Visualizzazione post con etichetta re. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta re. Mostra tutti i post

martedì 26 maggio 2015

LA CHIESA DEI SS. MAGI A LEGNANO

.


Fu costruita alla fine del Seicento per volere dei fratelli Lampugnani e dedicata ai Re Magi. L’edificio era probabilmente un oratorio per qualche famiglia nobiliare. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la chiesa, danneggiata dai bombardamenti, dovette essere in parte ricostruita. Dalla prima costruzione il monumento ha subito numerose trasformazioni, in particolare le tre opere di rifacimento più importanti sono avvenute nel XX secolo. Nel 1986 l’edificio di culto è diventato Chiesa parrocchiale ed è stato ampliato per rendere possibile l’accesso agli abitanti del quartiere, aumentati notevolmente durante gli anni Novanta del Novecento. La Chiesa ha una sola navata con l’abside e all’interno è possibile ammirare un dipinto rappresentante l’adorazione dei Magi di Gian Giacomo e Francesco Lampugnani. Questa tela è una copia di un quadro secentesco opera di Giulio Cesare Procaccini che fu in seguito traslato a Milano. In tempi più recenti, la chiesa è stata ridipinta internamente e adornata con decorazioni del pittore Emilian Nicula rappresentanti alcuni momenti della vita di Gesù e 12 piccoli quadri rappresentanti i 12 apostoli. Sul portale esterno della chiesa si può notare un altorilievo di bronzo che rappresenta l'adorazione dei Santi Magi. Annesso all'edificio è presente un centro parrocchiale, che è stato inaugurato il 4 ottobre 1992. Un centro parrocchiale è stato annesso nel 1992 alla struttura che, più tardi, è stata ridipinta e decorata. La torre campanaria conta tre campane di diversi diametri.
La prima, che è la più vecchia, è stata realizzata nel 1855, mentre le altre due sono le più recenti e risalgono al 1877.

Il 7 ottobre 2014 il sagrestano ha suonato per l'ultima volta le campane manualmente. Dal 13 ottobre 2014 è entrato in funzione un sistema di controllo automatizzato.

Il vano delle campane viene illuminato ogni sera dalle 19 alle 24. Durante le festività è possibile notare dei nastri colorati che dal campanile sovrastano il viale d'accesso all'oratorio. Durante la fiaccolata d'apertura dell'oratorio, il campanile viene illuminato con i colori della contrada Legnarello (giallo e rosso).




LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-legnano.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



sabato 28 marzo 2015

IL MONASTERO DI SAN SALVATORE

.


Le origini del monastero di S. Salvatore a Sirmione scaturirono da un grave fatto di sangue che aveva coinvolto il re dei Longobardi Desiderio, e la moglie Ansa, e un potente nobile longobardo, tale Cunimondo, il quale, per risarcire i regnanti dell'uccisione di uno dei favoriti della regina, Maniperto, donò tutti i suoi beni al monastero di S. Giulia a Brescia e alle tre chiese allora esistenti a Sirmione: S. Pietro in Mavino, S. Martino e S. Vito.
Nell'anno 762-765, la regina Ansa faceva erigere a Sirmione un monasteriolo alle dirette dipendenze di S. Giulia. Purtroppo, tutto ciò che resta della costruzione è la parete di fondo dell'area absidale della chiesetta di S. Salvatore, che si può intravvedere dai giardini pubblici, proprio tra la scuola materna e quella elementare. Nell'anno 774, il monastero sirmionese veniva ceduto a Carlo Magno e in particolare al monastero imperiale di S. Martino di Tours. La comunità monastica di Sirmione tornò però presto ad essere una succursale del monastero di S. Giulia di Brescia.
Come detto, dell'antica fondazione monastica della regina Ansa, rimangono oggi solo i resti dell'area est, con le tre absidi semicircolari di diversa dimensione (l'abside centrale è più grande rispetto alle laterali) e un breve tratto dei muri longitudinali a livello di fondazione. La sezione occupata dall'abside centrale è quella che presenta le parti più consistenti di muratura, degradando in percentuale all'abside nord, fino a raggiungere la percentuale minima nell'absidiola sud. Scavi e lavori di recupero sono ancora in corso, anche perchè nella zona a sud dei ruderi si sta costruendo un grande edificio moderno. L'area archeologica è ora chiusa e non visitabile; le poche informazioni che si riportano sono frutto di osservazioni carpite attraverso le recinzioni che circondano il sito di S. Salvatore.
Nell'emiciclo esterno dell'abside maggiore, inserita nello spessore delle murature alte, è ricavata una sorta di nicchia squadrata. Non è possibile valutare se questa sia stata realizzata in epoche recenti o appartenga invece alle strutture più antiche, visto che il S. Salvatore ha avuto una frequentazione e una continuità di culto protrattesi per lungo tempo (la chiesa era infatti ancora visibile alla metà del XIX secolo).
La poca consistenza dei resti non permette, da lontano, un'analisi architettonica attendibile; resta, ad avvallare l'antichità delle origini di questo monumento, quanto è leggibile della planimetria a pianta rettangolare con tre absidi semicircolari poco sporgenti.
Osservando l'area archeologica da ovest, si osserva un tratto delle fondamenta dei muri longitudinali dell'edificio, ciò che permette di rilevare anche per l'interno la scarsa profondità degli emicicli. Per quanto si può vedere, i materiali impiegati sono pietre poco lavorate e di diversa dimensione e provenienza; prevalgono i ciottoli di lago alternati ad altri conci poco rifiniti e allestiti in spessi strati di malta. Le murature dell'absidiola sud sono composte in maggioranza da ciottoli di lago allestiti in spessa malta con altri conci di diverso materiale, poco lavorati e organizzati in corsi approssimativamente orizzontali raggiungendo l'altezza di poco più di un metro.
Le parti basse delle murature dell'abside centrale non sono diverse da quelle dell'abside sud, almeno per un'altezza pari a quella conservata in quest'absidiola, eccetto per la presenza di una finestrella squadrata; sopra, l'assetto murario cambia e la varietà dei materiali, come la messa in opera, si fa più confusa, con l'inserimento di una cornice rettangolare, in leggero aggetto, a inquadrare una nicchia creata nello spessore del muro.
L'absidiola nord conserva invece un tratto di intonacatura che ricopre la muratura. In questo tratto di intonaco si conservano tracce di affresco ormai illeggibili. Il tratto murario superiore presenta lo stesso disordine edilizio che caratterizza i tratti alti dell'abside centrale.

Le ragioni dell'abbandono del monastero da parte delle monache possono essere diverse: pestilenze, carestie, invasioni barbariche, comunità eretiche. La fine delle memorie monastiche della penisola giunse nel XV sec. quando S Giulia liquidò tutti i beni sul Lago di Garda, ormai troppo lontani e poco redditizi.

LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/03/sirmione.html



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://mundimago.org/le_imago.html



lunedì 16 marzo 2015

L' ATTENTATO AL RE UMBERTO I

.

Il 29 luglio 1900, Umberto I fu invitato a Monza per onorare con la sua presenza la cerimonia di chiusura del concorso ginnico organizzato dalla società sportiva Forti e Liberi; egli non era tenuto a presenziare, ma fu convinto dalla circostanza per cui al saggio sarebbero state presenti le squadre di Trento e Trieste, atleti ai quali - infatti - stringendo le mani, disse: "Sono lieto di trovarmi tra italiani" (frase che non passò inosservata, e che scatenò un uragano di applausi). Sebbene fosse solito indossare una cotta di maglia protettiva sotto la camicia, a causa del gran caldo, e contrariamente ai consigli degli attendenti alla sicurezza, quel giorno fatidico Umberto non la indossò. Tra la folla si trovava anche l'attentatore, Gaetano Bresci, un anarchico toscano emigrato negli Stati Uniti, con in tasca una rivoltella a cinque colpi.

Il sovrano si intrattenne per circa un'ora, era di ottimo umore: «Fra questi giovanotti in gamba mi sento ringiovanire». Decise di andarsene verso le 22.30 e si recò verso la carrozza, mentre la folla applaudiva e la banda intonava la Marcia Reale.

Approfittando della confusione, Bresci fece un balzo in avanti con la pistola in pugno e sparò alcuni colpi in rapida successione. Non si è mai appurato con precisione quanti, ma la maggior parte dei testimoni disse di aver sentito l'eco di almeno tre. Umberto difatti venne raggiunto a una spalla, al polmone e al cuore. Egli ebbe appena il tempo di mormorare: «Avanti, credo di essere ferito», prima di cadere riverso sulle ginocchia del generale Ponzio Vaglia, che gli sedeva di fronte in carrozza.

Subito dopo, i carabinieri cercarono, riuscendovi, di sottrarre il Bresci al linciaggio della folla, traendolo in arresto. Intanto la carrozza col sovrano ormai cadavere era giunta alla reggia di Monza; la regina, avvisata, si precipitò all'ingresso gridando: «Fate qualcosa, salvate il re».

Ma non c'era ormai più nulla da fare; Umberto era già spirato.

L'omicidio suscitò in Italia un'ondata di deplorazione e di paura, tanto da indurre gli stessi ambienti anarchici e socialisti a prenderne le distanze (Filippo Turati ad esempio rifiutò di difendere il regicida in tribunale). Il 9 agosto venne celebrato il funerale religioso a Roma e la sua salma venne tumulata nel Pantheon accanto a quella del padre; il 13 agosto diventò giorno di lutto nazionale.

Molte furono le voci che si alzarono - contro o a favore - il gesto di Bresci, immediatamente messe a tacere dall'introduzione del nuovo reato di "apologia di regicidio", per il quale vennero tratti in arresto due religiosi: don Arturo Capone, parroco a Salerno e fra Giuseppe Volponi, un francescano di Roma. Quest'ultimo, fu condannato a 8 mesi di galera e a mille lire di multa (28 agosto).

Bresci venne processato il 29 agosto e condannato il giorno stesso all'ergastolo, in quanto la pena di morte era in vigore solo per alcuni reati militari, puniti dal Codice penale militare di guerra. Bresci morì suicida il 22 maggio 1901 in circostanze molto dubbie (impiccato nella propria cella), sebbene si dicesse che fosse rimasto vittima di un pestaggio da parte delle guardie.

Il luogo dell'attentato, a Monza, è segnato da una Cappella in sua memoria, costruita nel 1910 su disegno dell'architetto Giuseppe Sacconi, per volontà del figlio del re, Vittorio Emanuele III.

Gaetano Bresci (Coiano di Prato, 10 novembre 1869 – Isola di Santo Stefano, 22 maggio 1901) è stato un anarchico italiano, autore dell'uccisione a Monza del re Umberto I, che era scampato anni prima ad attentati eseguiti da altri anarchici come Giovanni Passannante e Pietro Acciarito.

« Ho attentato al Capo dello Stato perché è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere. Concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute in Sicilia in seguito agli stati d’assedio emanati per decreto reale. E dopo avvenute le altre repressioni del ‘98 ancora più numerose e più barbare, sempre in seguito agli stati d’assedio emanati con decreto reale. »
(Gaetano Bresci subito dopo l'arresto)

La sera di domenica 29 luglio 1900 poco dopo le 22, a Monza, Bresci uccise il re d'Italia Umberto I di Savoia sparandogli contro tre o quattro colpi di rivoltella (Bresci affermò di aver sparato tre volte ma le fonti storiche non concordano, in quanto oltre alle tre nel corpo del re, venne ritrovato un quarto proiettile nella carrozza), colpendolo alla spalla, al polmone e al cuore. Pochi secondi dopo perse conoscenza e morì. Il sovrano stava rientrando in carrozza nella sua residenza monzese dopo aver assistito a un saggio ginnico cui seguì una premiazione presso la società sportiva "Forti e Liberi". Il regicidio, immortalato in una celebre tavola del pittore Achille Beltrame per La Domenica del Corriere, avvenne sotto gli occhi della popolazione festante che salutava il monarca.

Bresci si lasciò catturare dal maresciallo dei carabinieri Andrea Braggio senza opporre resistenza e fu lo stesso carabiniere a salvarlo, proteggendolo dal linciaggio a cui stava per essere sottoposto dalla folla inferocita. Poco dopo affermò: «Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio». Il regicida, difeso dall'avvocato Francesco Saverio Merlino dopo il rifiuto di Filippo Turati (che temeva repressioni contro il PSI; durante un colloquio con Bresci in carcere, il leader socialista rifiutò l'incarico con la motivazione che "non esercitava più da 10 anni la professione"), fu processato per regicidio e condannato all'ergastolo.

Ricordiamo che la pena di morte era invece stata comminata a Giovanni Passannante, ventidue anni prima (1878), anche se il suo attentato contro il sovrano era fallito, ed era stata commutata in ergastolo per la grazia concessa dal re Umberto: ma la pena di morte era stata abolita dal Codice Zanardelli del 1889, tranne per alcuni reati militari. Il dispositivo della sentenza affermò di condannare «...Bresci Gaetano alla pena dell'ergastolo, di cui i primi sette anni in segregazione cellulare continua, all'interdizione perpetua dei pubblici uffici, all'interdetto legale, alla perdita della capacità di testare, ritenendo nullo il testamento che per avventura fosse da lui stato fatto prima della condanna».

Gaetano Bresci fu recluso dapprima a San Vittore, a Milano, poi, subito dopo il processo, nel carcere di Forte Longone, a Porto Azzurro sull'isola d'Elba, in una delle venti celle che formano la sezione d'isolamento denominata "la Rissa", sotto una finestra della quale egli scrisse "la tomba dei vivi". Alle ore 12 del 23 gennaio del 1901, dopo un trasferimento via mare sull'avviso Messaggero della Regia Marina, Bresci fu rinchiuso nel suo ultimo domicilio. Per poterlo controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per tre, priva di suppellettili, nel penitenziario di Santo Stefano, presso Ventotene (Isole Ponziane). Il suo numero di matricola era il 515.

Indossava la divisa degli ergastolani, con le mostrine nere che indicavano i colpevoli dei delitti più gravi. I piedi erano avvinti in catene e doveva effettuare l'ora d'aria su una terrazza isolata, quando gli altri detenuti erano nelle celle, per evitare la comunicazione con loro che effettuano l'uscita giornaliera nel cortile sottostante. Ogni giorno riceveva il vitto di spettanza: una gamella di zuppa magra e una pagnotta. Aveva facoltà di acquistare generi alimentari allo spaccio, ma si avvalse raramente di questa concessione. Delle sessanta lire depositate presso l'amministrazione dell'ergastolo (e spedite dall'America dalla moglie) riuscì a spenderne meno di dieci. Il comportamento del detenuto fu giudicato tranquillo, normale. Bresci ricevette la visita del cappellano del carcere, don Antonio Fasulo, ma rinunziò al conforto della conversazione. Si fece dare una Bibbia, che leggeva ogni tanto, e poi, tra gli scarsi volumi della biblioteca carceraria (Bibbie, una copia delle Vite dei Santi e pochi dizionari), scelse un vocabolario italiano-francese. Lo troverà aperto, nel pomeriggio del 22 maggio 1901, il direttore del carcere venuto a constatare la sua morte.

Contemporaneamente, a Parigi si ebbe notizia di rapporti fra Maria Sofia di Borbone, detta romanticamente la Regina degli Anarchici, con Errico Malatesta, rapporti probabilmente solo di conoscenza viste le simpatie politiche dimostrate dall'aristocratica nei confronti dei "sovversivi" (la regina si avvicinò agli anarchici solo per incitarli a compiere attentati contro i Savoia, per recuperare il Regno delle Due Sicilie, non per sincero interesse). Benedetto Croce affermò, sbagliando l'anno (riporta il 1904 anziché il 1901) che l'ex regina volesse organizzare con Malatesta l'evasione di Gaetano Bresci, circostanza però smentita dal pensatore anarchico. Si temeva, nel governo, un'azione degli anarchici per liberarlo, mentre l'avvocato Merlino preparava le carte per un revisione del processo, per ottenere una riduzione della pena e il trasferimento in un carcere meno duro, approfittando della presenza di un governo più tollerante, quello di Giuseppe Zanardelli (Merlino aveva già tentato di ottenere una pena bassa al processo, giustificando il gesto di Bresci come "violenza privata contro la violenza dello Stato").

Il 22 maggio 1901, l'ufficio matricola della Regia Casa di Pena di Santo Stefano registrò la morte del detenuto «Gaetano Bresci fu Gaspero, condannato all'ergastolo per l'uccisione a Monza del re d'Italia». Alle ore 14.55 il secondino Barbieri, che aveva l'incarico di sorvegliare a vista l'ergastolano, ma che si era allontanato per alcuni minuti, scoprì il corpo del Bresci, ormai cadavere, penzolare dall'inferriata alla quale il recluso si era appeso per il collo mediante l'asciugamano in dotazione o, secondo altri, un lenzuolo. Accorsero sia il direttore del carcere cavalier Cecinelli sia il medico, ma soltanto per constatare l'avvenuto decesso. Bresci non aveva dato segni di depressione né di volontà suicide nei giorni precedenti. Le circostanze della sua morte destarono subito qualche perplessità. Voci sotterranee, fatte circolare da cella a cella e presto uscite dal penitenziario, avvalorano un'ipotesi alternativa.

Tre guardie avrebbero fatto irruzione nella cella, avrebbero immobilizzato il Bresci buttandogli addosso una coperta e poi lo avrebbero massacrato a pugni. Nel gergo carcerario questo trattamento è chiamato "fare il Sant'Antonio o santantonio": serve a dare una lezione ai riottosi, ma qualche volta questa lezione è mortale. Ad esempio, Sandro Pertini (detenuto al carcere di Santo Stefano durante il ventennio fascista) sostenne, nell'aula dell'Assemblea Costituente nel 1947 che Bresci era stato ucciso in questo modo. Un "delitto contro lo Stato" sarebbe stato dunque punito con un "delitto di Stato". Secondo i medici che effettuarono l'autopsia, il corpo era in stato di decomposizione, e non era morto da sole 48 ore. Qualche incertezza vi è anche sul luogo della sua sepoltura: secondo alcune fonti fu seppellito assieme ai suoi effetti personali nel cimitero di Santo Stefano: si veda la testimonianza di Luigi Veronelli, che disegnò una mappa, basandosi su alcune indicazioni presenti sulle tombe; secondo altre, il suo corpo venne gettato in mare.

Molte delle tombe del cimitero del carcere (usato anche come posto di confino durante il fascismo) sono senza nome, anche se in seguito sono state apposte nuove targhette, seguendo la mappa di Veronelli. Una delle croci di legno è stata identificata come la tomba di Bresci. Le sole cose certe rimaste di lui furono il suo cappello da ergastolano (andato distrutto durante una rivolta di carcerati nel dopoguerra), la rivoltella con cui compì il regicidio, la sua macchina fotografica con i reagenti per sviluppare le foto, e due valigie di effetti personali sequestrati nella sua camera in affitto di Milano; questi reperti sono conservati nel Museo Criminologico di Roma.

Ci sono poi alcuni misteri che circondano ancora la figura dell'"anarchico venuto dall'America", come la fantasia popolare lo aveva ribattezzato. Riguardano prevalentemente alcuni documenti spariti misteriosamente: non è infatti mai stata trovata la pagina 515 che descriveva il suo "status" di ergastolano e le circostanze della sua morte; nessuna informazione su di lui è disponibile all'Archivio di Stato di Roma; non è mai stato ritrovato – come testimonia un'approfondita biografia di Arrigo Petacco – il dossier che Giovanni Giolitti scrisse sulla vicenda Bresci. Qualche anno dopo la morte del regicida, Ezio Riboldi, primo sindaco socialista di Monza, fece visitare la cappella espiatoria all'allora giovane esponente della sinistra rivoluzionaria Benito Mussolini, il quale con un sasso appuntito incise la scritta: «Monumento a Bresci».


LEGGI ANCHE :  http://asiamicky.blogspot.it/2015/03/lombardia-la-regione-che-ospita-expo.html


http://www.mundimago.org/

FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE
LA NOSTRA APP


http://mundimago.org/le_imago.html



.

venerdì 20 febbraio 2015

GALLERIA VITTORIO EMANUELE



 .


Dopo aver visto il Duomo facciamo una passeggiata in galleria Vittorio Emanuele cercando un pò di fortuna.


La Galleria Vittorio Emanuele II di Milano è un passaggio coperto cruciforme e con un largo spazio ottagonale all'incrocio dei bracci che collega piazza Duomo e piazza della Scala e, tramite i due corti bracci perpendicolari all'asse principale, le due laterali via Silvio Pellico e via Ugo Foscolo. Fu progettata dall'architetto Giuseppe Mengoni e realizzata a partire dal 1865 in uno stile eclettico, contrassegnato da grottesche, cariatidi, lunette e lesene, in una forma architettonica tipica della seconda metà dell'Ottocento milanese. Le statue che ne decorano la parte coperta sono dello scultore milanese Pietro Magni. Pesantemente danneggiata nei bombardamenti aerei inglesi dell'agosto del 1943, la galleria venne ricostruita al termine della guerra.

Nella galleria hanno oggi sede numerosi negozi di griffe e marchi prestigiosi, oltre che famosi caffè, ristoranti e l'hotel di lusso SevenStars Galleria. È considerata, con via Montenapoleone e via della Spiga, una delle sedi degli acquisti di lusso nel capoluogo meneghino.
Nella seconda metà del XIX secolo Milano guardava alle grandi capitali europee come Londra e Parigi come esempio di urbanizzazione. In Italia, dove la rivoluzione industriale non arriva che assai tardivamente, e comunque con una forza d'urto nemmeno lontanamente paragonabile a quella sviluppata in Inghilterra e Francia, anche la rivoluzione tecnologica attecchisce con conseguente ritardo. Nonostante queste premesse, l'architettura del ferro conosce anche in Italia un periodo di relativa fioritura. Il Crystal Palace di Londra, il ponte di ferro sul Severn, erano un esempio di come la tecnologia fosse al servizio dell'architettura anche con un discreto senso estetico.

Nel 1859 si fece seria l'idea di un passaggio coperto che collegasse piazza Duomo a piazza della Scala: simile alla galleria de Cristoforis, sempre a Milano a San Babila, ma più grande e più borghese, che verrà dedicata al Re che portò Milano ad unificarsi al Regno d'Italia. La zona prescelta era quella a nord del duomo, edificata con piccole costruzioni non consone all'immagine che la municipalità voleva dare alla piazza.

Il comune indisse un concorso internazionale al quale parteciparono 176 architetti dove vinse Giuseppe Mengoni, il quale propose una lunga galleria attraversata da un braccio, con al centro dell'incrocio una grande "sala" ottagonale: la copertura prevedeva un'ossatura in ferro e il resto in vetro. I due ingressi principali, quelli del braccio più lungo, previdero inoltre due grandi archi trionfali. I capitali necessari si trovarono costituendo una società in Inghilterra promettendo ricavi dalle proprietà in costruzione, la stessa che fabbricò l'ossatura in ferro e la spedì a Parigi per essere assemblata. Nel progetto originario la galleria sarebbe dovuta essere più bassa: la volumetria degli edifici fu aumentata segretamente dalla società britannica che aveva pagato una tangente al sindaco Antonio Beretta.

Nel 1865 iniziarono i lavori con la posa della prima pietra da parte di re Vittorio Emanuele II di Savoia e due anni più tardi si inaugurò la galleria, anche se non completamente terminata. Quando questa società fallì, il Comune di Milano assunse la proprietà e continuò a fornire il capitale necessario. Circa dodici anni dopo finalmente il complesso fu terminato.

La tradizione afferma che ruotare su se stessi per 3 volte stando col tallone del piede destro piantato in corrispondenza dei genitali del toro ritratto a mosaico entro lo stemma della città di Torino sul pavimento dell'Ottagono della galleria, porti fortuna. Questo rito scaramantico, ripetuto centinaia di volte al giorno dai passanti, principalmente turisti, usura velocemente l'immagine del toro (creando un foro nel pavimento mosaicato) che deve essere ripristinata frequentemente. In realtà l'antica tradizione milanese prevedeva di strisciare il piede sullo stemma soltanto la notte del 31 dicembre a mezzanotte.
Tutti gli esercizi commerciali aventi le vetrine aperte sulla galleria devono avere rigorosamente le insegne delle vetrine uniformi, con scritte oro su fondo nero. A questa regola si è dovuto conformare anche il fast food McDonald's aperto nell'Ottagono (chiuso nell'ottobre 2012 e riaperto in nuova posizione nel novembre 2013)

Giuseppe Mengoni, l'ideatore della galleria, vi morì proprio precipitando dalla cupola durante un'ispezione il 30 dicembre 1877, anche se non mancò l'interpretazione che si trattasse di un suicidio, dovuto alle critiche espresse da più parti e alla delusione per la mancata presenza del Re all'inaugurazione. Non si poteva sapere che tale assenza era dovuta alle gravi condizioni di salute di Vittorio Emanuele II, tenute segrete, e che il Re sarebbe morto dopo pochi giorni.

La galleria con i suoi caffè divenne ben presto il salotto di Milano, e nel 1910 il pittore futurista Umberto Boccioni dipingerà il movimento delle persone che la animavano nella tela Rissa in galleria.

Durante il 1914 ed i primi mesi del 1915, immediatamente precedenti l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale la galleria fu sede di manifestazioni di interventisti e pacifisti, spesso culminanti in zuffe.

Il 7 novembre 1919 il diciannovenne anarchico Bruno Filippi morì dilaniato dalla sua bomba esplosa mentre entrava nel caffè Biffi, noto per essere frequentato dai ricchi milanesi, cercando di compiervi un attentato.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/02/visita-al-duomo-di-milano.htmlhttp://asiamicky.blogspot.it/2015/02/milano-citta-dell-expo-conosciamola.html

Post più popolari

Elenco blog AMICI