santo arcivescovo era "circondato et quasi assediato d'immemorabile popolo che non si poteva la processione continuare." Fu evento memorabile nella storia del Santuario. La spinta di riforma dei costumi venuta a seguito del Concilio di Trento e, per nostra diocesi, dall'opera di S. Carlo Borromeo prima e del card. Federico Borromeo poi, ha portato anche al Santuario di Saronno un fervore spirituale di grande importanza, che ha segnato profondamente la sua vita anche nei secoli futuri.

Nel 1652, Luigi Sanpietro, che per trent'anni fu prefetto del Santuario, ci ha lasciato scritto che i saronnesi si recavano al Santuario per ben quindici volte in processione. Queste iniziavano il 25 marzo per la festa del voto, si susseguivano sino all'8 di settembre, festa della Natività di Maria SS. Le processioni solenni venivano fatte nelle festività della Madonna, mentre le altre processioni o erano organizzate dalle varie confraternite o in anniversari particolari, come ad esempio il giorno di S.Vittore con la processione nella campagne che si concludeva al Santuario. Tra queste la più suggestiva era certo quella che si svolgeva la notte del Giovedì Santo.

In verità non si è ancora ritrovato il documento che rechi il nome dell'architetto che concepì il progetto iniziale del santuario con una pianta a croce latina, formata dai locali dell'abside, del presbiterio, dell'antipresbiterio, dell'aula sormontata dal tiburio e dalla cupola e dalle due cappelle laterali. La fruizione dell'edificio era tuttavia pensata in senso inverso rispetto alle tradizionali chiese medievali a croce latina, in modo da sottolineare la centralità della volta come struttura circolare sotto la quale si raccoglieva idealmente la comunità ecclesiale.

La planimetria ed i suoi rapporti proporzionali attentamente studiati (con riferimenti espliciti alla sezione aurea) mostra, per il progetto, la paternità di un architetto di profonda cultura umanistica e stilisticamente legato a modelli già diffusi in Lombardia: si è formulata l'ipotesi che possa trattarsi di Giovanni Antonio Amadeo (impegnato in quegli anni nella fabbrica del Duomo di Milano).

Accanto al santuario fu costruita (entro il 1507) la casa dei "deputati" (che componevano un organismo elettivo incaricato di sovrintendere all'amministrazione dei beni ed alla "fabbrica" dell'edificio sacro); pochi anni dopo (1511-16) venne innalzato il campanile, alto 47 metri, progettato dall’architetto Paolo della Porta, ritenuto tra i più belli della Lombardia e preso a modello per numerosi altre chiese.

L'ipotesi è avvalorata dal fatto che dalla documentazione superstite si apprende con certezza che Amadeo fu il progettista dell'elegante tiburio (ultimato nel 1508) che conferisce all'intero edificio l'impronta inconfondibile del rinascimento lombardo. Il tiburio presenta esteriormente 24 eleganti finestre, determinate da 12 bifore corrispondenti al tamburo dodecagonale che copre una cupola di 8 lati generati dall'inserimento di quattro spicchi angolari su un alzato fondato su 4 piloni d'angolo, secondo il tradizionale schema costruttivo ad quadratum, secondo una semplice progressione aritmetica (4+8+12 = 24) che si sviluppo dal basso verso l'alto, dal quadrato dell'aula al cerchio della cupola, dalla Terra al Cielo.

Il crescente afflusso dei fedeli, dopo alcuni anni, portò i deputati del Santuario ad intraprendere un progetto di ampliamento con la costruzione di un edificio a tre navate che si sviluppano su cinque campate. I nuovi lavori iniziarono nel 1556, ma proseguirono con relativa lentezza, visto che nel 1566 erano costruite solo tre delle cinque campate previste e che la facciata aveva una sistemazione del tutto provvisoria.

Fu san Carlo Borromeo – di cui va ricordato l'attaccamento al santuario della Beata Vergine dei Miracoli – a dare impulso alla ripresa dei lavori. Per completare i lavori si doveva, tra l'altro, demolire la superstite "cappelletta del Miracolo", persistente ai primi lavori del 1498. San Carlo officiò personalmente il rito solenne – avvenuto il 19 settembre 1581 – della traslazione all’interno del santuario dell'antica statua trecentesca della Madonna.

Alla progettazione della facciata fu chiamato l'architetto Pellegrino Tibaldi, più noto come il Pellegrini. La costruzione iniziò nel 1596 e durò sino al 1613. Lo stile adottato dal Pellegrini si ispira a canoni classici, tardo rinascimentali, ed è fortemente teso a sottolineare la maestosità dell'edificio sacro. La ricchezza dei motivi ornamentali (con colonne, lesene, due grandi cariatidi che affiancano il portale di ingresso, fregi, balaustre, le statue nelle alte nicchie laterali, ecc.) produce un complesso architettonico di grande solennità.

Furono avanzati, subito dopo il completamento della facciata, rilievi critici da parte di quei deputati che la giudicavano "alquanto tozza", in contrasto con l'armoniosa eleganza del tiburio. Nel 1630, per ovviare alla supposta pesantezza della facciata, Carlo Buzzi progettò il rialzo della balaustra mistilinea che regge la statua dell'Assunta e quelle di due coppie di angeli che suonano la tromba. Il progetto rimase a lungo sulla carta e fu realizzato solo nel 1666.

Completate le eleganti architetture rinascimentali del primo santuario, si iniziò quasi subito a convocare una serie di artisti, tra i migliori attivi in quel tempo nel ducato lombardo, per i lavori di decorazione interna.

Si alternarono o si trovarono a collaborare tra loro pittori quali Bernardino Luini (1525 – 1532), Cesare Magni (1533), Gaudenzio Ferrari (1535 – 1545), Bernardino Lanino (1547); scultori del legno quali Andrea da Milano -detto anche Andrea da Saronno (1527 – 1536)-, Giulio Oggioni (1539); ma anche valenti plasticatori, battitori del ferro ed altro ancora.

Il primo grande artefice che legò il proprio nome al santuario di Saronno fu Bernardino Luini: a lui si deve il complesso degli affreschi che ornano le pareti dell'abside, del presbiterio, dell'antipresbiterio e di quelle sottostanti la cupola; sue sono anche le figure sulla volta della cappella del Cenacolo, ed un Natività posta nel chiostro.

Le principali opere eseguite per il santuario mariano riguardano doverosamente la vita della Madonna. Nell'antipresbiterio sono poste le scene dello Sposalizio della Vergine e di Gesù tra i Dottori; mentre nel presbiterio (o Cappella Maggiore) troviamo le scene dell'Adorazione dei Magi e della Presentazione di Gesù al Tempio: esse costituiscono uno dei punti più alto raggiunti da Luini come autore di opere a fresco.

Riconosciamo, nell'impaginazione di queste scene, la grande vena narrativa di Bernardino, con una moltitudine di personaggi, disposti su piani diversi, che si mostrano nei loro coloratissimi abbigliamenti; hanno volti di vivace espressività e paiono muoversi in un'atmosfera calma e suadente. Se, ad esempio, si osserva lo Sposalizio della Vergine, si rimane colpiti dall'epressione dei pretendenti delusi: non c'è in essi nessun segno di rancore, anzi si palesa un accenno di sorriso ottenuto utilizzando ad affresco la tecnica dello "sfumato" ideata da Leonardo. Il pittore milanese dimostra qui quello stile delicatissimo, vago ed onesto nelle figure sue che il Vasari gli riconosce proprio in relazione agli affreschi di Saronno.
È stata sottolineata la grande padronanza delle tecniche prospettiche che il Luini dimostra di saper applicare nelle scene citate. In particolare, un sapiente uso dell'illusionismo prospettico fa sì che lo spettatore, percorrendo in un senso e nell'altro i due ambienti, abbia l'impressione che le figure dipinte sulle scene gli vengano incontro.

La Cappella Maggiore risponde ad un progetto iconografico ed artistico unitario che non conosce cedimenti e che lega strettamente tra loro soluzioni pittoriche ed architettoniche. I due grandi dipinti dell’Adorazione dei Magi e della Presentazione di Gesù al Tempio sono delimitati da paraste aggettanti, con capitelli in pietra grigio-azzurra, che reggono archi in cotto: adagiate su tali archi, Bernardino ha dipinto le quattro figure aeree delle Sibille (considerate profetesse dell’annuncio evangelico) con i loro cartigli.

Tra le finestre, nelle lunette della volta a botte sono collocati in coppie — secondo una iconografia molto diffusa — i Quattro evangelisti ed i Quattro Dottori della Chiesa. Completano il complesso programma decorativo otto figure monocrome (o "seppie") poste sulle lesene della cappella: sono le rappresentazioni allegoriche Virtù teologali e cardinali alle quali si aggiunge l'allegoria della Pace.

Scomparso Bernardino Luini (1532), a continuare la sua opera negli impegnativi affreschi della cupola, fu chiamato Gaudenzio Ferrari (1534), che stava allora ultimando gli affreschi in San Cristoforo a Vercelli.

Il 28 settembre 1534 Gaudenzio Ferrari firma il contratto per i lavori nella cupola di Santa Maria dei Miracoli di Saronno. Inizia gli affreschi nel 1535 e li termina nel luglio dell'anno dopo, ma continuerà ad operare anche negli anni successivi, per le sculture lignee di Dio Padre, della Vergine Assunta, dei Profeti e delle Sibille, ed infine per i tondi sotto la cupola che potè solo cominciare; li finì il suo allievo Bernardino Lanino. Come nel Sacro Monte di Varallo, Gaudenzio opera sia come pittore che come scultore; al Sacro Monte prevale la scultura, qui la pittura. Il numero delle "giornate" necessarie a realizzare l'affresco erano state contate durante un restauro di diversi anni fa: settantanove; ma durante un restauro più recente ne sono state contate cento. Poche comunque, a dimostrazione sia della attenta preparazione iniziale, sia della velocità di esecuzione: la tecnica dell'affresco gli era assolutamente congeniale, e nel restauro più recente sono state scoperte nei panni degli angeli delle finiture in stucco rivestite di oro zecchino.
Nell'interno della cupola c'è un grande coro angelico disposto su quattro cerchi concentrici. E' il concerto di angeli più affollato che si conosca; gli strumenti musicali presenti sono oltre cinquanta, e ci sono persino degli strumenti musicali provenienti dal Nuovo Mondo, ed altri di pura invenzione, che, a detta di qualche esperto musicale potrebbero anche suonare, e non c'è da stupirsi: la cultura musicale era in quell'epoca assai diffusa fra gli artisti: Leonardo venne a Milano anche perché era famoso per la maestria nel suonare il liuto.
In Gaudenzio c'è, come sempre, grande chiarezza narrativa, perché si era abituato al Sacro Monte di Varallo ad organizzare scene in pittura e scultura comprensibili ai pellegrini. "Meglio dei corpi ritraeva gli animi", disse bene di lui il Lanzi, anche se forse voleva essere una critica. Al suo modo di dipingere ma soprattutto di raccontare è sensibile Lorenzo Lotto, nei suoi anni lombardi, i più felici della sua vita. Gaudenzio opera quasi sempre in provincia, fra il Piemonte e la Lombardia, continuando ad essere attento alle novità di Leonardo, Raffaello e Durer, ma senza mettere in crisi la sua vera natura.
Il nome più appropriato per la rappresentazione nella cupola di Saronno sarebbe "L'Assunzione della Vergine", ma è in fondo giusto che sia nota come "Concerto d'Angeli", anche per motivi legati all'utilizzo della chiesa, che all'origine era a pianta centrale. I fedeli si radunavano quasi tutti sotto la cupola, ed erano molto frequenti le messe cantate, in cui il canto terrestre dei fedeli era in sintonia con l'orchestra angelica della cupola. Inoltre, era un Santuario "dei Miracoli", quindi la liturgia seguiva l'entusiasmo e le aspettative dei fedeli, che erano spesso pellegrini che venivano da lontano, fiduciosi in un miracolo, proprio come al Sacro Monte.
Circa dieci anni prima il Correggio aveva affrescato la cupola del Duomo di Parma con lo stesso tema, "L'Assunzione della Vergine". Il raffronto è interessante, specie dopo che le due cupole sono state entrambe restaurate; nel Correggio prevale il movimento turbinoso, danzante, degli angeli, ed i cerchi divengono delle spirali ascendenti verso lo spazio infinito; in Gaudenzio l'attenzione è sempre rivolta al popolo sottostante: prevale la sodezza terrestre, anche l'arguzia narrativa, la curiosità nella rappresentazione.




Il principale intagliatore che lavorò al Santuario fu Andrea da Milano (che, proprio in virtù dell’ampia attività qui svolta, è anche detto "Andrea da Saronno"); a lui si devono innanzi tutto i due gruppi scultorei — pesantemente ridipinti — che occupano le cappelle laterali, a fianco dell'aula della cupola.

In accordo con la spiritualità francescana che condizionò vivamente i lavori al santuario (si tenga presente che i deputati avevano affidato ai frati minori la celebrazione delle funzioni religiose) le statue dovevano favorire la immedesimazione dei fedeli con la vita di Cristo.

Nella cappella sinistra — sulla cui volta il Luini aveva dipinto figure di Angeli con i simboli della Passione — è raffigurato, con potente teatralità, il Cenacolo (1531). L'ambientazione della scena è fortemente suggestiva, con gli apostoli – colti, secondo il modello di Leonardo, nel preciso momento in cui Gesù annuncia che sarà tradito – intenti a discutere tra loro od a guardare increduli il Maestro. Risulta evidente, dalla postura delle figure scolpite, dalla scelta dei colori e dai panneggi delle vesti, come Andrea si collochi nella vasta schiera degli emuli del Cenacolo vinciano cercando, per quanto gli è possibile, di catturare la vibrante drammaticità presente del dipinto.

Alle spalle del gruppo, lungo i tre lati della cappella, si trovano grandi tele di Camillo Procaccini (1598): quelle laterali raffigurano gli episodi dell'Orazione nell'orto e del Bacio di Giuda, quella di fondo presenta una suntuosa scena di Servitori e vasellame che contrasta in modo disturbante con la semplicità della mensa del Cenacolo.

Il gruppo del Compianto sul Cristo morto (o della Deposizione dalla Croce) occupa la cappella destra. Andrea da Milano riprende un tema a quei tempi assai diffuso nei gruppi scultorei ispirandosi verosimilmente al modello di Agostino de Fondulis nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano. Il gruppo appare oggi, in alcune sue parti, poco coerente (ad esempio nelle figure, più piccole, degli angeli che portano i simboli della Passione). Esso ha subito infatti varie risistemazioni; inizialmente comprendeva un numero molto più ampio di statue che componevano scene diverse della Passione: oltre al Compianto, la scena del Calvario (con i ladroni sulla Croce) e quella della Discesa al Limbo.Nel "Museo del Santuario" si possono ammirare le statue superstiti di una Figura maschile dolente e della Gitana.

Dopo il suo arrivo al santuario (1535), è Gaudenzio Ferrari a guidare il lavoro degli intagliatori nella decorazione della cupola. Andrea da Milano realizza la figura del Padre Eterno al centro della cupola, ed inizia ad intagliare quella della Madonna Assunta, posta all'altezza del tamburo (essa è poi completata da Battista da Milano, 1537).

La realizzazione (1539) delle 22 statue di Profeti e Sibille poste nelle nicchie del tamburo della cupola viene invece affidata ad un altro abile intagliatore, Guido Oggioni, allievo di Andrea.

Per completare il resoconto delle opere che Andrea da Milano ha realizzato per il santuario, si devono citare anche le statue delle Sante Lucia, Agata, Maria Maddalena, Liberata, Marta e quella di San Giovanni poste nell'abside con i busti di Re Davide, Salomone, Abacuc e Isaia.

Il campanile fu concluso nel 1516 e venne dotato di due campane. Agli inizi del 1555 la primitiva campana maggiore si ruppe e venne rifusa nello stesso anno. Nel 1567 risultano esserci sul campanile ben tre campane, la mezzana delle quali si ruppe alla fine dello stesso anno. Questa venne rifusa il 28 febbraio 1568. Le tre campane vennero rifuse per farne due più grosse, fusione che avvenne il 13 gennaio 1585. Non è noto il nome del fonditore, ma è lo stesso che fuse nel 1582 la campana posta nella torre dei monaci della basilica di Sant'Ambrogio a Milano. Nel 1617, per dar maggior decoro e per differenziare maggiormente le suonate, si decise per la fusione di una nuova campana, più grande delle due esistenti. La fusione avvenne in loco dal fonditore Nicola Bonavilla. Contemporaneamente venne fusa una campanella, da usare come richiamo. Queste due vennero posizionate nella lanterna, una sopra l’altra. Ma la campana maggiore già nel 1619 si crepò, e venne rifusa, questa volta a Milano, sempre da Nicola Bonavilla. Questa campana durò poco, infatti nel 1639 risultava stonata a causa di una crepa e vennero interpellati diversi fonditori, tra cui ancora Nicola Bonavilla, che venne subito scartato. Vennero scelti invece i fonditori milanesi Lorenzo e Pietro Paolo Mirri, che rifusero la campana a Milano nel 1640.

Nel 1903 vennero sostituiti i ceppi lignei con ceppi in ghisa e nel 1922, nel corso del restauro della torre, venne rifatto il castello, portando la campana maggiore dalla lanterna alla cella inferiore con le altre due. La campana usata come richiamo rimase nella lanterna fino all’ottobre 2010, quando, essendo in disuso, venne calata dal campanile e posta nel chiostro del santuario. L’intonazione del concerto risulta similare a Mib3 Maggiore anche se vi sono delle evidenti discrepanze tonali tra le tre campane, dovute al fatto che il concetto di “concerto” secondo una scala musicale in Italia nasce circa un secolo dopo la fusione di queste campane.

Il concerto è montato a sistema ambrosiano ed è composto di tre campane in Mib3 Maggiore:

la campana minore (nota Sol3), è stata fusa in loco nel 1585 dai maestri locali e suona per difendere il popolo dai mali (diametro 987 mm)
la campana mezzana (nota Fa3), è stata fusa in loco nel 1585 dai maestri locali e suona per render lode alla Madonna dei Miracoli, patrona (diametro 1097 mm)
la campana maggiore (nota Mi♭3), è stata rifusa più volte a seguito di crepe e porta come data 1640, e suona a lode di Cristo Risorto (diametro 1257 mm)
Nel chiostro vi è una campana montata a mezzo ambrosiano, fusa insieme al vecchio campanone Bonavilla nel 1617, suonante un Fa♯4 (diametro 513 mm)

Nel 1594 si decise di dotare il Santuario di una piccola torretta per ospitare l’orologio. Questa era dotata di una campanella per il battito delle ore, anch’essa fusa nel 1594. Nel 1650, in seguito ad un sopralzo del portico, per ragioni di estetica si decise di ampliare la torre dell’orologio, con le stesse fattezze della prima, lo stesso orologio e la stessa campana. Nel 1668, nel corso di una riparazione dell’orologio, venne rifatta la cella campanaria.

Nel 1757, siccome l’orologio continuava ad essere irregolare e la sua riparazione era costosa e non poteva essere garantita, si decise di costruire un nuovo orologio, da posizionare però sul campanile del santuario, quindi la torre dell’orologio venne abbattuta e della campana non si hanno più notizie. Ma nel 1769, allo scadere del contratto di manutenzione del nuovo orologio, si decise per la ricostruzione di una nuova torre apposita e il trasferimento dell’orologio su questa. La nuova torre venne costruita dov’era la precedente. Nell’agosto 1769 venne comprata una campana, che però venne subito consegnata ai fratelli Francesco ed Innocenzo Bonavilla di Milano, che la rifusero con l’aggiunta di altro bronzo per ottenere le due nuove campane per le ore:
Campana delle mezzore, suonante un Mi♭4 crescente, fusa dai fratelli Bonavilla di Milano nel 1769 (diametro 551,5 mm)
Campana delle ore, suonante un Re♭4, fusa dai fratelli Bonavilla di Milano nel 1769 (diametro 639 mm).




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lunedì 11 maggio 2015

BEATA LUCIA VERSA

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La grossa mole che sovrasta il paese è l'antico convento fondato dalla Beata Versa Da Lumi nel 1517. Nel tempo ha subito varie trasformazioni, ora è casa di riposo.
Ingloba una chiesetta dedicata al Sacro Cuore di Gesù dove si può vedere la pala della chiesa dei Santi Gervasio e Protasio di Gianbattista Motella e un'assunzione di Maria al cielo di anonimo.

I Versa, una famiglia facoltosa di Bagolino, diventati poi Versa Dalumi compaiono in numerosi documenti del ricco gubernerio comunale (archivio).

La tradizione vuole che Lucia figlia di Zoan de Versa e di Maria sia nata nel 1499.

Si legge ne ”L’ Informatione” “Essendo detta madre Suor Lucia di età di sedici anni de buona vita dedicata a servar verginità, era devotissima de Idio et della gloriosa vergine Maria et tutta spirituale attendeva ali digiuni et continue orationi et discipline: et andò crescendo in questa bona disposizione et sante devotioni fin ali anni vinti sei, sempre più frequentando le orationi et devotioni sue… la gloriosa Maria pareva la exortasse a continuar le orationi sue et ritirarsi dal commercio del seculo… si risolse de ritirarsi sopra la terra de Bagolino in locho pocho discosto da quella.”, si evince che, essendo documentata la costruzione della primissima parte del convento nel 1515, probabilmente Lucia è nata nel 1489.

La famiglia le fece “molto contrasto” perché non comprendeva come “così sola, giovane e di vago aspetto se ne volesse vivere in un luogo così solitario et rimoto… non era abitaculo alcuno da poter stare…”, ma trovando nell’amica Maffea de Macinata, una compagna che perseguiva lo stesso ideale, si ritirarono sotto un grosso masso che formava un anfratto naturale il località Ronco, costruirono una tettoia di legno, posarono un immagine del Signore e della Madonna e “ dimoravano exercitandosi nelle continue orationi digiuni et penitencie vivendo la magior parte del tempo de alcune erbe, castagne et cose simili ed delle pie elemosine che li venivano esser datte, perché non avevano cosa alcuna…” si legge inolte “Fu co’ le elemosine, che li venivan fatte, fabricata una capeleta… nel quale luocho lì concorreva delle altre giovine vergine che desiderava retirarsi medesimamente co’ loro…”.

Nel 1516 Lucia si reca a Brescia, meta è il Convento di S. Alessandro centro della riforma dell’Ordine Servita in Alta Italia, scopo presentarsi al Padre Priore pregandolo “si compiacesse di riceverla all’habito”, il Priore contattato Padre Capirola di Brescia, Vicario generale, che avuta conferma, dopo sopralluogo, “che Bagolino era luogo ben abitato et idoneo per fondarvi il convento“, diede il nulla obstat.

Suor Lucia avuta la veste de “Monaga de Santa Maria de Pietà” dà vita alla nuova comunità, composta all’inizio da 5 compagne, in una casetta costruita sopra il grande sasso del Ronco.

Il comune partecipa attivamente all’ampliamento della prima sede espropriando a Zoan de Foi il terreno per erigere la chiesa “si dovessi tore ditto terreno per fare essa giessia (chiesa) et sagrato, volendo o non volendo… esso Zoanne… “,.

La costruzione del convento richiama nuove vocazioni sono 36 nel 1522, la struttura diventa insufficiente e Suor Lucia acquista un terreno in quel di Gavardo, pensando di edificare un altro monastero, ma il Vescovo Mons. Paolo Zane, feudatario di Gavardo, le intima, pena la scomunica di sospendere tale azione.

Il 23 settembre 1524 Suor Lucia muore.





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martedì 7 aprile 2015

LA SANTA PATRONA DI DESENZANO : SANT' ANGELA MERICI

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Angela Merici (Desenzano del Garda, 21 marzo 1474 – Brescia, 27 gennaio 1540) è stata una religiosa italiana, fondatrice della Compagnia delle dimesse di sant'Orsola. Fu proclamata santa da papa Pio VII il 24 maggio 1807; nel 1861 papa Pio IX ne estese il culto a tutta la Chiesa cattolica, che la celebra il 27 gennaio.
Angela Merici nasce a Desenzano del Garda da Giovanni e Caterina dei Biancosi, famiglia della piccola nobiltà rurale proprietaria di alcuni terreni.

Il nome Angela significa messaggero, nunzio, dal greco e l'emblema è il giglio.
Una leggenda agiografica narra che un giorno, mentre era in estasi, ebbe una visione in cui le fu rivelato che doveva fondare un’associazione di vergini che dovevano dedicare le loro vite all’educazione religiosa delle giovani ragazze. Dopo aver fondato una scuola a Desenzano, fu invitata nella città vicina, Brescia, per fondarvi una scuola simile. Angela accettò felicemente l’invito e giunse a Brescia nel 1516.

Secondo un'altra leggenda devozionale, nel 1524, mentre faceva un pellegrinaggio in Terra Santa, divenne improvvisamente cieca mentre era sull’isola di Creta, ma continuò il suo viaggio nei luoghi santi e guarì al suo ritorno, mentre stava pregando davanti ad un crocifisso nello stesso posto dove era stata colpita dalla cecità poche settimane prima.

La prima illuminazione occorra ben tosto nella vita di Sant’Angela: secondo le sue confidenze, aveva cinque o sei anni quando cominciava conoscere ed amare Dio, non in una maniera astratta, ma secondo Antonio Romano, un testimone al processo diocesano di beatificazione: (per quanto mi disse) …avendo udito leggere al padre libri spirituali di Santi e Vergini, cominciò a darsi ad una vita sobria spirituale e contemplativa. Angela è incoraggiata ad imitarli; queste letture aprono per lei un camino di preghiera; comincia a parlare a Dio e cercare luoghi e tempi di raccoglimento. Allo stesso tempo, riusciva ad attirare la sorella maggiore alla sua vita di preghiera e d’astinenza. Angela cresceva, dunque, in un ambiente rurale, di forte fede cristiana, con i sui fratelli e una sorella. A questi anni di felicità familiare succede un periodo di lutto. Verso 1490 – Angela aveva raggiunta allora probabilmente i 16 anni d’età – la sua sorella maggiore morì, lasciando Angela nell’angoscia. Dopo un tempo di preghiera intensa, Angela ha ricevuto la seconda illuminazione: un giorno, quando lavorava nei campi, Angela ha visto la sua sorella circondata dagli angeli, nella gioia celeste. Da questo momento, è stimolata ad intensificare la sua via di preghiera e di rinunzia.

Dopo la morte dei genitori, Angela è accolta da suo zio materno, Biancoso de Bianchis, un notaio ricco nella città di Salò. Angela, all’età di matrimonio, lascia dunque la sua vita semplice e laboriosa per un ambiente di piacere. Desiderando né sposarsi, né entrare in un chiostro, Angela sceglie – è la terza illuminazione - di entrare nel terz’Ordine di San Francesco e comincia una vita di povertà, di lavoro, di preghiera e astinenza, secondo l’esempio del poverello d’Assisi. Allo stesso tempo, quella bella ragazza, piena di gioia serena nonostante i lutti sofferti, attira gli altri a Dio. Secondo Matteo Bellintani, ben che era ancora giovane, Angela, con i suoi esempi e parole esortava già numerose persone a seguire una vita cristiana più fervida: all’esempio suo e suoi santi ricordi, si svegliò in molte persone, benché ella era giovinetta ancora, spirito di santità. Giovane adulta, Angela ritorna a Desenzano e segue la vita semplice e laboriosa degli altri contadini. Un giorno, quando lavorava nei campi, i cieli si aprono per la quarta e ultima illuminazione. In una visione a mezzogiorno, quando le sue compagne si riposavano, Angela riceve da Dio la sua missione, quella di fondare una Compagnia di vergini, la qual si doveva dilatare. Cui si termina il tempo delle illuminazioni, e comincia per Angela un lungo periodo di vita laboriosa e nascosta.

All’inizio del quindicesimo secolo, niente caratterizza la vita d’Angela, una lunga vita serena di preghiera e di lavoro nei campi, senz’alcun segno della missione a compiere. Con le sue contemporanei, vive anni di pace e di guerra, quella che comincia in 1509 e continua fino al 1516. La sua casa delle “Grezze” in Desenzano si trova vicina della strada fra Brescia e Venezia, dunque esposta alle esigenze delle forze armate pronte ad impadronirsi delle raccolte e dei branchi. Una parola del biografo Bernardino Faino, da qualche luce su questo lungo periodo d’attesa: Angela già testimoniava d’amabilità e dolcezza; la sua presenza amichevole fu ricercata da molte persone, non solamente a Desenzano, ma anche nelle borgate lungo il Lago di Garda. Con soavissime parole, Angela cercava di orientarle tutte verso il cielo: aveva con la sua gran carità contratta amicizia non solo con quei della Terra  ma con tutta la riviera; tutti andavano a gara per averla in casa . Andava però modestamente Angela nelle case altrui, e contrattando confidentemente con ogni persona, cercava sempre d’acquistar qualche anima al Cielo, il che era il suo fine principale. Queste parole suggeriscono i doni di contatto e di comunicazione che vanno crescendo nella sua personalità. Questi doni sono confermati da Bellintani, quando scrive, questa (umiltà) amabile e grazioso rendeva il suo parlare con altri, e parimente i gesti e i costumi suoi. Questa tutti onorando, ed a tutti sottoponendosi, travagliava con molta leggiadria all’emendazione della loro vita, ed al profitto della vita cristiana. Questa la faceva sicuramente vivere nel mondo negoziando nei fatti della salute con ogni sorte di persone.

Una richiesta inaspettata cambia totalmente la sua vita semplice. Dopo quattro anni di guerra, la città di Brescia è rovinata; moltissime famiglie piangano i loro morti. Consapevoli della ricca personalità umane e spirituale di Angela, I superiori Cappuccini del Terz’Ordine la mandano a Brescia per consolare una vedova, Caterina Patengola, che aveva perso durante la guerra il suo marito, due figli, una figlia e il genero, e che rimaneva sola con una piccola nipotina di quattro anni. Angela in uno spirito d’obbedienza lascia tutto: fratello, amici, casa e campi, abitudini, lavori agresti. Arrivata a Brescia, la sua vita cambia totalmente, e Angela comincia allora, in una maniera provvidenziale, i venti ultimi anni della sua vita.

Dopo un anno nella casa di Caterina, Angela è riuscita non solo di pacificarla, ma anche di aiutarla a crescere nell’apertura agli altri. Da questo momento, la vedova adottava l’uno dopo l’altro piccoli orfani per educarli e farli imparare un mestiere. La sua missione terminata, Angela rimane a Brescia, per motivi spirituali: più gran facilità di andare alla Messa quotidiana, ricevere sacramenti e auscultare omelie. Con cuore materno, accetta l’invito di stabilirsi nella casa d’Antonio Romano, un giovane drappiere di 24 anni, appena arrivato a Brescia; aveva incontrato Angela presso Caterina. Durante 12 anni, Angela rimane nella sua casa, vicina della Chiesa di Sant’Agata e delle porte della città, alla limite dei quartieri dei mercanti e dei poveri. La testimonianza di Romano è molto importante per conoscere l’influenza crescente della santa fra i Bresciani: di giorno in giorno, crescendo la sua santimonia, veniva la sua fama di spiritualissima vita spargendosi fra il popolo, in modo che vi concorreva moltissimi della città di Brescia. La santità di vita di questa donna di preghiera, ma anche le sue qualità umane d’accoglienza, d’ascolto, di comprensione, e di saggezza spiegano l’interesse dei concittadini per la persona di Sant’Angela. Romano menziona la forza della sua preghiera per ottenere grazie del Signore, ma anche delle sue parole per quietare qualche discordia o ottenere giustizia: pacifica due nobili Bresciani determinati a combattersi fino alla fine. Secondo Faino, la “Madre”, come la chiamavano i cittadini, è andata a visitare ciascuno nella sua casa e riusciva con dolcissime parole a persuaderli di vivere in pace l’uno con l’altro. Il secondo caso rivela la forte personalità della santa ma anche i suoi doni di persuasione: al ritorno di un pellegrinaggio a Mantova, Angela è andata a Solferino presso il Signor Luigi di Castiglione, per ottenere da lui la grazia di un amico bandito e la restituzione dei suoi beni. Nonostante il carattere duro e orgoglioso del Principe, Angela riuscì, con umili e dolci parole, di persuaderlo a perdonare il servo bandito. Non è sorprendente se Romano commenta l’episodio dicendo, la sua fama si spargeva nei circonvicini luoghi, talmente che ogni Signore gli concedeva quello che domandava.

In 1524, Angela si recava nella Terra Santa con Romano e il cugino Bartolomeo. Un’oftalmia temporanea contrattata durante il viaggio la fece vivere intensamente i misteri di Gesù Cristo, specialmente al Calvario. Secondo Bellintani, avrebbe ricevuto qui, durante una lunga preghiera, una grazia particolare di maternità spirituale per i futuri membri della Compagnia. Al ritorno, nella città di Venezia, è stata ospitata nell’ospedale degli Incurabili dove venevano da lei alcuni nobili degli Signori a visitarla e per intendere ed interrogarla della vita e sua scienza e santimonia. Dopo, questi nobili, convinti della santità di Angela e de suoi doni di animazione spirituale, l’hanno chiesto di rimanere in Venezia per il beneficio dei luoghi pii. L’anno dopo, Angela andata in pellegrinaggio a Roma par l’Anno Santo, fu accolta dal Papa Clemente VII, che anche da sua parte, desiderava che dimorasse a Roma per i medesimi motivi. Ciascuna volta, Angela non ha accettato gli inviti, sicura che il Signore l’aspettava a Brescia per il compimento della sua missione di fondatrice.

Al ritorno dei due pellegrinaggi, Angela è coinvolta in un’attività apostolica intensa: manifesta il dono di discernere negli altri la loro vocazione, spiega la Santa Scrittura, è consultata dai teologi e predicatori, realizza conversioni importanti, è visitata de persone di tutti i livelli della società, manifesta un dono particolare di riconciliazione nelle famiglie e nella società, e, soprattutto, diviene una maestra di vita spirituale: facesse così bellissimi, dotti e spirituali Sermoni, che alle fiate duravano un’ora. Presa poco giovane e donne si riuniscono attorno di lei.

In 1528 e una seconda volta in 1532, forse già con parecchie figlie spirituali, Angela è andata a Varallo, al “Monte Sacro”, dove cappelle diverse ripresentavano diversi episodi della vita di Cristo. Era una vera catechesi visuale, che Angela ha potuto commentare per la loro formazione cristiana. Nello stesso anno di 1532, fa dipingere sui pareti di una grande stanza nel centro della Città episodi della vita di Cristo, specialmente dell’infanzia e della passione, della Madonna e dei santi e sante delle Chiesa primitiva; in quel luogo Angela riuniva le sue figlie per insegnarle il modo di vita evangelica che progettava nel nuovo istituto. Insegnava con i esempi visuali dipinti sulle pareti della stanza e con l’incoraggiamento delle sue parole.

Viene, dopo quaranta anni di attesa, il tempo della fondazione. Prima di scrivere la Regola per la Compagnia, Angela procedette in un modo pedagogico la preparazione di essa: Secondo Cozzano, il suo segretario, Lei otteneva da queste vergini quello che comunicava ad altri, e dava  la capacità di fare. Poi, di ciò, si consultava con loro, e diceva che non lei, ma loro con lei l’avevano fatto. Restava loro obbligatissima ritenendosi vera debitrice, e dando loro Dio quale rimuneratore potente, come vera amica e viva figlia di Dio.

La Compagnia di Sant’Orsola fu fondata il 25 Novembre 1535 e la sua Regola approvata dall’autorità diocesana il 8 Agosto 1536. Angela, dalla sua dimora vicino della chiesa di Sant’Afra, una della prime martiri di Brescia, continuava la sua missione di fondatrice, esortando le sue figlie a vivere come vere e intatte spose del Figliolo di Dio. Allo stesso tempo, anche quando la malattia la fece capire che la morte appropinquava, Angela continuava a esortare nelle fede i suoi visitatori: un giovanetto, figlio del suo parente Angelo, nel quale discerneva una vocazione sacerdotale, e Tomaso Gavardo e Giacomo Chizzola, che ha lasciato la sua testimonianza: Mi ricordo anche, che quando essa era all’estremo della sua vita per morire l’andai a visitare, che levata in settone, fecemi un bel esordio intorno al vivere cristiano, e al mio partire, fu pregata dal Signor Tomaso Gavardo quale ivi era venuto meco, che gli , fasciasse qualche spirituale documento, onde essa altro non disse che questo, “Fate la vita quelle che vorresti aver fatto al tempo della morte”. Allo stesso tempo, Angela preparava i suoi “Avvisi” e “Testamento” per l’istruzione e la formazione delle superiore della Compagnia.

Dopo la morte di Sant’Angela, la stima generale esprimeva i motivi dell’ammirazione dei suoi contemporanei: non solamente la sua vita di preghiera, o d’austerità, non solo gli esempi della sua santa vita, ma anche i benefici delle sue parole. Così scriveva Pandolfo Nassino, il cronista di Brescia, all’indomani della morte della Santa: questa Madre Suor Angela a tutti predicava la fede del sommo Dio che tutti se innamorava di lei. L’iscrizione messo sulla sua sepoltura esprime in versi i ricordi della santa, e, soprattutto, il suo dono d’insegnamento della fede:

Proposito Martyr, virgo actibus, ore magistra,
Sic tribus aureolis Angela dives ovas.
Angela nuper eras morum vitaeque magistra,
Nunc patriae tutrix praesidiumque veni.
Angela viva fui, nunc Angela morta dico,
Sum tamen angelicis Angela iuncta choris
Vos qui me nostis, exemplo vivite nostro,
Sic facite ut docui, morta adhuc doceo.

Questi sono i fatti principali nella vita di Sant’Angela Merici. I primi testimoni con i biografi posteriori hanno trasmesso i ricordi di una donna dotata da qualità pedagogica straordinarie. Benché la Madre non frequentò mai la scuola, né inaugurò né insegnò in una scuola, i suoi doni educativi, evidenti nei “Avvisi” e nel “Testamento” avevano un peso tale, che le sue figlie sono rapidamente divenute educatrici. Sotto la direzione del Padre Fratesco Cabrini d’Alfaniello, iniziatore della catechesi sistematica nelle parrocchie di Desenzano verso il 1557, e direttore spirituale della Compagnia di Sant’Orsola, le Orsoline si sono impiegate nell’insegnamento della dottrina cristiana. Già nell’anno 1566, erano presenti nei luoghi pii della città per l’insegnamento e la formazione delle orfane ed altre fanciulle abbandonate.

Un esame attento dei primi documenti biografici rivela che Angela possedeva i doni particolari d’ogni vero educatore:

1° Farsi amare.
Ogni educatore sogna di essere stimato ed amato da suoi allievi. A Brescia, Angela è circondata dagli amici di tutte le classi della società: dalla ricca vedova Caterina Patengola, dal Duce di Milano, Francesco Sforza, che la pregò in 1528 che fossero contenta d’accettarlo come figliuolo, insieme con tutto il suo stato, dall’umanista Agostino Gallo, dal diplomato Giacomo Chizzola. Angela è stata apprezzata anche dai numerosi artigiani e lavoratori del suo ambito, come da Bertolino Boscoli, un giovane falegname nel quartiere di Sant’Afra, dagli amici come quelli invitati ad essere testimoni in 1537 al primo Capitolo Generale della Compagnia: un tintore panni lini, un portatore, un beretario e un calidario. Ma sopratutto è stata venerata dai primi membri della Compagnia, che l’hanno cercato per essere ammaestrate da lei per il loro progresso spirituale.

2° Incoraggiare e stimolare con parole persuasive
Questa donna discreta, amabile, gioiosa aveva il dono di toccare i cuori degli altri per condurli a crescere nell’amore di Dio e del prossimo. Angela ritornò un giorno da Brescia à Salò per visitare la sua famiglia. Il giovane Stefano Bertazzoli, studente all’università di Padova, è venuto parlare con lei, vestito dall’ultima moda. Angela, con le sue parole, ha fatto emergere un aspetto più profondo della sua personalità. Stefano ritornò a Padova, cominciò a studiare il diritto canonico, e diviene un sacerdote molto devoto ai poveri.

Quando Angela, si rifugiava a Cremona in 1529, nella paura che la città di Brescia sia assediata da Carlo Quinto, fu ospitata da Agostino Gallo, che testimoniava: Basta che elle mi parlò con tale amorevolezza dietro al viaggio, che subito li restò prigioniero, di sorte che non solamente io non sapevo vivere senza di lei, ma ancora mia moglie, e tutta la mia famiglia. … Onde, stando la detta Madre in casa nostra, era ogni giorno visitata dalla mattina fino alla sera, non solo da molti religiosi e persone assai spirituali, ma ancora da gentildonne e gentiluomini, e d’altre diverse persone di Cremona e di Milano… di che ognuno si meravigliava della gran sapienza che era in lei, perché si vedeva che ella convertiva molti a mutare vita, come io ne ho conosciuto pur assai che sono morti, ed anche alcuni pochi che sono ancora vivi, cosi in Milano, come in Cremona. Gabriele Cozzano, il suo fedele segretario, descrive come Angela si adattava a ciascuno, anche ai più deboli: E chi era il più peccatore, quello era il più accarezzato da lei, perché, se non poteva convertirlo, almeno, con dolcezza d’amore, lo induceva a fare qualcosa di bene o a far meno male.

3° Spingere ad imitare la sua vita
Già nella sua gioventù Angela aveva il dono di attirare altre a suo genero di vita. Non lo faceva in maniera autoritaria, ma con il suo dono istintivo di leader: La sua sorella maggiore era spinta ad imitarla nelle sue preghiere e astinenze. Qualche anni dopo, al ritorno d’Angela da Salò a Desenzano, fu accompagnata, secondo Bellintani, da un’amica desiderosa di condividere il suo genero di vita: seguendo l’incominciata vita, tuttavia crescendo mirabilmente in essa, trasse una altra giovine ala medesima professione, essendo veramente data per comune beneficio, ma tosto fu da questa sua compagna abbandonata, la quale al cielo se ne volò con la santa corona della verginità. Arrivata a Brescia, Angela se vede fra poco circondata da molte donne per le quale era una vera guida spirituale. Angela attirava con la sua fede salda e la sua piacevolezza e dava il desiderio di vivere come lei, totalmente dedicata all’amore di Cristo e del prossimo. Erano di mano in mano per suo mezzo ritirate molte persone del viver mondano ad una vita spirituale, e specialmente molte donne e matrone e vergini, de quali alla fine feci la congregazione di Sant’Orsola. Il numero di 150 membri della Compagnia, soltanto cinque anni dopo la Fondazione, rivela la forza attraente della Madre. In fine, quando Angela vene abitare a Sant’Afra, fu accompagnata da Barbara Fontana, decisa di vivere come lei, nella preghiera, la penitenza, e l’apertura agli altri.

Tutti questi doni, anche pedagogiche, furono di grand’aiuto nella fondazione della Compagnia. Angela ha saputo scegliere con saggezza i membri, ma anche le loro superiori, e le persone laiche, donne e uomini che erano coinvolti nel governo.

Nel 1539 cade malata e non si riprenderà più. In questo periodo detta al Cozzano i Ricordi e il Testamento, due brevi ma preziosi testi ricchi di spiritualità, caratterizzati dalla pedagogia dell’amore.

Il 27 gennaio 1540 Angela muore a Brescia, presso la chiesa di S. Afra, dove il suo corpo mortale è ancora oggi custodito e venerato.

Il 30 aprile 1768 Clemente XIII conferma l’antico culto e il titolo di “Beata”; il 24 maggio 1807 il papa Pio VII celebra nella basilica di S. Pietro il rito della canonizzazione.



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