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martedì 22 marzo 2016

LE CONDIZIONI CARCERARIE NEL MONDO

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Una giusta punizione per chi si è macchiato di orrendi crimini? Forse si, ma non bisogna mai dimenticare che, qualche volta, sono detenuti in questi luoghi orribili anche persone innocenti.

Luoghi in cui la violenza è legale, così come qualsiasi violazione dei diritti umani e civili: sono le peggiori carceri del mondo, posti in cui paghi quotidianamente la tua colpa e la grande vittoria è la sopravvivenza.
Per fortuna alcune volte queste strutture vengono anche chiuse, come il carcere di San Paolo in Brasile, conosciuto come Carandiru, attivo dagli anni venti al 2002. Qui avvenne il fatto considerato tra i più gravi in termine di violazione dei diritti umani, tristemente ricordato come il massacro di Carandiru, in cui vennero uccisi e giustiziati 111 carcerati disarmati. Le guardie dissero che erano intervenuti per difesa, ma nessun poliziotto riportò delle ferite e i sopravvissuti raccontarono che molti furono uccisi a sangue freddo mentre riposavano nelle loro celle.

La prigione siriana di Tadmor è uno dei luoghi più oppressivi del pianeta. Sembra che la prigione sia stata progettata con l’intento di essere disumana. Nel 1980, il presidente Hafez al-Assad, sopravvissuto ad un attacco brutale, ordinò ai suoi soldati di uccidere ogni detenuto come rappresaglia.
Diyarbakir è un carcere della Turchia, conosciuto per essere estremamente disumano. Ha un passato oscuro e drammatico, quando venivano incarcerati anche bambini per far loro scontare la pena dell’ergastolo. La violenza di questo carcere non è dovuto ai prigionieri, ma alle guardie carcerarie.
La Sante si trova a Parigi ed è conosciuto come un luogo estremamente brutale dove numerosi detenuti si sono tolti la vita a causa delle condizioni di vita insopportabili. Anche se i carcerati non possono stare nella loro cella per più di quattro ore al giorno, proprio per cercare di limitare le violenze, questo carcere è ancora una delle peggiori prigioni del mondo.
Gitarama si trova in Ruanda ed è meglio conosciuta come l’inferno in terra. È stata progettata per contenere 500 detenuti, ma ne ospita oltre 6000. Molti prigionieri sono costretti a stare in piedi in mezzo agli escrementi, cosa che porta alla decomposizione o all’infezione dei piedi. Gli arti dei prigionieri che si infettano cominciano a marcire costringendoli a farsi amputare.
LA Sabaneta si trova in Venezuela ed è una delle prigioni più violente del mondo. Le strutture carcerarie furono progettate per ospitare circa 15.000 detenuti ma, in realtà, i detenuti sono più di 25.000. Tristemente conosciuta per i suoi episodi di violenza, come la rivolta del 1994 che ha causato la morte di 108 prigionieri o come gli scontri del 1995 con 164 morti e 624 feriti.



Alcatraz è una delle più famose prigioni del mondo. Situata sull’isola di Alcatraz, al largo della costa di San Francisco, questa prigione è stata la patria di alcuni dei criminali più pericolosi nel corso della storia. Uno di loro era Al Capone. Alcatraz ha chiuso i battenti nel 1963, a causa degli alti costi di mantenimento, nonché della sua pessima reputazione.
San Quintino è stata costruita nel 1852 ed è conosciuta come il più antico carcere della California. Nel 2006 violenti scontri portarono alla morte di 2 detenuti ed al ferimento di 100 di loro. Molti rapporti hanno evidenziato l’estrema pericolosità di questo carcere, oltre alle disumane condizioni di vita all’interno di esso.
Rikers Island di New York è diventata tristemente leggendaria per le violenze tra i detenuti. Si trova nel Bronx e le guardie carcerarie temono ogni giorno per la propria vita a causa dei comportamenti violenti a cui assistono.
Bang Kwang si trova a circa dieci chilometri da Bangkok (Thailandia) ed è soprannominata l’Hilton di Bangkok, anche se non ha nulla di un hotel. Tristemente nota per le torture inflitte ai prigionieri, questa prigione ha celle piccolissime dove vengono stipati i prigionieri, incatenati alle gambe per i primi tre mesi della pena .Lo usano come attrazione turistica, dove lasciano passare i turisti per un giorno intero per sentire quello che provano i detenuti.
A parte questo dato curioso, a Bang Kwang i carcerati si trovano praticamente tutto il giorno legati ai ceppi del letto, e non importa se non stanno bene o se sono gravemente malati, di certo le medicine non arrivano alle loro stanze. Inoltre, qui le esecuzioni sono annunciate con 2 ore di anticipo.

In Thailandia in stanzoni di 9 metri per 4 vengono accalcate anche 60 persone. I racconti ci arrivano anche e soprattutto da italiani che hanno vissuto l’esperienza del carcere thailandese per reati legati alla droga. C’è l’obbligo di inchinarsi ogni volta che passa un secondino, condizioni igieniche molto più che precarie, un piatto di porcellana e due secchi d’acqua come bagno. Oltre a questo, ovviamente, i racconti di chi c’è stato parlano di strumenti di tortura sparsi ovunque, grida disperate arrivare da qualsiasi luogo: un posto dimenticato da tutti.

Non ricevono una sorte migliore i detenuti russi, dove prigioni non sono altro che luoghi in cui il carcerato è in una situazione costante di isolamento, con sole tre visite permesse all’anno: è il caso del carcere di Medjin dove vige un regime duro, di lavoro forzato, e non c’è niente che sia rivolto alla riabilitazione del singolo.

Sconvolgente la situazione in Cina, dove con i Laogai ci troviamo di fronte ad uno dei sistemi carcerari più disumani di sempre. Le testimonianze e le denunce fatte per ciò che accade in questi luoghi, parlano di lavoro dei carcerati per 18 ore al giorno, di denutrizione usata come punizione, di pratiche snervanti di lavaggio del cervello, di torture crudeli con gli strumenti più svariati. Si parla perfino di prelievo forzato degli organi ai detenuti.
La parola orribile è decisamente un eufemismo.

Uno dei peggiori penitenziari è sicuramente il campo di Al Khiam in Libano, dove pare che sia il personale israeliano a supervisionare il carcere e ad essere colpevole di infliggere ai detenuti torture e punizioni ben lontane dalla rieducazione.

Il carcere di Evin, in Iran, è tra le peggiori carceri del mondo. I detenuti durante la rivoluzione venivano uccisi estraendo lentamente il sangue dalle loro vene, oltre ovviamente a torture orribili dedicate soprattutto ai prigionieri oppositori. In tutto il paese sono sparsi luoghi orribili che portano con sè un orrore indicibile, come per esempio le sedie affilate su cui i detenuti sono costretti a sedersi per ore e ore.

ADX SuperMax (Stati Uniti) è una prigione di una sicurezza tanto elevata che i prigionieri arrivano a diventare completamente pazzi lì dentro. Una delle regole più impressionanti è che devono stare 22 ore al giorno nelle loro celle che misurano solo 2 metri per 3 e non hanno contatti con altri detenuti.


Nairobi (Kenia) le celle sono costruite per ospitare tre persone, ma in realtà arrivano a convivere un minimo di dodici persone. Un carcere dove vige la legge del più forte e dove esistono leggi interne tra detenuti.

Una situazione diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo, anche nel nostro paese, dove non esiste il reato di tortura e dove i casi di persone uccise all’interno di strutture dello stato sono tante, troppe.
Tantissimi gli interventi di Amnesty International e di numerose associazioni umanitarie per cambiare le cose, ma per ora i risultati sembrano essere pochi.



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lunedì 7 settembre 2015

IL CARCERE NELLA STORIA

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Il penitenziario sorge dal giorno in cui la società politicamente e giuridicamente organizzata, avocando a sé ogni potere, stabilisce sanzioni penali per i trasgressori delle leggi, isolandoli in appositi luoghi detti carceri che, secondo alcuni, deriverebbe dal latino coercere (cioè costringere), secondo altri dall'aramaico carcar che significa tumulare(riferendosi alla prassi di trattenere i prigionieri in cisterne sotterranee allo scopo di una più facile vigilanza). Ne troviamo ad esempio menzione nella Bibbia in (Gn 39,7), quando Giuseppe, figlio di Giacobbe, arrestato dai fratelli fu calato in una cisterna in attesa di essere venduto schiavo. Le prigioni nacquero, verosimilmente, col sorgere della civile convivenza umana e svolsero, inizialmente, la funzione di allontanare dalla vita attiva e separare dalla comunità quei soggetti che il potere dominante considerava minacciosi per sé e/o nocivi alla comunità stessa.

Le esigenze di costrizione finirono con l'imporre sistemi durissimi, peraltro inaspriti nei luoghi ove l'esercizio del potere divino era affidato ai responsabili della cosa pubblica, ritenendosi l'offesa arrecata alla divinità.

Le testimonianze più lontane che ci sono pervenute ci descrivono prigioni ricavate nelle profondità della terra.

Le prigioni vere e proprie, quali strutture apposite per la custodia di persone indesiderabili, entrarono, però, in uso probabilmente dopo l'origine della "città". Le prime notizie abbastanza precise risalgono alla Grecia, a Roma e nella Bibbia.
Presso i greci e i romani le prigioni erano composte da ambienti in cui i prigionieri erano protetti da un semplice vestibolo, nel quale, in taluni casi, avevano la libertà di incontrare parenti ed amici, anche al fine di far versare un risarcimento alla vittima, che poteva portare ad una cancellazione o mitigazione della pena. Il carcere, comunque, non veniva mai preso in considerazione come misura punitiva, in quanto esso serviva in linea di principio ad continendos homines, non ad puniendos.

Nel diritto romano, come del resto negli altri sistemi giuridici prima dell'era contemporanea (cioè sino al 1789), il carcere era considerato come un mezzo di detenzione preventiva in attesa della pena capitale o corporale, non era quindi previsto l'ergastolo (tra le prigioni romane più celebri si ricordi il carcere Mamertino che era riservato a coloro che si macchiavano di reati contro lo Stato, ne furono relegati tra l'altro Pietro apostolo e Paolo di Tarso prima del martirio). Dell'antica Grecia funzionava il "sofronistero" dove erano rinchiusi i minorenni traviati, e il "pritaneo" dove fu rinchiuso Socrate, 30 giorni prima di ingoiare la cicuta.

I regni romano-barbarici introdussero la faida che autorizzava direttamente la vittima a rivalersi in qualsiasi misura sull'aggressore, anche nel senso che un guerriero forte e combattivo aveva sempre ragione. Nel sistema feudale alla vendetta privata si sostituì la composizione pubblica, giudice essendo il feudatario con dominio sul territorio. A poco a poco al feudatario si sostituì il potere comunale prima e poi del re. La carcerazione riapparve quindi prima di tutto come luogo di segregazione degli oppositori del re(celebre la Bastiglia in Francia costruita nel 1360 e distrutta nel 1789). Il senso era che, salvo che in casi eclatanti, in cui era ritenuta opportuna una punizione esemplare, il re non voleva giustificare in un processo una carcerazione che tutti sapevano esser dettata solo da motivi politici. In epoca moderna in Francia ed in Inghilterra si fece gran uso dei prigionieri come lavoratori forzati nelle colonie, in un primo momento venduti come schiavi per un periodo (da 10 a 17 anni) ai coloni, poi, quando questi sostituirono gli schiavi neri (meno costosi e più abbondanti) ai detenuti, come schiavi di stato per l'esecuzione di opere pubbliche in luoghi impervi. Cessato il principio della schiavitù e ridottosi molto l'uso della pena di morte, i detenuti furono ammassati in isole prima in lontane zone coloniali, poi in isole della madrepatria (famosissime Cayenna (F), Alcatraz (USA) e, in Italia, Asinara, Pianosa, Ventotene, ecc.) sino a quando nuove concezioni umanitarie e l'ostilità del personale di guardia verso tali sistemazioni non indussero a legare le prigioni al territorio.



Il principio finalistico del carcere, quale istituto di espiazione di pena, risale alla Chiesa dei primi tempi della religione cristiana.
Il principio secondo il quale la pena deve essere espiata nelle carceri andrebbe quindi fatto risalire all'ordinamento di diritto canonico, che prevedeva il ricorso all'afflizione del corpo per i chierici e per i laici che avessero peccato e commesso reati sulla base del principio che la Chiesa non ammetteva le cosiddette pene di sangue, se non nei casi ritenuti più gravi, cioè eresia e stregoneria(cioè alleanza col demonio).

Più tardi con l'istituzione dell'inquisizione ecclesiastica fu introdotto il carcere a vita come strumento di espiazione morale della pena (a Roma fu costruito nel 1647 il Palazzo delle Prigioni tuttora visibile), ferma restando la possibilità della pena di morte per i reati ritenuti più gravi. Non mancarono, tuttavia, dei fecondi esempi di apostolato: Vincenzo de' Paoli (1581-1660) il quale fondò l'ordine delle Figlie della Carità, benemerite dell'assistenza, oppure Giuseppe Cafasso (1811-1860) che, per aver speso tutta la sua vita in favore dei detenuti, è stato assunto a patrono dei carcerati.

Il movimento illuminista seguendo il filone rivoluzionario e grazie a esponenti come Immanuel Kant (1724-1804), Cesare Beccaria (1738-1794) e Gaetano Filangieri (1753-1788) elaborò un nuovo sistema carcerario basato su principi morali, il libero arbitrio, l'integrità fisica e morale, l'istruzione e il lavoro. La pena, intesa come castigo e dolore, è volta a contrastare non più l'uomo ma il delitto come entità avulsa dal proprio autore. A causa degli austriaci, fu edificato a Milano nel 1764 un carcere di tipo cellulare che si basava sull'isolamento dei detenuti.

Con l'avvento della scuola positiva che si proponeva, non solo lo studio del delitto in sé, ma anche e principalmente dell'uomo delinquente, furono pubblicati i dati sperimentali di eminenti antropologi quali Cesare Lombroso (1835-1909), Enrico Ferri (1856-1929) ed Enrico Pessina (1828-1916).

Dagli anni ottanta del XX secolo in poi anche l'Italia ha progressivamente abbandonato la prigione (e la multa) come unica sanzione per la violazione delle leggi penali, introducendo un po' alla volta una serie di pene alternative alla prigione (detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale, lavoro volontario di pubblica utilità, ecc), mentre sin da allora provvedeva a depenalizzare una serie di fattispecie di reati minori, trasformandoli in illeciti amministrativi puniti solo con un'ammenda, anche se d'altro lato provvedeva all'opposto sia ad inasprimenti di pene per alcuni reati di particolare allarme sociale (mafia, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, stupro, evasione, ecc.) sia ad istituire nuovi reati (stalking, scambio elettorale politico-mafioso, nuove ipotesi di evasione fiscale, ecc.) sia limitando la possibilità di fruire dei benefici delle pene alternative ad alcuni reati (mafia, stupro di gruppo o di minore, estorsione, recidivi, ecc.) sia creando una normativa di particolare rigore per detenuti in collegamento con la criminalità organizzata (detto "regime del 41 bis" dell'Ordinamento penitenziario) o di particolare pericolosità.

Certo eravamo nella società borghese/vittoriana ma ancora oggi il carcere moderno conserva qualcosa del chiostro, del collegio, del reggimento nel momento in cui propone correzione, disciplina ed espiazione.
Ci sono altri luoghi dove si viene preparati ad essere compatibili con la formazione sociale di un dato periodo storico, luoghi quali la famiglia, la scuola, la fabbrica, la caserma attraverso cui si passa per essere normalizzati. Chi non ci riesce o non vuole verrà diviso dai normali e rinchiuso per essere corretto.
Uno dei meccanismi di correzione di cui si avvale il carcere è il lavoro poiché solo accettando la disciplina del lavoro e la conseguente disciplina del comportamento sociale si può essere reintegrati nel tessuto sociale o ancora meglio, nell'interesse generale della società che annulla l'interesse particolare cosicché il lavoro non risulta essere (come dovrebbe) attività umana creativa e diversificata che asseconda i desideri e gli intenti di ciascuno/a, ma attività astratta in quanto sottoposta al capitale che omologa le scelte di consumo e seleziona anche il campo delle relazioni.
Il lavoro in carcere ha attraversato fasi diverse a seconda della situazione del mercato del lavoro all'esterno e nello specifico negli USA, nonostante sia stato eliminato come lavoro produttivo nei penitenziari, è là rimasto come lavoro forzato ed afflittivo per educare alla disciplina.
I meccanismi di controllo e repressione di cui il carcere è il perno, sono diversi da paese a paese perché collegati a molti fattori: disordini sociali, sistemi politici, benessere economico, conflitti di classe, servizi sociali erogati. Allo stato attuale, si può dire che in Europa i sistemi di controllo e le forme legislative cominciano a parificarsi prendendo a prestito, dalla storia di ogni paese, le risposte emergenziali date a conflitti sociali. L'Italia, nei decenni che seguono il dopoguerra, ha vissuto un alto livello di scontro di classe che ha prodotto, sul piano della risposta statuale, carceri speciali ed una legislazione d'emergenza. Sostanzialmente, il carcere in Italia si è basato su una logica custodialista, ovvero in carcere si entra per restare, per soffrire e per essere degradati a cose.



Nel 1890 entra in vigore il Codice Zanardelli del Regno d'Italia che abolisce la pena di morte. Questa verrà reintrodotta dal fascismo, per cui la repressione, oltre ad avere un carattere sovrastrutturale, era un'esigenza di politica economico sociale, così che divenne repressione di massa.
Nel 1926 si approva la nuova legge di pubblica sicurezza che introduce il confino di polizia tuttora vigente.
Nel 1930 è approvato il Codice Penale Rocco, tuttora vigente con lo specifico dell'art. 270 che istituisce il reato politico di associazione sovversiva tuttora largamente applicato.
Nel 1931 è approvato il regolamento penitenziario che, tra i vari obblighi, indicava ai detenuti di restare in piedi, sull'attenti, quando in cella entrava il personale carcerario.
Nello stesso anno, è approvato il codice di procedura penale che garantiva l'impunità agli agenti di Pubblica Sicurezza per fatti compiuti in servizio.
Nel 1934 nasce il Tribunale per i minorenni. Negli anni successivi al secondo dopoguerra rimase in piedi il regolamento carcerario fascista del 1931.
Ed è sulle speranze maturate con la repubblica antifascista che iniziano le rivolte carcerarie. La prima è datata 1947, poco dopo l'amnistia che condonava tutti i delitti compiuti dai fascisti.
Nel 1950 è abrogata una norma che prevedeva il taglio dei capelli ed il numero di matricola, al posto del nome del detenuto.

Tra il '50 e il '60, in corrispondenza dello sviluppo economico accelerato ed una ridistribuzione delle ricchezza, la quantità generale dei reati cala, ma cambiano le tipologie di reato.
E' la fine degli anni '60: la nuova stagione di lotte operaie e studentesche esplode anche all'interno del carcere; i detenuti cominciano ad acquistare la coscienza di essere una frazione del proletariato sfruttato che, solo nella lotta collettiva può trovare il suo riscatto, così che le prime insubordinazioni vivacizzano le gerarchie malavitose e mafiose che spesso garantivano dentro il carcere ordine ed assenza di conflittualità.
La prima rivolta carceraria è del '69 alle "Nuove" di Torino, città operaia in cui qualche mese prima era avvenuta la prima occupazione universitaria. Il movimento di lotta dei detenuti proseguì per anni nelle carceri delle più grandi città italiane. Si denunciavano le condizioni di vita ed i regolamenti interni varati sotto il fascismo.
La risposta alle rivolte è durissima con i trasferimenti de detenuti nei carceri punitivi ed in manicomi giudiziari. L'altra risposta è quella legislativa del 1975 con la Riforma numero 354 che cancella l'ordinamento fascista. La riforma manifesta la mancanza di coraggio civile a rompere pienamente gli ordinamenti fascisti ed inoltre non realizza il coinvolgimento del tessuto sociale verso le questioni carcerarie. Il carcere continua a restare "cosa separata dal mondo" e che trasgredisce dovrà ancora essere punito. La riforma contiene anche l'articolo 90 che azzera la legge stessa concedendo la Governo di sospendere le regole trattamentali: sospensione di corrispondenza epistolare interna, censura per la corrispondenza esterna, sospensione di tutte le attività culturali, sportive e ricreative, delle comunicazioni telefoniche con i famigliari, dei pacchi di vestiario e cibo, dei colloqui con i propri cari. L'articolo 90 ampiamente utilizzato nelle carceri speciali sarà abolito nel 1986.
Nel '75, in contemporanea con la Riforma penitenziaria, è varata la Legge Reale, che concede alle forze di polizia di trattenere i fermati per accertamenti, di operare perquisizioni domiciliari senza autorizzazione del magistrato, di lasciare impuniti gli agenti che compiono reati inerenti al servizio; la legge viola l'articolo 13 della Costituzione italiana che afferma "la libertà personale è inviolabile".
Siamo in un momento storico caratterizzato da un forte conflitto sociale a cui si risponde con gli arresti di persone solo sospettate di appartenere a gruppi armati. Nel 1977 il sistema carcerario italiano si connota di un doppio circuito: uno normale per la massa di detenuti ed uno speciale per i politici e i comuni più combattivi.
Vengono riaperte carceri che si ritrovano nelle isolette del Mediterraneo e nuove carceri verranno costruite tra il '77 e l'81 in tutto 13 (10 maschili e 3 femminili).
Negli speciali si sperimentano tecniche di deprivazione sensoriale al fine di disgregare la personalità del prigioniero, isolamento individuale o in piccoli gruppi da trascorrere per 22 in cella e due ore in un cubo di cemento da cui si può vedere solo il cielo. Interposizioni di vetri e citofoni che alterano il timbro della voce ai colloqui con i familiari.
Tra il '77 e l'80 sono varati diversi decreti antiterrorismo detti leggi Cossiga, che stabiliscono aumenti di pena di oltre la metà per reati compiuti con finalità di terrorismo, aumenti di pena per reati associativi e facilitazioni per chi si dissocia dai gruppi armati denunciando i propri compagni.
La legislazione emergenziale si arricchì di altri provvedimenti nel corso degli anni '70: decreto ministeriale del '72 che istituzionalizzava i "braccetti di massimo isolamento" dove venivano rinchiusi i prigionieri politici ritenuti pericolosi a cui erano sospesi elementari diritti dei detenuti: non possibilità di acquistare generi alimentari e di conforto, sospensione dei pacchi esterni, non partecipazione alla gestione delle biblioteche e delle attività ricreative e sportive, permanenza all'aria di sei ore settimanali non continue, impossibilità di svolgere attività all'interno del carcere, sospensione dei colloqui telefonici e della visione della tv, non possibilità di ricevere o acquistare giornali e riviste, e l'ascolto di radio con modulazione di frequenza, un solo colloquio al mese con i familiari.
Dello stesso anno è la legge numero 304 detta "Sulla dissociazione" che prevedeva forti sconti di pene non per chi denunciava i propri compagni, bensì per chi abiurava la passata militanza e prendeva le distanze dalla ideologia di riferimento.

Nel 1986 è varata la legge 663 detta Gozzini che doveva essere la "riforma delle riforme", ovvero doveva cercare di correggere le incompetenze della Riforma del '75. La Gozzini verrà svuotata di senso nel dibattito parlamentare così che risultava non più la legge che avrebbe permesso un graduale reinserimento sociale dei detenuti attraverso un'attività lavorativa esterna e le riprese dei legami parentali ed amicali, ma una legge che "prevedeva", cioè concedeva, la possibilità di accedere all'esterno grazie ad uno "scambio", ossia i detenuti dovevano accettare il sistema carcerario così com'è per poterne uscire. Tuttora, il detenuto deve fingere l'accettazione e preoccuparsi individualmente di tessere relazioni con le associazioni di volontariato che operano nelle strutture carcerarie. Inoltre, una volta fuori, il detenuto lavora sottopagato pur di poter riprendere le relazioni sociali esterne.
L'ultima legge parlamentare è del 1997, detta Simeoni. Questa legge si è posta contro la campagna forcaiola condotta sui mass media in merito alle scarcerazioni facili (a tal proposito ricordiamo che l'Italia è tra i paesi europei quello dove si espiano le pene quasi per intero e dove le evasioni sono in numero più basso) ma è rimasta ancorata alla logica premiale e quindi all'operato dei Magistrati di sorveglianza che, nel concedere i benefici, si avvalgono dei verbali di polizia e non di quelli dei servizi sociali. Le misure alternative al carcere, non sono in Italia, di fatto, applicate.
Allo stato attuale sono più di 50mila i detenuti nelle carceri italiane e di questi abbiamo al primo posto i tossicodipendenti, in maggioranza sieropositivi, e al secondo gli immigrati. Gli immigrati che si trovano in Italia sono inoltre vittime di altre misure repressive, ovvero di essere portati, se trovati privi di permesso di soggiorno, nei Centri di Accoglienza Temporanei, dove possono restare a tempo indeterminato privati dei più elementari diritti, in attesa di essere espulsi dall'Italia.



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lunedì 27 luglio 2015

27 LUGLIO 1993



In questo mondo si conoscono  solo scene di guerra: qui siamo  Milano 22 anni fa.....  appartenere alla razza umana è un triste guardando tali scene.

27 luglio 1993: la strage di via Palestro, un attentato dinamitardo avvenuto a Milano ad opera di cosa nostra.

L'esplosione di una autobomba in via Palestro, presso la Galleria d'arte moderna e il Padiglione di arte contemporanea provocò l'uccisione di cinque persone: i Vigili del Fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l'Agente di Polizia Municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. Tale attentato viene inquadrato nella scia degli altri attentati del '92-'93 che provocarono la morte di 21 persone (tra cui i giudici Falcone e Borsellino) e gravi danni al patrimonio artistico.

Nel maggio 1993 alcuni mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille (Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano) provvidero a macinare e confezionare altro esplosivo in una casa fatiscente a Corso dei Mille, sempre messa a disposizione da Antonino Mangano (capo della Famiglia di Roccella); a metà luglio le due balle di esplosivo vennero nascoste in un doppiofondo ricavato nel camion di Pietro Carra (autotrasportatore che gravitava negli ambienti mafiosi di Brancaccio), che le trasportò ad Arluno, in provincia di Milano, insieme a Lo Nigro, che portò con sé una miccia ed altro materiale: ad Arluno, Carra e Lo Nigro furono raggiunti da una persona che li condusse in una stradina di campagna, dove scaricarono l'esplosivo. Il 27 luglio Lo Nigro e Giuliano giunsero a Roma, provenendo da Milano, per organizzare anche gli attentati alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro.

La sera del 27 luglio l'agente di Polizia Locale Alessandro Ferrari notò la presenza di una Fiat Uno (che risulterà poi rubata qualche ora prima) parcheggiata in via Palestro, di fronte al Padiglione di arte contemporanea, da cui fuoriusciva un fumo biancastro e quindi richiese l'intervento dei Vigili del fuoco, che accertarono la presenza di un ordigno all'interno dell'auto; tuttavia, qualche istante dopo, l'autobomba esplose ed uccise l'agente Alessandro Ferrari e i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno ma anche l'immigrato marocchino Moussafir Driss, che venne raggiunto da un pezzo di lamiera mentre dormiva su una panchina.

L'onda d'urto dell'esplosione frantumò i vetri delle abitazioni circostanti e danneggiò anche alcuni ambienti della vicina Galleria d'arte moderna, provocando il crollo del muro esterno del Padiglione di arte contemporanea. Durante la notte esplose una sacca di gas formatasi in seguito alla rottura di una tubatura causata dalla deflagrazione, che procurò ingenti danni al Padiglione, ai dipinti che ospitava e alla circostante Villa Reale.

Le indagini ricostruirono l'esecuzione della strage di via Palestro in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pietro Carra, Antonio Scarano, Emanuele Di Natale e Umberto Maniscalco: nel 1998 Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano, Gaspare Spatuzza, Luigi Giacalone, Salvatore Benigno, Antonio Scarano, Antonino Mangano e Salvatore Grigoli vennero riconosciuti come esecutori materiali della strage di via Palestro nella sentenza per le stragi del 1993; tuttavia, nella stessa sentenza, si leggeva: « Purtroppo, la mancata individuazione della base delle operazioni a Milano e dei soggetti che in questa città ebbero, sicuramente, a dare sostegno logistico e contributo manuale alla strage non ha consentito di penetrare in quelle realtà che, come dimostrato dall’investigazione condotta nelle altre vicende all’esame di questa Corte, si sono rivelate più promettenti sotto il profilo della verifica “esterna”».

Nel 2002, sempre in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Carra e Scarano, la Procura di Firenze dispose l'arresto dei fratelli Tommaso e Giovanni Formoso ("uomini d'onore" di Misilmeri), identificati dalle indagini come coloro che aiutarono Lo Nigro nello scarico dell'esplosivo ad Arluno e che compirono materialmente la strage di via Palestro. Nel 2003 la Corte d'Assise di Milano condannò i fratelli Formoso all'ergastolo e tale condanna venne confermata nei due successivi gradi di giudizio.

Nel 2008 Gaspare Spatuzza iniziò a collaborare con la giustizia e fornì nuove dichiarazioni sugli esecutori materiali della strage di via Palestro: in particolare, Spatuzza riferì che lui, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Giovanni Formoso e i fratelli Vittorio e Marcello Tutino (mafiosi di Brancaccio) parteciparono ad una riunione in cui vennero decisi i gruppi che dovevano operare su Roma o Milano per compiere gli attentati; secondo Spatuzza, Formoso e i fratelli Tutino operarono su Milano e in un primo momento lui, Lo Nigro e Giuliano li raggiunsero per aiutarli nello scarico dell'esplosivo e nel furto della Fiat Uno utilizzata nell'attentato, per poi tornare a Roma al fine di compiere gli attentati alle chiese.

In seguito Spatuzza scagionò anche Tommaso Formoso, dichiarando che all'attentato partecipò soltanto il fratello Giovanni, che da Tommaso si era fatto prestare con una scusa la villetta di Arluno dove venne scaricato l'esplosivo: tuttavia nell'aprile 2012 la Corte d'Assise di Brescia rigettò la richiesta di revisione del processo a Tommaso Formoso, adducendo che le sole dichiarazioni di Spatuzza non bastavano. Sempre sulla base delle dichiarazioni di Spatuzza, nel 2012 la Procura di Firenze dispose l'arresto del pescatore Cosimo D'Amato, cugino di Cosimo Lo Nigro, il quale era accusato di aver fornito l’esplosivo, estratto da residuati bellici recuperati in mare, che venne utilizzato in tutti gli attentati del '92-'93, compresa la strage di via Palestro. Nel 2013 D'Amato venne condannato all'ergastolo con il rito abbreviato dal giudice dell'udienza preliminare di Firenze.


«Stanno comparendo diverse scritte in tutta Milano contro il 41 bis. Scritte particolari, bianche, a caratteri grandi, grafia incerta, ma ben studiate»: aveva denunciato sabato dal suo profilo Facebook il consigliere comunale del Pd David Gentili, che è anche Presidente della Commissione antimafia del Consiglio comunale di Milano. «Per la commemorazione della Strage di Palestro (27 luglio), ci piacerebbe - scrive Gentili - coinvolgere i cittadini stessi nel censurare con nettezza una campagna aggressiva, anonima, di sostegno ai mafiosi, che ci preoccupa».

Sono comparse decine di scritte contro il 41 bis sui muri di Milano. Graffiti che si oppongono al regime di carcere duro, solitamente riservato ai condannati per mafia, e che l'amministrazione comunale si sta impegnando a fare cancellare. L'autore è ignoto. La grafia delle varie scritte sembra molto simile, ma con qualche differenza fra un graffito e l'altro, tanto da fare pensare che possa esserci più di una mano.

Le scritte sono comparse in diversi punti della città e col passare delle ore altre ne vengono segnalate e cancellate. La mappa va allargandosi: piazza Leonardo Da Vinci, piazzale Maciachini, uno dei viadotti in zona Mac Mahon, viale Monza all'altezza di Precotto, Villa San Giovanni, viale Monteceneri. E la lista è ancora lunga. Sul muro di cinta dell'ippodromo è stata poi trovata la scritta "omertà = rispetto", ma potrebbe essere stata tracciata precedentemente e notata solo ora. Il Comune ha segnalato la cosa alla questura.

La cancellazione del regime di carcerazione previsto dall'articolo 41 bis (introdotto dalla Legge Gozzini) è una battaglia ormai storica dei parenti dei detenuti che vi sono sottoposti. Fece scalpore nel 2002  la comparsa allo stadio di Palermo di uno striscione contro il 41 bis durante la partita Palermo-Ascoli del 22 dicembre. Un'inchiesta della Procura di Palermo chiarì come a fare esporre lo striscione furono direttamente i boss di Cosa nostra del quartiere Brancaccio. L'abolizione del 41 bis sarebbe anche stata la richiesta da parte di Cosa nostra alla base della trattativa Stato-mafia successiva alle bombe del biennio '92 e '93.

Partendo da tutt'altro presupposto, il 41 bis è inviso anche a una serie di associazioni che si battono per i diritti dei detenuti. Il diritto dei detenuti....che hanno ucciso altre persone ....con quale diritto???? Gli animali uccidono quando hanno fame....


L'articolo 41-bis (comunemente chiamato carcere duro) fa riferimento ad una disposizione normativa della Repubblica Italiana, previsto dell'ordinamento penitenziario italiano.

La disposizione venne introdotta dalla legge legge Gozzini, che modificò la legge 26 luglio 1975, n. 354 (la legge sull'ordinamento penitenziario italiano) e riguardava inizialmente soltanto le situazioni di rivolta o altre gravi situazioni di emergenza interna alle carceri italiane.

A seguito della strage di Capaci del 23 maggio 1992, dove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della sua scorta, fu introdotto dal decreto legge 8 giugno 1992, n. 306 (cosiddetto Decreto antimafia Martelli-Scotti), convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, un secondo comma all'articolo, che consentiva al Ministro della Giustizia di sospendere per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica le regole di trattamento e gli istituti dell'ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti facenti parti dell'organizzazione criminale mafiosa. Mentre si discuteva la proroga della legge, Leoluca Bagarella, in teleconferenza durante un processo a Trapani, legge un comunicato contro il 41 bis, in cui accusa i politici di non aver mantenuto le promesse (cfr. Papello di Totò Riina). Viene resa pubblica una lettera firmata da 31 boss mafiosi, con alcuni avvertimenti ai loro avvocati che, diventati parlamentari, li hanno dimenticati. In seguito, viene assegnata una scorta ad alcuni di questi avvocati e a Dell’Utri; quest'ultimo dopo alcuni mesi vi rinuncerà.

Nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (C.P.T.) ha visitato le carceri italiane per verificare le condizioni di detenzione dei soggetti sottoposti al regime ex art. 41-bis. Ad avviso della delegazione, questa particolare fattispecie di regime detentivo era risultato il più duro tra tutti quelli presi in considerazione durante la visita ispettiva. La delegazione intravedeva nelle restrizioni gli estremi per definire i trattamenti come inumani e degradanti. I detenuti erano privati di tutti i programmi di attività e si trovavano, essenzialmente, tagliati fuori dal mondo esterno. La durata prolungata delle restrizioni provocava effetti dannosi che si traducevano in alterazioni delle facoltà sociali e mentali, spesso irreversibili.

La norma aveva carattere di temporaneità: la sua efficacia era limitata ad un periodo di tre anni dall'entrata in vigore della legge di conversione. La sua efficacia è stata prorogata una prima volta fino al 31 dicembre 1999, una seconda volta fino al 31 dicembre 2000 ed una terza volta fino al 31 dicembre 2002. Dopo 10 anni dalla strage di Capaci, il 24 maggio 2002 il Consiglio dei Ministri approvò un disegno di legge di modifica degli articoli. 4-bis e 41-bis che fu poi approvato dal Parlamento come Legge 23 dicembre 2002, n. 279 Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario, prevedendo che il provvedimento ministeriale non poteva essere inferiore ad un anno e non poteva superare i due e che le proroghe successive potessero essere di solo un anno ciascuna; il regime di carcere duro venne esteso anche ai condannati per terrorismo ed eversione.

La legge 15 luglio 2009, n. 94 Disposizioni in materia di sicurezza pubblica ha cambiato di nuovo i limiti temporali, tuttora in vigore: il provvedimento può durare quattro anni e le proroghe due anni ciascuna.

La norma prevede la possibilità per il Ministro della Giustizia di sospendere l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti previste dalla stessa legge in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza per alcuni detenuti (anche in attesa di giudizio) incarcerati per reati di criminalità organizzata, terrorismo, eversione ed altri tipi di reato.

Il regime si applica a singoli detenuti ed è volto ad ostacolare le comunicazioni degli stessi con le organizzazioni criminali operanti all'esterno, i contatti tra appartenenti alla stessa organizzazione criminale all'interno del carcere ed i contrasti tra gli appartenenti a diverse organizzazioni criminali, così da evitare il verificarsi di delitti e garantire la sicurezza e l'ordine pubblico anche fuori dalle carceri.

La legge specifica le misure applicabili, tra cui le principali sono il rafforzamento delle misure di sicurezza con riguardo alla necessità di prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza, restrizioni nel numero e nella modalità di svolgimento dei colloqui, la limitazione della permanenza all'aperto (cosiddetta ora d'aria) e la censura della corrispondenza.
Il "carcere duro" è applicabile per taluno dei delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge penitenziaria:

delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;
delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso;
delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'associazione mafiosa ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose;
delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù;
delitto di chi induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione;
delitto di chi, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche e chi fa commercio del materiale pornografico predetto;
delitto di tratta di persone;
delitto di acquisto e alienazione di schiavi;
delitto di violenza sessuale di gruppo;
delitto di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri;
delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Il Tribunale di sorveglianza ha revocato l'applicazione della misura nei confronti di Michele Aiello e ad Antonino Troia. In entrambi i casi la presidente dell'Associazione familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili Giovanna Maggiani Chelli ha contestato la decisione.

In data 5 novembre 2009 il Ministro della Giustizia Angelino Alfano ha reso pubblica la decisione del governo di riaprire le carceri di Pianosa e dell'Asinara, penitenziari nei quali sono stati storicamente detenuti i boss mafiosi in applicazione di tale misura. Il ministro dell'ambiente Prestigiacomo ha detto che il carcere di Pianosa non riaprirà per motivi ambientali ma si studieranno soluzioni alternative.
Anche duramente ma vivono ....dovrebbero pensare a tutto il male che hanno fatto e le vite che hanno tolto.



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