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domenica 11 settembre 2016

LE TORRI GEMELLE

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Le torri gemelle furono i due grattacieli che fecero diventare famosa Lower Manhattan. I due edifici furono inaugurati il 4 aprile 1973, avevano 110 piani ciascuno e superavano l'altezza di 415 m con una superficie occupata di 63,4 m × 63,4 m.

Nel 1960 fu istituita la Lower Manhattan Association presieduta da David Rockefeller, che ebbe l'idea di costruire il centro. Numerosi grattacieli furono costruiti nella Midtown. Lower Manhattan invece era stata esclusa fino a che David Rockefeller, grazie all'aiuto di suo fratello Nelson, riuscì a proporre che vi fosse edificato un Centro del commercio mondiale. Il progetto, costruzione e scavi inclusi, veniva a costare 335 milioni di dollari che furono forniti quasi interamente dall'autorità portuale di New York e New Jersey.

Nel marzo 1965, la Port Authority iniziò ad acquistare le proprietà situate sul sito del World Trade Center. In seguito, l'Ajax Wrecking e la Lumber Corporation vennero designate per i lavori di demolizione, che iniziarono il 12 marzo 1966 e che avevano come obiettivo la preparazione del sito per la costruzione del complesso.

La posa della prima pietra, con cui ebbe ufficialmente inizio la costruzione del World Trade Center, avvenne il 5 agosto 1966. Nel 1968 iniziò la costruzione della Torre Nord (WTC 1) e dei 4 edifici minori Marriott World Trade Center, WTC 4, WTC 5 e WTC 6. Nel 1969 due gru iniziavano la costruzione della Torre Sud (WTC 2) e un anno dopo il WTC 1 era completo con i suoi 417,5 m; nel 1971 fu completata anche la Torre Sud e contemporaneamente alla costruzione del World Financial Center, cominciò la costruzione dell'edificio WTC 7. Il complesso entrò subito a far parte della World Trade Centers Association come tutti i WTC presenti nel mondo.

Negli anni successivi alla costruzione dei grattacieli insorse la necessità di collocarvi una antenna televisiva. Fu deciso di posizionarla sulla cima della Torre Nord e il 110º piano dell'edificio fu occupato dal servizio pubblico di radio e televisione.

I due imponenti edifici, superando l'altezza di 381 m dell'Empire State Building, diventarono per pochi mesi i fabbricati più alti del mondo, prima di essere superati dalla Sears Tower di Chicago (443 m).

Al 107º piano della Torre Nord si trovava il ristorante Windows on the World (finestre sul mondo), noto per lo slogan "il ristorante più alto del mondo", che affacciava verso l'Empire State Building, mentre negli ultimi piani della Torre Sud era presente un osservatorio.

Oltre alle due Twin Towers, il complesso del World Trade Center comprendeva anche altri 5 edifici minori:
l'Hotel, identificato anche come WTC 3 era situato nella parte sud-ovest del complesso, esattamente tra le due Torri Gemelle. Costruito nel 1981 e rilevato dalla Marriott nel 1995, si sviluppava per 22 piani con 825 camere.
L'edificio WTC 4, composto da 9 piani e costruito nel 1975, era situato nell'angolo sud-orientale. In questo edificio avevano sede alcune compagnie governative.
L'edificio WTC 5, costruito insieme alle due Torri Gemelle nel 1972, aveva 9 piani ed era situato a nord-est del complesso. Era la sede del servizio doganale US Commodities Exchange ed era stato costruito sopra la stazione "World Trade Center" della metropolitana.
L'edificio WTC 6, anch'esso di 9 piani e altresì completato nel 1975, era la sede di alcune banche (tra le quali Deutsche Bank) e della U.S. Customs House.
L'ultimo edificio, il WTC 7, era un grattacielo di 47 piani che occupava il settore nord del complesso solo dal 1987. Era alto 186 metri ed il suo colore rosso granito lo diversificava dagli edifici circostanti. All'interno vi era il NYC Office of Emergency Management, centro emergenze della città di New York, voluto nel 1993 dall'ex sindaco della città Rudy Giuliani.
Nei sotterranei era presente anche un vasto centro commerciale, il World Trade Center Mall.
Questi edifici erano tutti collegati attraverso passaggi sopraelevati o sotterranei. Alcuni di questi passaggi mettevano in comunicazione il World Trade Center con i grattacieli del vicino complesso World Financial Center.

Negli anni successivi al completamento delle Torri Gemelle, vennero apportate una serie di modifiche strutturali per soddisfare le esigenze degli inquilini. Queste modifiche, che dovevano essere effettuate in conformità con il Tenant Alteration Review Manual della Port Authority e approvate dalla Port Authority stessa, includevano, per esempio, la realizzazione di nuove scale per collegare i vari piani occupati dagli stessi inquilini, ma anche il rinforzo delle travi d'acciaio nel nucleo per consentire carichi maggiori.

Alcune riparazioni vennero effettuate, invece, sui livelli più bassi della Torre Nord dopo l'attentato del febbraio 1993. I danni più gravi vennero riscontrati nei livelli B1, B2 e, in parte minore, anche nel livello B3; le colonne strutturali primarie non vennero danneggiate, ma le strutture secondarie subirono alcuni danni. I pavimenti che erano stati distrutti, dovevano anch'essi essere riparati; infatti, i diaframmi erano in pericolo di crollo, poiché i vari solai non fornivano più supporto contro le acque del fiume Hudson che premevano contro di essi dalla parte opposta. L'impianto di refrigerazione, situato nel livello B5, venne pesantemente danneggiato e sostituito con un impianto temporaneo per l'estate di quell'anno; anche l'impianto di allarme incendio doveva essere completamente sostituito; ci vollero diversi anni per completare la sostituzione, infatti, alcuni lavori erano ancora in corso nel settembre 2001.

In un ordinario giorno feriale al WTC erano presenti nelle due torri e nei 5 edifici minori, più di 50 000 persone che lavoravano, cui si deve aggiungere il contingente giornaliero dei più di 200 000 visitatori settimanali.

Il 13 febbraio del 1975 un vasto incendio interessò la Torre Nord. Originatesi all'undicesimo piano, le fiamme si propagarono anche ad alcuni piani superiori. L'incendio venne domato qualche ora dopo e non si registrarono significativi danni alla struttura. Sino a quel momento, il World Trade Center non era dotato di impianto antincendio automatico.

Il 26 febbraio 1993 il World Trade Center fu danneggiato gravemente alle fondamenta dall'esplosione di un furgone imbottito di circa 680 kg (1500 libbre) di esplosivo. L'esplosione fece sei vittime e provocò il ferimento di altre 1042 persone. Gli edifici interessati furono le Torri Gemelle (le quali furono danneggiate) e il Marriott World Trade Center (WTC 3). Tutti gli edifici circostanti furono comunque evacuati e tra il 1998 e il 1999 venne smantellata la cellula terroristica che aveva pianificato e attuato l'attacco.

Alle ore 8:45 della mattina dell'11 settembre 2001 due aerei di linea (della American e della United Airlines) si schiantarono, a distanza di 16 minuti e 29 secondi l'uno dall'altro, contro le due torri causandone l'incendio e la parziale distruzione di alcuni piani. Il collasso della struttura fu causato dal dilagare dell'incendio che provocò l'indebolimento della struttura portante in acciaio delle torri, già gravemente danneggiata dall'impatto aereo e dalla conseguente esplosione. Ogni materiale da costruzione presenta una certa tensione di snervamento, la massima tensione, cioè, che possono sostenere senza subire deformazioni permanenti. Nel caso specifico, il calore, sviluppatosi dalla combustione del carburante degli aerei successivamente all'impatto, provocò il collasso totale delle stesse abbassando drammaticamente il punto di snervamento dell'acciaio strutturale, pur ad una temperatura ben inferiore (circa 800 °C) al punto di fusione del materiale. Il drammatico evento è entrato, di fatto, a far parte della storia contemporanea degli Stati Uniti d'America. Le vittime dell'attentato alle torri, inclusi i passeggeri degli aerei ed esclusi i terroristi islamici, furono 2.749.

Gli attacchi terroristici portarono alla distruzione dell'intero complesso, compresi gli edifici minori.

Il WTC 3, nei suoi ultimi momenti, dopo essere stato completamente evacuato, venne usato dai pompieri e dalla polizia come entrata secondaria alle Torri Gemelle. A causa della sua posizione, metà dell'hotel crollò al momento del crollo della Torre Sud (9:59 circa), mentre l'altra metà fu schiacciata dal crollo della Torre Nord (10:28).

Gli edifici bassi WTC 4, 5 e 6, situati agli angoli della piazza, vennero investiti e incendiati dai detriti. L'edificio 4, a causa della sua estrema vicinanza alle Twin Towers, scomparve subito dopo il crollo della Torre Sud, mentre l'edificio 6 venne sventrato e destabilizzato dalla voragine formatasi sul suo tetto. Dell'edificio 5, invece, rimasero in piedi alcune parti, ma esso fu comunque eliminato tramite demolizione controllata nel 2002.



L'edificio 7 invece crollò completamente alle 17:21:10 di quel pomeriggio, dopo il collasso della penthouse est avvenuto alle 17:20:33, a seguito del cedimento di una colonna portante, innescato dalle conseguenze degli incendi divampati al suo interno, secondo quanto riportato nel rapporto tecnico del NIST emesso nel 2008.

La ricostruzione del World Trade Center è stata affidata all'architetto polacco-americano Daniel Libeskind e al suo Master Plan for the New World Trade Center. L'edificio di punta del New World Trade Center è la Freedom Tower, un edificio di 541 metri (cioè 1776 piedi, un riferimento simbolico alla data della rivoluzione americana e della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti). Il nuovo complesso è stato inaugurato il 3 novembre 2014.

Indipendentemente dal Master Plan e da Libeskind, si è ricostruito il WTC 7, la cui parte esterna è stata completata nel 2005, sebbene il nuovo edificio, architettonicamente, non abbia molto a che vedere con il vecchio.

Oggi, dove prima c'erano le torri, sono state create due fontane quadrate delle stesse dimensioni della base delle torri. Esse sono un monumento in ricordo delle vittime di quel giorno: su alcuni pannelli di bronzo ai lati delle fontane, infatti, sono incisi i nomi delle vittime.

Per quanto fossero collocate su un terreno fra i più appetibili e redditizi al mondo, dopo trent’anni i due edifici erano diventati decisamente obsoleti. Poichè ciascun piano era stato costruito come uno spazio aperto di oltre 4.000 metri quadrati, l’aumento dei costi energetici aveva reso i due edifici estremamente gravosi da riscaldare d’inverno, ed altrettanto gravosi da raffreddare d’estate. Il perimetro del WTC Plaza, inoltre, rappresentava un vero e proprio macigno nel mezzo della circolazione di Downtown Manhattan, una zona della città costruita all’inizio del secolo scorso, fatta tutta di strade lunghe e strette. I tassisti raccontavano che nell’ora di punta ci voleva più di un’ora solo per aggirare l’intero perimetro del World Trade Center.

Ma il problema più ingombrante per le Torri Gemelle era rappresentato dall’enorme quantità di amianto che contenevano. Costruite in un’epoca in cui l’amianto non era ancora proibito, questo composto fu usato sia per la protezione antincendio delle strutture in acciaio sia come isolante per le condutture dell’aria condizionata e dell’acqua.

Solo nei primi anni ’70 l’amianto iniziò ad essere riconosciuto come cancerogeno, ma a quel punto la costruzione delle Torri Gemelle era quasi terminata. Non è chiaro fino a che punto della costruzione sia stato usato, ne quale sia la quantità esatta di amianto utilizzato, ma le stime variano fra 400 e 5000 tonnellate complessive di amianto presenti nelle Torri Gemelle a costruzione ultimata.

Man mano che venivano introdotti i regolamenti contro l’amianto, la situazione per le Torri Gemelle si faceva sempre più difficile, finchè nel 1989 l’amianto fu definitivamente proibito in tutte le costruzioni civili. A quel punto si provò una soluzione di fortuna, incapsulando l’amianto delle Torri Gemelle con un cemento particolare, per evitare la dispersione nell’aria delle sue particelle.

Ma verso la metà degli anni ’90 i nuovi regolamenti prevedevano che dovunque si intervenisse per fare delle riparazioni o delle opere di manutenzione, l’amianto presente venisse rimosso per intero.

Nel frattempo, proprio a causa della sua pericolosità, il costo per la rimozione dell’amianto era diventato astronomico, poiché bisognava prima fare evacuare tutti i piani interessati, e poi utilizzare solo operatori specializzati, che dovevano lavorare esclusivamente con tute ermetiche e bombole di ossigeno.
Sul finire degli anni ’90 i preventivi per la rimozione completa e lo smaltimento dell’amianto delle Torri Gemelle arrivavano ad un miliardo di dollari – più o meno la cifra che sarebbe costato costruire una torre nuova.

Con una mossa disperata la Port Authority, proprietaria delle Torri Gemelle, denunciò le compagnie di assicurazione perchè si rifiutavano di coprire i costi della rimozione, ma alla fine di una lunga battaglia legale perse la causa.

A quel punto la Port Authority si trovò fra l’incudine e il martello: non si poteva più effettuare la manutenzione delle Torri Gemelle, per il costo della rimozione dell’amianto, ma non si potevano demolire proprio per le grandi quantità di amianto che contenevano. L’unica soluzione sarebbe stata di smontarle pezzo per pezzo, ma il costo di una tale operazione era semplicemente improponibile.

Fortuna volle che nella primavera del 2001 un imprenditore chiamato Larry Silverstein, già proprietario del Building 7, si sia offerto per rilevare la gestione delle Torri Gemelle con un lease di 99 anni.

In quel momento il valore sul mercato delle Twin Towers era di circa 1,2 miliardi di dollari, ma Silverstein pagò 3,2 miliardi pur di entare rapidamente in possesso di quello che lui ha definito “il sogno della sua vita”.

Nonostante la bomba del ‘93 avesse distrutto solo qualche piano all’interno della Torre Nord, nella nuova polizza assicurativa Silverstein fece aggiungere anche la possibilità di una distruzione completa delle torri per attacco terroristico.

Il mattino del 12 settembre Silverstein era talmente abbattuto per la perdita dei suoi “gioielli”, che andava dicendo a tutti di essere certo di poter incassare dall’assicurazione il doppio del massimale previsto – 7 miliardi invece di 3,5 - “perchè si è trattato di due attacchi terroristici separati”.

Alla fine della lunga battaglia legale, Silverstein ha preso 4,5 miliardi di dollari per ricostruire le Torri Gemelle, ritrovandosi in mano dieci ettari di un terreno edilizio fra i più ambiti e redditizi al mondo.

Nel frattempo l’amianto delle Torri Gemelle lo hanno respirato tutto i soccoritori che hanno lavorato alacremente per sgomberare il suo terreno dalla macerie, e che oggi stanno morendo a centinaia, falciati dal mesotelioma e da altre malattie respiratorie, nel silenzio più vergognoso della stampa di tutto il mondo.

Baba Vanga, morta nel 1996 all'età di 85 anni, ha dedicato oltre 50 anni alla chiaroveggenza. Si tratta di una donna non vedente, di origine bulgara, considerata una sorta di Nostradamus dei giorni nostri. Nel suo "ruolino di marcia" figurano una serie di previsioni drasticamente corrette. In primis gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2011 e lo tsunami del 2004.
Il problema è che, ora, riemerge una vecchia profezia della signora, che già si sta dimostrando fin troppo corretta. Baba Vanga diceva: "Nel 2016 si inasprirà la guerra dell'Occidente contro il mondo islamico. La fine si avrà soltanto nel 2043, quando verrà istituito un nuovo califfato che avrà Roma come suo epicentro". Secondo la signora - e lo affermava nei primi anni '90 - nel 2043 l'economia europea sarà soggetta alla legge di un nuovo califfato. Addirittura, nel 2066 la Capitale italiana, sotto il nemico musulmano, sarà bombardata dagli Usa con un'arma climatica.

Le Torri Gemelle furono scelte per l'ambientazione di numerosi film, tra cui I tre giorni del Condor, King Kong, Una poltrona per due, 1997: fuga da New York, Mamma, ho riperso l'aereo: mi sono smarrito a New York e Spider-Man. Di quest'ultimo film fu lanciato il primo trailer prima dell'11 settembre 2001, dove si vedevano dei criminali in elicottero intrappolati dalla ragnatela di Spider-Man proprio in mezzo alle Torri Gemelle. Poiché il film venne ultimato e distribuito dopo la tragedia dell'11 settembre 2001, il World Trade Center venne eliminato digitalmente in postproduzione.

Nel 1974, l'acrobata francese Philippe Petit passò da una torre all'altra camminando su un filo all'altezza di 417,5 metri senza sistemi di sicurezza (a questo evento è stato dedicato il film documentario Man on Wire - Un uomo tra le Torri) e tre anni dopo George Willig scalò la Torre Sud.

John Carta, pilota e paracadutista italo-americano, pioniere del Base jumping, soprannominato the Birdman, effettuò per primo un lancio con paracadute con atterraggio sulla piattaforma della Torre Sud il 10 settembre del 1981, dunque vent'anni e un giorno prima del tragico attentato.

Il World Trade Center è stato usato per girare due videoclip, prima dai Depeche Mode per Enjoy the Silence, nel 1990, e poi dai Limp Bizkit per Rollin' (Air Raid Vehicle), nel 2000; entrambi i gruppi nei loro rispettivi video suonano sulla cima della Torre Sud.


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venerdì 6 maggio 2016

I CARABINIERI



Vittorio Emanuele I di Savoia, durante un soggiorno a Cagliari all'inizio del XIX secolo, pensò alla creazione di un nuovo corpo militare così, dopo il suo rientro a Torino, nel 1808 venne creato il Corpo dei Moschettieri di Sardegna; i primi effettivi furono scelti fra quelli dell'Armata Sarda che si erano distinti nella repressione del brigantaggio in Sardegna e che più si erano distinti per buona condotta e saviezza e che sapessero anche leggere e scrivere.

Con le Regie Patenti del 13 luglio 1814, integrate con altre emanate il 15 ottobre 1816, il Re di Sardegna Vittorio Emanuele I di Savoia istituì i Corpo dei Reali Carabinieri, un corpo armato che, sul modello della Gendarmerie nationale francese, aveva compiti sia civili (ordine pubblico e polizia giudiziaria) che militari (difesa della Patria e polizia militare). Gli ufficiali furono scelti per la gran parte dall'Arma di cavalleria, la più prestigiosa dell'esercito sabaudo e vennero considerati un corpo d'elite; dal punto di vista militare si trattava invece di un corpo di fanteria leggera, così detto dall'arma d'ordinanza adottata, la carabina. Il primo comandante in capo del Corpo fu il Generale d'Armata Giuseppe Thaon di Revel di Sant'Andrea, nominato il 13 agosto 1814.

Il 23 aprile 1815, quindi appena 9 mesi dopo la loro istituzione, perì in servizio il primo di una lunga lista di Carabinieri: Giovanni Boccaccio fu ucciso a Vernante (Cuneo) (Il luogo indicato non esiste, poiché Vernate si trova in Lombardia, in provincia di Milano. Probabilmente si tratta di Vernante, che è realmente in provincia di Cuneo) con un colpo di fucile da un pericoloso fuorilegge evaso dal carcere di Cuneo, Stefano Rosso, detto "il Sardo". Il 25 giugno 1815 con decreto del dal re Carlo Alberto di Savoia vennero adottati i colori del pennacchio (lo scarlatto e il turchino).

In questo progetto si prevedevano molteplici compiti che, in un italiano un po' più moderno del testo originale, suonano così: «Si farà ogni giorno da due carabinieri d’ogni Brigata a cavallo un giro di pattuglia sulle strade principali, quelle di traversa, sulle strade vicinali, nei comuni, casali, cascine ed altri luoghi del distretto di ciascuna Brigata... I Marescialli e Brigadieri marceranno coi Carabinieri per i suddetti giri di pattuglia, anche per i compiti di servizio sia ordinario che straordinario... I Carabinieri arresteranno i malviventi di qualunque specie anche se semplicemente sospetti, colti in flagrante contro i quali la voce dei cittadini richiederà la loro azione».

I casi straordinari d'intervento dei costituendi carabinieri comprendevano anche: furti con scasso, commessi da bande di malviventi, incendi ed assassini; rapine a corrieri governativi, diligenze cariche di munizioni o soldi dello Stato; rapimenti; repressione dello spionaggio; repressione del contrabbando e dell'accaparramento di granaglie e viveri; lotta ai falsari. Il progetto prevedeva la formazione di una sorta di Ministero degli Interni, detto “Buon Governo", con la funzione di sovrintendere all’apparato di polizia, di cui i carabinieri sono la forza militare a disposizione.

Tutto questo lavoro di preparazione culminò con la promulgazione delle Regie Patenti del 13 luglio 1814, che segnarono la nascita dei Carabinieri. Le patenti costituivano un atto ufficiale con il quale si dava formalmente il via a progetti di particolare rilievo per lo Stato e si stabilivano compiti e competenze per il progetto in questione.

Il preambolo dello storico documento, che ci siamo preoccupati di aggiornare nel frasario. esprime in modo sufficientemente chiaro e intelligibile le circostanze della nascita del Corpo dei Carabinieri Reali.

«Per ristabilire ed assicurare il buon ordine, e la pubblica tranquillità, che le passate disgustose vicende hanno non poco turbata a danno dei buoni e fedeli Nostri sudditi, abbiamo riconosciuto che sia necessario mettere in atto tutti quei mezzi, che possono essere confacenti per scoprire e sottoporre al rigore della Legge i malviventi ed i male intenzionati, e per prevenire le perniciose conseguenze, che da simili soggetti, sempre odiosi alla Società, possono derivare a danno dei privati cittadini, e dello Stato. Abbiamo già a questo fine dato le Nostre disposizioni per stabilire una direzione generale di Buon Governo, specialmente incaricata di vigilare al mantenimento della sicurezza pubblica e privata, e di affrontare quei disordini, che potrebbero turbarla. E per avere i mezzi più pronti ed adatti allo scopo prefisso con una forza ben distribuita.

Abbiamo pure ordinato la formazione (che si sta compiendo) di un Corpo di militari, distinti per buona condotta e saggezza, chiamati col nome di Corpo dei Carabinieri Reali. Essi avranno le speciali prerogative, attribuzioni, ed incombenze finalizzate allo scopo di contribuire sempre più alla maggiore prosperità dello Stato, che non può essere disgiunta dalla protezione e difesa dei buoni e fedeli Sudditi nostri, e dalla punizione dei colpevoli». Tra gli articoli che segneranno profondamente la natura dell'istituzione per i secoli successivi vanno anche citati

l'articolo 6: «Le deposizioni dei Nostri carabinieri Reali avranno la stessa forza delle deposizioni dei testimoni»;
l'articolo 11: «I carabinieri Reali non potranno essere distolti dalle Autorità Civili o Militari dall'esercizio delle loro funzioni, salvo in circostanze di urgente necessità, nel qual caso dovrà essere inviata al Comandante del Posto una motivata richiesta scritta, cui lo stesso Comandante dovrà aderire»;
l'articolo 12: «Il Corpo dei Carabinieri Reali sarà considerato nell'Armata il primo fra gli altri, dopo le Guardie del Corpo».
Quello che si configura nelle Regie Patenti del 13 luglio 1814 é dunque un corpo di élite, con ampie competenze in materia di ordine pubblico, la cui funzione di protezione della stabilità interna è considerata talmente importante da venir solo dopo la salvaguardia della persona del sovrano stesso. Questa posizione di preminenza dell'Arma verrà riconfermata in tutti i regimi successivi, fatta eccezione per quello fascista che istituì (ma senza troppo successo, va precisato) un contraltare nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN).

Nei primi dell'agosto 1814 veniva emanato l'apposito "Regolamento per l'istituzione del Corpo", in cui sono fissati e specificati molti ruoli già delineati negli studi preparatori di giugno.

Sempre in quei giorni (3 agosto) una Lettera Patente nomina Presidente Capo di Buon Governo il Generale d'Armata Giuseppe Thaon di Revel di Sant'Andrea, il quale è contemporaneamente Governatore della città, cittadella e provincia di Torino. In quanto Presidente del Buon Governo, il Thaon di Revel è da considerare anche il primo comandante generale del corpo. Sei giorni dopo, insieme alla nomina del "Signor Conte Provana di Bussolino, colonnello comandante d'esso Corpo" con l'incarico di procedere alla formazione del medesimo ed all'assegnazione degli incarichi, la Determinazione sovrana (9 agosto) stabilisce l’articolazione del Corpo in carabinieri a cavallo e carabinieri a piedi, nonché i lineamenti generali della divisa.
La forza con cui i carabinieri cominciano ad operare é di 27 ufficiali e 776 tra sottufficiali e truppa (che allora venivano chiamati Bass'uffiziali e bassa forza). Più precisamente gli ufficiali comprendono: un colonnello con il suo aiutante maggiore, quattro capitani, dieci luogotenenti (attuali tenenti), dieci sottotenenti ed un quartiermastro. Quest'ultimo aveva funzioni logistico-amministrative e si occupava, fra le altre cose, di vitto, casermaggio e assegni. I sottufficiali erano: quattro marescialli d'alloggio a piedi e tredici a cavallo, cinquantuno brigadieri a piedi e sessantanove a Cavallo ed infine 277 carabinieri a piedi e 367 a cavallo. Il maggiore costo della forza montata rispetto a quella appiedata era compensato dalla superiore mobilità e dal maggiore raggio di azione e controllo. Non dobbiamo dimenticare che un uomo a piedi non supera una velocità media di cinque chilometri orari.
Il Corpo venne articolato in Divisioni (corrispondenti agli attuali gruppi territoriali), una per provincia e comandata da un capitano. Ne furono previste dodici, ma quelle costituite immediatamente furono soltanto sei: Torino, Savoia, Cuneo, Alessandria, Nizza e Novara. Ogni divisione aveva sotto di sé una serie di Luogotenenze, guidate da un luogotenente o da un sottotenente. Queste coordinavano l'ultimo anello ordinativo della catena, le Stazioni, che erano capillarmente distribuite su tutto il territorio e comandate da marescialli o brigadieri.

L'obiettivo di costituire una prima linea di difesa territoriale e di coprire sistematicamente il territorio per il controllo della criminalità fu considerato di primaria importanza ed è rimasto praticamente lo stesso fino ai nostri tempi.

Come per tutti i corpi scelti, e in particolar modo per quelli addetti alla sicurezza interna, si pose il problema molto delicato dei criteri di reclutamento.

Da un lato il problema veniva risolto dando accesso quasi esclusivo a chi avesse prestato servizio per quattro anni in altri corpi. Diversamente da quanto avviene oggi (accesso per concorso diretto e reclutamenti annuali con la leva), quella disposizione garantiva la presenza di persone che fossero già pienamente formate alla disciplina ed alla vita militare. La validità di questo concetto è stata ripresa nel corso di questi ultimi due anni da diverse proposte che mirano a restringere nuovamente il reclutamento di tutti i corpi di polizia solo ai volontari a ferma biennale nei corpi militari.

Due ulteriori filtri per l'aspirante carabiniere di allora erano rappresentati dal requisito di statura pari a non meno di 39 oncie (circa un metro e settantacinque) e da quello di saper leggere e scrivere. In un'epoca nella quale l'analfabetismo toccava valori normali almeno dell'80 per cento e la statura media risentiva di una dieta povera di proteine e lipidi, si trattava di requisiti davvero molto severi. Non meno importanti erano naturalmente le caratteristiche politiche del personale reclutato. Molti elementi della precedente Gendarmeria erano stati esonerati dal servizio di quel corpo perché ritenuti fedeli alla monarchia sabauda o perché sospettati di liberalismo dall'occhiuta polizia politica napoleonica. Proprio questi costituirono un nucleo fedele di appartenenti alla neonata istituzione. Altrettanto attenta era la scelta degli ufficiali, anche se si fece particolare attenzione alla loro competenza acquisita nelle armate napoleoniche.

Così la Determinazione sovrana del 9 agosto 1814 fissava con precisione l'armamento nel suo undicesimo articolo: «L'armamento per gli individui del Corpo dei Carabinieri Reali deve consistere in una carabina per quelli a cavallo, ed un fucile per quelli a piedi della qualità la più leggera. Avrà ognuno di essi individui una sciabola, col cinturone a tracolla ... ; ed inoltre per quelli. a cavallo due pistole di fonda». Con il successivo "Regolamento per gli uniformi" (8 novembre) l'armamento fu ulteriormente specificato.
E’ anche facile comprendere che con queste armi era necessario un addestramento meccanico, quasi ossessivo, per tirare con celerità e freddezza sotto il fuoco nemico, e soprattutto che, dopo un po' di fucilate, l'arma risolutiva restava quella bianca, baionetta o sciabola.

Le pistole funzionavano con lo stesso principio, ma non venivano portate sulla persona, bensì agganciate alla sella nella fonda, da cui derivò l'attuale fondina.
Severi erano i regolamenti per il taglio dei capelli e per quel che riguardava barba e baffi. Non si trattava, come potrebbe sembrare, soltanto di una fissazione più o meno tipicamente militare per l'uniformità (la stessa uniforme ha proprio questo significato), ma una preoccupazione di carattere igienico e politico.

Il taglio corto dei capelli si rivelava indispensabile per ragioni estetiche e di disciplina, ma anche e soprattutto per il controllo e l'eliminazione dei pidocchi, una piaga diffusissima in tempi nei quali i livelli di igiene erano molto bassi e non esistevano pesticidi o shampoo efficaci.

Invece capelli e basette lunghi, insieme ai baffi ed al pizzetto, avevano connotati indiscutibilmente rivoluzionari. Non è un caso che tanti patrioti del Risorgimento avessero capelli lunghi e portassero la barba. Chiunque poi ricordi il '68 saprà che anche allora si poteva agevolmente distinguere a colpo d'occhio l'affiliazione politica di uno studente semplicemente dall'insieme del suo abbigliamento.

Il nuovo corpo fu impegnato sul campo per la prima volta nella battaglia di Grenoble, durante l'ultima campagna militare contro Napoleone Bonaparte. Il 6 luglio 1815 un loro squadrone di cavalleria caricò le truppe francesi per il possesso di una piazzaforte alla periferia di Grenoble, mettendole in rotta e contribuendo in modo decisivo alla vittoria.

In quella battaglia si distinse Gerolamo Cavasola, ed il valore dei carabinieri fu dichiarato "maggiore di ogni elogio". Durante quello steso scontro il carabiniere Alessi che per alcuni giorni era stato fatto prigioniero, e riuscito a fuggire fu proposto per la medeglia d'argento.

Nella seconda metà del XIX secolo il Regno di Sardegna giocò un ruolo di primo piano nell'unità d'Italia; durante il Risorgimento tra gli episodi più famosi che videro l'impegno del Corpo ci fu l'invasione della Savoia del 3 febbraio 1834 da parte di un gruppo di fuoriusciti italiani finanziati da Giuseppe Mazzini reduci dei moti del 1821. Questi catturarono il carabiniere a cavallo Giovanni Battista Scapaccino e poi lo uccisero perché si rifiutò di unirsi a loro con il gesto simbolico di gridare "Viva la Repubblica!", preferendo tener fede fino in fondo al giuramento fatto al Re. Alla sua memoria fu conferita una medaglia d'oro al valor militare, la prima in assoluto ad essere registrata sull'albo d'onore dell'Armata Sarda.

In quegli anni le guerre si susseguirono alle guerre e per le riconosciute prove di fedeltà ed efficienza già dimostrate, i Carabinieri furono scelti per assicurare la protezione del Re sui campi di battaglia. Proprio nello svolgimento di questo delicatissimo compito, il 30 maggio 1848 a Pastrengo, durante la prima guerra d'indipendenza, i carabinieri diedero prova di coraggio con la famosa carica: quando il maggiore Alessandro Negri di Sanfront, comandante dei tre squadroni a cavallo di scorta, si accorse che gli austriaci si stavano pericolosamente avvicinando alla postazione occupata dal Re, ordinò una carica (a cui partecipò il re stesso), respingendoli. Questo episodio contribuì in modo determinante alla vittoria finale. La guerra fu persa, ma la successiva partecipazione alla guerra di Crimea riuscì a dare un peso internazionale al Regno di Sardegna. Si combatté, poi, la seconda guerra d'indipendenza, seguita dall'annessione dei piccoli regni in cui l'Italia settentrionale era divisa e dalla spedizione dei Mille e la conquista del centro-sud.



In tutte queste vicende i carabinieri furono sempre protagonisti in qualità di soldati, svolgendo compiti di scorta, di polizia militare, di intelligence, combattendo in prima linea ed adempiendo diversi compiti, tra cui gli arresti di Garibaldi nel 1867.

Per quanto riguarda la sicurezza pubblica, durante il processo di unificazione, onde evitare l'impressione di un'occupazione si attuò un'accorta politica dei piccoli passi: man mano che un nuovo Stato cadeva vi si istituiva un Corpo di carabinieri locale arruolando una parte dei tutori dell'ordine che già vi operavano, come ad esempio Corpo di carabinieri della Toscana.

Nel 1861 l'unità politica era largamente conseguita (Veneto e Stato della Chiesa a parte), e si riunificò anche formalmente la struttura militare e di pubblica sicurezza: il 4 maggio quando l'Armata Sarda divenne Regio Esercito, i diversi corpi di carabinieri confluirono nell'Arma dei Carabinieri Reali che ne divenne la Prima Arma.

In quegli anni i carabinieri si trovarono impegnati soprattutto nel contrastare i briganti, un fenomeno a metà tra il malavitoso e la lotta contro le nuove istituzioni, particolarmente diffuso nei territori che erano stati del Regno delle Due Sicilie, del Granducato di Toscana e della stessa Sardegna. Tra le altre spicca la figura del capitano dei carabinieri Chiaffredo Bergia che per i suoi successi, raggiunti con operazioni solitarie svolte per lo più sotto copertura, si meritò una croce di cavaliere dell'ordine militare d'Italia, una medaglia d'oro, tre d'argento e due di bronzo al valor militare, 15 encomi ed innumerevoli menzioni solenni.

Nonostante lo smacco della terza guerra di indipendenza italiana, si riuscì a completare anche la l'unificazione con l'annessione del Veneto (1866) e Roma con il Lazio (1870) con i carabinieri accanto ai Bersaglieri durante la Breccia di Porta Pia.

Negli anni che precedettero la prima guerra mondiale l'Arma continuò a dividersi tra compiti militari e civili, in patria ed anche all'estero. Nel 1872 in Eritrea si svolse la loro prima missione fuori dai confini durante la sfortunata avventura coloniale italiana. Proprio nella Colonia eritrea vennero costituiti nel 1888 gli zaptié, i carabinieri indigeni, poi reclutati in tutte le colonie italiane. Di quegli anni è anche la prima missione di peace-keeping (Creta, 1897). In Italia si distinsero soprattutto per il soccorso alle vittime del terremoto che colpì lo stretto di Messina nel 1908: in quell'occasione l'Arma fu definitivamente appellata Benemerita, aggettivo associato a loro per primo dal deputato Soldi già nel 1864.

Tra gli altri eventi da ricordare di questo periodo ci sono:

l'istituzione della Banda dell'Arma dei Carabinieri Reali (1862)
l'istituzione dei Carabinieri Guardie del Re (1870) poi Carabinieri Guardie del Presidente della Repubblica (meglio noti come corazzieri)
la fondazione dei primi giornali che trattavano la vita dell'Arma:
Il Carabiniere (1873)
Il Monitore dei Carabinieri Reali (1887)
L'Album del Carabiniere Reale (1887)
la nascita, il 1º marzo 1886, dell'Associazione di mutuo soccorso dei carabinieri reali, antenata dell'odierna Associazione nazionale carabinieri.

L'Italia arrivò alla prima guerra mondiale formalmente schierata con la Triplice alleanza ma la promessa di riconoscimenti territoriali da parte della Triplice intesa, dopo un periodo di neutralità, indussero un deciso cambio di fronte.

I carabinieri furono protagonisti di atti di valore e sacrificio (quanto tragicamente inutile) quali l'assalto alla quota 240 del monte Podgora del 19 luglio 1915 ed il mantenimento della posizione in inferiorità numerica ed in condizioni igienico-sanitarie precarie.

Più che come corpo combattente però i carabinieri furono utilizzati nel loro ruolo di polizia militare durante tutto il conflitto. Durante tulle le operazioni belliche furono impiegati nelle fucilazioni costringendo i soldati delle trincee allo scoperto nei molte volte inutili assalti comandati dal generale Cadorna che costarono centinai di migliai di morti ai soldati italiani. Per scagionarsi Luigi Cadorna (il comandante supremo) non esitò a diffondere un disonorante comunicato che attribuiva la disfatta alla viltà dei soldati, ordinandone la decimazione sul campo, la cui esecuzione ricadde a volte nuovamente sulle spalle dei carabinieri.

Alla fine i Carabinieri morti furono 1423 e 5245 quelli feriti. Anche per onorarli, il 5 giugno 1920 fu concessa alla bandiera dell'Arma la sua prima medaglia d'oro al valor militare.

I primi anni del dopoguerra furono caratterizzati da un'accesa contrapposizione politica, fra la sinistra che sognava la Rivoluzione russa dell'ottobre 1917 e il fascismo nascente, registrando numerosi caduti.

Per far fronte ai tumulti, i carabinieri costituiscono nel 1921 i battaglioni mobili, reparti specializzati per affrontare situazioni in cui l'ordine pubblico è minacciato da folle di dimostranti; in altre occasioni i comandanti delle singole caserme dei carabinieri si opposero alle violenze squadriste come avvenne a Cittadella nel Veneto o alle violenze delle Guardie rosse comuniste come nella riconquista di Empoli dove collaborarono con i fascisti.

Salito al potere Mussolini, questi cercò di mettere in ombra il ruolo dell'Arma dei Carabinieri (dei quali poco si fidava a causa della loro fedeltà al potere monarchico) istituendo una Milizia volontaria per la sicurezza nazionale ed infiltrando lo stesso Corpo degli agenti di pubblica sicurezza. Impose, inoltre, lo scioglimento dei Battaglioni mobili (1923) e, nel tempo, una diversa distribuzione delle competenze: accrescendo la consistenza di milizia e polizia nelle città, relegò sempre più i carabinieri nelle zone rurali.

All'interno dei confini nazionali questi furono anche gli anni della guerra alla mafia siciliana combattuta al fianco di Cesare Mori ("il prefetto di ferro"), dei successi contro i banditi sardi e calabresi e soprattutto è coniato lo stemma araldico (1936).

Il 6 giugno 1937 venne inaugurato e aperto al pubblico il Museo Storico dell'Arma dei Carabinieri " depositario privilegiato dei cimeli, documenti e ricordi che testimoniano l'azione svolta dall'Arma in pace e in guerra". La solenne cerimonia si tenne nella palazzina, di piazza del Risorgimento nel rione Prati a Roma, che fino a quel momento aveva ospitato, a partire dal 1906, la Scuola Allievi Ufficiali dei Carabinieri.

Fuori dai confini l'Italia, con l'appoggio della Germania di Hitler ma contro la Società delle Nazioni, si lanciò nella conquista di un "posto al sole" occupando Eritrea, Abissinia e Somalia (la cosiddetta Africa Orientale Italiana), seguita dall'annessione dell'Abissinia con la guerra d'Etiopia dove caddero in combattimento 208 carabinieri (distinguendosi soprattutto nella seconda battaglia dell'Ogaden del 1936). In tutti questi teatri i carabinieri prima parteciparono ai combattimenti e poi furono incaricati di estendere nei nuovi possedimenti la loro struttura territoriale per garantire la sicurezza e la convivenza pacifica.
Per il valore dimostrato alla bandiera dell'Arma dei Carabinieri fu concessa la prima croce di cavaliere dell'ordine militare d'Italia.

Merita di essere ricordata anche una nuova missione all'estero nel 1935 per garantire la regolarità del referendum sull'Autodeterminazione della Saar.

In seguito alla dichiarazione di guerra del giugno 1940 di Mussolini a Francia e Inghilterra, i carabinieri combatterono su vari fronti: Africa Orientale e Settentrionale, Balcani, Grecia, Russia. Tra i tanti episodi si ricordano soprattutto le battaglie:
di Culqualber in Abissinia (21 novembre 1941) dove il 1º Gruppo Mobilitato dei Carabinieri, senza munizioni e senza rifornimenti da mesi, si immolò quasi interamente combattendo all'arma bianca contro gli inglesi che alla fine gli tributarono l'onore delle armi.
di Eluet El Asel (19 dicembre 1941) dove 400 paracadutisti dei carabinieri appiedati fermarono l'avanzata inglese dando il tempo al grosso dell'armata italo-tedesca di ritirarsi in buon ordine.
Numerosi furono anche gli atti di coraggio dei singoli come quello del carabiniere Giuseppe Plado Mosca che ad Arbusow (Russia Bianca), trascinò con il suo esempio i soldati italiani prostrati dal freddo e dalla fame fino a rompere l'accerchiamento delle truppe russe (22 dicembre 1942), riprendendo la loro disperata ritirata.

Quando Mussolini rassegnò le sue dimissioni nelle mani del Re Vittorio Emanuele III il 25 luglio 1943 dopo essere stato messo in minoranza nella seduta del Gran consiglio del fascismo della notte precedente, uscendo dal Quirinale trovò alcuni carabinieri ad attenderlo per arrestarlo. Furono i carabinieri a tenere in arresto Mussolini sul Gran Sasso fino alla sua liberazione ad opera di paracadutisti tedeschi.

Il Comando generale dell'Arma, prevedendo i tempi difficili che si stavano avvicinando, già il 10 luglio avevano emanato una direttiva che, richiamando il Diritto Bellico Internazionale, ricordava che in qualsiasi circostanza i carabinieri della territoriale devono espletare i loro compiti istituzionali rimanendo al loro posto a fianco della popolazione civile ed assicurare la protezione degli impianti industriali e di pubblica utilità e i carabinieri assegnati alle unità delle forze armate devono seguirne la sorte.
Arrivò l'8 settembre 1943 e l'armistizio con gli Alleati a cui seguirono momenti di grande confusione di cui seppero far tesoro i tedeschi che, meglio organizzati, armati e soprattutto informati, in pochi giorni catturarono e deportarono migliaia di carabinieri italiani, in particolare si ricorda la deportazione del 7 ottobre 1943 di circa 2500 Carabinieri stanziati a Roma che, senza ordini ed abbandonati a sé stessi, non sapevano cosa fare. A Cefalonia la Divisione Acqui fu quasi annientata, le sei divisioni destinate alla difesa di Roma si dissolsero e gli unici a mantenere le loro posizioni furono il Battaglione Allievi Carabinieri ed i Granatieri di Sardegna.

Nei territori controllati dalla RSI I carabinieri nel dicembre 1943 furono inquadrati all'interno della Guardia nazionale repubblicana. Nonostante il clima confuso i carabinieri per la maggior parte rimasero al loro posto. Alcuni di essi, dietro la veste istituzionale, erano anche partigiani e fiancheggiavano o capeggiavano intere formazioni, e contribuirono alla Resistenza (La sola Banda Caruso all'inizio del 1944 ne raccoglieva ben 5.766). Gli esempi del loro spirito di abnegazione sono innumerevoli: Salvo D'Acquisto e Giotto Ciardi, i carabinieri delle stazioni di Fiesole e di San Benedetto del Tronto, i 12 Carabinieri del presidio di Bretto di Sotto.

Alla fine della guerra tra i carabinieri si contarono 4.618 caduti, 15.124 feriti e 578 dispersi. Di questi 2.735 perirono durante la Resistenza e la Lotta di Liberazione ed altri 6.521 restarono feriti. Per il contributo dato alla Resistenza, il 2 giugno 1984 alla bandiera dell'Arma dei Carabinieri è stata concessa la terza medaglia d'oro al valor militare.

Finita la guerra i carabinieri soffrivano profondi problemi di organizzazioni, dovuti anche alle difficoltà indotte dalla ricompattazione dopo lo smembramento del periodo 1943-1945 da cui avevano difficoltà ad uscire. Dopo il referendum del 2 giugno 1946 cambiarono denominazione da "Carabinieri Reali" a "Arma dei Carabinieri".

Dopo aver affrontato gli scontri di piazza dell'immediato dopoguerra ed il terrorismo separatista alto atesino e il banditismo siciliano, negli anni sessanta è nominato comandante generale il generale Giovanni De Lorenzo che avviò piani di riorganizzazione dell'Arma, al fine di renderla più adeguata a fronteggiare le minacce del terrorismo eversivo e della criminalità organizzata.

La fine della guerra portò strascichi di odio che, per via delle tante armi ancora in circolazione, facilmente si trasformava in efferata violenza. Nella loro lotta quotidiana per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblici, nel 1946 ben 101 carabinieri furono uccisi in servizio ed altri 757 furono feriti.
Per fronteggiare la difficile situazione, i carabinieri ricostituirono i loro Battaglioni mobili composti da 9.000 uomini. In ossequio ai risultati del referendum del 2 giugno, il 13 successivo re Umberto II lascia l'Italia non prima di aver sciolto i Carabinieri Reali dal particolare giuramento di fedeltà che li legava alla sua persona.
L'Esercito Regio rinasce nell'Esercito italiano e l'Arma dei Carabinieri Reali venne rinominata "Arma dei Carabinieri", la prima arma del nuovo esercito.

L'8 dicembre del 1949 è un'altra data simbolica per i carabinieri: papa Pio XII, su richiesta del monsignor Carlo Alberto di Cavallerleone (ordinario militare), proclama la Madonna Virgo Fidelis patrona dei carabinieri e fissa al 21 novembre la ricorrenza (anniversario della battaglia di Culquaber).

Quelli erano anche gli anni del terrorismo promosso dal separatismo alto atesino del Comitato per la liberazione del Sudtirolo e del banditismo siciliano di Salvatore Giuliano. I carabinieri risposero a questa sfida formando la Compagnia speciale antiterrorismo a Nord e partecipando, insieme alla Polizia, al Corpo forze repressione banditismo del colonnello dell'Arma Ugo Luca sull'isola.

In entrambi i casi vi furono svariati attentati contro le caserme e le pattuglie dei carabinieri. Nel 1950 fu costituito il Gruppo Carabinieri Somalia nel corso dell'amministrazione fiduciaria italiana del paese africano. Appartenente alla Legione CC di Napoli, restò fino al 1960.

Nel 1962 Giovanni De Lorenzo è nominato comandante generale dell'Arma.
Assunto il comando dell'Arma, presiedette la prima riunione dello stato maggiore confrontandosi con una variegata compagine di ufficiali che, anche nelle uniformi descrivevano le condizioni di confusione nella quale comandi, strutture e procedure dei carabinieri si trovavano da dopo la disfatta bellica, facendo fatica a riorganizzarsi: la guerra persa, nonostante fossero passatati quasi 20 anni, sortiva ancora effetti di non poca gravità, sia nelle esigenze di ricostruzione e riorganizzazione, sia nelle ambascie economiche, che costringevano lo Stato a fare affidamento sui prestiti americani.

Cominciò, così, con l'uniformazione delle uniformi e la richiesta allo staff dello stato maggiore di indicare le ortodosse uniformi ordinarie per ufficiali, sottufficiali e truppa. Proseguì snellendo la burocrazia e l'amministrazione e curò particolarmente la formazione destinando i suoi migliori ufficiali, per periodi più o meno lunghi, alle scuole così che fossero, usando una sua espressione, più preparate a prepararli.

Approfittando della recrudescenza della criminalità nelle città, rinegoziò l'accordo Carcaterra che destinava i Carabinieri alle zone rurali e la Polizia alle aree metropolitane, creò le gazzelle, intuì l'importanza dell'uso degli elicotteri non solo per assolvere compiti militari ma anche di ordine pubblico (soprattutto il contrasto al brigantaggio) e pensò anche ad un numero unico di pronto intervento che non riuscì a realizzare solo per problemi tecnici.
Si presentava nel cuore della notte nelle stazioni periferiche per vedere come veniva interpretato il principio del sempre in servizio, concedeva inattese licenze premio ai meritevoli ma comminava anche dolorose punizioni.
Dettò anche le specifiche tecniche per i fornitori allo scopo di adeguare e rinnovare l'armamento in uso.

Non trascurò neppure la componente militare, con la creazione di una divisione militare, ottenuta dalla riorganizzazione dell'XI brigata meccanizzata che venne armata con 130 carri M47 ed una flotta di autoblindo ed altri veicoli corazzati minori. Volle anche la ricostituzione del battaglione carabinieri paracadutisti.

La fine degli anni sessanta videro i vertici dell'Arma dei Carabinieri al centro dell'inchiesta relativa al cosiddetto Piano Solo.

A partire dalla fine degli anni sessanta e soprattutto settanta, l'Arma è impegnata nella repressione dal terrorismo. Per contrastarlo adeguatamente il corpo rinnovò la sua struttura organizzativa e così nacque il nucleo speciale antiterrorismo (22 maggio 1974).

Il carabiniere più noto fra quelli impegnati nel contrasto al terrorismo eversivo di quegli anni è certamente Carlo Alberto Dalla Chiesa che ebbe, tra l'altro, il merito di intuire che per combattere i terroristi occorreva conoscerne i metodi ed adeguare le tecniche di contrasto. Si cominciò con la creazione del nucleo speciale antiterrorismo dei carabinieri con sede a Torino e da lui diretto che ben presto ampliò il suo raggio di azione prima sul Piemonte e poi sulla Liguria. Con pazienti attività di indagine, infiltrando carabinieri nei gruppi fiancheggiatori e simpatizzanti (centri sociali, università, collettivi, ecc.) e dopo aver ottenuto il pentimento di Patrizio Peci, in pochi mesi azzerò GAP e NAP e scompaginò l'organigramma brigatista arrestandone anche i capi storici (Renato Curcio ed Alberto Franceschini) già nel settembre 1974.

Felice Maritano, classe 1919, aveva combattuto in Africa e, come tanti altri carabinieri, anche nella Guerra di Liberazione meritandosi numerose decorazioni. Nel 1974 chiese di entrare a far parte dal gruppo che il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa stava costituendo. In considerazione della sua grande esperienza la sua richiesta fu soddisfatta diventandone subito una delle figure chiave contribuendo in modo determinante alle indagini che portarono alla cattura di Curcio e Franceschini. Studiando il materiale rinvenuto nel loro covo si riuscì a scoprirne un altro a Robbiano di Mediglia che trovarono vuoto ma non abbandonato, così Maritano si offre per partecipare alla sua sorveglianza per catturare i tre terroristi che si era capito lo frequentassero.

Dopo giorni di appostamenti i brigatisti finalmente si presentano separatamente: alle 13:00 del 14 luglio 1974 è arrestato il terrorista Bassi, alle 21:30 anche Bertolazzi. Entrambi sono bloccati prima di poter impugare le pistole con il colpo in canna che portavano addosso. All'appello mancava solo Ognibene che arriva alle 03:30 del mattino dopo. In qualche modo si accorge della trappola e scappa per le scale inseguito dai militari, che gli intimano di fermarsi. Per tutta risposta Ognibene esplode alcuni colpi di pistola che colpiscono Maritano, il quale continua l'inseguimento sorpassando un altro dei carabinieri e risponde al fuoco.
Ognibene, ferito, stramazza al suolo. Maritano gli si accascia accanto non prima di aver esortato i due colleghi che sopraggiungono di occuparsi del terrorista. Ognibene si salverà. Maritanò morì durante il trasporto in ospedale lasciando la moglie e quattro figli. Il suo fu un funerale blindato, presenti le massime autorità delle Istituzioni con i muri della chiesa e delle strade vicine sporcate da scritte ingiuriose e minacciose.

L'allora tenente Umberto Rocca nel giugno 1975 era comandante in sede vacante della compagnia di Acqui Terme. Il 5 del mese stava perlustrando le colline di Melazzo insieme al maresciallo Rosario Cattafi ed agli appuntati Giovanni D'Alfonso e Pietro Barberis. Cercavano il covo dove era tenuto sequestato Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario della nota casa vinicola, rapito il giorno prima da un commando di cinque brigatisti rossi guidato da Margherita Cagol con lo scopo di estorcere denaro alla sua facoltosa famiglia per finanziare l'organizzazione. Controllando un casolare isolato sulle colline di Arzello, i carabinieri alle 11:30 sono accolti dal lancio di una bomba a mano. Rocca, investito in pieno dalla deflagrazione, perderà un braccio e un occhio; schegge ferirono anche Cattafi. Nonostante le gravissime ferite, Rocca rifiutò di essere soccorso dagli altri carabinieri ordinando loro di proseguire l'azione. Nel successivo conflitto a fuoco perirono il D'Alfonso, raggiunto da diversi colpi di arma da fuoco (morirà dopo alcuni giorni di agonia), e Margherita "Mara" Cagol (compagna di Renato Curcio), mortalmente ferita dopo aver tentato di fuggire insieme ad un altro brigatista. Nel casolare i carabinieri trovarono poi Gancia incolume. A Umberto Rocca, oggi Generale, sarà assegnata una Medaglia d'Oro al Valor Militare che, unitamente a quella assegnata nel 1999 al Luogotenente Marco Coira, sono le uniche due assegnate ancora in vita nel dopoguerra.

Il 31 dicembre 1980, a Roma, viene assassinato dai brigatisti Enrico Galvaligi, generale dell'arma e responsabile dell'ufficio coordinamento delle carceri, come rappresaglia per l'azione delle forze speciali che avevano sedato la rivolta nel carcere speciali di Trani.

Sul fronte della lotta alla criminalità organizzata sempre i Carabinieri arrestarono prima Luciano Liggio primo capo dei "corleonesi", poi Raffaele Cutolo, fondatore e capo della Nuova Camorra Organizzata, e poi anche Totò Riina, capo indiscusso di cosa nostra siciliana. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa venne nominato nel 1982 Prefetto di Palermo per contribuire alla lotta al fenomeno mafioso.

Menzione va fatta anche per il reparto del ROS denominato CRIMOR - Unità Militare Combattente, impiegato dal 1992 al 1997 nella ricerca e la cattura di primari latitanti italiani.

Nel secondo dopoguerra, così come già prima, i Carabinieri sono sempre stati in prima linea nel soccorso delle popolazioni civili vittime di catastrofi naturali meritandosi importanti riconoscimenti:

1951: alluvione del Polesine (Medaglia d'Oro al Valor Civile)
1956: il tragico inverno che flaggello l'Italia (Medaglia d'Oro al Valor Civile)
1963: disastro del Vajont (medaglia d'argento al valor civile)
1966: alluvione di Firenze (medaglia d'oro al valor civile)
1976: terremoto del Friuli (medaglia d'oro al valor dell'esercito)
1980: terremoto dell'Irpinia (medaglia d'oro al valor dell'esercito)
1994: alluvione del Piemonte dell'Emilia-Romagna (medaglia d'oro al valor civile)
senza dimenticare tutte le catastrofi naturali minori che troppo spesso colpiscono l'Italia e vedono i Carabinieri della territoriale tra i primi soccorritori ed un sicuro punto di riferimento nell'organizzazione degli aiuti.

Nel dopoguerra, ed in special modo negli ultimi anni, i Carabinieri sono stati chiamati frequentemente a partecipare a missioni operative all'estero rinnovando una tradizione che risale al lontano 1855, distinguendosi sempre per la loro capacità di assolvere compiti sia militari che di polizia.

Particolarmente significativo è il contributo assicurato dall'Arma con i Reggimenti MSU (Multinational Specialized Unit) operanti nei Balcani nell'ambito delle missioni NATO, la cui origine risiede nella necessità di colmare il security gap, ovvero l'area grigia tra la missione militare e le forze di polizia civile che spesso non sono in grado o non intendono intervenire in operazioni di ordine pubblico.

A partire dal 1982 sono stati in Libano, Somalia, Bosnia, Kosovo, Cambogia, Timor Est, Mozambico, Afghanistan ed Iraq, solo per citare la missioni più importanti.

Oggi i carabinieri impegnati all'estero sono ben oltre mille.

Anche in questo tipo di attività il debito di sangue pagato è stato notevole.

Fino all'anno 2000 l'Arma era parte integrante dell'Esercito Italiano con il rango di "arma" (definita «prima arma dell'Esercito»); attraverso l'art. 1 della legge delega 31 marzo 2000, n. 78 i Carabinieri vengono elevati a forza armata autonoma con rango di forza Armata, nell'ambito del Ministero della difesa.

Ciò permise anche all'Arma dei Carabinieri di avere come Comandante generale un Ufficiale generale proveniente dai suoi ranghi. Il primo comandante generale, proveniente dalle sue stesse fila, è stato nel 2004 il generale di corpo d'armata Luciano Gottardo. In precedenza il comandante generale dell'Arma era tratto da Ufficiali Generali in possesso di peculiari caratteristiche provenienti dall'Esercito.

Nel suo continuo processo di adeguamento per contrastare la criminalità che estende il suo operato in campi sempre nuovi, l'Arma dei Carabinieri nel corso degli anni ha creato nuclei specializzati nei diversi tipi di reato, tra i quali:

15 ottobre 1962: Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente
1º giugno 1965: Servizio aereo carabinieri
3 maggio 1969: Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale
18 ottobre 1977: Gruppo di intervento speciale
1º maggio 1982: Comando carabinieri Banca d'Italia
19 ottobre 1992: Comando carabinieri antifalsificazione monetaria
5 dicembre 1994: Comando carabinieri politiche agricole
1º ottobre 1997: Comando carabinieri per la tutela del lavoro.


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lunedì 16 febbraio 2015

KAMIKAZE IERI E OGGI

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Tutti  i giorni o quasi telegiornali e giornali ne parlano : conosciamoli meglio.

Kamikaze (神風) è una parola giapponese, di solito tradotta come vento divino (kami significa "divinità" — un termine fondamentale nello shintoismo — e kaze sta per "vento"; ka significa inspirare e ze significa espirare). È il nome dato a un leggendario tifone che si dice abbia salvato il Giappone da una flotta di invasione Mongola inviata da Kublai Khan nel 1281. In Giappone la parola "kamikaze" viene usata solo per riferirsi a questo tifone. Internazionalmente questa parola viene generalmente riferita agli attacchi suicidi eseguiti dai piloti giapponesi (su aerei carichi di esplosivo) contro le navi alleate verso la fine della campagna del pacifico nella seconda guerra mondiale.

Gli attacchi aerei furono l'aspetto predominante e meglio conosciuto di un uso più ampio di attacchi — o piani — suicidi da parte di personale giapponese, inclusi soldati che indossavano esplosivo ed equipaggi di navi cariche di bombe. In giapponese il termine usato per le unità che eseguivano questi attacchi è tokubetsu kōgeki tai (特別攻撃隊, letteralmente "unità d'attacco speciale"), solitamente abbreviato in tokkōtai (特攻隊). Nella seconda guerra mondiale le squadre suicide provenienti dalla Marina Imperiale Giapponese furono chiamate shinpū tokubetsu kōgeki tai (神風特別攻撃隊), dove shinpū è la lettura-on (cinese) dei kanji che formano la parola "kamikaze".

Dalla fine della seconda guerra mondiale, la parola kamikaze è stata applicata a una varietà più ampia di attacchi suicidi, in altre parti del mondo ed in altre epoche. Esempi di questi includono Selbstopfer nella Germania nazista durante la seconda guerra mondiale ed attentati suicidi di natura terroristica e militare. L'uso internazionale corrente del termine kamikaze per identificare attentati suicidi di natura terroristica - o di qualsiasi altra natura - non viene adottato dalla stampa nipponica, che invece preferisce jibaku tero (自爆テロ), abbreviazione della locuzione anglo-giapponese jibaku terorisuto (自爆テロリスト, "terroristi autoesplodenti").

Con il termine “kamikaze” infatti ci si dovrebbe riferire esclusivamente a quelli che erano i kamikaze giapponesi, combattenti che avevano tutt’altra impostazione e tutt’altra modalità d’agire rispetto ai terroristi odierni. Kamikaze, infatti, nella cultura nipponica significa “vento divino” e i kamikaze giapponesi erano spinti nel loro agire dal senso dell’onore: tale sentimento li portava ad una difesa disperata del loro paese, difesa che nel loro caso aveva un significato religioso e non opportunista. I kamikaze giapponesi erano assimilabili a sacerdoti che si immolavano per il bene della loro patria: quindi i “veri” kamikaze del passato erano diversi da quelli odierni, che invece si chiamare uomini-bomba, perché questi ultimi, a differenza dei loro predecessori giapponesi, non utilizzano uno strumento in cui loro per primi muoiono ma fanno uso invece del loro corpo per ottenere un effetto mortale per i propri nemici. Questi uomini-bomba, tuttavia, sono stati presenti non soltanto fra i musulmani ma anche, per esempio, fra gli indù (l’uccisione di Rajiv Gandhi è stata portata a termine, infatti, con un uomo-bomba) e proprio in quelle aree anche in passato ci sono già stati diversi precedenti. Successivamente questo tipo di comportamento si è diffuso maggiormente, in particolare tra i palestinesi, ed oggi è utilizzato anche in settori arabi molto diversi fra loro anche se tutti comunque facenti capo nella cosiddetta “Jihad”: l’uomo-bomba è dunque divenuto uno strumento abituale della guerra santa che la nazione araba fa nei confronti dei propri nemici, in particolar modo degli “invasori” israeliani, americani ed occidentali in genere, che da loro sono visti come dei crociati che cercano di invadere il sacro suolo dell’Islam. Quello che li porta a questo tipo di comportamento è la disperazione e la frustrazione: da quasi cento anni, infatti, gli arabi non riescono ad essere nazione, a trovare una unità, a superare militarmente i loro nemici e quindi, in sostanza, non riescono a ritrovare un identità che si è ormai offuscata fortemente e che in taluni casi tende ad essere perduta. Questo, in particolari condizioni, spinge dei giovani, e talvolta anche dei giovanissimi, donne, a compiere quest’azione finale che li trasforma in martiri.Il concetto di martire nel modo islamico è infatti molto importante: i martiri sono quelli che vanno direttamente in paradiso dove sono accolti da vergini e da situazioni di grande piacere, ma soprattutto sono coloro che possono portare con loro in paradiso anche dei parenti, degli amici o comunque quelle persone che loro ritengono le più “degne”. In altri termini i martiri sono qualcosa di più di un sacerdote: in una religione monoteistica, che non ha i suoi santi, essi rappresentano in pratica proprio qualcosa di assimilabile ai santi. D’altra parte, anche la nostra religione ha reso santi i martiri della fede: noi abbiamo avuto dei santi che venivano dalle repressioni di epoca romana, epoca in cui si uccidevano tutti quelli che volevano testimoniare la loro nuova confessione. Ci fu invece un tempo, tra il cinquanta ed il sessanta, in cui si diffuse il movimento dei cosiddetti “non allineati”, movimento che raggruppava molti paesi in via di sviluppo, soprattutto arabi e del Sud America, e che costituiva una minima forza politica che si intrometteva tra il nord ed il sud del mondo e tra l’occidente e l’oriente militarizzati e dotati di Bomba atomica: tale movimento e tali paesi, anche arabi, al tempo, avevano una loro influenza sui destini del mondo ed infatti i leader del movimento dei “non allineati” erano, non a caso, Nasser, il leader degli egiziani, e Neru, il leader dell’India, ovvero i capi di paesi molto popolosi. Poi però il mondo è cambiato perché la cortina di ferro si è divisa con la storica separazione tra Cina e Russia, gli Usa hanno cominciato a giocare su più tavoli, ci fu la guerra fredda ed il successivo superamento della guerra fredda, poi lo sgretolamento della cortina di ferro ed il passaggio da un mondo bipolare ad un mondo in cui c’erano molti poli di riferimento, fino ad arrivare al mondo d’oggi, monopolare, in cui c’è il controllo di un solo impero che, perciò, è stato colpito con tanta brutalità da attacchi, questi sì, kamikaze e che ha risposto dichiarando guerra al terrorismo.
La psicologia dell’uomo-bomba è caratterizzata dall’essere pronto al martirio, e quindi al sacrificio della propria vita. Questo però ha spostato la guerra dal campo militare al campo civile, anche se, per altro, già sappiamo che i bombardamenti non guardano in faccia a nessuno: nelle guerre, ad esempio, non vengono bombardate solo le postazioni militari ma anche quelle civili, spesso anche gli ospedali, e frequentemente non si tratta di errori ma di effetti voluti per terrorizzare ulteriormente le popolazioni. Questi ragazzi-bomba sono persone che, naturalmente fanatizzate da una cultura che affida soltanto alla religione il proprio riscatto e la propria identità, generalmente hanno sofferto nella loro vita di un episodio tragico che li ha colpiti molto da vicino (un fratello, un amico che è morto per mano avversaria) e che hanno introiettato un senso di colpa perché loro sono vivi mentre il fratello o l’amico sono morti; contemporaneamente hanno anche bisogno di vedere un riscatto della propria causa a qualunque costo ed hanno formato la coscienza, la consapevolezza, ottenuta attraverso un indottrinamento speciale, di poter con il loro sacrificio costituire un’arma fortissima, forse più forte dei missili costosissimi con cui gli israeliani, gli americani possono rispondere. Tramite l’autoscarificio, quindi, gli uomini-bomba sperimentano il sentirsi per la prima volta capaci di fare un danno serio al nemico, un danno che non può essere ignorato. Se uniamo a queste motivazioni anche la possibilità di migliorare economicamente la situazione della propria famiglia ed il raggiungimento di obbiettivi, nell’altro modo, spirituali e trascendenti, allora otteniamo un profilo psicologico completo dell’uomo-bomba. Di persone che vivono questa disperazione, purtroppo, se ne formano tutti i giorni attraverso gli atti di vendetta che vengono compiuti da parte di stati che, invece, dovrebbero ragionare e capire meglio le conseguenze delle proprie azioni: ogni volta che un carro armato israeliano va a spianare una cittadina della Palestina si formano due, tre, cinque, dieci uomini-bomba che poi saranno pronti ad assalire le linee nemiche dall’interno obbligando il nemico stesso a costruire dei muri: ogni muro che si costruisce però non fa altro che rinforzare un odio ormai insuperabile e costruire quel clima generale da cui poi nascono altri uomini-bomba.
Uno dei grandi misteri della criminologia è capire perché le donne, che nella criminalità non riescono a superare in nessuna delle culture, il dieci percento rispetto agli uomini, nei gruppi terroristici arrivino, invece, al venti, al trenta e, talvolta, anche al trentacinque percento. Questo accade per tutti i gruppi terroristici e in tutti i gruppi rivoluzionari. Abbiamo avuto donne nella rivoluzione francese, abbiamo avuto donne nella resistenza al nazismo in vari paesi, abbiamo avuto donne nei partigiani di tutti i paesi europei, abbiamo avuto donne nei gruppi terroristici rivoluzionari del Sud America, abbiamo avuto donne nelle Brigate Rosse, abbiamo avuto donne nei gruppi rivoluzionari giapponesi, che pure considerano la donna un po’ diversamente da noi, così come le abbiamo avute, sin dall’inizio, nei gruppi terroristici palestinesi. Quindi la presenza dell’elemento femminile in questi gruppi è alquanto importante e continua ad esserlo anche nelle vicende degli uomini-bomba. Quando la guerra diventa una guerra disperata per la salvezza della propria identità anche le donne la sentono come un loro dovere ed escono da quella posizione ancillare all’uomo intervenendo da protagoniste.
Una definizione internazionale di terrorismo non esiste e questo è grave perché questo impedisce di perseguire il fenomeno per come questo dovrebbe essere considerato, ovvero per un delitto contro l’umanità. La cosa strana è che il terrorismo in tempo di guerra è considerato un delitto contro l’umanità mentre in tempo di pace questo non avviene. Si oppongono a questo gli Stati Uniti, la Russia e la maggior parte degli stati del Consiglio di Sicurezza dell’ONU i quali temono che, qualora si costituisse una definizione condivisa ed universale di terrorismo, qualunque essa fosse, questa potrebbe interessarli in prima persona, allo stesso modo in cui di terrorismo sono stati accusati Milosevic, Saddam Hussein e tutti coloro che hanno fatto uso del terrore ed il terrorismo come strumento politico.

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