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domenica 7 giugno 2015

LA CHIESA DI SAN BERNARDINO A ABBIATEGRASSO



La chiesa di San Bernardino costituisce in Abbiategrasso un esempio notevole del barocco lombardo del XVII secolo, dopo le ristrutturazioni appostate da Francesco Maria Richini.

La chiesa venne originariamente eretta nel XV secolo in onore di San Bernardino che la tradizione vuole essere stato accolto in città nel 1431. Col tempo si sentì la necessità di realizzare una chiesa più grande che potesse accogliere un numero sempre maggiore di fedeli, la cui prima pietra venne posta il 30 agosto 1614. I lavori si protrassero in vari stadi: nel 1686 venne progettato e realizzato il coro, mentre il campanile venne eretto solo nel 1717.

Nel 1567 il padre gesuita Leonetto Clavonio, visitando le chiese del borgo, annotò la presenza nella contrada della chiesa di un oratorio della Confraternita di S.Bernardino, già dei Disciplini, ed accanto una piccola chiesa con l’altare dedicato allo stesso santo. I due edifici erano stati edificati dopo la diffusione del culto al santo, passato da Abbiategrasso nel 1431 e diretto al convento francescano di Vigevano.
Nel 1578 venne fondata la Scuola del SS. Rosario che scelse come luogo di incontro la stessa chiesa e che volle far dipingere per l’altare un’ancona raffigurante la Vergine col Bambino e, genuflessi, i SS. Domenico e Bernardino. L’opera, ora perduta, fu eseguita nel 1589 e benedetta nel 1592.
La compresenza di due confraternite portò alla necessità di costruire una chiesa più ampia, così nel 1604 gli stessi scolari chiesero ed ottennero il permesso di edificarla dal card. Federico Borromeo giunto in visita pastorale.
In un primo tempo il progetto della chiesa fu richiesto a Mons.Mazenta, sovrintendente alle nuove costruzioni ecclesiastiche, che egli fornì con “altri ingegneri”; ma in un secondo tempo la progettazione per una chiesa più amplia fu affidata a Francesco Maria Richino, l’architetto più importante del Barocco lombardo. Di questa progettazione ci è rimasta una citazione nei documenti d’archivio e l’originale del disegno della facciata. La posa della prima pietra avvenne il 30 agosto 1614, ma poiché il progetto era molto al di sopra delle possibilità economiche delle confraternite, la costruzione fu realizzata a tappe e terminata con la facciata oltre un secolo dopo.
Inizialmente si privilegiò l’interno il cui altare maggiore venne benedetto nel 1631.
Nel 1647 fu commissionata agli intagliatori milanesi Gaspare Maulo e Enrico Mauro l’ancona per la cappella di S.Mauro; nel 1671 Cristoforo Ciceri s’impegnava ad eseguire l’ancona in quella di S.Antonio; in un documento del 1688 era menzionata l’esistenza di un organo.
Nel 1686 si pensò di costruire un ampio coro dietro l’altare maggiore, per le riunioni delle confraternite, su disegno dell’architetto abbiatense Federico Piestrasanta che fu di fatto realizzato dopo il 1691.
Nel 1698 venne traslata nell’altar maggiore la statua della “Beata Vergine del Rosario” benedetta nel 1592, fino ad allora venerata in un altare laterale.
Nel 1717 fu edificato il campanile con un concerto di tre campane.
Nel 1722 per il progetto della sacrestia, terminata nel 1731, venne chiamato ancora il Pietrasanta.
Dal 1715 al 1756 circa fu costruita la facciata mantenendo sostanzialmente il progetto del Richino che sembrava fosse andato perduto, ma che fu ritrovato nel 1691.
Nel 1779, durante le soppressioni giuseppine, la chiesa corse il rischio di essere trasformata in “scuola normale” e si salvò solo perché venne riconosciuta come sussidiaria della vicina parrocchiale.
Nel 1820 S.Bernardino fu completamente restaurata grazie al concorso della popolazione che dimostrò così la propria affezione alla chiesa: decine di muratori lavorarono gratuitamente una domenica dopo l’altra per diversi mesi; chi offrì cibo, chi donò materiale edilizio, chi denaro, chi mezzi di trasporto. La decorazione interna venne totalmente rifatta dal pittore abbiatense Giovanni Francesco Marinoni; la decorazione in stucco del nuovo altar maggiore fu commissionata al milanese Diego Marieloni; il tabernacolo venne realizzato dal milanese Carlo Visconti e lo scultore Grazioso Rusca s’impegnò a scolpire la nuova statua della “Beata Vergine del Rosario” simile a quella presente in Duomo sull’altare della Madonna dell’Albero.
La chiesa conobbe anche gli orrori della guerra quando, nel 1859, venne trasformata in ospedale per il ricovero dei feriti reduci dalla battaglia di Magenta.
Da allora iniziò per l’edificio un lento degrado a cui si pose termine solo in anni recenti: come la vediamo oggi è il risultato del restauro promosso dal Lions International Abbiatense ed eseguito negli anni 1985-1988 anche col contributo di Enti pubblici e privati.

Il complesso è orientato in modo inconsueto secondo l’asse Nord-Sud per rispettare l’accesso obbligato da via Borsani ed è costituito da elementi realizzati in tempi diversi e, quindi, ben distinti ed individuabili: la facciata ricca ed elaborata, il campanile di gusto barocchetto, la navata severa ed essenziale con le strette cappelle, la nuova sacrestia, lo sproporzionato coro rettangolare.
La slanciata facciata, realizzata nella prima metà del ‘700 e quindi molti anni dopo la progettazione del Richino avvenuta probabilmente tra gli anni trenta e quaranta del Seicento, mantiene sostanzialmente le caratteristiche originarie. E’ in granito, salvo le specchiature tra le lesene, intonacate. Presenta due ordini di lesene, con capitelli ionici nel primo e corinzi nel secondo, che sostengono il timpano triangolare con cartiglio e soprastanti anfore e sul colmo la statua della Madonna.

Il portale, contornato da lesene a capitelli corinzi, termina con un elegante timpano curvilineo.
Ai lati, nel primo ordine, vi sono due nicchie contenenti le statue di S.Francesco e di S.Bernardino e due cartelle decorate con figure di vescovi. Nel secondo ordine, la bella finestra settecentesca è arricchita da movimentata cornice e festoni. Ai fianchi sono presenti le caratteristiche volute a riccioloni.
Il campanile, nato come elemento a sé stante nel 1717, si inquadra bene nell’insieme. Si tratta di una slanciata torre, ritmata da marcapiani modanati che racchiudono riquadri con cornici mistilinee. Le finestrine aumentano di altezza ad ogni piano, la cella campanaria, delimitata da parapetto a balaustra con colonnine, termina con una cuspide barocca a bulbo di rame su basamento ottogonale in muratura.

L’interno è caratterizzato da navata unica coperta a volte su quattro campate: quelle di testa sono più strette ed a botte, quelle centrali sono più ampie ed a vela per permettere l’apertura delle finestre. Le massicce lesene hanno capitelli ionici e portano una ricca trabeazione.
Nell’aula si aprono otto cappelle rettangolari e poco profonde, coperte a botte.
La zona dell’altar maggiore, coperta con volta a botte leggermente più bassa di quella della navata, è divisa dal coro da un arco a sesto ribassato.

Entrando, nella seconda nicchia a sinistra troviamo la cappella di Sant’Antonio in cui vi è un altare della fine del ‘600 in stucco dipinto con mensa rettangolare sormontata da ancona dipinta di bianco, fiancheggiata da colonne tortili corinzie rette lateralmente da due angeli e riccamente decorata nel timpano curvilineo.
La statua del Santo, di legno scolpito stuccato e dipinto, è opera devozionale del sec.XVIII probabilmente dovuta ad un artigiano locale.

Segue la cappella di San Pietro martire il cui altare di marmo, realizzato nella seconda metà del ‘700, presenta una linea imponente e severa: su base rettangolare con paliotto in marmo grigio e giallo, si imposta l’ancona fiancheggiata da colonne libere in marmo nero con capitelli compositi e conclusa da un timpano spezzato, decorato al centro da un fastigio mistilineo in marmi misti.
Nell’ancona vi è una nicchia contenente al centro la statua di S.Pietro martire, di legno scolpito stuccato e dipinto, descritta per la prima volta dal card.Pozzobonelli nel 1756, al lato destro quella di S.Lucia e al lato sinistro della di S.Apollonia già menzionate dal card.Archinto nel 1703.

L’altar maggiore fu realizzato in stucco dal milanese Marieloni nel 1820 ed in esso venne inserita la bella statua della “Beata Vergine del Rosario” modellata nello stesso anno dal Rusca. Fanno da cornice i 15 misteri del Rosario. Le piccole tele, che secondo dati documentari potrebbero risalire alla fine del sec. XVI o agli inizi del successivo, sembrano essere state ridipinte totalmente o rifatte nel sec. XIX, forse in concomitanza con la costruzione del nuovo altare.
Sull’arco trionfale, inserito in una decorazione a stucco settecentesca raffigurante due angeli seduti tra volute e festoni, vi è un olio su tela di scuola lombarda del sec.XVII rappresentante S.Bernardino da Siena.
Il Crocifisso, di legno intagliato stuccato e dipinto, è opera devozionale ascrivibile all’artigianato lombardo del sec. XVII.
Dietro l’altare maggiore è ubicato l’ampio coro che occupa interamente le tre pareti dell’abside. Posto su una pedana liscia, è composto di 34 stalli e cattedra al centro decorati nello schienale da specchiature mistilinee. L’opera, citata dal card.Archinto nel 1703, fu realizzata da maestranze lombarde alla fine del ‘600. Nell’abside è visibile la tela raffigurante “l’Adorazione dei Pastori” di ignoto pittore lombardo dell’inizio de sec. XVIII.

Dalla parte destra del coro si accede alla sacrestia edificata tra il 1722 ed il 1731. Vi sono conservati un mobile di legno intagliato e radica del sec.XVIII; in una nicchia del muro, un busto in terracotta e di pelle dipinte raffigurante “San Carlo Borromeo” di ignoto scultore lombardo del sec.XVII; in una nicchia di un mobile, una statua della “Vergine addolorata” di terracotta dipinta di ignoto artigiano lombardo del sec. XVIII.

La terza cappella a destra è dedicata alla Madonna dei Sette Dolori.
L’altare in stucco dipinto ad imitazione del marmo, rosso e rosato, è formato da mensa a forma di parallelepipedo fiancheggiata da alti plinti su cui poggiano due colonne tortili in marmo nero con capitelli corinzi, sormontate da timpano in stucco con angioletti lavorati a tutto tondo. Esso può essere stato realizzato da stuccatori lombardi attivi nella seconda metà del sec. XVII. Ai suoi lati due statue in stucco raffigurano i profeti Isaia e Simeone.
Al centro del dossale è posta la pala della “Madonna dei Sette Dolori” che, per l’impostazione dell’impianto ancora cinquecentesco, può essere considerata un’opera di pittore lombardo attivo alla fine del sec. XVI, vicino ai modi di Camillo Procaccino. Essa è citata fin dal 1604 e successivamente ricordata nelle visite pastorali del 1703 e del 1756.

La seconda cappella a destra, detta di San Mauro, presenta un altare, posteriore al 1756, composto da mensa con fronte mistilinea e paliotto decorato da cartiglio di marmo grigio, giallo e rosso. Alla sommità vi è, su cornice di marmo nero, un fastiglio mistilineo con medaglione. Il tabernacolo è a tempietto.
Al centro del dossale la tela che rappresenta “San Mauro che risana gli ammalati” è un dipinto d’ignoto che porta su retro la data 1740.

La prima cappella a destra, detta del Crocifisso, contiene un Cristo in croce che, per l’intenso espressionismo e il modellato asciutto, è da considerarsi opera di artigianato lombardo della fine del sec. XVI o inizi del successivo. Solo un angelo reggente i simboli della Passione, dei quattro che l’adornavano, si è salvato dai furti. La statua è ascrivibile ad artigianato lombardo del sec. XVIII. Interessante, per la vicenda a cui è legata, è la lapide collocata davanti all’altare con l’iscrizione “1754 Sepolcro per li defonti giustiziati”. Infatti li vennero seppelliti dal 1754 al 1772 i condannati a morte, cioè coloro che venivano giustiziati per essersi macchiati di gravi delitti, per lo più briganti che in zona rapivano ed uccidevano. I Confratelli dei Disciplini ricevevano dal Podestà di Abbiategrasso una copia della sentenza e l’invito a compiere il pietoso ufficio. Da quel momento essi assistevano il condannato in cella, facevano celebrare messe per lui, lo persuadevano a confessarsi, gli portavano cibarie, infine ne raccoglievano il corpo straziato dandogli pietosa sepoltura in questo luogo.

Opera di pregio è l’organo che si trova sulla controfacciata: fu infatti costruito nel 1853 dai fratelli Prestinari, prestigiosa famiglia di organari magentini.




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LA CHIESA DI SAN PIETRO A ABBIATEGRASSO

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La chiesa di San Pietro con annessa cappella della Madonna, battistero e locali deposito, e a destra dell'abside, dall'alto campanile barocco. I muri perimetrali sono in laterizio a mattoni pieni a vista nella chiesa e intonacati esternamente nel campanile. Le strutture orizzontali nella chiesa sono costituite da volte e cupole in muratura e da solai in laterocemento, mentre nel campanile vi sono alcuni solai in legno e altri in laterocemento. La copertura della chiesa è mista a falde e a padiglione con colmi differenziati e manto in coppi di laterizio; il cupolone è coperto da tetto a pianta circolare con forma a cono in lastre di rame. Elemento caratteristico del campanile è la copertura a bulbo in rame.

Costruita negli anni 1753/1763 su disegno dell'architetto Francesco Croce l'esterno si presenta in mattoni a vista,alla fine del 1800 la cupola fu intonacata e nel 1927 furono posti i portali in cemento ai quattro ingressi.

L'attuale chiesa fu costruita sull'area di una precedente e di epoca medievale, la quale a sua volta aveva rimpiazzato, molto probabilmente, una piccola cappella che era servita per il culto cristiano durante il periodo longobardo. Lo rivela la stessa denominazione di S. Pietro Apostolo, che insieme a S. Andrea di Casterno, S. Giovanni Battista di Robecco, S. Michele di Besate tutti Santi venerati in modo speciale dai Longobardi, sono un sicuro riferimento a quel popolo.

Anticamente l'assistenza religiosa della popolazione con il culto domenicale era assicurato da un canonico dell'antica chiesa plebana di Corbetta dedicata al martire Vittore, presso la quale esisteva l'unico fonte battesimale, finché nel 1340 divenne rettoria autonoma pur facendo parte della pieve di Corbetta.

Questa situazione. è durata fino al 1578 quando, in seguito alla Visita Pastorale di S. Carlo Borromeo, la porzione di abitato entro la fossa viscontea venne stralciata dalla parrocchia di S. Pietro ed eretta in parrocchia autonoma destinando come sede della cura d'anime la chiesa di S. Maria Nuova fatta costruire dalla confraternita della Misericordia nel 1365, elevandola in pari tempo a prepositurale staccandola dalla pieve di Corbetta.

Il provvedimento si era reso necessario per il fatto che, da quando si era costruita S. Maria Nuova, la popolazione conveniva tutta a quella chiesa, trascurando completamente S. Pietro. San Carlo, con quel provvedimento, richiamò fortemente la presenza dell'antica primitiva sede parrocchiale, destinando ad essa la cura d'anime del sobborgo e le numerosissime cascine della vallata del Ticino.

Un altro smembramento subì la parrocchia di S. Pietro alla morte del parroco don Ottavio Paronzini nel 1942 quando tutta la parte sud della città venne assegnata a S. Maria Nuova. Un'ulteriore riduzione della Parrocchia di San Pietro avvenne nel 1972 in seguito alla formazione della Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù comprendente il rione della Riva con la chiesa sussidiaria di S. Rocco e una parte della Parrocchia di S. Maria.

L'interno dell'edificio, a croce greca, è in stile barocco abbastanza sobrio, comprende tre navate con quattro pilastri che sorreggono la cupola centrale, mentre sopra il presbiterio e nella parte alta della controfacciata e agli angoli delle navate laterali la copertura è formata da cupolette abbassate,o tazze,che conferiscono all'insieme un senso di leggerezza e di armonia.

Nel 1889, dopo un radicale restauro conservativo, la chiesa venne decorata e affrescata: sono ben 22 gli affreschi eseguiti dal pittore Davide Beghè di Milano, allievo del Valtorta che aveva affrescato in precedenza la chiesa di S. Maria Nuova. Le decorazioni, specie nei sottoarchi, molto delicate, quasi color pastello, conferiscono a tutto l'ambiente una visione piacevole e riposante, le pareti ai lati del presbiterio hanno due affreschi del pittore Fumagalli di Lecco eseguiti nel 1935.

Alle pareti sono appesi grandi quadri che raffigurano episodi della vita di S. Pietro. Si tratta di dipinti ad olio su tela del secolo XVII e quindi trasferiti dalla vecchia chiesa. Vi si possono ammirare anche quadri del pittore Guido Bertuzzi di Milano e in particolare i 14 quadri della Via Crucis. Si tratta di una interpretazione in chiave moderna, come è nello stile del pittore, ma che non mancano di suscitare ammirazione e devota contemplazione.

Gli altari sono tre: quello maggiore costruito in marmo nel 1805 su disegno del cavalier Giudici di Milano, eseguito dal marmorino Davide Argenti di Viggiù e gli ornati sono del ramaro Galletti di Milano. Nel 1983 il presbiterio fu adeguato alle nuove norme liturgiche, e l'altare, insieme a tutta la chiesa, fu consacrato  il 30 ottobre 1994 dall'Arcivescovo di Milano Cardinale Carlo Maria Martini.

Al fondo della navata di destra c'è l'altare della Madonna della Neve. Si tratta di una ancona di legno. pregevole che racchiude il dipinto raffigurante il miracolo della caduta della neve a Roma il 5 di agosto del IV secolo.

Questo avrebbe dato origine alla costruzione di S. Maria Maggiore in Roma. La pala in oggetto è olio su tela con la firma e la data dell'autore: Giambattista Discepoli, detto "lo zoppo di Lugano", 1645.

Al fondo della navata di sinistra c'è un altare in marmo, opera dei marmorini di Viggiù. La pala, olio su tela, raffigurante la Madonna con i santi Sebastiano e Carlo è firmata con Fr. Bernardino e datata 1628.

Entrando in chiesa subito a sinistra si trova la cella con la statua lignea del santo Patrono, opera della Val Gardena del 1950 circa.

Le vetrate dell'abside, della cupola e del battistero furono realizzate dalla ditta Taragni di Bergamo su disegno del pittore Trento Longaretti negli anni '70.

Il pavimento marmoreo, con il sottostante impianto di riscaldamento, fu voluto dal Parroco Ercole Tettamanzi nel 1963.

Un ultimo sguardo all'organo a canne. Questo strumento è situato nella controfacciata sopra l'ingresso principale, costruito nel 1821 è opera 391 dei famosi organari Fratelli Serassi di Bergamo. Venne restaurato nel 1996 dalla ditta Mascioni di Cuvio.
Il Battistero venne ricavato nel 1975 da un precedente ripostiglio delle sedie che era stato trasformato in altare del S. Cuore. L'attuale Battistero si compone di una vasca a forma di sarcofago raffigurante il sepolcro da cui esce il Cristo risorto, che dà origine al popolo dei salvati.

Il mosaico della volta raffigura il paradiso, al quale sono destinati i battezzati. Il disegno e le sculture in bronzo sono del prof. Giovanni Magenti. A lui si deve anche il porta-cero pasquale. Vi è collocata anche la penitenzieria e vi si possono ammirare quadri del pittore Bertuzzi.

Accanto alla chiesa l'architetto Croce ha progettato anche l'oratorio della Confraternita. Originariamente indipendente, con accesso proprio, dalla vecchia strada per Robecco, adesso comunica con l'aula ecclesiale ed è stato trasformate in cappella delle devozioni.





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LA CHIESA DI SAN GAETANO A ABBIATEGRASSO

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La chiesa di San Gaetano è la più recente tra le chiese della parrocchia di Santa Maria Nuova. Inaugurata nel 1955 con l'annesso oratorio, nonostante la breve storia ha comunque subito continui rimaneggiamenti di cui ultimi in ordine di tempo sono stati l'apposizione della imponente vetrata absidale, negli anni '90, e la realizzazione di un nuovo sagrato, nel 2002.

La Chiesa di San Gaetano ad Abbiategrasso è un tipico esempio di architettura religiosa in uso negli anni ’50 dello scorso secolo. Nell’immediato Dopoguerra e grazie al boom economico le città cominciarono a mutare d’aspetto, nelle periferie spuntarono le prime fabbriche affiancate dai quartieri residenziali per gli operai. Il crescente afflusso di popolazione e di famiglie che occuparono queste zone fu il motore principale del desiderio di costruire nuove chiese per nuovi quartieri.

San Gaetano venne ultimata nel 1955 con la firma dell’architetto Galesio e nella sua struttura originaria, rimasta intatta anche dopo il recente rifacimento degli interni, sembra ricordare in effetti proprio il capannone di una fabbrica. Un particolare che si è voluto conservare durante il restauro, soprattutto come memoria affettiva, è la controfacciata in mattoni a vista con inserti di vetro colorato.

Dobbiamo ricordare che il mattone è infatti un materiale altamente significativo e di antica tradizione delle nostre zone: le grandi cattedrali lombarde sono state costruite in laterizio, il materiale più semplice da reperire grazie all’abbondante presenza di argilla nel territorio. E così, come la casa dell’uomo era costruita in mattoni, anche la casa di Dio veniva eretta con lo stesso materiale.

Nel rifacimento degli interni l’accento è stato posto sul colore e sulla luce. La navata principale è un percorso di luce che guida verso l’altare, un cammino di vetri colorati che parte dalle tonalità più fredde dei verdi e degli azzurri, legate alla terra, e prosegue, mano a mano, con colori sempre più caldi che in prossimità dell’altare divengono pastello, per raggiungere un equilibrio di emozioni.

La vetrata dell’abside, su disegno di Don Domenico Sguaitamatti, ha come tema centrale la Redenzione ed è suddivisa in tre parti. A sinistra è rappresentata la creazione, i colori blu richiamano le acque primordiali, i gialli l’opera creatrice, mentre nell’aria si libra la colomba dello Spirito. Nello scomparto centrale vengono rappresentate l’uva e la spiga, ossia il vino e il pane, simbolo dell’Eucarestia e la figura di Gesù Cristo in atto di salire al cielo liberandosi dal sudario del sepolcro, rappresentato dalle bende bianche che si disfano. A destra è rappresentata la nuova creazione, le forme geometriche che ricordano delle case rappresentano la Nuova Gerusalemme mentre le tessere rosse posizionate come una pioggia di gocce richiamano alla mente il sacrificio dei martiri, sinonimo di completo dono di sé.

La volta della chiesa si rifà alla tradizione delle antiche cattedrali dove veniva dipinto il firmamento quasi a voler sfondare il tetto della costruzione per cercare un incontro diretto tra cielo e terra. Nella prima campata è rappresentata la Luna, l’astro simbolo della Vergine, nelle campate successive sono disegnati i segni zodiacali che scandiscono il tempo, per giungere infine all’abside dove è rappresentato il sole, Sole di giustizia, Cristo. L’ambone, l’altare, la sedia del presbitero e il tabernacolo sono realizzati in tufo di Lecce, una pietra che ha la caratteristica di essere molto porosa da sembrare, simbolicamente, ‘il pane spezzato’.

Il rifacimento della Chiesa a cura di Don Domenico Sguaitamatti e dell’architetto Rondena ha avuto luogo tra il 2011 e il 2013. All’interno della chiesa gli artefici hanno voluto racchiudere, nella forza del colore e della luce, moltissimi particolari simbolici che aspettano di essere scoperti e meditati.

L'abside è caratterizzato dalla stupenda vetrata, di grande impatto emotivo, raffigurante la Resurrezione di Cristo, realizzata su disegno di Don Domenico Sguaitamatti e portata a termine grazie al contributo dell'associazione cittadina "la cappelletta" e delle offerte in memoria di Andrea Tecco, un giovane oratoratoriano perito in un incidente stradale.
Nella navata di sinistra sono presenti due simulacri lignei raffiguranti la Madonna con Bambino e San Gaetano, opere dello scultore gardenese Ferdinando Perathoner.
Accanto ad essi sono esposti due stendardi realizzati attorno al 1930 ed appartenuti ai "luisin" e ai "crociatini", due gruppi giovanili dell'allora oratorio cittadino di San Luigi, che venivano portati nelle processioni liturgiche.
In fondo alla chiesa, tra i due confessionali, è posizionata un'altra statua in legno raffigurante San Padre Pio, offerta nel 2003 in memoria di Matteo Turri, un ragazzo dell'oratorio scomparso prematuramente.
Al termine della navata di destra è stata ricavata una piccola cappellina in quella che in passato era la sacrestia, ora ospitata nello spazio delimitato dalla vetrata.
Appesi alle pareti della chiesa vi sono dodici quadri raffiguranti gli apostoli. Il ciclo pittorico è stato realizzato da dodici pittori abbiatensi in occasione dell'anno giubilare del 2000.
Da segnalare inoltre la tela dipinta dalla pittrice Nicoletta Soresini e raffigurante Gesù tra i bambini, posizionata a lato dell'altare.
Sul sagrato, rifatto completamente nel 2002, trovano spazio, infine, una statua che simboleggia la Predicazione del Vangelo, realizzata dalla Soresini e una una cappellina con la Madonna con Bambino, offerta nel 2002 dal "Gruppo Alpini di Abbiategrasso" in occasione degli ottant'anni dalla fondazione.




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LA CHIESA DI SANT'ANTONIO ABATE A ABBIATEGRASSO

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La chiesa di Sant'Antonio abate è a navata unica con pronao, due cappelle laterali, presbiterio, sacrestia e campanile (inglobato in parte nella chiesa e sacrestia). I muri perimetrali sono in muratura a corsi regolari in laterizio a mattoni pieni, mentre il pronao è sorretto da quattro colonne in granito. Il corpo principale è coperto da volte a botte e a crociera in muratura, il pronao da volta a schifo a pianta rettangolare e la sacrestia da volta a schifo lunettata. Il campanile ha invece alcuni solai in legno ad orditura semplice ed altri sono stati sostituiti in laterizio. La chiesa è coperta con tetto a capanna a due falde asimmetriche e falde a padiglione sulle cappelle laterali, pronao e presbiterio. La struttura della copertura è in legno con travi poggianti su muri e manto in coppi. Il campanile ha tetto a padiglione a pianta quadrata con manto in rame.

La chiesa parrocchiale di Castelletto di Abbiategrasso si trova in una posizione fondamentale, nel punto esatto in cui il Naviglio Grande curva a 90° in direzione di Milano. La posizione particolarmente favorita ha sempre reso questo luogo un punto di preghiera privilegiato per i naviganti e questo giustificherebbe anche l'antichità della sua realizzazione. La struttura, secondo i documenti pervenuteci, sarebbe sorta in concomitanza con l'escavazione del Naviglio a partire dal 1180 anche se abbiamo dati certi su di essa solo a partire dalla fine del XV secolo.

La chiesa era una cappella e rimase tale sino al 1609 quando gli venne concessa la dignità parrocchiale che ancora oggi conserva. Il primo parroco fu Gian Domenico Pessina (o Piscina), appartenente a una delle più nobili famiglie di Abbiategrasso, il quale si operò grandemente per ingrandire la chiesa a proprie spese e renderla più gradevole per la comunità facendola affiancare anche dalla casa parrocchiale. Egli morì in Castelletto nel 1629 nella famosa peste descritta dal Manzoni.

La chiesa si presenta esternamente con forme semplici, avente un portico prospiciente l'ingresso con colonne granitiche e un piccolo campanile.



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LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : ABBIATEGRASSO



Abbiategrasso è un comune italiano  della città metropolitana di Milano, situato a circa 22 chilometri a sud-ovest dal Duomo di Milano, centro cittadino del capoluogo.

Il territorio di Abbiategrasso è compreso per una buona parte nel Parco del Ticino e nel Parco Agricolo Sud Milano; l'abitato di Abbiategrasso sorge a cavallo del ciglio del dislivello formato dalla valle del Ticino e lungo la Linea dei Fontanili, la quale divide l'alta Pianura Padana dalla bassa Pianura Padana.

Pur non essendo fortemente popolato è il comune con la superficie più vasta nella provincia dopo il capoluogo.

Abbiategrasso è uno dei pochi comuni rurali che possieda un suo stemma già dal 1400; forse perché aveva ottenuto il potere di emettere sentenze in materia giudiziaria sin dal 1373, per le cause civili, e dal 1437 per quelle penali. Il più antico stemma che si ricordi risale al XV secolo ed è stato rintracciato su un marchio a secco riprodotto su un documento cartaceo in cui si vede San Pietro, antico protettore della città, che sostiene uno scudo in cui campeggia un leone rampante. A colori, invece, il primo stemma della città è stato possibile rintracciarlo su una bolla di papa Paolo III del 24 aprile 1544 in cui è rappresentato un leone rampante di rosso, senza corona, su un campo di colore argento. L'ultima sua trasformazione risale al 1930 quando, variati gli smalti, il leone è stato sormontato da una corona all'antica d'oro.

Le origini della città si collocano in epoca celtica (6° secolo a.C.), a cui è seguito lo sviluppo avvenuto in epoca romana (tra il 1° e il 5° secolo d.C.) lungo l'antica strada Mercatorum. l'antica strada dei commerci che attraversava da sud-est a nord-ovest la Pianura Padana lungo la terza balza del Ticino.
Il nome deriva dal termine celtico Habiate (che significa "abbondanza di acqua") e dal termine Grasso, aggiunto in epoca medievale ad indicare la Valle Grassa in cui ci troviamo (così chiamata per la fertile campagna che ci circonda).
Dopo la caduta dell'impero Romano entrò a far parte dei territori dei Longobardi e, nell'alto medioevo, entrò a far parte dei beni di proprietà dell'Arcivescovo di Milano (è citato nel testamento del 1034 dell'Arcivescovo Ariberto).
Il primo nucleo di Abbiategrasso si è sviluppato intorno all'attuale Chiesa di San Pietro; si è poi sviluppato il quartiere San Martino (dove si trova la Chiesa di Santa Maria Vecchia) e solo nell'epoca dei Comuni si è sviluppato il borgo con le mura che ancora conosciamo.
Seguì infatti strettamente le vicende del ducato milanese, diventando possesso e luogo di svago prima dei Visconti e poi degli Sforza.
Durante il Risorgimento fu punto d'incontro per i patrioti che si battevano per l'Unità d'Italia.

Abbiategrasso oggi è il più importante centro agricolo-industriale a sud-ovest di Milano, da cui dista circa 22 km.
Il suo territorio giunge fino alle sponde del fiume Ticino ed è attraversato da numerosi canali artificiali, il più importante dei quali è il Naviglio Grande, scavato intorno al 1177 per collegare il capoluogo lombardo con il Ticino.

Nel comune si denotano attività legate a tutti i settori produttivi: primario (cerealicultura, con particolare prevalenza per riso e mais), secondario (industrie alimentari, tessili, meccaniche ed elettroniche di una certa notorietà vi hanno stabilimenti o sedi) e terziario.

Solo il 16% del territorio comunale è urbanizzato o urbanizzabile, mentre l'84% può essere sfruttabile dall'attività agricola.

Il castello fu costruito nel 1280 da Ottone Visconti e poi ampliato nel 1381 da Gian Galeazzo Visconti e successivamente da suo figlio Filippo Maria Visconti nella prima metà del 15° secolo per rendere sempre più piacevole il soggiorno della sua amante Agnese del Maino e della sua unica figlia legittimata Bianca Maria Visconti.
Dopo il periodo Visconteo e quello Sforzesco, durante la dominazione spagnola, ha subito un progressivo declino fino alla decisione di abbatterlo che fortunatamente non fu eseguita completamente.
Oggi è sede della biblioteca, di uffici Comunali e della Pro Loco di Abbiategrasso e, tra i castelli Viscontei, è quello che conserva intatta la maggior porzione di affreschi tra cui spicca, ripetuto ossessivamente il motto della famiglia Visconti, coniato da Francesco Petrarca, "a bon droyt".

La struttura originale della chiesa di Santa Maria Vecchia risale al XII secolo quando fu costruito in prossimità al Castello Melegazario (10° secolo), oggi non più esistente.
La Chiesa venne certamente ricostruita nelle forme attuali nel XV secolo.
Nel 1570 S. Carlo Borromeo ordinò di invertire l’ingresso della chiesa in modo da ricavare una cappella interna per le monache di S. Maria della Rosa.
In seguito alla soppressione del 1784 la chiesa fu trasformata in una filatura, poi caserma e infine scuola elementare.
Oggi la struttura è destinata a scuola di danza, studio di architettura ed abitazioni private.
La Basilica Romana Minore di Santa Maria Nascente fu costruita nel 1365.
Ha subito numerosi rimaneggiamenti, i più importanti dei quali eseguiti nel 18° secolo dall'Architetto Francesco Croce.
Lo splendido quadriportico che la fronteggia è stato costruito nella seconda metà del 15° secolo ed è stato erroneamente attribuito a Donato Bramante.
All'interno del quadriportico è presente l'oratorio cinquecentesco Dell'Addolorata che ha dato forte impulso alla devozione degli abbiatensi verso l'Addolorata che è arrivata ad essere la festa più importante del borgo (addirittura più importante della festa patronale di Santa Rosa da Lima).

L'antica chiesa di San Bernardino fu costruita (con l'anomalo orientamento nord-sud) dopo la diffusione del culto del Santo che fu di passaggio nel Borgo nel 1431; originariamente era molto più piccola di quella attuale ed era utilizzata come sede dai membri della Confraternita di San Bernardino.
Il Cardinale Federico Borromeo ne suggerì l'ampliamento quando divenne sede anche della Scuola del SS. Rosario.
La sua realizzazione richiese circa un secolo per le difficoltà economiche che dovettero affrontare le due confraternite; la facciata fu invece realizzata nel corso del Settecento, apportando solo poche modifiche al progetto seicentesco dell'architetto Francesco Maria Richino, principale esponente del barocco milanese. Il campanile, dal caratteristico bulbo in rame, è stato realizzato nel 1717.
Durante la Battaglia di Magenta del 1859 venne utilizzata dall'esercito francese come ospedale.
Ciò, unito al fatto che tutte le statue all'interno sono di santi protettori della salute, ha fatto sì che la Chiesa venisse chiamata dagli abbiatensi "il Poliambulatorio".
Dalla metà del Settecento gli scolari assunsero il compito di seppellire i giustiziati, che si erano macchiati di gravi delitti, nella fossa comune davanti all’altare del Crocefisso che è in stile spagnolesco e ha capelli veri e braccia e occhi mobili che ne consentivano la deposizione il venerdì santo.
San Pietro Apostolo fu la prima parrocchia del primo borgo abbiatense.
Il culto di San Pietro era legato al desiderio dei longobardi di sancire l’unione con la Chiesa di Roma.
Sulle rovine dell'originaria costruzione longobarda, venne edificata una chiesa romanica con la medesima dedicazione.
Anche se la chiesa era posta fuori dal borgo (sviluppatosi in un secondo momento), San Pietro divenne il primo patrono del borgo. Inoltre lo stemma della città fino alla seconda meta del XVI secolo riproduceva San Pietro in trono.
Anche se riedificata canonicamente, la parrocchia di San Pietro, ai primi del '700, non si presentava in buone condizioni. Si sentì pertanto l'esigenza di costruire un nuovo edificio in stile barocco lombardo: demolita nel 1753 la chiesa romanica, si inaugurò la fabbrica della nuova chiesa, che si potrasse fino al 1763 per la mancanza di fondi.
Il progetto fu affidato all'architetto Francesco Croce che volle una chiesa a croce greca, a tre navate, e cupola centrale (poi rialzata e affrescata).
L'edificio colpisce per la semplicità esterna a cui si contrappone il fasto dell’interno.
Della vecchia chiesa d'origine medievale si conservò solo il campanile, sul quale si intervenne più volte. Da allora sino ai nostri giorni, non sono mancati continui interventi di manutenzione e restauro.
Il Convento dell'Annunciata fu costruito per volontà di Galeazzo Maria Sforza in risposta ad una grazia ricevuta.
Fu realizzato secondo le esigenze dei Frati Minori dell'Osservanza di San Francesco che avevano un forte legame sia con la società dell'epoca che con la famiglia ducale: venne realizzato con le due aule (una per i fedeli e una per i frati) divisi da un tramezzo riccamente decorato oggi non più esistente.
Dopo la soppressione napoleonica del 1810, venne trasformato nella sezione maschile della Pia Casa dei Poveri Impotenti Incurabili che modificò profondamente la struttura del complesso per soddisfare le nuove esigenze.
Dalla fine del 19° secolo venne frazionato per diventare una fabbrica di damigiane e successivamente una fabbrica per la lavorazione del sughero, un magazzino di materiale edile, la sede di svariate attività (quali un'autorimessa) e l'alloggio per circa 150 inquilini (tra cui i terremotati del Belice che qui trovarono accoglienza).
Nel 1997 il Comune di Abbiategrasso acquistò il complesso dando inizio, grazie ad alcuni finanziamenti, a varie campagne di restauro che si sono concluse nel 2007 e che hanno porato alla luce un meraviglioso ciclo di affreschi realizzato nel 1519 da Nicola Mangone da Caravaggio, detto il Moietta.
Nel 1782 l’imperatore d’Austria Giuseppe II ordinò la soppressione del convento di S. Chiara (che già aveva sostituito nel 1476 il monastero femminile di San Martino) e lo sostituì con la Pia Casa dei Poveri Impotenti Incurabili e Schifosi, per il ricovero di tutti i poveri inabili al lavoro e con gravi malattie fisiche o psichiche di Milano.
Dal 1966 il nome della Pia Casa venne mutato in Istituto Geriatrico Camillo Golgi in ricordo del famoso anatomo-patologo che fu primario della struttura alla fine del 1800 e che fu poi insignito (per primo in Italia) del premio Nobel per la medicina nel 1906 per la tecnica, messa a punto proprio in questo istituto, base per la scoperta dell'Alzheimer.
All'interno dell'Istituto è presente la bella Chiesa di San Carlo.

La chiesa di Sant'Antonio abate ha origini antiche tanto che in un documento del 1610 si può leggere: “La chiesa (fu) costruita dai suoi antichi già oltre cinquecento anni passati sotto il titolo del glorioso Abate Confessore Antonio Santo”. La chiesa conserva ancora oggi tra i suoi tesori una berretta appartenuta al santo.
Di grande importanza è stata la visita pastorale alla parrocchia fatta nel 1604 dal Cardinale Federico Borromeo: notata la situazione precaria della struttura, concesse di far abbattere l’antico oratorio e di usare il ricavato per la costruzione di una chiesa nuova con la stessa dedicazione.
La costruzione avvenne tra il 1610 e il 1616; il portico antistante la facciata e il campanile saranno aggiunti negli anni successivi.
Al suo interno è custodita statua in marmo, considerata miracolosa, raffigurante la Beata vergine col Bambino di fattura trecentesca che originariamente si trovava presso l'oratorio di Santa Maria del Campo.
L’organo che si può vedere oggi risale al 1830 ed è opera di Pietro Pandolci che l’ha realizzato con dimensioni maggiori rispetto al precedente.
Tra le varie opere che adornano l’interno della chiesa, oltre alla statua trecentesca già citata, si possono ammirare una bella statua raffigurante Sant’Antonio eseguita nel 1839 dallo scultore Carlo Romani e una tela raffigurante la Madonna Assunta del Procaccini, la quale è una replica della tela conservata nella chiesa di Sant’Alessandro a Milano nella cappella della famiglia Cittadini, già proprietari del Palazzo Cittadini, poi Stampa, nel borgo di Castelletto.

Al termine dell’epidemia di peste del 1630 la popolazione decise di costruire, con donazioni e prestiti senza interessi da parte dei fedeli, una chiesa dedicata ai Santi Rocco e Anna.
Il prestito più importante fu la cessione effettuata da Pietro Brambilla il 10 Ottobre 1630 che cedeva una sua casa sulla Ripa Naviglio posta nel punto in cui iniziava il ramo del Naviglio di Bereguardo: questa casa venne demolita e al suo posto venne eretta la chiesa di San Rocco.
I lavori di costruzione incominciarono nel 1632 e terminarono nel 1636. 
La costruzione, con l'altare posto a nord e l'ingresso a sud, si presenta con interni e facciata molto semplici in mattoni a vista, con un piccolo campanile a vela con una sola campana e un piccolo sagrato antistante. L’altare è di fattura settecentesca, riccamente intarsiato.
La volta presbiteriale è decorata con quattro grandi ovali rappresentanti i quattro evangelisti il cui disegno risale al 1925, opera di Elia Raffaello.
Grazie ai restauri eseguiti negli ultimi anni si è potuta riportare alla luce la decorazione di fine XVII secolo della chiesa con i suoi colori vivaci, la pittura a finto marmo, le delicate ghirlande floreali dipinte delle finte colonne della navata e nella parte alta dell’abside.
Sulla contro facciata, sopra la porta d’ingresso, all’interno della chiesa, fa bella mostra di sé un piccolo organo del XVII secolo.

Casa Albini è un quattrocentesco edificio a tre piani, caratterizzato dalla presenza di due finestre ad arco acuto, è situato in pieno centro storico all' angolo tra le attuali via Teotti e piazza Golgi. Come testimoniano le ricerche compiute da M. Comincini, nel '500 esso appartenne alla famiglia Pianca, prima di venire frazionato, nel 1589 in quattro parti ed assegnato ad altrettanti eredi. L'edificio era costituito da botteghe al piano terreno e da abitazioni con locali al piano superiore; nella corte era presente una conceria di pellami. I numerosi passaggi di proprietà e le frequenti ristrutturazioni subite dall'edificio nel corso dei secoli, due delle quali documentate nel 1705 e nel 1787, hanno profondamente alterato l'originaria volumetria del palazzo, lasciando traccia nella curiosa facciata che con le sue luci a vari livelli maschera la reale successione dei piani. Il restauro compiuto alla fine degli anni '70 ha permesso il recupero di un edificio del nucleo quattrocentesco del centro.

Casa Paquet è situata lungo il viale Mazzini, nella zona periferica in prossimità dell' incrocio con la strada statale per Vigevano, il palazzo a due piani, si sviluppa intorno ad una corte stretta ed allungata (divisa da un muro aperto da un cancello). Come emerge dalla documentazione catastale settecentesca, presso l' edificio, prospettante allora la Ripa del Naviglio di Abbiategrasso, si trovava una fonderia per la lavorazione dei metalli. Decaduto e manomesso per ricavare modesti alloggi, il palazzo presenta una facciata caratterizzata da una grande edicola sacra con cornice ovale in rilievo e conserva ancora le tracce delle cornici mistilinee settecentesche in malta che decoravano le finestre. Sulla corte si affacciano ballatoi in pietra con modeste ringhiere in ferro; il lato meridionale è ornato da una coppia di nicchie, originariamente dipinte e destinate forse a contenere piccole statue ornamentali.

I Lavatoi Pubblici sulla Roggia Cardinale tramandano la testimonianza di un'antica e diffusa consuetudine scomparsa a partire dal secondo dopoguerra. Costituiti da una serie di vasche e di lastre in pietra inclinate, allineate lungo la sponda del canale, i lavatoi venivano utilizzati per lavare con le acque della roggia.

Palazzo Annoni è composto da due corpi di fabbrica: uno prospiciente su strada (avancorpo) e l'altro, il principale, sul cortile interno. Quest'ultimo è chiuso sui due lati liberi da muro di cinta con disegno che richiama quello dei prospetti. L'edificio principale, a pianta rettangolare con due bracci lievemente aggettanti verso il cortile, ha muri perimetrali in laterizio e portico con colonne binate al piano terra. Elementi caratteristici sono le scale, collocate nei bracci sul cortile: ad est uno scalone monumentale e ad ovest una scala a chiocciola girante a pozzo. Le strutture verticali sono in laterizio. I solai nell'intero bene sono in parte in legno con orditura primaria e secondaria e in parte sono stati sostituiti con nuove strutture in laterocemento. Il piano cantinato è coperto da volta a botte. Il piano cantinato è coperto da volta a botte. La copertura del corpo principale è a tetto con falde a leggio asimmetriche, mentre nel corpo su strada è a tetto.

Palazzo Arconati è a pianta rettangolare con muri perimetrali in laterizio e portico con colonne binate al piano terra parzialmente tamponato. I solai sono in legno con orditura primaria e secondaria, una sala ad ovest al piano terra è coperta da volta alla toscana affrescata; l'androne d'ingresso è voltato con volta a botte unghiata e decorata. La copertura è a tetto semplice a padiglione con capriate lignee e travatura su muri. Il manto è in coppi di laterizio con alcuni inserti di lastre ondulate in pvc per far filtrare luce al corridoio sottostante.

Palazzo Castoldi, palazzo seicentesco, a due piani, prospettante sull'asse centrale di corso Italia, presenta una sobria facciata caratterizzata da un piatto bugnato al piano terreno, occupato da negozi, e da cinque aperture al piano superiore, dove al centro, sopra il portale, si apre un balcone in ferro battuto. L'androne introduce alla corte quadrata a ciottoli, porticata sul lato meridionale, su cui prospetta, in asse con il portale esterno, il corpo padronale, lievemente più alto delle ali laterali, a cui era raccordato da volute barocche, e aperto al piano terreno da tre (quattro in origine ) porte-finestre con cornici tardo seicentesche in malta simili a quelle delle quattro finestre del piano superiore. Sul retro del corpo principale, protetto da un alto muro, si trova ancora il giardino del palazzo. Abitato in parte dai proprietari, l'edificio è suddiviso in appartamenti d'affitto con negozi sulla strada.

Palazzo Cattaneo Scaiola è articolato intorno a due cortili e completato da un piccolo giardino interno, prospetta con la lunga facciata asimmetrica, composta da un corpo a due piani e da un fabbricato più corto e arretrato, alto tre piani, sul centrale corso Matteotti. L'edificio appartiene alla tipologia dei palazzi urbani, anche se venne a lungo utilizzato dai Cattaneo solo come casa di villeggiatura. La facciata in stile barocchetto è ornata da quattro balconcini in ferro battuto retti da conchiglie in stucco, mentre le finestre recano cornici in malta con ghiera in chiave e architrave curvilineo. Il corpo arretrato più alto presenta invece un balcone diverso a sé stante. Dal grande portale, scentrato verso Ovest, si accede al primo cortile quadrato, aperto da portici sui lati meridionale e occidentale, adiacenti all'ingresso, con soffitti a cassettoni lignei.

Palazzo Cittadini Stampa è costituito da un corpo di fabbrica a pianta rettangolare e da un altro a pianta irregolare prospiciente un lato del cortile, destinato in origine al ricovero di carrozze. Si sviluppa su tre piani fuori terra con giacitura parallela al Naviglio Grande sul quale prospetta con la facciata principale. In pianta l'edificio è strutturalmente diviso in senso trasversale in tre parti di uguale lunghezza di cui quella centrale accoglie l'androne d'ingresso formato dal passaggio carrabile centrale e dal portico aperto verso il cortile. Presenta muri portanti a tessitura omogenea in laterizio e due colonne in granito rosa di Baveno sul lato sud. Si struttura in piano terra, piano nobile e secondo piano composti da solai in legno ad orditura doppia, assito, massetto e pavimentazioni in cotto. La facciata è semplice e lineare, con tre ordini di finestre con cornici in intonaco uguali al piano terra e al primo piano, più basse all'ultimo piano.

Palazzo Confalonieri è del tardo seicentesco a due piani prospettante con la facciata principale scandita da due ordini di finestre con cornici ornamentali in malta sull'omonima via del centro storico, si sviluppa con pianta ad U intorno ad una corte alberata, delimitata ad ovest da un muro confinante con l'area dell'antico fossato visconteo. Il porticato che si apriva originariamente intorno alla corte quadrangolare è stato in seguito chiuso da ampie vetrate.

Il Palazzo Comunale sede del Municipio è a pianta irregolare ad U si affaccia con uno dei bracci parallelamente sulla piazza antistante, aprendosi al piano terra con il portico. Presenta muri portanti a tessitura omogenea in laterizio e una colonna in granito sul lato del cortile interno. Si struttura in piano terra, piano nobile e secondo piano composti da solai in legno ad orditura doppia e volte a crociera. La torre soprastante è suddivisa in cinque piani con volte a botte. La copertura è mista a padiglione e a capanna con orditura semplice in legno con puntoni poggianti sul muro di spina e sui muri perimetrali con manto di copertura in coppi di laterizio sovrapposti. Sopra l'androne che conduce al cortile si trova un pregevole balcone in pietra intagliata, sormontato da uno stemma e da ornamenti tardobarocchi in pietra scolpita.

Palazzo Conti a due piani con mezzanino superiore, era già esistente nel settecento, presenta una facciata ritmata da tre balconi con porte finestre ornate da cornici sporgenti e aperta da un androne centrale comunicante con un portico, aperto sul lato occidentale della corte. Particolarmente interessante lo scalone interno, accessibile dall'androne, ornato alle pareti da busti ottocenteschi in stucco ad altorilievo, raffiguranti le quattro stagioni, e decorato da motivi pittorici.

Palazzo Corio prospetta con l' imponente facciata (lunga circa 43 metri), lasciata in cotto senza intonacatura, direttamente su viale Mazzini, l'originale ripa del Naviglio di Abbiategrasso. La facciata esterna presenta un elegante portone d'ingresso, inquadrato da un doppio ordine di lesene e dal marcapiano, che corre su tutto il fronte, e sovrastato da un balcone barocco in ferro battuto, più importante delle due coppie di balconcini ai lati. Sopra l' androne d' accesso, ai fianchi del balcone centrale, due specchiature ribassate con angoli curvilinei valorizzano la parte mediana della facciata. Il corpo padronale è animato verso la corte da colonne con archi ribassati e volte a crociera , che si connette all'ala laterale con due campate di luce minore, separate da un pilastro con lesene che, continuando al piano superiore, formano un interessante motivo decorativo. Notevole è anche lo scalone a tenaglia, accessibile dal porticato, con parapetto in ferro battuto.

Palazzo Pravedoni Losa è a tre piani, costituito da negozi al piano terra e abitazioni al piano superiore si sviluppa intorno ad una stretta corte, prospettando con la facciata principale su corso Matteotti in pieno centro. La facciata aperta al centro da un portone sormontato da un grande balcone con balaustra in ferro battuto è scandita ai piani superiori da una sequenza di aperture ornate da cornici in malta, completate da parapetti in ferro battuto all'ultimo piano. La corte è delimitata a sud da un muro coronato all'estremità da volute di raccordo alle ali laterali e aperto al centro da un arco con timpano arrotondato, su cui è scolpito uno stemma dipinto della famiglia Pravedoni.

Palazzo Sacchei è a pianta regolare a C chiusa da un basso corpo trasformato negli anni sessanta in box e abitazione ma in origine occupato da stalle e scuderie. L'edificio si struttura in tre piani fuori terra e cantinato sul lato verso strada e in piano terra e primo piano nei lati sul cortile. I muri perimetrali sono in muratura a tessitura omogenea in laterizio a mattoni pieni intonacati. Gli orizzontamenti sono in legno, in parte rinforzati da putrelle in ferro, in parte sostituiti da solai in laterocemento e in parte ribassati con pannelli in compensato. La copertura è a padiglione con struttura in legno ad orditura semplice con puntoni poggianti sul muro di spina e sui muri perimetrali; il manto è costituito da lastre ondulate in fibrocemento con sovrapposti coppi in laterizio.

Palazzo Sala Cocini ha l'ingresso sulla strada sottolineato da due avancorpi barocchi, a due piani con pianta trapezoidale e segnati da cornici e lesene, collegati tra loro da due muri curvi ad esedra che inquadrano I pilastri bugnati del cancello. Oltre il cortile quadrangolare, con muri laterali a risalti architettonici (coronati un tempo da busti e statue ornamentali in pietra ), sorge il corpo padronale della villa, a tre piani, caratterizzato da un portico sporgente al centro, con sovrastante terrazzo, sorretto da quattro colonne con alte basi e capitelli ionici architravati. Il piano terreno è ritmato, tra una finestra e l'altra, da lesene che portano un profondo cornicione, mentre il primo piano è scandito soltanto da grandi finestre, simili a quelle inferiori e decorate da analoghe cornici in malta.

Palazzo Taccani è a due piani, articolato intorno alla corte quadrata, è costituito da un corpo principale porticato, caratterizzato sul lato esterno da un balcone centrale in ferro battuto recante la lettera iniziale G. Sul retro, oltre un secondo androne in asse con il portone sulla strada. si trova una piccola area verde confinante ad ovest con l'antico fossato visconteo. Abitato fino a pochi decenni dalla famiglia dei proprietari, l'edificio è stato poi frazionato in diversi appartamenti.

La Scuola Elementare Umberto e Margherita di Savoia si articola intorno a due cortili, aperti ad U verso ovest, e prospettante con una lunga facciata sul viale di circonvallazione, la costruzione scandita da tre ordini di grandi finestre e caratterizzata da un paramento murario di piatto bugnato al piano terreno, rientra nella tipologia dell' edilizia scolastica di inizio secolo.

Villa Castoldi prospetta con la facciata principale, imponente ed aggrazziata , direttamente su via E. De Amicis, nella zona sviluppatasi nel primo novecento a sud ovest del centro storico, poco distante dall' ospedale del paese. L' edificio, costruito probabilmente nel periodo tra le due guerre, è costituito da un corpo centrale, tripartito e lievemente arretrato, con facciata scandita dal profilo di tre falsi archi ribassati al piano terreno a cui corrispondono al piano superiore tre arcate cieche alternate a doppie lesene, precedute da un parapetto ornamentale di colonnine in pietra. Nell' arco centrale si apre il portone di ingresso, affiancato da due aperture ad oculo con contorni mistilinei situate al centro delle false arcate laterali. Due altri corpi, posti alle estremità di quelli centrali, anch'essi tripartiti ma da semplici profili in falso bugnato, completano la costruzione circondata sul retro e ai lati da un ampio giardino, delimitato da un muro di cinta.

Villa Kluzer, con pianta a V composta da un corpo centrale e due ali disposte diagonalmente, simile ad un esagono dimezzato, risale probabilmente alla fine degli anni trenta. Venne costruita nella periferia sud ovest del paese, in una zona che consentiva all' edificio di essere al centro di una grande area ancora libera, trasformata a parco. La raffinatezza stilizzata degli elementi decorativi in stile eclettico, quali le cornici ornamentali delle aperture o il balcone e il sottarco della porta d' ingresso in ferro battuto , rivelano il gusto ricercato dell' epoca. La villa è completamente circondata dal parco privato, accessibile da via Morandi all'angolo con via De Amicis, nella zona occidentale del centro abitato, tra il cimitero e l'ospedale.

Villa Orsini si presenta nelle forme più propriamente del palazzo urbano. È costituito da un corpo a blocco lineare a due piani, da un piccolo cortile interno determinato in parte dal fianco di un recente palazzo addossato ad ovest della villa, e da un secondo cortiletto rustico sul quale danno i fabbricati di servizio. L'edificio padronale è composto da due nuclei strettamente connessi al cui incrocio si colloca un corpo aggettante di servizio un tempo con funzione di ghiacciaia. Il corpo ad est d'origine tardo quattrocentesca ha strutture verticali in mattoni pieni a vista, l'altro ad ovest d'aspetto tardo barocco ha strutture verticali sempre in mattoni pieni ma intonacati. All'esterno l'aspetto è molto severo e si evidenzia solo il portale a grosse bugne in pietra. Davanti all'ingresso della villa si apre un'esedra formata da specchi di muro ricurvo e da pilastri in laterizio a mattoni pieni intonacati, sormontati da elementi scultorei in arenaria.
Del muro di cinta che circondava l'antico giardino di Villa Orsini è rimasta solo l'esedra d'innanzi all'ingresso. Formata da specchi di muro ricurvo e piastri in laterizio a mattoni pieni intonacati sormontati da elementi scultorei, è oggi completamente snaturata dal suo contesto: negli anni novanta il giardino è stato trasformato in parcheggio sotterraneo e a ridosso della costruzione è stata costruita la rampa d'accesso.

Villa Pionnio si sviluppa intorno ad un cortile quadrato; verso l'interno il corpo prospettante la strada con l'androne d'ingresso reca ben visibili le tracce di un porticato originario, riconoscibile dalle colonne e dagli archi emergenti dalla muratura, mentre ancora esistente è il portico sul lato orientale, con archi a sesto ribassato e colonne in pietra. Le ampie finestre al primo piano conservano ancora le cornici in malta con architravi cuspidate, di pregevole fattura, simili a quelle in parte asportate della facciata esterna.

Villa Rusca Sanchioli con pianta ad U si struttura su due piani fuori terra intorno al cortile centrale limitato sul fronte stradale da un muro di recinzione con portale centrale. L'indicazione iconografica dello schema a "U" trova una rispondenza solo parziale nell'architettura, risultando le due ali ad altezza ineguale e destinati a funzioni diverse. La volontà di accentuare un asse di simmetria centrale, ortogonale al corpo principale, è rimarcata dal portale parentesi nel muro che raccorda le due ali sulla strada, traforato da due aperture ellittiche. Le ali laterali sono aperte al piano terra da portico a tre fornici con robusti pilastri ottagonali. Dai porticati due androni conducono al parco. Nell'ala sinistra al piano terra è collocata la cappella di Santa Maria degli Angeli, denunciata all'esterno solo dal semplice portone nel fronte sulla strada e da una cappuccina, collocata all'incrocio col corpo principale. Sull'angolo opposto è collocata una torretta poco sporgente con belvedere.

Villa Zanicotterra Bonetti immersa nel verde del circostante giardino , fu costruita intorno al 1895 nella zona allora periferica ad ovest del centro storico oltre il tracciato dell'antico fossato visconteo. L'edificio a due piani a pianta rettangolare, presenta quattro fronti simmetriche, aperta al centro dal portone di ingresso, rivolti al giardino e preceduti da scalini e scandite da ampie finestre con cornici in malta, maggiormente sporgenti al primo piano.

Portici di Piazza Marconi inglobati nella cortina muraria dei palazzi soprastanti gli antichi portici sono scanditi sul lato orientale della piazza da grossi pilastri in pietra, sostenenti basse volte a crociera,mentre sul lato opposto sono ritmati da colonne in pietra con capitelli e travi a vista.

La seconda domenica di giugno si tiene il palio di San Pietro. A giugno per la strade di Abbiategrasso si svolge il Festival Internazionale di Teatro Urbano vincitore nel prestigioso Premio Hystrio

Persone legate ad Abbiategrasso:
Giovanni Invernizzi, bandiera dell'Inter negli anni cinquanta, squadra con la quale ha anche vinto uno Scudetto da allenatore nel 1971. A lui è dedicato lo stadio comunale cittadino.
Christian Abbiati, portiere, ha giocato nella Juventus, nel Torino, nell'Atletico Madrid e difende tuttora i pali del Milan.
Marco Villa, ciclista su pista, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Sydney nel 2000.
Franco Moschino stilista (1950 - 1994) nato ad Abbiategrasso, qui riposa nella cappella di famiglia.
Gian Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano (1469 - 1494)
Enrico dell'Acqua, imprenditore (1851 - 1910)
Giusy Ferreri, cantante
Guidotto de Abbiate, (+1333) Vescovo di Messina tra il 1304 e il 1333.
Davide Olivares, calciatore
Manuel Agnelli, musicista
Giorgio Falco, scrittore
Carlo Vichi, imprenditore
Serafino Dell'Uomo, patriota risorgimentale
Camillo Golgi, scienziato e medico (1843 - 1926, Premio Nobel nel 1906
Felice Lattuada, compositore e direttore d'orchestra (1882 - 1962), padre del regista Alberto Lattuada
Francesco Croce, architetto (1696 - 1773)
Anacleto Cazzaniga, arcivescovo di Urbino
Walter Fontana, comico
Paolo Mereghetti, critico cinematografico, giornalista
Emanuele Samek Lodovici, senatore
Guerrino Tosello: ex ciclista di strada professionista. Ha militato nelle seguenti squadre: Salvarani, Molteni, Furzi e Scic, partecipando a 8 Giri d'Italia e 3 Giri di Francia. Il suo palmeras conta numerose vittorie.




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martedì 10 marzo 2015

LA CHIESA DI SANTA MARIA NASCENTE - ABBIATEGRASSO -

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La pieve di Santa Maria Nuova di Abbiategrasso (plebis sanctae mariae novae abbiatensis) era il nome di un'antica pieve dell'arcidiocesi di Milano con capoluogo Abbiategrasso. Oggi il suo territorio ricade sotto il decanato di Abbiategrasso e comprende 5 parrocchie.

Il santo patrono è la Madonna, alla quale è dedicata la chiesa prepositurale di Abbiategrasso.

l più importante edificio religioso della città di Abbiategrasso venne edificato per volontà della Confraternita di Santa Maria della Misericordia a partire dal 1365 e nell’arco di soli cinque anni la stessa congregazione laicale poteva già riunirsi al suo interno.
Tale Confraternita, fondata nel 1317, prestava il proprio servizio aiutando gli indigenti e procurando una dote alla fanciulle povere; per la solerzia con cui operava, sia l’Arcivescovo di Milano, sia la Signoria concessero alla Confraternita dei privilegi, e molti abbiatensi donarono beni ed elargirono offerte alla stessa.
La Confraternita, nel 1365, ottenne dall’Arcivescovo il permesso di costruire, sulla piazza di Porta Nuova, una chiesa da dedicare alla Beata Vergine Maria della Misericordia.
Nel 1388, a seguito della nascita nel Castello di Abbiategrasso di Gian Maria Visconti, primogenito di Gian Galeazzo e Caterina Visconti, venne cambiata la dedicazione della chiesa a Santa Maria Nascente.
La chiesa fu eretta in stile gotico-lombardo con facciata monocuspidale di mattoni a vista terminante con una cornice di mattoni lavorati ed archetti acuti, con un unico portale sormontato da un rosone centrale a cui si affiancavano due oculi laterali; sopra la cornice si elevavano cinque pinnacoli in cotto terminati con una croce in ferro.
L’interno a tre navate si presentava con colonne in mattoni che sorreggevano archi acuti e copertura a carpiate a vista. Le navate terminavano con il presbiterio e due cappelle di cui quella di destra dedicata a Sant’Antonio e quella di sinistra dedicata a Santa Caterina.
Con la chiesa venne realizzato anche il campanile.
Dopo che la chiesa fu terminata, alcuni nobili e Confraternite chiesero il permesso di avere altari privilegiati per far celebrare le S.Messe; nel secolo successivo si formarono così sul lato sinistro le cappelle mentre sul lato destro si costruirono degli altari addossati alla parete

Originariamente la struttura era molto diversa dalle fattezze rinascimentali odierne. Lo stile della chiesa infatti era quello allora maggiormente diffuso in questa zona: il gotico lombardo. La facciata era a capanna, in mattoni a vista, decorata con archetti pensili tipici della tradizione lombarda e visibili ancora oggi. La basilica aveva un unico portale centrale e due oculi laterali, sostituiti nel XV sec. da due finestre che ancora si intravedono dietro il pronao, una architravata, l'altra archiacuta. Il pronao stesso e il quadriportico non esistevano ancora.

Nel '400 la confraternita decide di acquistare il caseggiato di fronte alla basilica per avere a disposizione uno spazio per il cimitero. Le case acquistate vengono quindi abbattute e in quel momento è aggiunto il quadriportico rinascimentale che possiamo ammirare oggi. Il perimetro irregolare del quadriportico testimonia già l'esistenza delle vie adiacenti.

Nel sagrato veniva data sepoltura ai cittadini, sotto i portici venivano sepolti i borghesi mentre i nobili riposavano all'interno della chiesa, ragione per la quale vengono aggiunte, sempre in questo periodo, le cappelle laterali sulla sinistra, mentre a destra, non essendoci spazio laterale sufficiente a causa della via adiacente, gli altari delle cappelle vengono addossati alle pareti.

I tondi in cotto del quadriportico sono ornati con busti di santi e profeti, fra questi solo quattro sono originali, gli altri sono distrutti durante lo stanziamento delle truppe napoleoniche, a fine '700, che utilizzano i busti per esercitazioni militari. Questi sono stati sostituiti con copie in cemento dipinto.

Alla fine del 1500 viene costruito il trionfale pronao che vediamo davanti alla facciata. Lo scopo di questo elemento architettonico era quello di proteggere dalle intemperie l'affresco dellaMadonna con il Bambino (databile al ‘400 e attribuito ai fratelli Zavattari) ritenuto miracoloso. La data incisa su una colonna alla sinistra dell'entrata, 1497, unitamente allo stile del quadriportico e del pronao, fa ipotizzare per molto tempo l'intervento diretto del Bramante, proprio in quegli anni attivo alla corte del Moro tra Milano e Vigevano.

Recentemente uno storico locale ha però rinvenuto la documentazione relativa alla costruzione del pronao che dà per conclusa l'opera nel 1595 a cura dell'architetto Tolomeo Rinaldi, il quale lo costruisce probabilmente sui resti di un antico vestibolo di forma ignota. La data del 1497 è dunque riferibile all'ultimazione del quadriportico e non alla costruzione del pronao, eretto cento anni dopo.

Infine un ultimo accenno sul nome della basilica. Gli abbiatensi la chiamano Santa Maria nuovaper distinguerla da Santa Maria vecchia, la chiesa, oggi sconsacrata, del borgo antico in via Santa Maria. Originariamente era intitolata a Santa Maria della Misericordia, dal nome dell'omonima confraternita. Nel 1388 nel castello di Abbiategrasso nasce Giovanni Maria, figlio del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti. Una leggenda narra che in quel tempo le madri milanesi avessero difficoltà a concepire figli maschi e, a quei tempi, gli eredi erano attesi con ansia per avere la certezza della trasmissione del patrimonio di famiglia.

Forse Gian Galeazzo fece un voto alla Madonna chiedendole di esaudirgli questo desiderio tant'è che quando il maschietto venne alla luce, come ringraziamento, decise di cambiare la titolazione della chiesa più importante del suo ducato, il Duomo di Milano, da Basilica di Santa Maria Maggiore a Basilica Maggiore di Santa Maria Nascente. Allo stesso modo la chiesa del borgo dove nacque il figlio divenne Basilica Minore di Santa Maria Nascente. In seguito sia la famiglia Visconti che i loro successori Sforza tennero viva la devozione alla Madonna dando sempre il secondo nome Maria ai loro figli.


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